Il faccendiere

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Antonella Beccaria

Il faccendiere Storia di Elio Ciolini, l’uomo che sapeva tutto


Sito & eStore – www.ilsaggiatore.com Twitter – twitter.com/ilSaggiatoreED Facebook – www.facebook.com/ilSaggiatore © il Saggiatore S.p.A., Milano 2013


Il faccendiere Alle vittime. Della strage di Bologna, delle stragi e della strage della veritĂ



Sommario

Parola di un chargé d’affaires

11

Un uomo, tante esistenze

19

Il detenuto di Champ-Dollon

27

Un’informativa dietro l’altra

33

Falsità dal Libano

41

Sempre nuovi dettagli

47

C’erano un tedesco, un francese e un cileno

53

Tra società di copertura e altre accuse

59

Le rogatorie, le smentite e i messaggi

69

Italiani d’Argentina

77

L’enigma Federici

85

«La rete già operativa»

95

Strane questioni di coscienza

103

Depistaggi nei depistaggi

113

La verità della «primula nera»

123


L’operazione Pall Mall

133

La versione magica

141

Dal Sismi al Supersismi

147

Il progetto di una mente raffinata

157

Dita puntate contro tutti

165

1992, il dossier della destabilizzazione

173

Lo spettro della trattativa Stato-mafia

181

Anni di presagi e coincidenze

191

La strage della veritĂ

201

Ringraziamenti

207

Nota dell’autore

208

Note

209

Fonti e bibliografia

227

Indice dei nomi

233


Chi mente una volta, spesso deve abituarsi alla menzogna perché ci vogliono sette menzogne per occultarne una. Friedrich Rückert, La saggezza dei Brahmani Gli stolti combattevano i nemici di oggi foraggiando quelli di domani. Gli stolti gonfiavano il petto, parlavano di «libertà», «democrazia», «qui da noi», mangiando i frutti di razzìe e saccheggi. Wu Ming, 54 I servizi condividono con Dio una qualità e ne differiscono per un’altra: come Dio sanno tutto, a differenza di Dio non hanno creato niente. Giuseppe Genna, Nel nome di Ishmael



Il detenuto di Champ-Dollon

Un punto d’inizio per raccontare la storia del depistaggio sulla strage di Bologna, almeno dal punto di vista ufficiale, potrebbe coincidere con un rapporto del reparto operativo dei carabinieri di Bologna che faceva il punto degli accadimenti delle ultime settimane. La data era quella dell’11 dicembre 1981 e il destinatario il giudice istruttore del capoluogo emiliano Aldo Gentile. Venne così messo nero su bianco che in Svizzera, nel carcere ginevrino di Champ-Dollon, c’era un detenuto in attesa di processo per una presunta truffa che si chiamava Elio Ciolini e che aveva chiesto di parlare con il console italiano Ferdinando Mor perché voleva essere messo in contatto con qualcuno delle forze dell’ordine. Per motivare la sua richiesta, disse di avere qualcosa da dire sulla strage alla stazione di Bologna, avvenuta il 2 agosto 1980, e quello che sosteneva di sapere iniziò a scriverlo il 10 novembre 1981 al diplomatico, quando gli inviò uno strano memorandum in un italiano zoppicante e infarcito di gallicismi. Qui parlava di una presunta realtà eversiva che chiamava Organizzazione Terroristica, abbreviata Ot per gli habitués, affermando che operava in Italia avvalendosi di «società, agenzia di stampa, uomini (dirigenti) di società industriali del settore pubblico e privato».1 Ma il Belpaese non era l’unico tavolo da gioco dell’organizzazione, accusata di finanziare grazie ai kidnappings (i sequestri di persona) il traffico della droga insieme a Cosa nostra. Ad arricchire le attività criminali della Ot c’era poi il riciclaggio, il «“recyclage” de l’argent en Svisse». Il sempre meglio – all’apparenza – informato detenuto in Svizzera si allar-


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gava nelle sue rivelazioni parlando anche di contatti con le Brigate Rosse e, come si vedrà, con la fazione dell’Olp guidata da Nayef Hawatmeh, indicato come il presunto responsabile della sparizione dei giornalisti Graziella De Palo e Italo Toni (nel memorandum, accanto a questo passaggio, aggiungeva un riferimento criptico: «Relazione Kashogy-Otomelara-FiatLybia»). Più nel dettaglio, scriveva al console: L’Ot è presente in Italia […]. In Italia e in Europa l’Ot dispone di punti di reclutamento a: Roma, Stuttgart, Madrid (in America Latina e in Medio Oriente ha basi logistiche con un centro di fabbricazione di tutti quei documenti «ufficiali» di diversi Paesi europei) […]. L’Ot è implicata negli affari: De Mauro (connessione mafia), Sindona, Gelli (affare Otrag, vedi dossier Africa). L’Ot è responsabile in Italia di: -- massacri: piazza Fontana, Italicus, Bologna -- colpo di Stato: «Golpe Borghese» -- incidenti politici: Reggio Calabria, caso Sindona, Gelli -- traffici di moneta […] Uno dei quattro responsabili dell’Ot è un terrorista notorio ricercato dai vari servizi di sicurezza italiani e dall’Interpol. Vive attualmente in America Latina, da dove coordina le attività terroristiche per l’Italia e l’Europa, dirige inoltre l’economia del Paese che lo ospita e l’organizzazione di vari settori militari. (Accordi sono stati presi, a suo tempo, con l’attuale presidente in carica del Paese in questione affinché consegni il terrorista a servizi di sicurezza di un Paese europeo. Una operazione del genere è ancora possibile).

Come se non bastasse, parlò anche delle vie per «combattere la Ot in Italia e in Europa». Come? Si hanno le seguenti possibilità (possibilità già esistenti come infiltrazioni, etc.): -- infiltrazione nei «quadri dirigenti» di: Ot, mafia (siciliana et Usa), Br; -- itinerario della droga e corrieri; -- lista completa dei principali responsabili dell’Ot in Italia e in altri Paesi (la lista è depositata presso un agente Cia residente in America Latina).


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Le «possibilità di intervento contro l’Organizzazione Terroristica» prevedevano inoltre una «collaborazione tra il relatore e l’autorità inquirente». Detto in altre parole, sempre quelle di Ciolini, chiare per quanto di nuovo in difetto grammaticale: Visto che si è cittadino italiano e al godimento dei diritti politici, si chiede: -- il rimpatrio immediato; -- essere alle dipendenze ufficialmente o ufficiosamente del ministero degli Interni, Difesa o equivalente con data retrodatata.

Per convincere il suo lettore, Ciolini aveva aggiunto: In più dispone di: -- un «reseau d’information» con corrispondenti strutture logistiche funzionanti nei seguenti Paesi: Europa Ouest-Est, Africa (di espressione francese e Lybia), Middle Est, Usa, America Latina (lista del reseau disponibile); -- contatti personali con uomini di «livello» in Italia e in tutti i Paesi del «reseau».

A corredo di quanto fino a questo punto scritto, il detenuto italiano vergò anche un «completamento “parziale” di informazione a: Organizzazione Terroristica in Italia», in cui sosteneva: L’Ot si occupa anche del traffico di materiale «bellico» e di materiale denominato U238. Fornisce in armi tutti quei gruppi terroristi (tramite società di import-export) in Italia e in Europa e vende materiale bellico a tutti quei governi «non grati» dalle instituzioni [sic] internazionali. Alcuni uomini dipendenti dal ministero degli Esteri italiano «Farnesina» sono implicati nel traffico (troviamo la stessa collaborazione per il traffico di coca). L’Ot si è occupata nel 1978 dell’affare Moro (parzialmente) se ne conoscono i motivi e in ultimo «limite» ha avuto contatti con gli esecutori e i mandanti supposti.


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A ruota fece recapitare poi un appunto manoscritto in cui alcune parole erano state sottolineate nel documento originale: Ciolini Elio (è ancora in istruzione [il suo processo]!) Lavorato sette anni in Argentina e Bolivia. Faceva parte con un servizio? Comunque con agenti Cia. Tornato in Italia per cambio governo boliviano. Paura, minacce. Ha chiesto protezione a governo svizzero. Qui sarebbe stato denunciato. È lì da sei mesi. Disposto a documentare tutto ciò che dice. Ha famiglia nascosta qui in Svizzera. Vuole garanzie della identità del Cd (Delle Chiaie). Paura di essere eliminato […] -- Piazza Fontana, Bologna, Italicus -- Sa come vengono riciclati soldi -- Droga -- Molte personalità italiane implicate. Occorre segretezza.

Ma lo zelo informativo di Elio Ciolini non si era ancora placato dopo questa prima ondata di dichiarazioni. Altre infatti si aggiunsero con il documento intitolato «Organizzazione Terroristica – Ot – Organigramma con relazione alla Trilaterale italiana per il controllo del potere economicopolitico-militare»: Il controllo della Trilaterale operante in Italia e dell’Ot è diretto, secondo i principi della Trilaterale Usa, da una loggia massonica denominata «Loggia Riservata». La sede centrale è all’esteriore del territorio italiano. Non ha niente in comune con la loggia massonica «P2», anzi è la vera P2. Nella Loggia Riservata i maggiori «nomi dei responsabili italiani» dell’economia, politica, industria, magistratura, eccetera (nomi non pubblicati e non coinvolti fino a oggi nello scandalo «P2»). Lista nominativa al 30 dicembre 1979 in annexe. A verificare.

Seguiva la descrizione della struttura su cui si articolava la Loggia Riservata. Al vertice, il livello di gran maestro corrispondeva a un triumvirato mentre, procedendo in via gerarchica verso il basso, si incontrava la se-


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greteria a cui rispondevano i gradini inferiori, suddivisi per articolazione economica, politica e territoriale con ulteriore suddivisione tra potere centrale e regionale. In merito invece alla «lista nominativa» dei «fratelli inscritti» [sic] a tutto il 1979, i primi che si trovarono in mano le note di Elio Ciolini devono aver strabuzzato gli occhi scorrendo l’elenco che aveva stilato il detenuto italiano. Il quale si collocava tra gli «esecutivi», insieme a E. Battelli, M. Casardi, C. Ciampi, A. Corona, C. Cossiga, A. Gallucci, R. Giudice, C. Lo Bruna, G.A. Maletti, S. Mennini. A. Magnoni, C. Pontello, M. Ziletti.

Per quanto non fosse il più rilevante, già questo livello sembrava ricalcare – in toto, in parte o per assonanza – il clamore delle liste della P2 scoperte nel marzo 1981 a Castiglion Fibocchi e rese pubbliche un paio di mesi più tardi. C’erano richiami ai nomi di ufficiali delle forze armate e dei servizi segreti, compresi quelli coinvolti nelle coperture offerte ancor prima del 12 dicembre 1969 agli stragisti che avevano ucciso a piazza Fontana, collocando la bomba all’interno della Banca nazionale dell’Agricoltura. E c’erano anche rimandi a giudici del Consiglio superiore della magistratura, massoni noti e parenti di Sindona. Ma le sorprese non stavano solo qui, tra gli «esecutivi». Sopra ci stavano i «fratelli esecutivi direttivi», che comprendevano, secondo Ciolini, questi nominativi: P. Chiarugi, G. De Michelis, E. De Franceschini, L. Lama e M. Rumor.

Sotto venivano i «fratelli onorari», di cui avrebbero fatto parte G. Almirante, V. Colombo, B.C. (non nominato, vedi elenco a parte), F. De Martino, A.F. […], P.L. e A.T. […].

Lunghissimo l’elenco dei «fratelli attivi» nella Loggia Riservata, con i suoi N. Andreatta, G.M. Borga, V. Bonassi, O. Biasini, A. Balestrieri, D. Cattin, N. Capria, B. Ciccardini, A. Conte, O. Colzi, E. Cuccia, L. Di Donna,


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M. D’Acquisto, C. De Benedetti, E. Egidi, G. Evangelisti, F. Federici, A. Forlani, R. Formica, F. Forte, A. Grandi, A. Gava, G. Leone, S. Labriola, V. Lattanzio, E. Macaluso, A. Margheri, M. Malfatti, E. Mattei, G. Marinoni, F. Mazzola, F. Nosiglia, R. Palleschi, R. Parlato, G. Piazzesi, F. Piccoli, A. Ravelli, A. Reichlin, P. Rossi, G. Selva, U. Spagnoli, V. Visentini, A. Vinciguerra, A. Von Berger, G. Vacca.

Anche il modello organizzativo degli affiliati, così attento a comprendere dentro di sé qualsiasi area di potere, sembrava ricalcare lo stampo della P2, dato che non serviva certo un osservatore particolarmente avveduto per riconoscere anche qui riferimenti a politici di destra e di centro, sindacalisti addirittura di sinistra, giornalisti e intellettuali. Ma a destare clamore, quello vero, era il vertice della Loggia Riservata, che Elio Ciolini faceva corrispondere ai «fratelli fondatori». Qui i nomi erano pochi, sette in tutto, e vi si trovavano G. Andreotti, G. Agnelli, R. Calvi, A. Monti, O. Ortolani, L. Gelli, A. Rizzoli.

Questo era il «livello» che non ha bisogno di alcun aggettivo perché già i cognomi ricostruivano una storia d’Italia che comprendeva – in ordine di elencazione – un più volte presidente del Consiglio dei ministri, l’industriale più famoso nel mondo grazie al marchio Fiat, il presidente del Banco Ambrosiano che davanti a sé aveva ormai pochi mesi di vita, il detentore (per quanto ormai ex, date le operazioni finanziarie degli anni settanta) del potere editoriale attraverso il gruppo del Corriere della Sera, e il suo omologo in Emilia Romagna e in Toscana, quel «cavalier Artiglio», come lo soprannominò Giampaolo Pansa in un articolo del 1984,2 che dalla natia Ravenna era diventato il signore del petrolio. Inoltre c’erano loro, le punte di diamante della loggia Propaganda Due, Licio Gelli e il braccio economico-finanziario Ortolani, per quanto al secondo fosse attribuita nella lista l’iniziale del nome sbagliata (si chiamava infatti Umberto).


Un’informativa dietro l’altra

Il 26 novembre 1981 un capitano dei carabinieri, Paolo Pandolfi, che comandava la prima sezione del nucleo operativo di Bologna, andò in Svizzera e incontrò il detenuto italiano, come avrebbe fatto per due volte nell’aprile 1982, dopo il suo rimpatrio, anche il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Il prigioniero confermò all’ufficiale quanto aveva scritto nei documenti prodotti nelle settimane precedenti. Inoltre confermò anche il proprio ruolo di agente dei servizi francesi, rivelò di aver lavorato in una decina di Paesi dell’America Latina, soprattutto in Argentina e Bolivia, e lasciò intendere di essere stato lui stesso un infiltrato nella Ot. Una volta entrato nell’Organizzazione, ne aveva scalato le posizioni, riuscendo a permeare – aggiunse – un’altra struttura, stavolta di stampo massonico, quella Loggia Riservata che collocava a Montecarlo e che in base alle sue parole era una promanazione internazionale di Licio Gelli. Tutto ciò l’aveva fatto con discrezione. Infatti, spiegò, ai tempi dell’iniziazione nessuno aveva sospettato delle sue intenzioni – tanto da ammetterlo a riunioni sia nella città monegasca che a Nizza. Con lui c’erano, sostenne ancora, altri cittadini italiani, ma per il momento il loro nome preferì non farlo. Rispetto alle informazioni che aveva inviato al console Mor, parlando con il capitano Pandolfi Ciolini sembrò entrare nel vivo dei fatti di Bologna, anche se la stava prendendo alla larga, vergando l’ennesima «informativa»:


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Il giorno 5 marzo 1980 una finanziaria svizzera con sede a Ginevra effettuava un «ordre de bonification» a favore di un gruppo industriale italiano emesso dalla Banque Bruxelles Lambert a Lausanne (Vaud). Montante complessivo a pagare in «tranches»: Lire 5.000.425 milioni. I versamenti di 1000 milioni il giorno 6 marzo 1980. I denari versati al gruppo italiano servono per l’acquisto di azioni Eni che va cominciato, gradualmente, all’inizio della sezione autunnale della Camera dei deputati italiani. Il giorno 13 marzo 1980, stesso tramite, a favore di un raggruppamento di un partito politico italiano (per buoni «uffici» intesi alla realizzazione del progetto poiché i finanzieri temono un’opposizione dei deputati). Montante del versamento: Lire 575 milioni. Tutti i beneficiari dei versamenti appartengono alla Loggia Riservata. Per rafforzare il governo dell’epoca e stabilizzarlo vis-à-vis dell’opinione pubblica, necessita una «pressione». Si pensa allora a un’azione di clamore. La Loggia Riservata, membro operativo della Trilaterale, suggerisce in sede di consiglio, che la «direzione» per una certa azione sia affidata all’Ot. Si conoscono i noti eventi di Bologna in agosto. L’azione serve in verità a manipolare il potere. È previsto che il governo non farà obiezione alla vendita del gruppo Eni. I deputati non apporranno il «veto» a qualunque proposizione governativa, visti i problemi di ordine interno ai quali il governo sarà sottoposto in quei giorni. Oggi l’operazione continua e la Trilaterale controlla già una buona parte del settore in questione. [Una volta terminata l’operazione] i vari settori economici italiani saranno in mani non italiane e sottoposti a pressioni economiche gravi. La Trilaterale porrà allora le sue condizioni per la gestione del potere in Italia. La Trilaterale italiana non è altro che la «quarta» colonna dell’alta finanza internazionale.1

Roba grossa, insomma, quella che Ciolini tirava in ballo, dato che la Trilaterale era certo che esistesse. Esisteva almeno quella che era stata fondata nel 1973 dal banchiere David Rockefeller e che era divenuta un think tank di respiro mondiale, una sorta di fucina intellettuale che radunava politici e uomini d’affari dagli Stati Uniti al Giappone e sulla quale circo-


Un’informativa dietro l’altra  35

lavano non poche leggende a proposito di manovre occulte nel condizionare l’andamento delle singole nazioni. Più avanti, però, Ciolini avrebbe puntualizzato2 che non si trattava proprio di quella Trilaterale. Quella di cui lui parlava sarebbe stata un «insieme di poteri economici, politici e militari» con «compiti non solo ideologici, ma anche operativi» che si richiamava all’«altro potentato massonico statunitense». Al vertice c’era Licio Gelli che «prendeva direttive sia dalla Trilaterale statunitense sia da certi ambienti politici italiani di centrodestra». Intanto però l’«informativa» proseguiva riportando altri dettagli che avrebbero condotto alla disarticolazione tricolore in tema di controllo sugli idrocarburi e di azioni che avrebbero dovuto «coprire» i giochi dei magnati planetari: Il giorno 11 aprile 1980, alla sede della Loggia Riservata, viene stipulato un processo verbale delle decisioni prese dai fratelli fondatori. Si è deciso: -- l’acquisto delle azioni di un gruppo Eni; -- l’intervenzione dell’Ot in Italia; -- l’accettazione dei fondi versati. La copia del processo verbale e le copie dei versamenti si trovano alla sede della Loggia. In Italia [sono] al domicilio legale di un avvocato.3

Dopodiché Ciolini passò a quella che nel suo documento aveva chiamato la «dinamica dei fatti», con cui iniziava a fare dei nomi tutt’altro che marginali, dopo quelli dell’organigramma del raggruppamento di Montecarlo: Nel mese di maggio 1980 da Parigi partono per vie traverse a Buenos Aires alcuni fratelli per contattare il signor Stefano Delle Chiaie affinché sia a conoscenza delle decisioni della Loggia. Si trova, il 24 luglio, a Parigi, dove possiede un appartamento il signor Stefano Delle Chiaie (ha viaggiato con volo Air France, via Rio-Paris. Si hanno i documenti concernenti). Sarà di nuovo in Argentina il mese di settembre 1980. Tutti questi spostamenti vengono effettuati, senza pena, da parte del Delle Chiaie poiché ha un passaporto diplomatico boliviano, alias Ramiro Fernandez Valverde, alias… sotto identità italiana.4


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Nel paragrafo dedicato alla strage di Bologna, il detenuto scrisse: -- Mandanti: Loggia Riservata -- esecutori: Ot; -- motivi: manipolazione governo e azione finanziaria Il 26 giugno 1980 partono per l’Italia (da Buenos Aires) con missione di contattare alcuni dirigenti di sedi locali dell’Ot, a Roma e Milano, ai fini di preparare l’azione prevista, il signor Mario Bonomi e il signor Maurizio Giorgi (non si può affermare che abbiano viaggiato su l’identità descritte, ma sono conosciuti a Buenos Aires come tali). Le società citate a margine appartengono all’Ot, ma non si ha conoscenza se sono quest’ultime che hanno coordinato i tragici eventi di Bologna.5

Da un punto di vista operativo, in altre parole, secondo Ciolini la decisione di colpire Bologna per nascondere le operazioni finanziarie sull’Eni era stata presa l’11 aprile 1980, un venerdì, quando ci fu una riunione alla quale avrebbero preso parte almeno sette persone. Poi, dopo il vertice sulla Costa Azzurra, occorreva attivare la Ot perché passasse all’azione compiendo una tanto gigantesca quanto tragica operazione di distrazione di massa. A questo scopo venne quindi organizzato a Buenos Aires un incontro presso l’hotel Sheraton a cui ne sarebbe seguito un altro nel principato di Monaco, all’Hôtel de Paris. Presente, sempre secondo la ricostruzione di Ciolini, c’era Delle Chiaie, indicato come capo dell’Organizzazione Terroristica, e in rappresentanza della Loggia di Montecarlo ci sarebbero stati Gelli, Andrea Von Berger, un uomo d’affari che fu segretario regionale del Psi e poi a capo dell’azienda autonoma per il turismo di Firenze (dal secondo incarico fu poi sostituito da un commissario, mentre nel periodo della bufera giudiziaria fu sospeso dal partito), e un avvocato di Firenze, Federico Federici. L’esecuzione materiale fu quindi affidata a un tedesco, Joachim Fiebelkorn, ed essendo definito da Ciolini poco affidabile secondo gli organizzatori dell’attentato a causa della sua passione per l’alcol, le donne e le risse, a suo supporto fu inviato un mercenario francese, Olivier Danet. Entrambi – sempre secondo le parole del detenuto italiano in Svizzera – avevano come punto di riferimento due neofascisti che dalla Bolivia era-


Un’informativa dietro l’altra  37

no volati in Italia, Mario Bonomi (nome utilizzato dal milanese Pierluigi Pagliai) e Maurizio Giorgi. Inoltre a tutti e due erano state indicate come appoggio logistico due società. Una era la Promicom, che Ciolini collocava a Milano, mentre la seconda era la Odal Prima di Roma, indicata come di proprietà di altri due camerati, i fratelli Palladino. Colui che iniziava ad assumere i connotati del «superteste» andò ancora oltre nelle sue dichiarazioni. Disse che a margine della riunione operativa nella capitale argentina, Delle Chiaie gli avrebbe proposto di andare con lui in Bolivia, dove avrebbe potuto mettersi al servizio del settimo dipartimento delle forze armate, a cui era demandato anche il compito di controllare la stampa. Ciolini, sostenne, accettò di lavorare per l’esercito boliviano e intanto accettò pure di mettere in ordine le lettere di Delle Chiaie, di cui aveva appreso le avventure durante la latitanza. Da queste carte, aggiunse, emergevano i ruoli di Bonomi-Pagliai e Giorgi che, giunti a Roma in prossimità della strage di Bologna, dovevano preparare l’arrivo di Fiebelkorn e di Danet, a cui era stato detto di contattare un tale «Carmelo». Il detenuto in Svizzera dichiarò in seguito di non sapere esattamente quando si fossero spostati a Bologna gli stranieri, a un certo punto divenuti da due a tre, dato che venne inserita anche la figura del neonazista Karl Heinz Hoffmann, il cui gruppo omonimo era già stato chiamato in causa nel depistaggio «Terrore sui treni». Ma Ciolini disse di conoscere un paio di indirizzi d’appoggio che in un primo tempo rifiutò di fornire. Si decise in un momento successivo, ma ne fornì uno solo, parlando di una fabbrica di cerniere che aveva 35 operai e che si trovava in via Carlo Marx a San Giovanni in Persiceto, nel bolognese. Le rivelazioni, queste e le precedenti, vennero accolte con un misto di incredulità e di fiducia perché, insieme alle roboanti parole sui mandanti riuniti a Montecarlo, sembravano contenere elementi a conferma dell’indirizzo preso dalle indagini oltre un anno prima. Da un lato puntavano all’eversione di estrema destra, nelle cui fila c’erano in effetti esponenti riparati in America Latina. Dall’altro si guardava agli ambienti gelliani. Di Delle Chiaie, che si era dato alla macchia da anni per vicende che spaziavano dall’attentato di piazza Fontana del 12 dicembre 1969 al golpe Borghese tentato nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 passando attraverso l’esperienza di Avanguardia Nazionale, Ciolini disse altro. Il nazio-


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nal-rivoluzionario che sosteneva di odiare l’imperialismo occidentale e che dopo il 1977 si era messo al servizio delle dittature reazionarie dell’America Latina veniva descritto in stretti rapporti con ambienti politici e finanziari di numerose nazioni. Il detenuto poteva affermarlo con cognizione di causa – asserì – dato che aveva «dormito» e «operato» in Bolivia insieme al fondatore di Avanguardia Nazionale. Uno Stato non a caso, dunque, considerato che la «primula nera» italiana, com’era soprannominato Delle Chiaie dalla stampa nazionale, viveva in quel Paese. E qui, sosteneva ancora Ciolini, occupava un ruolo di rilievo nell’organismo di intelligence che andava sotto il nome di Ses, Servicio especial de seguridad. Ma ogni tanto, aggiunse, si concedeva qualche rimpatriata raggiungendo a Roma la sua compagna, una maestra elementare. Anche gli altri nomi che Ciolini fece avevano più o meno un significato per gli investigatori. Un significato che non poteva escludere a priori loro eventuali responsabilità nel massacro avvenuto quasi un anno e mezzo prima e in cui si inciampava sempre nell’ombra del maestro venerabile della P2, Licio Gelli. Il quale, venne detto agli inquirenti, aveva incontrato il «confidente» Ciolini in periodi che potevano collocarsi tra la fine del 1979 e l’inizio del 1980. L’argomento delle riunioni avrebbe riguardato finanziamenti ad attività terroristiche non meglio definite, ma che avrebbero compreso anche l’allestimento di campi d’addestramento. E luogo di un incontro sarebbe stato un centro turistico uruguayano, a Punta del Este, in prossimità di Montevideo, nei cui pressi gli investigatori ritenevano che Gelli si fosse rifugiato all’inizio della sua fuga dall’Italia. Un altro luogo non a caso, dunque, dato che il 30 marzo 1981 la polizia dell’Uruguay aveva sequestrato una serie di documenti nella villa di Carrasco di Gelli e tra questi ci sarebbe stata la richiesta di importazione temporanea della sua Mercedes. La domanda venne accolta, ma l’auto rimase poi bloccata nel porto di Montevideo fino al 29 maggio 1981, vigilia di una perquisizione condotta dal commissario Victor Castiglioni in avenida Ferrari, altro indirizzo uruguayano del venerabile, che nel frattempo si era trasferito in Argentina. L’Uruguay era il paese prescelto anche da un altro dei vertici della P2, Umberto Ortolani, braccio destro di Gelli, che aveva casa in avenida Costa Rica, sempre a Montevideo, presso la sede del Sovrano ordine militare di Malta (Smom), di cui era amba-


Un’informativa dietro l’altra  39

sciatore. Detto in altre parole, la mente finanziaria della P2 risiedeva in una zona che stava in Uruguay, ma che per ragioni diplomatiche esulava dalla sua territorialità. Tornando al venerabile, a ridosso dell’estate del 1981 gli fu chiaro che in quel Paese per i piduisti non c’era più posto. L’11 giugno di quell’anno, infatti, venne diffuso un comunicato del Grande Oriente dell’Uruguay in cui si diceva che «non ci sono rapporti tra la [nostra] Gran loggia […] e la P2, che non rispetta le regole e la natura massonica; nessun massone uruguayano può essere affiliato alla P2; la Gran loggia […] censura duramente gli atti che si attribuiscono alla P2». Dunque, seppure con un ritardo di quasi tre mesi rispetto alle iniziative investigative locali, i ponti in loco si erano bruciati per Gelli e i suoi uomini. Vuoi forse mai che, oltre alle motivazioni giudiziarie ufficiali, potessero essercene anche altre, non riferibili, come gli incontri a fini terroristici di cui aveva parlato Ciolini dalla sua detenzione elvetica?



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