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ALLEANZA… ......................................................................... pag

ve rivivere l’alleanza con Dio, oggi, nell’attuale situazione storica? Come può riviverla in modo concreto, reale, sperimentabile? Se è vero che il fulcro di tutta la vita di quel popolo consisteva nell’alleanza con Jahvè, la Chiesa non può affatto trascurare questo fatto nella sua vita nel tempo, nel continuo mutare degli avvenimenti e delle situazioni. C’è di più: se l’alleanza si è realizzata storicamente nel Natale di Gesù, è indispensabile chiederci, al di là delle varie manifestazioni di gioia per la nascita di Gesù Bambino, in che modo in ogni Natale possiamo rendere attuali ed efficaci i frutti dell’antica alleanza? La risposta la vedo chiaramente nell’Eucaristia. Forse non riflettiamo a sufficienza su questo sacramento: nel momento culminante della consacrazione, come se tutta l’azione liturgica facesse riferimento a questo istante, il celebrante scandisce queste parole: “Per la nuova ed eterna alleanza”. Che parole sacrosante!

ALLEANZA…

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È significativo che in ogni Messa il punto centrale riguardi l’alleanza, non le opere buone, o altro! Ciò significa che per la Chiesa l’elemento fondamentale, costitutivo, della vita cristiana è il rendere storicamente presente nel tempo il rapporto di amicizia con Dio, l’alleanza con Lui, appunto. E il rapporto di amicizia con Dio non esclude, anzi esige che noi ci sentiamo essenzialmente dipendenti da Lui.

In altre parole, l’elemento fondante tutta la vita cristiana è l’Eucaristia, consiste nel partecipare all’Eucaristia! E… le opere di carità, e tutto il resto?! Sono “solo” dei frutti, delle conseguenze della celebrazione dell’Eucaristia.

Probabilmente questa verità ci destabilizzerà non poco da certe convinzioni. Mi sorgono alcune domande: Quante volte e con quale intensità io prendo in considerazione il fatto dell’alleanza? Mi rendo conto che l’alleanza, dell’Antico Testamento e nostra, ci fa vivere il rapporto con Dio in modo comunitario? Forse noi siamo spontaneamente portati a vedere il rapporto con Dio solo, o quasi, in modo individualistico: invece per gli ebrei era il popolo chiamato a vivere l’alleanza!

Il canone della Messa aggiunge due aggettivi che hanno un significato da prendere in considerazione: …NUOVA – Nell’uso degli antichi questo aggettivo comprendeva due elementi, soprattutto significava “diverso”; nel nostro caso dice che l’alleanza che noi rinnoviamo nell’Eucaristia è diversa da quella del popolo d’Israele: la nostra non condiziona ogni aspetto della vita, ma rispetta sempre la libertà del singolo.

L’altro elemento è: “nel tempo”, nella storia che si va realizzando; non è, quindi, limitata a un popolo solo, o fino a un certo momento, ma continua fino al ritorno di Cristo glorioso. …ETERNA – La nostra alleanza con Dio, cioè quella della Chiesa con Dio, non avrà mai fine: ci porta addirittura nell’eternità, e giungerà fino alla gloria del paradiso.

La “nuova ed eterna alleanza” si realizza proprio a Natale, si attua nel tempo mediante l’Incarnazione del Verbo, che, avendo in Sé due nature (quella divina e quella umana nell’unica persona), stabilisce per sempre una reale alleanza tra Dio e l’uomo. Questa è la radice della gioia del Natale: ora siamo sicuri che Dio non ci abbandonerà mai, sarà sempre l’Emmanuele, il Dio-con-noi, nel Figlio incarnato. Dio è fedele necessariamente all’alleanza con noi: Lui non può cambiare. E noi? A Natale viviamo così la Messa? È la nostra parte nell’alleanza con Dio! È il nostro modo più vero e concreto di celebrare il Natale. Così non ci lasceremo abbagliare dalle luci, dai bei canti, dai festeggiamenti, che corrono il rischio di limitare la nostra gioia ai piaceri troppo sensibili, dimenticando il mistero che celebriamo.

Mi pongo ancora una domanda: Come mai la Chiesa dice nella Messa: “nuova ed eterna”? Nel popolo d’Israele l’alleanza era appoggiata sulla parola di uomini, i Profeti, innanzitutto su Mosè, uomini che morivano, ovviamente. Invece la “nuova” alleanza è fondata sul Cristo: quindi la nostra alleanza ha da una parte Dio, che è sempre fedele, dall’altra l’Uomo Gesù Cristo, che è “Il Vivente”, quindi non morrà più. Pertanto, la nostra alleanza sarà per sempre.

A questo punto non mi meraviglio, tanto meno mi scandalizzo, costatando che in tutto il Tempo natalizio non esiste nessun rito liturgico al di fuori della Messa, proprio nessuno, a differenza della Pasqua. A mio parere la Chiesa vuol invitarci a concentrarci

sull’essenziale, la Messa. E ancor più a vivere con profonda partecipazione alla Messa contemplando il fulcro della celebrazione eucaristica: “nuova ed eterna alleanza”. Questo è il S. Natale!

È proprio vero: il Natale va vissuto innanzitutto mediante la liturgia, che non elimina i sentimenti, che sono fondanti la persona umana, ma li purifica e li nobilita.

La liturgia è molto importante nella Chiesa, è addirittura la vita stessa della Chiesa. Dal Concilio in poi è considerata un elemento necessario della formazione a tutti i livelli. Qual è – mi chiedo – l’oggetto principale di un’autentica formazione cristiana, e con quali mezzi affrontare il problema? Rispondo semplicemente mediante la liturgia. Ciò non significa soprattutto partecipare ai riti liturgici, al culto, bensì significa capire i grandi misteri della vita di Gesù celebrati durante tutto l’anno. In altre parole, si tratta di conoscere e vivere i vari “memoriali”. Così, i diversi riti (e le varie devozioni) acquisteranno valore ecclesiale.

So che mi illudo, eppure oso dire che noi sacerdoti, quando pronunciamo queste tre parole (“nuova ed eterna alleanza”), dovremmo fermarci un istante, anche solo un secondo, per… viverle personalmente, per far “vibrare” il nostro cuore mentre le pronunciamo. Mi auguro anche che le pronunciassimo con un timbro “caldo” di voce; forse questo ci permetterebbe di rendere attuale ed efficace l’Alleanza rinnovata da Dio nel Figlio Gesù, uomo vero, sì, ma il VIVENTE.

Qualcuno obietterà che una tale presentazione del Natale è un po’ troppo teorica, staccata dalle belle e giuste usanze popolari: in fondo, il Natale dona anche una gioia sensibile e comunitaria; non può essere solo una solennità personale e interiore. Sarebbe un Natale freddo, che finirebbe per non coinvolgerci.

Non è affatto mia intenzione non riconoscere la bellezza umana, tangibile della solennità del Natale. Mia intenzione è invece quella di invitarci a guardare il Natale nel profondo, per viverlo come mistero fondamentale di un’autentica vita cristiana, per “assaporare” lo stupore dell’Incarnazione che ci dona il Dio-con-noi.

Lasciando da parte tutti gli aspetti che chiamerei… tangibili, mi pare che sia buona cosa, per rivivere la gioia festosa del Natale, “stare” (che significa rimanere estatici, fermi per un po’ di tempo) davanti

a un presepio e guardare a lungo Maria, Giuseppe e i pastori. Senza dubbio risentiremmo in noi la gioia di Maria e di Giuseppe, e anche dei pastori. Prima però proveremmo anche noi un ineffabile stupore: potremmo udire ancora il lungo “Oh…” dei pastori. E come loro rimarremmo senza parole, in silenzio, con gli occhi spalancati, con profonde domande che salgono dal cuore spontaneamente.

Davanti a un neonato non c’è nulla da dire: si sta in silenzio a guardarlo, quasi a… contemplarlo. In silenzio, ma con il cuore colmo di gioia.

I PASTORI

A Betlemme, in contemplazione gioiosa ci sono anche i pastori. Maria e Giuseppe per noi sono inimitabili; i pastori, no. Davanti al piccolo Gesù stanno in silenzio, non riescono a dirgli nulla, né felicitazioni, né richieste: come ogni bambino ancora incapace di dir parola non accetta, non può accettare nessuna parola; però di fronte a questo bambino così speciale e unico. Istintivamente esprimono solo un “Oh…” lungo, lungo, che racchiude tutto quello che vorrebbero dirgli. Lo stupore di quel momento non permette nemmeno una parola, però in quel “Oh…” c’è tutto l’animo dei pastori. Vale la pena di guardarli a lungo, di contemplarli, per fare anche noi la loro stessa esperienza.

Che strano: Gesù Bambino, che è Dio, Dio vero!, invita per primi ad adorarlo, addirittura servendosi di angeli, le persone più semplici, che non contavano proprio nulla nella società di allora, però erano persone umili, erano “poveri di spirito”, quindi aperti al mistero, alla parola dei Profeti. Probabilmente per questo furono capaci di leggere i “segni”, anche quelli che scendevano dall’Alto, capaci di cogliere un tale “mistero”. Addirittura, furono capaci di “vedere” Dio in quel neonato apparentemente uguale a tutti gli altri neonati. Per questo sono stati ubbidienti a Dio, hanno lasciata l’iniziativa a Dio: si sono lasciati guidare da Lui in un frangente così eccezionale. Si sono lasciati “scandalizzare” da Dio: quel bambino era davvero Dio, come il Padre, eppure era nato in una stalla, nella povertà più assoluta. Hanno accettato di adorare quel bambino, perché erano certi che era proprio Dio! Glielo assicurava il loro cuore illuminato dalla Grazia e mosso dalla fede. Com’è incomprensibile talvolta l’agire di Dio!

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