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LE LETTURE ........................................................................... pag

ERODE

Una presentazione “reale” di questo despota ce la offre ancora una volta G. Biffi: «Erode è stato un personaggio feroce, che non esitava ad uccidere i suoi parenti e perfino i suoi figli; era un despota assoluto, che riteneva tutto consentito alla sua personale volontà di godere; era un politico astuto e ambizioso, che adulava i potenti e infieriva sui deboli». Il Cardinale commenta in modo sagace anche il “Tempo di Erode”: «Il tempo di Erode è il tempo in cui si uccide la vita innocente e indifesa, perché ostacola i progetti individuali di tranquillità e di agio; è il tempo in cui l’uomo ritiene di poter infrangere o mutare a suo piacimento le leggi di comportamento che il Signore ha iscritto indelebilmente nei cuori; è il tempo in cui si insegue non ciò che è giusto e nobile, ma solo ciò che è vantaggioso e permette di raggiungere ricchezza, potere, notorietà… È un po’ sempre il tempo di Erode. È un po’ sempre il tempo dell’apparente vittoria del male e della menzogna…» (ibidem, pag. 40)

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Certamente noi non siamo come Erode; però possiamo riconoscere che ci impegniamo a imitare i Magi, o almeno a ispirarci a loro?

LE LETTURE

Le prime due letture non accennano ai Magi, però il Salmo canta il frutto dell’Epifania: «Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra…» (Salmo 71). La prima lettura (Isaia 60, 1-6) non tratta gli aspetti… “di cuore” dell’Epifania, quelli legati al sentimento e alle manifestazioni popolari. Va al nocciolo del mistero dell’Epifania e del Natale; va al motivo fondamentale: la gloria di Dio. È questo, come ho detto in un’altra parte della riflessione, il vero fine dell’Incarnazione del Figlio di Dio. È necessario ogni tanto approfondire di nuovo questa verità.

L’altro motivo – aggiunge Isaia – è la LUCE, il tema preferito dall’evangelista Giovanni. Il Cristo – afferma – è la luce indispensabile per l’uomo; è Lui che si oppone alle tenebre, il regno del diavolo e dei peccati. Nella prima parte della lettura troviamo ben tre volte sia il termine “Luce”, sia la parola “Gloria”. Perfino il Prefazio della Messa conclude con la gloria di Dio, che si realizza nel Verbo incarnato, che è la via, la verità e la vita per ogni uomo.

L’epistola (Tito 2,11 – 3,2) pare che lasci alle spalle il mistero

dell’Incarnazione, compresa l’Epifania, e arrivi subito alla pratica. Ci invita a porci una domanda di vita: È giusto contemplare l’Incarnazione, fino all’Epifania, ma a noi che cosa chiede: quanto, come, quando ci chiama in causa? Che cosa è la “vita nuova” che ci ha donato il Natale? Risponde S. Paolo nella lettera a Tito: «Carissimo, è apparsa infatti la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore, Gesù Cristo». Al termine dell’epistola scende ancora più nella concretezza pratica: «Ricorda loro di essere sottomessi alle autorità che governano, di obbedire, di essere pronti per ogni opera buona; di non parlare male di nessuno, di evitare le liti, di essere mansueti, mostrando ogni mitezza verso tutti gli uomini». S. Paolo VI si fa portavoce di questa esigenza e afferma: la fede non va solo conservata, ma occorre essere fedeli ogni giorno, nella vita feriale, alla fede professata: «Non basta “custodire” questo deposito (la fede). Così avevano fatto anche i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo riuniti da Erode: essi risposero senza errore alla richiesta di informazione giunta dai Magi. Ma essi non vissero la responsabilità che derivava loro da questa conoscenza di fede: non si lasciarono interpellare da questa “conoscenza”, non si mossero, non andarono alla ricerca di colui che l’antica profezia annunciava; si accontentarono di ammettere la verità della fede senza ripensarla, di conservarla senza viverla. Ma non può, non deve essere così per chi si lascia trasformare dalla festa dell’Epifania» (D. Tettamanzi, Paolo VI, San Paolo, p. 88)

Il Vangelo (Mt 2, 1-12) riporta il racconto che tutti conosciamo: l’adorazione dei Magi. Rimando al commento poco sopra sui personaggi dell’Epifania.

Una conclusione adeguata sull’Epifania ce la offre ancora il Card. Biffi: «L’Epifania è il giorno in cui siamo chiamati a contemplare la realtà stupefacente di un Dio che decide di arrivare fino a noi col suo fulgore, si rivela agli occhi umani, si rivela alla nostra comprensione e alla nostra affettuosa contemplazione. È dunque il lieto annuncio che le molte oscurità che intristiscono la nostra esistenza sono dissipate e vinte da una luce dall’alto. Questa è la bella notizia dell’Epifania: “i giorni infausti e brevi” che trascorriamo quaggiù, li sappiamo ormai illuminati da un superiore destino di gioia che li congloba e li trascende. È, come si vede, la grande festa della “manifestazione di Dio”. Ci avvediamo subito che quella odierna non è, in fondo,

una celebrazione diversa da quella del Natale. È piuttosto una sua chiarificazione e un suo intrinseco compimento» (ibidem, p. 108 s).

Davvero l’Epifania è la festa della fede, della luce che viene dall’Alto, ma non tutti gli uomini, forse ancor più quelli di oggi, sono pronti o disposti a lasciarsi inondare da questa Luce. In una ampia e profonda omelia nella solennità dell’Epifania, l’Arcivescovo Montini, poi Paolo VI, chiedeva ai milanesi: «Quale stella potrebbe guidare oggi a Cristo gli uomini? (…) È possibile che il Vangelo abbia perduto la sua virtù illuminatrice? No, certo. E come allora presentarlo allo sguardo sfuggente dell’uomo moderno? Toccherà alla Chiesa docente, all’apostolato cristiano, al maestro di religione e al missionario studiare il modo di proporzionare il suo linguaggio alla capacità recettiva della mentalità attuale per farle godere la fortuna e la gioia dell’incorruttibile verità. Ed è interessante la questione dei segni dimostrativi della religione anche per la Chiesa e per il popolo di oggi, che ancora è suscettibile di vibrazioni spirituali e di richiami cristiani. Potremmo fortunatamente fare un elenco di fatti, che ancora parlano come segni del misterioso mondo religioso. (…) Lo Spirito Santo vibra ancora nel tessuto dell’esperienza umana, e di tanto in tanto ferisce con la sua luce amorosa il cuore degli uomini, specialmente se questi sono in uno stato di “buona volontà”, cioè di retto e onesto impiego delle loro facoltà spirituali» (Paolo VI, Non temete più, Interlinea, p. 148).

Chiediamo allo Spirito che ci doni la capacità di cogliere, come i Magi, i “segni” dell’Emmanuele tra noi per la Chiesa e per il mondo di oggi.

Mi piace chiudere questa riflessione con una elevazione di S. Giovanni Paolo II del Natale 1978: «“Gloria a Dio nel più alto dei cieli”./ Dio si è avvicinato./ È in mezzo a noi. È l’uomo./ È nato a Betlemme,/ giace nella mangiatoia/ perché non c’era posto per lui nell’albergo./ Il suo nome: Gesù! La sua missione: Cristo!.../ È “padre per sempre” “Pater futuri saeculi” Princeps pacis”;/ e, nonostante che duemila anni/ ci separino dalla sua nascita,/ egli è sempre davanti a noi/ e sempre ci precede./ Dobbiamo “corrergli dietro”,/ e cercare di raggiungerlo./ È la nostra pace!/ La pace degli uomini!/ la pace per gli uomini, che egli ama. Dio si è compiaciuto dell’uomo per Cristo./ L’uomo non lo si può distruggere;/ non è permesso umiliarlo;/ non è permesso odiarlo!/ Pace agli uomini di buona volontà».

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