Natale - Memoriale dell'Incarnazione

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Luigi Schiatti

NATALE Memoriale dell’Incarnazione L’uomo nella Bibbia


INDICE

Che coraggio! ........................................................................... pag.

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MEMORIALE DELL’INCARNAZIONE .......................... pag. 5 L’INCARNAZIONE… IN SÉ .................................................. pag. 6 INCARNAZIONE E NATALE .................................................. pag. 10 AVVENTO ................................................................................ pag. TEMPO NATALIZIO ............................................................... pag. AVVENTO È ATTESA ............................................................. pag. INCARNAZIONE E MATERNITÀ DI MARIA .......................... pag.

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NATALE .................................................................................... pag. ALLEANZA…......................................................................... pag. IL NATALE È PER LA PASQUA.............................................. pag. GESÙ È LA LUCE .................................................................... pag.

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DOPO NATALE ...................................................................... pag. 35 LA MESSA DI CAPODANNO .................................................. pag. 38 DOMENICA DOPO L’OTTAVA .............................................. pag. 39 EPIFANIA ................................................................................. pag. 41 I PERSONAGGI DELL’EPIFANIA........................................... pag. 42 LE LETTURE ........................................................................... pag. 45 IL BATTESIMO DI GESÙ .................................................... pag. 48 LE LETTURE ........................................................................... pag. 48

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Che coraggio! Che cosa mi ha spinto a scrivere alcune riflessioni sul Natale, che è un mistero ineffabile? Con quale competenza oso cimentarmi in un tal lavoro? Qualcuno dirà che occorre essere esperti in teologia o in qualche altro campo specifico del sapere ecclesiastico. È certamente augurabile, ma non è il mio caso. Sono un semplice sacerdote, anziano e senza specifiche competenze teologiche. Però ho vissuto i miei tanti, tanti anni di ministero sacerdotale con l’impegno di essere… “sacerdote”, cioè con il desiderio vivo di essere a servizio del popolo di Dio per quanto riguarda i rapporti con Dio. Così presenta il sacerdote la lettera agli ebrei: «Ex hominibus assumptus, pro hominibus costituitur in iis quae sunt ad Deum…». È un latino facile: il sacerdote è scelto tra gli uomini (quindi è anche lui un uomo come gli altri) e ha il compito di curare i rapporti del popolo di Dio per quanto riguarda i rapporti con Dio stesso. Nella mia lunga esperienza sacerdotale ho costatato tante volte che uno dei compiti fondamentali del sacerdote è quello di aiutare i fratelli a conoscere la Parola di Dio e aiutarli a viverla con discreto impegno. E ad amare la Chiesa vivendo la vita stessa della Chiesa, che è prima di tutto la liturgia. Così è nato l’impegno a cui mi accingo. Qui raccolgo alcune mie riflessioni a carattere educativo, per non dire di tipo didattico. Lo farò con semplicità e spero con chiarezza, col desiderio di aiutare qualche fratello o sorella a conoscere lo splendore della liturgia del Natale, insistendo sul mistero dell’Incarnazione, che è l’oggetto vero e fondamentale del Natale. Se qualcuno vorrà leggere con frutto queste pagine, ritengo opportuno che le legga con animo aperto, con semplicità, senza la pretesa di trovarvi una profonda teologia del mistero dell’Incarnazione. Sarà però necessario invocare lo Spirito Santo, che abbiamo tutti dentro di noi grazie al Battesimo e che chiede di poter agire nella nostra vita. Quale sarà il contenuto? 3


All’inizio ho messo una riflessione non direttamente sulla festa del Natale: mi sono soffermato a riflettere sul mistero della Incarnazione del Figlio di Dio, che è il vero oggetto di tutto il Tempo natalizio. Seguirà la presentazione dei tre momenti che costituiscono l’intero Tempo natalizio. L’ultimo sarà il commento alla solennità dell’Epifania e del Battesimo di Gesù con cui termina la celebrazione del Natale. Sarà mio impegno soffermarmi sul commento alle letture, che costituiscono l’ossatura della liturgia. Buona lettura, soprattutto: fruttuose meditazioni!

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MEMORIALE DELL’INCARNAZIONE Chiedi a un bambino che frequenta il catechismo: Che cosa è il Natale? Senza dubbio ti risponde: È la festa di Gesù Bambino, è Gesù che nasce ancora tra noi (Gli perdoniamo il grave errore teologico: “ancora”). Un bambino non può andare più in profondità. Invece non è proprio accettabile una tale risposta da parte di un adulto praticante. La Chiesa ci insegna che il Natale di ogni anno è il “memoriale” del mistero dell’Incarnazione. Celebrare il Natale significa non limitarsi a godere per la nascita di un bambino, sia pure di Dio fatto… bambino. Non possiamo limitarci a quel momento così splendido e unico. In fondo, ogni famiglia gioisce, esulta quando in casa nasce un bambino. E l’esperienza ci dice che ogni bambino che nasce è bello, è il più bello possibile, almeno per i genitori. Un tale modo di vedere e vivere il Natale sarebbe una forte riduzione di un avvenimento così grande e unico che sta al centro della storia, che è addirittura lo spartiacque del tempo e della storia. Infatti, per precisare il tempo che passa, si usa dire: “Prima di Cristo”, oppure: “Dopo Cristo”. Ancora una volta disturbiamo una parola ormai desueta, che si usa solo nel campo liturgico: la parola “memoriale”. Non ha nulla di magico; è una parola ricchissima e comprende, attuandoli, tre elementi. Ricordo – Rinnovazione – Preparazione. Richiamo ancora l’importanza della parola “memoriale”, che ritengo proprio necessaria per non limitarci a una celebrazione di un solo giorno e forse un po’ superficiale e, forse, troppo sentimentale delle solennità che riguardano Gesù. Un memoriale ha sempre come oggetto un evento, che è anche mistero, della vita di Gesù, uomo-Dio e Salvatore unico. Il RICORDO ci invita a ripensare, a richiamare alla memoria e quasi a rivedere almeno con la fantasia un determinato evento del5


la vita di Gesù. Questo primo aspetto dà concretezza alla liturgia, che in tal modo non si riduce a una pura lettura di testi sacri, o a una semplice riflessione spirituale. La RINNOVAZIONE non è la ripetizione dell’evento ricordato. Ma, mediante la celebrazione liturgica si rinnova l’efficacia misterica e salvifica di quella azione di Gesù. In altre parole, si rende attuale, presente “qui e ora” ed efficace il valore salvifico di quanto Gesù ha compiuto durante la sua vita mediante quell’evento. La PREPARAZIONE ci rimanda addirittura all’incontro finale con Gesù glorioso che avverrà al termine di tutta la storia. Ciò significa che ogni volta che noi celebriamo mediante la liturgia un “memoriale” della vita di Gesù, ci rendiamo più pronti all’incontro finale con Gesù a cui tendono inevitabilmente i nostri giorni con le nostre decisioni e con tutte le azioni personali. I Cànoni V e VI (tipici del rito ambrosiano) concludono le parole della consacrazione così: «…attenderete con fiducia il mio ritorno finché di nuovo verrò a voi dal cielo». L’INCARNAZIONE… IN SÉ La Chiesa insegna che l’Incarnazione del Verbo di Dio è in funzione della Redenzione degli uomini: il Verbo si è fatto uomo per vivere la sua passione e morte per redimere noi uomini peccatori. E lo ha fatto per solo amore. Però in questa mia riflessione voglio fermarmi, per ora, al fatto dell’Incarnazione in se stessa, alla grandezza di questo mistero senza considerarla in funzione della Pasqua. Già in sé il mistero del Verbo-uomo è una verità, un fatto splendido, che opera frutti molto importanti per la vita spirituale in ognuno di noi, e ancor più nella storia dell’umanità, che si sviluppa lentamente nel tempo. VERBUM – CARO Mi pongo qualche domanda: Perché Dio, il Figlio di Dio, si è incarnato? Se non ci fosse stato il peccato (Che assurdità!), non si sarebbe incarnato? Ci sono e ci sono stati dei teologi che afferma6


no che si sarebbe incarnato ugualmente, perché è troppo grande in se stessa l’Incarnazione di Dio. Il motivo di una tale convinzione è che il Verbo è Dio, e poiché Dio è Amore, addirittura è L’AMORE, totalmente e solo Amore, non poteva rimanere “chiuso in Sé”: doveva, in forza del Suo essere l’Amore, comunicarsi. Quindi l’Incarnazione è “fontalmente” frutto dell’Amore, anzi è conseguenza inevitabile, necessaria dell’Amore, che è Dio. Questa intuizione mi pare davvero ineffabile. Il Figlio, il Verbo, non può essere staccato dal Padre perché sono un Dio solo: «Chi vede me – ha detto Gesù – vede il Padre mio, perché io sono nel Padre e il Padre è in me». Scrive A. Ballestrero: «Gesù è venuto sulla terra soprattutto per rivelarci il Volto del Padre celeste: l’Amore infinito che ci ha creati (già questo ci dice la grandezza in sé dell’Incarnazione) e la Misericordia senza limiti che ci ha redenti. Tutte le sue parole, i suoi gesti, la sua stessa persona tendevano a questo: dal suo modo di essere Figlio – totalmente Figlio – noi dovevamo imparare a conoscere il Padre celeste e ad affidarci a Lui» (A. Ballestrero, Teresa di Lisieux e i suoi genitori, Jaca Book, p. 38 s). DIO – UOMO! Gesù è veramente “UOMO”. Certo, lo sappiamo tutti. Però mi pare che tanti di noi (forse tutti) siamo così sicuri di una tale verità, che corriamo il rischio di darlo per scontato. Si sa che Gesù è uomo, ma siamo così sicuri che non ci prende più il cuore; quasi, quasi siamo diventati indifferenti a una tale verità, fino al punto di non impegnarci ad approfondire questa verità e di non riuscire a vedere Gesù uomo con le nostre stesse caratteristiche e problematiche, vestito come noi; un Gesù che da bambino cresce come noi con le nostre stesse difficoltà; un Gesù che deve compiere le azioni, anche le più umili, alla nostra stessa stregua. Pensa: riesci a vedere Gesù che va a scuola per imparare a leggere e a scrivere come tutti i bambini del mondo; ti pare serio pensare a Gesù che gioca con gli altri ragazzi, ecc.?! Sarebbe utile elencare tanti nostri modi di comportarci, tanti nostri sentimenti umanissimi, emozioni, reazioni, difficoltà, desideri… E cercare di vedere anche in Gesù questi nostri aspetti di vita, che ci fanno sperimentare i nostri limiti, la nostra concretezza umana, la nostra “carnalità”. Sì, anche Gesù, come uomo, aveva i suoi limiti e una sua concretezza. Se 7


non fosse stato così, proprio come noi, come avremmo potuto ascoltarlo, vederlo, toccarlo…? I nostri fratelli maggiori, gli ebrei, lo hanno visto, ascoltato e toccato davvero, proprio e solo perché era un uomo vero, di carne! Vale la pena qualche volta di fermarci e riflettere su questa verità sconvolgente, fuori dalla umana capacità di capire e molto difficile da accettare. S. Paolo la esprime con chiarezza: «Egli (Gesù), pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma vuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce» (Fil 2, 6-8). Un uomo veramente spirituale del nostro tempo commenta: «La umanità di Cristo Figlio di Dio è un mistero, tutto un mistero. Solo la fede ce lo documenta, ce lo rivela. Un Dio, che è personalmente un uomo, non solo sovrasta la nostra logica, ma sconvolge il nostro modo di pensare l’uomo stesso. Gesù è vero uomo, vero dal principio alla fine, vero fino in fondo, vero nella materialità della sua carne, nella creazione della sua anima dal niente, vero nella completezza di tutti i valori umani: ha una intelligenza d’uomo, una volontà d’uomo, una libertà d’uomo, ha un cuore d’uomo, una sensibilità d’uomo, ha passioni d’uomo, è capace di patire, di morire. (…) In questo uomo, confrontato con gli altri, manca una cosa sola: il peccato. Gesù non conosce il peccato perché il peccato è la negazione dell’uomo; è più uomo di tutti noi, perché in noi c’è la negazione dell’uomo, che è il peccato; in Lui no» (A. Ballestrero, A immagine di Dio, p. 66 s). L’EMMANUELE! Afferma il cànone VI della Messa: «Egli, che è Dio infinito ed eterno, discese dal cielo, si umiliò fino alla condizione di servo e venne a condividere la sorte di chi si era perduto…». E l’evangelista Giovanni, nel prologo al suo Vangelo, dice: «Venne ad abitare in mezzo a noi, e noi abbiamo contemplato la sua gloria». Non è sufficiente dire che Gesù è vero uomo. Potrebbe essere un fatto Suo, personale, che riguarda solo Lui. Invece noi sappiamo che è l’Emmanuele, il Dio che si è fatto uomo PER NOI! e ha camminato lungo le nostre strade, ha incontrato tanta gente ed è vissuto ogni giorno CON noi. “CON noi” indica compagnia, condivisione, rapporto, anche comunione. “TRA” noi invece non comprende tutti questi valori profondamente umani. È la verità del “PER” noi che ci indica il fine dell’Incarnazione e che chiama 8


in causa direttamente noi uomini, che ci interpella e che ci … costringe liberamente (!) a prendere posizione, personalmente, nei Suoi confronti. Quindi Gesù, il Dio incarnato, è l’Emmanuele, il Dio-CON-noi, proprio per noi, affinché possiamo ridiventare veri uomini “a immagine e somiglianza” di Dio, ricordando che in questo sta la felicità, la realizzazione nostra, ogni giorno, nella vita concreta, nella vita “feriale”. Proprio perché è l’Emmanuele, noi lo festeggiamo solennemente nel Natale. Se dovessimo considerarlo solo in se stesso come uomo, non ci coinvolgerebbe troppo. Tutto questo mi invita a considerare Gesù, uomo vivo, come una persona che vive al mio fianco, che è in relazione con me e che condivide le mie stesse fatiche e anche le gioie. Gesù lo vedo proprio così? Riesco a “percepire” Gesù come un vero amico, … visibile, sì, visibile, oserei dire “in carne ed ossa”, che mi accompagna ogni giorno, a cui posso veramente aprire il mio cuore come si fa con un amico affidabile? Se non arriviamo fino a questo punto, la nostra conoscenza di Gesù uomo è solo intellettuale, direi astratta. Non ci sembrino esagerate tali domande. Papa Francesco, a proposito di questo argomento, afferma che Gesù, che è sempre Dio anche se si è fatto uomo, è un “amico che ogni giorno si fa compagno di strada”. Se non riesco a “sentirlo” così, direi… “con la pelle”, significa che Gesù per me è “Altro”! È Lui che si fa carico del peso della mia vita, e che la rende “umana” e desiderabile. A questo proposito è proprio significativo il famoso Messaggio di tenerezza di un Anonimo brasiliano, che riporto con piacere: «Ho sognato che camminavo in riva al mare con il Signore e rivedevo sullo schermo del cielo tutti i giorni della vita passata. E per ogni giorno trascorso apparivano sulla sabbia due orme: le mie e quelle del Signore. Ma in alcuni tratti ho visto una sola orma, proprio nei giorni più difficili della mia vita. Allora ho detto: “Signore, io ho scelto di vivere con te e tu mi avevi promesso che saresti stato sempre con me. Perché mi hai lasciato solo proprio nei momenti più difficili?” E Lui mi ha risposto: “Figlio, tu lo sai che io ti amo e non ti ho abbandonato mai: i giorni nei quali c’è soltanto un’orma sulla sabbia sono proprio quelli in cui ti ho portato in braccio”». A questo punto prova ad approfondire il significato dell’affermazione paolina: «Per me vivere è Cristo!». E puoi arrivare fino alla grandezza divina dell’Eucaristia: è la continua realizzazione dell’Emmanuele nella storia umana. 9


INCARNAZIONE E NATALE Un’esigenza si impone: in tutto il Tempo natalizio, dall’Avvento al Battesimo di Gesù, devo sempre tener presente e celebrare innanzitutto il mistero dell’Incarnazione. Perfino la solennità del Natale è la manifestazione gioiosa e solenne della realizzazione della Incarnazione nella e mediante la nascita di Gesù Bambino. Allora oserei dire che a ben riflettere il momento centrale e il motivo vero della gioia del Natale, la liturgia ambrosiana (che ha ben sei domeniche di Avvento) la celebra nella sesta domenica di Avvento. Infatti qui celebriamo la festa dell’Incarnazione e, quindi, della Divina Maternità di Maria. E si usa il colore bianco, segno della solennità. A me pare che tutto questo sia perfettamente logico. Il Natale è in sé la manifestazione visibile, è la esplosione della gioia perché in Gesù Bambino si realizza davvero, concretamente e in modo sperimentabile l’Incarnazione del Verbo, del Figlio di Dio. Nel Tempo natalizio tutte le volte che festeggiamo Gesù Bambino dobbiamo vedere in filigrana il realizzarsi dell’Incarnazione. È questo il vero motivo della gioia della Chiesa: adesso Dio è davvero con noi, per noi! Altrimenti il Natale resterebbe una festa puramente umana, e spesso condizionata dal nostro sentimento. Riprendo il discorso del “memoriale”. Per celebrare in modo degno la solennità gioiosa del Natale, quindi dell’Incarnazione del Figlio di Dio, la liturgia ci chiede di rivivere il “memoriale” dell’Incarnazione in tutti e tre gli elementi di un memoriale, che è, ripeto, una parola tipicamente liturgica. Ricordo che ogni “memoriale” comprende sempre questi elementi: Ricordo – Rinnovazione – Preparazione. RICORDO Il primo aspetto di un “memoriale” è il ricordo di un evento della vita di Gesù. Si tratta di richiamare alla mente quello che è avvenuto in un determinato e preciso momento della vita di Gesù. Però non è solo un richiamare alla mente: occorre rimettersi in quella situazione, in quel preciso momento e luogo. Se è possibile, siamo invitati a guardare Gesù e cercare di indovinare i suoi sentimenti, le circostanze e il fine di quanto ha vissuto in quella situazione. 10


Questo aspetto del “memoriale” lo viviamo ascoltando e rivivendo le letture al riguardo. Pertanto le letture hanno una grande importanza e acquistano un valore… sacramentale, perché fanno parte necessaria dell’azione liturgica. È molto facile e piacevole fermarci a questo primo aspetto. Anzi, mi pare che normalmente ci fermiamo solo a questo elemento, quello del ricordo, come se tutto finisse lì. Gli altri due aspetti li percepiamo meno, quasi li trascuriamo perché non c’è nulla da ascoltare o vedere. Un’ultima osservazione: il verbo “ricordare” contiene la parola “cor”, il cuore. Questa nota ci dice che, per rivivere un memoriale, non possiamo fermarci alla memoria di quel fatto della vita di Gesù, ma chiama in causa il cuore: si ricorda con il cuore e anche, in parte, con i sentimenti, altrimenti sarebbe solo un fatto esterno a me. Forse è questo il motivo della gioia, molto sensibile, quando “ricordiamo” il Natale di Gesù. Dunque, non limitiamoci a “sentire” le letture che la liturgia ci propone: bisogna ogni volta rimetterci in gioco con tutta la persona. RINNOVAZIONE Quello del “memoriale” come “rinnovazione” è l’aspetto che a noi interessa di più, che ci interpella ogni anno e che ci coinvolge sempre. L’Incarnazione annuale celebra il Dio-con-noi, l’Emmanuele. Certo, ricorda un fatto storico, la nascita di Gesù, dell’Uomo-Dio. Sappiamo che la celebrazione del Natale di Gesù non è solo un “ricordo”: è addirittura la nascita di Gesù che si attualizza nel tempo; proprio quella nascita che è avvenuta più di 2000 anni fa in un preciso luogo, a Betlemme. Questo fatto non si ripeterà mai più nella storia. Però ogni anno, a Natale, si rinnovano gli effetti di quel prodigio, come se si verificasse oggi. Quindi, l’Incarnazione del Figlio di Dio è un continuo divenire, è sempre “attuale”, è legata alla storia che si realizza nel tempo. Insomma, l’Incarnazione non è solo un fatto del passato: è un fatto “dinamico”, che trascende lo scorrere del tempo. In altre parole: il Verbo si rende efficacemente presente nei vari momenti della storia, nei vari e diversi problemi storici, per dire agli uomini di quel tempo, di ogni tempo: «Sono con te, ti sono vicino, conosco le tue difficoltà e ti aiuto sempre, perché non posso e non voglio abbandonarti». 11


Allora, tutto quello che ho detto nel primo momento di questo memoriale si attualizza ancora, diventa attuale, di adesso, proprio come se il Natale di Gesù (ossia l’attuazione storica della Incarnazione) si realizzasse proprio adesso, per noi uomini che viviamo adesso, con le nostre difficoltà e i nostri problemi di oggi, diversi da quelli degli altri tempi. Adesso, proprio oggi, Gesù, il DioUomo, è al nostro fianco, come allora, anche se ora lo è in modo non tangibile, non visibile. Lo stesso Gesù di allora è qui per noi, per liberarci dai peccati … nostri, ma anche per aiutarci nelle difficoltà di oggi, compresi i bisogni materiali e fisici. Ecco il perché dei miracoli compiuti da Gesù; miracoli soprattutto di guarigioni fisiche: Gesù si interessa di tutta la persona. Dio è con noi, anche se non lo vediamo con gli occhi del corpo. Dio è con me! Realmente, anche se non lo posso toccare con le mani! Ci credo davvero, oppure affronto la mia vita senza ricorrere mai a Lui, senza “disturbare” Gesù? Dunque: in forza della celebrazione liturgica (ossia: ecclesiale) il Dio-uomo, il Figlio incarnato, è operante nella Chiesa di oggi e nella mia vita di ogni giorno. Ci penso qualche volta? Lo interpello? Mi sento al sicuro con Lui? Oppure mi “arrabatto” da solo, pensando di essere capace di risolvere tutti i miei problemi con le mie capacità? Quindi, sono fiducioso, “speranzoso” nelle mie fatiche? Dialogo qualche volta con Lui? Se rispondo di sì a queste domande, vuol dire che vivo davvero… da cristiano. L’Incarnazione è frutto di amore. Il Figlio di Dio si è fatto uomo proprio perché Dio è amore e l’amore non può per natura sua rimanere chiuso in se stesso, ripiegato su se stesso (non sarebbe più amore, ma egoismo!). Come è bello pensare che Dio mi ama, mi pensa, mi cerca fino al punto di voler condividere la mia vita, felice e difficile nello stesso tempo. Dicevano gli antichi romani: «Amicitia aut pares invenit, aut pares facit». È vero: l’amicizia, e a maggior ragione l’amore, o si stabilisce tra persone uguali, oppure l’amore li rende uguali. Se questo vale anche nel mio rapporto con Gesù, per forza mi sento chiamato, addirittura… “liberamente costretto” a imitare Gesù verso gli altri. Occorre però che io viva l’amore di Gesù in modo concreto, non solo come proposito. Se poi penso che il battesimo mi ha “innestato” in Cristo, mi rendo conto che vivo “IN Lui”! 12


Una conseguenza: se il Verbo si è fatto uomo per amore nei confronti di noi uomini, si è donato completamente fino a dare la vita sulla croce solo per amore (!) deriva che quanto più vivo di amore, tanto più rendo attuale storicamente anch’io l’Incarnazione del Verbo, precisamente perché io vivo “IN Lui”. grazie al battesimo. Non ci spaventi una tale affermazione: riflettiamo e ci renderemo conto che è proprio così; e le conseguenze saranno innumerevoli. Va bene celebrare liturgicamente il Natale di Gesù, rivivere il memoriale dell’Incarnazione di Dio; però, se non vivo l’amore verso il fratello (sia pure rispettando la mia identità), la celebrazione del Natale rimane un gesto di culto, ma non rendo attuale il mistero dell’Incarnazione. Ecco perché i grandi cristiani, i Santi di ogni epoca e di ogni stato di vita hanno resa attuale l’Incarnazione del Verbo nei vari momenti storici e nelle situazioni più disparate: tutti sono vissuti di amore. A questo punto mi piace ricordare, tra gli innumerevoli esempi, il caso di una Santa che vedo emblematico di quanto ho scritto: l’Incarnazione del Verbo è questione di amore, e quanto più noi viviamo l’amore, tanto più facciamo rivivere nella storia l’ineffabile mistero del Dio-con-noi. Parlo di S. Teresa Margherita Redi, vissuta meno di 23 anni a metà del Settecento. Fin da fanciulla fu dotata di intimità profonda con Dio, in particolare con il Sacro Cuore di Gesù. Grazie soprattutto alla sua guida spirituale, il suo papà Ignazio. A 16 anni sentì dentro di sé una voce chiara, speciale, che la conquista totalmente. Era S. Teresa d’Avila che la invitava a farsi carmelitana. Dopo varie difficoltà e una lunga attesa, Annina (così la chiamavano a casa sua) entra al Carmelo desiderosa di vivere tutta, tutta solo per Gesù, anzi IN Gesù. Pensava che al Carmelo avrebbe avuto solo, veramente solo, questo impegno. Invece, appena entrata e per tutta la sua breve vita (le mancavano meno di cinque anni di vita) dovette vivere con un solo impegno, non precisamente quello che da sempre desiderava: dovette svolgere a tempo pieno il compito di infermiera delle consorelle ammalate, ed erano non poche, tra cui una veramente fuori di testa. Una sola volta si lamentò: «Non ne posso più!». Di questa mancanza si accusò di fronte alla comunità. Alla fine la chiamarono addirittura: “la Suora infermiera”, altro che la contemplativa mistica. 13


Quale insegnamento mi ha dato S. Teresa Margherita? Ecco la risposta: a) Dio si è incarnato solo per amore. E Teresa Margherita volle vivere solo di amore. b) Diversamente da quanto pensava, e sperava, per amore incondizionato per Gesù dovette vivere fino alla fine della vita al servizio puramente umano delle consorelle ammalate, non sempre facili da servire. Vedo in S. Teresa Margherita Redi uno degli innumerevoli esempi di “attualizzazione” dell’Incarnazione: Dio si è fatto uno di noi, si è umiliato, solo per amore verso noi uomini, deboli e peccatori. Il modo più vero, più reale di rivivere anche oggi l’ineffabile mistero dell’Incarnazione è proprio amare: Gesù e quindi i fratelli. PREPARAZIONE È certamente l’aspetto meno presente nella celebrazione di un memoriale. Invece è il fine a cui ogni memoriale tende necessariamente, anche quello che stiamo approfondendo. Preparazione a che cosa? C’è una sola risposta: preparazione alla gloria finale di Dio, e alla nostra felicità in paradiso. Non ce ne può essere un altro! Ogni azione liturgica tende necessariamente, anche se implicitamente, a questo unico fine, in cui consiste la piena realizzazione, il completamento del piano di Dio, voluto da sempre, ancor prima della creazione del mondo. Lo esprime efficacemente S. Paolo nella prima lettera ai cristiani di Corinto, al capitolo 15°. Anche le formule della consacrazione durante la Messa, tipiche del rito ambrosiano, terminano affermando questa verità: «Attenderete con fiducia il mio ritorno finché di nuovo verrò a voi dal cielo». Questo avverrà alla fine dei tempi quando riapparirà il Cristo glorioso. Se non fosse vero quanto ho scritto, la vita umana non sarebbe trascendente, ossia: che va oltre la morte. La vita sarebbe qualcosa di grande, di splendente, ma solo un bene naturale. Addirittura vorrebbe dire annullare i Novissimi, le ultime cose: Morte – Giudizio – Inferno – Paradiso. Non avrebbero più alcun significato, perché l’ultima parola anche per noi uomini sarebbe la morte 14


come per tutti gli animali. Come potremmo parlare di paradiso? di felicità eterna? Rivivendo, attualizzando un memoriale, nel nostro caso quello luminoso dell’Incarnazione, ma vivendolo in tutti e tre gli aspetti, noi… facciamo un passo verso la gloria di Dio e verso la nostra felicità. Senza l’aspetto della preparazione all’incontro con Cristo glorioso e giudice, penso che la nostra vita sarebbe almeno opaca, forse triste, perché tutto finirebbe con la morte. Non ci sarebbe più posto per la Speranza, che è per tutti la molla che ci fa vivere; perfino la parola “Speranza” non avrebbe più senso. Riascoltiamo un pensiero del santo papa Paolo VI: «C’è un domani che ci attende e verso il quale siamo incamminati. Se noi siamo dei seguaci di Cristo, dobbiamo avere gli occhi aperti e le anime tese verso questo domani, che può essere un domani immediato, come può essere un domani protratto nei secoli. Non è un inganno, non è un artificio, è che il Signore vuole che i Suoi siano tesi nella speranza. Vuole che siano alacri nella vigilanza e che non si adagino in questo ordine terreno e temporale, ma che sentano la precarietà di tutto quello che ci passa davanti, di tutto quello che avviene di questa storia…» (D. Tettamanzi, Paolo VI. San Paolo, p. 178). Guai se non ci fosse stata l’Incarnazione del Verbo! Afferma il grande papa S. Paolo VI: «Così è il mistero dell’Incarnazione. Il Verbo di Dio, assumendo la natura umana in Cristo, diffonde in tutto il genere umano una capacità di vita nuova, che non si esaurisce col passare degli anni e dei secoli, ma come fonte perenne stimola l’umanità, ogni volta che di tale capacità fa la beata esperienza a risentirsi giovane, a osare un bene nuovo, a ricominciare da capo, a continuare con passo spedito il cammino della civiltà» (Paolo VI, Non temete più!, Interlinea, p. 46). Mi auguro che, quando celebriamo festosamente il Natale, abbiamo a spingere l’occhio del cuore fino all’incontro finale con Cristo glorioso. È la preparazione al Paradiso che ci rende felici, o almeno ottimisti nella vita. Chiedo a me e anche a ciascuno di voi quanto è presente il pensiero e il desiderio del Paradiso. S. Filippo Neri rifiutò la berretta cardinalizia saltando e cantando: «Paradiso, Paradiso: preferisco il Paradiso!».

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AVVENTO Tre sono i momenti che celebrano il Natale: AVVENTO – È il tempo che ci prepara alla solenne celebrazione del Natale; forse è meglio dire: alla solennità del giorno di Natale. NATALE – È il giorno… unico dedicato completamente a rivivere la gioia della nascita del Verbo di Dio tra noi uomini; è il giorno in cui il Figlio di Dio è apparso visibilissimo e vero uomo nell’umanità. Al limite possiamo aggiungere la prima settimana dopo Natale, la cosiddetta Ottava di Natale. TEMPO DI NATALE – Dal giorno di Natale fino al Battesimo di Gesù è racchiusa tutta la vita “privata” di Gesù. Con questa festa termina tutto il “tempo natalizio”, e incomincia la “vita pubblica” di Gesù, la narrazione della Sua missione, il perché si è fatto uomo. In questo tempo, dopo Natale, spiccano due festività: l’Epifania e il Battesimo di Gesù. Però, prima di entrare nella trattazione dei singoli momenti, voglio premettere una riflessione sul valore del “Tempo”. A questo riguardo pongo qualche domanda: Che cosa vogliamo indicare con la parola: “tempo”? Che valore ha il tempo per me? Come lo uso? Il “tempo natalizio” è solo il susseguirsi di un certo numero di giorni, o ha un contenuto suo proprio? TEMPO NATALIZIO «Nella pienezza dei tempi – dice la Bibbia – Dio si è fatto uomo». Che significa “pienezza dei tempi”? Quando si è verificata la pienezza dei tempi? Siamo tutti d’accordo: indica il tempo, anzi, proprio il giorno di Natale, il giorno in cui nasce l’Uomo Gesù, il Dio fatto uomo. Riflettendo, ci accorgiamo che nel nostro caso alla parola “tempo” non diamo un significato cronologico, una semplice successione di giorni. Gli diamo invece un significato “profetico”: inten16


diamo cioè lo spazio in cui si realizza, si storicizza, il piano di Dio, presente in Lui dall’eternità. Lo afferma S. Paolo VI: «la successione del tempo non ha talvolta un semplice significato cronologico, ma acquista un senso profetico, indica il compiersi di un disegno divino». Pensiamo ad alcuni esempi evangelici: – penso alla donna Samaritana. Gesù le dice: «Viene l’ora, ed è questa, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità» (Gv 4, 23); – a Cana Gesù dice quasi bruscamente alla Madre: «Non è ancora giunta la mia ora» (Gv 2, 4); – un altro riferimento in Giovanni: «Gesù, alzati gli occhi al cielo, disse: “Padre, è giunta l’ora, glorifica il Figlio tuo, affinché il Figlio glorifichi Te» (Gv 17). In questi esempi Gesù usa la parola “ora”, che è una precisazione del “tempo”. I due termini hanno di fatto lo stesso valore. AVVENTO È ATTESA Vengo subito al concreto ponendo due domande: Che valore ha l’Avvento? Come vivere l’Avvento? L’Avvento è tempo di preparazione a un incontro speciale: con “il Cristo”, che è addirittura Dio, oltre che uomo! Più precisamente l’Avvento ci aiuta ad accogliere in noi, personalmente e comunitariamente, il Cristo, il Figlio di Dio, che accetta di condividere la nostra limitatezza, le nostre debolezze, e lo ha fatto per solo amore per noi. Per vivere questa attesa, questa preparazione, è necessario innanzitutto che io prenda coscienza che Gesù non è o non è sufficientemente presente nella mia vita e nella comunità cristiana. Da qui deriva che il primo elemento dell’Avvento è il senso della mia e della nostra povertà umana, spirituale, e la coscienza del peccato, che è l’estrema povertà morale, perché è il libero rifiuto di Dio. Una tale consapevolezza ci invita all’attesa dell’“Assente”, che è il Cristo. Dall’attesa di Gesù derivano due atteggiamenti fondamentali, che quasi costituiscono l’Avvento in sé; sono il desiderio e la speranza. 17


DESIDERIO All’inizio – dicevo – ci deve essere la coscienza di essere peccatori e “mancanti” di tante necessità per la nostra felicità e pienezza di vita. Il senso “doloroso” del limite umano è necessario per aprire il cuore a un “al di là”, a una situazione che vada oltre l’incompletezza e la sofferenza del momento attuale. È proprio questa presa di coscienza che fa nascere in noi il “desiderio” di qualcosa, o di Qualcuno che ci aiuti ad andare oltre il momento attuale di difficoltà, che ci aiuti a colmare il vuoto che sperimentiamo in noi. “Desiderio” è una parola, per me, formidabile ed indispensabile per un autentico Avvento. Un vero maestro di vita spirituale dava questa spiegazione della parola “desiderio”: è un’esigenza insopprimibile, e spesso sofferta, di un bene per me indispensabile. Personalmente la condivido appieno. Se poi questo bene è Qualcuno, è nientemeno che il Dio fatto uomo per noi; se è Gesù Cristo, la parola “desiderio” acquista un valore assoluto, totalizzante per la vita. Allora l’Avvento è innanzitutto un bene interiore e richiede di essere vissuto dentro di noi, nel cuore. SPERANZA L’Avvento è il tempo liturgico della speranza. Non è solo per i bambini, che vengono captati e talvolta condizionati dalle varie forme di pubblicità a cui interessa solo il fare soldi. Non è nemmeno un tempo principalmente o solo per i sentimenti. È naturale provare gioia ed emozione per la nascita di un bambino, che è sempre un bel bambino, almeno per i genitori. Scrive l’Arcivescovo di Milano, Mons. Mario Delpini: «Siamo condizionati in molti modi a vivere questo periodo dell’anno liturgico come un tempo orientato ad alimentare buoni sentimenti per una sorta di regressione generalizzata, infantile, provvisoria e consumistica. È necessaria una certa lucidità e fortezza per resistere alla pressione esercitata da molte agenzie alleate per la banalizzazione del mistero dell’Incarnazione» (M. Delpini, La situazione è occasione, Centro Ambrosiano, p. 46). L’Avvento ci protende verso il futuro, un futuro che sarà certamente bello: sarà il ritorno e l’incontro con Cristo glorioso. Sarà il momento della nostra piena e felice realizzazione, sarà la gloria del Paradiso. Il futuro a cui tendiamo non è una semplice aspettativa, ma 18


una speranza, la quale è certezza, è figlia della fede. Scrive ancora Mons. Delpini: «L’orientamento al futuro è una dimensione irrinunciabile del vivere. C’è però differenza tra vivere di aspettative e vivere di speranza. L’aspettativa è frutto di una previsione, di programmazione, di progetti: è costruita sulla valutazione delle risorse disponibili e sulla interpretazione di quello che è desiderabile; l’aspettativa spinge avanti lo sguardo con cautela per non guardare troppo oltre, circoscrive l’orizzonte a quello che si può calcolare e controllare (…). La speranza è la risposta alla promessa, nasce dall’accogliere la Parola che viene da Dio e che si è rivelata nel Suo Figlio Gesù come Padre misericordioso…» (ibidem, pag 44 s). Le letture domenicali, specialmente le prime di ogni domenica, pare che trattino tutte un solo argomento: la speranza. Anche da un punto di vista puramente umano la speranza dice futuro, progetti, impegno: è la forza che mette le ali ai piedi e ci mette in cuore una gioia pregustata che ci spinge ad uscire dal momento presente e rende sempre bello il nostro personale futuro. Anche il grande G. Leopardi ha cantato lo stato d’animo dell’attesa, che è speranza. Rileggiamo Il sabato del villaggio. Qui invece parliamo di speranza, non intesa semplicemente come valore umano, ma di Speranza come virtù teologale, fondata sull’Incarnazione del Verbo. Quindi si tratta di una speranza che va oltre la vita terrena e tende alla felicità del Paradiso, quella che non finirà mai. Non mi è possibile commentare le singole letture; mi limito a qualche accenno e invito a leggerle per intero e a riflettere seriamente applicandole alla nostra situazione di oggi. Ecco qualche spunto. La prima lettura della II domenica dell’anno “B” ci suggerisce: «Non temete l’insulto degli uomini, non vi spaventate per i loro scherni: le tarme li roderanno come una veste e la tignola li roderà come lana, ma la mia giustizia durerà per sempre, la mia salvezza di generazione in generazione. (…) Ritorneranno i riscattati dal Signore e verranno in Sion con esultanza, felicità perenne sarà sul loro capo, giubilo e felicità li seguiranno, svaniranno afflizioni e sospiri. Io, io sono il vostro consolatore» (Is 51, 7-12). La prima lettura della III domenica dell’anno “B” è ancora più incisiva: «la mia giustizia è vicina, si manifesterà la mia salvezza (...). Ma la mia salvezza durerà per sempre, la mia giustizia non verrà distrutta» (Is 51, 1-6). 19


Dopo il vangelo della IV domenica dell’anno “B”: «Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un salvatore potente, per te esulterà di gioia» (Sof 3, 16-17) La prima lettura della III domenica dell’anno “A” continua sul tema della speranza, fonte di gioia: «Felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto (…). Coraggio, non temete» (Is 35, 1-10). Per concludere, ascolta la prima lettura della IV domenica dell’anno “A”: «Ecco il vostro Dio! Ecco, il Signore Dio viene con potenza, il suo braccio esercita il dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede. Come un pastore (…) porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri» (Is 40, 1-11). La liturgia dell’Avvento, quindi, ci invita a non guardare alla solennità del giorno di Natale, solo a quel giorno di 24 ore: spinge il nostro sguardo al futuro, a un futuro senza limite di tempo. Il Natale è solo il primo atto dell’avverarsi di questo futuro senza limite, è la realizzazione storica dell’inizio di un tale futuro, che sarà tutta felicità e gioia, perché Dio è fedele alle sue promesse, che consistono nell’Alleanza con Israele. Perciò il Natale non si esaurirà in un sol giorno, addirittura non finirà mai, perché Dio, nel Figlio, sarà sempre con noi come continua incarnazione realizzata. Così il Natale, visto in questa ottica, ci aprirà al futuro senza termine; in altre parole, ci aprirà al Paradiso, perché solo là, finalmente, vivremo la vera felicità: in Dio! E oggi? È forse la prima necessità per la società attuale. Se manca la speranza, si muore per soffocamento. Oggi sono in aumento i depressi; oggi sono molti, troppi i suicidi, proprio perché c’è poca speranza. Un mondo senza speranza è statico, è bloccato su se stesso, è fermo. S. Ambrogio scrive: «Togli al pilota la speranza di arrivare alla meta ed egli vagherà incerto tra i flutti. Togli al lottatore la corona e questi giacerà inerte nello stadio. Togli al pescatore la capacità di catturare i pesci: egli cessa di gettare le reti». Il nostro tempo tende a una speranza solo terrena. Affermava S. Paolo VI: «Oggi l’uomo, quando spera, spera in se stesso. Un umanesimo nuovo, sognato, mitizzato sostiene le speranze del mondo; lo incanta, lo muove, lo esalta». E il vescovo Masseroni sviluppa questo pensiero dicendo: «È fuori dubbio che oggi è proprio la speranza la virtù più in crisi… La depressione è la patologia più diffusa nel mondo occidentale contempora20


neo: la depressione come crisi del mondo interiore, come diffuso senso di inutilità, come assenza di tensioni ideali… La crisi della speranza assume diversi volti: della depressione, della mediocrità, della stanchezza e della delusione cronicizzata, perché in fondo, dire la fede oggi è difficile e sembra di giocare su valori fuori corso» (E. Masseroni, Vi ho dato l’esempio, Paoline, p. 33). INCARNAZIONE E MATERNITÀ DI MARIA Se questo è l’Avvento, se l’insegnamento di fondo è la speranza di un futuro felice, giustamente la liturgia ambrosiana lo conclude con la festa dell’Incarnazione e della Divina Maternità di Maria. È la VI domenica di Avvento e in un certo senso è il portale di ingresso alla solennità del Natale. I testi della Messa di questa festa sono un intreccio sapiente dei due temi, che in realtà formano un solo argomento. Giustamente le letture danno uno spazio maggiore alla Incarnazione del Verbo. Solo il vangelo, l’ineffabile brano dell’Annunciazione, è tutto dedicato a Maria. Anche in ciò si nota una giusta logica, una equilibrata e voluta disparità di valori: nel Natale la Chiesa celebra il “memoriale” del mistero dell’Incarnazione. Qui Dio vuol condividere la vita dell’uomo, qui si realizza davvero il dialogo Diouomo; qui si costata che l’uomo è il “tu” di Dio! Maria è la Madre di Dio, del Figlio incarnato, è tutta… in funzione della maternità di Dio; se no, non sarebbe stata quella che fu. Con perfetta logica la festa della maternità di Maria, per il rito ambrosiano, è posta qui, come apertura necessaria alla celebrazione della nascita di Gesù Bambino. È la più antica festa ambrosiana in onore della Madonna, forse per insegnarci che ogni grandezza, ogni bellezza di Maria SS. è legata a Gesù, dipende dal fatto che Dio l’ha voluta Madre di Dio; nell’Ave Maria preghiamo: Ave, Maria, piena di grazia: (perché) Dio è con te, è “in te”. Le letture ci dicono che il tempo dell’attesa, sofferta, sta per terminare: la nascita di Gesù segnerà il tempo della libertà dai dolori, dalla schiavitù per gli ebrei, e inizierà il tempo della felicità senza fine. Avverrà tutto ciò perché Dio è fedele alle sue promesse, in primo piano è fedele all’alleanza con il popolo eletto, e ratificherà l’alleanza di un tempo stabilita con Mosè mediante un’alleanza 21


“nuova”, cioè diversa da quella stabilita con il solo popolo d’Israele e questa durerà per sempre. Ti do – dice Dio – la prova di questa “nuova” alleanza: il mio Figlio, l’Amato, si farà uomo, proprio un uomo come voi, per dirti, o Israele, che addirittura condivido le tue difficoltà, i tuoi dolori, e mi assumerò anche i tuoi peccati, affinché con la mia morte e risurrezione saranno perdonati da Dio, e tu, Israele, ritornerai nella grandezza iniziale, quasi divina, perché Dio ha pensato l’uomo a Sua “immagine e somiglianza”. Le prime due letture della Messa di oggi ci invitano a nutrirci di tale verità. Il vangelo inneggia a Maria, la “via”, o meglio, il “luogo” santo in cui si realizza la volontà divina. In particolare: la prima lettura è del profeta Isaia (Is. 62,10-63,3b). Sappiamo che ai tempi del profeta il popolo d’Israele è nuovamente schiavo, vive senza entusiasmo, ma Isaia lo invita ad avere fiducia, a guardare al futuro perché presto sperimenterà la libertà: «Dite alla figlia di Sion: “Ecco, arriva il tuo salvatore”; ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede. Li chiameranno “Popolo santo, redenti dal Signore”». Il salmo 71 canta: «Rallegrati, popolo santo: viene il tuo salvatore». La felicità che ci donerà il Dio-con-noi non riguarda solo un tempo molto futuro, il dopo morte, non si sperimenterà soltanto in paradiso, ma è già presente oggi, nelle fatiche di oggi; e questo fatto ci ridà la voglia di vivere, adesso, anche nelle difficoltà, nei guai e nelle aspirazioni di ogni giorno. Ce lo dice S. Paolo nell’epistola (Fil 4, 4-9): «Siate sempre felici nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti… il Signore è vicino! E il Dio della pace sarà con voi». La libertà promessa è ormai alle porte, anzi si sta realizzando adesso: è finalmente giunta l’ora di Dio! L’Incarnazione è iniziata, Maria ha detto Sì a Dio! Una parola brevissima, che però esprime l’attuarsi di tutto il disegno di Dio. Ormai Dio si è incarnato, il Figlio di Dio è uomo, uomo vero! Quindi, conclude l’evangelista Luca: «Rallegrati, piena di grazia, (perché) il Signore è con te» (Lc 1, 26-38). È con noi, anche oggi! Manca soltanto l’apparire dell’Emmanuele alla vista, annebbiata, di noi uomini. Allora è naturale, è una necessità del cuore, è spontaneo il canto di gioia: è Natale! È vero: Dio è qui con me, è al mio fianco e mi accompagna in ogni situazione. Com’è esaltante affrontare ogni giorno la vita con… la mia mano nella mano di Dio! 22


NATALE Oggi l’Incarnazione è storia! Il “Verbum caro” è realtà: ora il Figlio di Dio è anche uomo, uomo vero, proprio come noi. Per questo gli angeli cantano: Gloria a Dio! E gli uomini sperimentano di nuovo, finalmente, la gioia. Adesso l’amore di Dio si è fatto presente nella carne, storia, vivo come sempre, fin dalla eternità, ed è, come sempre e per tutti il VIVENTE! Nonostante anche oggi tanti non vogliono avere a che fare con Lui. Di fronte a un tale evento la mente umana si inchina: non può affatto capire. Però, lo accoglie e lo adora. Che mistero! Grazie, Dio Padre! Come primo dono il Natale offre a noi uomini “impegnati a vivere” la gioia del cuore, non come quella che si pretende di trovare nelle “cose”, o nei risultati umani, mediante la nostra iniziativa. È una gioia senza tempo e non relegabile a uno spazio o a una situazione particolare. È un puro dono di Gesù Bambino, che è e che rimane Dio da sempre, anche se ha accettato di diventare “limitato” come noi. Ripeto, proprio come noi, ovviamente tranne che nel peccato. La gioia è frutto del Natale! Quante volte i testi delle Messe parlano della gioia! Scrive don Primo Mazzolari: «Dice l’Angelo ai pastori: “Non temete: perché, ecco, io vi annuncio una grande gioia che sarà di tutto il popolo” (…) Egli viene. E con lui che viene, viene la gioia. Se lo vuoi, ti è vicino: anche se non lo vuoi, ti è vicino. Ti parla anche se non gli parli: se non lo ami, egli ti ama ancora di più. Se ti perdi, viene a cercarti: se non sai camminare, ti porta. Se tu piangi, sei beato per lui che ti consola. Se sei povero, hai assicurato il Regno dei Cieli. Se hai fame e sete di giustizia, sei saziato. Se perseguitato per causa della giustizia, puoi rallegrarti ed esultare» (P. Mazzolari, Il Natale, Edizioni La Locusta, p. 27). Don Mazzolari aggiunge che perfino la verità esige la gioia da parte degli annunciatori per essere accettata: «Il mondo è in cerca di gioia, più che di verità e di giustizia; se poi, per nostra colpa, la verità che proponiamo non è espansiva e letificante l’uomo, se chi la custodisce ha il volto arcigno del carceriere in luogo di quello ilare del donatore, non solo nessuno verrà a chiederci la verità, ma si chiuderà alla nostra proposta, temendo di 23


portarsi a casa un cruccio in più. Il mondo ha diritto di accorgersi che, con il Natale del Signore, la gioia è entrata nel mondo e che coloro che credono in lui, essendo capaci di gioia, lasciano intravvedere, nel loro imperfetto gaudio, la sorgente inesauribile della perfetta letizia» (ibidem, pp. 49 s). Sì, la gioia; però S. Paolo VI afferma che è necessario “desiderare” il Natale: «Il vertice dell’attesa sta nel desiderio, un desiderio che si fa preghiera, ossia autentica “ansia dell’anima in cerca di Dio”. Dio si concederà a noi, purché di Dio nutriamo vivo desiderio. Lo desideriamo Dio? Abbiamo sete di Lui? Il cuore nostro invoca: dove sei? Come ti riveli? Vuoi tu parlarmi, o Signore? Quest’ansia dell’anima in cerca di Dio si definisce preghiera. E noi, preghiamo? Se non preghiamo, può il Signore ascoltare chi non lo invoca?» (D. Tettamanzi, Paolo VI, San Paolo, pp. 173 s). I commenti e gli approfondimenti sul Natale sono illimitati: sarebbe una pretesa assurda il voler aggiungere qualcosa di nuovo e di saggio, fosse anche solo per il piacere di aggiungere una parola mia, nuova, nell’oceano di belle riflessioni. Mi limito quindi ad esporre alcune mie osservazioni personali, sperando che possano servire a qualcuno per rivivere il Natale, una delle principali solennità della Chiesa, con uno spirito “nuovo”. Sono riflessioni scritte con “cordialità” – direbbe Ballestrero –, ossia parole scritte con il cuore e che parlano al cuore di chi le leggerà. La prima riflessione parte da una domanda: Era proprio necessario che il Cristo – il Dio-uomo – si incarnasse per la vita personale nostra e per la storia intera dell’umanità? Ci dà la risposta sicura, inequivocabile e nello stesso tempo “cordiale” il grande papa S. Paolo VI: «Gesù è al vertice delle aspirazioni umane, è il termine delle nostre speranze e delle nostre preghiere, è il punto focale dei desideri della storia e della civiltà; è cioè il Messia, il centro dell’umanità, Colui che dà un valore alle azioni umane, Colui che forma la gioia e la pienezza dei desideri di tutti i cuori, il vero uomo, il tipo di perfezione, di bellezza, di santità, posto da Dio per impersonare il vero modello, il vero concetto di uomo, il fratello di tutti, l’amico insostituibile, l’unico degno di fiducia e di ogni amore: è il Cristo-uomo. E nello stesso tempo Gesù è alla sorgente di ogni nostra vera fortuna, è la luce per cui la stanza del mondo prende proporzioni, bellezza ed ombra; è la parola che tutto definisce, tutto spiega, tutto classifica, tutto redime; è il principio della nostra vita spirituale e morale; dice che cosa si deve fare e dà la forza, la grazia per farlo; riverbera la sua immagine, anzi la sua presenza 24


in ogni anima che si fa specchio per accogliere il suo raggio di verità e di vita, che cioè crede in Lui e accoglie il suo contatto sacramentale; è il Cristo-Dio, il Maestro, il Salvatore, la Vita» (D. Tettamanzi, Paolo VI, San Paolo, pp.53 s). È più che sufficiente quanto afferma quel santo Papa per convincerci che Gesù, Dio-uomo, è indispensabile per ogni uomo e per tutta l’umanità. A questo punto mi sorge un’altra domanda: Io personalmente vivo una tale necessità del Cristo? Stando alle parole di Paolo VI vedo la necessità dell’Incarnazione del Verbo di Dio? Incide davvero nella mia vita di ogni giorno la necessità di Gesù Cristo? Anche quando non riesco a raddrizzare la rotta della mia barca? Vivo con Gesù il Cristo in vera “familiarità”, direbbe papa Francesco? A proposito di Gesù non posso accontentarmi di rispondere con la ragione o appoggiandomi alle convinzioni altrui: sono io, proprio io, da solo e forse con grande fatica a dover dare la risposta concreta e strettamente personale. Se non rispondo positivamente, finisco nella insignificanza della mia vita. Ancora S. Paolo VI ci invita ad esaminarci: «Se non siamo restii alla grande rivelazione di Dio fatto uomo, non soltanto le realtà divine ci sono annunciate, ma le realtà umane altresì. La teologia del presepio è la più alta, la più chiara, la più consolante antropologia. La vita umana acquista in Cristo la sua significazione, il suo valore, la sua dignità, il suo carattere sacro, che è quanto dire la sua libertà, la sua intangibile personalità» (Paolo VI, Non temete più, Interlinea, p. 22). Poco dopo aggiunge: «Il Natale è l’incontro con Cristo. Il nostro incontro. È un incontro vero? È un incontro personale? È un incontro amico? La questione è estremamente importante. Racchiude in sé il problema religioso, quello morale, quello sulla nostra maniera di concepire la vita e di impiegare la vita» (p. 25). Una seconda domanda: Perché la Chiesa osa affermare, senza paura di essere contraddetta, che il Cristo è il centro della storia? Su quale fondamento, su quale prova fonda questa sua certezza? Ancora: quindi il Natale è proprio il punto “fontale” della storia… “nuova”, quella che va dalla Sua nascita fino alla fine dei tempi? Quindi, il giorno di Natale, proprio quello limitato alle 24 ore del 25 dicembre, è davvero una solennità speciale, con una sua propria necessità, quasi come la Pasqua? La risposta ci porta molto indietro, ci riporta addirittura al popolo d’Israele, il cosiddetto “popolo eletto” per il suo rapporto 25


speciale ed unico con Dio, con Jahvè, (come lo chiamavano loro) mediante un patto sicuro e intoccabile, l’Alleanza. Sì, chiamo in causa l’intera storia di quel benedetto e originale popolo che fu il popolo israelita, un popolo essenzialmente “religioso”: tutta la sua storia era una storia religiosa, era la realizzazione dei rapporti con Dio, con Jahvè, rapporti di amicizia perché Dio aveva voluto così. Questi rapporti specialissimi consistevano nell’Alleanza – dicevo poco sopra. È una parola che per quel popolo aveva un’importanza unica: non si capisce nulla della storia d’Israele se si prescinde dall’alleanza con Dio. Tutta la Sacra Scrittura, fin dai primi libri, in particolare dall’Esodo, è tutta uno svilupparsi dell’alleanza con Dio in ogni aspetto della vita d’Israele, dalla vita pubblica, sociale, politica, da tutta la vita organizzata, fino a quella personale. Dio si dimostra sempre fedele a questo patto e partecipa alla vita del popolo – lo ripete spesso la Bibbia, e il popolo aveva il dovere di esserGli fedele mediante l’osservanza della legge di Mosè; in modo particolare era necessaria l’osservanza del sabato, il giorno tutto e solo del Signore. Questo era un dovere assoluto per vivere l’alleanza con Dio. Il “nostro” Natale, mediante la celebrazione del memoriale dell’Incarnazione attualizza quel benedetto giorno in cui il Verbo si fece realmente uomo, visibile, in carne e ossa, formato come ogni uomo nel seno di una donna, Maria SS. Pertanto, quell’evento di allora è storia di adesso, attualissima per noi! Non è solo un ricordare, un richiamare alla mente un fatto straordinario, unico, che è senza dubbio lo spartiacque della storia, perfino di tutto il “tempo”. È verità quello che ho scritto, ma corriamo il rischio di considerarle cose molto lontane nel tempo e che non ci riguardano più, non ci coinvolgono per nulla. Allora anche il Natale rischia di essere vuoto e vissuto solo come “ricordo”. Invece, noi stiamo vivendo il Natale, l’Incarnazione, come “memoriale”, quindi ci chiama in causa direttamente, non nel fatto storico, ma nei frutti di quel fatto che riguarda Gesù, il Cristo. Pertanto, se l’alleanza del popolo eletto con Dio non può non interessarci, siamo chiamati a riviverlo nelle conseguenze, perché noi, che siamo la Chiesa, siamo il nuovo popolo eletto, che continuerà fino alla fine dei tempi. Mi chiedo pertanto: Come la Chiesa, quindi noi, può e de26


ve rivivere l’alleanza con Dio, oggi, nell’attuale situazione storica? Come può riviverla in modo concreto, reale, sperimentabile? Se è vero che il fulcro di tutta la vita di quel popolo consisteva nell’alleanza con Jahvè, la Chiesa non può affatto trascurare questo fatto nella sua vita nel tempo, nel continuo mutare degli avvenimenti e delle situazioni. C’è di più: se l’alleanza si è realizzata storicamente nel Natale di Gesù, è indispensabile chiederci, al di là delle varie manifestazioni di gioia per la nascita di Gesù Bambino, in che modo in ogni Natale possiamo rendere attuali ed efficaci i frutti dell’antica alleanza? La risposta la vedo chiaramente nell’Eucaristia. Forse non riflettiamo a sufficienza su questo sacramento: nel momento culminante della consacrazione, come se tutta l’azione liturgica facesse riferimento a questo istante, il celebrante scandisce queste parole: “Per la nuova ed eterna alleanza”. Che parole sacrosante! ALLEANZA… È significativo che in ogni Messa il punto centrale riguardi l’alleanza, non le opere buone, o altro! Ciò significa che per la Chiesa l’elemento fondamentale, costitutivo, della vita cristiana è il rendere storicamente presente nel tempo il rapporto di amicizia con Dio, l’alleanza con Lui, appunto. E il rapporto di amicizia con Dio non esclude, anzi esige che noi ci sentiamo essenzialmente dipendenti da Lui. In altre parole, l’elemento fondante tutta la vita cristiana è l’Eucaristia, consiste nel partecipare all’Eucaristia! E… le opere di carità, e tutto il resto?! Sono “solo” dei frutti, delle conseguenze della celebrazione dell’Eucaristia. Probabilmente questa verità ci destabilizzerà non poco da certe convinzioni. Mi sorgono alcune domande: Quante volte e con quale intensità io prendo in considerazione il fatto dell’alleanza? Mi rendo conto che l’alleanza, dell’Antico Testamento e nostra, ci fa vivere il rapporto con Dio in modo comunitario? Forse noi siamo spontaneamente portati a vedere il rapporto con Dio solo, o quasi, in modo individualistico: invece per gli ebrei era il popolo chiamato a vivere l’alleanza! 27


Il canone della Messa aggiunge due aggettivi che hanno un significato da prendere in considerazione: …NUOVA – Nell’uso degli antichi questo aggettivo comprendeva due elementi, soprattutto significava “diverso”; nel nostro caso dice che l’alleanza che noi rinnoviamo nell’Eucaristia è diversa da quella del popolo d’Israele: la nostra non condiziona ogni aspetto della vita, ma rispetta sempre la libertà del singolo. L’altro elemento è: “nel tempo”, nella storia che si va realizzando; non è, quindi, limitata a un popolo solo, o fino a un certo momento, ma continua fino al ritorno di Cristo glorioso. …ETERNA – La nostra alleanza con Dio, cioè quella della Chiesa con Dio, non avrà mai fine: ci porta addirittura nell’eternità, e giungerà fino alla gloria del paradiso. La “nuova ed eterna alleanza” si realizza proprio a Natale, si attua nel tempo mediante l’Incarnazione del Verbo, che, avendo in Sé due nature (quella divina e quella umana nell’unica persona), stabilisce per sempre una reale alleanza tra Dio e l’uomo. Questa è la radice della gioia del Natale: ora siamo sicuri che Dio non ci abbandonerà mai, sarà sempre l’Emmanuele, il Dio-con-noi, nel Figlio incarnato. Dio è fedele necessariamente all’alleanza con noi: Lui non può cambiare. E noi? A Natale viviamo così la Messa? È la nostra parte nell’alleanza con Dio! È il nostro modo più vero e concreto di celebrare il Natale. Così non ci lasceremo abbagliare dalle luci, dai bei canti, dai festeggiamenti, che corrono il rischio di limitare la nostra gioia ai piaceri troppo sensibili, dimenticando il mistero che celebriamo. Mi pongo ancora una domanda: Come mai la Chiesa dice nella Messa: “nuova ed eterna”? Nel popolo d’Israele l’alleanza era appoggiata sulla parola di uomini, i Profeti, innanzitutto su Mosè, uomini che morivano, ovviamente. Invece la “nuova” alleanza è fondata sul Cristo: quindi la nostra alleanza ha da una parte Dio, che è sempre fedele, dall’altra l’Uomo Gesù Cristo, che è “Il Vivente”, quindi non morrà più. Pertanto, la nostra alleanza sarà per sempre. A questo punto non mi meraviglio, tanto meno mi scandalizzo, costatando che in tutto il Tempo natalizio non esiste nessun rito liturgico al di fuori della Messa, proprio nessuno, a differenza della Pasqua. A mio parere la Chiesa vuol invitarci a concentrarci 28


sull’essenziale, la Messa. E ancor più a vivere con profonda partecipazione alla Messa contemplando il fulcro della celebrazione eucaristica: “nuova ed eterna alleanza”. Questo è il S. Natale! È proprio vero: il Natale va vissuto innanzitutto mediante la liturgia, che non elimina i sentimenti, che sono fondanti la persona umana, ma li purifica e li nobilita. La liturgia è molto importante nella Chiesa, è addirittura la vita stessa della Chiesa. Dal Concilio in poi è considerata un elemento necessario della formazione a tutti i livelli. Qual è – mi chiedo – l’oggetto principale di un’autentica formazione cristiana, e con quali mezzi affrontare il problema? Rispondo semplicemente mediante la liturgia. Ciò non significa soprattutto partecipare ai riti liturgici, al culto, bensì significa capire i grandi misteri della vita di Gesù celebrati durante tutto l’anno. In altre parole, si tratta di conoscere e vivere i vari “memoriali”. Così, i diversi riti (e le varie devozioni) acquisteranno valore ecclesiale. So che mi illudo, eppure oso dire che noi sacerdoti, quando pronunciamo queste tre parole (“nuova ed eterna alleanza”), dovremmo fermarci un istante, anche solo un secondo, per… viverle personalmente, per far “vibrare” il nostro cuore mentre le pronunciamo. Mi auguro anche che le pronunciassimo con un timbro “caldo” di voce; forse questo ci permetterebbe di rendere attuale ed efficace l’Alleanza rinnovata da Dio nel Figlio Gesù, uomo vero, sì, ma il VIVENTE. Qualcuno obietterà che una tale presentazione del Natale è un po’ troppo teorica, staccata dalle belle e giuste usanze popolari: in fondo, il Natale dona anche una gioia sensibile e comunitaria; non può essere solo una solennità personale e interiore. Sarebbe un Natale freddo, che finirebbe per non coinvolgerci. Non è affatto mia intenzione non riconoscere la bellezza umana, tangibile della solennità del Natale. Mia intenzione è invece quella di invitarci a guardare il Natale nel profondo, per viverlo come mistero fondamentale di un’autentica vita cristiana, per “assaporare” lo stupore dell’Incarnazione che ci dona il Dio-con-noi. Lasciando da parte tutti gli aspetti che chiamerei… tangibili, mi pare che sia buona cosa, per rivivere la gioia festosa del Natale, “stare” (che significa rimanere estatici, fermi per un po’ di tempo) davanti 29


a un presepio e guardare a lungo Maria, Giuseppe e i pastori. Senza dubbio risentiremmo in noi la gioia di Maria e di Giuseppe, e anche dei pastori. Prima però proveremmo anche noi un ineffabile stupore: potremmo udire ancora il lungo “Oh…” dei pastori. E come loro rimarremmo senza parole, in silenzio, con gli occhi spalancati, con profonde domande che salgono dal cuore spontaneamente. Davanti a un neonato non c’è nulla da dire: si sta in silenzio a guardarlo, quasi a… contemplarlo. In silenzio, ma con il cuore colmo di gioia. I PASTORI A Betlemme, in contemplazione gioiosa ci sono anche i pastori. Maria e Giuseppe per noi sono inimitabili; i pastori, no. Davanti al piccolo Gesù stanno in silenzio, non riescono a dirgli nulla, né felicitazioni, né richieste: come ogni bambino ancora incapace di dir parola non accetta, non può accettare nessuna parola; però di fronte a questo bambino così speciale e unico. Istintivamente esprimono solo un “Oh…” lungo, lungo, che racchiude tutto quello che vorrebbero dirgli. Lo stupore di quel momento non permette nemmeno una parola, però in quel “Oh…” c’è tutto l’animo dei pastori. Vale la pena di guardarli a lungo, di contemplarli, per fare anche noi la loro stessa esperienza. Che strano: Gesù Bambino, che è Dio, Dio vero!, invita per primi ad adorarlo, addirittura servendosi di angeli, le persone più semplici, che non contavano proprio nulla nella società di allora, però erano persone umili, erano “poveri di spirito”, quindi aperti al mistero, alla parola dei Profeti. Probabilmente per questo furono capaci di leggere i “segni”, anche quelli che scendevano dall’Alto, capaci di cogliere un tale “mistero”. Addirittura, furono capaci di “vedere” Dio in quel neonato apparentemente uguale a tutti gli altri neonati. Per questo sono stati ubbidienti a Dio, hanno lasciata l’iniziativa a Dio: si sono lasciati guidare da Lui in un frangente così eccezionale. Si sono lasciati “scandalizzare” da Dio: quel bambino era davvero Dio, come il Padre, eppure era nato in una stalla, nella povertà più assoluta. Hanno accettato di adorare quel bambino, perché erano certi che era proprio Dio! Glielo assicurava il loro cuore illuminato dalla Grazia e mosso dalla fede. Com’è incomprensibile talvolta l’agire di Dio! 30


L’evangelista Luca dice che i pastori su invito degli angeli si dicono l’un l’altro: «Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere» (Lc 2, 15). Tre verbi necessari, sempre per chi desidera rivivere davvero il Natale: “Andiamo” – Il Natale, per essere vissuto, richiede un vero distacco dalla nostra fissità e un continuo andare dietro la volontà di Dio. “Vediamo” – Il Natale è un avvenimento per una esperienza personale, quasi tangibile, di Gesù, il Dio-uomo. “Conoscere” – Questa esperienza personale deve favorire addirittura un rapporto “cordiale”, oserei dire anche “affettivo” con il Cristo. I pastori ci insegnano che, per sperimentare il Natale ogni anno, è necessario essere aperti al mistero come loro, quindi bisogna essere umili; ma questo non è affatto semplice. Mi chiedo: Qual è la mia posizione di fronte ai misteri? Sono disposto ad accoglierli senza pretendere di capirli? Fanno parte della mia fede? Oppure li “scarto” – direbbe papa Francesco – nella mia professione di fede? Nella celebrazione del Natale entro nel mistero dell’Incarnazione, oppure mi limito ai sentimenti miei personali? I pastori non si uniscono al canto degli angeli: «Osanna, osanna…», e neppure: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli», eppure ci fanno vedere che di fronte al Bambino Gesù si sta in silenzio, un silenzio adorante; occorre l’umiltà ed essere aperti a Dio che si pronuncia, si comunica tutto nel Figlio incarnato, Gesù il Cristo. IL NATALE È PER LA PASQUA C’è un “però” da tener presente. È vero tutto quanto ho scritto fin qui sull’Incarnazione e sulla gioia del Natale. Però non va dimenticato che il Figlio di Dio, storicamente, si è fatto uomo per vivere la sua Passione, per la salvezza di noi uomini. Questa costatazione ci invita a guardare il Natale anche nel suo aspetto inevitabile di passione e morte. Guai se tralasciassimo questo aspetto dell’Incarnazione del Verbo. Il Canone della Preghiera eucaristica VI afferma: «Egli (Gesù), che è Dio infinito ed eterno, discese dal cielo, si 31


umiliò fino alla condizione di servo e venne a condividere la sorte di chi si era perduto. Accettò volontariamente di soffrire per liberare dalle morte l’uomo che lui stesso aveva creato; con amore che non conosce confini ci lasciò quale sacrificio da offrire al tuo nome il suo corpo e il suo sangue, che la potenza dello Spirito Santo rende presenti sull’altare». L’affermazione è chiara: Dio si è fatto uomo proprio per la salvezza di noi uomini, peccatori, mediante la morte in croce di Gesù. È così: il Natale è per la Pasqua! Ci illumina la testimonianza di una donna molto intelligente, Edith Stein, filosofa ebrea, diventata atea, quindi cattolica e carmelitana, morta in un campo di concentramento. La Stein (S. Teresa Benedetta della Croce) giunge a chiamare in causa anche noi perché siamo il Corpo Mistico di Cristo: ognuno ha la sua Via Crucis sull’esempio di Gesù. Afferma S. Teresa Benedetta: «La natura umana che il Cristo assunse gli diede la possibilità di soffrire e di morire. La natura divina da lui posseduta dall’eternità diede al soffrire e al morire un valore infinito e una forza redentrice. Il dolore e la morte del Cristo continuano nel suo corpo mistico e in ognuno dei suoi membri. Ogni uomo deve soffrire e morire; ma se è un membro vivo del corpo del Cristo, il suo soffrire e morire acquista, per merito della divinità del capo, forza redentrice. Questo è il motivo reale per cui tutti i santi hanno sempre desiderato di soffrire. Non si tratta di una malsana voglia della sofferenza» (E. Stein, Il mistero del Natale, Corsia dei Servi, pp. 28 s). Era un testo sul Natale, eppure ha osato scrivere una tale affermazione, quasi un canto. Il mistero dell’Incarnazione, benché sia in funzione della Sua passione redentrice, è sempre un “canto”, un “segno” di pienezza di vita. Il Natale celebrato fa passare in ogni situazione dal silenzio al canto. Tempo fa una ragazza, dotata di una speciale profondità d’animo, mi inviò delle “note (quasi) musicali”, frutto di una sua riflessione sul Natale. Eccole: – Dal silenzio (contemplativo) dell’Annunciazione… al canto del Magnificat (Lc 1, 46 -55). – Dal silenzio (per impossibilità di comunicazione) di Zaccaria… al canto del Benedictus (Lc 1, 67-79). – Dal silenzio (la Parola sta per essere “consegnata” all’umanità) che precede la nascita di Gesù… al canto corale degli angeli (Lc 2, 13 ss). 32


– Dal silenzio orante di Simeone… al canto di abbandono “fiducioso” (Lc 2, 25-32). Il Natale sia un canto che passa dall’assenza della Parola alla Parola manifestata. GESÙ È LA LUCE Tra i numerosi testi che ci offrono le letture di Natale prendo in considerazione solo l’inizio del vangelo della Notte di Natale, che è la Messa tipica di questa solennità. Afferma l’evangelista Giovanni: «Venne nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1, 9). Gesù, anche quando è appena nato, è la luce del mondo, degli uomini, di ogni uomo per aiutarli a vivere! Quanto mi fa vibrare il cuore una tale verità? Gesù stesso ha “proclamato” che lui stesso è la luce necessaria, più del sole: «Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo» (Gv 9, 5). Il tema della luce è fondamentale in Giovanni. Per lui, Gesù, anche se è appena nato, è la luce di Dio che diventa uomo per vincere le tenebre, che sono il non-Dio, l’anti-Dio, il regno di satana. Si può leggere tutto il vangelo di Giovanni come sfida tra la luce e le tenebre. E la vittoria sicura della luce sarà il trionfo di Cristo su satana, il bugiardo, l’anti-Dio. LUCE La Bibbia inizia dicendo che la luce è stata creata prima di ogni altra realtà: «Dio disse: sia la luce e la luce fu» (Gen 1, 1). Tutte le cose che Dio vorrà creare avranno bisogno della luce, esisteranno nella luce, saranno belle grazie alla luce. Fa eco il salmo 18: «I cieli cantano la gloria di Dio e l’opera delle sue mani annuncia il firmamento». La luce è vita: gli alberi, i fiori non potrebbero esistere senza la luce. Il bambino inizia a vivere la sua vita “umana “ quando viene alla luce; e noi festeggiamo la nascita di un bambino proprio quando viene alla luce. È Gesù, anche se è ancora bambino, la luce e la vita di tutto quello che esiste. «Per quem omnia facta sunt!». Sì, proprio per mezzo di Lui tutte le cose ricevono la vita. 33


La luce è BELLEZZA! Come potremmo ammirare le “cose”, anche i colori, la natura stessa nelle sue multiformi bellezze, i paesaggi meravigliosi (penso istintivamente alle splendide Dolomiti) senza la luce? Soprattutto come potremmo ammirare il volto umano se non ci fosse la luce? Ebbene, la luce vera, che supera ogni altra luce, anche quella del Sole, è Gesù anche se è ancora bambino. È lampante l’affermazione dell’evangelista: «In lui (Gesù) era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vista» (Gv 1, 4 s). Mi prende il “cuore” una tale verità, oppure mi lascia indifferente? Vivo davvero la mia vita nella luce vera? Per il fatto che è vita e bellezza, la luce è fonte di GIOIA, che non va confusa con il piacere: la gioia è dono di Gesù Bambino! Ancora una volta cito S. Paolo VI: «Il cristianesimo è gioia. La fede è gioia. La grazia è gioia. Cristo è la gioia, la vera gioia del mondo. Cristo è la nostra felicità. Cristo, ricordiamolo, è la gioia. Si può dire che la gioia, la vera gioia, quella della coscienza, quella del cuore, è un tesoro proprio del cristiano, proprio di colui che crede veramente in Cristo, a lui aderisce, di lui vive». Da ultimo, con un vero uomo “spirituale” preghiamo così: «Anche la tristezza di chi non ti aspetta, Gesù Bambino, è segno di desiderio che Tu stesso metti come fermento nel cuore di tutti».

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DOPO NATALE Il tempo dopo Natale – suggerisce Mons. Delpini – fa pensare a Gesù che vive a Nazaret. Là vive come un uomo, direi, normale, come tutti gli uomini e nulla fa prevedere un suo futuro specialissimo, tanto che scandalizza i suoi compaesani. Scrive Delpini: «Negli anni trascorsi da Gesù a Nazaret pare che non sia successo niente; Gesù non ha fatto niente che la testimonianza apostolica abbia ritenuto necessario tramandare nei Vangeli. Ha semplicemente vissuto. Lui che era in principio presso Dio, Lui, il Figlio di Dio, ha vissuto la vita dei figli degli uomini. (…) Il figlio di Maria, il falegname ha parenti e familiari troppo normali, come Giacomo, Ioses, Giuda e Simone: la sua sapienza è inspiegabile, la sua pretesa di insegnare è scandalosa: è troppo umana la sua storia perché possa dire qualche cosa di Dio» (M. Delpini, La situazione è occasione, Centro Ambrosiano, p. 60). Queste pochissime settimane ci illuminano la vita “privata” di Gesù fino al suo Battesimo, cioè fino a quando incomincia la vita “pubblica” di Gesù, quando realizzerà la Sua missione: la salvezza degli uomini mediante la morte in croce. I primi tre giorni subito dopo il Natale ci dicono che il Dio fatto uomo per noi non va solo contemplato nella culla di Betlemme con i pastori, ma va annunciato a tutti e va testimoniato a volte fino alla morte: ecco S. Stefano, il testimone; S. Giovanni evangelista, l’annunciatore del Verbo – uomo; i piccoli martiri ancora infanti, testimoni anche senza saperlo. «Dov’è ora – si chiede Edith Stein (S. Teresa della Croce) – il giubilo delle schiere celesti, dov’è la beatitudine silente della notte santa? Dov’è la pace in terra? Pace in terra agli uomini di buona volontà. Ma non tutti sono di buona volontà. Per questo il Figlio dell’eterno Padre dovette scendere dalla gloria del cielo, perché il mistero dell’iniquità aveva avvolto la terra. Le tenebre ricoprivano la terra ed egli venne come la luce che illumina le tenebre, ma le tenebre non “hanno compreso”. A quanti lo accolsero egli portò la luce e la pace, la pace col Padre celeste, la pace con quanti come essi sono figli della luce e figli del Padre celeste, e la pace interiore e profonda del cuore, ma non la pace con i figli delle tenebre. Ad essi il Principe della pace non porta la pace, ma la spada. Per essi egli è la 35


pietra d’inciampo, contro cui urtano e si schiantano. Questa è una verità grave e seria, che l’incanto del Bambino nella mangiatoia non deve velare ai nostri occhi. Il mistero dell’Incarnazione e il mistero del male sono strettamente uniti» (Il Natale dei mistici, Ancora, pp. 131 s). Seguono giorni normali, sia pure gioiosi, illuminati dalle domeniche con una forte accentuazione nella solennità dell’Epifania, la manifestazione di Gesù Messia a tutti gli uomini. L’Epifania è in un certo senso il completamento del Natale. Sono poche le domeniche di questo tempo liturgico: la prima è la domenica “nell’ottava del Natale”. Si celebra solo quando cade il 29, o il 30, o il 31 dicembre. A me pare molto importante perché ci invita ad approfondire il mistero di Dio, l’eterno, l’infinito, che si fa uomo, ossia si fa “limite”, accetta di entrare nel “tempo” (che è il limite in sé!), in quel tempo preciso (“nella pienezza dei tempi” – dice la Scrittura) e in uno spazio piccolo e limitato, precisamente nel popolo di Israele. Davvero: “Verbum caro!”, realmente, storicamente. Se riflettiamo su queste due parole, rimaniamo “stupiti”, incapaci di proferire parola, e perfino senza alcuna possibilità di intendere. Per noi uomini, tutti… limitatissimi, è impensabile che il Verbo di Dio, Dio egli stesso, diventi “uomo”, ossia sperimenti il peso del limite come ogni uomo. Ci si smarrisce davvero in un tale mare senza confini. Scrive Augustin Guillerand: «Il Verbo non si è accontentato di un breve passaggio: ha fissato in mezzo a noi la sua dimora. Ha vissuto fra noi; ha fatto della nostra terra e della nostra carne la sua abitazione; si è stabilito in questa proprietà da cui lo avevano respinto, per farsi accogliere di nuovo; ci ha chiesto un ricovero. Il Vangelo dirà come vi è stato accolto, dopo aver detto ciò che Egli offriva a coloro che lo avrebbero ricevuto e avrebbero consentito a rigettare i tiranni inferiori dei sensi, della ragione e del demonio per rinascere da Dio “generati da Dio» (Il Natale dei mistici, Ancora, pp. 37 s). Ebbene, le letture della domenica “nell’ottava” ci illuminano su questa. “umana impossibilità”. In breve, affermano due verità “fontali”; la prima: Gesù Bambino è Dio! Quindi, come il Padre è anche Lui eterno e creatore di tutto; la seconda: Gesù è il tutto per noi (S. Ambrogio), benché siamo veri peccatori. 36


In particolare, il Vangelo (è il prologo del vangelo di Giovanni) è così profondo, che non oso cimentarmi in alcuna spiegazione. La prima lettura (Proverbi 8, 22-31) dice che la Sapienza (figura del Verbo) esiste da sempre, fin dalle origini del mondo. Merita un’attenzione particolare l’epistola. Seguendo l’apostolo Paolo ci chiediamo: Chi è Gesù Bambino? Perché celebriamo con specialissima solennità la sua nascita? Qual è il suo rapporto con noi? Il suo compito, la sua missione nei nostri confronti? A parte il prologo di Giovanni, oso affermare che questa è la lettura centrale di tutto il Tempo natalizio. È un vero canto di esultanza di S. Paolo che sta fissando i suoi occhi del cuore sul Bambino Gesù, e in poche righe risponde alle nostre domande. Come dicevo poco sopra, in modo sintetico il nostro S. Ambrogio acclama con semplicità e forza: Gesù è il tutto per noi! (Omnia nobis est Christus). Per aiutare la nostra meditazione, riporto per intero il testo dell’epistola: «Fratelli, il Figlio del suo amore è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creatura, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono. Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose. È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli» (Col 1, 13.15-20). Volutamente ho evidenziato in modo diverso alcune parole del testo. Sono due gruppi di tre sottolineature ciascuna; il primo gruppo comprende tre verbi: “create” – “sussistono” – “riconciliate”. Esprimono: ricevere l’esistenza (create) – duratura nell’esistenza (sussistono) – essere riportate nella dignità iniziale (riconciliate). Tutto, quindi, è opera di Cristo ed è finalizzato a Cristo. Ecco allora il secondo gruppo di parole: “in lui” – “per mezzo di lui” – “in vista di lui”. Ora è solo un compito personale quello di riflettere in profondità su un tale testo, ineffabile, di S. Paolo. 37


LA MESSA DI CAPODANNO Il primo gennaio è giorno di festa e la Chiesa ci invita a partecipare alla Messa come in ogni domenica. È festa, ma non perché è il primo giorno dell’anno e si vuol chiedere una benedizione speciale per il nuovo anno; il motivo è che quel giorno chiude l’Ottava del Natale, come se la settimana che segue il Natale costituisse una sola solennità con il giorno di Natale. Il canto d’inizio della Messa ribadisce quello che abbiamo celebrato a Natale: parla di pace, di gioia e anche di redenzione, quasi per invitarci a pensare già alla Pasqua, e perché il Natale, cioè la nascita del Figlio di Dio – dicevo – è in funzione della nostra redenzione. Questo è il testo: «Oggi per noi dal cielo è discesa la vera pace; dai cieli su tutto il mondo stilla dolcezza. Oggi è spuntato il giorno di una redenzione nuova e di una gioia eterna, che adempie le promesse fatte nei secoli». Delle letture mi preme sottolineare anche oggi l’epistola, Fil 2,6-11. Dice S. Paolo: il Verbo, che è sempre Dio, si fa uomo per noi. Non ci si stanca mai di richiamare questa verità. Inoltre anche l’epistola ci spinge ad intravvedere la Pasqua, la nostra redenzione. La novità del brano odierno è il “nome”, Gesù, datogli ufficialmente nel momento della circoncisione secondo la legge di Mosè. Sappiamo già che per gli antichi ebrei il nome indicava l’identità di una persona e talvolta anche la sua missione. Il nome “Gesù” significa “Dio salva”; quindi, un tal nome dato al Figlio di Maria indicava che Gesù, che è e rimane sempre Dio, sarebbe stato il salvatore del popolo, atteso da secoli. Anche in questo caso riporto per intero il testo di S. Paolo: «Fratelli, abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra e ogni lingua proclami: “Gesù Cristo è Signore!”, a gloria di Dio Padre» (Fil 2, 5-11). 38


DOMENICA DOPO L’OTTAVA Anche questa domenica è un invito ad approfondire il Natale. Il canto all’ingresso riassume molto brevemente i temi delle letture: «Venite e vedete il grande mistero di Dio: Dio nasce da una vergine per redimere il mondo. È il Salvatore, promesso dai profeti, l’Agnello predetto da Isaia”». Non si limita a guardare il mistero del Natale, quindi dell’Incarnazione in se stessa; ci invita anche questo testo liturgico a guardare in avanti, a intravvedere la Pasqua. Ricordiamo che per la Chiesa l’Incarnazione è avvenuta per rendere possibile la Redenzione. C’è anche una nuova affermazione particolarmente significativa per il popolo d’Israele: tutto quello che stiamo rivivendo ora nel Natale di Gesù era già stato previsto dai Profeti. L’aggancio ai Profeti era per loro la prova più importante della verità del Natale del Figlio di Dio: era certezza che tutto quanto stava avvenendo era per il bene del popolo: tutto aveva un valore sacro. Le letture a prima vista pare che si limitino a ripetere l’avvenimento della nascita di Gesù Bambino; invece tutte e tre aggiungono qualche elemento nuovo. La prima lettura (Siracide 14,1-12) riprende il tema della Sapienza, però afferma due nuovi elementi: 1. La Sapienza (che cosa è?) non ha inizio e non avrà mai fine: «prima dei secoli, fin dal principio, egli mi ha creato, per tutta l’eternità non verrò meno». 2. Dio la fa dimorare tra gli uomini, in Israele: «Allora il creatore dell’universo mi diede un ordine, colui che mi ha creato mi fece piantare la tenda e mi disse: “Fissa la tenda in Giacobbe e prendi eredità in Israele”. (…) nella città che egli ama mi ha fatto abitare e in Gerusalemme è il mio potere. Ho posto le radici in mezzo a un popolo glorioso, nella porzione del Signore è la mia eredità». Giovanni, nel prologo riconoscerà l’avverarsi della Sapienza, la quale, quindi, è una persona ed è un vero “segno” del Cristo. Anche l’epistola di oggi è la lettura che va in profondità più delle altre due. È un brano fondamentale tra tutte le lettere dell’Apostolo: è preso dalla lettera ai Romani (Rom 8, 3-9). S. Paolo spinge la riflessione fino al fulcro del mistero del Natale e affronta il mistero del “Verbum caro”. La “carne” per S. Paolo è simbolo dell’uomo 39


chiuso in se stesso e nel proprio egoismo. Però, senza darle un significato morale; la parola “carne” ha un valore umanamente negativo, indica i nostri limiti: le difficoltà varie e le sofferenze, le scontentezze della vita, i desideri non realizzati, le fatiche inevitabili della nostra vita, le critiche, le divisioni, ecc, ecc.: tutte cose che esprimono il nostro limite, l’essere… “creati”. In una parola, sono la “carne” dell’uomo. Il Verbo si è fatto carne fino a questo punto. Per la mente umana è qualcosa di incredibile, o almeno qualcosa di inaccettabile. Ma Gesù Bambino, perché è Dio come il Padre, è Spirito, e chi accetta liberamente che Gesù rimane sempre Dio, anche dopo che si è fatto uomo (è l’unico con due nature!), cioè “carne”, ha dentro di sé lo Spirito di Gesù, quindi diventa … vivente in Gesù, e non vive più secondo la “carne”, che è frutto del peccato: «La carne tende alla morte (che è il sommo limite), mentre lo Spirito tende alla vita e alla pace. Ciò a cui tende la carne è contrario a Dio, perché non si sottomette alla legge di Dio, e neanche lo potrebbe. Quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio. Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi» (Rom 8, 3-9). Il Vangelo (Lc 4, 14-22) presenta Gesù nella Sinagoga di Nazaret. Dopo aver letto il brano del profeta Isaia, afferma pacatamente e con certezza che in lui si sono realizzate le profezie. Quindi, la nascita di Gesù Bambino è il fine (il “telos”) a cui guardavano i Profeti. Per loro il riferimento alle Scritture era, o doveva essere, la prova inappellabile che Gesù, benché nato in una stalla, era il vero, atteso Messia. Che scandalo!

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EPIFANIA L’episodio dei Magi lo conosciamo tutti e bene. A me preme una affermazione iniziale: se l’Epifania è il completamento del Natale, visto che l’argomento fondamentale della liturgia dell’Epifania è la gloria di Dio, vuol dire che il fine ultimo, il più vero del Natale, di tutto il mistero dell’Incarnazione, è la gloria di Dio È una verità da tener presente. Anche la Redenzione ovviamente è per la gloria di Dio, anche se è direttamente per il bene degli uomini. Tutto, proprio tutto tende a questo fine. Che insegnamento! La vita di ogni uomo, della storia intera, il perché del cosmo devono tendere alla gloria di Dio, che si realizza nel tempo… in Cristo Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo. Altrimenti, tutto non avrebbe senso. Ho iniziato la mia riflessione con questa sottolineatura perché mi sembra che il tema della gloria di Dio sia poco presente nella vita quotidiana di noi cristiani. La percepiamo come qualcosa troppo alto per noi, quasi come una bella affermazione e nulla di più. Mi sorge subito una domanda: Perché Dio si manifesta prima agli ebrei e solo dopo molto tempo a tutti gli uomini? La risposta è semplice: perché il popolo ebreo era il “popolo eletto”, quello direttamente discendente dai grandi patriarchi, Abramo, Isacco e Giacobbe, con i quali Dio aveva stabilito un patto di alleanza, di amicizia, per Sua libera volontà. Il popolo ebreo avrà, in un secondo tempo, il compito di far sapere ai popoli che Dio vuol estendere la Sua amicizia, l’alleanza, con tutti i popoli. In questo senso Israele è quasi… un sacramento dell’amore di Dio per tutti gli uomini di sempre. Un secondo tema dell’Epifania è quello della LUCE, che verrà espresso ripetutamente nella prima lettura della Messa. Però è già “proclamato” nel canto all’ingresso: «La città celeste non è illuminata né da sole né da luna, ma le dà luce la gloria di Dio. Al suo splendore cammineranno le nazioni, e verranno i re della terra a portarle i loro tesori». La LUCE! Scrive il card. Giacomo Biffi con il suo solito stile vivace e coinvolgente: «L’Epifania è la festa della luce; e di luce parla41


no appunto tutti i testi della liturgia di questo giorno. “Rivèstiti di luce, (…) la gloria del Signore brilla sopra di te” (Isaia 60, 1), abbiamo sentito il profeta dire all’umanità, raffigurata nella terrestre Gerusalemme. E ancora: “cammineranno i popoli alla tua luce” (Isaia 60, 3). Il vangelo poi ci parla della luce di una stella che diventa punto di riferimento e guida agli uomini che nella notte del mondo si pongono alla ricerca del loro salvatore». Biffi parla addirittura della “parabola della luce”: «…La luce pare fatta di niente, è impalpabile e inafferrabile. Eppure le cose – che si mostrano per se stesse così consistenti – hanno per noi colori, contorni, dimensioni (si direbbe, “esistono” per noi) solo in quanto sono illuminate e vengono in tal modo salvate dall’oscurità che sembra annientarle. Così è il senso di Dio nella coscienza dell’uomo: pare a prima vista qualcosa di estrinseco e di superfluo, un lusso per spiriti poco affaccendati e un po’ malinconici, una inutilità che non aggiunge niente alla solidità, alla corposità, al peso delle realtà terrene che affollano gli spazi dell’esistenza. Ma senza il senso di Dio tutte le cose si fanno grigie, opache, senza splendore. Senza Dio tutto perde valore, senza Dio i nostri giorni si rivelano vani e non hanno un perché. Senza Dio noi stessi ci scopriamo privi di una persuasiva ragione di vita e di destino che dia significato alla nostra quotidiana fatica» (G. Biffi, Epifania, Cantagalli, pp. 34 s). È Gesù la luce vera: «la luce splende nelle tenebre» – dice il Vangelo –. «Già prima della sua nascita Gesù era stato preannunciato come “un sole che sorge per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte” (Lc 1, 78 s). A soli quaranta giorni sarà chiamato da Simeone nel tempio: “luce per illuminare le genti” (Lc 2, 32). E lui stesso dirà di sé: “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8, 12) (ibidem, p. 54). I PERSONAGGI DELL’EPIFANIA GESÙ Un confronto con il Natale ci suggerisce un’osservazione salutare. Natale – È Dio che agisce, oserei dire con tanto rispetto. È Dio che si “scomoda” per raggiungere gli uomini; un richiamo per ciascuno di noi ce lo offre G. Biffi: «Se Dio è venuto fino a noi nel Natale, è giusto e doveroso che anche noi tentiamo di andare a lui, uscendo da una vita superficiale e pigra, senza palpiti e senza fremiti di rinnovamen42


to. È l’esempio e l’incitamento che ci viene dai Magi, come dai Magi ci viene la fiducia che possiamo anche noi conseguire il traguardo della nostra ricerca e trovare Dio. (…) Trovano Dio coloro che, come i Magi, hanno il coraggio di lasciare le abitudini di comodità, di vita mediocre, di incoerenza morale, per obbedire alla voce della coscienza che propone una più perfetta obbedienza alla legge interiore e ai più elevati ideali» (ibidem, p. 112). L’uomo invece sta fermo: i pastori stanno immobili davanti al Bambino Gesù, si limitano a manifestare lo stupore perché intuiscono che quel bambino in braccio a Maria è specialissimo, forse intuiscono che in lui c’è Dio! Riescono solo ad esprimersi con un “Oh…” di grande stupore. Epifania – Dio “sta”, immobile nella sua divinità, perché oramai si è pronunciato tutto nel Verbo, Gesù Bambino. E aspetta che il mondo venga a Lui. Scrive ancora Biffi: «Il Creatore dell’universo è venuto quaggiù, per così dire, nascostamente: nell’oscurità e nel silenzio, rivelandosi a una piccola cerchia di uomini senza prestigio, senza fama, senza risonanza… Però non vuole che nessuno finisca col ritenere che la sua venuta tra noi sia quasi un fatto privato, da tener nascosto e da riservare soltanto ad alcuni. Il contrario è vero: la sua iniziativa ha una portata universale, la sua verità è destinata a illuminare l’umanità intera, la sua grazia è offerta a tutti i figli di Adamo» (ibidem, p. 96). I Magi, rappresentanti dell’umanità intera, che si sente già realizzata e soddisfatta di sé, si scomodano, si muovono perché una nuova e speciale stella li interroga in profondità e li invita a cercare il perché della vita al di fuori di sé. Allora i Magi sono il simbolo dell’uomo in ricerca, sempre in ricerca, anche oltre la scienza e lo sperimentabile. Sono quindi il simbolo dell’uomo pensante. Alla fine, liberandosi dalle proprie chiusure e affrontando tante fatiche, trovano… “il” Bambino; intuiscono che è… Re, un Re specialissimo, e Lo adorano perché si scoprono “finalizzati” a Lui, tendenti necessariamente a Lui. Per questo Gli offrono –secondo la tradizione – oro, incenso e mirra. E con questi doni – sempre secondo la tradizione – vedono Dio in quel Bambino. I MAGI Non mi basta conoscere la conclusione del loro pellegrinaggio. Voglio sapere qualcosa di più su di loro: Chi sono in realtà? Da 43


dove vengono? Perché solo loro tre vanno in cerca di un personaggio speciale? Mi risponde ancora una volta il card. Biffi, un uomo particolarmente profondo nel pensiero e… “con i piedi per terra”: «Avvezzi a scrutare con assiduità la volta celeste, una notte si avvedono che tra il consueto scintillio delle stelle una luce nuova aveva cominciato a rifulgere. Colti e informati quali erano della letteratura dei popoli vicini, hanno subito posto in relazione ciò che vedevano con ciò che avevano letto in una antica profezia custodita dal popolo ebraico, una profezia che diceva: “Io lo vedo, ma non ora, io lo contemplo, ma non da vicino: Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele. Come mai quella stella fatidica è stata vista da loro e soltanto da loro? Perché essi non solo guardavano: sapevano elevare insieme con gli occhi anche i loro pensieri. Gli altri, ricurvi, ricurvi sull’opacità delle cose materiali, erano tutti presi dall’assillo dei molteplici interessi di quaggiù, seppellendo così ogni aspirazione e ogni fremito del loro spirito sotto la coltre delle sollecitudini e degli appagamenti della vita terrena» (ibidem, p. 113 s). Un’altra domanda: a me, a noi che cosa insegnano i Magi specialmente con il loro lungo e difficile pellegrinaggio? Sempre il card. Biffi ci dice: «Trovano Dio coloro che, come i Magi, hanno il coraggio di lasciare le abitudini di comodità, di vita mediocre, di incoerenza morale, per obbedire alla voce della coscienza che propone una più perfetta obbedienza alla legge interiore e ai più elevati ideali. (…) Movetevi – ci dicono i Magi – e fate almeno qualche passo in più verso il Signore che già si è mosso verso di noi. È la semplice e decisiva lezione di vita di questa bella festa dell’Epifania» (ibidem, p. 113). E ancora: «la loro vicenda è la storia di una ricerca: la ricerca di una sapienza più alta della nostra scienza, la sola che può dare senso alla vita e alla morte, la ricerca di un bene che può saziare quella fame di felicità che nell’uomo è più grande dell’uomo stesso e del mondo intero; la ricerca di un Dio che si è fatto vicino e accessibile» (ibidem, p. 92). I Magi vanno a Dio, Gesù Bambino, riconosciuto come Dio, e vanno… “da uomini”. Seguono la stella, vanno alla reggia del Re del momento, vanno a Gerusalemme, la capitale, il centro più importante e prestigioso, ma tornano… “da credenti” (“per aliam viam!”). Come mai? Perché erano uomini in ricerca, aperti, non fermi e ostinati sulla loro esperienza, quindi erano capaci di cogliere i “segni”. 44


ERODE Una presentazione “reale” di questo despota ce la offre ancora una volta G. Biffi: «Erode è stato un personaggio feroce, che non esitava ad uccidere i suoi parenti e perfino i suoi figli; era un despota assoluto, che riteneva tutto consentito alla sua personale volontà di godere; era un politico astuto e ambizioso, che adulava i potenti e infieriva sui deboli». Il Cardinale commenta in modo sagace anche il “Tempo di Erode”: «Il tempo di Erode è il tempo in cui si uccide la vita innocente e indifesa, perché ostacola i progetti individuali di tranquillità e di agio; è il tempo in cui l’uomo ritiene di poter infrangere o mutare a suo piacimento le leggi di comportamento che il Signore ha iscritto indelebilmente nei cuori; è il tempo in cui si insegue non ciò che è giusto e nobile, ma solo ciò che è vantaggioso e permette di raggiungere ricchezza, potere, notorietà… È un po’ sempre il tempo di Erode. È un po’ sempre il tempo dell’apparente vittoria del male e della menzogna…» (ibidem, pag. 40) Certamente noi non siamo come Erode; però possiamo riconoscere che ci impegniamo a imitare i Magi, o almeno a ispirarci a loro? LE LETTURE Le prime due letture non accennano ai Magi, però il Salmo canta il frutto dell’Epifania: «Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra…» (Salmo 71). La prima lettura (Isaia 60, 1-6) non tratta gli aspetti… “di cuore” dell’Epifania, quelli legati al sentimento e alle manifestazioni popolari. Va al nocciolo del mistero dell’Epifania e del Natale; va al motivo fondamentale: la gloria di Dio. È questo, come ho detto in un’altra parte della riflessione, il vero fine dell’Incarnazione del Figlio di Dio. È necessario ogni tanto approfondire di nuovo questa verità. L’altro motivo – aggiunge Isaia – è la LUCE, il tema preferito dall’evangelista Giovanni. Il Cristo – afferma – è la luce indispensabile per l’uomo; è Lui che si oppone alle tenebre, il regno del diavolo e dei peccati. Nella prima parte della lettura troviamo ben tre volte sia il termine “Luce”, sia la parola “Gloria”. Perfino il Prefazio della Messa conclude con la gloria di Dio, che si realizza nel Verbo incarnato, che è la via, la verità e la vita per ogni uomo. L’epistola (Tito 2,11 – 3,2) pare che lasci alle spalle il mistero 45


dell’Incarnazione, compresa l’Epifania, e arrivi subito alla pratica. Ci invita a porci una domanda di vita: È giusto contemplare l’Incarnazione, fino all’Epifania, ma a noi che cosa chiede: quanto, come, quando ci chiama in causa? Che cosa è la “vita nuova” che ci ha donato il Natale? Risponde S. Paolo nella lettera a Tito: «Carissimo, è apparsa infatti la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore, Gesù Cristo». Al termine dell’epistola scende ancora più nella concretezza pratica: «Ricorda loro di essere sottomessi alle autorità che governano, di obbedire, di essere pronti per ogni opera buona; di non parlare male di nessuno, di evitare le liti, di essere mansueti, mostrando ogni mitezza verso tutti gli uomini». S. Paolo VI si fa portavoce di questa esigenza e afferma: la fede non va solo conservata, ma occorre essere fedeli ogni giorno, nella vita feriale, alla fede professata: «Non basta “custodire” questo deposito (la fede). Così avevano fatto anche i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo riuniti da Erode: essi risposero senza errore alla richiesta di informazione giunta dai Magi. Ma essi non vissero la responsabilità che derivava loro da questa conoscenza di fede: non si lasciarono interpellare da questa “conoscenza”, non si mossero, non andarono alla ricerca di colui che l’antica profezia annunciava; si accontentarono di ammettere la verità della fede senza ripensarla, di conservarla senza viverla. Ma non può, non deve essere così per chi si lascia trasformare dalla festa dell’Epifania» (D. Tettamanzi, Paolo VI, San Paolo, p. 88) Il Vangelo (Mt 2, 1-12) riporta il racconto che tutti conosciamo: l’adorazione dei Magi. Rimando al commento poco sopra sui personaggi dell’Epifania. Una conclusione adeguata sull’Epifania ce la offre ancora il Card. Biffi: «L’Epifania è il giorno in cui siamo chiamati a contemplare la realtà stupefacente di un Dio che decide di arrivare fino a noi col suo fulgore, si rivela agli occhi umani, si rivela alla nostra comprensione e alla nostra affettuosa contemplazione. È dunque il lieto annuncio che le molte oscurità che intristiscono la nostra esistenza sono dissipate e vinte da una luce dall’alto. Questa è la bella notizia dell’Epifania: “i giorni infausti e brevi” che trascorriamo quaggiù, li sappiamo ormai illuminati da un superiore destino di gioia che li congloba e li trascende. È, come si vede, la grande festa della “manifestazione di Dio”. Ci avvediamo subito che quella odierna non è, in fondo, 46


una celebrazione diversa da quella del Natale. È piuttosto una sua chiarificazione e un suo intrinseco compimento» (ibidem, p. 108 s). Davvero l’Epifania è la festa della fede, della luce che viene dall’Alto, ma non tutti gli uomini, forse ancor più quelli di oggi, sono pronti o disposti a lasciarsi inondare da questa Luce. In una ampia e profonda omelia nella solennità dell’Epifania, l’Arcivescovo Montini, poi Paolo VI, chiedeva ai milanesi: «Quale stella potrebbe guidare oggi a Cristo gli uomini? (…) È possibile che il Vangelo abbia perduto la sua virtù illuminatrice? No, certo. E come allora presentarlo allo sguardo sfuggente dell’uomo moderno? Toccherà alla Chiesa docente, all’apostolato cristiano, al maestro di religione e al missionario studiare il modo di proporzionare il suo linguaggio alla capacità recettiva della mentalità attuale per farle godere la fortuna e la gioia dell’incorruttibile verità. Ed è interessante la questione dei segni dimostrativi della religione anche per la Chiesa e per il popolo di oggi, che ancora è suscettibile di vibrazioni spirituali e di richiami cristiani. Potremmo fortunatamente fare un elenco di fatti, che ancora parlano come segni del misterioso mondo religioso. (…) Lo Spirito Santo vibra ancora nel tessuto dell’esperienza umana, e di tanto in tanto ferisce con la sua luce amorosa il cuore degli uomini, specialmente se questi sono in uno stato di “buona volontà”, cioè di retto e onesto impiego delle loro facoltà spirituali» (Paolo VI, Non temete più, Interlinea, p. 148). Chiediamo allo Spirito che ci doni la capacità di cogliere, come i Magi, i “segni” dell’Emmanuele tra noi per la Chiesa e per il mondo di oggi. Mi piace chiudere questa riflessione con una elevazione di S. Giovanni Paolo II del Natale 1978: «“Gloria a Dio nel più alto dei cieli”./ Dio si è avvicinato./ È in mezzo a noi. È l’uomo./ È nato a Betlemme,/ giace nella mangiatoia/ perché non c’era posto per lui nell’albergo./ Il suo nome: Gesù! La sua missione: Cristo!.../ È “padre per sempre” “Pater futuri saeculi” Princeps pacis”;/ e, nonostante che duemila anni/ ci separino dalla sua nascita,/ egli è sempre davanti a noi/ e sempre ci precede./ Dobbiamo “corrergli dietro”,/ e cercare di raggiungerlo./ È la nostra pace!/ La pace degli uomini!/ la pace per gli uomini, che egli ama. Dio si è compiaciuto dell’uomo per Cristo./ L’uomo non lo si può distruggere;/ non è permesso umiliarlo;/ non è permesso odiarlo!/ Pace agli uomini di buona volontà».

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IL BATTESIMO DI GESÙ La chiamerei “domenica cerniera”: oggi si conclude tutto il “Tempo natalizio”, e nella stessa domenica inizia il “Tempo ordinario”. La conferma ce la danno le letture: le prime due sono le stesse in tutti e tre gli anni liturgici: anno “A”, anno “B”, anno “C”. Il Vangelo narra sempre il Battesimo di Gesù, ma cambia ogni anno il vangelo da cui è preso il brano: Matteo, Marco, Luca. La varietà dei brani evangelici ci suggerisce che oramai si entra nel ciclo triennale delle letture domenicali. Questa non è una domenica secondaria, di poco valore. Già l’orazione iniziale della Messa con due parole afferma: il Bambino Gesù che abbiamo celebrato con solennità nel Tempo natalizio è Dio, il Figlio amato dal Padre. Noi dobbiamo accoglierlo e vivere di conseguenza.: «O Padre, che nel battesimo del Giordano con l’autorità della tua voce e la discesa dello Spirito ci hai presentato solennemente il Signore Gesù come l’Unigenito che tu ami, dona a chi, rigenerato dall’acqua e dallo Spirito, è diventato tuo Figlio, di vivere senza smarrimenti secondo il tuo disegno di amore». Sono passati trent’anni dalla nascita di Gesù: il Tempo natalizio ci ha detto chi è Gesù Bambino. Dal suo battesimo la liturgia aggiunge: Perché si è fatto uomo? Qual è la sua missione? E noi che cosa dobbiamo fare per vivere il mistero dell’Incarnazione? Inoltre: che cosa ci dà il nostro battesimo? LE LETTURE La prima lettura (Is 55, 4-7) fa risuonare l’insegnamento dei Magi: l’opera di Cristo Salvatore riguarda tutti i popoli, perché Dio lo vuole: «Ecco, l’ho costituito testimone fra i popoli, principe e sovrano sulle nazioni». Pare che il profeta Isaia voglia riconfermare il valore dell’Epifania: i Magi sono un simbolo, indicano tutti i popoli, che riconoscono che Gesù Bambino è Dio ed è IL VIVENTE. 48


L’epistola (Ef 2, 13-22) insegna che un frutto dell’opera di Cristo Redentore sarà la PACE tra tutti i popoli. S. Paolo si riferisce espressamente alle divisioni tra il popolo d’Israele e gli “altri”, ossia i non ebrei. «In Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che dei due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne. Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, eliminando in se stesso l’inimicizia». Non cerchiamo in queste due letture un riferimento al Battesimo di Gesù. Ancora una volta la Parola di Dio, ascoltata con fede nell’Eucaristia, ci illumina sulle verità fondamentali, tutte riferentesi a Gesù Cristo, che noi abbiamo contemplato e adorato nel Bambino Gesù. Aveva proprio ragione S. Ambrogio: «Cristo è il tutto per noi»: la nostra vita ha valore in Cristo, siamo stati creati in Lui, tendiamo a Lui, contempliamo il volto di Dio solo nel volto di Cristo! Il Vangelo, nelle diverse formulazioni a seconda degli evangelisti, ripresenta il Battesimo di Gesù. Per tutti e tre gli anni vale la formulazione di Matteo: «Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento». Dunque: Gesù Bambino, Gesù che predica e opera miracoli, Gesù che muore in croce e risorge, è veramente Dio! Lo attesta, lo conferma lo Spirito Santo. Forse una tale conclusione ci invita a tener ben presente in tutto lo scorrere dell’anno liturgico questa fondamentalissima verità. E il mio, il nostro battesimo?! Mi basta un costatazione: per il battesimo che ho ricevuto in Spirito Santo e fuoco, io sono di Cristo, appartengo a Lui, e vivo IN CRISTO!, divento “cristocentrico”, secondo il grido di S. Paolo: «Ora non sono più io che vivo: è Cristo che vive in me!» (Galati 2, 20). 49


N.B. Mi permetto di concludere le riflessioni sul Natale riportando una mia lettera di auguri natalizi a parenti, amici, e a tanti altri. È vero: è una lettera datata (è del 2014), però la ritengo attualissima, forse con qualche accentuazione problematica in più. La luce c’è: è GESÙ BAMBINO Carissimo/a, Dove stiamo andando? Il 2014 è uno degli anni più bui, più tristi, non solo di questi primi anni del terzo millennio. L’elenco dei guai è lungo, come ci testimonia ogni giorno la TV. Davvero ci si chiede: che vita è quella che stiamo vivendo? Perfino le luminarie lungo le strade sono diminuite… per ovvi motivi. Forse mi sbaglio, ma io vedo troppa tristezza sui volti, facce annoiate e occhi che non brillano di gioia. C’è buio nei cuori! Per contrastare un tale grigiore, io dico spesso e ad alta voce che sono un prete felicissimo. Ed è vero! Nel buio non vediamo la strada; tanto meno vediamo la meta delle nostre scelte quotidiane e della vita. Col buio corriamo il rischio di inciampare nei sassi e cadere in qualche buca… pericolosa. Ci vuole la luce! Una luce non artificiale, fatta da noi uomini; una luce vera, autentica, che non si lascia mai offuscare; insomma una luce che scenda dall’Alto. Una luce che ci permetta di vedere le cose belle, i colori, i fiori, e che ci faccia sorridere. Soprattutto, senza luce non potremmo ammirare il volto umano e gli occhi delle persone amate. Sì, è la luce che suscita lo stupore nel cuore e che, nonostante i guai, ci fa gridare: È bella la vita! Ti pare poco?! Inoltre, quanto più la luce è forte e diretta, senza diaframmi, tanto più è fonte di gioia. Sarebbe una società viva, gioiosa, certamente positiva, se ciascuno di noi diventasse una luce vivente, che necessariamente si diffonde agli altri. Questa luce c’è! È Gesù Bambino, il Dio Verità e Amore, fatto uno di noi, proprio uomo come noi, con le nostre aspirazioni e gioie; ma che ha condiviso anche le fatiche, le delusioni e i dolori di ogni uomo vivente. Il Natale, che celebriamo in questi giorni, rende storicamente attuale ed efficace l’Incarnazione del Verbo 50


Verità e Amore, per noi uomini di oggi, che soffriamo per il buio della mente e del cuore, quindi della vita. Per fortuna, tra pochi giorni, a Natale, la Luce vera, Gesù, si renderà davvero e (spero) efficacemente presente ancora nella nostra storia, soprattutto nelle nostre famiglie. Salutiamolo così: bentornato Natale! Cantiamo insieme: Gesù, vieni ancora e subito! Abbiamo assolutamente bisogno di Te anche oggi, per conoscere, per sperare, per gioire del bene che si compie oggi nel mondo, per vivere e per dare uno scopo dignitoso alla vita, uno scopo… al di là del mio “naso”. Grazie, Gesù Bambino; ridonaci la gioia, il sorriso, lo stupore e tanta speranza. Addirittura donaci un motivo… trascendente di vita. Ti attendiamo, Gesù. E ti faremo festa nella Notte Santa. Don Luigi prete felicissimo

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COLLANA GOCCE EUCARISTIA – Memoriale e segno (2012)

QUARESIMA AMBROSIANA – Vangeli delle domeniche (2012)

SEGUIMI – Spunti di vita cristiana (2013)

PASQUA – Memoriale della Redenzione (2014)

COME – Lo stile del cristiano (2014)

CHI SEI? – L’uomo nella Bibbia (2015)

FELICI SE… (2016)

La Sua e la mia VIA CRUCIS (2017)

PAROLE PARLANTI (2018)

PARTECIPIAMO! (2019)

IO, O NOI? (2020)

PAROLE LUMINOSE (2021)

NATALE – Memoriale dell’Incarnazione (2021)

Puoi trovarli anche su www.issuu.com


Pro manuscripto

Finito di stampare nel novembre 2021





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LA MESSA DI CAPODANNO .................................................. pag

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DOMENICA DOPO L’OTTAVA .............................................. pag

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LE LETTURE ........................................................................... pag

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EPIFANIA ................................................................................. pag

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I PERSONAGGI DELL’EPIFANIA ........................................... pag

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GESÙ È LA LUCE .................................................................... pag

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DOPO NATALE ...................................................................... pag

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IL NATALE È PER LA PASQUA.............................................. pag

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INCARNAZIONE E NATALE .................................................. pag

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