L’uomo nella Bibbia
SCIOLTEPAGINESchiatti
Luigi
Perché questo titolo! .................................................................. pag. 5
POVERI APOSTOLI .............................................................. pag. 11
INDICE
INVOCAZIONI ....................................................................... pag. 18 GESÙ, DONAMI IL DESIDERIO DELLA GLORIA DI DIO ........ pag. 19 GESÙ, AIUTAMI A VIVERE L’ATTENZIONE A DIO ............. pag. 20 ECCOMI-USAMI ..................................................................... pag. 21 GESÙ, VIVI TU, DA SIGNORE, DENTRO DI ME .................. pag. 23 PER CRISTO CON CRISTO IN CRISTO .......................... pag. 24 GESÙ, CONCEDIMI DI CONOSCERTI E DI FARTI CONOSCERE, …AMARTI E DI FARTI AMARE, …DESIDERARTI E DI FARTI DESIDERARE ............... pag. 25 GESÙ, AIUTAMI AD ESSERE TUO, GESÙ, AIUTAMI AD ESSERE SOLO TUO, GESÙ, AIUTAMI AD ESSERE TOTALMENTE TUO , GESÙ, AIUTAMI AD ESSERE PER SEMPRE TUO ........ pag. 26 GESÙ, AIUTAMI AD ASCOLTARE LA TUA PAROLA ............. pag. 28 SIGNORE, CHI MI GUARDA, TI VEDA, SIGNORE, CHI MI ASCOLTA, TI SENTA, SIGNORE, CHI MI LEGGE, TI DESIDERI ................... pag. 31
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I DUE DISCEPOLI DI EMMAUS ....................................... pag. 6 SPERAVAMO! ........................................................................... pag. 6 PERÒ… .................................................................................. pag. 8 UNA OSSERVAZIONE CONCLUSIVA ........................................ pag. 10
I TALENTI ................................................................................ pag. 15
SCELTA E UNZIONE DI DAVIDE, RE ................................... pag. 33 DAVIDE E GOLIA .................................................................. pag. 34 DAVIDE PECCATORE ............................................................ pag. 35
DAVIDE .................................................................................... pag. 33
LE DIECI VERGINI .............................................................. pag. 38 UNA RIFLESSIONE CONCLUSIVA ......................................... pag. 42
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NULLA! PERÒ… .................................................................... pag. 45
Questo opuscolo è nato proprio così: non vuole sviluppare nessun tema; ogni riflessione (che parola grossa!) va assaporata per quel che dice a te in quel preciso momento. Allora non c’è nemmeno un perché io abbia scelto, direttamente o indirettamente, questi episodi della Bibbia e non altri. Però è certo che, se rifletterai con calma sui vari argomenti proposti, proverai nel cuore un vero sussulto.
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Ci sarebbero tanti altri spunti biblici per riflettere, però lascio a ciascuno il compito, o meglio, il piacere di continuare questa fatica. Ciascuno potrebbe poi aggiungere le proprie riflessioni a questo opuscolo.
Perché questo titolo?
Ci sono dei momenti in cui ti pare di essere trascinato (scusate il verbo) da un vento speciale, dalla necessità di una riflessione improvvisa. Sono momenti in cui uno si sente desideroso di riflettere, anche di meditare, su una Parola di Dio. E non c’è una occasione né un motivo speciale; è così e basta! Non si tratta di “sviluppare” un argomento particolare: ti piace di rimanere su quella pagina e di assaporare quello che la Parola dice a te in quel momento, proprio per te, per un tuo godimento spirituale. Tutto finisce lì, almeno apparentemente.
SPERAVAMO!
In questo racconto evangelico c’è una parola, un verbo, che si pone come centro a cui fa riferimento tutto il brano: SPERAVAMO!
I DUE DISCEPOLI DI (LucaEMMAUS24,13-35)
A un certo punto del loro cammino hanno incontrato, magari per caso, sulla strada, questo Gesù, l’uomo ch e incantava con i suoi discorsi, così diversi da quelli dei sommi sacerdoti, dei farisei, da chi era “maestro in Israele”. Eppure il suo modo di parlare non accarezzava le orecchie degli ascoltatori; anzi, erano normalmente discorsi non secondo il dettato della Legge; il suo modo di parlare talvolta sconvolgeva e contraddiceva alcuni punti della Legge, così sacra e inviolabile per gli ebrei osservanti. Eppure, la gente accorreva per ascoltarlo, e lo ascoltava molto volentieri, anche se turbava (e molto!) la tranquillità di chi lo ascoltava. E poi, erano tutti ammirati, perfino i capi del popolo, per i miracoli strepitosi che compiva. Inoltre, accettava tutti, aiutava chi gli chiedeva aiuto, e non si preoccupava di sapere chi fosse o da dove venisse chi aveva bisogno di lui. Da ultimo, non era amico dei potenti. Accoglieva tutti, con una predilezione per i “piccoli”, ossia per quelli che la società “scartava”.
Era inevitabile che anche i nostri due… amici lo seguissero e finissero anche loro per fare parte dei “Suoi”, i più vicini a Gesù e i suoi seguaci più fedeli, tra quelli più “conquistati” dalla sua personalità
Forseeccezionale.pensavano perfino di aver trovato in lui la soluzione dei
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Sforziamoci di vedere i due discepoli nel momento in cui esprimono il loro stato d’animo.
Il verbo è usato al tempo imperfetto, quindi non esprime solo un momento fugace di sconforto; esprime molto di più: dice una situazione prolungata di sofferenza per una forte delusione.
Era inevitabile che anche i nostri due si chiedessero: Chi era realmente costui? Così, in un attimo tutto il loro sogno svanisce, crolla proprio come un castello di sabbia distrutto da una folata di vento.Efinisce nel peggiore dei modi: tutto sembra ai loro occhi definitivamente “finito” e in modo incomprensibile e ignobile. Che tragedia! A questo punto tentiamo di metterci nella loro pelle.
7 loro problemi, e che il seguirlo voleva dire aver trovata la propria realizzazione.Improvvisamente, Lui, il trascinatore delle folle, il taumaturgo eccezionale, è… “annullato”! Sparisce dalla scena, ucciso addirittura in croce come uno dei peggiori delinquenti!
Mi piacerebbe poter indovinare quali pensieri, quali sentimenti cozzavano nei loro cuori. Ne cito uno solo che certamente si agitava in loro: «Non l’abbiamo proprio capito quando parlava e operava miracoli!».
Da un punto di vista umano quel verbo: “speravamo” esprime in modo drammatico, ma realissimo, l’amara esperienza del totale fallimento dei loro progetti; anzi, l’esperienza, forse, di un vero tradimento da parte di Gesù!
È necessario leggere con attenzione e con un po’ di perspicacia tutto il brano giovanneo.
Sono esperienze che ti spezzano tutta la persona, non solo il cuore. Probabilmente è la stessa esperienza di Maria Maddalena davanti al sepolcro vuoto: È proprio tutto finito! Devo ricominciare a vivere da capo, e con le mie sole forze. E che fatica!
Penso che lo “speravamo” dei due “amici” delusi, sperimentato nella nostra vita personale ci faccia toccare con mano la nostra finitezza, la debolezza, la nostra “carne”, cioè il “peso” della nostra umanità.Guai se tutto l’episodio del vangelo si concludesse con il verbo “speravamo”.
Adesso provi ciascuno a rivisitare la propria vita, e si chieda con sincerità quante volte, in quali circostanze e per quali motivi ha sperimentato personalmente, sì, proprio personalmente, lo “speravamo” dei due discepoli di Emmaus. Quali sentimenti ha vissuto in quei momenti drammatici.
E che cosa avrebbe pensato di fare in quelle situazioni?
«conversavano tra di loro» (v. 14) – “Chiacchieravano”, ma non cercavano di capire, di approfondire i fatti capitati a Gerusalemme. Si accontentavano di accettare, o… subire quello che era successo.
«…per un villaggio di nome Emmaus» (v. 13) – Oramai non c’è più Gesù, il motivo della loro vita; ora non ha più senso la comunità dei discepoli: ora di chi potrebbero essere discepoli? La conseguenza è quella di richiudersi ancora nel proprio “io”, ritornare al “privato”. E si allontanano da Gerusalemme, il luogo della comunità dei discepoli.
«…col volto triste» (v. 17) – Che insegnamento anche per noi: se non c’è Gesù nel cuore, viviamo inevitabilmente tristi, senza slancio, senza entusiasmo; si… vivacchia!
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PERÒ…
Riprendiamo da capo la lettura di questa pagina di vangelo e lasciamoci interrogare: quanti spunti di riflessione ci offre!
«Erano in cammino» (v. 13) – I vangeli ci avvertono che tutti gli incontri significativi con Gesù avvengono sulla strada, non in una casa. In casa uno si sente al sicuro: a chi bussa apro se voglio e se mi interessa, altrimenti, no; non voglio essere disturbato. Invece sulla strada non sono al sicuro, al riparo. Sono inevitabilmente disponibile ad ogni incontro. L’insegnamento è chiaro: la prima condizione per incontrare Gesù, anzi, per essere incontrato da Lui, è la libertà del cuore, è l’essere schiodato da se stessi, dalle proprie ostinazioni e interessi materiali. Le miriadi di Santi ce lo insegnano tutti abbondantemente.
«Gesù… camminava con loro» (v. 15) – È Gesù che si interessa di loro; è Lui che si avvicina a loro nel momento di difficoltà. I due non lo riconoscono nemmeno, ma Lui c’è! E condivide il loro andare triste. Camminare con loro esprime una vera condivisione, anche se loro, ripiegati sulla propria delusione, non sono in grado di … ri-conoscerlo.
«…lo spezzò e lo diede a loro» (v. 30) – L’insegnamento è chiarissimo: è l’Eucaristia che ci rende ancora oggi veri discepoli di Gesù! Ogni altro commento è proprio inutile. Mi auguro che ciascuno si esamini e si ponga qualche domanda: Io sono soltanto presente alla Messa, o partecipo con la mente e con il cuore? Come ricevo la Comunione? Quanto e come vivo l’Eucaristia nella vita quotidiana? La vita cristiana non consiste nei bei sentimenti e nei piissimi desideri: occorrono gesti, atti che concretizzino la nostra fede!
«Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme» (v. 33) – È la conclusione “necessaria”, inevitabile del brano evangelico: l’aver perso Gesù li ha portati a lasciare la comunità e a ripiegarsi su se stessi, nel privato. Ma l’aver ritrovato Gesù vivo! nella Eucaristia, li riporta, “senza indugio”, nella comunità.
«Stolti e lenti di cuore a credere… ai profeti» (v. 25) – Gesù ribadisce la necessità di conoscere e accettare la Scrittura. Quasi li rimprovera per la loro chiusura alla Parola di Dio: la fede poggia sulla Scrittura! Forse ciascuno di noi è invitato a chiedersi quale impegno ci mette nella conoscenza “cordiale” direbbe Martini – della Sacra Scrittura.
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«Domandò loro: Che cosa…?» (v. 19) – Gesù vuole che si pongano domande, vuole coinvolgerli, per farli uscire dal proprio stato d’animo di sofferenza. Anche con noi Gesù si comporta così: entra nel nostro dolore vivo e ci invita ad esaminarne i perché. Gesù vuole che viviamo in profondità. Noi accettiamo sempre l’invito di Gesù, oppure tante volte ci pieghiamo a subire la vita così come va? Questo non è certamente un comportamento “da uomo”.
«Resta con noi» (v. 29) – Perché i due invitano Gesù a fermarsi con loro? Solo perché si fa sera? Oppure perché senza conoscere chi è questo “compagno di viaggio”, hanno percepito dentro di sé qualche cosa che li ha “interessati”, li ha chiamati in causa? Forse è così! Ma non è sufficiente sentire qualche cosa nel cuore: ci vuole un fatto esterno. Stavo per dire. Occorrono i sacramenti.
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– Nel secondo gruppo, i due di Emmaus, è la forza delle Scritture che smuove i loro cuori: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti».
UNA OSSERVAZIONE CONCLUSIVA
– Ma è l’Eucaristia che sconvolge e travolge il cuore a credere, suggerisce il racconto dei due di Emmaus.
– In centro si trova l’episodio dei due discepoli sfiduciati: “speravamo”.
Nel primo gruppo è l’autorità, Pietro, che rimuove le difficoltà degli altri apostoli e li apre a credere alla risurrezione di Gesù.
L’evangelista Luca chiude il suo vangelo (cap. 24) con tre gruppi di… “increduli… convertiti”… evangelici:
– Nella terza parte, quando appare Gesù risorto, pensano di vedere un fantasma.
– L’inizio del capitolo presenta gli apostoli increduli all’annuncio delle donne, che affermano di aver trovato il sepolcro di Gesù vuoto. Gli apostoli parlano addirittura di… vaneggiamento.
Gli undici (manca Giuda, ovviamente) e alcuni discepoli di Gesù gli chiedono: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il Regno per Israele?».
Ci troviamo negli ultimi momenti della vicenda umana di Gesù e ci aspettiamo che almeno adesso gli apostoli, che sono vissuti a lungo con Lui, abbiano finalmente capito che Gesù è davvero il Messia tanto atteso. Invece, no! Non hanno capito ancora e non hanno accolto l’insegnamento di Gesù. Perché sono così duri di cuore e di mente? Che cosa pensano veramente di Gesù? Che cosa si aspettano da Lui? Eppure lo hanno seguito con entusiasmo, affascinati dai suoi miracoli strabilianti, e sono stati conquistati dal suo modo di parlare e da quello che dice: «Mai nessuno ha parlato come lui», affermano i suoi compaesani.
Ci hanno davvero sorpresi le domande che rivolgono a Gesù. Ci sorprende anche il fatto che gli buttano lì subito una tale domanda come fosse la domanda per loro più importante, o addirittura l’unica che a loro interessava. È vero che tutti gli Israeliti, quindi anche gli apostoli, avevano una visione politica del Regno di Dio. Gesù invece annuncia un regno troppo diverso e che per loro era qualcosa di astratto, era un regno impossibile da accettare da parte loro, uomini molto concreti. Gesù ha addirittura affermato: «Il mio regno non è di questo mondo!». Ecco il motivo per cui i dodici –anzi, gli undici – si trovano in difficoltà nei confronti di Gesù fino all’ultimo momento in cui è lì con loro, visibile, in carne ed ossa.
Poveri Apostoli! Mi è sorta spontanea questa esclamazione rileggendo l’inizio del libro degli Atti.
Non era proprio possibile accettare la visione di Gesù: ci voleva un interlocutore dall’alto, ci voleva lo Spirito Santo che Gesù, una volta salito al cielo, avrebbe donato: «… riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi» – risponde Gesù alla domanda dei discepoli.
POVERI(AttiAPOSTOLI1,6-13)
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È proprio così: Poveri apostoli! Sulla parola dei Profeti attendevano anche loro il Messia per il bene, per la rinascita d’Israele.
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Ultima delusione, quella definitiva: Gesù sparisce, va… in alto, in cielo. Anche due angeli lo affermano: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù… è stato assunto in cielo; verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo». Ma quando ritornerà? Penso che una tale dichiarazione degli angeli non abbia fatto svanire la paura degli apostoli. Essi si limitano a c ostatare che se ne è andato; e il loro smarrimento si conferma. È vero che Gesù ha
La delusione, lo stordimento dura solo tre giorni: incredibilmente si dice che è addirittura risorto, così affermano alcune donne, che si sono recate alla sua tomba. Ma non riescono a credere a una tale strabiliante possibilità, fino alla testimonianza, sicura, del capo, Pietro. Allora si sforzano di credere, di convincersi che è proprio risorto.
Finalmente nasce Gesù, l’Emmanuele, e, a fatica, riescono a pensare che sia nato il Messia promesso da secoli. È inevitabile rallegrarsi e seguirlo con interesse, sempre però un interesse politico. Dicono: Ci siamo! È lui! E lo seguono con entusiasmo e impegno: i risultati confermano la loro “convinzione”.
Poi, che delusione! Questo Messia muore ucciso, e muore addirittura in croce, che era il supplizio per gli schiavi: quindi è un… “poco di buono”; forse è un omicida, o un imbroglione, o qualcosa di peggio. Che profonda delusione! Tutto è finito: l’illusione è finita; quindi riprendono delusi la fatica di prima; ce lo dicono efficacemente i due discepoli di Emmaus, con quel deluso, ma espressivo: “speravamo”.
Tentiamo di immaginare lo stupore degli undici: chissà quali progetti stanno già formulando nella loro mente! Invece i vangeli ci avvertono che… “i nostri amici” hanno ancora dubbi: lo ritengono talvolta perfino un fantasma; hanno paura ad avvicinarlo e non riescono a rendersi conto se è proprio lui in carne ed ossa, o se è una semplice visione suggerita dalla gioia del momento. Dice il vangelo dell’Ascensione (Lc 24, 36-53): «Perché siete turbati e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Alla fine, però, sperimentano che è davvero Lui, il Signore. Vivo; e così nasce nel cuore di ognuno la speranza, sempre secondo il loro modo di pensare il regno atteso.
Parole sacrosante!
13 promesso lo Spirito, ma per ora non l’hanno ancora sperimentato: «Riceverete lo Spirito Santo che scenderà su di voi» – assicura Gesù. Ma gli apostoli hanno bisogno di vederlo, e di sentire di persona che Gesù non li ha abbandonati nemmeno questa volta. Ancora una volta ripeto: Poveri apostoli!
* * *
Poveri apostoli! Mi piacerebbe entrare nel loro cuore e scoprire quali sentimenti provavano in quei momenti. Certamente provavano una inquietante sofferenza perché Lui non c’era più. Ma trovo in ciascun apostolo ancor più un profondo desiderio di Ge-
Un ultimo richiamo non indifferente. Scrive l’autore degli Atti, S. Luca: «Di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra». Gesù li costituisce “testimoni” nonostante la loro incertezza e gli smarrimenti nei confronti dello stesso Gesù. Significa che Gesù non chiede, non pretende certezze invincibili per assegnare loro un impegno assai personale: è Gesù che agirà in loro in forza dello Spirito Santo. Chi è il “testimone”? –mi chiedo. Non è colui che ha il compito di annunciare con la parola, con tanti bei discorsi; non gli è neppure richiesta una certezza teorica, della mente. Testimone è colui che ha vissuto una certa esperienza per cui, senza fare discorsi, lascia vedere nella sua vita concreta, con le scelte che compie e con il modo di agire chi è colui che lo incarica e lo invia a far conoscere non una verità astratta, ma una persona, colui che gli ha dato il compito di testimoniare. Qui dice Gesù: «MI sarete testimoni»: gli apostoli sono chiamati a far vedere, anzi, a lasciar vedere Lui che hanno conosciuto di persona e che hanno frequentato, quindi hanno sperimentato che è questo Gesù, il Messia atteso e finalmente presente. Afferma Martini: «Chi può dire Dio è amore se non chi ha fatto una ineffabile, personale esperienza cordiale con Lui?».
È bello però sapere che, nonostante la loro amarezza e delusione, non se ne vanno ciascuno a casa propria, delusi, a riprendere la vita di prima, una vita “privata”; ma, «entrati in città ( nella santa Gerusalemme), salirono nella stanza al piano superiore, dove erano soliti riunirsi». Quindi non rompono la comunità.
Sappiamo. che la Parola di Dio non fu data solo per gli israeliti, ma anche per noi, per tutti gli uomini di ogni tempo. Per questo motivo l’esperienza degli apostoli al momento dell’Ascensione di Gesù mi pone alcune domande. Tutti attraversiamo momenti di difficoltà nella fede uniti a momenti di luce, ma anche veri momenti di tenebre, pertanto mi chiedo: Quante volte – e perché non sempre – mi sono fidato di Gesù e del suo amore indefettibile nei momenti di oscurità? Nel tempo del “coronavirus” che cosa ho pensato della Provvidenza? Quali pensieri e sentimenti ho provato verso Dio? Mi sento “testimone” di Gesù nelle circostanze concrete della mia vita? S. Paolo VI affermava che gli uomini di oggi hanno più bisogno di testimoni che di maestri, e, se accettano i maestri, lo fanno perché vedono in loro innanzi tutto dei testimoni. Incide cristianamente nella società solo chi è così “impastato” di Gesù, che rende reale l’invocazione: «Gesù, chi mi guarda ti veda, chi mi ascolta ti senta».
sù. Desiderio è una parola che oso chiamare magica: la sento dentro di me come “esigenza insopprimibile e sofferta di un bene per me indispensabile”. Nel Cantico dei Cantici è ben presentato quello che voglio esprimere con queste parole: «Io venni meno per la sua scomparsa, l’ho cercato, ma non l’ho trovato, l’ho chiamato, ma non mi ha risposto. Mi hanno incontrata le guardie che fanno la ronda in città, mi hanno percossa, mi hanno ferita, mi hanno tolto il mantello le guardie delle mura. Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, se trovate l’amato mio, che cosa gli racconterete? Che sono malata d’amore». (Cantica 5, 6b-8). Nonostante il richiamo degli angeli: «Perché state a guardare il cielo?». E nonostante la promessa di Gesù: «Non vi lascerò soli; vi manderò il Consolatore»
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È un augurio vivissimo.
Se il paradiso non mi interessa, che cosa cerco nella mia vita? Perché impegnarmi nel bene? È inevitabile vivere una vita egocentrica, per il mio interesse e piacere sensibile e immediato. È il pensiero, anzi, il desiderio del paradiso che rende la mia vita “trascendente”, ossia che non può realizzarsi appieno nella vita… terrena, cioè nella vita piacevole, adesso, nella ricerca delle “cose”. Ad alcuni questo modo di pensare e di vivere può sembrare come una evasione dalle fatiche quotidiane; invece è proprio il desiderio della felicità del paradiso, che non avrà fine, ciò che dà un signifi-
Chi osa dire che non conosce la parabola dei talenti, alzi la mano!Non
Io invece, in questa riflessione, voglio proporre qualche altro spunto per riflettere personalmente con frutto.
Innanzi tutto, notiamo che siamo negli ultimi capitoli del vangelo di Matteo; con sapienza l’evangelista ci invita a guardare alla fine della vita, al dopo morte. In questi ultimi capitoli Matteo ci chiede: «Fratello, qualche volta nella tua vita frenetica pensi alla fine e al fine della vita naturale, ossia al dopo morte? E ti prepari a vivere cristianamente quel momento cruciale?». I capitoli finali del vangelo di Matteo si chiamano i capitoli della “Parusia” (è una parola speciale che significa il ritorno glorioso di Cristo giudice). Vi campeggiano due parabole: quella delle “Dieci vergini”, e subito dopo la parabola dei “Talenti”. Tutte e due ci invitano a guardare (o meglio: a guardarci!) dopo la nostra morte.
Facciamo una pausa di riflessione e chiediamoci: qualche volta rifletto sui quattro Novissimi (che significano le ultime cose) e sono: la Morte, il Giudizio, l’Inferno e il Paradiso? Senza dubbio una tale riflessione dà sostanza e concretezza alla vita quotidiana e normale. Credo che sia utile una tale riflessione prima di impegnarci nella riflessione della parabola dei talenti.
solo la conosciamo, ma con facilità ne accogliamo l’insegnamento nella materialità del contenuto. Si tratta di soldi, di “euro”, quindi siamo istintivamente portati a capirlo.
15 I TALENTI(Matteo25,14-30)
cato pieno perfino ad ogni azione umana, anche la più semplice. Aveva ragione S. Filippo Neri, che non accettò di essere fatto cardinale dal papa, e si mise a cantare e a saltare alla sua presenza: «Paradiso, paradiso: preferisco il paradiso!».
Dio conosce ciascuna persona nella sua realtà profonda e sa che ogni uomo è diverso da tutti gli altri, quindi tratta, giustamente, ognuno in base alle sue capacità. Dio non chiede mai a nessuno l’impossibile. Non si finisce mai di riflettere sul fatto che Dio ci ha creati “per nome”! Quindi, ognuno, impegnando se stesso, può dare solo quello… che può! Anche questo esprime rispetto per ogni uomo da parte di Dio. La Sua è una giustizia divina, che vede ogni uomo con il cuore di Dio.
Eppure pare che il Signore, dopo aver ricordata questa verità, si nasconda perché l’uomo si dia da fare, si impegni come se tutto dipendesse da lui. Ancora una volta Dio, con il suo modo di comportarsi, fa brillare la dignità del singolo uomo rendendolo Suo collaboratore vero.
È significativo considerare che il padrone premia allo stesso modo sia il primo, sia il secondo indipendentemente dal numero dei talenti che ognuno ha guadagnato. A tutti e due dice: «Bravo, servo buono e fedele. Sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto. Prendi parte alla gioia del tuo padrone». In parole nostre: partecipa alla felicità senza limite del paradiso. Solo questo è il fine vero per cui viviamo.
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La nostra ostinazione nel voler considerare la giustizia solo da un punto di vista quantitativo (i soldi!) ci pone una domanda: Perché Dio tratta in un modo diverso (quantitativamente parlando) i variEccodipendenti?larisposta:
Non solo la nostra parabola, ma tante altre pagine dei Vangeli ci insegnano che “il padrone”, quello che comanda e che possiede i beni (per la nostra realizzazione) è sempre Lui, Dio.
Ancora: è il rapporto di fiducia da parte dell’uomo verso Dio, verso Gesù! È questo rapporto che dà valore alle nostre azioni ed esalta la dignità dell’uomo: nessuno è costretto da Dio a fare la
«Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura…». Così invece si giustifica il terzo dipendente. È questione di stima e di fiducia verso il padrone. Non è tanto la quantità di talenti ricevuti e fatti fruttificare ciò che conta. È il rapporto personale di stima reciproca che conta.
La diversità del numero dei talenti non ha proprio nessun valore? Proprio NO per quanto riguarda la realizzazione personale. Ripeto: dipende solo dall’impegno del singolo uomo a vivere secondo la volontà di Dio, in base alle proprie capacità. Il diverso numero dei talenti serve soltanto ad esprimere la varietà che esiste nell’umanità. In fondo: serve alla gloria “oggettiva” di Dio: le diversità esprimono la ricchezza infinita di Dio.
Cito solo un nome, che conosciamo tutti e che è l’emblema più luminoso di quello che sto dicendo: il Santo Curato d’Ars. Qualche volta ripensiamo a questo Santo, considerato proprio un nulla dagli uomini acculturati e ben pensanti di quel tempo. Questo sacerdote non aveva ricevuto in dono nemmeno un “talento”: forse solo qualche spicciolo! Il risultato della sua vita e del suo ministero sacerdotale lo conosciamo proprio tutti; e lo veneriamo ancora oggi come un colosso di santità. Chi oserebbe affermare che non fu un uomo realizzato anche umanamente!? Dico che, se avessi le possibilità, distribuirei varie centinaia di copie della sua vita!
Ciascuno si diverta a scartabellare i secoli di storia della cristianità per ammirarne tanti altri esempi di coloss i spirituali simili al Santo Curato d’Ars.
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Sua volontà; l’uomo non è mai un semplice esecutore della volontà di Dio: è invece sempre Suo collaboratore, perché Dio lo ha voluto così.
La storia della Chiesa ci offre un ventaglio meraviglioso di uomini e donne che agli occhi del mondo non avevano nessun valore “umano”, cioè secondo i criteri mondani. Eppure hanno lasciato un segno che dura sempre più splendido nei secoli.
– Gesù, vivi Tu, da Signore, dentro di me
– Gesù, concedimi di conoscerti e di farti conoscere; Gesù, concedimi di amarti e di farti amare; Gesù, concedimi di desiderarti e di farti desiderare
– Gesù, donami il desiderio della gloria di Dio
Ecco un breve elenco:
– Gesù, aiutami a vivere l’attenzione a Dio
Non esiste un formulario ufficiale per questo tipo di preghiera: esce spontaneamente dal proprio cuore e riguarda le necessità della vita, sia quelle fisiche, sia quelle morali, sia quelle specificamente spirituali.Cisono però anche in vocazioni che non hanno per oggetto una richiesta di aiuto, ma sono soltanto brevi atti di amore per la lode e il ringraziamento a Dio. Sono senza dubbio le più belle.
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– Per Cristo – Con Cristo – In Cristo
Anch’io uso tante invocazioni e mi servono come… frecce rivolte a Dio o a Gesù. Qui intendo presentarne alcune con qualche parola di commento.
è una preghiera molto breve, personale, da recitare in fretta e senza alcuna formalità; una preghiera che viene proprio dal cuore, per chiedere a Dio un aiuto, una grazia. È rivolta a Dio Padre, o a Gesù, per chiedere un Suo intervento a nostro favore; è una preghiera di domanda. Anche se lo scopo delle invocazioni è il “chiedere”, è sempre un atto di fede: è riconoscere che Dio può tutto ciò che vuole, è onnipotente, si interessa realmente di me e vuole il mio bene. Quindi un’invocazione è sempre un atto di culto personale.
“Invocazione”INVOCAZIONI
– Eccomi – Usami
– Gesù, aiutami ad essere tuo, Gesù, aiutami ad essere solo tuo, Gesù, aiutami ad essere totalmente tuo, Gesù, aiutami ad essere per sempre tuo
“Donami” La gloria di Dio non me la costruisco io, non la realizzo io con le mie capacità umane, perché Dio è infinitamente al di sopra, è l’ineffabile, è il tutt’Altro! Solo Gesù, che è Dio, me lo può donare, gratuitamente, non per le mie cosiddette opere buone, i miei pensieri pii; e me lo dona mediante lo Spirito Santo.
– Gesù, aiutami ad ascoltare la tua Parola
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“Desiderio” – Non è solo una vaga speranza, non è un bisogno tra i tanti, non è nemmeno qualcosa di intellettuale. È una esigenza insopprimibile, anche se faticosa, di un bene per me indispensabile; qui è la gloria di Dio… indispensabile per me, per la mia reale felicità. Il desiderio di Dio è qualcosa al di sopra delle mie possibilità: è vita, coinvolge tutta la mia persona, è una esperienza necessaria. C. M. Martini con quattro parole esprime in modo efficace questo pensiero: «Chi può dire Dio è amore se non chi ha fatto una ineffabile, cordiale, esperienza di incontro con Lui?!».
“Gloria” – Il verbo “glorificare”, da cui deriva il sostantivo “gloria”, significa: rendere chiaro, far conoscere, proclamare ai quattro venti, a tutti gli uomini…
– Signore, chi mi guarda ti veda; chi mi ascolta ti senta; chi mi legge ti desideri.
GESÙ, DONAMI IL DESIDERIO DELLA GLORIA DI DIO
“di Dio” – È il complemento del verbo “proclamare”. Precisamente vuol dire: “Com’è Dio?”. La risposta è inequivocabile: Dio è amore, è misericordia! Pertanto, tutta l’invocazione significa: Gesù, concedimi di sentire nel mio cuore una esigenza fortissima
GESÙ, AIUTAMI A VIVERE L’ATTENZIONE A DIO
Allora, è in gioco la mia libertà, ma in tutto finalizzata al Sommo Bene. Letta e vissuta così, la nostra invocazione è tutt’altro che superficiale.
di far conoscere il più possibile, tendenzialmente a tutti gli uomini, che Dio è solo amore misericordioso.
Una tale invocazione mi incendia il cuore! Aveva ragione S. Paolo di gridare: Caritas Christi urget nos! È vero: l’amore di e per Cristo ci brucia dentro e ci spinge a farlo sapere a tutti.
Il verbo “tendere” in latino esprimeva il compito del nocchiero di una imbarcazione: costui doveva conoscere chiaramente la meta, il porto in cui voleva far giungere l’imbarcazione, e toccava a lui comandare ai marinai i movimenti da compiere: più a destra o più a sinistra; più veloce o più allentata la corsa…, per giungere con sicurezza in porto. Quindi – afferma il nostro autore – ciascuno di noi deve vivere secondo il proprio stato di vita, seguendo le regole della sua professione: deve impegnarsi per realizzare i suoi progetti prefissati, ma… la mente e il cuore sempre e in tutto tesi alla meta finale, cioè al raggiungimento della gloria di Dio, che è il fine ultimo di tutta la realtà.
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Un maestro di vita spirituale chiudeva un suo libro, indirizzato a chi vuol impegnarsi a vivere seriamente un cammino di perfezione, con un invito semplice e concreto: All’inizio della vita spirituale –scriveva – è opportuno impegnarsi a “vivere l’attenzione a Dio”.
Sembra una invocazione troppo facile da mettere in pratica, quasi superficiale; invece il verbo “attendere” è composto da: “ad-”, che significa “muoversi verso una meta”; qui la meta è Dio!
Non si tratta, quindi, soltanto di pensare a Dio, col proposito un domani di seguirlo. È questione di vita quotidiana, direi “feriale”. Mi spiego: Ciascuno di noi ha una sua vita da vivere, una sua vocazione a cui rispondere. Siccome è sempre difficile pensare e realizzare la vita come vocazione, è sufficiente – dice lui – che si incominci a vivere da buoni cittadini, giorno per giorno, ma con il cuore e la mente sempre rivolti a Dio, perché Lui è il fine ultimo di tutto.
“Eccomi” – Di solito lo consideriamo una manifestazione immediata, gioiosa, facile di Maria come risposta all’Arcangelo che le propone la volontà di Dio nei suoi riguardi. Io preferisco invece considerare la situazione umana, interiore e psicologica di Maria a un tale annuncio, quando è ancora frastornata e spaventata dalla richiesta di Dio. «Rimase molto turbata» – annota con sincerità l’evangelista Luca. Allora Maria non pronunciò subito, quasi con esultanza, il suo Eccomi. Il turbamento di Maria prova lo smarrimento che provò in quel momento e oso immaginare la ridda di sentimenti, di paure, di domande su tanti aspetti di una tale richiesta. Penso che almeno per qualche minuto avrò pensato anche alla sua vita futura, come conseguenza di diventare la Madre di Dio! La Madonna avrà capito veramente quelle che stava succedendo a lei? Sì, proprio a lei e solo a lei! Non possiamo tralasciare lo spazio di tempo, così tumultuoso tra la proposta di Dio e la sua risposta, che poteva essere un Sì o un No! Mi pare che sia molto fecondo per un nostro esame di coscienza circa le nostre risposte alla parola che talvolta Dio rivolge nel silenzio anche a noi. Non dobbiamo spaventarci per le eventuali difficoltà ad accettare la parola di Dio rivolta a me! Ce lo dice Maria SS. prima di pronunciare il suo Eccomi. Alla fine, in forza della sua fede, “esplode” in quella sola parola: “Eccomi”. Anche noi, tutte le volte che usiamo questa invocazione, siamo invitati a sostare in silenzio a contemplare Maria SS. e, se possibile, entrare nel suo cuore per rifare, in noi e per noi, la sua esperienza di turbamento per un invito impegnativo che il Signore mi rivolge. Allora condivideremo con lei il “peso” enorme di quell’Eccomi. In questi casi anche noi
ECCOMI-USAMI
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L’Annunciazione dell’arcangelo Gabriele a Maria SS. segna l’istante in cui si realizza storicamente l’Incarnazione del Verbo di Dio. E è ovvio che le due parole che la Madonna pronuncia in quel momento sono particolarmente importanti, ed è giusto che diventino anche per noi un vero programma di vita. Non esprimono due richieste di aiuto: sono atti di adorazione, sono riconoscimenti che Dio è… Dio!
22 siamo chiamati a giocare la nostra libertà, a impegnare la nostra fede, forse all’oscuro delle conseguenze. Questa è autentica vita Proviamocristiana.ora a guardare dentro l’Eccomi. La parola in questione è sempre la risposta a un invito; qui è la risposta di Maria, è la risposta sua a un invito specialissimo, unico e… divino: esprime, è la sua risposta addirittura a Dio! Non è quindi Maria che si fa avanti di sua iniziativa. È sempre Dio che fa il primo passo; la parte dell’uomo è in ogni caso una risposta, libera, forse faticosa; altrimenti l’uomo riterrebbe opera sua la decisione, e Dio verrebbe in secondo piano come se fosse costretto ad accettare la decisione dell’uomo. Così il “merito” sarebbe Anchedell’uomo.lanostra vita è buona, è cristiana, solo se è una risposta all’iniziativa di Dio nei nostri riguardi. C’è di più: l’Eccomi di Maria non esprime innanzitutto la decisione di agire, di fare qualcosa richiesto dal Signore. Lo vedo invece come risposta in sé, prima di passare all’azione; è un aderire totalmente a Lui, il Padre, e basta: solo per formare con Lui, se fosse possibile, una cosa sola. È comunione intima con Dio, è, oso dire, quasi fusione di due volontà, per cui, quello che Dio vuole da lei, lo vuole necessariamente, inevitabilmente anche Maria SS. Il fare la volontà di Dio è una conseguenza che non può mancare: è giocoforza fare quello che chiede il Signore. E proprio in questo sta la felicità di Maria, perché è certamente un fare per amore, dal momento che Dio è l’Amore!
E l’Usami?
“Usami” – Quasi, quasi non lo prendo nemmeno in considerazione, perché, se è reale l’Eccomi, l’Usami non può non essere reale, dal momento che la volontà di Maria non è altro che quella di Dio. Certo, la volontà di Maria SS. è realissima, è libera, è realizzante; però è di fatto dipendente dalla volontà di Dio. Allora, mi chiedo: l’Eccomi -Usami è una invocazione? Certo, è invocazione realissima ed è del tutto invocazione di lode e di adorazione.
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GESÙ, VIVI TU, DA SIGNORE, DENTRO DI ME
Sulla scia di questa invocazione prendono forza alcune espressioni tipiche di S. Paolo che possono sembrare esagerate, o delle belle espressioni puramente astratte, e che invece esprimono con forza e concisione la sostanza della vita reale: «per me vivere è Cristo» (Fil 1, 21), oppure quella ancor più forte: «Adesso non sono più io che vivo: è Cristo che vive in me» (Gal 2, 20).
«Cristo è il tutto per noi». Lo afferma S. Ambrogio. Approfondiamo con il cuore questa laconica affermazione. C’è da esultare di gioia e nello stesso tempo ci spinge a un sincero esame di coscienza. Posso davvero affermare che è vero per me, guardando il mio modo di pensare e di valutare il mio modo di vivere quotidiano? Ancor più: quali sono i criteri coi quali valuto la società, le scelte dei politici e dei responsabili dei vari campi del vivere di oggi? I criteri a cui si ispirano le varie grandi scelte e... le mie innanzitutto? Sono gli interessi di qualcuno o di qualche gruppo? E l’economia? Oggi vale quasi solo l’apparire e il plauso della gente. Quante volte io (e la società) compio delle scelte partendo dalla Parola di Dio? E quante scelte mie hanno come fine (almeno ultimo!) la gloria di Dio? E penso alla mia felicità in paradiso? Penso che S. Ambrogio con la sua affermazione oggi sia fuori tempo? Se invece ha ragione il grande vescovo milanese, allora è sempre valida e attuale l’invocazione che stiamo esaminando. Però non è sufficiente pregare questa invocazione per semplice abitudine e distrattamente. Ogni parola va pronunciata e “gustata” con il cuore; soprattutto vanno pronunciate con calore, anzi, davvero con il fuoco dello Spirito Santo le due parole fondamentali: “da Signore!”. Non si intende “da padrone”, o peggio: “da dominatore”. L’espressione ha un valore tutto e solo positivo, significa: che dà significato alle mie azioni, per la mia felicità; significa ancora che è Dio il fine di ogni mio agire. Vuol dire ancora: Gesù è Colui a cui mi affido e mi consegno.
Se ripeto spesso, con genuina convinzione, la nostra invocazione «Gesù, vivi Tu, da Signore, dentro di me», sono sicuro che a un certo momento ci troveremo totalmente d’accordo con S. Paolo. È utile ripetere spesso questa invocazione, soprattutto quando siamo giù di tono! Ma va pregata con la certezza che Gesù deve esaudirci. Sì, deve, perché è Lui che desidera vivere così in noi.
È augurabile che ogni sacerdote le pronunci con un toto particolare di voce facendo capire che crede fortemente a quello che sta dicendo. È una triplice affermazione conclusiva di quello che sta compiendo: la attualizzazione del mistero della Redenzione mediante l’Eucaristia. Approfondendole, vediamo che le tre parole esprimono un crescendo nel mistero dell’Eucaristia che si sta celebrando.
IN Cristo! – Qui si raggiunge il “culmine”. Significa “comunione”, una comunione tendente alla identificazione. È S. Paolo che lo proclama, non è un mio pensiero: «Adesso – osa affermare l’apostolo Paolo – non sono più io che vi-
In ogni Messa, al termine della consacrazione, ossia dopo la trasformazione del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Cristo, il celebrante dice con voce chiara: «Per Cristo – Con Cristo – In Cristo».
CON Cristo – Il “con-” mi dice “condivisione” con Cristo. Sì, metto in gioco la mia libertà e la mia volontà, come se tutto dipendesse da me; eppure non sono solo: siamo sempre in due: Gesù e io! Non posso più usare il pronome “io”, ma “noi”. Deriva che nella mia vita feriale tutto quello che faccio ha anche un valore religioso, quasi “divino”, perché Gesù è sempre con me, condivide quello che io faccio. Questa costatazione è frutto del mio battesimo.
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PER CRISTO – CON CRISTO – IN CRISTO
PER Cristo – In questa prima invocazione vedo la “finalizzazione” dell’Eucaristia. Me la spiego così: Sono io che compio l’azione eucaristica, ma la compio… in funzione di Cristo, finalizzata a Cristo. Calata nella realtà della vita, mi insegna che il mio agire dipende dalla mia volontà, è in gioco la mia libertà, e ovviamente devo seguire le regole e le dinamiche di quello che sto facendo. Però tutto quello che vivo e compio tende a Cristo, alla Sua gloria. Insisto sul fatto che nel “per Cristo” metto in gioco la mia libertà! Sono io, tal dei tali, che agisco. E questo non è certo poca cosa per la mia realizzazione.
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Penso che sia ovvio affermare che il vivere “IN Cristo” sia una via validissima di Santità. È quindi augurabile che questa triplice invocazione venga ripetuta, con fervore, almeno dopo aver ricevuta la Comunione.
GESÙ, CONCEDIMI DI CONOSCERTI E DI FARTI CONOSCERE , GESÙ, CONCEDIMI DI AMARTI E DI FARTI AMARE, GESÙ, CONCEDIMI DI DESIDERARTI E DI FARTI DESIDERARE
Questa preghiera di invocazione è rivolta a Dio Padre, o a Gesù; è sempre un atto di fede perché ci rendiamo conto che da soli, cioè appoggiandoci alle sole nostre capacità, non riusciamo a compiere appieno la volontà di Dio. Pertanto ogni invocazione è innanzi tutto un atto di umiltà: ci riconosci amo creature e ci riscopriamo dipendenti da Dio. Inoltre vediamo che solo con Lui possiamo realizzare quello che Dio ci chiede. Il “donami” dell’invocazione esprime tutto questo.
“Conoscerti” – Nel nostro caso non si limita a un atto dell’intelletto, della mente. Esprime molto di più. L’esempio lampante ci è dato da due giovani (un giovane e una ragazza) che si amano veramente: a loro riguardo la gente dice: “Si conoscono”; in questo caso il “conoscersi” comprende la mente, ma ancor più il cuore e coinvolge tutta la vita futura. Così è nel nostro caso: vogliamo chiedere a Gesù di aiutarci a vivere con Lui, per Lui, e soprattutto IN Lui.
vo: è Cristo che vive in me!» (Gal 2, 20). Se è vera la Parola di Dio proclamata da S. Paolo, quando Gesù è in me, proprio vivo, IL vivente, mediante la Comunione eucaristica, tutte le mie azioni sono anche Sue. Che verità sconvolgente! È proprio Gesù che con me e mediante me, agendo IN me, dà valore santificante a quanto io, responsabilmente, compio.
“e farti conoscere” – Se si tratta di conoscere Gesù nel senso espresso sopra, il desiderio di aprire ad altri questa conoscenza
La consapevolezza di questa verità, o meglio, di questo fatto, è la contemplazione è “l’unione di amicizia con Gesù” – direbbe S. Teresa d’Avila.
GESÙ, AIUTAMI AD ESSERE TUO, GESÙ, AIUTAMI AD ESSERE SOLO TUO, GESÙ, AIUTAMI AD ESSERE TOTALMENTE TUO, GESÙ, AIUTAMI AD ESSERE PER SEMPRE TUO
È opportuno pregare con questa invocazione centellinando parola per parola. Allora il nostro cuore diventerà un fuoco divampante di amore per Gesù, come afferma la liturgia a proposito dello Spirito Santo.
“Amarti” – Siamo tutti esperti del significato e del contenuto dell’amore. A noi oggi basta questo: l’amore vuole la dimenticanza di noi stessi: chi ama trova la sua felicità nel cercare il bene e la felicità dell’amato, gioisce quanto più cerca di realizzare i desideri della persona amata, anche a costo di dimenticare se stessi. Sul piano umano è naturale; è più difficile nei riguardi di Gesù. Eppure è così!
“farti amare” – Come ho detto sopra, se amo di fatto Gesù, è motivo di gioia ed è una vera esigenza il darsi da fare affinché tante altre persone capiscano quanto è bello amare Gesù. La “missionarietà” è un aspetto necessario della fede vissuta.
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Se mi impegno davvero a vivere “IN Cristo”, senza dubbio sperimenterò che non posso amarLo solo un po’: Gesù è totalità! Vuole tutta la nostra persona, soprattutto il cuore e il profondo di me stesso. L’invocazione di oggi vuol esprimere proprio la totalità dell’amore per Gesù, e di conseguenza l’amore verso tutti gli uomini.
“desiderarti e farti desiderare” – Ancora una volta intendo il verbo “desiderare” nel significato stringente di “esigenza insopprimibile di un bene per me assolutamente necessario”. Non è una definizione esagerata. Se ami Gesù davvero, sono sicuro che anche tu condividi una tale definizione.
è una necessità: «Bonum est diffusivum sui» – dicevano gli antichi –, ossia: il bene tende necessariamente a comunicarsi.
“Essere tuo” – Penso alla realtà fondamentale di me e di ogni persona: Dio ci ha creati “a sua immagine”. Se rifletto su questo termine, subito mi accorgo che significa: “rapporto”. Se considero una fotografia “come immagine” di una persona, o di qualche altra realtà, mi accorgo che la foto posso considerarla “immagine” perché c’è un rapporto reale tra quel pezzo di carta e la realtà raffigurata. Nel nostro caso vuol dire che io mi accorgo che sono in un rapporto essenziale ed esistenziale con Dio. In caso contrario non esisterei, perché da sempre Dio mi ha pensato e creato come Sua immagine; non mi ha reso Sua immagine solo in un secondo momento.
“Totalmente tuo” – È la conseguenza necessaria di quanto ho detto prima: il mio “io” (mente, cuore, affetti, sentimenti, … tutto, compreso il corpo) è animato e vive per la gloria di Dio, perché sono in tutto “Sua immagine”, non un essere a sé e per sé! S. Paolo afferma con forza: «Per me vivere è Cristo» (Fil 1, 21) e «Tutto il resto è spazzatura» (Fil 3, 8). Non è esagerato: è la verità!
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Nella mia preghiera personale non solo devo usare queste quattro invocazioni, ma sarebbe buona cosa aggiungere altri aspetti del mio amore per Gesù.
Esisto perché sono immagine di Dio. Questo è il fondamento della religiosità di ogni uomo, prima ancora di appartenere a una religione. Quanto più conosciamo Dio, tanto più conosciamo noi stessi, perché in ogni istante siamo Sua immagine.
“Solo tuo” – Non intendo escludere i rapporti con altri uomini, però vedo una totalità di rapporto con Dio, con Gesù. Oso dire che, quando uno vuol vivere realmente per Lui, perfino i rapporti con i fratelli vengono dopo e dipendono dal rapporto di amore con Gesù. In questa ottica, capisco anche che non ci si fermi agli affetti umani in se stessi, ma si viva totalmente, quindi “solo” per Gesù. Così mi spiego le vocazioni religiose.
“Per sempre tuo” – È un’ultima conseguenza delle affermazioni precedenti. Altrimenti, se non comprendessi il fattore tempo,
Ma questo vorrebbe dire negare tutta l’invocazione nella sua Perinterezza.completare il mio pensiero, aggiungo un avverbio: “responsabilmente”.
È proprio grande l’uomo!
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Se non ci impegniamo a conoscere molto di più la Parola di Dio, corriamo il rischio di pensare “a vuoto”, quindi di camminare al buio; ancor peggio: ci ripieghiamo sul nostro modo di pensare e di sentire, ritenendolo la verità, solo perché noi la pensiamo in quel modo, magari per i gusti personali.
vorrebbe dire che in fondo non voglio realmente vivere né il “solo tuo”, né il “tutto tuo”.
Varrebbe la pena adesso di riprendere le quattro i nvocazioni, aggiungendo ad ognuna l’avverbio “responsabilmente”.
Dice il salmo 8: «Che cosa è l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi? Davvero l’hai fatto poco meno di un dio, di gloria e di onore lo hai coronato. Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi… O Signore, Signore nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!» (Salmo 8, 5-8).
E noi agiamo “da uomini” nella misura in cui usiamo la libertà e la volontà. Questo significa agire “responsabilmente”.
A proposito della Parola di Dio, occorre mettere in pratica le cinque “A”: ascoltare – approfondire – applicare – attuare – annunciare.
Noi uomini non siamo manichini, o dei robot: abbiamo la libertà e la volontà. Sono proprio queste due facoltà che ci distinguono da tutti gli altri essere viventi.
GESÙ, AIUTAMI AD ASCOLTARE LA TUA PAROLA
Tutta la vita cristiana trova la sua anima nella Parola di Dio. Un Maestro specialissimo di questa certezza fu il card. Martini.
Papa Francesco è così convinto della necessità della Parola, che addirittura ha fissato una domenica all’anno proprio alla conoscenza e all’approfondimento della Parola di Dio: è la III domenica del “Tempo ordinario”.
Applicare – La Bibbia non è riservata al popolo d’Israele: è per tutti e per ogni tempo della storia. È… proprietà della Chiesa, che è il “nuovo” popolo eletto e che durerà fino alla fine dei Latempi.fatica nostra consiste nel cogliere l’insegnamento vero, profondo, atemporale, contenuto nei singoli racconti della Sacra Scrittura al di là dei vari racconti che ci coinvolgono molto po-
Approfondire – Papa Francesco ci chiede di più: ci chiede di conoscere a fondo la Parola di Dio. Questo richiede tempo, fatica e anche un po’ di passione per scoprire in profondità quello che ci insegna la Scrittura. È un compito faticoso, ma non dobbiamo fermarci al racconto che ci viene offerto nelle singole letture. Per farsi capire dagli uomini, da tutti, così diversi anche per intelligenza e cultura, la Bibbia non si esprime mai mediante affermazioni astratte, ma si serve sempre di esempi concreti presi dalla vita e dalla storia concretissima di quei tempi; quindi quello che dice la Bibbia sono episodi molto lontani dalla nostra sensibilità. Bisogna proprio “studiarla” la Parola, senza scusarci dicendo che non siamo teologi: lo Spirito Santo l’abbiamo tutti!
La seconda “A” forma in ciascuno di noi una vera sintonia con la Sacra Scrittura e ci aiuta ad assimilare il pensiero di Dio. Con l’esercizio finiremo per pensare come Dio.
Ascoltare – Che differenza tra “ascoltare” e “sentire”! Il “sentire” è un fatto esterno a noi, non dipende da noi. Noi sentiamo le parole che ci vengono dette, i rumori, la musica ecc., ma di solito non ci “prendono” nel cuore, ci lasciano molto spesso indifferenti. Invece “ascoltare” esprime un atto mio, volontario, libero, e chiama in causa tutta la mia persona: la mente, il cuore, i sentimenti, e talvolta perfino il corpo. L’“ascoltare” non mi lascia mai indifferente: coinvolge sempre tutte le mie facoltà di mente, di cuore e forse la mia… fisicità. Inoltre ci coinvolge sempre e ci costringe a prendere una posizione a favore o conChissàtraria. se a Messa mi limito a “sentire” le letture, oppure le “ascolto”?! È questo che dà una direzione alla vita.
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L’esperienza di ognuno di noi dice che il bene, quindi in particolare l’amore, tende per sua natura ad uscire da se stessi, gode nel Allora,comunicarsi.seGesù vive da Signore dentro di me, anch’io vivo di amore. Come posso costringerlo a rimanere solo in me, chiuso nel mio piccolo mondo?
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Spero che ciascuno di voi voglia condividere il mio desiderio: l’esigenza di gridare ai quattro venti e sulle piazze la Parola di Dio, perché tutti la possano conoscere e vivere le cosiddette cinque “A”. Per me, e penso anche per voi, sarebbe un motivo di soddisfazione e di gioia; conoscere per amare e amare per conoscere – afferma il grande S. Agostino. Chiudo con un augurio del mio card. Ballestrero: «Dobbiamo diventarne (della parola del Signore) talmente intrisi e talmente sostanziati da poterla poi servire, da poterla poi proclamare, da poter poi annunziare il Vangelo non come una memoria che esce dal nostro archivio culturale, ma che esce dall’esperienza viva, presente, quotidiana, inesauribile della nostra fede e della nostra carità» (A. Ballestrero, Il cuore del Curato d’Ars, Elledici, p. 140).
co. Dobbiamo invece domandarci: se Dio comunicava in quel modo e chiedeva quei determinati impegni al popolo d’Israele, a noi, uomini del terzo millennio, che cosa Dio dice e chiede proprio mediante quegli episodi?
Attuare – È vero quello che ho scritto sopra, ma non deve rimanere un bell’esercizio di mente. È necessario arrivare alla concretezza della vita, chiedendoci come mi è (e ci è!) possibile mettere in pratica l’insegnamento ricevuto, in modo molto concreto, nella vita semplice ma reale di ogni giorno, oggi, in un mondo molto diverso dai tempi precedenti. Un tale discorso vale anche per la grande storia della società e innanzi tutto della Chiesa. Avremmo così una vita personale e comunitaria, ecclesiale e civile, proprio cristiana. Non vedo altre possibilità di vivere una vita veramente secondo il pensiero e la volontà di Dio.
Annunciare – La missionarietà è una logica e necessaria conseguenza di una vita personale e comunitaria davvero cristiana.
A questo punto mi entusiasmano le tre invocazioni di oggi.
SIGNORE, CHI MI GUARDA, TI VEDA, SIGNORE, CHI MI ASCOLTA, TI SENTA, SIGNORE, CHI MI LEGGE , TI DESIDERI
Tutti sappiamo che la vita cristiana consiste nel mettere al centro di noi stessi il Signore Gesù. S. Paolo ha affermato addirittura che «Per me vivere è Cristo» (Fil. 1, 21). E S. Ambrogio, con una accentuazione diversa, afferma la stessa verità: «Cristo è il tutto per noi». Affermazioni belle e condivise da tutti, almeno intellettualmente. Ma resta poi il “piccolo” (si fa per dire!) problema di viverle sul serio nella vita quotidiana di ciascuno. Personalmente vedo una via sicura, anzi, l’unica via valida, anche se l’attuazione è molto difficile. Consiste nel dimenticare se stessi, gli affetti che ci legano, i progetti su cui cerchiamo di costruire la nostra vita, insomma tutto quello che è troppo legato a me, ai miei pensieri, al desiderio di essere stimato e apprezzato, al bisogno invincibile di apparire: se gli altri non mi stimano, non mi considerano, mi sento fallito, ecc. ecc. Invece la via giusta, l’unica via giusta, è quella proposta dalla Imitazione di Cristo (un libretto… necessario!): «Ama nesciri et pro nihilo reputari» (Libro I, cap. II). Significa addirittura: desidera di essere dimenticato dagli altri, e ritenuto un nulla. Che coraggio! Ma, dove vanno a finire la mia volontà, gli impegni buoni, le opere di aiuto e di attenzione al prossimo? Allora, mi devo comportare come un automa, un robot? L’azione umana non conta nulla? No affatto! Noi ci realizziamo vivendo responsabilmente i nostri impegni con assiduità. È il fine che cambia: non più l’agire per me, ma sempre per Gesù.
Signore, chi mi guarda Ti veda “Guardare” esprime l’impegno di fissare gli occhi, il cuore e l’attenzione su qualcuno per conoscerlo meglio e magari per ispirarmi al suo esempio. Quando mi sento guardato da qualcuno con stima, mi fa piacere, quasi mi fa “crescere” come persona. Nella nostra invocazione non interessa che gli altri ammirino e stimino la nostra persona. Invece: io voglio impegnarmi il più possibile nel bene affinché chi mi guarda, grazie al mio modo di vivere, mi vedano come uno specchio di Gesù. Attraverso noi, gli altri contemplino
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Gesù e siano aiutati ad imitare ancora di più Gesù. Quindi il mio impegno personale ci deve essere, ma sempre perché Gesù sia più conosciuto ed amato. Mi sento uno specchio terso di Gesù?
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Signore, chi mi ascolta Ti senta È un altro aspetto della invocazione precedente. Quando uno si impegna ad approfondire un mio discorso, o cerca sinceramente di conoscere il mio pensiero, perché lo fa? Perché mi stima e apprezza quello che dico, e basta? E quando vedo che qualcuno si interessa sinceramente del mio pensiero e del mio modo di parlare, mi dà soddisfazione, e basta? È tutto lì? Non c’è il pericolo di considerarmi bravo… “in proprio”? come se tutto dipendesse da me e fosse tutto merito mio? E mi compiaccio! Allora tutto è finalizzato a me, alla mia soddisfazione e basta. Gesù entra in questo mio “gioco”? Se cerco la gloria di Dio, non la mia gloria fasulla, devo cambiare il fine della mia soddisfazione: non il mio piacere, ma la gloria di Dio! Ma tutto questo richiede che il mio modo di pensare sia davvero quello di Gesù. Non devo quindi dire parole “mie”, ma quelle di Gesù. Occorre essere docili allo Spirito Santo.
Signore, chi mi legge Ti desideri Sì, scusate: alcune volte aggiungo questa terza invocazione. Spero che non sia un atto di orgoglio, o una autosoddisfazione. Da quando sono pensionato, mi “diverto” a scrivere degli opuscoli, che possano (!) aiutare qualcuno a conoscere meglio e ad amare di più il carissimo Gesù. Inoltre, nei miei opuscoli uso più volte il termine “desiderio”. Come ho detto qualche altra volta, a questo termine dò un significato che ho appreso da uno scrittore sconosciuto, ma che secondo me è una “bomba” spirituale. Secondo costui (e secondo me) desiderio significa: bisogno insopprimibile di un bene per me indispensabile . Non lo spiego per non rovinare il contenuto molto pregnante. Lascio a chi lo vuole il compito di approfondirlo personalmente.
I gesti di Dio sono proprio incomprensibili per noi uomini! Inoltre, Davide era l’ottavo, cioè era fuori del numero sacro, il numero
E qui c’è il fatto assai curioso: Samuele chiede a Jesse: «Sono qui tutti i tuoi figli?» Jesse disse di sì; ma poi corresse: «C’è un altro figlio, ma quello è piccolo e sta facendo la guardia agli animali». Che strano: un papà non ricordava di avere un altro figlio, piccolo, quindi non contava nulla!
Gesù risorge l’ottavo giorno della settimana, quindi anche lui fuori dai criteri umani secondo gli israeliti. Forse tutto
Dopo che tutti si furono purificati e Samuele sacrificò il giovenco alla presenza di Jesse e dei suoi figli, Samuele guardò i figli di Jesse e pensò che il designato fosse il maggiore, Eliab, perché pensava che Dio scegliesse il primogenito che era considerato il più degno di essere unto come re.
Invece il Signore dice a Samuele: «Non è questo. Non guardare al suo aspetto e alla sua statura». Allora pensò al secondo, poi al terzo e così fino all’ultimo figlio presente al sacrificio. Ma Dio continuava a dire di no.
Dio ordina a Samuele di prendere un corno pieno di olio per ungere il nuovo Re che Dio gli indicherà. Lo manda a Betlemme presso Jesse, perché tra i suoi figli c’è il giovane che Dio ha scelto come Re: «Il Signore disse a Samuele: “Fino a quando piangerai su Saul, mentre io l’ho ripudiato perché non regni su Israele? Riempi di olio il tuo corno e parti. Ti mando da Jesse il Betlemmita perché mi sono scelto tra i suoi figli un re. (…) Io ti farò conoscere quello che dovrai fare e ungerai per me colui che ti dirò”» (I Sam 16, 1-3).
Ancora,7.
Eppure Dio aveva scelto proprio lui, quello scartato secondo i criteri umani. Al suo apparire Dio comandò a Samuele di consacrarlo re versandogli l’olio del corno sul capo e alla presenza dei fratelli. Forse come testimoni.
Dio ha rifiutato Saul e sceglie un altro Re.
SCELTA E UNZIONE DI DAVIDE, RE (I Samuele, 16)
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Tutto l’episodio è ricco di elementi anche grotteschi, ma ancora una volta ricordiamo che non dobbiamo fermarci alla materialità del racconto. (la narrazione è solo un mezzo); dobbiamo invece cercare nel racconto l’insegnamento che la Parola ci vuol trasmettere.Fermiamoci solo sull’episodio della sfida, perché qui sono numerosi gli elementi esagerati, ma che ci servono per approfondire la Parola di LeggiamoDio.dal v. 32 in poi. Già il fatto che un ragazzo, Davide, si offra spontaneamente al re Saul per affrontare Golia, è almeno ridicolo: «Davide disse a Saul: “Nessuno si perda d’animo a causa di costui. Il tuo servo andrà a combattere con questo filisteo”. (…) Davide aggiunse: “Il Signore che mi ha liberato dalle unghie del leone e dalle unghie dell’orso, mi libererà anche dalle mani di questo filisteo”. Saul rispose: “Ebbene va’ e il Signore sia con te”» (v. 32 ss.).
L’episodio più noto di Davide, ragazzo, è la sfida tra lui e il gigante Golia, L’insegnamentofilisteo.principale di questo episodio è che Dio è fattivamente presente e operante nella storia del popolo eletto: è Lui che agisce nella storia a favore di Israele. Inoltre ci insegna ancora che Dio agisce secondo i suoi criteri, spesso addirittura opposti ai criteri umani. Una sola condizione richiede Dio: che l’uomo creda in Lui, si fidi di Lui. In tal caso l’uomo, per l’intervento di Dio, compie azioni addirittura incomprensibili, o perfino impossibili secondo la natura.
questo ci invita a guardare e a giudicare secondo la mente di Dio, non secondo i nostri criteri troppo umani. Si dice popolarmente che noi vediamo “dal naso in giù”.
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Da allora Davide, ancora ragazzo, visse a servizio del re Saul.
DAVIDE E GOLIA (I Samuele, 17)
Il primo insegnamento che ci offre la scelta del ragazzo Davide come Re è fondamentale: Dio non segue i criteri di noi uomini e, anche se non li capiamo e non li condividiamo, alla fine dobbiamo riconoscere che aveva ragione Dio!
È una affermazione perfettamente in linea col pensiero degli israeliti e ci ripete che è assurdo lottare contro Dio. Quindi, tutto l’episodio è profondamente religioso… ed è questo l’insegnamento.
Il cap. 11 del II libro di Samuele racconta un peccato grave di Davide, un peccato di adulterio. Era ed è il peccato molto diffuso
Di fronte gli sta Golia, dalla corporatura e dalla statura enormi, armato di tutto punto dalla testa ai piedi, quindi sicuro di sé, totalmente sicuro delle sue capacità. Al suo apparire «tutti gli israeliti quando lo videro, fuggirono davanti a lui ed ebbero grande paura» (v. 24).
La motivazione del coraggio di Davide è chiara: «Chi è questo filisteo incirconciso (quindi non appartenente al popolo di Dio) per sfidare le schiere del Dio vivente?» (v. 26).
Quindi Golia è il simbolo dell’uomo che pensa di bastare a se stesso, che non ha bisogno di aiuti esterni, nemmeno ha bisogno di Dio.Dunque,
Golia… basta a se stesso (è proprio convinto!) e ovviamente si sente offeso nel vedere come suo sfidante un ragazzo, completamente indifeso, senza la più piccola armatura (non poteva ancora indossarla!), quasi una nullità, militarmente parlando. Quindi gli grida parole molto pesanti, tante invettive, e lo minaccia di dare il suo cadavere come pasto agli avvoltoi.
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Eccoli l’uno di fronte all’altro, Davide di fronte a Golia. Fermiamoci un momento ad osservarli; la presentazione dei due sfidanti parla da sé: Davide è un ragazzo, non conosce ancora l’uso delle armi; l’unico suo strumento “di guerra” è quello tipico di un ragazzo di quell’età: una fionda e qualche ciottolo nella bisaccia. Null’altro. Però è lì in nome di Dio!
Per farsi accettare dal re Saul e perché gli venga concesso di sfidare Golia, Davide racconta cose impensabili, non vere, ma che dimostrano che, quando si è con Dio, si compiono cose impossibili e meravigliose (vv. 32-39).
DAVIDE PECCATORE (II Samuele, 11)
Ecco il rovescio della medaglia: Davide è Re, un Re stimato. Però è un uomo, quindi anche lui commette peccati.
Dall’inganno8-13. il Re passa all’imbroglio e all’omicidio. Fa mettere Uria dove più ferve la battaglia, affinché sia colpito e muoia. Davide giunge fino alla strage: con Uria morirono tanti altri soldati.
nell’umanità e tutti anche a quei tempi ne capivano la gravità; era il peccato “per antonomasia”.
Ecco il racconto del peccato di Davide che si legge al cap. 11 del II libro di Samuele.
Da questo momento inizia una serie di peccati da parte del re Davide. Innanzitutto vuol salvare la faccia davanti al popolo: fa tornare dalla guerra il marito di lei e lo inganna fingendo di essere interessato all’andamento della battaglia e al bene dello stesso Uria (di fatto non gli interessava tutto questo!): addirittura gli concede di dormire una notte a casa sua. In tal modo il figlio che sarebbe nato, di fronte al popolo sarebbe stato considerato ovviamente figlio di Uria. È opportuno che ognuno rifletta su ogni parola del testo e soprattutto sui moventi dei vari comportamenti di Davide: vedi i vv.
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Il fatto narrato non ammette dubbi: è un vero peccato di adulterio; eppure secondo la legge del popolo d’Israele, quello di Davide era un atto lecito, non un atto contro la legge di Dio. Ecco i motivi: Davide è il Re, quindi gli è permesso “usare” di qualsiasi donna: la Legge non ha nulla da rimproverargli al riguardo. Betsabea, moglie di Uria, era in casa mentre il marito era in guerra: situazione più che normale. Davide, dal suo terrazzo, scorge questa donna, che ha appena terminato un buon bagno, quindi è purificata; per giunta, aggiunge il testo sacro, era una bella donna. Quindi era tutto in regola ed era pertanto naturale che il re Davide ne approfittasse. Ma agli occhi di Dio questo era male! Davide manda a prendere la donna, la quale, ovviamente non poteva rifiutarsi al volere del Re. Davide giacque con lei, che concepì un figlio. Betsabea fa sapere il fatto a Davide.
A Davide interessava solo salvare la faccia: vedi i vv. 14-17.
Da ultimo arriva fino all’ironia beffarda; il verso 25 afferma:
Il fatto che consideriamo qui ha una importanza particolare perché ci mostra che, quando uno ha peccato, ha commesso un peccato grave, ossia non è più in rapporto di amicizia con Dio, è disponibile, quasi invitato, a commettere tanti altri peccati quasi come conseguenza del primo grosso peccato.
Però l’insegnamento principale è questo: quando un uomo riconosce di essere peccatore, Dio gli perdona sempre ogni peccato: «Allora Davide disse a Natan: “Ho peccato contro il Signore!” Natan rispose a Davide: “Il Signore ha rimosso il tuo peccato: tu non morirai”» (II Sam 12, 13).
UNA OSSERVAZIONE SIGNIFICATIVA
L’episodio di Davide peccatore mi pone una domanda: Il peccato è solo un fatto personale, è un atto solo mio senza alcuna conseguenza sugli altri, sulla comunità? Il peccato di Davide ci dice di no; ripensiamo alla serie di peccati che ne sono derivati, fino alla strage. E Davide non li considera peccati. L’episodio ci insegna che ogni peccato ha delle conseguenze anche sugli altri, e che talvolta occorre un aiuto esterno che risvegli la nostra coscienza. Ce lo insegna il cap. 12 del II libro di Samuele: il profeta Natan è mandato da Dio a Davide per risvegliargli la coscienza, grazie a un bel Ancheracconto.noi, almeno qualche volta, abbiamo bisogno di un profeta Natan (la Chiesa, il sacerdote…) che ci risvegli la coscienza.
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Ritengo che anche la nostra società attuale sia piena zeppa di prove di una tale verità!
Mi pare sufficiente un solo insegnamento: un peccato vero rompe ogni remora ad altri peccati, veri e gravi. Quanto è reale la Parola di Dio in ogni tempo, anche ai nostri giorni!
Un secondo insegnamento è questo: il peccato riguarda non solo la mia coscienza, non è solo un fatto interiore. Ogni peccato ha una sua oggettività e come tale produce degli effetti negativi anche se non ci penso.
«Allora Davide disse al messaggero: “Riferirai a Joab: Non sia male ai tuoi occhi questo fatto, perché la spada divora ora in un modo ora in un altro; rinforza la tua battaglia contro la città distruggila. E tu stesso fagli coraggio”».
Perché Matteo parla di “dieci vergini” e non dice “dieci donne”, e non tutte… “per la quale” – diremmo noi –, non tutte avvedute, non tutte “prudenti”? Forse perché una donna vergine vuol dire non legata a un uomo, non dipendente dalle cose del mondo. La vergine – secondo una visione popolare religiosa – è impegnata a vivere per Dio e si sente felice nella tensione a Dio nella vita quotidiana... Ci suggerisce che ogni cristiano non può prescindere nella vita normale dal rapporto personale con Dio.
LE DIECI VERGINI
È una parabola “birichina”: se la leggi velocemente, un po’ superficialmente, ti pare di conoscerla già e di conoscerla bene. Se invece dedichi tempo, testa e cuore, scopri che quasi ogni parola ti insegna qualcosa di nuovo. Io provo ad aiutati soffermandomi su tanti punti qualificanti. Più frequentemente viene commentato ciò che riguarda le vergini “stolte”; io invece nella seguente riflessione preferisco osservare le vergini “sagge”, perché mi pare che corrisponda di più al nostro modo di vivere da cristiani… normali, praticanti, ma senza visioni speciali. Procedo per punti.
Quell’incontro segnerà la nostra piena realizzazione, e in esso consisterà la nostra piena felicità. Già tale sottolineatura ci invita ad approfondire la parabola delle dieci vergini. Il verbo “sarà” ci suggerisce che il Regno dei cieli non è una realtà solo dell’oggi, ma raggiungerà la sua piena realizzazione dopo la storia, alla fine dei tempi.
La parabola ci porta alla fine del tempo, di tutta la storia: siamo ormai al cap. 25 del vangelo di Matteo: «Vegliate dunque perché non sapete in quale giorno verrà» (Mt 25, 42). Quindi la parabola ci invita a prepararci all’incontro finale con il Cristo glorioso e giudice. È la cosiddetta “parusia”. Perciò anche il Regno di Dio va letto in questa luce. È questo il significato dell’«andare incontro allo sposo» (v. 1).
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«Uscirono incontro allo sposo» (v. 1) Il verbo “uscirono” riporta sulla strada. Se uno rimane in casa, vuol dire che è chiuso in sé, nelle sue opinioni, interessi e abitudini: in casa sua si sente al sicuro. Invece, per incontrare il Signore, uno deve uscire dalla sua sicurezza ed essere libero, disponibile ai possibili in-
Le lampade esprimono tutto quello che fa parte della vita reale: circostanze, scelte, mezzi per realizzare le scelte fatte, situazioni varie che fanno parte della vita concreta, ecc. Le lampade suggeriscono che il Regno, cioè l’incontro con Gesù, non è qualcosa di astratto, di immaginario. Ci insegnano che è qualcosa di concreto e che si raggiunge nella vita quotidiana, nella ferialità della vita, e spesso con fatica.
Nell’olio vedo tutti i valori interiori, le virtù…, che rendono le lampade adatte a servire al loro scopo. Ma, ovviamente, l’olio esprime soprattutto il valore massimo della vita, cioè l’amore, cominciando dall’amore per Dio. È proprio questo amore che rende operativo, efficace l’olio, ossia: i valori umani e le virtù. Senza questo olio, l’amore per Dio, le virtù e le belle qualità umane non sono sufficienti. In una parola, è l’amore ciò che è indispensabile per il personale pellegrinaggio verso Gesù, il Cristo.
Lampade e olio Tutte e dieci presero le lampade, ma solo cinque presero anche l’olio. Sia le lampade, sia l’olio sono necessari per camminare al buio. Ogni “vergine” deve prenderli necessariamente tutti e due. Una tale costatazione chiama in causa la responsabilità personale e l’esercizio di alcune virtù cominciando dalla prudenza, nel cammino cristiano verso il Cristo. È interessante notare che solo cinque presero anche l’olio: non tutte! E le altre? Perché solo cinque? Tutte le dieci vergini hanno conosciuto di persona – si suppone – Gesù, il Maestro, e lo vogliono seguire. Ma non è sufficiente il proposito, l’impegno di seguirlo: bisogna essere “prudenti” – dice Matteo , è necessario “vigilare” per evitare… le buche, i sassi… Non è sufficiente un solo atto di coraggio per seguire Gesù.
39 contri, compreso quello con Dio. Tutti gli incontri “scioccanti” con Gesù – ci dicono i vangeli – avvengono sulla strada, dove non si è più al sicuro.
“… incontro allo sposo”. La vita cristiana autentica non può essere statica, non è mai una situazione acquisita una volta per tutte: è sempre un cammino, un pellegrinaggio – dice Martini -, che ha come meta l’incontro con Gesù, il Cristo glorioso. Il Regno di Dio è un continuo divenire dall’oggi al “per sempre”.
Per essere saggi come le cinque vergini del vangelo è necessario accettare i tempi di Dio, quelli fissati da Lui, non da noi! Scrive il padre Lafrance: «Lìberati dalle tue frette: lo sviluppo della tua vita non è in te una proprietà di natura o una conquista orgogliosa della tua volontà, ma un dono della grazia. Tutte le tue miserie provengono dallo scontro tra le tue vedute personali, corte e limitate, e la volontà di Dio, larga e spaziosa. Tu vuoi realizzarti secondo un piano concepito nel tuo piccolo laboratorio di perfezionamento: Dio ha per te un programma
«Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono» (v. 5) È lo sposo che tarda, non le vergini. Saremmo tentati di rimproverare lo sposo, Gesù in persona, perché non è puntuale a un impegno con queste vergini, ossia… con noi. Un impegno magari richiesto e fissato da noi, non da Lui. Che cosa significa il fatto che lo sposo tardava? È per tutti un’esperienza forte il tardare di un tale sposo. Significa che oramai, per noi, Gesù non è più visibile con i nostri occhi, non è più tangibile come lo era per i suoi concittadini e contemporanei. Nella storia che viviamo non è più sperimentabile, non possiamo più rivolgerGli una parola con un timbro di voce… nostra! Non sentire più il timbro della sua voce, un timbro “trasformante” come capitò alla Maddalena il mattino di Pasqua. Non poter più essere presenti ai suoi miracoli che stupivano e aprivano il cuore e la mente ai suoi insegnamenti. Non sperimentare più la consolazione dell’amore operato dalla sua vicinanza e dal suo fascino. Insomma. Gesù, sei proprio risorto anche per me? Che cosa intendevi dire con l’affermazione: «Sono il Vivente?» (Apoc 1).
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«Si assopirono tutte» (v. 5) Sì, proprio tutte, anche le sagge. Non illudiamoci: è la conseguenza di quanto ho detto prima. Come le vergini, anche noi sperimentiamo la possibilità della tristezza, della atonia spirituale e forse anche umana. Perfino corriamo il pericolo di una vita cristiana trascinata e la tentazione di chiuderci nel nostro guscio e condurre una vita isolata, non più comunitaria, come stavano facendo i due di Emmaus. Sarebbe opportuno riflettere sulla tiepidezza, a riguardo della quale leggiamo nella Bibbia: «Poiché non sei né caldo né freddo, ti vomito».
«A mezzanotte… una voce: Ecco lo sposo» (v. 6) È vero: quando uno è arrivato al punto di non ritorno e non “sente” più la fede, il Signore nella sua bontà si fa risentire e ci fa sperimentare che non ci ha mai abbandonati nonostante la nostra infedeltà. “Una voce” grida. Mi suggerisce che di solito il risveglio della fede è dovuto a un aiuto dall’esterno: sarà un fatto nella vita normale o una circostanza speciale: una predica, un corso di Esercizi spirituali. Spesso il risveglio è dovuto all’incontro con una persona che incide fortemente nel nostro modo di pensare e di vedere i fatti della vita. Talvolta può essere perfino un dolore o una prova che… “ci spiazza” e sconvolge le nostre sicurezze illusorie.
41 di amore più completo. Abbandona la tua pretesa di volerti costruire e lascia fare a Dio anche se non ne comprendi il programma. Non ti verrebbe mai in mente di giudicare un’opera teatrale all’inizio del primo atto. Alla fine della vita sarai stupito del progetto d’amore che Dio aveva per te. (…) Egli aspetta da te una cosa sola: che tu lo lasci fare» (J. Lafrance, Prega il Padre tuo nel segreto, Edizioni O. R., p. 35).
«E si addormentarono» (v. 5) Penso istintivamente ai tre apostoli “speciali” nell’orto degli ulivi: non riuscivano a stare svegli e Gesù tenta di tenerli svegli senza riuscire: «Non siete capaci di stare svegli un’ora sola con me!», dice Gesù con tanta amarezza. L’addormentarsi, il dormire esprime la prova più difficile, la più dura nel campo della fede: si fanno avanti tanti dubbi, perplessità sull’insegnamento della Chiesa e del papa, tante domande sulla Chiesa, su Gesù stesso e perfino su Dio. E si finisce per considerare il “per me”, ossia il “secondo me” come l’unico criterio della verità e della via giusta per… “uscire incontro allo sposo”. Qui rimando alla IX stazione di La sua e la mia Via Crucis, specialmente agli spunti per un serio esame di coscienza “pratico” sulla propria vita di fede.
«Prepararono le loro lampade» (v. 7) Con il ritorno della fede tutti gli elementi della vita si vedono sotto una luce nuova, che dà bellezza ad ogni cosa, riacquistano valore e ridiventano via e mezzi sicuri per riprendere il cammino incontro a Cristo.
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Una parabola come questa merita adesso un commento, un approfondimento. Mi limito a riflettere su una voce verbale: “tardava”.
“TARDAVA” – Esprime un tempo “sospeso”, di attesa, con gli inevitabili stati d’animo connessi. Nell’episodio dei due discepoli di Emmaus vedevo il centro psicologico nel verbo “speravamo”. Qui lo colgo nel verbo “tardava”. Parlo di punto “psicologico”, centrale, delle due pagine evangeliche, perché cerco di prendere in considerazione ciò che i due fatti narrati, per sé assai differenti, suscitano nell’animo e nel cuore degli attori.
LE VIRTÙ DEL TEMPO “SOSPESO”
UNA RIFLESSIONE CONCLUSIVA
Nel nostro caso si tratta di attesa molto impegnativa, perché l’incontro con lo Sposo (con l’iniziale maiuscola!) rappresenta il raggiungimento della piena felicità, la piena realizzazione di sé.
«Le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze» (v. 10) Le nozze significano raggiungere lo scopo della vita; le nozze esprimono gioia, amore e tutto quello che rende piacevole la vita, sempre, in ogni situazione. Penso ad Apocalisse 3, 20: «Sto alla porta e busso, se qualcuno ascolterà la mia voce e mi aprirà la porta, entrerò da lui, cenerò con lui ed egli con me». Il cenare con Gesù esprime la felicità, la piena realizzazione di se stesso, ancor più se si tratta non solo di cenare con Lui, ma ancor più di un banchetto di nozze.
Penso a Mosè dopo l’esperienza del roveto ardente: si rimette a guidare il popolo, ma adesso lo fa secondo la volontà di Dio, perché il roveto ardente lo ha rimesso sulla via di Dio.
Nel verbo “tardava” leggo la necessità di una virtù non troppo apprezzata, la “pazienza” , che possiamo chiamare: virtù “passiva”. Nello stesso verbo trovo espressa la necessità di un’altra virtù umana, ma questa volta certamente “attiva”, perché richiede l’agire dell’uomo; è la virtù della “vigilanza”, indispensabile in una situazione di attesa.
ATTESA È sempre una prova: se non si è vigili, l’attesa di un avvenimento importante può facilmente produrre una nociva stanchezza spirituale, anche monotonia nella vita di pietà, e si finisce nella tiepidezza: tutto diventa grigio, senza colore e senza entusiasmo: nulla ci rende gioiosi, quindi si vive in un pesante “trantran”.
Ne ricordo solo due.
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VIGILANZA È essere sveglio dentro di sé, con la mente sempre pronta a rendersi conto di ciò che accade, con la capacità, critica, di prendere decisioni giuste e con puntualità o anche con immediatezza. Vuol dire dominare i propri sentimenti, le impressioni, le reazioni istintive, senza lasciarsi andare a posizioni istintive. Occorre insomma libertà da se stessi, dal proprio “io” carnale, sensitivo. Ci vuole una salutare indifferenza dagli umori che sono sempre mutevoli, perché istintivi. Questa è la vigilanza.
PAZIENZA Non vuol dire: saper soffrire, ma è un soffrire finalizzato a un evento futuro, ovviamente positivo. Dice l’Antico Testamento che Dio era paziente verso il popolo d’Israele, perfino condivideva la storia d’Israele, ma tante volte non castigava perché aspettava che il popolo si convertisse. Nei Vangeli troviamo diversi esempi della pazienza di Gesù come racconta la sua pazienza verso il fico senza frutti: su invito dei discepoli rimanda il castigo di un anno (Lc 13, 6 ss.). Una bella preghiera sulla pazienza ce la offre il card. Ballestrero: «Beato chi crede che tu verrai, Signore! E beato soprattutto chi crede che tu verrai quando vorrai, come vorrai e dove vorrai! Questo sapere senza sapere, questo attendere senza aver calendari che dicano le date precise degli eventi: è sostanza di Fede, è impegno di fedeltà a te, Cristo Signore, che hai promesso di tornare e tornerai e il tuo tornare è l’evento che corona la tua Incarnazione e la tua missione di Salvatore del mondo! E c’è una promessa: quando tornerai, Signore: “Beato chi sarà sveglio e saprà aspettarti!” (Lc. 12, 37). Allora tu, Signore Gesù, lo inviterai a cena e là, nella tua gloria e nella tua beatitudine godrà il pane della vita eterna!» (A. Ballestrero, Preghiere, Piemme, p. 156).
LE PROVE DEL TEMPO “SOSPESO”
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Se poi si tratta dell’incontro personale con Cristo, il Vivente e glorioso, la situazione è ancora peggiore: si cammina nel buio come le vergini della parabola, e magari senza l’olio necessario. In proposito scrive il card. Martini: «Chi, credendo alla promessa di Dio rivelata nella Pasqua, attende il ritorno del Signore e si sforza di vivere nell’orizzonte della speranza che non delude, sperimenta la gioia di sapersi amato, avvolto e custodito dalla Trinità santa. Come le vergini sagge della parabola, egli attende lo Sposo, alimentando l’olio della speranza e della fede con il cibo solido della Parola, del pane di vita e dello Spirito Santo che nella Parola e nel pane si dona a noi. Vivere la spiritualità dell’attesa è vivere la dimensione contemplativa nella profonda consapevolezza dell’assoluto primato di Dio nella vita e nella storia. Perciò l’atteggiamento spirituale della vigilanza è un continuo riferire al Signore che viene la propria vita e la vicenda umana, nella luce della fede che ci fa camminare da pellegrini verso la patria e ci permette di orientare ad essa ogni nostro atto. (…) la spiritualità dell’attesa esige quindi povertà di cuore per essere aperti alle sorprese di Dio, ascolto perseverante della sua parola e del suo silenzio per lasciarsi guidare da lui, docilità e solidarietà con i compagni di viaggio e i testimoni della fede che Dio ci affianca nel cammino verso la meta promessa» (C. M. Martini, Dizionario spirituale, Piemme, pp. 15 s).
La prova del deserto, che è quella più dura, consiste nel sentirsi… solo, materialmente e spiritualmente! Adesso, o ci si consegna a Dio, oppure…!
DESERTO È il non possedersi più, perché non si ha più nulla a cui aggrapparsi, nulla che sia motivo sufficiente per vivere. Un esempio eloquente è quello di Carlo Carretto. Dopo ver raggiunto un livello ragguardevole nel campo dell’impegno cristiano (era diventato presidente nazionale dell’A. C.) decide di lasciare tutto e, ammiratissimo da tanti amici, va nel deserto per incontrare veramente il Signore e vivere tutto solo per Lui. Ma anche nel deserto continuava a ricevere molte, molte lettere da parte di amici e di ammiratori. In fondo si trattava solo di carta! Ma quando una ispirazione lo convinse, con grande fatica, a bruciare tutte le lettere, allora, e soltanto allora, sperimentò, si accorse di essere in un deserto vero, reale, non pensato e nemmeno solo desiderato.
Povero Pietro! In quell’istante tutto gli era contro: arrabbiatissimo perché aveva e avevano faticato tutta la notte (probabilmente più del solito) e non avevano preso proprio nulla, nemmeno un pesciolino piccolo, piccolo. Era certamente molto stanco; anche la natura gli era contro: si esce per la pesca di notte, non al mattino! Quelli che stavano con lui erano pronti a deriderlo; ma soprattutto la sua esperienza gli proibiva di ascoltare l’invito di Gesù, perché lui, Pietro, se ne intendeva alla perfezione di pesca e che cosa bisognava fare per una buona pesca; invece Gesù non conosceva proprio nulla dell’arte della pesca; Gesù avrebbe potuto chiedergli tutto su ogni argomento: Pietro lo avrebbe fatto; ma sulla pesca proprio no! Che gusti ha Gesù! Mette alla prova Pietro proprio sull’unico suo campo e osa invitarlo: «Getta le reti!». E su questo campo Gesù chiede a Pietro: «Lascia tutto, proprio tutto, soprattutto la tua esperienza (suona davvero offesa al pescatore esperto!) e fa’ quello che ti chiedo. Ti assicuro – gli fa intendere Gesù – vedrai che ho ragione io».
Personalmente, quando contemplo questa scena e vedo Pietro con i pugni sui fianchi, occhi sbarrati e forse la bava alla bocca, di fronte a Gesù mentre Lo guarda con atteggiamento di sfida, rimango sbalordito, lo fisso a lungo e cerco di penetrare nel suo cuore in quell’istante. È veramente una scena ineffabile. È ancora
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Quel lunedì sera, in un incontro sulla vocazione, un giovane mi chiese, a bruciapelo, come fa un giovane a dire: «Vengo, Gesù. Accetto il tuo invito?». Mi faceva notare (Vangelo alla mano) che Gesù non costringe mai: invita, propone e poi… scompare, si ritira.; e quel giovane rimane sbalordito, anzi, spiazzato: vede che Gesù lascia la palla a lui, e deve lui, solo lui, da solo… decidere.
NULLA! PERÒ…
A questo punto mi si presentò S. Pietro di fronte a Gesù, forse in atteggiamento di sfida! Prova anche tu a fissare i tuoi occhi su Pietro, fissa tutta la sua persona, colta in quell’istante e in quella situazione negativa nel momento in cui Gesù, senza preamboli e senza riguardi gli rivolge l’invito, che pare quasi un comando per il tono con cui glielo dice: “Seguimi!”.
più sbalorditivo, quasi assurdo, il vedere che Pietro passa oltre tutte le sue difficoltà di quell’istante e incredibilmente accetta l’invito di Gesù. Mi fermo sempre a lungo per far risuonare dentro di me quell’“autem in verbo tuo”. Non trovo una parola adatta per esprimere quell’“autem”. Forse la parola più adatta è per assurdo! Ed è ancora più assurdo perché Pietro, l’esperto di pesca, accetta di agire, assurdamente, solo sulla parola di Gesù. È davvero sconvolgente! In quell’istante Pietro impegna tutta la sua volontà, proprio tutta la volontà di cui dispone. Da quel momento la sua volontà non è più la sua volontà, ma è quella di Gesù.
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Stando ai Vangeli, Gesù invita, propone, ma non si impone mai: pare addirittura che dopo aver rivolto un invito a una persona, si ritiri, si nasconda, affinché il risultato appaia come opera dell’uomo e non Sua. È davvero un atteggiamento sublime di Gesù per esaltare la grandezza divina dell’uomo.
Ora mi chiedo: Ho provato qualche volta a dire un sì a Gesù simile a quello di Pietro? Di fatto è proprio una tale libertà dai miei attaccamenti che mi rende vero, concreto seguace di Gesù.
Il brano di Vangelo che riporta questo episodio merita di essere riportato per intero. Lo troviamo in Luca 5, 4-10 : «Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: “Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca”. Simone rispose: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma, sulla tua parola getterò le reti”. Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù dicendo: “Signore, allontanati da me perché sono un peccatore”. Lo stupore, infatti, aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto».
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