Maratona

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Richard A. Billows

Maratona Il giorno in cui Atene sconfisse l’Impero Traduzione di Maria Eugenia Morin


www.ilsaggiatore.com (sito & eStore) Twitter @ilSaggiatoreEd Facebook il Saggiatore editore Š 2010 by Richard A. Billows Š il Saggiatore S.p.A., Milano 2013 Titolo originale: Marathon


Maratona A Madeline e Colette, che illuminano la mia vita



Sommario

Prefazione 9 Introduzione. La leggenda di Maratona

11

1. Gli antichi greci nel vii e vi secolo a.C.

33

2. L’ascesa dell’Impero persiano

75

3. La città-stato ateniese intorno al 500 a.C

101

4. L’aggravarsi del conflitto fra persiani e greci

129

5. La battaglia di Maratona

153

6. Le conseguenze della battaglia di Maratona

177

Cronologia

199

Glossario

209

Letture ulteriori

217

Bibliografia

229

Ringraziamenti

243

Indice analitico

245



Mappe


Il mondo greco nel 480 a.C.

CELTI ILLIRI

CELTIBERI

Cartagine

Siracusa NUMIDIA

Città madre greca Colonia greca Città fenicia

Da Thermopylae di Paul Cartledge (Overlook, 2006)


SCITI SAMARITI

Mar

Nero

TRACIA

MACEDONIA CALCIDICA IMPERO PERSIANO

Mar Ionio

CYPRUS

M a r

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200 miglia 400 chilometri

Mar Rosso


Impero Persiano

Mar

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400 miglia 600 chilometri

Da Thermopylae di Paul Cartledge (Overlook, 2006)


Lago Balhaš

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KAZAKISTAN

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CORASMIA

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Tracciata sulla base di J.M. Cook The Persian Empire (Schocken Books, 1985)

Sparta

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EGINA

SALAMINA

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MACEDONIA

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Grecia e l’Egeo, rotta dell’esercito persiano verso Maratona (linea tratteggiata)

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1-1/2

Maratona

Per gentile concessione del Dipartimento di Stato, U.S. Military Academy

ATENE

0

Situazione Iniziale, 490 A.C.

Battaglia di Maratona

Piana di Maratona

Maratona

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Baia

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10 miglia 10

15 chilometri

Laurium Sunio

Tracciata sulla base di Joint Association of Classical Teachers The World of Athens (Cambridge UP, 1984)


Alberi genealogici


Dinastia degli AgĂŹadi, signori di Sparta Euristene (1102-1060) Agide I (1060-59 o 1060-29) Echestrato (1059-24 o 1029-94)

LICURGO

Labota (1024-987 o 994-57) Dorisso (987-58 o 957-28) Agesilao (958-28 o 928-884) (Menelao) (928-884) Archelao (884-24)

In minuscolo, i sovrani. In maiuscoletto, i principi reggenti. In corsivo, gli altri membri della famiglia reale.

Teleclo (824-784) Alcamene (784-47) Polidoro Euricrate Anassandro Euricratide Leonte Anassandride (550 circa) Cleomene (circa 520-491)

Dorieo

Leonida (491-80) (= Gorgo)

Gorgo (= Leonida)

Eurianatte

Plistoanatte (458-08)

PAUSANIA

(480- circa 467)

Plistarco (458-08)

NICOMEDE CLEOMENE

(427-?)

Pausania (408-394) Agesipoli I (394-80)

Cleombroto I (380-71)

Agesipoli II (371-70)

CLEOMBROTO

Cleomene II (370-09)

(480)

(458-?)

Aristocle


Dinastia degli Euripontidi, signori di Sparta Procle (1102-1061) Soo (1061-29) Euriponte (1029-978) Pritani (978-29) Eunomo (929-884) Polidette

LICURGO

(884-64)

Carilao (884-24) Nicandro (824-784) Teopompo (784-737) Archidamo

Anassandrida

Zeussidamo

Archidamo

Anassidamo

Anassilao

Archidamo

Leotichida

Agasicle

Ippocratide

Aristone (circa 550)

Agide (Agesilao)

Damarato (?-491)

Menares Leotichida (491-69) Zeussidamo Archidamo II (469-27) Agide II (427-398)

Euristene (circa 400)

Proclo

Leotichida

Gorgione

Leotichida

Damarato

Chilone = Cleonimo

da HRM Jones (1964)

=

Lampito Agesilao II (398-61) Archidamo III (381-38) Agide III (338-31)

Eudamida I (331-?)


Dinastia achemenide Haxト[aniナ。 / Achemene Teispe Cambise I Ciro (circa 640) Cambise II / Teispe (circa 635-610?) Ciro I (circa 610-585?)

Ariaramne

Cambise I (circa 585-560)

Arsame

Ciro II, il Grande (560-530)

Istaspe

Cambise II (530-522)

Bardiya / Smerdi (522)

Dario I, il Grande (522-486) Serse I (486-465) Artaserse (465-424)


Dinastia alcmeonide Megacle (632) Alcmeone (circa 590) Megacle (circa 570)

Clistene di Sicione (circa 600-570)

=

Agariste

Ippocrate

Clistene (520-508)

Megacle (486)

Agariste = Santippo (circa 480)

Eurittolemo

Pericle (circa 450-429)

Cimone = Isodike

Famiglia dei Filaidi-Cimonidi CĂŹpselo di Petra

=

x

=

Stesagora

Milziade (circa 540)

Cimone (circa 530)

Stesagora (circa 520)

Milziade (490)

Oloros di Tracia

=

Cimone (circa 470 – circa 450)

Egesifilone



Prefazione

«Maratona» è una parola o un nome familiare nella società moderna, solitamente associata a una competizione atletica, una corsa, e non a una remota battaglia. Alcuni appassionati possono avere una vaga idea della leggendaria corsa compiuta dall’antico messaggero ateniese da Maratona ad Atene per annunciare la vittoria contro i persiani; ma sospetto che pochissimi si rendano conto che quella corsa è in effetti un mito, anche abbastanza tardo, e che la realtà storica è molto più sconvolgente della presunta impresa di un solo corridore che copre una distanza di 42,195 chilometri. Lo scopo di questo libro è recuperare la realtà storica della battaglia combattuta nella pianura di Maratona, a una quarantina di chilometri dalla città di Atene, fra un piccolo contingente di ateniesi e un esercito molto più numeroso di invasori persiani; e della stupefacente marcia a passo veloce compiuta da tutto l’esercito ateniese (circa seimila uomini, come vedremo) da Maratona ad Atene per impedire alla forza persiana di espugnare la città mentre i suoi difensori erano assenti. La grande battaglia e la marcia a passo veloce avvennero nella stessa giornata: la battaglia la mattina, la marcia nel pomeriggio. Questi eventi, per quanto interessanti di per sé, ebbero un’enorme importanza per il futuro sviluppo della cultura e della società classica greca e quindi occidentale. Perché il testo fosse chiaro e leggibile, non ho infarcito le pagine di riferimenti bibliografici o di note in dissenso con altri studiosi. Alla fine del libro ho incluso un resoconto delle fonti e un’analisi di alcune letture utili per ogni capitolo.



Introduzione. La leggenda di Maratona

Duemilacinquecento anni fa, all’inizio di agosto dell’anno 490 a.C., un piccolo esercito formato da circa diecimila guerrieri greci in armatura pesante – tutti ateniesi tranne circa seicento fanti di Platea – era accampato sulle pendici meridionali delle colline sovrastanti l’ampia baia e la pianura costiera di Maratona, nel Nordest dell’Attica. Gli ateniesi e i loro seicento alleati erano lì per difendere la patria dall’esercito persiano. Dal loro accampamento, situato intorno a un santuario dedicato all’eroe Eracle, proteggevano le strade che collegavano Maratona ad Atene da un’eventuale avanzata nemica e sorvegliavano dall’alto i persiani accampati nella parte settentrionale della pianura costiera. Fra i due campi si stendeva una vasta palude che rendeva angusto e difficile il percorso da un accampamento all’altro e impediva qualsiasi attacco improvviso o a sorpresa. I due eserciti si osservavano da una settimana. Gli ateniesi sapevano che il vantaggio numerico dei persiani era di circa tre a uno, forse più, e perciò esitavano ad abbandonare la loro salda posizione difensiva per dare battaglia. Dall’altro canto, i persiani non avevano alcuna voglia di tentare un attacco dal basso contro la solida posizione ateniese, considerata la formidabile protezione offerta dalla corazza dei greci. Donde la lunga attesa prima che le due parti scendessero in campo. Tuttavia, dopo una settimana, gli ateniesi decisero di marciare nella pianura e ingaggiare battaglia. Nel XIX secolo la battaglia di Maratona venne considerata un punto di svolta nella storia greca e occidentale. Il filosofo inglese John Stuart Mill


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arrivò a sostenere che «la battaglia di Maratona, anche per la storia inglese, è un evento più importante di quella di Hastings». A oggi, sono pochi gli storici che accolgono il concetto stesso di «battaglia decisiva» e l’idea alla base della tesi di Mill – che la Grecia classica fosse la culla della civiltà occidentale e quindi un evento cruciale della sua storia potesse aver influito sulla storia di tutto l’Occidente – è contestata da alcuni di loro. Perciò non sorprende che la celebrazione della battaglia di Maratona come punto di svolta nella storia greca classica e come evento cruciale per tutta la storia occidentale successiva oggi sia questione dibattuta. Sebbene spesso la storia segua tendenze e sviluppi di lungo respiro, in rare occasioni determinati eventi e decisioni hanno un impatto eccezionale, conseguenze di vasta portata e prolungate nel tempo: la battaglia di Maratona fu una di quelle. La resistenza opposta da quasi diecimila ateniesi e dai circa seicento plateesi loro alleati nell’agosto del 490 a.C. rese possibile la cultura greca classica del V e IV secolo a.C., mentre una vittoria persiana avrebbe avuto come conseguenza una Grecia e una cultura greca assai diverse; e la vittoria dei persiani era considerata non soltanto possibile, ma assai probabile. Molti storici fanno notare che Maratona non eliminò la minaccia persiana alla libertà greca: nel 480 a.C. i persiani invasero la Grecia con forze molto maggiori. Forse quella battaglia non fu decisiva come molti ritengono? Semplicemente, se i persiani avessero vinto a Maratona ed espugnato Atene – come prevedevano molti osservatori in base ai loro calcoli – la democrazia ateniese sarebbe morta in culla, un esperimento fallito dopo una quindicina d’anni appena. Gli ateniesi sarebbero stati deportati in Persia per essere giudicati da re Dario, come accadde ai milesi nel 494 a.C. e agli eretriesi nel 490 a.C.; non ci sarebbe stata una flotta ateniese di duecento navi da guerra capace di impegnare e sconfiggere la potenza navale persiana, come nel 480 a.C. a Salamina; non sarebbero mai nate la tragedia e la commedia, la filosofia e la retorica, la storiografia e la teoria politica caratteristiche della cultura democratica ateniese del V e IV secolo a.C. Inoltre è assai probabile che da una base (Atene) nel cuore della Grecia i persiani avrebbero conquistato l’intero paese e, di conseguenza, anche nel resto della Grecia la cultura classica, come noi la conosciamo, non sarebbe mai esistita. Tutto questo significa che la storia e la cultura greca classica erano realmente a rischio nella pianura di Maratona e che lo scontro dei due eserciti in quel giorno di agosto costituì davvero uno


Introduzione. La leggenda di Maratona  13

di quei rari bivi sulla strada della storia in cui le azioni di un numero relativamente ridotto di persone in un dato giorno fanno in modo che il corso degli eventi successivi si sviluppi in un modo anziché in un altro. Tutto questo dimostra l’importanza di Maratona per la storia greca classica, ma possiamo asserire che fu un punto di svolta nella storia dell’Occidente più in generale, dato che la cultura greca classica fu la «culla della civiltà occidentale». Alcuni storici trovano ridicola l’idea della Grecia classica come culla della civiltà occidentale; tuttavia, stando ai fatti, a me sembrano in errore: sia riguardo alla Grecia classica, sia soprattutto riguardo allo sviluppo moderno della cultura occidentale. Sebbene molti studiosi contemporanei siano critici nei confronti del pensiero e della cultura del Rinascimento e dell’Illuminismo, siamo tutti discendenti intellettuali degli scrittori, artisti e pensatori di quelle età, che cercavano nella Grecia classica, direttamente o attraverso la mediazione degli imitatori romani, i loro modelli e la loro ispirazione, trasformando figure come Euripide, Tucidide, Fidia, Platone, Aristotele, Demostene e molti altri in qualcosa che forse altrimenti non sarebbero mai stati: i nostri antenati culturali. Ci piaccia o no, la cultura e la civiltà occidentali moderne sono state profondamente influenzate dai modelli e dalle idee della Grecia classica la cui civiltà era realmente, in senso profondo, la culla della civiltà moderna: non perché fosse intrinsecamente destinata a esserlo, ma perché le scelte dei leader culturali europei fra il XVI e il XIX secolo la resero tale. Una vittoria persiana a Maratona avrebbe decretato il fallimento dell’esperimento democratico ateniese, la drammaturgia greca non avrebbe mai visto la luce, storici come Erodoto e Tucidide non avrebbero avuto modo o ragione di scrivere le loro grandi opere, a filosofi come Platone e Aristotele sarebbe mancato il contesto per sviluppare le loro idee e a oratori come Demostene lo spunto per pronunciare le loro orazioni. Una vittoria persiana avrebbe impedito alla cultura greca classica di nascere, almeno nella forma che noi conosciamo e che ha ispirato i nostri antenati intellettuali. La vittoria persiana avrebbe portato a una cultura occidentale moderna sostanzialmente diversa, per quanto non sia possibile dire come e quanto diversa. Alcuni sostengono che la cultura occidentale moderna avrebbe potuto essere migliore: chi non apprezza le idee e l’influenza di figure come Tu-


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cidide, Platone, Aristotele e dei moderni che si sono ispirati a loro, può sostenere che sarebbe stato meglio se avessero vinto i persiani. Un esito diverso della battaglia di Maratona avrebbe fatto un’enorme differenza, certo, e non soltanto per i greci del V secolo a.C., ma anche per gli europei e gli americani di oggi. Perciò, se l’affermazione di Mill su Maratona e la storia inglese può essere esagerata, tuttavia quella battaglia può essere realmente considerata un evento decisivo nella storia dell’Occidente in generale e come tale andrebbe vista. Quell’episodio insegna che, a un livello non trascurabile, gli esseri umani possono prendere in mano il loro destino e modificarlo: se diecimila uomini non avessero opposto quella tenace resistenza nella pianura di Maratona, la storia non sarebbe stata quella che noi conosciamo. Maratona è divenuta una battaglia leggendaria, sia nei tempi antichi sia in quelli moderni, ma in modi molto diversi. La concezione che la considera un bivio nella storia greca o in quella occidentale è moderna. Per gli antichi la battaglia ebbe un significato assai diverso, per cui si dovrebbe forse parlare di molteplici leggende di Maratona: era una battaglia mitica per gli ateniesi e, dopo di loro, per i greci e il mondo antico in generale massima espressione di eccellenza ateniese. Maratona come punto di svolta nella storia dell’Occidente è un concetto nato nell’atmosfera romantica e filoellenica dell’Europa ottocentesca. In Inghilterra, quel filoellenismo fu stimolato dalle sculture del Partenone sottratte nel 1806 ed esposte a Londra – i cosiddetti «marmi di Elgin» – e dall’insurrezione greca contro il dominio turco ottomano nel 1821. Il poeta Lord Byron morì in seguito a una febbre contratta mentre aiutava i greci in questa insurrezione, rafforzando ulteriormente il lato romantico della vicenda. Fra il 1846 e il 1856 l’interesse per la Grecia antica venne stimolato ancora di più dalla pubblicazione della grande Storia della Grecia in dodici volumi di George Grote, che descriveva la battaglia di Maratona per esteso nel quarto volume, pubblicato nel 1848. Tre anni dopo un’altra opera storica, che divenne immediatamente un classico, suscitò un interesse appassionato per la battaglia in quanto tale e diffuse l’idea che fosse un momento determinante della storia occidentale: Le quindici battaglie decisive nella storia del mondo di Edward Creasy. C’è un terzo elemento nella leggenda di Maratona: la corsa di 42,195 chilometri compiuta da un messo ateniese dopo la battaglia, oggi comu-


Introduzione. La leggenda di Maratona  15

nemente associata alla parola «maratona». Quel mito divenne parte della cultura occidentale quando il barone Pierre de Coubertin istituì i giochi olimpici moderni nel 1896. Ogni elemento della leggenda merita di essere analizzato singolarmente.

La leggenda ateniese di Maratona A distanza di pochi decenni da Maratona, per gli antichi ateniesi la grande battaglia si imponeva già come l’evento più glorioso della storia. Nella biografia di Temistocle, Plutarco racconta che negli anni precedenti al 480 a.C. il grande generale ateniese non riuscì a dormire la notte al pensiero della gloria di Milziade, divorato dall’ambizione di emulare il generale che aveva condotto i greci alla vittoria. Se il racconto risponde a verità, la battaglia di Salamina, in cui la flotta ateniese guidata da Temistocle sconfisse la flotta persiana, esaudì il desiderio del generale e, in tutto il corso della storia di Atene, Maratona e Salamina vennero spesso ricordate insieme, i due momenti culminanti della prodezza ateniese. A volte Salamina veniva citata da sola o le era data la precedenza perché l’invasione persiana sotto Serse era più imponente, la sua sconfitta aveva posto fine alla minaccia persiana e naturalmente Salamina rappresentava anche la nascita della potenza navale di Atene, l’orgoglio degli ateniesi del V e IV secolo a.C. Tuttavia, nell’arte e nei monumenti della città, nelle opere teatrali, in vari discorsi pubblici e in particolare nelle «orazioni funebri» composte in onore dei caduti in battaglia, Maratona godeva di una posizione unica, considerata massima espressione di aristeia («eccellenza»), la specifica virtù omerica a cui tutti i greci aspiravano. La ragione va ricercata in un particolare: quello fu il giorno in cui gli ateniesi lottarono contro la potenza dell’Asia da soli. Inoltre, sebbene dopo la battaglia di Salamina fossero considerati maestri indiscussi nell’arte della guerra navale, gli ateniesi dovevano sempre affrontare un invidioso confronto con gli spartani sull’impiego degli opliti nelle battaglie terrestri. Tuttavia, come Tucidide fa dire orgogliosamente a Pericle nell’orazione funebre riportata nel secondo libro della sua Storia, mentre gli spartani si allenavano per tutta la vita a essere coraggiosi sul campo di battaglia, gli ateniesi non erano soggetti a tutte quelle re-


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strizioni e si godevano appieno la vita, ma erano pronti ad affrontare gli stessi pericoli proprio come gli spartani. La battaglia di Maratona era la prova che, malgrado lo stile di vita fatto di piacere, libertà e cultura, gli ateniesi potevano resistere e resistettero valorosamente come gli spartani nel giorno del pericolo. La glorificazione di Maratona iniziò con la decorazione della Stoà Pecile («portico variopinto») nella piazza centrale di Atene; l’edificio fu eretto e dipinto a metà del V secolo a.C., pochi decenni dopo la battaglia, e nel suo schema decorativo spiccava un affresco della battaglia di Maratona in cui molti dèi e l’eroe Teseo combattevano per gli ateniesi e il generale Milziade veniva raffigurato nelle prime file. Anche a Maratona stessa furono eretti monumenti: i caduti ateniesi erano stati sepolti tutti insieme in un grande tumulo funerario visibile ancora oggi nella pianura, il cosiddetto Soros, che venne trasformato in un monumento con l’aggiunta di colonne di pietra poste sopra i nomi di coloro che erano morti in battaglia e lì sepolti. Il grande poeta Simonide, famoso per i suoi epigrammi, fu incaricato di scrivere un epitaffio in versi per presentare i nomi degli eroi caduti: Gli Ateniesi, avanguardia dei Greci, a Maratona distrussero il potere dei Medi portatori d’oro.

Sappiamo anche di un monumento a Milziade eretto a Maratona e di un altro a Delfi che possiamo far risalire con sufficiente esattezza alla metà del V secolo a.C., probabilmente per l’influenza del figlio di Milziade, Cimone. Esaltare il successo del padre era il modo migliore per glorificare anche se stesso, senza destare l’invidia serpeggiante nella vita greca e ateniese, che Cimone avrebbe sicuramente suscitato celebrando in maniera troppo sfacciata i propri successi, come quello a Eione e presso il fiume Eurimedonte. Dovuto o no all’influenza personale di Cimone, questo genere di commemorazione monumentale e artistica di Maratona non è certo sorprendente o insolito: per gli stati greci era normale rimarcare così i successi. Degno di nota è il modo in cui Eschilo percepì Maratona. Il famoso autore di capolavori rappresentati ancora oggi, come I Persiani, I sette contro Tebe e Agamennone, partecipò alla battaglia e tradizione vuole che, alla fine della sua brillante carriera, con successi conquistati in tutto il mondo


Introduzione. La leggenda di Maratona  17

greco, famoso come poeta e tragediografo, in Sicilia nel 456 a.C. scrivesse per la sua lapide un epitaffio che non commemorava la sua fama poetica e neppure la sua partecipazione alla battaglia di Salamina, ma il fatto che avesse combattuto nella battaglia del 490 a.C.: Eschilo, figlio di Euforione, ateniese, morto a Gela produttrice di grano, questo monumento ricopre: la sacra terra di Maratona potrebbe raccontare il suo glorioso valore e il Medo dalle lunghe chiome che ben lo conosce.

Per Eschilo la battaglia di Maratona fu un evento unico, speciale, il culmine della sua vita, il successo di cui andava più orgoglioso. Tutto questo poteva avere scarsa importanza se gli archeologi avessero trovato l’epitaffio del poeta sulla lapide di un ateniese qualunque, ma Eschilo era un uomo che aveva raggiunto vette eccelse in campo culturale: l’aver deciso che Maratona era l’unica cosa che voleva ricordare indica che nel 456 a.C. quella battaglia era già considerata un evento determinante nella storia ateniese. È quell’atteggiamento verso Maratna che vediamo sviluppato appieno nelle commedie di Aristofane nell’ultimo ventennio del V secolo a.C. Per Aristofane, i marathonomachoi, gli uomini che avevano combattuto a Maratona, erano la massima espressione di quello che i cittadini ateniesi potevano essere, ed erano stati, nella loro forma migliore. La battaglia di Maratona e gli uomini che vi avevano partecipato compaiono ripetutamente nelle sue opere teatrali. Nella prima commedia giunta fino a noi, Gli Acarnesi, un ateniese dissidente, Diceopoli (il cui nome significa «Città giusta», una stoccata all’Atene dell’epoca di Aristofane che, implicitamente, non lo era), aveva deciso di stilare una pace separata con gli spartani visto che il popolo ateniese non ne voleva sapere. Tornando con il trattato di pace, il suo inviato viene abbordato da una banda di uomini del demo ateniese di Acarne. Li descrive a Diceopoli come vecchi «veterani di Maratona, duri come la quercia o l’acero». In parte qui l’accenno alla battaglia può essere solo un modo scherzoso di esagerare l’età di questi uomini: all’epoca della commedia, i veterani di Maratona sarebbero stati ultraottantenni; ma gli acarnesi del titolo sono descritti come i veri vecchi


18   Maratona

ateniesi, quelli del tipo migliore, e il fatto che poi concordino con Diceopoli indica che la sua politica di cercare la pace (al pari di Aristofane) è l’approccio che i veri ateniesi, quelli che avevano combattuto a Maratona, avrebbero approvato. Ne Le vespe, Aristofane si spinge oltre, sostenendo che gli ateniesi non solo meritano il loro impero per le vittorie sui persiani, ma che gli alleati di Atene dovrebbero pagare per consentire a migliaia di cittadini ateniesi di condurre la vita agiata a cui «i trofei di Maratona danno loro diritto». Qui Maratona è vista non soltanto come l’impresa più gloriosa degli ateniesi, ma come un vantaggio per tutti i greci. Il tema è sviluppato in altre commedie di Aristofane. Ne I Cavalieri, a Demo (il popolo di Atene personificato) vengono offerti vari lussi a cui avrebbe diritto perché «spada in pugno, salvò l’Attica dal giogo dei medi a Maratona», e più avanti nella commedia si fa ancora riferimento alla «gloria di Maratona». Ne Le navi mercantili, un’opera andata perduta, si suggeriva di includere fra le altre provviste da portare ad Atene «una pagnotta speciale per i vecchi a causa del trofeo di Maratona». E in Lisistrata, rappresentata nel 411 a.C., settantanove anni dopo la battaglia, i vecchi di Atene, che si oppongono al tentativo delle donne di riportare la pace, ricordano il loro antico valore e proclamano: «Possa la pianura di Maratona non vantare le mie gloriose vittorie», se non fossero riusciti a ridurre le donne all’obbedienza. La battaglia del 490 a.C. stava diventando rapidamente un cliché. In quel periodo, Maratona viene usata nello stesso modo in un frammento del sofista Crizia (poi uno degli odiati Trenta tiranni che governarono Atene per un anno dopo la sua sconfitta nella guerra del Peloponneso). In una lista di invenzioni utili fatte in diverse regioni della Grecia, ognuna menzionata semplicemente per nome, l’autore conclude: «Ma il tornio del vasaio e la gloriosa ceramica, figlia della terra e del forno, utile vasellame casalingo, furono inventati da colei che eresse il trofeo a Maratona». Ormai Maratona è letteralmente l’evento distintivo della storia ateniese, tanto che può essere usato per indicare Atene. E nell’ultimo quarto dello stesso secolo, troviamo scene della battaglia raffigurate nei fregi del piccolo ma splendido tempio di Nike sull’Acropoli. Fu nel IV secolo a.C., la grande stagione dell’oratoria patriottica ateniese, che la battaglia si affermò come cliché da usare in ogni occasione per ricordare agli ateniesi la loro antica gloria o spingerli ad abbracciare


Introduzione. La leggenda di Maratona  19

la politica promossa dall’oratore. In un discorso scritto per lui dal famoso oratore Isocrate, il giovane Alcibiade, indegno pupillo di Pericle, fa riferimento ai suoi antenati paterni e materni (rispettivamente, un Alcibiade molto precedente e il grande Clistene, inventore della democrazia, come vedremo) che insieme «istituirono quella forma di governo democratico che addestrò così bene i cittadini nell’aristeia da far sì che sgominassero da soli in battaglia i barbari che avevano attaccato la Grecia». Questa citazione riassume perfettamente la leggenda ateniese di Maratona: l’associazione della vittoria alla democrazia; un successo ottenuto da soli, prova della suprema aristeia ateniese, e vantaggioso per tutta la Grecia. Naturalmente e in larga misura, per quanto stereotipati e abusati stessero diventando i riferimenti a Maratona, la leggenda era fondata. Come dimostrerò nel capitolo 6, quella vittoria giovò a tutta la Grecia; inoltre, è vero che fu il sistema di governo democratico a infondere negli opliti della milizia cittadina ateniese la forza morale e l’(auto)disciplina necessarie per tenere testa ai persiani. Tuttavia gli ateniesi non avevano vinto a Maratona «da soli»: i plateesi avevano combattuto al loro fianco pandemei («in massa»), schierando tutto il loro contingente di circa seicento uomini. Sebbene gli ateniesi a volte preferissero ignorarlo e insistessero a dire «abbiamo combattuto da soli» per esprimere il concetto di aristeia, in realtà ricordavano bene la partecipazione dei plateesi, che formava un’altra parte del mito della battaglia. Fu Isocrate a esporre questa parte della leggenda nel suo discorso scritto a favore dei plateesi, il Plataico. Nel discorso i plateesi rammentano due volte agli ateniesi l’aiuto prestato in un momento cruciale della loro storia. Prima sottolineano che erano stati i soli, fra tutti i Greci fuori dal Peloponneso, ad affrontare il pericolo insieme a loro: un chiaro riferimento alla campagna del 479 a.C. culminata con la battaglia di Platea, in cui quasi tutti gli uomini della Grecia centrale e settentrionale avevano combattuto dalla parte dei persiani contro la Lega peloponnesiaca guidata da Sparta e gli ateniesi. Quindi i plateesi ricordano agli ateniesi che «noi soli fra tutti i greci combattemmo al vostro fianco per la libertà»: qui il riferimento a Maratona è chiaro poiché quella fu l’unica battaglia in cui gli ateniesi e i plateesi combatterono da soli contro i persiani. E gli ateniesi, grati, aiutarono spesso i plateesi contro i tebani, i loro potenti e ostili vicini. Nelle due occasioni in cui non poterono impedire ai tebani di radere al suolo


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Platea e cacciare via i suoi abitanti – nel 427 a.C. con l’aiuto degli spartani e di nuovo nel 373 a.C.– gli ateniesi offrirono asilo ai plateesi in fuga ed entrambe le volte, in grato ricordo di Maratona, concessero una forma di cittadinanza ateniese ai profughi: la prima volta, nel 404 a.C., soltanto dopo che il tempo aveva dimostrato che gli ateniesi non potevano riportare i plateesi in patria; la seconda volta subito, nel 373 a.C. La successiva generazione di oratori ateniesi continuò a sviluppare il tema nello stesso modo. Eschine e Demostene insistevano sulle imprese degli eroi di Maratona nella loro disputa: il primo nelle sue orazioni Sui misfatti dell’ambasceria e Contro Ctesifonte e il secondo nell’orazione Sulla corrotta ambasceria. Tuttavia, la tradizione delle orazioni funebri è un caso a sé. La più famosa orazione di questo tipo è quella di Pericle nel secondo libro della Storia di Tucidide; ma è talmente atipica che gli storici hanno spesso dubitato che Pericle l’avesse mai pronunciata. L’oratore parla diffusamente della natura della società e della politica ateniesi, descrivendo la città per cui i morti glorificati erano pronti al sacrificio, mentre le orazioni più tipiche parlavano della tradizione di gloria militare ateniese, mettendo in grande risalto Maratona. Per esempio, all’inizio del IV secolo a.C., l’orazione funebre di Lisia si sofferma sulla battaglia, insinua che gli ateniesi avevano combattuto i persiani volutamente da soli perché si vergognavano di avere barbari nel loro paese e volevano che gli altri greci avessero un debito di gratitudine nei loro confronti. Per tale ragione avevano marciato in pochi contro una moltitudine e, mettendo a repentaglio le loro vite, si erano guadagnati il diritto di erigere monumenti ammirati in tutta la regione e la benevolenza di tutti i greci, consapevoli di essere stati salvati al pari degli ateniesi. Questa visione di Maratona è esasperata e, sotto alcuni aspetti, storicamente inesatta, ma adatta alla natura dell’occasione, che richiedeva un patriottismo estremo piuttosto che un accurato resoconto dei fatti. Analogamente, molto più tardi nel IV secolo a.C., Demostene sottolineò nella sua orazione funebre che gli ateniesi avevano respinto da soli un esercito reclutato in un intero continente. La leggenda ateniese di Maratona metteva in risalto il fatto che Atene avesse combattuto da sola, o quasi, per salvare tutta la Grecia e non soltanto se stessa; quindi sottolineava l’enorme disparità fra l’esercito persia-


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no o barbaro e la piccola ma valorosa forza ateniese. Inoltre, viene spesso evocato il rapporto fra la disponibilità degli ateniesi a rischiare la vita e la democrazia a cui tutti partecipavano e per cui erano disposti a correre quello stesso rischio. Secondo questo mito, quella ateniese era un’aristeia democratica che veniva esercitata a beneficio di tutti i greci e naturalmente, trattandosi di «eccellenza», era superiore all’aristeia di altri perché gli ateniesi avevano combattuto senza alleati. Questa era forse la parte cruciale della leggenda di Maratona perché opponeva gli ateniesi ai loro eterni rivali, gli spartani, sempre affiancati da alleati nelle loro battaglie. Al mito di Maratona ricorrevano anche i non-ateniesi, sia che volessero elogiare sia che volessero biasimare gli ateniesi. Un esempio servirà a illustrare questi due diversi usi della leggenda. Verso la fine del IV secolo a.C., in un trattato in cui sosteneva che il piacere e la virtù non sono incompatibili, il filosofo Eraclide Pontico elencava alcuni lussi tipici degli ateniesi e concludeva: «Tali erano gli uomini che vinsero a Maratona e sgominarono da soli la potenza di tutta l’Asia». L’influenza della leggenda oratoria ateniese è evidente. D’altro canto, all’inizio del III secolo a.C., lo storico Duride di Samo scrisse della vergognosa (a suo parere) adulazione che gli ateniesi del suo tempo dimostravano nei confronti del sovrano macedone Demetrio Poliorcete, spingendosi fino a comporre e cantare in suo onore un inno che lo comparava a un dio. Duride lo citava per esteso e poi osservava: «Questo era il canto dei Marathonomachoi (“vincitori di Maratona”) […] gli uomini che trucidarono innumerevoli miriadi di barbari». Queste innumerevoli miriadi rispecchiavano la tradizione oratoria sulle enormi dimensioni dell’esercito persiano a Maratona. Duride voleva dimostrare che gli ateniesi, a loro disdoro, non erano stati capaci di seguire l’esempio dei gloriosi antenati. Maratona era diventata un bastone con cui percuotere i discendenti degenerati. Con il declino del potere e dell’influenza di Atene nel III secolo a.C., anche il bisogno imperioso di elogiare o biasimare direttamente gli ateniesi – sia da parte dei loro stessi capi sia di commentatori esterni – venne meno. Al tempo dei romani, Maratona era ancora sicuramente ricordata, ma solo come un esempio di virtù degli antichi ateniesi. Gli oratori attici del IV secolo a.C. erano diventati parte integrante delle letture di base per ogni uomo colto e quindi i vari modi in cui Maratona veniva presentata si ispi-


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ravano principalmente a loro. Perciò gli scrittori della Roma imperiale come Cornelio Nepote (nella sua biografia di Milziade), Plutarco, Luciano, Pausania e altri, riferendosi a Maratona, mettono in risalto lo sterminato numero di combattenti persiani – per esempio, quasi duecentocinquantamila secondo Nepote e addirittura seicentomila secondo Giustino – e lo straordinario valore degli ateniesi che combatterono da soli e vinsero. Dal momento che l’elogio degli antichi ateniesi era un tema caro a questi autori, l’interesse tendeva a spostarsi su dettagli pittoreschi, veri o immaginari. Fu nelle opere di Plutarco e Luciano che per la prima volta, circa seicento anni dopo l’evento, affiorò un nuovo elemento: il mito del messaggero di Maratona. La storia è forse la parte più nota della leggenda nei tempi moderni: l’uomo solitario, chiamato abitualmente Filippide, che corse senza mai fermarsi dal campo di battaglia fino ad Atene per annunciare la vittoria e si accasciò esanime dopo aver mormorato le parole «abbiamo vinto». Nel suo saggio Sulla gloria di Atene Plutarco attribuisce questa storia a Eraclide Pontico, per cui è possibile (se l’attribuzione è esatta) che la storia sia nata dalla leggenda popolare ateniese del IV secolo a.C. A ogni modo, il messaggero Filippide (o Fidippide) fu una persona realmente esistita, e la sua impresa andò oltre la semplice corsa di quarantadue chilometri, come vedremo.

La leggenda moderna di Maratona Con il declino e la fine dell’impero romano di Occidente, diminuì l’interesse per gli antichi ateniesi e Maratona. Ne sopravvisse il ricordo nell’impero bizantino e la battaglia fu citata di tanto in tanto da uomini di cultura con gli stessi toni degli oratori greci classici, come un vecchio cliché. Tuttavia non fu completamente dimenticata neanche in Occidente e, con il riaccendersi dell’interesse per gli antichi greci, riprese vigore anche il ricordo di Maratona, sebbene non venisse considerata degna di particolare nota se non come la solita prova di coraggio degli antichi ateniesi. In Europa fu trattata sostanzialmente nello stesso modo dai primi storici moderni della Grecia classica, come August Boeckh in Germania e Connop Thirlwall in Gran Bretagna, e dal massimo storico dei greci dell’era moderna, George Grote.


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Grote dedicò quasi trenta pagine del IV volume della sua Storia alla battaglia di Maratona, fornendone un resoconto dettagliato in base alla ricostruzione che le conoscenze del suo tempo consentivano. Tenne conto delle osservazioni dei viaggiatori del Settecento e del primo Ottocento, come il colonnello William Leake, che aveva visitato il sito di Maratona e fornito una valutazione ben ponderata dell’importanza della battaglia per gli ateniesi e per tutta la storia della resistenza greca alla dominazione persiana. Tuttavia Grote non va oltre: vede ancora la battaglia, sostanzialmente, sotto la stessa luce degli antichi ateniesi e dei greci stessi, ovvero come una grande impresa degli ateniesi, una fase importante della resistenza greca contro i persiani e niente più. Appena tre anni dopo la pubblicazione del IV volume di Grote, una nuova opera storica molto diversa avrebbe dato origine a una fondamentale rivalutazione della battaglia e della sua importanza e affermato il moderno interesse per Maratona e per il suo mito come una «battaglia decisiva nella storia occidentale»: Le quindici battaglie decisive nella storia del mondo: da Maratona a Waterloo di Edward Creasy, pubblicato nel 1851. Come indica il titolo, Maratona apre il libro e le prime righe danno già il senso della grandiosità con cui l’autore vedeva quell’evento: Duemilatrecentoquarant’anni fa, un consiglio di guerra di ufficiali ateniesi si trovava riunito sul pendio di una delle montagne che dominano la piana di Maratona, sulla costa orientale dell’Attica. Il soggetto immediato della loro discussione era decidere se dovessero dare battaglia al nemico che se ne stava accampato sulla spiaggia sottostante; ma dall’esito delle loro deliberazioni dipendeva non solo il destino dei due eserciti, ma il progresso a venire della civiltà umana.

Come hanno osservato molti critici, Creasy aveva una visione eurocentrica della storia. Le quindici battaglie da lui esaminate sono tutte europee: grandi imprese di guerra in Asia come le vittorie di Gengis Khan, la conquista della Cina da parte di Kublai Khan, le vittorie di Tamerlano, o la battaglia di Sekigahara vinta da Ieyasu che fondò poi lo shogunato Tokugawa in Giappone, sono fuori dal suo campo di analisi e probabilmente esulano dalle sue conoscenze. In effetti, alcuni degli scontri decisivi (cinque su quindici: Maratona, Arbela, Metauro, Chalons e Tours) sembra-


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no scelti al fine di mostrare come i popoli europei, fortunatamente per il mondo in generale, abbiano respinto i tentativi dei «barbari» eserciti asiatici di invadere o conquistare l’Europa. Creasy sottintende che se vi fossero riusciti, in Europa avrebbero prevalso i decadenti usi asiatici, ma grazie a queste sacre vittorie la luce della cultura europea aveva continuato a splendere fino a diventare un faro per il mondo intero. Un atteggiamento, quello di Creasy, che oggi non susciterebbe molta simpatia. Per quanto possiamo trovarci in disaccordo con lui circa i motivi che definiscono una battaglia decisiva o importante, tuttavia non dobbiamo necessariamente negare l’importanza di quella battaglia. Non dobbiamo vedere la civiltà occidentale come un grande beneficio per il genere umano, credere che un particolare evento possa aver contribuito in larga misura a rendere la civiltà occidentale quella che è oggi. Né la consapevolezza del lato oscuro della storia occidentale – per esempio, la brutalità e lo sfruttamento che facevano parte della politica imperialista – deve farci ignorare l’innegabile lato buono di quella civiltà. In ogni caso, nella seconda metà del XIX secolo, l’opera di Creasy godeva di un’enorme popolarità e influenza: era un’epoca in cui l’idea della «battaglia decisiva» piaceva molto. Durante l’era della cosiddetta «guerra di gabinetto», fra le «guerre di religione» (dalla metà del Cinquecento alla metà del Seicento) e la Rivoluzione francese, i conflitti fra le nazioni europee venivano risolti spesso con le guerre e le guerre venivano decise abitualmente dalle battaglie. Come disse un governante dell’epoca: «Ho perduto una battaglia, devo pagare con una provincia». Il concetto che le grandi battaglie potessero decidere grandi questioni fu rafforzato dalle guerre napoleoniche, quando una serie di battaglie epiche assicurò alla Francia di Napoleone il controllo dell’Europa e altre battaglie ugualmente epiche, in particolare Lipsia e Waterloo, annullarono quel controllo e ristabilirono il vecchio ordine. Con il passare del tempo il forte choc delle campagne napoleoniche e il fascino romantico che le circondò spinsero gli intellettuali a studiare l’arte della guerra e il risultato fu quella che è ancora considerata dalla maggioranza dei critici la più grande analisi filosofica di quell’arte, Vom Kriege («Della guerra») di Clausewitz. Sebbene difficile da paragonare a quella di Creasy, l’opera di Clausewitz fu il risultato della stessa atmosfera d’interesse per la guerra e la sua influenza sulle società e le civiltà.


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La domanda che dobbiamo rivolgerci è perché Creasy avesse iniziato con Maratona. Non si trattava di una scelta obbligata. Considerati il suo eurocentrismo e il filoellenismo romantico dell’epoca, forse era prevedibile che scegliesse una battaglia dell’antica Grecia come punto di partenza. Ma perché Maratona? Dal momento che la minaccia persiana alla Grecia fu definitivamente respinta soltanto con le battaglie di Salamina e Platea, nel 480 e 479 a.C., una di quelle poteva apparire un punto di partenza più naturale. E perché iniziare proprio con una battaglia combattuta dai greci delle città-stato? Perché non iniziare con una battaglia di Alessandro Magno? Possiamo sospettare che qui ci sia l’influenza di Grote, che Creasy aveva sicuramente letto (lo cita spesso nelle sue note). Da buon liberale inglese, per Grote la democrazia ateniese costituiva un modello politico di eccezionale importanza e quindi era vitale che gli ateniesi riuscissero a mantenersi liberi dalla dominazione persiana. Fu questo a indurre John Stuart Mill, che frequentava gli stessi circoli liberali di Grote, a ritenere che Maratona fosse più importante per la storia inglese della battaglia di Hastings. Tuttavia, Salamina poteva sembrare la scelta più ovvia per sottolineare come Atene fosse riuscita a conservare la libertà e la democrazia, anche perché si trattava di una battaglia navale e quindi ci si poteva aspettare che attirasse uno storico inglese, considerata la lunga e gloriosa storia navale della Gran Bretagna. Forse la cosa migliore è lasciare nuovamente che Creasy spieghi la scelta con parole sue. Conclude il suo resoconto di Maratona con le seguenti osservazioni: Ma non era con una disfatta, per quanto solenne, che poteva spezzarsi la superbia persiana e potevano disperdersi i suoi sogni di impero universale. Dieci anni più tardi la Persia rinnovò i suoi tentativi contro l’Europa con mezzi di gran lunga più grandiosi, ma fu dalla Grecia respinta con più grandi e ripetute perdite. Maggiori forze e stragi di quelle di Maratona si videro nei conflitti fra greci e persiani all’Artemisio, a Salamina, a Platea e sull’Eurimedonte. Ma per quanto grandi e importanti siano esse state, non reggono al confronto di Maratona per importanza. Esse non furono origine di nuovi impulsi. Non cambiarono il corso del fato. Non fecero che confermare una forza, un impulso che già esisteva, creato da Maratona. Il giorno di Maratona è il momento critico nella storia delle due nazioni. Esso infranse per sempre l’incanto dell’invincibilità dei persiani, che ave-


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va paralizzato le menti umane. Generò fra i greci quello spirito che mise in fuga Serse e più tardi spinse Senofonte, Agesilao, Alessandro a una terribile rappresaglia nelle loro campagne asiatiche. Esso assicurò al genere umano i tesori intellettuali di Atene, lo sviluppo delle libere istituzioni, la luce della libertà del mondo occidentale e la graduale ascesa, per molte età, dei grandi princìpi della civiltà europea.

Qui Creasy pone l’attenzione su molti punti essenziali: fu Maratona a «infrangere l’incanto» dell’invincibilità persiana e a dimostrare per prima ai greci che potevano vincere; fu Maratona che «assicurò al genere umano i tesori intellettuali di Atene» e «la luce della libertà del mondo occidentale». Ancora una volta, mi limiterò a ripetere che non dobbiamo seguirlo nella sua valutazione dell’importanza dell’ascendente della civiltà europea per il mondo (sebbene alcuni possano ancora farlo), per riconoscere la validità della sua tesi sulla salvezza di Atene e quindi sulle successive conquiste degli ateniesi. Nel capitolo 6 dimostrerò che queste conquiste furono essenziali per il modo in cui la nostra odierna civiltà occidentale pensa, organizza la sua vita politica e si intrattiene, a prescindere da qualsiasi grandiosa concezione del contributo che l’Occidente abbia recato «al mondo». In altre parole, mettendo da parte il suo eurocentrismo e i suoi pregiudizi vittoriani, Creasy aveva ragione: la battaglia di Maratona fu un punto di svolta e i suoi lettori lo riconobbero subito e negli anni a venire. Vale la pena di soffermarsi un momento sul termine «luce della libertà» usato da Creasy perché aiuta a situarlo in quell’ambiente liberale inglese che individuava le proprie radici ideologiche nell’Atene democratica, lo stesso in cui si muovevano Grote e Mill. Questo ambiente contribuì in modo significativo a democratizzare la Gran Bretagna attraverso le grandi riforme degli anni 1830, quelle successive del liberalismo gladstoniano degli anni 1880 e gli ultimi grandi trionfi della riforma liberale nei primi anni del XX secolo. La leggenda di Maratona, come l’aveva esposta Creasy, contribuì a creare l’ambiente intellettuale favorevole a quella democratizzazione, offrendo una visione positiva della democrazia ateniese e della sua eccellenza. Il tardo Ottocento, testimone delle grandi battaglie vinte dai prussiani – Sadowa, Metz, Sedan – che posero fine all’influenza asburgica in Germania, spezzarono il potere della Francia del Secondo Impero e unifica-


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rono gli stati tedeschi nel nuovo Reich, era un’epoca in cui il concetto di battaglia decisiva andava ancora per la maggiore. L’opera di Creasy era ancora popolare, sebbene infuriasse un dibattito storico sulla sua scelta delle battaglie: nel corso degli anni, molti scrittori ne hanno riveduto o aggiornato l’elenco. Tuttavia, nel complesso, Maratona ha mantenuto la sua posizione di battaglia cruciale che avrebbe dato l’avvio alla storia occidentale. Tuttavia, nella seconda metà del XX secolo, il concetto di battaglia decisiva iniziò a perdere popolarità. Avviarono quel processo i tragici eventi della Prima guerra mondiale, in cui battaglie di una dimensione e una durata mai viste prima nella storia umana, con elenchi di caduti che facevano scomparire tutte le guerre precedenti, non portavano ad alcun risultato visibile eccetto lo spostamento delle «linee del fronte» di qualche inutile chilometro in un senso o nell’altro. La Seconda guerra mondiale parve riportare in auge la battaglia decisiva con le brillanti vittorie nelle prime fasi della blitzkrieg tedesca e i giganteschi showdowns di Stalingrado e del D-Day che decisero l’esito della guerra. Da allora, abbiamo visto guerre come la Corea, il Vietnam e più recentemente l’Iraq e l’Afghanistan, in cui rare vittorie sembrano impantanarsi in guerriglie interminabili, operazioni partigiane e/o insurrezioni che rendono la vittoria in battaglia insignificante, la guerra irrazionale e una conclusione duratura irraggiungibile. Nell’atmosfera intellettuale generata da queste esperienze di guerra meno vivificanti, il concetto di battaglia decisiva, l’evento epocale che indirizza la storia in un senso anziché in un altro, è a dir poco fuori moda. Tuttavia, non dobbiamo lasciare che la moda intellettuale indirizzi la nostra analisi degli eventi storici. L’attuale esperienza di battaglia inconcludente che non porta ad alcun risultato utile è soltanto una fase della storia, frutto di una particolare configurazione delle società e della distribuzione dei mezzi di distruzione. L’esperienza di guerra e battaglia della nostra epoca non può sminuire la realtà e la validità delle esperienze di altre epoche, quando le battaglie, in condizioni sociali, politiche e militari diverse, erano realmente decisive. Nondimeno, va detto che l’importanza di Maratona e delle battaglie in generale è diminuita moltissimo negli ultimi cinquant’anni, almeno nella valutazione degli storici accademici. Gli storici popolari continuano a scrivere libri sulle guerre e le battaglie decisive al-


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la vecchia maniera e a venderli a un pubblico di appassionati. E grazie alla proliferazione della televisione via cavo, ora quel genere di storia militare può arrivare a un uditorio più vasto.

La leggenda della corsa Nel XX secolo l’interesse per Maratona si è spostato su un altro aspetto della leggenda che le ha conferito nuovo vigore: la corsa. Come abbiamo visto, le venne dato molto risalto ai tempi della Roma imperiale da autori come Plutarco e Luciano, tuttavia la leggenda moderna risale solo al 1896: l’anno della prima olimpiade moderna. Il movimento olimpico affonda le radici in quello stesso filoellenismo romantico ottocentesco di cui ho già parlato, insieme al crescente interesse per gli sport, sia come attività sia come evento spettacolare, verso la fine dell’Ottocento. In Europa e America proliferarono i circoli del ceto medio e del proletariato urbano, dediti alla pratica di uno sport – football, baseball, rugby, tennis e così via – e talvolta a più di uno. La cosiddetta «atletica», cioè la corsa, il salto e il lancio tanto amati dagli antichi greci, rappresentava una parte importante di questo movimento. Gli intellettuali pervasi di filoellenismo iniziarono a esaltare la passione dei greci per l’atletica e a raccontare la storia delle antiche competizioni. Nacque così un movimento destinato a ricreare quelle antiche feste internazionali greche, guidato dall’aristocratico barone francese Pierre de Coubertin. Gli intellettuali rimasero particolarmente colpiti dalla «tregua olimpica», che esentava i partecipanti ai giochi dalle normali attività belliche di qualsiasi guerra in corso in Grecia, soprattutto perché mal interpretarono quella tregua considerandola una cessazione totale delle ostilità per tutta la durata dell’olimpiade. Sperarono che un movimento olimpico moderno potesse rimpiazzare l’insana competizione internazionale, fatta di violenza e di guerra, con una sana rivalità atletica, incoraggiando l’amicizia invece dell’ostilità. Nel 1896 il movimento riuscì a raccogliere sufficienti appoggi internazionali per organizzare un’«olimpiade» per la prima volta dai tempi antichi. Un solo luogo poteva ospitare questi primi giochi: la Grecia. Ma si scoprì che era impossibile tenerli proprio a Olimpia – un sito archeolo-


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gico senza alcuna struttura per un simile evento – e fu scelta Atene. Tredici nazioni moderne (o quattordici se si conta l’Ungheria separatamente dall’Austria, con cui era unita all’epoca) inviarono delegazioni di atleti, che gareggiarono in nove sport diversi. I giochi furono giudicati un grande successo: lo stadio Panatenaico di Atene traboccava di spettatori e la partecipazione internazionale era superiore a quella di qualsiasi evento precedente. De Coubertin e i suoi colleghi volevano chiudere le gare di atletica con un evento spettacolare, capace di attrarre l’attenzione del mondo e far conoscere i giochi olimpici. Fu Michel Bréal, un collega di de Coubertin, a suggerire di organizzare una nuova versione della leggendaria corsa di Filippide da Maratona ad Atene: la scena era perfetta dato che la corsa poteva iniziare proprio a Maratona e finire nello stadio olimpico di Atene. L’idea venne accolta con entusiasmo e si rivelò un grande successo, specialmente per ragioni sentimentali, patriottiche. I greci, che ospitavano i giochi e speravano di vincere delle medaglie in varie gare, erano rimasti delusi. La corsa sarebbe stata la loro ultima occasione di vincere una medaglia d’oro nella competizione atletica inventata dai loro antenati. E fu proprio uno sconosciuto portatore d’acqua greco, Spiridon Louis, a vincere la corsa in poco meno di tre ore contro tutti i pronostici, diventando immediatamente un eroe nazionale. Secondo una delle storie popolari su quella corsa del 1896, di cui si è scritto molto, il re di Grecia offrì a Louis di scegliere qualsiasi premio e lui chiese soltanto un carretto per facilitare il suo lavoro di portatore d’acqua. Era un corridore dilettante e non gareggiò più, ma la sua impresa ha ispirato artisti e atleti per oltre un secolo. Da quel momento in poi la maratona è diventata una componente fissa dei giochi olimpici e un evento sportivo popolare di per sé. Sebbene la distanza esatta della corsa sia stata stabilita solo una ventina d’anni dopo, l’evento acquistò sempre più importanza fino a entrare nella cultura popolare e persino nel linguaggio. Per esempio, parliamo di una «maratona» in riferimento a un’impresa che richiede un’enorme energia e capacità di resistenza. Varie competizioni internazionali comprendono anche le maratone e i maratoneti possono guadagnare grosse somme di denaro. Il concetto di maratona si è ampliato nell’atletica moderna: abbiamo maratone «ironman» in cui le prestazioni at-


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letiche richieste si avvicinano molto di più alla vera impresa eroica di Filippide: una corsa di 42,195 chilometri da Atene a Sparta e la stessa distanza in senso inverso nel giro di pochi giorni. In verità tutte le riproduzioni moderne dell’antica maratona per atleti professionisti nelle competizioni sportive, pur derivando da un’antica leggenda su un atleta ateniese, hanno poco a che vedere con la vera «corsa» storica: infatti, come vedremo nel capitolo 5, quella fu una marcia a passo veloce compiuta dall’intero esercito ateniese da Maratona ad Atene per salvare la città dopo la battaglia. Vi sono eventi moderni che ci fanno comprendere meglio il senso di quello straordinario pomeriggio di agosto del 490 a.C., ma non sono le maratone per atleti professionisti, che si sono qualificati alle olimpiadi e in altri raduni atletici internazionali: sono piuttosto le moderne maratone cittadine – New York, Chicago, Londra, Boston, Tokyo – con le loro migliaia e migliaia di corridori «dilettanti» entusiasti, che lo fanno per puro amore della corsa e non come professione. Questo non perché gli antichi atleti fossero «dilettanti» e quindi più simili a questi appassionati che agli atleti professionisti moderni: al contrario, gli antichi atleti erano professionisti e il «dilettantismo» delle prime olimpiadi moderne era un ideale vittoriano che non aveva niente a che fare con l’antica Grecia. La corsa in massa – che spesso è più una marcia a passo veloce – delle migliaia di entusiasti partecipanti dopo che i professionisti sono partiti per primi e si sono distanziati, ricrea realmente qualcosa di simile a quella marcia a passo veloce di migliaia di guerrieri ateniesi da Maratona ad Atene dopo la battaglia. Questo aspetto della maratona moderna è descritto in un film del 2007, Spirit of the Marathon, che segue un gruppo di corridori entusiasti intorno al mondo mentre si allenano e raccontano le loro storie e alla fine partecipano alla maratona di Chicago. Stranamente, questo docufilm rappresenta il rapporto più impegnativo dell’industria cinematografica con la leggenda di Maratona. Alla luce dell’interesse di vecchia data per il mondo antico mostrato da Hollywood, che ha prodotto film come Ben Hur, Quo Vadis, Demetrio e i gladiatori, il classico di Stanley Kubrick Spartacus o in tempi recenti il bellissimo Gladiatore di Ridley Scott, Troy con le sue immagini stupefacenti e 300 sulle Termopili, divertente e fumettistico, sorprende


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che non sia stata fatta alcuna importante riduzione cinematografica della battaglia di Maratona. L’unico film che tratta della battaglia come argomento principale, a quanto ho potuto appurare, è un film di serie B del 1959 intitolato La battaglia di Maratona. Diretto da Jacques Tourneur con un cast quasi tutto europeo, il film aveva come interprete principale l’attore e culturista americano Steve Reeves, famoso soprattutto per il suo ruolo di protagonista in una serie di peplum su Eracle. Particolare divertente, il film è una perfetta fusione delle leggende moderne, rese popolari rispettivamente da Creasy e de Coubertin: la battaglia decisiva e la maratona. L’eroe del film altri non è che Filippide, reinventato come un atleta completo che diventa famoso e popolare ad Atene conquistando una vittoria olimpica in una specie di pentathlon ibrido che comprendeva il lancio del giavellotto, il nuoto (!), una specie di lancio del peso con una pietra grezza (forse basato sulla gara vinta da Ulisse in Feacia nell’Odissea), la lotta e infine la corsa che aveva reso famoso il vero Filippide. Grazie alla sua fama, Filippide viene nominato comandante della «guardia sacra», un reparto militare scelto (e immaginario). Questo gli dà il diritto di partecipare ai dibattiti militari e politici sulla prossima invasione delle forze del malvagio re Dario di Persia. Lui si schiera con Milziade sostenendo che Atene deve combattere e si offre volontario per andare a chiedere aiuto a Sparta. Alla fine, dopo che i greci hanno sconfitto l’esercito persiano, Filippide deve guidare la guardia sacra fino ad Atene per impedire che la città venga consegnata proditoriamente ai persiani mentre l’esercito è lontano: qui entra in gioco la maratona. Abbastanza divertente come quadro storico, non può certo considerarsi un buon film, tuttavia sembra il compendio delle trasposizioni popolari della battaglia di Maratona in stile cinematografico. Apparentemente, la battaglia ha tutti gli elementi che dovrebbero piacere a Hollywood: una storia del tipo Davide contro Golia (la minuscola Atene contro il gigantesco Impero persiano); una schiera di personaggi interessanti: re Dario, Milziade, l’arconte Callimaco, i giovani e promettenti generali Temistocle e Aristide, fra gli altri; azione e intrighi in quantità; la straordinaria corsa di Filippide; la grande scena della battaglia stessa; il romantico slancio finale dell’esercito ateniese vittorioso. Forse in questa nuova era di epici film di guerra, resi ancora più spettacolari


32   Maratona

dall’elaborazione digitale delle immagini al computer, possiamo sperare in un ritorno della leggenda di Maratona sul grande schermo. Comunque sia, il ricordo degli ateniesi a Maratona è ancora vivo nell’immaginazione popolare duemilacinquecento anni dopo l’evento. La loro lotta per la libertà, la loro difesa di una forma di autogoverno democratico autenticamente popolare, l’aver reso possibile la cultura greca classica che ammiriamo e imitiamo ancora oggi, o semplicemente quella corsa sulla distanza simbolica di 42,195 chilometri non sono stati dimenticati. Ed è improbabile che questo interesse svanisca nel prossimo futuro. La leggenda di Maratona vive ancora: vediamo come, perché e da chi fu combattuta questa battaglia leggendaria.


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