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AVVENTO È ATTESA ............................................................. pag

diamo cioè lo spazio in cui si realizza, si storicizza, il piano di Dio, presente in Lui dall’eternità.

Lo afferma S. Paolo VI: «la successione del tempo non ha talvolta un semplice significato cronologico, ma acquista un senso profetico, indica il compiersi di un disegno divino».

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Pensiamo ad alcuni esempi evangelici: – penso alla donna Samaritana. Gesù le dice: «Viene l’ora, ed è questa, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità» (Gv 4, 23); – a Cana Gesù dice quasi bruscamente alla Madre: «Non è ancora giunta la mia ora» (Gv 2, 4); – un altro riferimento in Giovanni: «Gesù, alzati gli occhi al cielo, disse: “Padre, è giunta l’ora, glorifica il Figlio tuo, affinché il Figlio glorifichi Te» (Gv 17).

In questi esempi Gesù usa la parola “ora”, che è una precisazione del “tempo”. I due termini hanno di fatto lo stesso valore.

AVVENTO È ATTESA

Vengo subito al concreto ponendo due domande: Che valore ha l’Avvento? Come vivere l’Avvento?

L’Avvento è tempo di preparazione a un incontro speciale: con “il Cristo”, che è addirittura Dio, oltre che uomo! Più precisamente l’Avvento ci aiuta ad accogliere in noi, personalmente e comunitariamente, il Cristo, il Figlio di Dio, che accetta di condividere la nostra limitatezza, le nostre debolezze, e lo ha fatto per solo amore per noi.

Per vivere questa attesa, questa preparazione, è necessario innanzitutto che io prenda coscienza che Gesù non è o non è sufficientemente presente nella mia vita e nella comunità cristiana. Da qui deriva che il primo elemento dell’Avvento è il senso della mia e della nostra povertà umana, spirituale, e la coscienza del peccato, che è l’estrema povertà morale, perché è il libero rifiuto di Dio. Una tale consapevolezza ci invita all’attesa dell’“Assente”, che è il Cristo.

Dall’attesa di Gesù derivano due atteggiamenti fondamentali, che quasi costituiscono l’Avvento in sé; sono il desiderio e la

speranza.

DESIDERIO

All’inizio – dicevo – ci deve essere la coscienza di essere peccatori e “mancanti” di tante necessità per la nostra felicità e pienezza di vita. Il senso “doloroso” del limite umano è necessario per aprire il cuore a un “al di là”, a una situazione che vada oltre l’incompletezza e la sofferenza del momento attuale. È proprio questa presa di coscienza che fa nascere in noi il “desiderio” di qualcosa, o di Qualcuno che ci aiuti ad andare oltre il momento attuale di difficoltà, che ci aiuti a colmare il vuoto che sperimentiamo in noi.

“Desiderio” è una parola, per me, formidabile ed indispensabile per un autentico Avvento. Un vero maestro di vita spirituale dava questa spiegazione della parola “desiderio”: è un’esigenza insopprimibile, e spesso sofferta, di un bene per me indispensabile. Personalmente la condivido appieno. Se poi questo bene è Qualcuno, è nientemeno che il Dio fatto uomo per noi; se è Gesù Cristo, la parola “desiderio” acquista un valore assoluto, totalizzante per la vita. Allora l’Avvento è innanzitutto un bene interiore e richiede di essere vissuto dentro di noi, nel cuore.

SPERANZA

L’Avvento è il tempo liturgico della speranza. Non è solo per i bambini, che vengono captati e talvolta condizionati dalle varie forme di pubblicità a cui interessa solo il fare soldi. Non è nemmeno un tempo principalmente o solo per i sentimenti. È naturale provare gioia ed emozione per la nascita di un bambino, che è sempre un bel bambino, almeno per i genitori. Scrive l’Arcivescovo di Milano, Mons. Mario Delpini: «Siamo condizionati in molti modi a vivere questo periodo dell’anno liturgico come un tempo orientato ad alimentare buoni sentimenti per una sorta di regressione generalizzata, infantile, provvisoria e consumistica. È necessaria una certa lucidità e fortezza per resistere alla pressione esercitata da molte agenzie alleate per la banalizzazione del mistero dell’Incarnazione» (M. Delpini, La situazione è occasione, Centro Ambrosiano, p. 46).

L’Avvento ci protende verso il futuro, un futuro che sarà certamente bello: sarà il ritorno e l’incontro con Cristo glorioso. Sarà il momento della nostra piena e felice realizzazione, sarà la gloria del Paradiso.

Il futuro a cui tendiamo non è una semplice aspettativa, ma

una speranza, la quale è certezza, è figlia della fede. Scrive ancora Mons. Delpini: «L’orientamento al futuro è una dimensione irrinunciabile del vivere. C’è però differenza tra vivere di aspettative e vivere di speranza. L’aspettativa è frutto di una previsione, di programmazione, di progetti: è costruita sulla valutazione delle risorse disponibili e sulla interpretazione di quello che è desiderabile; l’aspettativa spinge avanti lo sguardo con cautela per non guardare troppo oltre, circoscrive l’orizzonte a quello che si può calcolare e controllare (…). La speranza è la risposta alla promessa, nasce dall’accogliere la Parola che viene da Dio e che si è rivelata nel Suo Figlio Gesù come Padre misericordioso…» (ibidem, pag 44 s).

Le letture domenicali, specialmente le prime di ogni domenica, pare che trattino tutte un solo argomento: la speranza. Anche da un punto di vista puramente umano la speranza dice futuro, progetti, impegno: è la forza che mette le ali ai piedi e ci mette in cuore una gioia pregustata che ci spinge ad uscire dal momento presente e rende sempre bello il nostro personale futuro. Anche il grande G. Leopardi ha cantato lo stato d’animo dell’attesa, che è speranza. Rileggiamo Il sabato del villaggio.

Qui invece parliamo di speranza, non intesa semplicemente come valore umano, ma di Speranza come virtù teologale, fondata sull’Incarnazione del Verbo. Quindi si tratta di una speranza che va oltre la vita terrena e tende alla felicità del Paradiso, quella che non finirà mai.

Non mi è possibile commentare le singole letture; mi limito a qualche accenno e invito a leggerle per intero e a riflettere seriamente applicandole alla nostra situazione di oggi. Ecco qualche spunto.

La prima lettura della II domenica dell’anno “B” ci suggerisce: «Non temete l’insulto degli uomini, non vi spaventate per i loro scherni: le tarme li roderanno come una veste e la tignola li roderà come lana, ma la mia giustizia durerà per sempre, la mia salvezza di generazione in generazione. (…) Ritorneranno i riscattati dal Signore e verranno in Sion con esultanza, felicità perenne sarà sul loro capo, giubilo e felicità li seguiranno, svaniranno afflizioni e sospiri. Io, io sono il vostro consolatore» (Is 51, 7-12).

La prima lettura della III domenica dell’anno “B” è ancora più incisiva: «la mia giustizia è vicina, si manifesterà la mia salvezza (...). Ma la mia salvezza durerà per sempre, la mia giustizia non verrà distrutta» (Is 51, 1-6).

Dopo il vangelo della IV domenica dell’anno “B”: «Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un salvatore potente, per te esulterà di gioia» (Sof 3, 16-17)

La prima lettura della III domenica dell’anno “A” continua sul tema della speranza, fonte di gioia: «Felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto (…). Coraggio, non temete» (Is 35, 1-10).

Per concludere, ascolta la prima lettura della IV domenica dell’anno “A”: «Ecco il vostro Dio! Ecco, il Signore Dio viene con potenza, il suo braccio esercita il dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede. Come un pastore (…) porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri» (Is 40, 1-11).

La liturgia dell’Avvento, quindi, ci invita a non guardare alla solennità del giorno di Natale, solo a quel giorno di 24 ore: spinge il nostro sguardo al futuro, a un futuro senza limite di tempo. Il Natale è solo il primo atto dell’avverarsi di questo futuro senza limite, è la realizzazione storica dell’inizio di un tale futuro, che sarà tutta felicità e gioia, perché Dio è fedele alle sue promesse, che consistono nell’Alleanza con Israele. Perciò il Natale non si esaurirà in un sol giorno, addirittura non finirà mai, perché Dio, nel Figlio, sarà sempre con noi come continua incarnazione realizzata. Così il Natale, visto in questa ottica, ci aprirà al futuro senza termine; in altre parole, ci aprirà al Paradiso, perché solo là, finalmente, vivremo la vera felicità: in Dio!

E oggi? È forse la prima necessità per la società attuale. Se manca la speranza, si muore per soffocamento. Oggi sono in aumento i depressi; oggi sono molti, troppi i suicidi, proprio perché c’è poca speranza. Un mondo senza speranza è statico, è bloccato su se stesso, è fermo. S. Ambrogio scrive: «Togli al pilota la speranza di arrivare alla meta ed egli vagherà incerto tra i flutti. Togli al lottatore la corona e questi giacerà inerte nello stadio. Togli al pescatore la capacità di catturare i pesci: egli cessa di gettare le reti».

Il nostro tempo tende a una speranza solo terrena. Affermava S. Paolo VI: «Oggi l’uomo, quando spera, spera in se stesso. Un umanesimo nuovo, sognato, mitizzato sostiene le speranze del mondo; lo incanta, lo muove, lo esalta». E il vescovo Masseroni sviluppa questo pensiero dicendo: «È fuori dubbio che oggi è proprio la speranza la virtù più in crisi… La depressione è la patologia più diffusa nel mondo occidentale contempora-

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