Greg Tobin
Il Papa buono La nascita di un santo e la rifondazione della Chiesa Traduzione di Maria Eugenia Morin
Sito & eStore – www.ilsaggiatore.com Twitter – twitter.com/ilSaggiatoreEd Facebook – www.facebook.com/ilSaggiatore © 2012 by Gregory Tobin Published by arrangement with HarperOne, an imprint of HarperCollins Publishers © il Saggiatore S.p.A., Milano 2013 Titolo originale: The Good Pope
Il Papa buono A tutte le donne e gli uomini di buona volontĂ , nello spirito del Papa buono e in sua memoria
Sommario
Prefazione. La nascita di un santo e la rifondazione della Chiesa
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PRIMA PARTE Prete e protettore
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1. Pastor et nauta
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2. Famiglia, giovinezza e seminario (1881-1904)
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3. Primi anni di sacerdozio e Roma (1904-1915)
34
4. La Grande guerra e gli anni successivi (1915-1925)
45
5. Bulgaria, Grecia e Turchia (1925-1945)
57
6. Francia e Venezia (1945-1958)
73
SECONDA PARTE L’anima di un papa
89
7. L’elezione e i primi giorni (ottobre-dicembre 1958)
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8. Il primo anno (gennaio-dicembre 1959)
100
9. Un pontificato senza uguali (gennaio-dicembre 1960)
117
10. Il mondo in crisi (gennaio 1961-settembre 1962)
128
11. Aggiornamento, sì! (ottobre 1962)
143
TERZA PARTE Padre del Concilio
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12. Una nuova Pentecoste? (novembre-dicembre 1962)
157
13. Pace in terra (gennaio-aprile 1963)
170
14. Finis (maggio-giugno 1963)
184
15. Il Papa buono e il suo grande Concilio
195
Note
205
Fonti
209
Indice dei nomi
211
Ringraziamenti
221
Prefazione La nascita di un santo e la rifondazione della Chiesa
Lo chiamavano il Papa buono. Durante la vita di papa Giovanni xxiii – e specialmente subito dopo la sua morte per un cancro allo stomaco il 3 giugno 1963 – cattolici e socialisti italiani; giornalisti e diplomatici; cattolici romani, protestanti, non cristiani e atei in tutto il globo; uomini e donne di ogni razza, classe e nazione lo chiamarono «buono» e piansero la sua dipartita. Il volto grassoccio di contadino, gli occhi scuri, la mascella larga, il naso aquilino e le orecchie con i lobi grandi erano noti in tutto il mondo. Era una celebrità stellare in un’epoca di santi secolari come Elizabeth Taylor e Richard Burton, John Fitzgerald Kennedy e Jackie Kennedy, Fidel Castro e Nikita Chruščëv. Ma Angelo Giuseppe Roncalli non aveva niente di spettacolare. Anche vestito da papa si comportava da figlio di agricoltori italiani, a loro volta figli e nipoti di innumerevoli generazioni di agricoltori. Per coloro che lo ammiravano in vita per i suoi insegnamenti sulla pace e il suo sforzo di aprire la sua antica Chiesa al mondo moderno – di lasciare entrare aria e luce e far risplendere il messaggio profondo del Vangelo – era una figura unica, circondata da un alone di umiltà, umorismo e santità. Il suo genio risiedeva nella volontà di introdurre il concetto di aggiornamento, in modo che la sua amata Chiesa potesse ricevere un’infusione di «aria fresca» attraverso «finestre» appena spalancate. Ora, a cinquant’anni dalla morte, papa Giovanni sarà quasi certamente canonizzato, ossia dichiarato ufficialmente santo dalla sua Chiesa. Nel 2000, uno dei suoi successori, Giovanni Paolo ii, lo ha dichiarato «bea-
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to», il penultimo gradino verso la santità, assicurando così che questa figura straordinaria sia ricordata – e venerata – dalle future generazioni. Ma perché, a parte la sua popolarità e l’insolito carisma – la sua celebrità spirituale, se vogliamo – dovrebbe essere prescelto per questo onore e gloria, che forse rifiuterebbe con irritazione se fosse ancora fra noi e potesse dire la sua? Nel cristianesimo e nella storia della Chiesa cattolica alcune figure spiccano per la loro santità in vita, per le loro personalità vigorose o insolite e per l’impronta che hanno lasciato come servitori della fede: Tommaso d’Aquino, Edith Stein, papa Gregorio Magno, Madre Teresa di Calcutta sono modelli di santità e di servizio che sono stati canonizzati dalla Chiesa cattolica. Molti di loro hanno lasciato scritti destinati a istruire e ispirare altri: Agostino d’Ippona e Teresa di Lisieux sono due esempi. Tutti mostravano fede, speranza e carità nella loro esistenza quotidiana. Forse non tutto il giorno e ogni giorno, perché i santi sono esseri umani imperfetti, non certo angeli o dei. I santi e la santità non devono essere considerati necessariamente delle rarità; anzi, ogni cristiano è chiamato a questo stato di santità che è alla portata di ciascuno di noi in ogni ora del giorno nel mondo che ci circonda, che decidiamo di riconoscerlo e attingervi o no. Tuttavia, come poteva un uomo come Roncalli, noto al mondo come Giovanni xxiii, che sotto molti aspetti rappresentava un ritorno ai secoli passati, risplendere di tanta luce nel mondo moderno? Dopo tutto, era cresciuto e aveva lavorato molto in una Chiesa cattolica romana che a molti sembrava stanca, stantia e sulla difensiva nei confronti dei suoi presunti nemici. Come poté questo devoto prete contadino affrontare il mondo contemporaneo proteiforme, secolare, veloce in modo così particolare ed efficace? E come riuscì a infondere nella Chiesa una fiducia nuova nella sua missione di pastore del mondo e spalancare le porte al cambiamento necessario, significativo e fedele? Questa biografia tenta di rispondere a queste domande. E ho l’impressione che sia piuttosto urgente trovare le risposte, perché si potrebbe sostenere che molte delle crisi e delle tensioni all’interno della Chiesa cattolica oggi siano dovute al fatto che i successivi leader si sono allontanati da quello che Giovanni ha modellato e compiuto. Le linee di faglia che esistono nella Chiesa contemporanea sono diverse, ma simili ai prece-
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denti spartiacque che hanno segnato l’istituzione nei secoli passati – compresi gli scandali e i dibattiti teologici –, ma sulla scena odierna non esiste una singola figura o movimento paragonabile a Roncalli. L’eterno interrogativo che ha tormentato la Chiesa fin dalla prima pentecoste a Gerusalemme è questo: può l’istituzione fondata nell’epoca apostolica sopravvivere per un’altra generazione di fronte alle forze terrene di opposizione, alla corruzione e alle manchevolezze umane nelle sue stesse file? Un altro modo di porre queste domande è invertirle: che cosa sarebbe successo se un cardinale ultratradizionalista o con una mentalità meno pastorale fosse stato eletto papa? La risposta sembra ovvia: l’intero movimento liberale degli anni sessanta e la risposta della Chiesa avrebbe potuto spingere troppo i cattolici in una direzione o in un’altra e non presentare un volto così aperto a un mondo in rapida evoluzione. Nella fattispecie, quel volto mostrava al tempo stesso una devozione basilare di tipo tradizionale e una notevole tolleranza finora sconosciuta verso le correnti teologiche e politiche che forse avrebbero potuto spezzare un capo più rigido e faraonico. Giovanni, corpulento com’era, sedeva con leggerezza sul trono, sotto l’ingombrante triregno – forse più di tutti i suoi predecessori – nel momento esatto in cui quell’atteggiamento sarebbe stato determinante per la sopravvivenza e l’adattamento creativo dell’idea cattolica in un mondo nuovo fatto di tecnologia in pieno sviluppo, comunicazione di massa e competizione spietata fra culture ovunque nel mondo. Bisogna riconoscere che la Chiesa e il mondo sarebbero stati molto diversi se Giovanni non fosse stato eletto nel 1958. È possibile che abbia rallentato la corsa alle armi nucleari, almeno temporaneamente, in una fase cruciale della Guerra fredda con la sua presenza rasserenante durante la crisi dei missili a Cuba, il suo insegnamento nell’enciclica Pacem in terris (Pace in terra) e il suo tocco di abile diplomatico, perfezionato durante un quarto di secolo in alcuni degli incarichi più spinosi immaginabili per un nunzio apostolico in Europa nei decenni precedenti la Seconda guerra mondiale e durante il conflitto. Indicando la strada ai suoi successori, guidò la Chiesa in una nuova direzione nel suo rapporto con gli ebrei, che dette i suoi frutti nella dichiarazione Nostra aetate (Nella nostra epoca) del Concilio Vaticano, e con i cristiani non cattolici, da cui derivò il decreto sull’ecumenismo Unita-
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tis redintegratio (La restaurazione dell’unità) e un atteggiamento del tutto nuovo da parte del clero, della gerarchia e dei laici. Questo papa è ancora importante perché, stando con i piedi ben piantati nel fiume della storia che scorre veloce, aiutò la sua gente a passare sana e salva da una sponda all’altra senza essere trascinata via dalle correnti vorticose, come il leggendario san Cristoforo. Così «salvò» la Chiesa che amava tanto, mantenendo intatto il suo nucleo dottrinario con la forza di volontà e la diplomazia personale che si manifestavano in una spiritualità umile, persino terrena, in contraddizione con quasi tutte le aspettative dei suoi pari (che amava definire, non senza ironia, i suoi «superiori» nella gerarchia ecclesiastica). Fu così in grado di smuovere l’inamovibile e creare nuove possibilità di riforma – o aprire magari un dibattito in merito – che i suoi immediati predecessori e contemporanei non avrebbero nemmeno preso in considerazione. Forse solo Pio x, l’ultimo papa a essere stato canonizzato fino a oggi (che pure non era un liberale), potrebbe uguagliare Giovanni nel suo zelo pastorale riformatore. Inoltre, Giovanni non consentì alla pompa delle cerimonie papali o all’inerzia di una leggendaria burocrazia millenaria di distoglierlo dalla sua agenda. Sapeva di avere a disposizione un tempo limitato per attuare il suo programma ambizioso, simboleggiato dal Concilio ecumenico Vaticano ii che gli dava consistenza. Infatti, quando venne avvisato durante la fase preparatoria, nel 1960, che molto probabilmente il concilio non si sarebbe potuto riunire prima del 1964, decise prontamente che sarebbe iniziato nel 1962 e così fu. Giovanni sorprendeva spesso i suoi pari e i suoi superiori. Eppure continuarono a sottovalutarlo per tutta la vita. Ancora oggi, cinquant’anni dopo la sua morte, nella Chiesa c’è chi lo deride giudicandolo «popolare» o «sciocco», sebbene la grande maggioranza dei cattolici e un vasto numero di anglicani, protestanti, ebrei e altri non cristiani tengano in grande considerazione Giovanni xxiii e il suo retaggio di tolleranza e apertura mentale. La maggior parte dei cattolici, tranne pochi conservatori intransigenti che considerano le riforme del Vaticano ii uno scisma eretico all’interno della Vera Chiesa di Cristo (e ce ne sono: un veloce giro dei siti internet ve lo confermerà), si aspetta che sarà canonizzato presto, molto presto.
Prefazione 13
Questo libro rappresenta, quindi, un tentativo di capire perché il fenomeno di papa Giovanni xxiii e la sua reputazione di Papa buono siano così duraturi, ispirino tanta gente e meritino di essere conosciuti dalle nuove generazioni di cattolici in cerca di una Chiesa più aperta ed ecumenica. E, presumo, perché sopravvivrà a lungo ai critici e agli avversari del suo concilio che sono ancora fra noi e a quelli futuri.
7. L’elezione e i primi giorni (ottobre-dicembre 1958)
Pio xii aveva regnato per diciannove anni e mezzo, anche se da vari anni la salute precaria aveva rallentato la sua attività. Fra le molte iniziative portate a compimento, Pio xii proclamò il dogma dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, secondo la definizione dell’infallibilità papale stabilita nel Concilio Vaticano i nel 1870 (la prima e unica volta in cui una simile dottrina è stata definita così) e consacrò trentatré nuovi santi della Chiesa, compreso il suo predecessore, Pio x. «Il programma di Pio xii rappresentava una giudiziosa sintesi di conservazione e liberalismo», secondo Frank J. Coppa in The Modern Papacy Since 1789: Sebbene venisse accusato di essere troppo austero e autoritario, Pio xii portò avanti l’impegno papale in fatto di giustizia sociale e scrisse nel primo anno del suo pontificato [rivolgendosi ai vescovi americani] che «è inderogabile esigenza che i beni da Dio creati per tutti gli uomini equamente affluiscano a tutti, secondo i principi della giustizia e della carità».
Negli affari internazionali, l’esperto papa-diplomatico ottenne alcuni successi e subì alcune sconfitte, scontrandosi, per esempio, con il dittatore dell’Argentina, il presidente Juan Perón, sul problema del controllo dell’istruzione da parte della Chiesa in quel paese. La controversia sul ruolo del papa nella Seconda guerra mondiale – che viene ritratto come distante dalla realtà dello sterminio di massa degli ebrei d’Europa – è ancora irri-
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solta, in attesa che vengano aperti gli archivi vaticani per risolvere le questioni storiche e morali che sono state sollevate sulle sue politiche verso i perseguitati e i persecutori. L’8 dicembre 1945, Pio xii aveva promulgato una nuova costituzione con le norme per il conclave, intitolata Vacantis Apostolicae Sedis. Nel corso degli anni i papi, in qualità di supremi legislatori della Chiesa, hanno svolto spesso un ruolo attivo fissando le regole e le procedure da seguire nella scelta dei loro successori. Anche con modifiche e innovazioni periodiche, le regole del conclave sono rimaste pressoché uguali per quasi dieci secoli. Il documento manteneva la maggior parte delle norme contenute in quello promulgato da san Pio x il 25 dicembre 1904 e intitolato analogamente Vacante Sede Apostolica, che trattava esaurientemente dell’elezione del romano pontefice e del ruolo dei cardinali durante la sede vacante e nel processo elettorale. Nel titolo ii, capitolo i del documento, «Gli elettori del Romano Pontefice», il papa tratteggiava il ruolo dei cardinali nella scelta di un nuovo pontefice. Soltanto loro potevano votare. Secondo questa costituzione, anche se il papa fosse morto mentre a Roma si teneva un concilio, l’elezione doveva essere condotta solo dai cardinali e in nessun caso dal concilio, che sarebbe stato sospeso fino a quando il nuovo papa decideva se riaprirlo o no. Un cardinale che era stato scomunicato, sospeso, interdetto o sottoposto a qualsiasi altra sanzione ecclesiastica non era escluso dall’elezione. Quindi le censure venivano sospese, ma soltanto per l’elezione. Una volta che un cardinale era stato «creato e pubblicato», aveva il diritto di partecipare all’elezione anche se non aveva ancora ricevuto la tradizionale berretta rossa, segno del suo rango. I cardinali che erano stati deposti canonicamente e quelli che avevano rinunciato alla loro dignità con il consenso del papa non potevano prendere parte al conclave. Se un cardinale non era stato ordinato almeno diacono, non poteva partecipare all’elezione a meno che il pontefice non gli concedesse questo speciale privilegio. Dopo la morte del papa, i cardinali dovevano aspettare i loro colleghi assenti, dopodiché ricevevano l’ordine di entrare in conclave e procedere all’elezione. Le modifiche apportate da Pio xi nella lettera apostolica in forma di motu proprio Cum proxime del 1º marzo 1922 (riguardante le
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nuove regole per l’elezione del papa) disponeva che il conclave iniziasse quindici giorni dopo la morte del pontefice. Autorizzava inoltre il Collegio cardinalizio a estendere questo periodo a diciotto giorni qualora lo ritenesse necessario. Se un cardinale arrivava dopo l’inizio del conclave, ma prima che venisse eletto il papa, doveva essere ammesso immediatamente nel conclave. A meno di un legittimo impedimento, come nel caso dei cardinali Jósef Mindszenty e Alojzije Stepinac nel 1958, tutti i cardinali erano obbligati a partecipare all’elezione. Se un cardinale rifiutava di entrare nel conclave o usciva dopo esservi entrato, avrebbe perso il diritto di voto e non sarebbe stato riammesso a meno che non fosse stato costretto ad andarsene per motivi di salute. Tutti i cardinali, tranne in caso di malattia, dovevano riunirsi per la votazione ai tre tocchi di campana e se un cardinale rifiutava di ubbidire, rischiava la scomunica. L’innovazione più importante introdotta dalla costituzione di Pio xii era la norma secondo la quale un cardinale doveva ottenere un voto in più della tradizionale maggioranza di due terzi perché l’elezione a papa fosse valida. Questo nuovo emendamento escludeva la possibilità che questo minimo si potesse ottenere con il voto del cardinale che riceveva il necessario numero di voti. Era la prima volta, dall’epoca della costituzione promulgata da Alessandro iii nel 1179, Licet de vitanda discordia (che era un canone del Terzo Concilio Lateranense), che era necessario ottenere più dei due terzi dei voti per essere eletto papa. Pio xii aveva creato anche un numero di cardinali senza precedenti in due concistori: trentadue il 18 febbraio 1946 e ventiquattro il 12 gennaio 1953, compreso Roncalli e una robusta «classe» di nuovi principi. Il numero massimo dei membri del Sacro Collegio cardinalizio era stato fissato a settanta da Sisto v nel 1587 e confermato nel Codice di diritto canonico del 1917. In seguito, Giovanni xxiii avrebbe aumentato il numero totale dei cardinali, come pure il suo successore, Paolo vi. Oggi il massimo canonico è fissato a centoventi cardinali elettori eleggibili (più molti altri che hanno superato gli ottant’anni e quindi sono ineleggibili in un conclave). Rispecchiando il carattere sempre più internazionale del collegio, soltanto diciassette dei cinquantuno elettori erano italiani, la percentuale più bassa (un terzo) dal conclave del 1455, che portò all’elezione di Callisto iii come candidato di compromesso.
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La rappresentanza nazionale più numerosa era quella francese con sei cardinali elettori. Gli Stati Uniti vantavano soltanto due cardinali, Francis Spellman di New York e James Francis McIntyre di Los Angeles (un protetto di Spellman), dato che il cardinale di Detroit, Edward Mooney, era morto a Roma il giorno dell’apertura del conclave. Il cardinale italiano Celso Costantini, un burocrate della Curia, era morto due settimane prima e i cardinali József Mindszenty dell’Ungheria e Alojzije Stepinac della Jugoslavia non potevano partecipare perché erano bloccati dietro la cortina di ferro. Era anche il numero minore di elettori dall’elezione di Pio vii nel marzo del 1800, con trentacinque cardinali riuniti in conclave per quattordici settimane a Venezia sotto la protezione dell’imperatore d’Austria. All’epoca, Napoleone occupava Roma e il defunto Pio vi era morto a Valence prigioniero dei francesi, provocando una crisi politica in seno alla Chiesa. Già una volta nel xx secolo, e precisamente nel 1903, un patriarca di Venezia era stato eletto papa: Giuseppe Melchiorre Sarto, a sessantotto anni. Nel 1978, un altro patriarca di Venezia sarebbe stato eletto Sommo Pontefice: il sessantacinquenne Albino Luciani, che avrebbe regnato solo trentatré giorni in quello che divenne noto come «l’anno dei tre papi». Dopo il conclave del 1903, in una prescrizione che faceva presagire la storica elezione papale del 1958, il cardinale francese François-Desiré Mathieu dichiarò: «Volevamo un papa che non si era mai occupato di politica, il cui nome avrebbe significato pace e concordia, che era invecchiato nella cura delle anime, che si sarebbe impegnato nel governo minuzioso della Chiesa, che fosse soprattutto un padre e un pastore». Roncalli era molto lontano dai papabili, ma comunque aveva pochi veri nemici. La lista dei candidati era così imprecisa che un giornale romano preparò le biografie di oltre venti papi potenziali, ma non quella di Roncalli. Sabato 25 ottobre 1958, alle 18.08, la campana nel cortile di San Damaso suonò tre volte, annunciando che era ora di chiudere le porte e sigillare le finestre del conclave per l’elezione del successore di san Pietro. Pochi mesi prima, i capi dei tre ordini cardinalizi – dei cardinali vescovi, Eugène Tisserant, decano del Sacro Collegio; dei cardinali preti, Joseph-Ernest van Roey, arciprete; dei cardinali diaconi, Nicola Canali, arcidiacono – in-
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sieme al camerlengo Aloisi Masella, avevano assistito alla chiusura dei due accessi all’area del conclave nel cortile di San Damaso e nel cortile Borgia. Enrico Dante, come maestro delle cerimonie, intimò l’«Extra omnes» per fare uscire tutti gli estranei: il conclave era ufficialmente iniziato. Al termine delle cerimonie, i cardinali si ritirarono nelle loro celle. Il cardinal Roncalli andò nella cella preparata per lui negli uffici della Guardia nobile. Sulla porta c’era ancora la targhetta con la scritta «Il comandante». Il suo posto nella Cappella Sistina, dove si sarebbero svolti gli scrutini, era a destra dell’entrata principale, fra il cardinale Valerio Valeri e il cardinale Gaetano Cicognani. L’indomani, dopo la messa nella Cappella Paolina, i cardinali votarono due volte la mattina e due nel pomeriggio. Dopo il primo scrutinio, le relative posizioni dei candidati e delle fazioni apparvero chiare: -- Angelo Giuseppe Roncalli: 20 -- Gregorio Pietro xv Agagianiàn: 18 -- Valerio Valeri: 4 -- Giacomo Lercaro: 4 -- Ernesto Ruffini: 3 -- Giovanni Battista Montini: 2 Quindi Roncalli ottenne una maggioranza relativa nel primo scrutinio. Sembrava che i cardinali considerassero la sua età un vantaggio perché probabilmente non sarebbe vissuto abbastanza a lungo per fare qualche danno alla Chiesa. La seconda votazione fu identica alla prima. Fuori, il mondo aspettava la fumata bianca dal tubo sopra la Cappella Sistina che annunciava l’elezione di un nuovo papa. Dopo il primo scrutinio, il fumo inizialmente sembrò bianco prima che gli addetti del Vaticano aggiungessero paglia bagnata al fuoco perché il fumo sembrasse più nero contro l’orizzonte. Le votazioni proseguirono per altri due giorni senza che alcun candidato raggiungesse i due terzi necessari per l’elezione. A un certo punto Roncalli perse sostegno scendendo a quindici voti, dietro Agagianiàn. Da quel che si dice, gli anziani cardinali elettori erano stanchi e irritabili. Poi, sostenitori importanti si schierarono dietro Roncalli nelle votazioni successive, compreso il leone della Curia, Alfredo Ottaviani, insieme
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al francese Tisserant, che aveva conosciuto molto bene l’ecclesiastico bergamasco e aveva imparato a rispettarlo immensamente negli anni del dopoguerra. L’undicesimo scrutinio fu decisivo: -- Angelo Giuseppe Roncalli: 38 -- Gregorio Pietro xv Agagianiàn: 10 -- Giacomo Lercaro: 1 -- Valerio Valeri: 1 Alle 16.50 del 28 ottobre 1958, Angelo Roncalli venne eletto papa. Per la prima volta, il patriarca di Venezia aveva infranto la tradizione secondo cui nessun papabile importante riguadagna le posizioni perdute durante la votazione. Lui, invece, aveva raccolto abbastanza voti per conquistare il trono. I cardinali abbassarono i baldacchini sopra i loro seggi nella Cappella Sistina: tutti tranne uno, quello del pontefice appena eletto. Il cardinale di Toronto, James McGuigan, si protese a sinistra e rese omaggio per conto del defunto cardinal Mooney di Detroit, il cui corpo sarebbe stato riportato negli Stati Uniti entro pochi giorni. Tisserant, il decano del Sacro Collegio, compì il suo dovere rituale. Si avvicinò a Roncalli e gli rivolse la domanda prescritta dal diritto canonico e dalla costituzione del conclave: «Accetti la tua elezione, canonicamente compiuta, a Sommo Pontefice?». In risposta, Roncalli trasse di tasca il testo latino a cui aveva lavorato per lunghe ore durante la notte precedente e la pausa per il pranzo nella sua cella: Ascoltando la tua voce, tremens factus sum ego, et timeo. Ciò che io so della mia povertà e pochezza basta alla mia confusione. Ma vedendo nei voti dei miei fratelli eminentissimi cardinali di nostra Santa Romana Chiesa il segno della volontà di Dio, accetto l’elezione da essi fatta e chino il capo e le spalle al calice dell’amarezza e al giogo della Croce. Nella solennità di Cristo Re tutti abbiamo cantato: «Il Signore è nostro giudice, il Signore è nostro legislatore, il Signore è nostro re. Egli ci salverà».
Abitualmente, in questa occasione viene pronunciata solo la formula: «Accepto». Così il nuovo papa indicava che stava accadendo qualcosa
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di diverso, e lo fece anche rispondendo alla domanda rituale del cardinal Tisserant: «Quomodo vis vocari?» (Come vuoi essere chiamato?). La sua lunga spiegazione del motivo per cui aveva scelto di chiamarsi «Giovanni» suscitò ancora più mormorii fra i cinquanta cardinali che lo avevano appena eletto. Dopo l’elezione, il nuovo papa rinuncia al proprio nome e cognome e sceglie il nome che vuole assumere come pontefice. Angelo Roncalli spiegò ai cardinali elettori perché aveva scelto di chiamarsi Giovanni: Vocabor Johannes (Desidero essere chiamato Giovanni). Questo nome ci è dolce perché è il nome di Nostro padre. Ci è soave perché titolare dell’umile parrocchia in cui ricevemmo il battesimo; è il nome solenne di innumerabili cattedrali sparse in tutto il mondo e in primo luogo della sacrosanta Basilica Lateranense, cattedrale nostra. È il nome che nella lunghissima serie dei romani pontefici gode di un primato numerico; infatti sono enumerati ventidue pontefici di nome Giovanni di legittimità indiscutibile; quasi tutti ebbero un breve pontificato. Abbiamo preferito coprire la piccolezza del nostro nome dietro questa magnifica successione di romani pontefici. Ma amiamo il nome Giovanni, così caro a Noi e a tutta la Chiesa, specialmente per i due che lo hanno portato, i due uomini, cioè, che erano più vicini a Cristo Signore, il Divino Redentore del mondo intero e fondatore della Chiesa. Giovanni Battista, il precursore di nostro Signore, non era la luce, ma un testimone della luce, un invincibile testimone di verità, giustizia e libertà, nella sua predicazione, nel suo battesimo di penitenza e nel sangue che ha versato. E l’altro Giovanni, discepolo ed evangelista, prediletto da Cristo e dalla sua dolcissima Madre, che nell’Ultima Cena, si appoggiò al petto del Signore e ne trasse quella carità di cui fu una fiamma vivente e apostolica fino al termine della sua veneranda età. Possa Giovanni Evangelista che, come racconta lui stesso, prese con sé Maria Madre di Cristo e nostra madre, assecondare insieme a lei questa esortazione che concerne la vita e il gaudio della Chiesa cattolica e apostolica ed altresì la pace e la prosperità di tutti i popoli. Figlioli miei, amatevi l’un l’altro; amatevi l’un l’altro perché questo è il grande precetto del Signore.
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Subito dopo, il prefetto delle cerimonie redasse l’atto di accettazione che il segretario del conclave firmò come testimone. Poi Giovanni xxiii, come ormai veniva chiamato, si recò nella sagrestia della Cappella Sistina per indossare i paramenti sacri. Nel farlo, si tolse lo zucchetto rosso e lo pose sul capo del segretario del conclave, Alberto di Jorio, per indicare che sarebbe stato creato cardinale nel primo concistoro del nuovo regno, ripristinando così un’antica usanza abbandonata da quando Pio x aveva fatto lo stesso con Raffaele Merry del Val nel 1903. La vestizione del neo eletto comprendeva molti paramenti nuovi: la sottana bianca con le calze dello stesso colore, le scarpe rosse ornate di una croce d’oro, il rocchetto (simile alla cotta), la mozzetta rossa, la stola rossa e lo zucchetto bianco. Il conclavista di Giovanni e suo segretario a Venezia, monsignor Loris Capovilla, venne chiamato nella sagrestia ancora all’oscuro di tutto. La tradizione voleva che il conclavista del papa appena eletto lo assistesse nella vestizione. Notoriamente, il sarto del Vaticano, Annibale Gammarelli, preparava tre set completi di paramenti per avere la certezza che almeno uno andasse bene al nuovo papa, chiunque fosse eletto. Il primo che Giovanni provò non si abbottonava nemmeno intorno alla sua notevole circonferenza. Il secondo andava un po’ meglio e fu in quelle vesti che Giovanni trascorse il resto del suo primo giorno di pontificato. L’indomani, Capovilla telefonò al sarto facendo le sue rimostranze per la taglia sbagliata. Gammarelli chiese se Giovanni avesse provato tutte e tre le taglie e gli venne risposto che c’era stato tempo solo per due vestizioni. «Provate la terza» disse. Così fecero e scoprirono che era perfetta perché Gammarelli aveva previsto ancora prima del conclave che Giovanni poteva benissimo essere il nuovo papa e aveva preparato un set di paramenti apposta per lui. Dopo aver accettato il reverente omaggio dei suoi fratelli cardinali, Giovanni uscì sul balcone sopra la piazza per impartire la sua prima benedizione urbi et orbi come Sommo Pontefice. Il momento venne ripreso dalla televisione per la prima volta nella storia e si calcolò che addirittura un miliardo di persone avesse visto o udito l’annuncio dell’elezione del nuovo papa. Il suo pontificato di 1680 giorni iniziò alla grande: il 2 novembre, appena cinque giorni dopo la sua elezione e due giorni prima di essere inco-
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ronato con il triregno, papa Giovanni xxiii prospettò al cardinale Ernesto Ruffini l’idea di convocare il primo Concilio ecumenico della Chiesa da novant’anni a quella parte. Inoltre, decise di creare ventitré nuovi cardinali in un concistoro da tenersi il 15 dicembre, superando il limite di settanta stabilito nel 1587 da Sisto v. Il Collegio cardinalizio, che sarebbe arrivato a circa duecento membri nel secondo decennio del xxi secolo (sebbene al massimo centoventi cardinali sotto gli ottant’anni avrebbero potuto votare in conclave) non sarebbe più stato lo stesso. Né il papato stesso, grazie a questo nuovo vecchio papa.