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NATALE .................................................................................... pag

NATALE

Oggi l’Incarnazione è storia!

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Il “Verbum caro” è realtà: ora il Figlio di Dio è anche uomo, uomo vero, proprio come noi. Per questo gli angeli cantano: Gloria a Dio! E gli uomini sperimentano di nuovo, finalmente, la gioia. Adesso l’amore di Dio si è fatto presente nella carne, storia, vivo come sempre, fin dalla eternità, ed è, come sempre e per tutti il VIVENTE! Nonostante anche oggi tanti non vogliono avere a che fare con Lui. Di fronte a un tale evento la mente umana si inchina: non può affatto capire. Però, lo accoglie e lo adora. Che mistero! Grazie, Dio Padre!

Come primo dono il Natale offre a noi uomini “impegnati a vivere” la gioia del cuore, non come quella che si pretende di trovare nelle “cose”, o nei risultati umani, mediante la nostra iniziativa. È una gioia senza tempo e non relegabile a uno spazio o a una situazione particolare. È un puro dono di Gesù Bambino, che è e che rimane Dio da sempre, anche se ha accettato di diventare “limitato” come noi. Ripeto, proprio come noi, ovviamente tranne che nel peccato. La gioia è frutto del Natale! Quante volte i testi delle Messe parlano della gioia! Scrive don Primo Mazzolari: «Dice l’Angelo ai pastori: “Non temete: perché, ecco, io vi annuncio una grande gioia che sarà di tutto il popolo” (…) Egli viene. E con lui che viene, viene la gioia. Se lo vuoi, ti è vicino: anche se non lo vuoi, ti è vicino. Ti parla anche se non gli parli: se non lo ami, egli ti ama ancora di più. Se ti perdi, viene a cercarti: se non sai camminare, ti porta. Se tu piangi, sei beato per lui che ti consola. Se sei povero, hai assicurato il Regno dei Cieli. Se hai fame e sete di giustizia, sei saziato. Se perseguitato per causa della giustizia, puoi rallegrarti ed esultare» (P. Mazzolari, Il Natale, Edizioni La Locusta, p. 27).

Don Mazzolari aggiunge che perfino la verità esige la gioia da parte degli annunciatori per essere accettata: «Il mondo è in cerca di gioia, più che di verità e di giustizia; se poi, per nostra colpa, la verità che proponiamo non è espansiva e letificante l’uomo, se chi la custodisce ha il volto arcigno del carceriere in luogo di quello ilare del donatore, non solo nessuno verrà a chiederci la verità, ma si chiuderà alla nostra proposta, temendo di

portarsi a casa un cruccio in più. Il mondo ha diritto di accorgersi che, con il Natale del Signore, la gioia è entrata nel mondo e che coloro che credono in lui, essendo capaci di gioia, lasciano intravvedere, nel loro imperfetto gaudio, la sorgente inesauribile della perfetta letizia» (ibidem, pp. 49 s).

Sì, la gioia; però S. Paolo VI afferma che è necessario “desiderare” il Natale: «Il vertice dell’attesa sta nel desiderio, un desiderio che si fa preghiera, ossia autentica “ansia dell’anima in cerca di Dio”. Dio si concederà a noi, purché di Dio nutriamo vivo desiderio. Lo desideriamo Dio? Abbiamo sete di Lui? Il cuore nostro invoca: dove sei? Come ti riveli? Vuoi tu parlarmi, o Signore? Quest’ansia dell’anima in cerca di Dio si definisce preghiera. E noi, preghiamo? Se non preghiamo, può il Signore ascoltare chi non lo invoca?» (D. Tettamanzi, Paolo VI, San Paolo, pp. 173 s).

I commenti e gli approfondimenti sul Natale sono illimitati: sarebbe una pretesa assurda il voler aggiungere qualcosa di nuovo e di saggio, fosse anche solo per il piacere di aggiungere una parola mia, nuova, nell’oceano di belle riflessioni. Mi limito quindi ad esporre alcune mie osservazioni personali, sperando che possano servire a qualcuno per rivivere il Natale, una delle principali solennità della Chiesa, con uno spirito “nuovo”. Sono riflessioni scritte con “cordialità” – direbbe Ballestrero –, ossia parole scritte con il cuore e che parlano al cuore di chi le leggerà.

La prima riflessione parte da una domanda: Era proprio necessario che il Cristo – il Dio-uomo – si incarnasse per la vita personale nostra e per la storia intera dell’umanità? Ci dà la risposta sicura, inequivocabile e nello stesso tempo “cordiale” il grande papa S. Paolo VI: «Gesù è al vertice delle aspirazioni umane, è il termine delle nostre speranze e delle nostre preghiere, è il punto focale dei desideri della storia e della civiltà; è cioè il Messia, il centro dell’umanità, Colui che dà un valore alle azioni umane, Colui che forma la gioia e la pienezza dei desideri di tutti i cuori, il vero uomo, il tipo di perfezione, di bellezza, di santità, posto da Dio per impersonare il vero modello, il vero concetto di uomo, il fratello di tutti, l’amico insostituibile, l’unico degno di fiducia e di ogni amore: è il Cristo-uomo. E nello stesso tempo Gesù è alla sorgente di ogni nostra vera fortuna, è la luce per cui la stanza del mondo prende proporzioni, bellezza ed ombra; è la parola che tutto definisce, tutto spiega, tutto classifica, tutto redime; è il principio della nostra vita spirituale e morale; dice che cosa si deve fare e dà la forza, la grazia per farlo; riverbera la sua immagine, anzi la sua presenza

in ogni anima che si fa specchio per accogliere il suo raggio di verità e di vita, che cioè crede in Lui e accoglie il suo contatto sacramentale; è il Cristo-Dio, il Maestro, il Salvatore, la Vita» (D. Tettamanzi, Paolo VI, San Paolo, pp.53 s). È più che sufficiente quanto afferma quel santo Papa per convincerci che Gesù, Dio-uomo, è indispensabile per ogni uomo e per tutta l’umanità. A questo punto mi sorge un’altra domanda: Io personalmente vivo una tale necessità del Cristo? Stando alle parole di Paolo VI vedo la necessità dell’Incarnazione del Verbo di Dio? Incide davvero nella mia vita di ogni giorno la necessità di Gesù Cristo? Anche quando non riesco a raddrizzare la rotta della mia barca? Vivo con Gesù il Cristo in vera “familiarità”, direbbe papa Francesco? A proposito di Gesù non posso accontentarmi di rispondere con la ragione o appoggiandomi alle convinzioni altrui: sono io, proprio io, da solo e forse con grande fatica a dover dare la risposta concreta e strettamente personale. Se non rispondo positivamente, finisco nella insignificanza della mia vita.

Ancora S. Paolo VI ci invita ad esaminarci: «Se non siamo restii alla grande rivelazione di Dio fatto uomo, non soltanto le realtà divine ci sono annunciate, ma le realtà umane altresì. La teologia del presepio è la più alta, la più chiara, la più consolante antropologia. La vita umana acquista in Cristo la sua significazione, il suo valore, la sua dignità, il suo carattere sacro, che è quanto dire la sua libertà, la sua intangibile personalità» (Paolo VI, Non temete più, Interlinea, p. 22). Poco dopo aggiunge: «Il Natale è l’incontro con Cristo. Il nostro incontro. È un incontro vero? È un incontro personale? È un incontro amico? La questione è estremamente importante. Racchiude in sé il problema religioso, quello morale, quello sulla nostra maniera di concepire la vita e di impiegare la vita» (p. 25).

Una seconda domanda: Perché la Chiesa osa affermare, senza paura di essere contraddetta, che il Cristo è il centro della storia? Su quale fondamento, su quale prova fonda questa sua certezza? Ancora: quindi il Natale è proprio il punto “fontale” della storia… “nuova”, quella che va dalla Sua nascita fino alla fine dei tempi? Quindi, il giorno di Natale, proprio quello limitato alle 24 ore del 25 dicembre, è davvero una solennità speciale, con una sua propria necessità, quasi come la Pasqua?

La risposta ci porta molto indietro, ci riporta addirittura al popolo d’Israele, il cosiddetto “popolo eletto” per il suo rapporto

speciale ed unico con Dio, con Jahvè, (come lo chiamavano loro) mediante un patto sicuro e intoccabile, l’Alleanza.

Sì, chiamo in causa l’intera storia di quel benedetto e originale popolo che fu il popolo israelita, un popolo essenzialmente “religioso”: tutta la sua storia era una storia religiosa, era la realizzazione dei rapporti con Dio, con Jahvè, rapporti di amicizia perché Dio aveva voluto così. Questi rapporti specialissimi consistevano nell’Alleanza – dicevo poco sopra. È una parola che per quel popolo aveva un’importanza unica: non si capisce nulla della storia d’Israele se si prescinde dall’alleanza con Dio. Tutta la Sacra Scrittura, fin dai primi libri, in particolare dall’Esodo, è tutta uno svilupparsi dell’alleanza con Dio in ogni aspetto della vita d’Israele, dalla vita pubblica, sociale, politica, da tutta la vita organizzata, fino a quella personale. Dio si dimostra sempre fedele a questo patto e partecipa alla vita del popolo – lo ripete spesso la Bibbia, e il popolo aveva il dovere di esserGli fedele mediante l’osservanza della legge di Mosè; in modo particolare era necessaria l’osservanza del sabato, il giorno tutto e solo del Signore. Questo era un dovere assoluto per vivere l’alleanza con Dio.

Il “nostro” Natale, mediante la celebrazione del memoriale dell’Incarnazione attualizza quel benedetto giorno in cui il Verbo si fece realmente uomo, visibile, in carne e ossa, formato come ogni uomo nel seno di una donna, Maria SS. Pertanto, quell’evento di allora è storia di adesso, attualissima per noi! Non è solo un ricordare, un richiamare alla mente un fatto straordinario, unico, che è senza dubbio lo spartiacque della storia, perfino di tutto il “tempo”.

È verità quello che ho scritto, ma corriamo il rischio di considerarle cose molto lontane nel tempo e che non ci riguardano più, non ci coinvolgono per nulla. Allora anche il Natale rischia di essere vuoto e vissuto solo come “ricordo”. Invece, noi stiamo vivendo il Natale, l’Incarnazione, come “memoriale”, quindi ci chiama in causa direttamente, non nel fatto storico, ma nei frutti di quel fatto che riguarda Gesù, il Cristo. Pertanto, se l’alleanza del popolo eletto con Dio non può non interessarci, siamo chiamati a riviverlo nelle conseguenze, perché noi, che siamo la Chiesa, siamo il nuovo popolo eletto, che continuerà fino alla fine dei tempi. Mi chiedo pertanto: Come la Chiesa, quindi noi, può e de-

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