IL
Luigi Schiatti
“DIPOPOLODIO”
L’uomo nella Bibbia
INDICE
IV DOPO PENTECOSTE – A –
LETTURA ................................................................................ pag. 21 VANGELO .............................................................................. pag. 23 EPISTOLA ............................................................................... pag. 23
VI DOPO PENTECOSTE – A –
VII DOPO PENTECOSTE – A –
LETTURA ................................................................................ pag. 18 EPISTOLA ............................................................................... pag. 19 VANGELO .............................................................................. pag. 20
V DOPO PENTECOSTE – A –
LETTURA ................................................................................ pag. 10 EPISTOLA ............................................................................... pag. 11 VANGELO .............................................................................. pag. 12
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LETTURA ................................................................................ pag. 25 EPISTOLA ............................................................................... pag. 26 VANGELO .............................................................................. pag. 27
III DOPO PENTECOSTE – A –
LETTURA ................................................................................ pag. 7 EPISTOLA ............................................................................... pag. 8 VANGELO .............................................................................. pag. 8
Due parole ................................................................................. pag. 5
II DOPO PENTECOSTE – A –
LETTURA ................................................................................ pag. 14 EPISTOLA ............................................................................... pag. 16 VANGELO .............................................................................. pag. 17
LETTURA ................................................................................ pag. 28 EPISTOLA ............................................................................... pag. 28 VANGELO .............................................................................. pag. 29
DOMENICA PRIMA DEL MARTIRIO DI GIOVANNI – A –LETTURA ................................................................................ pag. 41 EPISTOLA ............................................................................... pag. 42 VANGELO .............................................................................. pag. 43
IX DOPO PENTECOSTE – A –
LETTURA ................................................................................ pag. 30 EPISTOLA ............................................................................... pag. 32 VANGELO .............................................................................. pag. 33
XI DOPO PENTECOSTE – A –
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VIII DOPO PENTECOSTE – A –
LETTURA ................................................................................ pag. 34 EPISTOLA ............................................................................... pag. 35 VANGELO .............................................................................. pag. 36
LETTURA ................................................................................ pag. 37 EPISTOLA ............................................................................... pag. 38 VANGELO .............................................................................. pag. 39
X DOPO PENTECOSTE – A –
domanda inevitabile: Le letture delle Messe domenicali sono scelte per lo sviluppo di un tema, oppure sono messe lì a caso? C’è uno sviluppo dell’insegnamento che si realizza domenica dopo domenica? E, riguardo alle letture, esiste un rapporto tra loro? Ancora: nel Tempo Ordinario, quello che si vive dopo Pentecoste, qual è la lettura che sviluppa un determinato argomento? In caso contrario, le letture sarebbero un semplice accostamento di pensieri edificanti presi dalla Parola di Dio.
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Oggi, giustamente, si è rivalutato molto la loro funzione e si chiamano nel loro insieme la “liturgia della Parola”. Sono proprio le letture che ci introducono, anzi, ci permettono di celebrare la seconda parte: la consacrazione. Le due parti della Messa non possono essere staccate: non può esistere l’una senza l’altra. Eppure, mi chiedo, quanti fedeli “ascoltano” con la mente e poi con il cuore le letture che vengono proclamate nella celebrazione eucaristica?Una
Due parole
A questo punto dobbiamo riconoscere che le letture del tempo dopo Pentecoste, nell’anno liturgico “A”, quello che stiamo vivendo ora, ci presenta la storia del popolo “di Dio”! Sì, lo scrivo tra virgolette per indicare che è Dio stesso che ha voluto formare un popolo speciale con cui avere un rapporto di amicizia, sia pure per il bene di tutti i popoli. È la storia del popolo d’Israele, il popolo eletto.
Però questo modo di dire dava poca importanza alle letture, che sono invece parte integrante e necessaria della Messa.
Il realizzarsi di questa volontà di Dio viene ogni domenica espressa nella prima delle tre letture, e la seconda e anche il vange-
Quand’ero ragazzo si diceva che la Messa, per il precetto festivo, era valida dal momento in cui il sacerdote scopriva il calice. Allora il sacerdote, all’inizio della Messa, saliva all’altare portando il calice coperto dal “velo”. Forse si voleva insistere sul fatto che la Messa è essenzialmente il sacrificio di Gesù; quindi aveva valore (quasi) soltanto la consacrazione.
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lo sono scelte in funzione della prima. L’epistola ha il compito di approfondire quanto è detto nella prima, e il vangelo allarga gli orizzonti mediante la parola di Gesù, e riguarda il “nuovo” popolo d’Israele, la Chiesa. Quindi allarga l’insegnamento della prima lettura fino all’estremo orizzonte.
In particolare il grande Maestro della Parola, il card. C. M. Martini, ci ha “liberamente costretti” ed efficacemente aiutati ad “entrare” nella Parola di Dio.
Papa Francesco ha dedicato una domenica all’anno (la terza del tempo ordinario) da dedicare particolarmente all’approfondimento della Parola di Dio, che è contenuta nella Bibbia e che non va confusa con le varie opinioni che in continuazione vengono “guidate” dai vari pulpiti. Oggi sembra che quanto più una opinione viene gridata da qualcuno (penso ai vari mezzi di comunicazione, pur utili ed efficaci), tanto più è vera. Invece la Bibbia dice che Dio parla nel silenzio, mediante una “brezza leggera”, come fece col profeta Elia.
Ora mi permetto ancora una domanda: La domenica, dopo che hai partecipato alla Messa, c’è qualche momento di silenzio in cui ripensi alle letture che hai ascoltato? Ti è rimasto in mente e nel cuore un pensiero, almeno una parola che ti accompagni per tutta la giornata? Direi, quasi una “freccia” che ti ha colpito il cuore e che ti illumini su un aspetto della tua vita semplice, quotidiana?
N.B. Le letture prese in considerazione in questo opuscolo sono del rito ambrosiano.
Un ultimo rilievo: la prima lettura di ogni domenica racconta un fatto che riguarda il popolo d’Israele, per noi molto lontano. Noi però siamo invitati a cogliere, al di là del racconto, qual è l’insegnamento profondo di quell’episodio. Inoltre, ogni domenica, nella prima lettura, campeggia sempre un personaggio con cui Dio colloquia direttamente, ma come rappresentante di tutto il popolo. Dio non si limita a un rapporto individuale con i singoli personaggi, quasi per un vantaggio personale dell’interessato: Dio è in rapporto, sempre, con il popolo intero, e per il bene di tutto il popolo.
L’esperienza ci dice che questo, la Parola “ruminata” come affermava Martini, è la strada giusta, e unica, per seguire con efficacia Gesù Cristo.
Ecco quanto dice il libro del Siracide: «Il Signore creò l’uomo dalla terra e ad essa di nuovo lo fece tornare. Egli assegnò loro giorni contati e un tempo definito, dando loro potere su quanto essa contiene. Li rivestì di una forza pari alla sua e a sua immagine li formò. In ogni vivente infuse il timore dell’uomo, perché dominasse sulle bestie e sugli uccelli. Discernimen-
DOPO PENTECOSTE–AnnoA–
La prima lettura di oggi, Siracide 17, è il grande portale che apre il nostro sguardo sull’opera più bella che Dio ha creato: l’UOMO.
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La liturgia inizia il racconto della storia del popolo di Dio con la seconda domenica dopo Pentecoste perché la prima domenica contempla, ogni anno, la SS. Trinità. Probabilmente ci vuol insegnare che tutto quanto verrà detto nelle domeniche successive ha come fine Dio, la Trinità.
LETTURA (Sir 17, 1-4. 6-11b. 12-14)
II
Dice il libro della Genesi che Dio, ammirando l’uomo che ha appena creato, «vide che era cosa molto buona» (Gen 1, 31), non solo “cosa buona”, come per le altre Sue creature.
L’uomo è il “tu” di Dio, affinché Dio, che è comunione in Sé, si comunichi anche al di fuori di Sé. Per questo motivo Dio ha voluto l’uomo come Re del creato, a cui si devono riferire tutti gli esseri viventi: ogni essere esistente è a servizio dell’uomo, non perché lui “domini” le varie creature, ma perché l’uomo usi positivamente del creato; è l’insegnamento fondamentale dell’enciclica Laudato si’ di papa Francesco.
Oggi è proprio indispensabile riportare la prima lettura per intero, sperando che qualcuno la legga più volte, molto lentamente, e trasformi la lettura in gioiosa contemplazione. In particolare, fermiamo la nostra riflessione su due verità: «Stabilì con loro (gli uomini) una alleanza eterna». E: «a sua immagine lo formò».
L’UOMO! Questo è l’insegnamento fondamentale di oggi.
L’uomo, purtroppo, non ha riconosciuto la propria dignità e bellezza, opere di Dio, fonte della libertà, ma «(…) mentre si dichiaravano sapienti, gli uomini sono diventati stolti e hanno scambiato la gloria del Dio incorruttibile con una immagine e una figura di uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili. Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore (…) hanno adorato e servito le creature anziché il Creatore (…) Dio li ha abbandonati alla loro intelligenza depravata ed essi hanno commesso azioni indegne: sono colmi di ogni ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d’invidia, di omicidio, di lite, di frode, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, arroganti, superbi, presuntuosi, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. (…) non solo le commettono, ma anche approvano chi le fa». Questo è un parlare senza alcuna reticenza! È la ripresentazione, sia pure con immagini diverse, dei primi tre capitoli della Genesi.
«In quel tempo. Il Signore Gesù si mise a parlare e insegnava alle folle dicendo: “Avete inteso che fu detto: ‘Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico’. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di
VANGELO (Mt 5, 2. 43-48)
EPISTOLA (Rm 1, 22-25. 28-32)
8 to, lingua, occhi, orecchi e cuore diede loro per pensare. Li riempì di scienza e d’intelligenza e mostrò loro sia il bene che il male. Pose il timore di sé nei loro cuori, per mostrare loro la grandezza delle sue opere, e permise loro di gloriarsi nei secoli delle sue meraviglie. Loderanno il suo santo nome per narrare la grandezza delle sue op ere. Pose davanti a loro la scienza e diede loro in eredità la legge della vita. Stabilì con loro una alleanza eterna e fece loro conoscere i suoi decreti. I loro occhi videro la grandezza della sua gloria, i loro orecchi sentirono la sua voce maestosa. Disse loro: “Guardatevi da ogni ingiustizia!” e a ciascuno ordinò di prendersi cura del prossimo» .
straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”».
Ecco il vangelo: l’uomo è invitato a vivere per amore, sempre e solo per amore, un amore che supera perfino la Legge: «Ma io vi dico: amate i vostri nemici». Esagerato! Eppure è l’unico comandamento che rende sempre attuale nel tempo l’Essere di Dio. L’amore sempre, senza eccezioni!
Il vangelo di oggi va al di là dell’insegnamento iniziale della Genesi e scende subito sul piano pratico ponendo una domanda fondamentale: Se questa è la realtà, come si deve comportare l’uomo? Dice Matteo: deve vivere secondo la sua grandezza seguendo la volontà di Dio; oppure deve inevitabilmente seguire il suo istinto, la sua “carne”, come puntualizza l’epistola?
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LETTURA (Sir 17, 1-4. 6-11b. 12-14)
La prima lettura di domenica scorsa (Sir 17) era un vero solenne proclama sulla grandezza dell’uomo. Oggi leggiamo la creazione di questo personaggio meraviglioso, così come l’ha voluto Dio.
Il capitolo primo della Genesi presenta la creazione dell’uomo come ultimo essere creato, quasi come completamento di tutta l’opera di Dio. Richiama l’idea della sposa, che entra nella sua casa, nel suo regno quando tutto è pronto, è tutto ordinato, quando c’è tutto quello che è necessario per rendere la casa pronta, anzi, in attesa della sposa. Perché quella casa è stata preparata proprio perIllei.racconto
Siamo alle primissime pagine della Bibbia (Gen 2,4b-17). È significativo vedere che ben due volte viene narrata la creazione dell’uomo, nel capitolo primo e nel capitolo secondo. Probabilmente l’autore intende sottolineare l’importanza dell’uomo. I due capitoli sembrano opposti per quanto riguarda la narrazione; invece tutti e due, nella loro apparente diversità, esprimono lo splendore dell’uomo.
di oggi, invece, la presenta con un vuoto totale: non c’è proprio nulla sulla terra; c’è solo l’ambiente vuoto, desideroso di accogliere… il Re del creato. Ci suggerisce che nulla precede e che nulla di creato è superiore all’uomo. Dopo che Dio ha fatto esistere “il Re”, fa esistere tutte le altre realtà, tutte per l’uomo, a suo vantaggio. L’uomo ha la missione, non solo il dovere, di “coltivare e custodire” il creato, per il proprio bene e per la gloria di Dio, proprio come afferma l’enciclica Laudato si’ di papa Francesco.
DOPO –PENTECOSTEAnnoA–
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Il brano biblico di oggi fa un’altra affermazione: l’uomo, che è immagine e a somiglianza di Dio, è un insieme inscindibile di anima e di corpo, ossia è spirito, ma anche materia come tutte le altre creature. Il verso 7 afferma: «Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un
III
11 essere vivente». È vero: non c’è espressamente la parola “anima”, però “l’alito di vita” viene direttamente da Dio, quindi è qualcosa di soprannaturale, di divino, che noi chiamiamo “anima”.
Quindi anche l’uomo, pur essendo grandissimo perché Dio lo ha voluto così, è limitato nel tempo e nelle capacità. Però partecipa dell’immortalità di Dio, perché nella sua realtà profonda è “anima”.
EPISTOLA (Rm 5, 12-17)
Solo due limitazioni l’uomo deve accettare: non è padrone della vita e non ha in sé la capacità di decidere che cosa è bene e che cosa è male. Ossia, non possiede il principio della moralità.Lavita umana (con tutti i numerosi e grossi problemi inerenti) e lo stabilire ciò che è bene e ciò che è male appartengono solo a Dio. È un principio assoluto, non negoziabile, tanto che la lettura termina con una vera “minaccia”: «Il Signore Iddio diede questo comando all’uomo: “Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire”».
Insegnamento chiarissimo e fondamentale. Ed è proprio questo il motivo per cui l’uomo è superiore, è… ontologicamente diverso e qualitativamente non paragonabile con nessun’altra realtà esistente. È meraviglioso: proprio in questo “elemento” l’“anima” rende l’uomo a somiglianza di Dio, quindi intelligente, libero e fatto per la comunione (questa precisazione non la troviamo nel capitolo primo).
«Fratelli, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, e così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato… Fino alla Legge infatti c’era il peccato nel mondo e, anche se il peccato non può essere imputato quando manca la Legge, la morte regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato a somiglianza della trasgressione di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire. Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo si sono riversati in abbondanza su tutti. E
L’insegnamento di Paolo viene ripreso e… “portato alle stelle” dal brano di Giovanni: è la fede in Gesù Cristo, Figlio di
Come sempre, S. Paolo tratta l’aspetto teologico e prende atto del fatto che l’uomo ha trasgredito, in Adamo, i limiti stabiliti da Dio; l’uomo ha peccato: non si è fidato di Dio. Per questo motivo è entrata la morte nell’uomo e nella natura, il massimo dolore per l’uomo. Si è quindi verificata la minaccia contenuta nella prima lettura.Però Dio, nella sua misericordia, ha “rimediato” al peccato dell’uomo volendo l’Incarnazione del Figlio. E in Lui, Gesù Cristo, tutti gli uomini vengono salvati, perdonati. È un insegnamento fondamentale della verità cattolica: Gesù Cristo è l’unico, vero, reale salvatore di tutti gli uomini: «(…) quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia, regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo».
«In quel tempo. Il Signore Gesù disse a Nicodèmo: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio”».
VANGELO (Gv 3, 16-21)
nel caso del dono non è come nel caso di quel solo che ha peccato: il giudizio infatti viene da uno solo, ed è per la condanna, il dono di grazia invece da molte cadute, ed è per la giustificazione. Infatti se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo».
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Cristo è l’unico, universale Salvatore! Lo ha affermato senza incertezze la dichiarazione Christus Dominus del 15 agosto 2000. Tutte le opere “buone” che un uomo compie sono conseguenza della nostra fede e hanno valore perché derivano dalla fede in Cristo CosìGesù.conclude il vangelo di oggi: «Chi crede in Lui non è condannato, ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere sono malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».
Se riflettiamo, le letture di oggi sono uno schema limitatissimo, ma indiscutibile della dottrina cattolica. Vale la pena di rivedere il nostro modo di pensare e vivere la fede su questo schema essenziale. In caso contrario sono un cristiano traballante.
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Dio, fatto uomo, che ci salva, ci rimette nella dignità di figli di Dio.
LETTURA (Gen 6, 1-22)
«In quei giorni. [Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro delle figlie, i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli a loro scelta. Allora il Signore disse: “Il mio spirito non resterà sempre nell’uomo, perché egli è carne e la sua vita sarà di centoventi anni”. C’erano sulla terra i giganti a quei tempi – e anche dopo –, quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini e queste partorivano loro dei figli: sono questi gli eroi dell’antichità, uomini famosi.] Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni intimo intento del loro cuore non era altro che male, sempre. E il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo. Il Signore disse: “Cancellerò dalla faccia della terra l’uomo che ho creato e, con l’uomo, anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito di averli fatti”. Ma Noè trovò grazia agli occhi del Signore. Questa è la discendenza di Noè. Noè era uomo giusto e integro tra i suoi contemporanei e camminava con Dio. Noè generò tre figli: Sem, Cam e Iafet. Ma la terra era corrotta davanti a Dio e piena di violenza. Dio guardò la terra ed ecco, essa era corrotta, perché ogni uomo aveva pervertito la sua condotta sulla terra. Allora Dio disse a Noè: “È venuta per me la fine di ogni uomo, perché la terra, per causa loro, è piena di violenza; ecco, io li distruggerò insieme con la terra. Fatti un’arca di legno di cipresso; dividerai l’arca in scompartimenti e la spalmerai di bitume dentro e fuori. Ecco come devi farla: l’arca avrà trecento cubiti di lunghezza, cinquanta di larghezza e trenta di altezza. Farai nell’arca un tetto e, a un cubito più sopra, la terminerai; da un lato metterai la porta dell’arca. La farai a piani: inferiore, medio e superiore. Ecco, io sto per mandare il diluvio, cioè le acque, sulla terra, per distruggere sotto il cielo ogni carne in cui c’è soffio di vita; quanto è sulla terra perirà. Ma con te io stabilisco la mia alleanza. Entrerai nell’arca tu e con te i tuoi figli, tua moglie e le mogli dei tuoi figli. Di quanto vive, di ogni carne, introdurrai nell’arca due di ogni specie, per conservarli in vita con te: siano maschio e femmina. Degli uccelli, secondo la loro specie, del bestiame, secondo la propria specie, e di tutti i rettili del suolo, secondo la loro specie, due di ognuna verranno con te, per essere conservati in vita. Quanto a
IV DOPO PENTECOSTE–AnnoA–
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C’è un motivo molto grosso: tutti gli uomini sono peccatori: «Il Signore vide che la malvagità era grande sulla terra e che ogni minimo intento del loro cuore non era altro che male, sempre. E il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo. Il Signore disse: “Cancellerò dalla faccia della terra l’uomo che ho creato e, con l’uomo, anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito di averli fatti”». Gli uomini vivevano secondo la carne – dirà S. Paolo –.
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Allora, l’opera di Dio, la creazione dell’uomo è e rimane splendida. Però gli uomini, usando della propria libertà, si allontanano da Dio, non obbediscono più alla Sua legge, e peccano.
Dio può cambiare parere?
È una domanda, forse una tentazione, che può sorgere istintivamente mettendo a confronto la prima lettura di oggi con quella di domenica scorsa. Là (Gen 2) sembrava un solenne portale sulla grandezza dell’uomo rispetto a tutte le realtà create. Oggi la liturgia ci presenta Dio stanco della creatura sublime che è l’uomo, fino al punto di pentirsi di averlo creato: «Il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra» (v. 6).
È questo l’unico motivo dello sdegno di Dio: i peccati!
L’esagerazione dell’espressione di sdegno da parte di Dio serve, nella descrizione, a manifestare il grande dolore di Dio (è un modo di dire), perché l’uomo con il suo comportamento peccaminoso ha rinunciato alla sua felicità, che consiste nell’accettazione della volontà di Dio, come insegnano i primi capitoli della Genesi.
te, prenditi ogni sorta di cibo da mangiare e fanne provvista: sarà di nutrimento per te e per loro”. Noè eseguì ogni cosa come Dio gli aveva comandato: così fece».
Non può mancare un solenne castigo, il diluvio, che distruggerà l’umanità intera. Nella Bibbia, l’acqua, lasciata alla sua forza distruggitrice, è segno di dolore e anche di morte.
Mi chiedo: Dio ha perso… “la battaglia”, è sconfitto? Allora, Dio è davvero onnipotente e infinitamente misericordioso? Sì, perché nonostante i continui peccati degli uomini, e i conseguenti, inevitabili castighi, Dio vuole “rifare” sempre l’uomo, vuole riportarlo alla sua straordinaria grandezza: ricorda che solo l’uomo, tra tutte le creature, è “immagine e a somiglianza di Dio”.
Questa volta lo fa mediante Noè, che è certamente segno
dell’unico Salvatore di tutta l’umanità, Gesù Cristo, il Messia perché è Dio e uomo.
«Fratelli, vi dico: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vic enda, sicché voi non fat e quello che vorreste. Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge. Del resto sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezz a, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi preavviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio. Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è Legge. Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri. Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito».
S. Paolo approfondisce l’insegnamento della prima lettura anche in questa domenica, e afferma con la solita chiarezza e forza
Nel racconto spicca una parola: ALLEANZA . Dice il testo della Genesi: «Ma con te (Noè) io stabilisco la mia alleanza». Ritengo molto, molto importante riflettere su questa parola: Dio stabilisce un rapporto di amicizia e di … collaborazione col popolo eletto, con tutto il popolo, non solo con un gruppo, una tribù, o addirittura con una sola persona. Il personaggio, nel nostro caso Noè, è solo il tramite tra Dio e il popolo. Forse è utile che noi, oggi, abbiamo a rivalutare il popolo, la comunità, cioè la Chiesa! Oggi siamo troppo bloccati, ripiegati sull’individualismo anche nei rapporti con Dio!
Quindi oggi il fatto storico, narrato nella prima lettura, è il diluvio; e il personaggio è Noè: «Ma Noè trovò grazia agli occhi del Signore».Lavicenda dell’arca di Noè (segno della croce di Gesù) la conosciamo bene: tutti l’abbiamo imparata, ripetutamente e con gioia, fin dal primo catechismo per la prima Comunione.
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EPISTOLA (Gal 5, 16-25)
«In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai discepoli: “Come avvenne nei giorni di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell’uomo: mangiavano, bevevano, prendevano moglie, prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca e venn e il diluvio e li fece m orire tutti. Come avvenne anche nei giorni di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano; ma, nel giorno in cui Lot uscì da Sòdoma, piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece morire tutti. Così accadrà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si manifesterà. Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi la perderà, la manterrà viva” ».
17 che ci sono due modi opposti di impostare la propria vita quotidiana: o vivere “secondo la carne” seguendo le indicazioni del mondo, oppure vivere “secondo lo Spirito Santo”. Per essere chiaro e concreto, S. Paolo fa un lungo elenco di modi alternativi di vivere. Tralascio le conseguenze, i frutti del vivere “secondo la carne”; riporto invece l’elenco, secondo Paolo, delle virtù di chi vive “secondo lo Spirito”: «Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è Legge.” E conclude: “Se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito».
Brevemente afferma: la scelta del modo di vivere non è indifferente: il vivere secondo lo Spirito è causa di vita eterna; il vivere da peccatori invece è causa di morte eterna. Qui sta il giudizio di Cristo, giudice giusto e glorioso, quando apparirà di nuovo alla fine dei tempi. Così conclude il brano di Vangelo di oggi: «Chi cercherà di salvare la propria vita (seguendo le indicazioni del mondo), la perderà; ma chi la perderà (perché vivrà secondo la volontà di Dio) la manterrà viva».
VANGELO (Lc 17, 26-30. 33)
E fa a loro una promessa sorprendente: Abramo avrà una discendenza numerosissima come le stelle del cielo.
La condizione richiesta ad Abramo è questa: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione».
E questo, nonostante Abramo sia già vecchio e senza figli. Dio chiede una sola condizione ad Abramo: fidarsi completamente di Dio e lasciare la propria terra ( quindi tutto quello che ha!) e andare lontano, in un paese sconosciuto, solo fidandosi di Dio.
18 V
Se Dio parla, vuole essere ascoltato, accettato e seguito, senza porgli domande.
LETTURA (Gen 11, 31. 32b – 12, 5b)
DOPO PENTECOSTE–AnnoA–
L’episodio di Noè è significativo: esprime la volontà di Dio di salvare l’uomo nonostante i suoi peccati. Però pare una salvezza riservata a Noè e alla sua famiglia.
La prima lettura narra l’inizio della realizzazione di questo proposito di Dio. A tale scopo Dio sceglie Abramo.
Quella di Dio è una benedizione solenne ma misteriosa, quasi una utopia: «Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò; e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra».
Oggi la prima lettura allarga gli orizzonti: adesso Dio ha deciso: «Voglio farmi un popolo amico, un popolo “nuovo”, non legato alle tradizioni del popolo eletto, un popolo che accetti di essere mio amico e che mi riconosca come Dio, che osservi perciò la mia volontà».
Egli darà inizio a un popolo “nuovo”, davvero libero dalle vecchie tradizioni.
Per questo Dio cambia il nome ad Abramo e alla sua moglie Sara: non si chiameranno più Abram e Sarai, ma Abramo e Sara.
EPISTOLA (Eb 11, 1-2. 8-16b)
Abramo non parla, non interroga Dio sul perché, sul fine della sequela, sui mezzi, sulle difficoltà… Ascolta e va! Questa è fede vissuta, una fede davvero pratica, non solo affermata.
Dio chiede ad Abramo una sola condizione, ma totale: la fede in Lui! Dio vuole da Abramo una fede pratica, concreta; non un bel sentimento che riempia il cuore, o un pio desiderio; chiede una fede vissuta totalmente nella vita quotidiana. Chiede, cioè, la fede-fiducia in Dio. Fosse così anche la mia fede!
Per ogni situazione Paolo insiste: per fede…! Per ben sette volte(!) ritorna la parola “fede” . Tutto è compendiato nell’ultimo richiamo alla fede di Abramo: «Per fede, anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso».
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«Fratelli, la fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede. Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio. Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. Per fede, egli soggiornò nella terra prome ssa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso. Per fede, anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso. Per questo da un uomo solo, e inoltre gi à segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e non si può contare. Nella fede morirono tutti costoro, senza aver ottenuto i beni promessi, ma li videro e li salutarono solo da lontano, dichiarand o di essere stranieri e pellegrini sulla terra. Chi parla così, mostra di essere alla ricerca di una patria. Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto la possibilità di ritornarvi; ora invece essi aspirano a una patria migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non si vergogna di essere chiamato loro Dio».
S. Paolo esalta la fede di Abramo richiamando alcuni momenti della vita di Abramo.
VANGELO (Lc 9, 57-62)
Siamo prudenti e non imitiamo quel tale del vangelo di oggi: «Ti seguirò dovunque tu vada!». L’invito è rivolto anche a noi: Siamo prudenti e umili… sempre!
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Molto forte è la chiusura del vangelo: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il Regno di Dio».
Abramo ha ricevuto una missione molto importante e impegnativa: lasciare tutto, proprio tutto, e seguire, nella totale oscurità, la volontà di Dio. Non invece come hanno fatto alcuni personaggi del Vangelo (ci basti l’esempio del giovane ricco). Ma che fatica in certi momenti!
«In quel tempo. Mentre camminavano per la strada, un tale disse al Signore Gesù: “Ti seguirò dovunque tu vada”. E Gesù gli rispose: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”. A un altro disse: “Seguimi”. E costui rispose: “Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre”. Gli replicò: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio”. Un altro disse: “Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia”. Ma Gesù gli rispose: “Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio”».
21 VI
DOPO PENTECOSTE–AnnoA–
LETTURA (Es 33, 18 – 34, 10)
«In quei giorni. Mosè disse al Signore: “Mostrami la tua gloria!”. Rispose: “Farò passare davanti a te tutta la mia bontà e proclamerò il mio nome, Signore, davanti a te. A chi vorrò far grazia farò grazia e di chi vorrò aver misericordia avrò misericordia”. Soggiunse: “Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo”. Aggiunse il Signore: “Ecco un luogo vicino a me. Tu starai sopra la rupe: quando passerà la mia gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano, finché non sarò passato. Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non si può vedere”. Il Signore disse a Mosè: “Taglia due tavole di pietra come le prime. Io scriverò su queste tavole le parole che erano sulle tavole di prima, che hai spezzato. Tieniti pronto per domani mattina: domani mattina salirai sul monte Sinai e rimarrai lassù per me in c ima al monte. Nessuno salga con te e non si veda nessuno su tutto il monte; neppure greggi o armenti vengano a pascolare davanti a questo monte”. Mosè tagliò due tavole di pietra come le prime; si alzò di buon mattino e salì sul monte Sinai, come il Signore gli aveva comandato, con le due tavole di pietra in mano. Allora il Signore scese nella nube, si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore. Il Signore passò davanti a lui, proclamando: “Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà, che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione”. Mosè si curvò in fretta fino a terra e si prostrò. Disse: “Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, Signore, che il Signore cammini in mezzo a noi. Sì, è un popolo di dura cervice, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato: fa ’ di noi la tua eredità”. Il Signore disse: “Ecco, io stabilisco un’alleanza: in presenza di tutto il tuo popolo io farò meraviglie, quali non furono mai compiute in nessuna terra e in nessuna nazione: tutto il popolo in mezzo al quale ti trovi vedrà l’opera del Signore, perché terribile è quanto io sto per fare con te”».
Il personaggio di oggi è MOSÈ.
Osa perfino chiedergli di poterlo conoscere: «Mostrami la tua gloria»; ossia: «Signore, fa’ che ti veda, che ti conosca». È la prima richiesta che troviamo nella prima lettura di queste domeniche. Mosè non si limita a chiedere qualcosa per sé; chiede il massimo: la conoscenza di Dio, che vuol dire: poter diventare amico di Dio. È certamente difficile: «Ma tu – risponde Javé – non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo». C’è sempre un abisso incolmabile tra Dio e l’uomo: «Vedrai le mie spalle, ma il mio volto non si può vedere».
Mosè riconosce i peccati del popolo, però chiede perdono per tutti i peccatori: «Sì, è un popolo di dura cervice, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato: fa’ di noi la tua eredità».
Mosè ottiene di conoscere almeno il “noma” di Dio, dopo però aver ricevute le due tavole della Legge: «Allora il Signore scese nella nube, si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore. Il Signore passò davanti a lui, proclamando: “Il Signore, il Signore, Dio pietoso e misericordioso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà, che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato” ». In questo consiste la “gloria di Dio”: conoscere, sperimentare e far conoscere la Sua infinita misericordia, che comprende anche la giustizia divina: «(…) ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione».
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A questo punto è presentato l’atto solenne e fondamentale da parte di Dio: l’ALLEANZA, che sarà il fondamento reale della amicizia di Dio con il popolo d’Israele: «Il Signore disse: “Ecco io stabilisco un’Alleanza: in presenza di tutto il tuo popolo io farò meraviglie, quali non furono mai compiute in nessuna terra e in nessuna nazione: tutto il popolo in mezzo al quale ti trovi vedrà l’opera del Signore, perché terribile è quanto io sto per fare con te”».
A mio parere, noi cristiani di oggi (…di sempre!) dobbiamo approfondire molto, molto l’Alleanza della Chiesa con Dio, vivendola concretamente con atti comunitari, incominciando dalla liturgia.
Come? Ce lo insegna il vangelo di oggi.
A differenza di Abramo, Mosè parla con Dio, colloquia con Lui.
Mosè chiede addirittura di “vedere” il volto di Dio, cioè di poter conoscere chi è realmente Dio; chiede di poter sperimentare e godere dell’amicizia con Dio. Che coraggio!
Ma ricordiamo che il fondamento di tutto è sempre e solo uno, Gesù Cristo!
VANGELO (Lc 6, 20-31)
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«Fratelli, che cosa è mai Apollo? Che cosa è Paolo? Servitori, attraverso i quali siete venuti alla fede, e ciascuno come il Signore gli ha concesso. Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere. Sicché, né chi pianta né chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere. Chi pianta e chi irriga sono una medesima cosa: ciascuno riceverà la propria ricompensa secondo il proprio lavoro. Siamo infa tti collaboratori di Dio, e voi siete campo di Dio, edificio di Dio. Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un saggio architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno s tia attento a come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo».
EPISTOLA (I Cor 3, 5-11)
Mosè fu un collaboratore di Dio nella crescita del popolo. Eletto. Soltanto un collaboratore, ma valido, oserei dire “necessario”, perché Dio ha voluto la collaborazione dell’uomo. Allo stesso modo noi, nella Chiesa, siamo veri collaboratori di Cristo perché Lui ci vuole così. Ciascuno è chiamato ad essere collaboratore per quanto il Signore gli chiede, e non altro: «Ciascuno come il Signore gli ha concesso, Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere. Chi pianta e chi irriga sono una medesima cosa: ciascuno riceverà la propria ricompensa secondo il proprio lavoro. Siamo infatti collaboratori di Dio… secondo la grazia di Dio che mi è stata data».
« In quel tempo. Il Signore Gesù, alzàti gli occhi verso i su oi discepoli, diceva: “Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti. Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra
24 consolazione. Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti. Ma a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro. E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro ” ».
Occorre mettere in pratica, personalmente e comunitariamente le beatitudini. Quelle riportate da Luca sono più brevi e più sintetiche rispetto a quelle di Matteo, ma il contenuto è uguale. Luca aggiunge anche i “guai”, quasi per ribadire il valore delle beatitudini. La conclusione del brano di Vangelo di oggi è quasi esagerata: «Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi ti prende le cose tue, non chiederle indietro».
«In quei giorni. Quando tutta la gente ebbe finito di attraversare il Giordano, il Signore disse a Giosuè: “Sceglietevi tra il popolo dodici uomini, un uomo per ciascuna tribù, e comandate loro di prendere dodici pietre da qui, in mezzo al Giordano, dal luogo dove stanno immobili i piedi dei sacerdoti, di trasportarle e di deporle dove questa notte pernotterete”. Giosuè convocò i dodici uomini che aveva designato tra gli Israeliti, un uomo per ciascuna tribù, e disse loro: “Passate davanti all’arca del Signore, vostro Dio, in mezzo al Giordano, e caricatevi sulle spalle ciascuno una pietra, secondo il numero delle tribù degli Israeliti, perché siano un segno in mezzo a voi. Quando un domani i vostri figli vi chiederanno che cosa significhino per voi queste pietre, risponderete loro: ‘Le acque del Giordano si divisero dinanzi all’arca dell’alleanza del Signore. Quando essa attraversò il Giordano, le acque del Giordano si divisero. Queste pietre dovranno essere un memoriale per gli Israeliti, per sempre’”. Gli Israeliti fecero quanto aveva comandato Giosuè, presero dodici pietre in mezzo al Giordano, come aveva detto il Signore a Giosuè, secondo il numero delle tribù degli Israeliti, le trasportarono verso il luogo di pernottamento e le deposero là. Giosuè poi eresse dodici pietre in mezzo al Giordano, nel luogo dove poggiavano i piedi dei sacerdoti che portavano l’arca dell’alleanza: esse si trovano là fino ad oggi».
VII DOPO –PENTECOSTEAnnoA–
Nel caso di Giosuè c’è qualcosa di più: le acque del Giordano che si aprono per lasciar passare gli Israeliti senza pericoli, non sono un fatto a sé, terminato il quale, tutto è finito; Dio vuole un
LETTURA (Gs 4, 1-9)
La lettura ci presenta Giosuè, il continuatore dell’opera di Mosè. Sarà colui che condurrà il popolo nella desiderata Terra promessa.
Anche per Giosuè si compie un fatto miracoloso: durante i giorni di Mosè Dio divise le acque del Mar Rosso per far passare senza pericolo (“a piedi asciutti”) le insidie delle acque (segno di difficoltà e di morte): «Le acque del Giordano si divisero dinanzi all’arca dell’alleanza del Signore. Quando essa attraversò il Giordano, le acque del Giordano si divisero».
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Vedo qui il valore della liturgia, che non è fatta solo di parole, ma richiede anche gesti comunitari. Anche da questo punto di vista dovremmo modificare non poco il modo di celebrare la liturgia: occorre renderla più partecipata, più comunitaria. Ricorda che la liturgia è azione.
Il teso sacro dà addirittura un valore sacro a questo gesto: lo vede come “memoriale” di quanto Dio ha compiuto per il popolo: «Queste pietre dovranno essere un memoriale per gli Israeliti, per sempre». Fa eco il salmo responsoriale (Salmo 77): «Ciò che abbiamo udito e conosciuto e i nostri padri ci hanno raccontato non lo terremo nascosto ai nostri figli, raccontando alla generazione futura le azioni gloriose e potenti del Signore e le meraviglie che egli ha compiuto… Essi poi si alzeranno a raccontarlo ai loro figli, perché ripongano in Dio la loro fiducia e non dimentichino le opere di Dio, ma custodiscano i suoi comandi».
S. Paolo conferma quanto ho detto sopra: l’alleanza con Dio da parte della Chiesa deve durare nel tempo, rimanere per sempre, e sarà un “memoriale”, e richiederà dei gesti comunitari.
EPISTOLA (Rm 3, 29-31)
26 segno stabile (le dodici pietre che rappresentano le dodici tribù del popolo); vuole un segno per i posteri, affinché tutti, anche in futuro e per sempre, sappiano che cosa Dio ha fatto a vantaggio del popolo. Dio spiega anche il perché di questo gesto: perché i sacerdoti hanno trasportato al di là del fiume l’arca dell’Alleanza. Questo fatto ci spiega ancora una volta l’importanza che Dio assegna all’alleanza con Israele.
Credo che già questo episodio ci invita ad approfondire il valore dell’alleanza tra Dio e il “nuovo” popolo santo, la Chiesa. Inoltre ci insegna che il rapporto con Dio non è principalmente un fatto individuale, solo interiore, ma esige atti concreti e soprattutto comunitari. Quanto dovremmo riflettere e verificarci su questa verità!
«Fratelli, forse Dio è Dio soltanto dei Giudei? Non lo è anche delle genti? Certo, anche delle genti! Poiché unico è il Dio che giustificherà i circoncisi in virtù della fede e gli incirconcisi per mezzo della fede. Togliamo dunque ogni valore alla Legge mediante la fede? Nient’affatto, anzi confermiamo la Legge».
«In quel tempo. Il Signore Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?”. Disse loro: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: ‘Signore, aprici!’. Ma egli vi risponderà: ‘Non so di dove siete’. Allora comincerete a dire: ‘Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze’. Ma egli vi dichiarerà: ‘Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!’. Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi”».
VANGELO (Lc 13, 22-30)
Per entrare nel Regno dei Cieli non è sufficiente dire di essere “dei Suoi”: bisogna vivere fattivamente l’alleanza con Dio nella vita di ogni giorno perché la porta per entrarvi è stretta: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”».
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L’epistola ci dona un aspetto fondamentale della vita di Paolo, anzi, la missione che Dio gli ha affidato.
DOPO PENTECOSTE
Ci sono chiamati speciali nel popolo di Dio. Sappiamo che Israele è il popolo che Dio si è scelto come Suo popolo. Sappiamo che Dio ha operato tanti miracoli (fatti strepitosi e umanamente impossibili) a vantaggio del suo popolo (vedi la prima lettura delle domeniche precedenti).
È Paolo stesso che fa conoscere il compito che il Cristo gli ha affidato.: «Fratelli, io, Paolo il prigioniero di Cristo per voi pagani… penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore. (…) A me, che sono l’ultimo fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia: annunciare alle genti le impenetrabili ricchezze di Cristo e illuminare tutti sulla attuazione del mistero nascosto da secoli in Dio, creatore dell’universo».
LETTURA (Sam 3, 1-20)
28
La prima lettura presenta l’episodio assai noto della vocazione di Samuele.Ilracconto termina così: «Samuele crebbe e il Signore fu con lui, né lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole. Perciò tutto Israele, da Dan fino a Bersabea, seppe che Samuele era stato costituito profeta del Signore».
EPISTOLA (Ef 3, 1-12)
VIII
Fra le righe pare che S. Paolo dica addirittura che Gesù Cristo lo ha trasformato, convertito per renderlo suo annunciatore a chi non lo conosceva ancora. Gli affida il compito di annunciatore, di predicatore. Un compito ben preciso e fondamentale per la crescita della prima comunità di seguaci del Cristo.
Oggi la prima lettura aggiunge che Dio, nel tempo, sceglie persone speciali per la vita e la crescita del suo popolo.
– Anno A –
È chiamata “impellente” È una chiamata chiara e forte, a cui si è “liberamente costretti” a dire di Sì.
Il brano di oggi ci dona la scena della chiamata dei primi quattro apostoli, le due coppie di fratelli: Andrea e Simone, Giovanni e Giacomo. Leggiamolo insieme: «In quel tempo. Mentre camminava lungo il mare di Galilea, il Signore Gesù vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: “Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini”. Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono».
Riassumo schematicamente alcune caratteristiche delle varie chiamate a seguire Gesù in modo personale e coinvolgente, sempre a vantaggio della Chiesa.
Ecco gli spunti per la riflessione personale:
L’iniziativa è sempre di Dio – Ce lo insegnano: Samuele (vedi la lettura della Messa); i primi Apostoli (vedi il Vangelo); S. Paolo (vedi l’epistola).
29
VANGELO (Mt 4, 18-22)
Esige una risposta libera! Una risposta che coinvolge tutta la vita.
Diventare “uno dei Suoi” – È la prima esigenza di ogni vera vocazione.
Sempre a servizio della Chiesa – Non esiste una vocazione speciale a proprio vantaggio.
“Subito” – Una tale chiamata non sopporta legami, incertezze, paure.
Si tratta di chiamate speciali, diverse nei compiti, ma tutte operate da Gesù stesso: ci insegnano che nel popolo di Dio, quello che dura nel tempo, cioè la Chiesa, ci sono diversi compiti, ma tutti importanti e necessari per la vita stessa della Chiesa. Ci dicono anche che Gesù non sceglie sempre gli uomini… migliori secondo i criteri umani; sceglie chi vuole Lui. Se gli invitati (i chiamati) rispondono di sì, pensa lo stesso Gesù a renderli come vuole Lui.
DOPO PENTECOSTE–AnnoA–
30
«In quei giorni. Il Signo re mandò il profeta Natan a Davide, e Natan andò da lui e gli disse: “Due uomini erano nella stessa città, uno ricco e l’altro povero. Il ricco aveva bestiame minuto e grosso in gran numero, mentre il povero non aveva nulla, se non una sola pecorella piccina, che egli aveva comprato. Essa era vissuta e cresciuta insieme con lui e con i figli, mangiando del suo pane, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno. Era per lui come una figlia. Un viandante arrivò dall’uomo ricco e questi, evitando di prendere dal suo bestiame minu to e grosso quanto era da servire al viaggiatore che era venuto da lui, prese la pecorella di quell’uomo povero e la servì all’uomo che era venuto da lui”. Davide si adirò contro quell’uomo e disse a Natan: “ Per la vi ta del Signore, chi ha fatto questo è degno di morte. Pagherà quattro volte il valore della pecora, per aver fatto una tal cosa e non averla evitata”. Allora Natan disse a Davide: “Tu sei quell’uomo! Così dice il Signore, Dio d’Israele: ‘Io ti ho unto re d’Israele e ti ho liberato dalle mani di Saul, ti ho dato la casa del tuo padrone e ho messo nelle tue braccia le donne del tuo padrone, ti ho dato la casa d’Israele e di Giuda e, se questo fosse troppo poco, io vi aggiungerei anche altro’. Perché dunque hai disprezzato la parola del Signore, facendo ciò che è male ai suoi occhi? Tu hai colpito di spada Uria l’Ittita, hai preso in moglie la moglie sua e lo hai ucciso con la spada degli Ammoniti. Ebbene, la spada non si allontanerà mai dalla tua casa, poiché tu mi hai disprezzato e hai preso in moglie la moglie di Uria l’Ittita. Così dice il Signore: ‘Ecco, io sto per suscitare contro di te il male dalla tua stessa casa; prenderò le tue mogli sotto i tuoi occhi per darle a un altro, che giacerà con loro alla luce di questo sole. Poiché tu l’hai fatto in segreto, ma io farò questo davanti a tutto Israele e alla luce del sole’”. Allora Davide disse a Natan: “Ho peccato contro il Signore!”. Natan rispose a Davide: “Il Signore ha rimosso il tuo peccato: tu non morirai”».
La prima lettura di oggi ci offre un insegnamento chiaro sui peccati di noi uomini e sulla misericordia di Dio. Noi uomini – dice il libro di Samuele – siamo tutti peccatori, ma Dio è ostinata-
IX
LETTURA (II Sam 12, 1-13)
Questa pagina ci suggerisce alcuni spunti per la nostra riflessione personale sul peccato.
– Il peccato è un atto reale, un atto esterno o interno a noi stessi; è un atto che ha la sua oggettività, anche se uno non lo riconosce come tale, o addirittura lo nega. Davide non riteneva un atto contro la legge di Mosè il suo comportamento nei confronti di Betsabea, perché lui, essendo Re, poteva disporre come voleva anche della donna altrui. Inoltre Betsabea si era appena purificata con un bel bagno, quindi tutto era secondo la Legge; l’uso della donna altrui era legale. Che differenza tra legalità e liceità.
31 mente misericordioso: Egli perdona sempre, anche i peccati più gravi; però vuole che noi riconosciamo i peccati commessi e che ne chiediamo perdono a Lui.
L’Autore sacro scrive che il profeta Natan è mandato da Dio al re Davide per risvegliargli la coscienza sul grave peccato narrato nel capitolo precedente: l’adulterio con Betsabea, moglie di Uria. Natan racconta al Re l’episodio (non reale) di due uomini , uno ricco, l’altro povero che vivevano nella stessa città: «Due uomini erano nella stessa città, uno ricco e l’altro povero. Il ricco aveva bestiame minuto e grosso in gran numero, mentre il povero non aveva nulla, se non una pecorella piccina, che egli aveva comprato. (…) Un viandante arrivò dall’uomo ricco e questi, evitando di prendere dal suo bestiame minuto e grosso quanto era da servire al viaggiatore che era venuto da lui, prese la pecorella di quell’uomo povero e la servì all’uomo che era venuto da lui». Immediata fu la reazione di Davide: «Davide si adirò contro quell’uomo e disse a Natan: “Per la vita del Signore, chi ha fatto questo è degno di morte. Pagherà quattro volte il valore della pecora, per aver fatto una tal cosa e non averla evitata”. Allora Natan disse a Davide: “Tu sei quell’uomo!”».
– È mentalità diffusa che il peccato commesso è un affare solo personale, che riguarda solo me: è una questione mia e basta, perché sono io che lo commetto: gli altri non c’entrano! E sono io che decido se ho peccato, o no. Questo modo di pensare è assai grave: pretendo di essere io il fondamento della mia moralità. Così viene escluso ogni riferimento a Dio per quanto riguarda la moralità.
Dio invece non approva l’atto… “legale” di Davide, e Natan gli risveglia la coscienza “religiosa”, che è questione di liceità. La morale non è “soggettiva” (non sono io a stabilire che cosa è lecito): è di per sé “oggettiva”: è Qualcuno fuori di me (Dio) che stabilisce ciò che è lecito e ciò che non lo è.
È inevitabile: noi siamo tutti peccatori. Eppure Dio è davvero ostinatamente misericordioso, e non può cambiare. Egli perdona sempre e tutto, purché noi ci riconosciamo peccatori. È il caso del re Davide, vero peccatore: «Allora Davide disse a Natan: “Ho peccato contro il Signore!” Natan rispose a Davide: “Il Signore ha rimosso il tuo peccato: tu non morirai”».
– Talvolta occorre un aiuto esterno (Natan, la Chiesa, un sacerdote…) che ci faccia conoscere il peccato commesso.
EPISTOLA (II Cor 4, 5b-14)
«Fratelli, quanto a noi, siamo i vostri servitori a causa di Gesù. E Dio, che disse: “Rifulga la luce dalle tenebre”, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo. Noi però abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi. In tutto, infatti, siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo consegnati alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale. Cosicché in noi agisce la morte, in voi la vita. Animati tuttavia da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: “Ho creduto, perciò ho parlato”, anche noi crediamo e perciò parliamo, convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi».
32
– Il peccato, che è un atto oggettivo, produce sempre delle conseguenze negative in chi lo compie, e spesso anche per gli altri. Il caso di Davide è eloquente: da un peccato, certamente personale, si sviluppa un crescendo negativo sempre più ampio, fino all’omicidio di Uria, il marito di Betsabea, e arriva fino alla strage: la morte di altri soldati che erano con Uria.
Il brano del Vangelo di Marco, che ci è stato proclamato oggi, “esagera” nell’azione misericordiosa di Gesù a proposito dei peccati. Calano dal tetto un paralitico davanti a Gesù perché lo guarisca; ma Gesù, prima gli perdona i peccati, poi, quasi come conseguenza inevitabile, lo guarisce: «Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: “Figlio, ti sono perdonati i peccati”. (…) Che cosa è più facile: dire al paralitico: “Ti sono perdonati i peccati”, oppure dire “Alzati, prendi la tua barella e cammina”? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te – disse al paralitico –: Alzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua”. Quello si alzò e subito, presa la sua barella, sotto gli occhi di tutti se ne andò, e tutti si meravigliavano e lodavano Dio dicendo: “Non abbiamo mai visto nulla di simile”».
«In quel tempo. Il Signore Gesù entrò di nuovo a Cafàrnao, dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone che non vi era più posto neanche davanti alla porta; ed egli annunciava loro la Parola. Si recarono da lui portando un paralitico, sorretto da quattro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono la barella su cui era adagiato il paralitico. Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: “Figlio, ti sono perdonati i peccati”. Erano seduti là alcuni scribi e pensavano in cuor loro: “Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?”. E subito Gesù, conoscendo nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: “Perché pensate queste cose nel vostro cuore? Che cosa è più facile: dire al paralitico ‘Ti sono perdonati i peccati’, oppure dire ‘Àlzati, prendi la tua barella e cammina’? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te – disse al paralitico –: àlzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua”. Quello si alzò e subito presa la sua barella, sotto gli occhi di tutti se ne andò, e tutti si meravigliarono e lodavano Dio, dicendo: “Non abbiamo mai visto nulla di simile!”».
Chiediamoci: Io che cosa penso dei miei peccati?
VANGELO (Mc 2, 1-12)
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Arrivati nella terra desiderata, il popolo vuole un tempio, in un luogo fisso, naturalmente a Gerusalemme; un tempio vero fatto di mattoni. Il re Davide aveva deciso di costruirne uno maestoso, stabile e fisso, non più itinerante come l’“arca”. Però Dio non volle che lo costruisse Davide: difatti fu suo figlio, il re Salomone, a costruire il tempio di Gerusalemme.
34 X DOPO PENTECOSTE–AnnoA–
LETTURA (I Re 8, 15-30)
La lunga prima lettura di oggi ci insegna l’importanza, o addirittura la necessità di un vero tempio per il popolo d’Israele come presenza “sensibile” di Dio nel popolo e come luogo di preghiera per la Fincomunità.dall’uscita dall’Egitto il popolo ha voluto un luogo che dimostrasse che Dio cammina con lui, anche nel deserto. All’inizio si trattava di una tenda che veniva spostata seguendo il cammino del popolo nel deserto verso la terra promessa. Poi la presenza di Jahvè venne indicata più precisamente nell’“arca” santa, particolarmente importante e trattata con particolare rispetto.
Questo tempio grandioso doveva essere la dimora di Jahvè, quindi il luogo della preghiera e del dialogo con Dio (è una necessità naturale di ogni popolo!). Ma ancora di più lo era per gli Israeliti. Il grande tempio di Gerusalemme era il segno che l’alleanza con Dio era reale e avrebbe sfidato i secoli. Per loro era fondamentale l’alleanza con Dio, quell’alleanza che Dio stesso, liberamente, aveva stabilito con Israele: «(…) e ho costruito la casa al nome del Signore, Dio d’Israele. Vi ho fissato un posto per l’arca, dove c’è l’alleanza che il Signore aveva concluso con i nostri padri quando li fece uscire dalla terra d’Egitto». Quindi il tempio era la prova della presenza visibile di Dio nel suo popolo; ed era la prova dell’incontro comunitario con Dio, per il colloquio vero con Dio. Era anche il luogo unico per la preghiera di tutto il popolo.
La seconda parte della lettura dalla bellissima, lunga e accorata preghiera del re Salomone a nome dell’intero popolo: «Volgiti alla
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«Fratelli, secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un saggio architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento a come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, l’opera di ciascuno sarà ben visibile: infatti quel giorno la farà conoscere, perché con il fuoco si manifesterà, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno. Se l’opera, che uno costruì sul fondamento, resisterà, costui ne riceverà una ricompensa. Ma se l’opera di qualcuno finirà bruciata, quello sarà punito; tuttavia egli si salverà, però quasi passando attraverso il fuoco. No n s apete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi».
Tutto quanto ho scritto è vero; però S. Paolo ci invita a fare un salto di qualità: il vero tempio di Dio siamo noi, uomini vivi, bat-
preghiera del tuo servo e alla sua supplica, Signore, mio Dio, per ascoltare il grido e la preghiera che il tuo servo oggi innalza davanti a te! Siano aperti i tuoi occhi giorno e notte verso questa casa, verso il luogo di cui hai detto: “Lì porrò il mio nome”. Ascolta la preghiera che il tuo servo innalza in questo luogo. Ascolta la supplica del tuo servo e del tuo popolo Israele, quando pregheranno in questo luogo. Ascoltali nel luogo della tua dimora, in cielo; ascolta e perdona!».
Oggi, partecipando alla Messa, anche noi preghiamo con il salmo 47: «Adoriamo Dio nella sua santa dimora». A differenza del popolo di Israele, questa nostra preghiera esprime una realtà vera, oggettiva, sperimentabile, perché nelle nostre chiese Dio è proprio presente, vivo e reale: è veramente Lui in ogni tabernacolo, è Gesù Cristo! Quanto mi coinvolge questo fatto? Quanto sono sicuro che nel tabernacolo c’è realmente Dio? Lì, in chiesa (nel tempio) la mia preghiera è rivolta a una Persona vera, reale, il Cristo, oppure è rivolta… “in alto”? La presenza di Dio nel tabernacolo è fondata solo sul mio sentimento? La preghiera personale ha valore ovunque; però quella fatta in chiesa, direi, è più efficace, perché lì c’è proprio Lui, Dio, Gesù!
EPISTOLA (I Cor 3, 10-17)
VANGELO (Mc 12, 41-44)
«In quel tempo. Seduto di fronte al tesoro, il Signore Gesù osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: “In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”».
36 tezzati, che formano il corpo mistico di Cristo, cioè la Chiesa. Il fondamento di questo tempio è Cristo. Noi, con la nostra libera adesione a Cristo, siamo, tutti insieme, la lode, la gloria di Dio: «Non sapete – dichiara Paolo – che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio che siete voi». Come un tempio materiale è formato di tanti mattoni cementati insieme, così ognuno di noi battezzati è un mattone diverso dagli altri, ma tutti, cementati in Cristo, formiamo il tempio vivo di Dio.
Il brano di oggi aggiunge che, per essere pietre vive, occorre non risparmiarci; occorre spendersi totalmente per la gloria di Dio. Ce lo dice l’evangelista Marco con l’esempio della donna povera e vedova, che, entrata nel tempio per fare la sua offerta, a differenza di tanti ricchi, può dare solo due monetine, che sono tutta la sua ricchezza, aggiunge il vangelo. Gesù dice che non conta quanto la vedova dona al tempio, conta solo la sua generosità! «Tutti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».
Di fronte a un tale esempio anch’io mi chiedo: Mi dono totalmente a Cristo, con la certezza che solo così realizzo me stesso?
DOPO PENTECOSTE–AnnoA–
Povero ELIA! È costretto a fuggire lontano dal suo popolo per salvare la vita, perché il popolo tutto ha rotto ancora una volta l’alleanza con Dio; questo era il peccato più grave che gli Israeliti potevano commettere contro Javhè. Elia camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb. Per loro il numero 40 significava attesa di un avvenimento importante: qui indicava l’incontro personale con Dio, perché voleva che Elia ritornasse tra i suoi per essere il vero profeta di Dio: «Sono pieno di
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XI
LETTURA (I Re 19, 8b-16. 18a-b)
«In quei giorni. Elia camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb. Là entrò in una caverna per passarvi la notte, quand’ecco gli fu rivolta la parola del Signore in questi termini: “Che cosa fai qui, Elia?”. Egli rispose: “Sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi cercano di togliermi la vita”. Gli disse: “Esci e férmati sul monte alla presenza del Signore”. Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto, un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna. Ed ecco, venne a lui una voce che gli diceva: “Che cosa fai qui, Elia?”. Egli rispose: “Sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi cercano di togliermi la vita”. Il Signore gli disse: “Su, ritorna sui tuoi passi verso il deserto di Damasco; giunto là, ungerai Cazaèl come re su Aram. Poi ungerai Ieu, figlio di Nimsì, come re su Israele e ungerai Eliseo, figlio di Safat, di Abel-Mecolà, come profeta al tuo posto. Io, poi, riserverò per me in Israele settemila persone, tutti i ginocchi che non si sono piegati a Baal”».
«Fratelli, so che un uomo, in Cristo, quattordici anni fa – se con il corpo o fuori del corpo non lo so, lo sa Dio – fu rapito fino al terzo cielo. E so che quest’uomo – se con il corpo o senza corpo non lo so, lo sa Dio – fu rapito in paradiso e udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunciare. Di lui io mi vanterò! Di me stesso invece non mi vanterò, fuorch é delle mie debolezze. Certo, se volessi vantarmi, non sarei insensato: direi solo la verità. Ma evito di farlo, perché nessuno mi giudichi più di quello che vede o sente da me e per la straordinaria grandezza delle rivelazioni. Per questo, affinché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una spina, un invi ato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia. A causa di questo per tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: “Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”. Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo».
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L’esperienza di Elia è valida in ogni tempo: la Chiesa, la Parola di Dio, i veri “uomini di Dio” danno fastidio e il mondo cerca di “scartarli” in ogni modo e di farli tacere il più possibile.
Dio si rivela personalmente ad Elia e lo invita a ritornare sui suoi passi e a fare ancora il vero profeta, anche a costo di perdere la vita. Dio parla ad Elia, ma è significativo il fatto che Dio – dice l’autore sacro – non grida, non parla nel baccano (come fa normalmente il mondo). Dio parla… “silenziosamente”, nel cuore (Il testo parla di brezza leggera), ma si fa capire molto chiaramente.
È un insegnamento utile anche per noi: è necessario esercitarci nel “silenzio orante”; che significa meditazione, ascolto attento e personale della Parola di Dio. Le grandi risposte agli inviti di Dio nascono normalmente in queste situazioni.
EPISTOLA (II Cor 12, 2-10b)
zelo per il Signore, Dio degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi cercano di togliermi la vita». Essere profeta secondo il volere di Dio è sempre difficile e pericoloso, perché l’uomo, che è continuamente peccatore, tende a rifiutare Dio.
Dio si comporta così: o accettiamo la sua volontà, o siamo fuori strada.
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Il brano di Paolo che stiamo leggendo ci offre materia abbondante per esaminarci sul come affrontiamo le difficoltà della vita, viste alla luce della divina volontà.
VANGELO (Mt 10, 16.20)
«In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: “Ecco: io vi mando come pecore in mezzo a lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe. Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a l oro e ai pagani. Ma, quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi”».
S. Paolo si fa quasi portavoce di quanto si dice nella lettura a proposito del profeta Elia: il compito dell’annunciatore della Parola va esercitato sempre tra mille difficoltà. Paolo ha più di un motivo per vantarsi dei doni che gli ha fatto il Signore, ma non lo fa per non cadere nella superbia; ricorda invece le difficoltà derivanti dal ministero, e ancor più parla di una “spina” che Satana gli ha inflitto nella carne: «(…) affinché io non monti in superbia. A causa di questo per tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: “Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”. Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo».
Se quanto è detto da Paolo non bastasse, il vangelo parla ancor più chiaramente: «Io vi mando come pecore in mezzo a lupi: siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe. Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani».
Ma c’è un grande “però…”: anche nelle difficoltà non saremo soli: lo Spirito sarà sempre con noi, anzi “in noi!”: «Quando vi con-
Non va dimenticato che tutto il brano evangelico ruota sulla espressione: “per causa mia”! È questo il motivo che dà valore cristiano a ogni sofferenza umana. Altrimenti, perfino la morte sarebbe completamente fuori dal modo di pensare e di volere di Dio.
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segneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi».
LETTURA (I Mac 1, 10. 41-42; 2, 29-38)
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Il testimoniarla nella vita può, talvolta, richiedere perfino il martirio: è l’episodio di oggi del MARTIRIO DEI MACCABEI.
Vale la pena di leggere tutto il capitolo 1. Io mi limito a qualche spunto per la nostra personale riflessione.
DOMENICA
PRIMA DEL MARTIRIO DI GIOVANNI
– Anno A –
Che fedeltà e che coraggio!
Antioco Epifane, di origine greca, divenne re del suo paese. Si mostrò un uomo scellerato, orgogliosissimo e prepotente. Si attorniò di alcuni uomini scellerati come lui.
Antioco aveva la pretesa di sottomettere tutti i popoli e di regnare con la prepotenza e la violenza. Dopo aver vinto anche il re dell’Egitto, Telemaco, volle conquistare e sottomettere anche gli ebrei: entrò nel tempio di Gerusalemme e spogliò il tempio, luogo assolutamente sacro per il popolo, prese tutti i vasi d’oro e d’argento e ne fece uno scempio. Poi pretese che tutti si unissero in un solo popolo e accettassero i suoi ordini.
Tanti gruppi si piegarono ai suoi comandi, ma un buon numero di Israeliti fuggirono nel deserto per non cedere alla malvagità di Antioco. Alcuni suoi soldati raggiunsero i fuggitivi nel deserto e decisero di piegarli con la violenza alla volontà di Antioco. Con vera cattiveria, stabilirono di attaccarli di sabato perché sapevano che gli Israeliti, fedeli al riposo del sabato, non avrebbero reagito. Così avvenne: piuttosto che rompere l’alleanza con Javhé violando il sabato, si lasciarono uccidere. Erano – dice il libro sacro – circa un migliaio.
È difficile vivere secondo la Parola di Dio: ce lo ha insegnato domenica scorsa l’esempio del profeta Elia.
L’osservanza della legge di Dio può portare fino al martirio. Lo insegnano i moltissimi martiri di tutti i tempi. È una testimonianza che fa mancare il respiro. A me fanno perfino paura questi testimoni! E a voi…?
«Fratelli, rafforzatevi nel Signore e nel vigore della sua potenza. Indossate l’armatura di Dio per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti. Prendete dunque l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno cattivo e restare saldi dopo aver superato tutte le prove. State saldi, dunque: attorno ai fianchi, la verità; indosso, la corazza della giustizia; i piedi, calzati e pronti a propagare il vangelo della pace. Afferrate sempre lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutte le frecce infuocate del Maligno; prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio. In ogni occasione, pregate con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, e a questo scopo veglia te con ogni perseveranza e supplica per tutti i santi».
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EPISTOLA (Ef 6, 10-18)
La testimonianza della Verità, anche se faticosa e pericolosa, vale per tutti; è addirittura una necessità. S. Paolo lo afferma con chiarezza e indica anche i mezzi per affrontare la battaglia contro il male, contro l’azione di Satana che agisce ininterrottamente nel mondo. «Fratelli, rafforzatevi nel Signore e nel vigore della sua potenza. Indossate l’armatura di Dio per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia, infatti, non è contro la carne e il sangue, ma contro Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti».
Occorre – dice l’Apostolo – la verità e la giustizia; ci vuole il vangelo della pace. Io aggiungo: non si può prescindere dalla fede e dallo Spirito Santo, che è la Parola di Dio. Non tralasciare mai –conclude – la preghiera. Mi pare un completo cammino di vita cristiana. Ascoltiamo ancora S. Paolo: «Prendete dunque l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno cattivo e restare saldi dopo aver superato tutte le prove».
Le raccomandazioni di Paolo mi fanno pensare all’insegnamento delle beatitudini: quando è necessario, è doveroso andare contro la mentalità del mondo; però, dice il Vangelo, “per causa mia”; ossia, per attuare la Parola di Dio, sempre, anche nelle difficoltà.
S. Paolo dice addirittura che dobbiamo rivestire l’armatura necessaria per combattere le forze del male.
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«In quel tempo. I sommi sacerdoti, gli scribi e gli anziani mandarono dal Signore Gesù alcuni farisei ed erodiani, per coglierlo in fallo nel discorso. Vennero e gli dissero: “Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità. È lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare, o no?”. Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse loro: “Perché volete mettermi alla prova? Portatemi un denaro: voglio vederlo”. Ed essi glielo portarono. Allora disse loro: “Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?”. Gli risposero: “Di Cesare”. Gesù disse loro: “Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio”. E rimasero ammirati di lui».
VANGELO (Mc 12, 13-17)
Bisogna imparare a leggere la realtà. Quello che è bene, cioè quello che riguarda Dio, da quello che è solo mondano: «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio».
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