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UNA RIFLESSIONE CONCLUSIVA ......................................... pag

Penso a Mosè dopo l’esperienza del roveto ardente: si rimette a guidare il popolo, ma adesso lo fa secondo la volontà di Dio, perché il roveto ardente lo ha rimesso sulla via di Dio.

«Le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze»

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(v. 10) – Le nozze significano raggiungere lo scopo della vita; le nozze esprimono gioia, amore e tutto quello che rende piacevole la vita, sempre, in ogni situazione. Penso ad Apocalisse 3, 20: «Sto alla porta e busso, se qualcuno ascolterà la mia voce e mi aprirà la porta, entrerò da lui, cenerò con lui ed egli con me».

Il cenare con Gesù esprime la felicità, la piena realizzazione di se stesso, ancor più se si tratta non solo di cenare con Lui, ma ancor più di un banchetto di nozze.

UNA RIFLESSIONE CONCLUSIVA

Una parabola come questa merita adesso un commento, un approfondimento. Mi limito a riflettere su una voce verbale: “tardava”. “TARDAVA” – Esprime un tempo “sospeso”, di attesa, con gli inevitabili stati d’animo connessi. Nell’episodio dei due discepoli di Emmaus vedevo il centro psicologico nel verbo “speravamo”.

Qui lo colgo nel verbo “tardava”. Parlo di punto “psicologico”, centrale, delle due pagine evangeliche, perché cerco di prendere in considerazione ciò che i due fatti narrati, per sé assai differenti, suscitano nell’animo e nel cuore degli attori.

LE VIRTÙ DEL TEMPO “SOSPESO”

Nel verbo “tardava” leggo la necessità di una virtù non troppo apprezzata, la “pazienza”, che possiamo chiamare: virtù “passiva”. Nello stesso verbo trovo espressa la necessità di un’altra virtù umana, ma questa volta certamente “attiva”, perché richiede l’agire dell’uomo; è la virtù della “vigilanza”, indispensabile in una situazione di attesa.

Nel nostro caso si tratta di attesa molto impegnativa, perché l’incontro con lo Sposo (con l’iniziale maiuscola!) rappresenta il raggiungimento della piena felicità, la piena realizzazione di sé.

PAZIENZA – Non vuol dire: saper soffrire, ma è un soffrire finalizzato a un evento futuro, ovviamente positivo. Dice l’Antico

Testamento che Dio era paziente verso il popolo d’Israele, perfino condivideva la storia d’Israele, ma tante volte non castigava perché aspettava che il popolo si convertisse.

Nei Vangeli troviamo diversi esempi della pazienza di Gesù come racconta la sua pazienza verso il fico senza frutti: su invito dei discepoli rimanda il castigo di un anno (Lc 13, 6 ss.).

Una bella preghiera sulla pazienza ce la offre il card. Ballestrero: «Beato chi crede che tu verrai, Signore! E beato soprattutto chi crede che tu verrai quando vorrai, come vorrai e dove vorrai! Questo sapere senza sapere, questo attendere senza aver calendari che dicano le date precise degli eventi: è sostanza di Fede, è impegno di fedeltà a te, Cristo Signore, che hai promesso di tornare e tornerai e il tuo tornare è l’evento che corona la tua Incarnazione e la tua missione di Salvatore del mondo! E c’è una promessa: quando tornerai, Signore: “Beato chi sarà sveglio e saprà aspettarti!” (Lc. 12, 37). Allora tu, Signore Gesù, lo inviterai a cena e là, nella tua gloria e nella tua beatitudine godrà il pane della vita eterna!» (A. Ballestrero, Preghiere, Piemme, p. 156). VIGILANZA – È essere sveglio dentro di sé, con la mente sempre pronta a rendersi conto di ciò che accade, con la capacità, critica, di prendere decisioni giuste e con puntualità o anche con immediatezza. Vuol dire dominare i propri sentimenti, le impressioni, le reazioni istintive, senza lasciarsi andare a posizioni istintive.

Occorre insomma libertà da se stessi, dal proprio “io” carnale, sensitivo. Ci vuole una salutare indifferenza dagli umori che sono sempre mutevoli, perché istintivi. Questa è la vigilanza.

LE PROVE DEL TEMPO “SOSPESO”

Ne ricordo solo due.

ATTESA – È sempre una prova: se non si è vigili, l’attesa di un avvenimento importante può facilmente produrre una nociva stanchezza spirituale, anche monotonia nella vita di pietà, e si finisce nella tiepidezza: tutto diventa grigio, senza colore e senza entusiasmo: nulla ci rende gioiosi, quindi si vive in un pesante “trantran”.

Se poi si tratta dell’incontro personale con Cristo, il Vivente e glorioso, la situazione è ancora peggiore: si cammina nel buio come le vergini della parabola, e magari senza l’olio necessario.

In proposito scrive il card. Martini: «Chi, credendo alla promessa di

Dio rivelata nella Pasqua, attende il ritorno del Signore e si sforza di vivere nell’orizzonte della speranza che non delude, sperimenta la gioia di sapersi amato, avvolto e custodito dalla Trinità santa. Come le vergini sagge della parabola, egli attende lo Sposo, alimentando l’olio della speranza e della fede con il cibo solido della Parola, del pane di vita e dello

Spirito Santo che nella Parola e nel pane si dona a noi. Vivere la spiritualità dell’attesa è vivere la dimensione contemplativa nella profonda consapevolezza dell’assoluto primato di Dio nella vita e nella storia. Perciò l’atteggiamento spirituale della vigilanza è un continuo riferire al Signore che viene la propria vita e la vicenda umana, nella luce della fede che ci fa camminare da pellegrini verso la patria e ci permette di orientare ad essa ogni nostro atto. (…) la spiritualità dell’attesa esige quindi povertà di cuore per essere aperti alle sorprese di Dio, ascolto perseverante della sua parola e del suo silenzio per lasciarsi guidare da lui, docilità e solidarietà con i compagni di viaggio e i testimoni della fede che Dio ci affianca nel cammino verso la meta promessa» (C. M. Martini, Dizionario spirituale, Piemme, pp. 15 s). DESERTO – È il non possedersi più, perché non si ha più nulla a cui aggrapparsi, nulla che sia motivo sufficiente per vivere.

Un esempio eloquente è quello di Carlo Carretto. Dopo ver raggiunto un livello ragguardevole nel campo dell’impegno cristiano (era diventato presidente nazionale dell’A. C.) decide di lasciare tutto e, ammiratissimo da tanti amici, va nel deserto per incontrare veramente il Signore e vivere tutto solo per Lui.

Ma anche nel deserto continuava a ricevere molte, molte lettere da parte di amici e di ammiratori. In fondo si trattava solo di carta! Ma quando una ispirazione lo convinse, con grande fatica, a bruciare tutte le lettere, allora, e soltanto allora, sperimentò, si accorse di essere in un deserto vero, reale, non pensato e nemmeno solo desiderato.

La prova del deserto, che è quella più dura, consiste nel sentirsi… solo, materialmente e spiritualmente! Adesso, o ci si consegna a Dio, oppure…!

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