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I TALENTI ................................................................................ pag

I TALENTI

(Matteo 25, 14-30)

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Chi osa dire che non conosce la parabola dei talenti, alzi la mano!

Non solo la conosciamo, ma con facilità ne accogliamo l’insegnamento nella materialità del contenuto. Si tratta di soldi, di “euro”, quindi siamo istintivamente portati a capirlo.

Io invece, in questa riflessione, voglio proporre qualche altro spunto per riflettere personalmente con frutto.

Innanzi tutto, notiamo che siamo negli ultimi capitoli del vangelo di Matteo; con sapienza l’evangelista ci invita a guardare alla fine della vita, al dopo morte. In questi ultimi capitoli Matteo ci chiede: «Fratello, qualche volta nella tua vita frenetica pensi alla fine e al fine della vita naturale, ossia al dopo morte? E ti prepari a vivere cristianamente quel momento cruciale?». I capitoli finali del vangelo di Matteo si chiamano i capitoli della “Parusia” (è una parola speciale che significa il ritorno glorioso di Cristo giudice). Vi campeggiano due parabole: quella delle “Dieci vergini”, e subito dopo la parabola dei “Talenti”. Tutte e due ci invitano a guardare (o meglio: a guardarci!) dopo la nostra morte.

Facciamo una pausa di riflessione e chiediamoci: qualche volta rifletto sui quattro Novissimi (che significano le ultime cose) e sono: la Morte, il Giudizio, l’Inferno e il Paradiso? Senza dubbio una tale riflessione dà sostanza e concretezza alla vita quotidiana e normale. Credo che sia utile una tale riflessione prima di impegnarci nella riflessione della parabola dei talenti.

Se il paradiso non mi interessa, che cosa cerco nella mia vita? Perché impegnarmi nel bene? È inevitabile vivere una vita egocentrica, per il mio interesse e piacere sensibile e immediato. È il pensiero, anzi, il desiderio del paradiso che rende la mia vita “trascendente”, ossia che non può realizzarsi appieno nella vita… terrena, cioè nella vita piacevole, adesso, nella ricerca delle “cose”. Ad alcuni questo modo di pensare e di vivere può sembrare come una evasione dalle fatiche quotidiane; invece è proprio il desiderio della felicità del paradiso, che non avrà fine, ciò che dà un signifi-

cato pieno perfino ad ogni azione umana, anche la più semplice. Aveva ragione S. Filippo Neri, che non accettò di essere fatto cardinale dal papa, e si mise a cantare e a saltare alla sua presenza: «Paradiso, paradiso: preferisco il paradiso!».

La nostra ostinazione nel voler considerare la giustizia solo da un punto di vista quantitativo (i soldi!) ci pone una domanda: Perché Dio tratta in un modo diverso (quantitativamente parlando) i vari dipendenti?

Ecco la risposta: Dio conosce ciascuna persona nella sua realtà profonda e sa che ogni uomo è diverso da tutti gli altri, quindi tratta, giustamente, ognuno in base alle sue capacità. Dio non chiede mai a nessuno l’impossibile. Non si finisce mai di riflettere sul fatto che Dio ci ha creati “per nome”! Quindi, ognuno, impegnando se stesso, può dare solo quello… che può! Anche questo esprime rispetto per ogni uomo da parte di Dio. La Sua è una giustizia divina, che vede ogni uomo con il cuore di Dio.

È significativo considerare che il padrone premia allo stesso modo sia il primo, sia il secondo indipendentemente dal numero dei talenti che ognuno ha guadagnato. A tutti e due dice: «Bravo, servo buono e fedele. Sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto. Prendi parte alla gioia del tuo padrone». In parole nostre: partecipa alla felicità senza limite del paradiso. Solo questo è il fine vero per cui viviamo.

«Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura…». Così invece si giustifica il terzo dipendente. È questione di stima e di fiducia verso il padrone. Non è tanto la quantità di talenti ricevuti e fatti fruttificare ciò che conta. È il rapporto personale di stima reciproca che conta.

Non solo la nostra parabola, ma tante altre pagine dei Vangeli ci insegnano che “il padrone”, quello che comanda e che possiede i beni (per la nostra realizzazione) è sempre Lui, Dio.

Eppure pare che il Signore, dopo aver ricordata questa verità, si nasconda perché l’uomo si dia da fare, si impegni come se tutto dipendesse da lui. Ancora una volta Dio, con il suo modo di comportarsi, fa brillare la dignità del singolo uomo rendendolo Suo collaboratore vero.

Ancora: è il rapporto di fiducia da parte dell’uomo verso Dio, verso Gesù! È questo rapporto che dà valore alle nostre azioni ed esalta la dignità dell’uomo: nessuno è costretto da Dio a fare la

Sua volontà; l’uomo non è mai un semplice esecutore della volontà di Dio: è invece sempre Suo collaboratore, perché Dio lo ha voluto così.

La diversità del numero dei talenti non ha proprio nessun valore? Proprio NO per quanto riguarda la realizzazione personale. Ripeto: dipende solo dall’impegno del singolo uomo a vivere secondo la volontà di Dio, in base alle proprie capacità. Il diverso numero dei talenti serve soltanto ad esprimere la varietà che esiste nell’umanità. In fondo: serve alla gloria “oggettiva” di Dio: le diversità esprimono la ricchezza infinita di Dio.

La storia della Chiesa ci offre un ventaglio meraviglioso di uomini e donne che agli occhi del mondo non avevano nessun valore “umano”, cioè secondo i criteri mondani. Eppure hanno lasciato un segno che dura sempre più splendido nei secoli.

Cito solo un nome, che conosciamo tutti e che è l’emblema più luminoso di quello che sto dicendo: il Santo Curato d’Ars. Qualche volta ripensiamo a questo Santo, considerato proprio un nulla dagli uomini acculturati e ben pensanti di quel tempo. Questo sacerdote non aveva ricevuto in dono nemmeno un “talento”: forse solo qualche spicciolo! Il risultato della sua vita e del suo ministero sacerdotale lo conosciamo proprio tutti; e lo veneriamo ancora oggi come un colosso di santità. Chi oserebbe affermare che non fu un uomo realizzato anche umanamente!? Dico che, se avessi le possibilità, distribuirei varie centinaia di copie della sua vita!

Ciascuno si diverta a scartabellare i secoli di storia della cristianità per ammirarne tanti altri esempi di colossi spirituali simili al Santo Curato d’Ars.

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