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POVERI APOSTOLI .............................................................. pag

POVERI APOSTOLI

(Atti 1, 6-13)

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Poveri Apostoli! Mi è sorta spontanea questa esclamazione rileggendo l’inizio del libro degli Atti.

Gli undici (manca Giuda, ovviamente) e alcuni discepoli di Gesù gli chiedono: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il Regno per Israele?».

Ci troviamo negli ultimi momenti della vicenda umana di Gesù e ci aspettiamo che almeno adesso gli apostoli, che sono vissuti a lungo con Lui, abbiano finalmente capito che Gesù è davvero il Messia tanto atteso. Invece, no! Non hanno capito ancora e non hanno accolto l’insegnamento di Gesù. Perché sono così duri di cuore e di mente? Che cosa pensano veramente di Gesù? Che cosa si aspettano da Lui? Eppure lo hanno seguito con entusiasmo, affascinati dai suoi miracoli strabilianti, e sono stati conquistati dal suo modo di parlare e da quello che dice: «Mai nessuno ha parlato come lui», affermano i suoi compaesani.

Ci hanno davvero sorpresi le domande che rivolgono a Gesù. Ci sorprende anche il fatto che gli buttano lì subito una tale domanda come fosse la domanda per loro più importante, o addirittura l’unica che a loro interessava. È vero che tutti gli Israeliti, quindi anche gli apostoli, avevano una visione politica del Regno di Dio. Gesù invece annuncia un regno troppo diverso e che per loro era qualcosa di astratto, era un regno impossibile da accettare da parte loro, uomini molto concreti. Gesù ha addirittura affermato: «Il mio regno non è di questo mondo!». Ecco il motivo per cui i dodici – anzi, gli undici – si trovano in difficoltà nei confronti di Gesù fino all’ultimo momento in cui è lì con loro, visibile, in carne ed ossa.

Non era proprio possibile accettare la visione di Gesù: ci voleva un interlocutore dall’alto, ci voleva lo Spirito Santo che Gesù, una volta salito al cielo, avrebbe donato: «… riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi» – risponde Gesù alla domanda dei discepoli.

È proprio così: Poveri apostoli! Sulla parola dei Profeti attendevano anche loro il Messia per il bene, per la rinascita d’Israele.

Finalmente nasce Gesù, l’Emmanuele, e, a fatica, riescono a pensare che sia nato il Messia promesso da secoli. È inevitabile rallegrarsi e seguirlo con interesse, sempre però un interesse politico. Dicono: Ci siamo! È lui! E lo seguono con entusiasmo e impegno: i risultati confermano la loro “convinzione”.

Poi, che delusione! Questo Messia muore ucciso, e muore addirittura in croce, che era il supplizio per gli schiavi: quindi è un… “poco di buono”; forse è un omicida, o un imbroglione, o qualcosa di peggio. Che profonda delusione! Tutto è finito: l’illusione è finita; quindi riprendono delusi la fatica di prima; ce lo dicono efficacemente i due discepoli di Emmaus, con quel deluso, ma espressivo: “speravamo”.

La delusione, lo stordimento dura solo tre giorni: incredibilmente si dice che è addirittura risorto, così affermano alcune donne, che si sono recate alla sua tomba. Ma non riescono a credere a una tale strabiliante possibilità, fino alla testimonianza, sicura, del capo, Pietro. Allora si sforzano di credere, di convincersi che è proprio risorto.

Tentiamo di immaginare lo stupore degli undici: chissà quali progetti stanno già formulando nella loro mente! Invece i vangeli ci avvertono che… “i nostri amici” hanno ancora dubbi: lo ritengono talvolta perfino un fantasma; hanno paura ad avvicinarlo e non riescono a rendersi conto se è proprio lui in carne ed ossa, o se è una semplice visione suggerita dalla gioia del momento. Dice il vangelo dell’Ascensione (Lc 24, 36-53): «Perché siete turbati e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Alla fine, però, sperimentano che è davvero Lui, il Signore. Vivo; e così nasce nel cuore di ognuno la speranza, sempre secondo il loro modo di pensare il regno atteso.

Ultima delusione, quella definitiva: Gesù sparisce, va… in alto, in cielo. Anche due angeli lo affermano: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù… è stato assunto in cielo; verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo». Ma quando ritornerà? Penso che una tale dichiarazione degli angeli non abbia fatto svanire la paura degli apostoli. Essi si limitano a costatare che se ne è andato; e il loro smarrimento si conferma. È vero che Gesù ha

promesso lo Spirito, ma per ora non l’hanno ancora sperimentato: «Riceverete lo Spirito Santo che scenderà su di voi» – assicura Gesù. Ma gli apostoli hanno bisogno di vederlo, e di sentire di persona che Gesù non li ha abbandonati nemmeno questa volta. Ancora una volta ripeto: Poveri apostoli!

È bello però sapere che, nonostante la loro amarezza e delusione, non se ne vanno ciascuno a casa propria, delusi, a riprendere la vita di prima, una vita “privata”; ma, «entrati in città (nella santa Gerusalemme), salirono nella stanza al piano superiore, dove erano soliti riunirsi». Quindi non rompono la comunità.

Un ultimo richiamo non indifferente. Scrive l’autore degli Atti, S. Luca: «Di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra». Gesù li costituisce “testimoni” nonostante la loro incertezza e gli smarrimenti nei confronti dello stesso Gesù. Significa che Gesù non chiede, non pretende certezze invincibili per assegnare loro un impegno assai personale: è Gesù che agirà in loro in forza dello Spirito Santo. Chi è il “testimone”? – mi chiedo. Non è colui che ha il compito di annunciare con la parola, con tanti bei discorsi; non gli è neppure richiesta una certezza teorica, della mente. Testimone è colui che ha vissuto una certa esperienza per cui, senza fare discorsi, lascia vedere nella sua vita concreta, con le scelte che compie e con il modo di agire chi è colui che lo incarica e lo invia a far conoscere non una verità astratta, ma una persona, colui che gli ha dato il compito di testimoniare. Qui dice Gesù: «MI sarete testimoni»: gli apostoli sono chiamati a far vedere, anzi, a lasciar vedere Lui che hanno conosciuto di persona e che hanno frequentato, quindi hanno sperimentato che è questo Gesù, il Messia atteso e finalmente presente. Afferma Martini: «Chi

può dire Dio è amore se non chi ha fatto una ineffabile, personale esperienza cordiale con Lui?».

Parole sacrosante!

Poveri apostoli! Mi piacerebbe entrare nel loro cuore e scoprire quali sentimenti provavano in quei momenti. Certamente provavano una inquietante sofferenza perché Lui non c’era più. Ma trovo in ciascun apostolo ancor più un profondo desiderio di Ge-

sù. Desiderio è una parola che oso chiamare magica: la sento dentro di me come “esigenza insopprimibile e sofferta di un bene per me indispensabile”. Nel Cantico dei Cantici è ben presentato quello che voglio esprimere con queste parole: «Io venni meno per la sua scomparsa, l’ho cercato, ma non l’ho trovato, l’ho chiamato, ma non mi ha risposto. Mi hanno incontrata le guardie che fanno la ronda in città, mi hanno percossa, mi hanno ferita, mi hanno tolto il mantello le guardie delle mura. Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, se trovate l’amato mio, che cosa gli racconterete? Che sono malata d’amore». (Cantica 5, 6b-8). Nonostante il richiamo degli angeli: «Perché state a guardare il cielo?». E nonostante la promessa di Gesù: «Non vi lascerò soli; vi manderò il Consolatore».

Sappiamo che la Parola di Dio non fu data solo per gli israeliti, ma anche per noi, per tutti gli uomini di ogni tempo. Per questo motivo l’esperienza degli apostoli al momento dell’Ascensione di Gesù mi pone alcune domande. Tutti attraversiamo momenti di difficoltà nella fede uniti a momenti di luce, ma anche veri momenti di tenebre, pertanto mi chiedo: Quante volte – e perché non sempre – mi sono fidato di Gesù e del suo amore indefettibile nei momenti di oscurità? Nel tempo del “coronavirus” che cosa ho pensato della Provvidenza? Quali pensieri e sentimenti ho provato verso Dio? Mi sento “testimone” di Gesù nelle circostanze concrete della mia vita? S. Paolo VI affermava che gli uomini di oggi hanno più bisogno di testimoni che di maestri, e, se accettano i maestri, lo fanno perché vedono in loro innanzi tutto dei testimoni. Incide cristianamente nella società solo chi è così “impastato” di Gesù, che rende reale l’invocazione: «Gesù, chi mi guarda ti veda, chi mi ascolta ti senta».

È un augurio vivissimo.

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