11 minute read

INCARNAZIONE E NATALE .................................................. pag

INCARNAZIONE E NATALE

Un’esigenza si impone: in tutto il Tempo natalizio, dall’Avvento al Battesimo di Gesù, devo sempre tener presente e celebrare innanzitutto il mistero dell’Incarnazione. Perfino la solennità del Natale è la manifestazione gioiosa e solenne della realizzazione della Incarnazione nella e mediante la nascita di Gesù Bambino. Allora oserei dire che a ben riflettere il momento centrale e il motivo vero della gioia del Natale, la liturgia ambrosiana (che ha ben sei domeniche di Avvento) la celebra nella sesta domenica di Avvento. Infatti qui celebriamo la festa dell’Incarnazione e, quindi, della Divina Maternità di Maria. E si usa il colore bianco, segno della solennità. A me pare che tutto questo sia perfettamente logico. Il Natale è in sé la manifestazione visibile, è la esplosione della gioia perché in Gesù Bambino si realizza davvero, concretamente e in modo sperimentabile l’Incarnazione del Verbo, del Figlio di Dio. Nel Tempo natalizio tutte le volte che festeggiamo Gesù Bambino dobbiamo vedere in filigrana il realizzarsi dell’Incarnazione. È questo il vero motivo della gioia della Chiesa: adesso Dio è davvero con noi, per noi! Altrimenti il Natale resterebbe una festa puramente umana, e spesso condizionata dal nostro sentimento.

Advertisement

Riprendo il discorso del “memoriale”.

Per celebrare in modo degno la solennità gioiosa del Natale, quindi dell’Incarnazione del Figlio di Dio, la liturgia ci chiede di rivivere il “memoriale” dell’Incarnazione in tutti e tre gli elementi di un memoriale, che è, ripeto, una parola tipicamente liturgica. Ricordo che ogni “memoriale” comprende sempre questi elementi: Ricordo – Rinnovazione – Preparazione.

RICORDO

Il primo aspetto di un “memoriale” è il ricordo di un evento della vita di Gesù. Si tratta di richiamare alla mente quello che è avvenuto in un determinato e preciso momento della vita di Gesù. Però non è solo un richiamare alla mente: occorre rimettersi in quella situazione, in quel preciso momento e luogo. Se è possibile, siamo invitati a guardare Gesù e cercare di indovinare i suoi sentimenti, le circostanze e il fine di quanto ha vissuto in quella situazione.

Questo aspetto del “memoriale” lo viviamo ascoltando e rivivendo le letture al riguardo. Pertanto le letture hanno una grande importanza e acquistano un valore… sacramentale, perché fanno parte necessaria dell’azione liturgica. È molto facile e piacevole fermarci a questo primo aspetto. Anzi, mi pare che normalmente ci fermiamo solo a questo elemento, quello del ricordo, come se tutto finisse lì. Gli altri due aspetti li percepiamo meno, quasi li trascuriamo perché non c’è nulla da ascoltare o vedere.

Un’ultima osservazione: il verbo “ricordare” contiene la parola “cor”, il cuore. Questa nota ci dice che, per rivivere un memoriale, non possiamo fermarci alla memoria di quel fatto della vita di Gesù, ma chiama in causa il cuore: si ricorda con il cuore e anche, in parte, con i sentimenti, altrimenti sarebbe solo un fatto esterno a me. Forse è questo il motivo della gioia, molto sensibile, quando “ricordiamo” il Natale di Gesù. Dunque, non limitiamoci a “sentire” le letture che la liturgia ci propone: bisogna ogni volta rimetterci in gioco con tutta la persona.

RINNOVAZIONE

Quello del “memoriale” come “rinnovazione” è l’aspetto che a noi interessa di più, che ci interpella ogni anno e che ci coinvolge sempre.

L’Incarnazione annuale celebra il Dio-con-noi, l’Emmanuele. Certo, ricorda un fatto storico, la nascita di Gesù, dell’Uomo-Dio. Sappiamo che la celebrazione del Natale di Gesù non è solo un “ricordo”: è addirittura la nascita di Gesù che si attualizza nel tempo; proprio quella nascita che è avvenuta più di 2000 anni fa in un preciso luogo, a Betlemme. Questo fatto non si ripeterà mai più nella storia. Però ogni anno, a Natale, si rinnovano gli effetti di quel prodigio, come se si verificasse oggi. Quindi, l’Incarnazione del Figlio di Dio è un continuo divenire, è sempre “attuale”, è legata alla storia che si realizza nel tempo. Insomma, l’Incarnazione non è solo un fatto del passato: è un fatto “dinamico”, che trascende lo scorrere del tempo. In altre parole: il Verbo si rende efficacemente presente nei vari momenti della storia, nei vari e diversi problemi storici, per dire agli uomini di quel tempo, di ogni tempo: «Sono con te, ti sono vicino, conosco le tue difficoltà e ti aiuto sempre, perché non posso e non voglio abbandonarti».

Allora, tutto quello che ho detto nel primo momento di questo memoriale si attualizza ancora, diventa attuale, di adesso, proprio come se il Natale di Gesù (ossia l’attuazione storica della Incarnazione) si realizzasse proprio adesso, per noi uomini che viviamo adesso, con le nostre difficoltà e i nostri problemi di oggi, diversi da quelli degli altri tempi. Adesso, proprio oggi, Gesù, il DioUomo, è al nostro fianco, come allora, anche se ora lo è in modo non tangibile, non visibile. Lo stesso Gesù di allora è qui per noi, per liberarci dai peccati … nostri, ma anche per aiutarci nelle difficoltà di oggi, compresi i bisogni materiali e fisici. Ecco il perché dei miracoli compiuti da Gesù; miracoli soprattutto di guarigioni fisiche: Gesù si interessa di tutta la persona.

Dio è con noi, anche se non lo vediamo con gli occhi del corpo. Dio è con me! Realmente, anche se non lo posso toccare con le mani! Ci credo davvero, oppure affronto la mia vita senza ricorrere mai a Lui, senza “disturbare” Gesù?

Dunque: in forza della celebrazione liturgica (ossia: ecclesiale) il Dio-uomo, il Figlio incarnato, è operante nella Chiesa di oggi e nella mia vita di ogni giorno. Ci penso qualche volta? Lo interpello? Mi sento al sicuro con Lui? Oppure mi “arrabatto” da solo, pensando di essere capace di risolvere tutti i miei problemi con le mie capacità? Quindi, sono fiducioso, “speranzoso” nelle mie fatiche? Dialogo qualche volta con Lui? Se rispondo di sì a queste domande, vuol dire che vivo davvero… da cristiano.

L’Incarnazione è frutto di amore. Il Figlio di Dio si è fatto uomo proprio perché Dio è amore e l’amore non può per natura sua rimanere chiuso in se stesso, ripiegato su se stesso (non sarebbe più amore, ma egoismo!). Come è bello pensare che Dio mi ama, mi pensa, mi cerca fino al punto di voler condividere la mia vita, felice e difficile nello stesso tempo. Dicevano gli antichi romani: «Amicitia aut pares invenit, aut pares facit». È vero: l’amicizia, e a maggior ragione l’amore, o si stabilisce tra persone uguali, oppure l’amore li rende uguali. Se questo vale anche nel mio rapporto con Gesù, per forza mi sento chiamato, addirittura… “liberamente costretto” a imitare Gesù verso gli altri. Occorre però che io viva l’amore di Gesù in modo concreto, non solo come proposito. Se poi penso che il battesimo mi ha “innestato” in Cristo, mi rendo conto che vivo “IN Lui”!

Una conseguenza: se il Verbo si è fatto uomo per amore nei confronti di noi uomini, si è donato completamente fino a dare la vita sulla croce solo per amore (!) deriva che quanto più vivo di amore, tanto più rendo attuale storicamente anch’io l’Incarnazione del Verbo, precisamente perché io vivo “IN Lui”. grazie al battesimo. Non ci spaventi una tale affermazione: riflettiamo e ci renderemo conto che è proprio così; e le conseguenze saranno innumerevoli.

Va bene celebrare liturgicamente il Natale di Gesù, rivivere il memoriale dell’Incarnazione di Dio; però, se non vivo l’amore verso il fratello (sia pure rispettando la mia identità), la celebrazione del Natale rimane un gesto di culto, ma non rendo attuale il mistero dell’Incarnazione. Ecco perché i grandi cristiani, i Santi di ogni epoca e di ogni stato di vita hanno resa attuale l’Incarnazione del Verbo nei vari momenti storici e nelle situazioni più disparate: tutti sono vissuti di amore.

A questo punto mi piace ricordare, tra gli innumerevoli esempi, il caso di una Santa che vedo emblematico di quanto ho scritto: l’Incarnazione del Verbo è questione di amore, e quanto più noi viviamo l’amore, tanto più facciamo rivivere nella storia l’ineffabile mistero del Dio-con-noi.

Parlo di S. Teresa Margherita Redi, vissuta meno di 23 anni a metà del Settecento. Fin da fanciulla fu dotata di intimità profonda con Dio, in particolare con il Sacro Cuore di Gesù. Grazie soprattutto alla sua guida spirituale, il suo papà Ignazio. A 16 anni sentì dentro di sé una voce chiara, speciale, che la conquista totalmente. Era S. Teresa d’Avila che la invitava a farsi carmelitana. Dopo varie difficoltà e una lunga attesa, Annina (così la chiamavano a casa sua) entra al Carmelo desiderosa di vivere tutta, tutta solo per Gesù, anzi IN Gesù. Pensava che al Carmelo avrebbe avuto solo, veramente solo, questo impegno. Invece, appena entrata e per tutta la sua breve vita (le mancavano meno di cinque anni di vita) dovette vivere con un solo impegno, non precisamente quello che da sempre desiderava: dovette svolgere a tempo pieno il compito di infermiera delle consorelle ammalate, ed erano non poche, tra cui una veramente fuori di testa. Una sola volta si lamentò: «Non ne posso più!». Di questa mancanza si accusò di fronte alla comunità. Alla fine la chiamarono addirittura: “la Suora infermiera”, altro che la contemplativa mistica.

Quale insegnamento mi ha dato S. Teresa Margherita?

Ecco la risposta: a) Dio si è incarnato solo per amore. E Teresa Margherita volle vivere solo di amore. b) Diversamente da quanto pensava, e sperava, per amore incondizionato per Gesù dovette vivere fino alla fine della vita al servizio puramente umano delle consorelle ammalate, non sempre facili da servire.

Vedo in S. Teresa Margherita Redi uno degli innumerevoli esempi di “attualizzazione” dell’Incarnazione: Dio si è fatto uno di noi, si è umiliato, solo per amore verso noi uomini, deboli e peccatori. Il modo più vero, più reale di rivivere anche oggi l’ineffabile mistero dell’Incarnazione è proprio amare: Gesù e quindi i fratelli.

PREPARAZIONE

È certamente l’aspetto meno presente nella celebrazione di un memoriale. Invece è il fine a cui ogni memoriale tende necessariamente, anche quello che stiamo approfondendo.

Preparazione a che cosa?

C’è una sola risposta: preparazione alla gloria finale di Dio, e alla nostra felicità in paradiso. Non ce ne può essere un altro! Ogni azione liturgica tende necessariamente, anche se implicitamente, a questo unico fine, in cui consiste la piena realizzazione, il completamento del piano di Dio, voluto da sempre, ancor prima della creazione del mondo.

Lo esprime efficacemente S. Paolo nella prima lettera ai cristiani di Corinto, al capitolo 15°. Anche le formule della consacrazione durante la Messa, tipiche del rito ambrosiano, terminano affermando questa verità: «Attenderete con fiducia il mio ritorno finché di nuovo verrò a voi dal cielo». Questo avverrà alla fine dei tempi quando riapparirà il Cristo glorioso. Se non fosse vero quanto ho scritto, la vita umana non sarebbe trascendente, ossia: che va oltre la morte. La vita sarebbe qualcosa di grande, di splendente, ma solo un bene naturale. Addirittura vorrebbe dire annullare i Novissimi, le ultime cose: Morte – Giudizio – Inferno – Paradiso. Non avrebbero più alcun significato, perché l’ultima parola anche per noi uomini sarebbe la morte

come per tutti gli animali. Come potremmo parlare di paradiso? di felicità eterna?

Rivivendo, attualizzando un memoriale, nel nostro caso quello luminoso dell’Incarnazione, ma vivendolo in tutti e tre gli aspetti, noi… facciamo un passo verso la gloria di Dio e verso la nostra felicità.

Senza l’aspetto della preparazione all’incontro con Cristo glorioso e giudice, penso che la nostra vita sarebbe almeno opaca, forse triste, perché tutto finirebbe con la morte. Non ci sarebbe più posto per la Speranza, che è per tutti la molla che ci fa vivere; perfino la parola “Speranza” non avrebbe più senso. Riascoltiamo un pensiero del santo papa Paolo VI: «C’è un domani che ci attende e verso il quale siamo incamminati. Se noi siamo dei seguaci di Cristo, dobbiamo avere gli occhi aperti e le anime tese verso questo domani, che può essere un domani immediato, come può essere un domani protratto nei secoli. Non è un inganno, non è un artificio, è che il Signore vuole che i Suoi siano tesi nella speranza. Vuole che siano alacri nella vigilanza e che non si adagino in questo ordine terreno e temporale, ma che sentano la precarietà di tutto quello che ci passa davanti, di tutto quello che avviene di questa storia…» (D. Tettamanzi, Paolo VI. San Paolo, p. 178).

Guai se non ci fosse stata l’Incarnazione del Verbo! Afferma il grande papa S. Paolo VI: «Così è il mistero dell’Incarnazione. Il Verbo di Dio, assumendo la natura umana in Cristo, diffonde in tutto il genere umano una capacità di vita nuova, che non si esaurisce col passare degli anni e dei secoli, ma come fonte perenne stimola l’umanità, ogni volta che di tale capacità fa la beata esperienza a risentirsi giovane, a osare un bene nuovo, a ricominciare da capo, a continuare con passo spedito il cammino della civiltà» (Paolo VI, Non temete più!, Interlinea, p. 46).

Mi auguro che, quando celebriamo festosamente il Natale, abbiamo a spingere l’occhio del cuore fino all’incontro finale con Cristo glorioso. È la preparazione al Paradiso che ci rende felici, o almeno ottimisti nella vita. Chiedo a me e anche a ciascuno di voi quanto è presente il pensiero e il desiderio del Paradiso. S. Filippo Neri rifiutò la berretta cardinalizia saltando e cantando: «Paradiso, Paradiso: preferisco il Paradiso!».

This article is from: