Sito & eStore – www.ilsaggiatore.com Twitter – twitter.com/ilSaggiatoreED Facebook – www.facebook.com/ilSaggiatore © il Saggiatore S.r.l., Milano 2013
Sommario
Nota introduttiva
15
Serie i. Inventare la scrittura, liberarsi dalle parole
21
0
Le sfere della musica
24
Pitagora, Keplero, Stockhausen
100 Epitaffio
30
Seikilos
1000
Victimae paschali laudes
Vipone di Borgogna
1198
Sederunt principes
34 40
Pérotin
1230
Carmina Burana
Anonimi profani
1363
Messe de Nostre Dame
Guillaume de Machaut
1450
Missa L’Homme armé
Guillaume Dufay
1461 Requiem
57 62 66
Heinrich Isaac
1562
Missa Papae Marcelli
Giovanni Pierluigi da Palestrina
1594 Ecco mormorar l’onde
51
Johannes Ockeghem
1500 Innsbruck, ich muss dich lassen
46
72 77
Claudio Monteverdi
1597
Sonata pian’ e forte
Giovanni Gabrieli
82
6 Offerta musicale
Serie ii. Il teatro d’opera e lo strumento da concerto
87
1607 L’Orfeo
90
Claudio Monteverdi
1610
Vespero della Beata Vergine
Claudio Monteverdi
1624 Il combattimento di Tancredi e Clorinda
Fiori musicali
Girolamo Frescobaldi
1648 Jephte
Johann Jacob Froberger
1664
Oratorio di Natale
Heinrich Schütz
1670 Il borghese gentiluomo
118 124 128 132
Jean Baptiste Lully
1689
Didone ed Enea
Henry Purcell
1700
La follia
Arcangelo Corelli
1708 Passacaglia
113
Francesco Cavalli
1654 Lamento
107
Giacomo Carissimi
1649 Il Giasone
101
Claudio Monteverdi
1635
96
137 142 148
Johann Sebastian Bach
Serie iii. Il temperamento e l’armonia
153
1711
Rinaldo
156
Georg Friedrich Händel
1712
L’estro armonico
Antonio Vivaldi
1717
Musica sull’acqua
Georg Friedrich Händel
161 167
Sommario 7
1720
Ciaccona 172
Johann Sebastian Bach
1720
Concerto brandeburghese n. 5
Johann Sebastian Bach
1722
Il clavicembalo ben temperato, vol. 1
Johann Sebastian Bach
1727
La Passione secondo san Matteo
Johann Sebastian Bach
178 183 188
1734
L’Olimpiade 194
Antonio Vivaldi
1736
Stabat Mater
Giovanni Battista Pergolesi
1739
Essercizi per gravicembalo
Domenico Scarlatti
1741
Variazioni Goldberg
Johann Sebastian Bach
1742
Il Messia
George Frideric Handel
199 204 210 214
Serie iv. L’età classica
221
1744
6 Sonate per il duca di Württemberg
224
Carl Philipp Emanuel Bach
1749 Zoroastre
229
Jean-Philippe Rameau
1749
L’arte della fuga
Johann Sebastian Bach
1762
Orfeo ed Euridice
Christoph Willibald Gluck
1762
Sinfonie Le Matin, Le Midi, Le Soir
Franz Joseph Haydn
1781
Quartetti op. 33
Franz Joseph Haydn
1783
Sonata per pianoforte K 331 Alla turca
Wolfgang Amadeus Mozart
234 239 245 251 256
8  Offerta musicale
1785
Quartetto K 465 Delle dissonanze
Wolfgang Amadeus Mozart
1786
Concerto per pianoforte K 466
Wolfgang Amadeus Mozart
1787
Don Giovanni
Wolfgang Amadeus Mozart
1788
Sinfonia K 551 Jupiter
Wolfgang Amadeus Mozart
1791 Il flauto magico
261 266 271 277 282
Wolfgang Amadeus Mozart
Serie v. Dialettica musicale
287
1795
Sinfonia n. 104
290
Franz Joseph Haydn
1797
Quartetto op. 76 n. 3 Imperatore
Franz Joseph Haydn
1798
La Creazione
Franz Joseph Haydn
1802
Sonata per pianoforte op. 27 n. 2 Al chiaro di luna
Ludwig van Beethoven
1803
Le creature di Prometeo
Ludwig van Beethoven
1803
Sonata per violino e pianoforte op. 47 A Kreutzer
Ludwig van Beethoven
1805
Sinfonia n. 3 op. 55 Eroica
Ludwig van Beethoven
1805
Sonata per pianoforte op. 57 Appassionata
Ludwig van Beethoven
1806
Quartetto op. 59 n. 1
Ludwig van Beethoven
1808
Sinfonia n. 5 op. 67
Ludwig van Beethoven
1808
Concerto per pianoforte n. 4 op. 58
Ludwig van Beethoven
295 302 307 312 317 323 328 333 340 346
Sommario 9
1814
Fidelio
Ludwig van Beethoven
351
Serie vi. Prima età romantica
357
1816 Il barbiere di Siviglia
360
Gioachino Rossini
1819
Sonata per pianoforte op. 106 Hammerklavier
Ludwig van Beethoven
1820
24 Capricci per violino solo
Niccolò Paganini
1821 Il franco cacciatore
365 372 378
Carl Maria von Weber
1822
Fantasia per pianoforte D 760 Wanderer
Franz Schubert
1823
Missa solemnis op. 123
Ludwig van Beethoven
1823
Variazioni su un tema di Diabelli op. 120
Ludwig van Beethoven
1824
Sinfonia n. 9 op. 125
Ludwig van Beethoven
1824
Quartetto D 820 La morte e la fanciulla
Franz Schubert
1825
Quartetto op. 130
Ludwig van Beethoven
1826
Sinfonia D 944 n. 9 La grande
Franz Schubert
1827
Quintetto per violoncello e archi D 956
Franz Schubert
385 390 396 402 408 414 421 426
Serie vii. Seconda età romantica
433
1827
Die Winterreise
436
Franz Schubert
1829
Guglielmo Tell
Gioachino Rossini
442
10 Offerta musicale
1830
Symphonie fantastique
Hector Berlioz
1831
Norma
Vincenzo Bellini
1834
Carnaval op. 9
Robert Schumann
1839
24 Préludes op. 28
Fryderyk Chopin
1839
Années de pèlerinage
Franz Liszt
1841
Sinfonia n. 3 Scozzese
Felix Mendelssohn
1846 Barcarola
448 453 458 464 470 476 482
Fryderyk Chopin
1850
Lohengrin
Richard Wagner
1853
La traviata
Giuseppe Verdi
1853
Sonata in si minore per pianoforte
Franz Liszt
488 493 499
Serie viii. Nazionalismi
505
1858
Concerto n. 1 per pianoforte op. 15
508
Johannes Brahms
1864
Quintetto per pianoforte e archi op. 34
Johannes Brahms
1865
Tristano e Isotta
Richard Wagner
1868 Requiem tedesco
515 521 527
Johannes Brahms
1874
Messa da Requiem
Giuseppe Verdi
1874
Sinfonia n. 4 Romantica
Anton Bruckner
532 538
Sommario 11
1874
La Moldava
543
Bedřich Smetana
1874 Boris Godunov
Modest Musorgskij
1874
Quadri di un’esposizione
Modest Musorgskij
1875
Carmen
Georges Bizet
1876
L’anello del nibelungo
Richard Wagner
1877 Il lago dei cigni
549 555 561 568 575
Pëtr Il’ič Čajkovskij
Serie ix. Le svolte di fine Ottocento
581
1878
Concerto per violino op. 77
584
Johannes Brahms
1885
Sinfonia n. 4 op. 98
Johannes Brahms
1887 Otello
596
Giuseppe Verdi
1889
Don Juan
Richard Strauss
1890
3 Corali per organo
César Franck
1893
Sinfonia n. 6 op. 74 Patetica
Pëtr Il’ič Čajkovskij
1893
Sinfonia n. 9 op. 95 Dal Nuovo mondo
Antonín Dvořák
1896
La bohème
Giacomo Puccini
1901
Jeux d’eau
Maurice Ravel
1902 Pelléas et Mélisande
590
Claude Debussy
601 606 612 618 624 631 637
12 Offerta musicale
1902
Sinfonia n. 5
Gustav Mahler
1903 Estampes per pianoforte
642 649
Claude Debussy
Serie x. Impressioni, espressioni, ritorni
655
1905
Salome
658
Richard Strauss
1905
La Mer
Claude Debussy
1908
Das Lied von der Erde
Gustav Mahler
1908
Quartetto n. 2 op. 10
Arnold Schönberg
1911
Allegro barbaro
Béla Bartók
1911 Il cavaliere della rosa
675 680 686 691
Arnold Schönberg
1913
La sagra della primavera
Igor’ Stravinskij
1914
Three Places in New England
Charles Ives
1920 Pulcinella
669
Richard Strauss
1912 Pierrot lunaire
663
696 703 709
Igor’ Stravinskij
1921
Concerto n. 3 per pianoforte op. 26
Sergej Prokof’ev
1923
5 Klavierstücke op. 23
Arnold Schönberg
715 721
Serie xi. Svolte a metà Novecento
727
1925
Wozzeck
730
Alban Berg
Sommario 13
1928
Quartetto n. 4
Béla Bartók
1928 Boléro
Maurice Ravel
1930
Sinfonia di salmi
Igor’ Stravinskij
1935
Concerto per violino
Alban Berg
1935 Porgy and Bess
George Gershwin
1936
Variazioni op. 27
Anton Webern
1938
Aleksandr Nevskij
Sergej Prokof’ev
1942
Sinfonia n. 7 op. 60 Leningrado
Dmitrij Šostakovič
1945 Peter Grimes
737 743 747 752 758 764 770 777 785
Benjamin Britten
1951
Music of Changes
John Cage
1954
Le Marteau sans maître
Pierre Boulez
790 796
Serie xii. Ritorno alle sfere celesti
801
1955
Variazioni Goldberg
804
Glenn Gould
1956
Gesang der Jünglinge
Karlheinz Stockhausen
1957
Agon
Igor’ Stravinskij
1960
Quartetto n. 8 op. 110
Dmitrij Šostakovič
1962
War Requiem
Benjamin Britten
810 816 822 828
14 Offerta musicale
1968
Sinfonia
Luciano Berio
1976 Einstein on the Beach
Le Grand Macabre
György Ligeti
1985 Prometeo
845 850
Luigi Nono
1992
Éclairs sur l’Au-delà...
Olivier Messiaen
2002 Sequenza xiv per violoncello solo
839
Philip Glass
1978
834
855 861
Luciano Berio
2007
Tierkreis
Karlheinz Stockhausen
866
Zibaldone di termini musicali critici e ricorrenti
871
Indice delle opere e dei nomi
885
Nota introduttiva
Nel 1747, dopo essere stato protagonista di uno storico incontro nella reggia di Potsdam, Johann Sebastian Bach invia al re Federico ii di Prussia una sua raccolta di musiche passate alla storia come Offerta musicale. Non è solo un omaggio allo squisito ospite e datore di lavoro del figlio Carl Philipp Emanuel, clavicembalista di corte. Vuole essere anche la testimonianza della propria bravura nello scrivere musica di ogni genere. Due fughe e nove canoni alla maniera antica sono esempi di scienza della costruzione. La Sonata per flauto, violino e clavicembalo si abbandona al piacere corrente dello stile galante. Le musiche sono molto diverse fra loro, ma stanno benissimo insieme, perché hanno in comune la melodia che il re aveva proposto a Bach per improvvisare all’istante musiche piacevoli e complesse. Quel tema (modesto, anzi banale) permette a Bach di legare il passato e il presente. Col senno di poi, sappiamo che Bach prevede anche il futuro. Perché la sua Offerta musicale è tuttora viva e in repertorio. E contribuisce a suggerire nuova musica. Non dimentichiamo che nel 1935, proprio orchestrando la fuga più complessa, il Ricercare a sei voci, Anton Webern crea timbri che danno colore al bianco e nero della partitura originale, oltre che tutta la musica del Novecento. Però l’accostamento dei singoli brani è curioso, per non dire bizzarro. Dimostra ancora una volta la forza della musica di sottrarsi al tempo che passa e agli uomini che lo vivono. Forse perché spesso nasce per caso, con l’autore obbligato a inventare suoni sulla fantasia di un attimo, spremendo la sapienza del suo artigianato. Inoltre, e a differenza delle altre arti, la musica non è fissata per sempre allo sguardo o al tatto, ma è lasciata libera di vibrare nell’aria, indirizzata all’organo dell’udito, il più sensibile e selettivo. Pare ci sia un’evoluzione biologica, darwiniana che permette alla musica di rinnovarsi di continuo, interagendo con se stessa e con quanto le sta accanto, la precede e la segue. Il lungo amore per Bach e per ogni tipo di musica, il caso appena citato e i tanti altri che troveremo hanno suggerito di compilare una storia che è un mosaico di 144 tessere, 144 composizioni distribuite dalla preistoria ai giorni nostri. Dalla descrizione di ciascuna tessera si ricavano discendenze e ascendenze con altre musiche, disperdendosi dal particolare al generale. Cioè non si parte dalla sintesi per poi scoprire il dettaglio. Non è una storia
16 Offerta musicale
della musica come corollario delle vicende economiche, sociali, ideali con cui spesso si raccontano e s’interpretano le vicende passate. Concede poco alla biografia degli autori, nella convinzione che il racconto delle vicende personali non aiuti molto a comprendere i loro singoli capolavori. Preferisce rispettare la naturale discontinuità che esiste fra l’opera, il suo tempo e il suo ideatore, come succede in tutte le arti, e nella musica in particolare. L’ordine cronologico serve come orientamento generico e non traccia un percorso. Piuttosto segnala che la vicinanza anagrafica è spesso distanza di stile. Conferma la difficoltà di adattare la musica e la sua storia a convenzioni che funzionano bene in altre discipline, correnti di pensiero, eventi politici. Perché la musica è fatta di vibrazioni che vivono nell’attimo. Non è soltanto una griglia di note tracciate su carta. È diversa dalle immagini fissate per sempre da pittori, scultori, architetti; dai testi di poeti e narratori. In musica non basta che ci sia un autore che pensa e scrive. La sua scrittura è difficile e ambigua. I segni che l’occhio vede tracciati in partitura si devono sempre trasformare in suoni per l’orecchio che ascolta. C’è bisogno di interpreti, strumenti, ambienti; ascoltatori competenti, in chiesa, a teatro, in sala da concerto, nel salotto di casa; tanta pratica e tanta pazienza. Anche l’improvvisazione, in musica, richiede abilità nel muovere le dita sullo strumento, uso degli occhi per capire i colleghi, uso del cervello per inventare suoni non banali, senza perdersi nel tempo. Infatti, la musica non è un’arte intuitiva e semplice. È una scienza complessa e sfuggente, come dicono gli antichi, che cercano proprio nella musica la chiave per sciogliere i misteri delle stelle e scoprire un ordine nel caos del firmamento. E viceversa. I risultati sono quelli che sono. Però, anche per noi moderni, la natura e l’incerto percorso della Via Lattea restano analogie perfette per capire la musica e la sua vita. Ci sono stelle di prima grandezza, che aggregano un’infinità di astri minori e li riuniscono in costellazioni, dove passano comete, ruotano pianeti, girano asteroidi, fra polveri galattiche e nebulose lontane. Intorno, gli spazi vuoti diventano un tessuto connettivo che definiamo silenzio. Con il tempo che scorre ripetitivo e incombente, perché il Sole batte il ritmo dei giorni e lo Zodiaco scandisce i mesi dell’anno con i suoi dodici segni, che sono senza forma eppure in obbligatoria coincidenza con gli intervalli della musica d’Occidente: sette note diatoniche più cinque note cromatiche, i sette tasti bianchi più i cinque tasti neri della moderna tastiera meccanica o elettrica. Inoltre, cercare percorsi nella Via Lattea siderea e nella Galassia musicale è come navigare nella rete informatica del terzo millennio. Si parte da un qualsiasi nodo e si costruisce una storia a piacere, che ha le discontinuità del mosaico piuttosto che le continuità dell’affresco, sapendo che le fratture fra le singole tessere si accentuano o spariscono in funzione della distanza del pun-
Nota introduttiva 17
to d’osservazione. Questa Offerta musicale diventa così una rete di 144 nodi o note o macchie, corrispondenti ad altrettante composizioni musicali. La scelta di ciascun nodo non è del tutto arbitraria. Oltre agli amori personali, valgono alcuni criteri funzionali. Conta la numerologia, che in musica è essenziale. Comanda il numero 12, quante sono appunto le costellazioni dello Zodiaco e quante sono le note della scala cromatica di Bach e della serie dodecafonica di Schönberg. Moltiplicato per se stesso, 12 produce 144, cioè musica al quadrato. Il nuovo numero diventa vincolo razionale e arbitrario per scegliere migliaia di nodi sonori sparsi su tre millenni, utili per formare legami, non serrati ma fluidi. Più che nodi, sono macchie di un presente che si sovrappongono alle macchie del passato, interagendo e stravolgendosi a vicenda; pronte ad assorbire e cambiare le nuove macchie che arriveranno dal futuro. Ognuna delle 144 composizioni è scelta non solo perché vive nella sua epoca e contribuisce a modificarla, ma perché supera l’esame del tempo ed è tuttora in repertorio, disponibile a un ascolto libero e immediato, a casa, in rete. È parte di un sistema di stelle fisse e segna una tappa in un percorso, per definizione, vago e confuso. Come la Via Lattea nella sfera celeste, questa Offerta musicale raccoglie stelle vicine e lontane, con sfere gravitazionali fatte di tanti oggetti sonori di peso diverso, su orbite regolari o casuali. Così basta solo un accenno per creare un mondo intero attorno a composizioni altrimenti destinate all’elenco delle opere minori nelle vaste biografie di grandi autori; e per stimolare quel fantasioso e rapido divagare attorno a un tema favorito che consente la moderna informazione diffusa. Il rapporto con gli autori si ristabilisce nell’indice, dal quale ripartire per ritrovare dove le loro musiche vivono, prima e dopo l’anagrafe certificata. Per com’è pensata, Offerta musicale non può dunque avere né capo né coda. Inizia con Pitagora che guarda le stelle e finisce, anzi riprende, con Stockhausen che si scioglie nello Zodiaco. Più che tappe di un percorso in fila indiana, o punti di una spirale, anzi scale di un frattale, le composizioni scelte diventano poli di convergenza e diffusione di linee spezzate in un campo dalle dimensioni illimitate. Si forma un groviglio geometrico, che ben rappresenta le complessità dell’arte musicale. Le composizioni sono autonome, per consentire letture discontinue. Sono da immaginare come tessere squadrate di un antico mosaico bizantino e macchie diffuse di una moderna tela di Jackson Pollock o di Robert Rauschenberg. Suggeriscono connessioni con ciò che sta intorno, ma non impongono mappe definitive. Si rivolgono a chi ascolta e fa musica, in casa o fuori. Offerta musicale raggiunge il suo scopo se la lettura s’interrompe per iniziare un nuovo ascolto e per cercare verifiche immediate, su uno strumento musicale, su un disco, in rete. Sempre in rete, oltre ai suoni e ai video di YouTube, si potrà sostare per scovare notizie su biografie, correnti di pensie-
18 Offerta musicale
ro, eventi politici e sociali, composizioni che in questa storia mancano, per volontà o per caso. Alla fine di ciascuna delle 12 x 12 composizioni sono proposti ascolti e letture, per approfondire e soprattutto per divagare. La necessaria familiarità con un minimo di terminologia musicale specifica dovrebbe essere assimilabile direttamente dal testo, anche con l’aiuto dell’elenco posto alla fine del volume. Gli indici servono per ritrovare personaggi e autori, opere e termini musicali, ma sono anche bussole analogiche in una navigazione che s’immagina non finisca mai. E.B. Nota bibliografica Per approfondire e divagare, alla fine di ciascuna delle 144 note sono proposti da due a quattro ascolti e altrettante letture, di regola specifici e coerenti con le affermazioni, talvolta alternativi. Vanno a integrare la navigazione che al lettore si suggerisce di fare fra i suoni e i testi reperibili nell’universo Internet. La selezione privilegia opere recenti, meglio se uscite negli ultimi vent’anni e tuttora facili da reperire in originale o ristampa. Le registrazioni più antiche e storiche sono segnalate nei moderni riversamenti in cd. Per i testi scritti è data la precedenza ai volumi in lingua italiana, originali o tradotti. Prevale l’inglese se l’originale è scritto in altre lingue. Sono tuttavia consigliati alcuni testi in tedesco, quando non sono disponibili in traduzione italiana o inglese. Testi di carattere più generale sono indicati nelle introduzioni alle dodici serie. Le maggiori enciclopedie e le storie della musica utilizzate nella stesura delle singole note sono elencate di seguito.
Enciclopedie Wikipedia Enciclopedia on line Grove Music on line A. Lanza (a cura di), Enciclopedia della Musica, Garzanti, Milano 2012 F. Finscher (a cura di), Die Musik in Geschichte und Gegenwart, 28 voll., BärenreiterMetzler, Kassel-Stuttgart 1994-2007 J.-J. Nattiez (a cura di), Enciclopedia della musica, Einaudi, Torino 2001-2005
Storie della musica J.P. Burkholder, D.J. Grout, C.V. Palisca, A History of Western Music, W.W Norton & Company, New York 2010 R. Taruskin, The Oxford History of Western Music, 5 voll., Oxford University Press, Oxford 2010 M.E. Bonds, A History of Music in Western Culture, Prentice Hall, Upper Saddle River 2010 H.E. Eggebrecht, Musik im Abendland, Piper, München 2008 P. Griffiths, Breve storia della musica occidentale, Einaudi, Torino 2007 A. Basso, Storia della musica dalle origini al XIX secolo, Utet, Torino 2006 C. Wright, B. Simms, Music in Western Civilization, Thompson-Schirmer, Belmont 2006 Società Italiana di Musicologia, Storia della musica, 12 voll., edt, Torino 1991
OFFERTA MUSICALE
alla memoria di Sergio Dragoni e Silvestro Severgnini
Serie I. Inventare la scrittura, liberarsi dalle parole
La musica è parte della Natura e fiorisce in ogni civiltà. È ovunque arte magica di timbri e ritmi, soprattutto in Oriente. Diventa anche scienza associata ad aritmetica, fisica e geometria nel pensiero greco, e quindi nell’intero mondo occidentale, dove resta centrale il problema di organizzare in modo razionale il flusso delle melodie e la loro armonica sovrapposizione. La difficoltà di scrivere il canto ne rende incerta la trasmissione, affidata alla pratica orale e appoggiata su testi religiosi. Attorno all’anno Mille, l’invenzione di un metodo per intonare e annotare le melodie consente di moltiplicarle e di inventare la polifonia. Accanto ai temi religiosi, fioriscono quelli profani del divertimento e dell’amore. Finalmente, nel Cinquecento l’artigianato di fabbri e falegnami riesce a costruire strumenti intonati e affidabili, che si integrano con le voci, ma riescono anche a cantare da soli. La musica trova un linguaggio tutto suo, senza essere obbligata a usare le parole. 0 Le sfere della musica Pitagora, Keplero, Stockhausen 100 Epitaffio Seikilos 1000 Victimae paschali laudes Vipone di Borgogna 1198 Sederunt principes Pérotin 1230 Carmina Burana Anonimi profani 1363 Messe de Nostre Dame Guillaume de Machaut 1450 Missa L’Homme armé Guillaume Dufay 1461 Requiem Johannes Ockeghem 1500 Innsbruck, ich muss dich lassen Heinrich Isaac 1562 Missa Papae Marcelli Giovanni Pierluigi da Palestrina 1594 Ecco mormorar l’onde Claudio Monteverdi 1597 Sonata pian’ e forte Giovanni Gabrieli
0 Le sfere della musica
Pitagora, Keplero, Stockhausen Musica fra scienza e arte – Musica e cosmo – Timbri e ritmi in Oriente – Melodie e armonie in Occidente - Note musicali e numeri interi – La costruzione della scala naturale – Consonanze e dissonanze – Pitagora, Archita, Platone – Tolomeo, Marziano, Boezio – Keplero, Galileo, Zarlino, Rameau – Creatori e interpreti – Stockhausen nello zodiaco
Emotiva e misteriosa, com’è per sua natura, la musica è da sempre considerata un’arte superiore. Anzi: il vero punto d’incontro fra arte e scienza. Ancora nel ventesimo secolo, il musicista Karlheinz Stockhausen è convinto assertore delle origini cosmiche del sistema sonoro, mentre il fisico Albert Einstein si diletta a produrre musica suonando il violino. Quattro secoli fa, nel pieno del razionalismo secentesco, Giovanni Keplero scopre le leggi che regolano il moto dei pianeti e sviluppa in Harmonices mundi (1619) un modello che, grazie alla musica, spiega l’astronomia e l’aritmetica, le cosmologie degli antichi Pitagora e Tolomeo, le rivoluzioni dei moderni Copernico e Galileo. Fonte primaria di Keplero sono i testi scritti più di mille anni prima da Severino Boezio, a sua volta erede di Platone che, quasi altri mille anni addietro, sposa le tesi di Pitagora, continuatore dei primordi mesopotamici, egiziani, cinesi. Per tutti, la musica esprime le leggi del cosmo e della matematica, è il punto d’incontro fra empirismo sperimentale e speculazione numerica. Il non allineamento fra teoria e realtà è attribuito ai limiti della tecnologia e all’inadeguatezza delle misurazioni. Quando serve, si ricorre alla potenza del mito, che tutto risolve. Nessuno dubita delle fondamenta trascendenti della musica, tanto meno del suo potere fisico e taumaturgico. La lira di Anfione costruisce le mura di Tebe, le trombe di Giosuè abbattono quelle di Gerico, il canto di Orfeo vince la morte e quello delle sirene tenta (invano) di sedurre Ulisse. Tutti, filosofi e musicanti, approfittano dell’insita ambiguità della musica per spiegare le contraddizioni fra carne e spirito, fra orgia e catarsi, fra apollineo e dionisiaco. E ne traggono la morale che il flauto peccaminoso di Pan non può che perdere la sfida con l’arpa sublime di Apollo. Nella sua repubblica ideale, il saggio Platone prescrive cautela nell’uso della musica, arte sospetta e scienza sfuggente. Il suo degno allievo Aristotele discetta di fisica e di aritmetica, e ricava indirizzi che per due millenni regolano e complicano l’evo-
0 Le sfere della musica 25
luzione della musica occidentale, dal canto gregoriano medioevale fino alla dodecafonia nel Novecento. Gli antichi sentono la musica come metafora della Creazione, perché rispetta le armoniose proporzioni con cui vedono muoversi le sfere nel cosmo. Immaginano che esista un sistema di suoni puri, esprimibile con «note» musicali proporzionate fra loro e ordinabili in insiemi («scale») al contempo logici e segreti, in analogia con la meravigliosa serie degli aritmetici numeri naturali. Anche in musica si parte con il numero 1, la lunghezza arbitraria di una corda presa come riferimento. La vibrazione di quella corda ha una sua frequenza e produce un suono ben definito, una nota, la «nota fondamentale». Se si cambia la lunghezza della corda permutando i rapporti fra i primi numeri interi, si generano le altre note critiche della scala musicale. Il numero 2 dimezza la lunghezza della corda, perciò la nuova vibrazione ha frequenza doppia (2:1) rispetto alla fondamentale e produce una nota molto più acuta, l’«ottava». Fondamentale e ottava sono note perfettamente compatibili fra loro, si possono eseguire insieme, possono cioè formare un «accordo» senza disturbare l’orecchio perché sono «consonanti». Con il numero 3 si crea una nuova nota: la corda fondamentale, se vibra per 2/3 della sua lunghezza, produce la «quinta», meno acuta dell’ottava. Il numero 4, associato al precedente 3, corrisponde alla frazione di corda 3/4 della corda intera e alla nuova nota detta «quarta», poco più bassa della quinta. Nel magico intervallo dell’ottava, la fisica delle vibrazioni e i numeri dell’aritmetica inseriscono così altre due note, naturali e consonanti. Se chiamiamo «do» la nota fondamentale, sono «fa» la quarta e «sol» la quinta. L’ottava, cioè il seguente «do’» acuto è non solo il punto di arrivo della prima serie di note in scala, ma anche il punto di partenza di un nuovo ciclo. Divisa per quattro, la corda di partenza ha una frequenza di vibrazione ancora più alta e produce una nuova ottava «do’’», più acuta, un altro spazio entro il quale introdurre nuove quarte e nuove quinte. Si potrebbe continuare all’infinito, ma la realtà fisica non lo consente. La voce umana spazia soltanto entro un paio di ottave, gli strumenti musicali moderni ne coprono sette-otto, più in là si entra negli ultrasuoni che l’orecchio non percepisce più. Inoltre, il suono reale si stacca presto dalla teoria numerica: già la nota estrema della terza ottava non è consonante con la fondamentale da cui tutto parte. Analoga situazione si ha con gli «armonici», le vibrazioni secondarie che accompagnano la vibrazione fondamentale, ne fissano il carattere («colore» o «timbro») e consentono di riconoscere le sorgenti sonore, cioè i singoli strumenti. Gli armonici più vicini rispettano le proporzioni numeriche; gli altri se ne allontanano sempre più. Ma non basta mantenersi entro due o tre ottave per creare buona musica. Ancora in epoca preistorica si capisce che, permutando le sole tre note per-
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fette («do», «fa», «sol»), non si ricavano vere melodie, cioè note disposte non più in scala ma in successione variata e riconoscibile. Nell’ampio spazio di ogni singola ottava vanno inserite altre note, così da costruire scale con un numero maggiore di intervalli (cioè gradini, pioli, note). Il metodo numerico di costruzione, però, si arresta a 4. I rapporti che nascono dalle permutazioni con i numeri successivi (5, 6) producono suoni non più perfetti, ma stonature e dissonanze. Le prime soluzioni empiriche si hanno nella Cina preistorica, dove l’intervallo fra nota fondamentale e ottava è diviso in cinque subintervalli o «toni» compatibili e (quasi) uguali fra loro. Nasce così una scala pentatonica, fatta di cinque note: «do», «re», «mi», «sol», «la». Fra mi e sol l’intervallo è assai più largo, un tono e mezzo. Altrettanto ampio è lo spazio che separa il la finale dal nuovo do’ con cui inizia la scala superiore, scandita allo stesso modo e altrettanto irregolare. Pur con infiniti aggiustamenti che tengono conto della pratica esecutiva e trascurano la speculazione teorica, la scala pentatonica si diffonde in tutto il mondo antico, dalla Cina al Mediterraneo e all’Africa. Permane in talune tradizioni popolari: tuttora vive in Europa, con estensione alla moderna musica di consumo e al jazz. Resta un elemento peculiare della musica extra colta, extra occidentale, esotica. Nella scala pentatonica è tuttavia vistosa l’assenza dell’intervallo perfetto di «quarta», cioè della nota «fa». Lo inseriscono gli assiro-babilonesi, circa nel terzo millennio avanti Cristo, inventando il concetto di semitono. Una nuova nota, fa, è inserita mezzo tono dopo il mi e un tono intero prima del sol. Una settima nota, «si», entra come tono intero dopo il la e mezzo tono prima del do’ da cui parte la scala superiore. Nasce così la scala eptatonica, tuttora familiare, fatta di cinque toni interi più due semitoni, sette note totali. Come se, in una comune scala a mano per uso domestico con cinque pioli s’inserissero altri due pioli alti la metà, uno in quarta e l’altro in ultima (settima) posizione. Non a caso, nella teoria e nella pratica musicale moderna, l’ultimo piolo della scala (il si) diventa il passo (quasi) obbligato per salire in altezza sulla medesima scala o passare (modulare) in orizzontale su una scala diversa e contigua. Secondo le regole della cosiddetta armonia tonale. Si attribuisce a Pitagora, nel vi secolo avanti Cristo, l’aggiustamento e la teorizzazione di un metodo per stabilire i gradini critici della scala musicale eptatonica detta «naturale». È una forzata analogia con quanto succede nel cosmo: il Sole, la Luna e i cinque pianeti allora conosciuti (Saturno, Giove, Marte, Venere, Mercurio) ruotano attorno alla Terra in proporzione con gli intervalli che separano le sette note. In un certo senso, è la musica che stabilisce le distanze nel firmamento. Pitagora è tuttavia ben consapevole che quei gradini non sono regolari: gli intervalli do-fa e sol-do’ sono diversi e ampi; quello fa-sol è pure diverso dagli altri e molto più stretto. Sa che non c’è denominatore comune in grado di fis-
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sare rapporti perfetti. Quali note, e relativi rapporti («toni»), inserire negli intervalli do-fa e sol-do’ resta il problema che accompagna la teoria della musica fino ai nostri giorni, soprattutto in Occidente. Qui il fascino dei rapporti numerici, la geometria delle sequenze, le sovrapposizioni delle singole note focalizzano l’attenzione su melodia e armonia. Il resto del mondo rimane invece pentatonico e favorisce le altre caratteristiche della musica, cioè il suono specifico di ciascuno strumento (gli armonici che determinano il timbro) e la sua scansione («ritmo») da improvvisare nell’attimo fuggente. Al contrario, l’Europa si occupa molto di più della dimensione orizzontale e verticale del suono, da riportare su assi cartesiani: durata delle note in ascissa (x) e loro altezza in ordinata (y). Si stabiliscono regole per la disposizione delle note in orizzontale («melodie») e delle loro sovrapposizioni in verticale («accordi»), con risultati («armonie») gradevoli («consonanze») o sgradevoli («dissonanze»). Nascono i «modi» gregoriani nel Medioevo, la «polifonia» nel Rinascimento, l’«armonia tonale» fra Settecento e Ottocento, la «dodecafonia» nel Novecento. Forse la sintesi fra le musiche d’Occidente e d’Oriente arriva nel crogiolo americano, quando il sistema europeo portato dagli emigranti bianchi incontra le note blu e i ritmi asimmetrici degli schiavi neri per diventare blues e jazz nel Novecento e portare, forse, nel terzo millennio, alla fusione globale. Perché l’orecchio moderno, ben educato, sopporta meglio, anzi apprezza quella che un tempo era considerata dissonanza e cacofonia o semplice banalità. Dopo Pitagora, in Occidente, studiano soluzioni aritmetiche il poliedrico Archita da Taranto, l’astronomo Tolomeo e l’enciclopedico Aristosseno, che fissano princìpi di teoria musicale senza molto badare alla pratica. Per avvicinarsi al reale occorre estendere il concetto di consonanze perfette e accogliere l’imperfezione, scendere al compromesso. Il suono assoluto delle sfere celesti accetta le prime frange d’impurità, di rumore della Terra. In pieno xvi secolo, Gioseffo Zarlino, direttore della musica («maestro di cappella») nella basilica di San Marco a Venezia, estende i numeri di Pitagora (e di Archita) da 4 a 6 e con le relative frazioni completa la «scala naturale». Accetta come consonanti anche le note che hanno i rapporti 4:5 e 5:6, cioè «mi» («terza maggiore») e «mi bemolle» («terza minore») assieme a 3:5 che è «la» («sesta»). Le note «re» («seconda») e «si» («settima»), che mancano alle fatidiche sette note, hanno con la fondamentale un rapporto più complesso (8:9 e 8:15); incompatibile, dissonante. Due secoli dopo, Jean-Philippe Rameau basa su princìpi matematici la sua teoria della musica, che condiziona l’ultimo quarto del millennio appena concluso e che definiamo «tonale» perché attribuisce a una specifica nota («tono»), chiamata «tonica», il valore di cardine dell’intera architettura musicale. Restano dissonanti, nella teoria e nella pratica, le note fra loro adiacenti, che formano l’intervallo di «seconda». Per quanto naturali e ricavati con arit-
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metica perfetta, i gradini della scala musicale sono irregolari e pieni d’inciampi, come la serie dei numeri interi dalla quale nascono. Nei 25 secoli che separano le geometrie musicali di Pitagora e di Rameau, i musici pratici danno il loro contributo empirico alla soluzione del problema teorico di normalizzare la scala, con la fantasia e la flessibilità che vedremo. Inventano gli aggiustamenti necessari, i «temperamenti», ma il rapporto esoterico fra numeri interi e note musicali rimane un classico esempio di biforcazione fra teoria e realtà. Tutti sono consapevoli del ruolo speciale che la musica riveste. Infatti, è l’unica arte che non si contrappone alla scienza, proprio perché ne fa parte. Nelle sette branche del sapere antico, Platone (e con lui il precursore Archita e il successore tardo latino Marziano Capella) colloca la musica nel Quadrivium, assieme a geometria, aritmetica e astronomia, ben separata dal Trivium di grammatica, retorica e dialettica. La musica vive sul tempo che scorre. Misura il vuoto, cioè il silenzio. È l’arte che sfugge al tatto e poco concede alla vista. Che dà sostanza alla parola, al Verbo che il Vangelo di Giovanni pone all’inizio di tutte le cose. Che non si sa bene come classificare. Il metodico Severino Boezio, vissuto alla fine dell’impero romano, elabora il pensiero di filosofi e matematici greci per distinguere tre tipi di musiche: la instrumentalis, che produciamo con il nostro corpo e con strumenti artificiali, che ha ben poco valore speculativo; la humana, che sta dentro di noi, a suo modo misteriosa; la mundana, ossia il suono che accompagna il movimento delle cose celesti, troppo lontano perché lo si possa percepire, ineffabile sfera dell’armonia perfetta, della consonanza assoluta, della meccanica celeste. In Occidente, musica è sempre scienza e arte, da riservare a pochi sapienti, gelosi delle proprie speculazioni. Molto teorici, anzi teorizzatori, e poco pratici, Pitagora, Platone e Boezio trovano seguaci per un altro buon millennio, anche oltre Keplero. I cui tempi, i primi decenni del Seicento, coincidono con la fine dei numeri e dell’astronomia quali miti fondanti della musica. I nuovi strumenti a tastiera e intonazione fissa impongono soluzioni (e compromessi) all’eterno problema della «scala naturale». La musica instrumentalis vince su tutti i fronti, vagamente legandosi alla musica humana. La musica mundana è confinata alla filosofia. Come dire che la pratica prende il sopravvento sulla grammatica, il sentimento sulla ragione. A fine Rinascimento, l’espressività del «parlar cantando» dissolve la geometria della polifonia. Il linguaggio del suono sbiadisce quello della parola. Il merito è certo dei progressi della scrittura, della stampa della musica su carta, e del fatto che, finalmente, si riesce a misurare l’altezza delle note e i tempi (durate, ritmi, inflessioni) delle melodie. Con le nuove tecnologie artigianali che lavorano legni e metalli, si costruiscono strumenti musicali capaci di produrre suoni sicuri per timbro, volume e intonazione. Finalmente la musica trova un suo linguaggio e può fare a meno della sintassi e della retorica delle parole.
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Persiste tuttavia la difficoltà dell’autore di scrivere e trasmettere la musica che ha in testa, e di conseguenza di farla leggere, eseguire, interpretare con segni tracciati sulla carta. Da qui il ruolo essenziale e demiurgico lasciato all’esecutore, che trasforma in suono vero la musica pensata in astratto. Alle prese con il problema di muovere bene labbra e dita senza perdere il passo con chi canta e suona accanto a lui, l’esecutore si arrangia, cambia, improvvisa, ricrea. L’autore comincia a non sopportarlo, perché si sente un architetto creatore in balia di muratori maldestri. La dialettica resta latente fintanto che le due figure coincidono: chi compone è un cantore, che scrive su misura per se stesso e per i suoi colleghi di coro. Oppure è un organista o liutista che improvvisa sullo strumento di cui è maestro senza lasciare traccia scritta. Quando però, nel Cinquecento, la diffusione della musica a mezzo stampa e lo sviluppo del virtuosismo esecutivo tolgono al creatore il controllo sul risultato finale e gli impediscono l’esecuzione diretta, il problema diventa non solo pratico, ma anche teorico. Chi fa la musica? Cos’è la musica? Dal Seicento in poi i teorici (filosofi, matematici, didatti, autori) provano a limitare le libertà degli esecutori (cantanti e strumentisti, cori e orchestre) con sistemi di scrittura sempre più analitici e vincolanti. I risultati sono modesti e di regola aumentano i gradi di libertà. Soltanto nella seconda metà del Novecento la musica elettronica fissata su nastro dall’autore non lascia spazio all’alea dell’interpretazione. Ne è mentore Stockhausen. Che però, per tutta la vita, cerca un appassionato dialogo con le stelle dello zodiaco, osservando dal suo astro natale Sirio il cielo che si muove, nel trionfo del geocentrico Tolomeo sugli eliocentrici Keplero e Galileo e sul relativista Einstein.
Ascolti 12x12 – A Musical Zodiac, Capilla Flamenca/Het Collectief, EtCetera 2012 G. Holst, The Planets, C. Dutoit, Orchestre Symphonique De Montréal, Decca 1987
Letture A. Di Benedetto, All’origine fu vibrazione, Nexus, Due Carrare 2008 A. Frova, Armonia celeste e dodecafonia. Musica e scienza attraverso i secoli, Rizzoli, Milano 2006 J.J. Nattiez, Il combattimento di Crono e Orfeo, Einaudi, Torino 2004 L. Azzaroni, Canone infinito. Lineamenti di teoria della musica, clueb, Bologna 2001
100 Epitaffio Seikilos
Il testo musicale più antico – Il primo flauto – Ur e Babilonia – Rapporti fra vibrazioni – Diesis e bemolle – Diabolus in musica – Europa e resto del mondo – I tetracordi di Aristosseno – La scala eptatonica – I modi greci – Il disinteresse dei romani – Il canto delle comunità cristiane «Sono una lapide: Seikilos mi ha collocata qui come segno durevole di un ricordo immortale.» Così recita l’iscrizione, in greco antico. Segue il testo di un breve canto: «Splendi, finché vivi / non esser triste / la vita è davvero troppo breve / e il tempo prende pegno». Alle parole si accompagna una scritta musicale notata secondo i canoni dell’antica teoria greca e trascrivibile senza ambiguità in notazione moderna. Si tratta di una quarantina di note che resta nell’ambito del modo frigio, cui la tradizione greca attribuisce virtù consolatorie. La melodia rispetta il metro dei versi, articolata in quattro parti, due salti ascendenti e relative code discendenti, su intervalli di facile intonazione. Con eleganza schubertiana e ripetitivo minimalismo, trasmette un senso di sereno congedo. Non è previsto alcun accompagnamento e non è definita la durata assoluta, allora impossibile da scrivere. Il cosiddetto Epitaffio di Seikilos è il primo brano musicale completo che ci resta e che riusciamo a trasformare in suono. È inciso su una pietra trovata nel 1883, non lontano dall’antica Efeso, in Turchia, e ora esposta nel Museo nazionale di Copenaghen. La datazione è incerta, circa l’anno 100 d.C., retrodatabile di due o tre secoli. Sulla musica greca possediamo soltanto una quarantina di notazioni precedenti, che sono però frammenti indecifrabili. Un papiro del ii secolo prima di Cristo associa ad alcuni versi dell’Oreste di Euripide una parte strumentale accanto al testo per il coro. Non sappiamo niente sulla dinamica. Nulla dei tempi e dei ritmi con cui gli aedi intonano i loro versi accompagnandosi con lire e cetre. Di sicuro a teatro e nei luoghi pubblici le grandi arpe integrano i numerosi strumenti a percussione e a fiato, ma non c’è modo per ricostruirne l’effetto sonoro. Infatti, sono muti i numerosi reperti che documentano antiche cerimonie sacre e profane in cui cantano, suonano e ballano tutti i popoli antichi, perfino i romani, pur meno musicali degli altri. Il primo musicista di cui conosciamo il nome è una donna: Enheduanna, sacerdotessa a Ur dei caldei attorno al 2300 a.C. Tante figure dipinte dagli egizi mostrano cantori e suonatori. Ci sono vivaci musiche strumentali in Cina e India in millenni lontani. Il
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primo attrezzo musicale conosciuto è un flauto rudimentale, un osso cavo con fori artificiali trovato in Germania risalente a circa 40 000 anni fa. Incisioni rupestri europee e oggetti cinesi databili almeno dieci millenni avanti Cristo segnalano l’uso di corde vibranti. Le prime civiltà mediterranee consentono di esporre nei musei gli antenati di oboi e flauti, assieme a trombe e corni rudimentali, oggetti a percussione, strumenti a corde pizzicate. Bassorilievi su pietra e disegni su vasi suggeriscono come questi strumenti vengono impugnati e dove sono usati, ma serve molta fantasia per immaginarne il suono. Si può intuire il timbro, non certo la melodia. Ignote sono le circostanze che portano alla nascita della melodia, una successione ordinata d’intervalli, la cui ampiezza è fissata dalla distanza fra le note. Il soffio del vento, il canto degli uccelli, la vibrazione delle corde, le stesse voci dei nostri antenati suggeriscono gli intervalli che consentono di distinguere un disegno sonoro da un rumore ambientale. Il suono nasce quando una corda tesa vibra: più corta è la corda, più alta è la frequenza della vibrazione, più acuto è il suono che arriva all’orecchio. Cambiando la lunghezza della corda, secondo i criteri numerici descritti nel capitolo precedente, si ricavano suoni che definiamo note e che riuniamo in insiemi coerenti denominati scale. Gli stessi risultati si ottengono soffiando dentro un tubo vuoto, e poi in altri tubi lunghi la metà, i due terzi, i tre quarti. Tubi che si possono affiancare, per dare origine a un flauto di Pan, detto anche zufolo. Oppure si può usare un tubo unico, con fori distanziati nei rapporti giusti, da tappare con le dita. Sempre di colonna d’aria si tratta, di vibrazione fisica, di proporzioni matematiche governate dal principio della semplicità. Disponendo le note in sequenza si costruiscono le melodie. Sovrapponendole, si hanno gli accordi e dunque le armonie. Come abbiamo detto, due note suonate assieme sono sempre di ascolto piacevole (consonanze) se il rapporto delle loro frequenze è 1:2 (ottava). L’effetto resta consonante se si aggiunge una terza nota in rapporto 2:3 (quinta) oppure 3:4 (quarta). Cioè sono consonanti gli accordi «do-sol-do’» e «do-fa-do’». Tutte le altre combinazioni non sono «perfette», quindi sono dissonanze. Agli antichi teorici greci va il merito di aver forgiato la terminologia musicale europea dal Medioevo in poi, sia pure con infiniti errori e fraintendimenti da parte di trattatisti successivi, sempre alla ricerca di giustificazioni nel passato per le loro speculazioni sul presente. Dopo Pitagora, l’idea di musica come figlia dei numeri interi e specchio del cosmo è sviluppata dall’allievo Filolao, a sua volta maestro di Archita, signore di Taranto, uomo politico e militare, liberatore di Platone dalle carceri siracusane, ma anche architetto e scienziato, astronomo e musicista. Archita riconosce che gli intervalli perfetti (consonanze) di ottava, quinta e quarta non sono divisibili in parti uguali senza provocare incompatibilità (dissonanze) fra le singole note. Infatti, la nota
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che si ottiene dividendo l’ottava a metà esatta produce la dissonanza più dura in assoluto, quel «tritono» (tre toni interi consecutivi) che i trattatisti medioevali definiscono diabolus in musica. La nota del tritono, inoltre, non cade esattamente a metà del tono intero che separa le note perfette fa e sol, ma è un po’ più lontana dal fa e più vicina al sol. Il corollario è che salendo la scala è tritono la quarta maggiore do-fa diesis, scendendo è tritono la quinta minore do’-sol bemolle. I termini «diesis» e «bemolle» nascono (anche) da queste considerazioni, e tuttora ci ricordano che le distanze fra i gradini cambiano se le scale si salgono o si scendono. Salendo sono diesis, scendendo sono bemolle. Archita sa che, dividendo per due anche gli altri intervalli naturali, si producono sempre dissonanze. Va meglio se, nella frammentazione, si accetta la presenza di un «resto». L’intervallo perfetto do-fa diviso nei due toni interi uguali do-re e re-mi lascia il resto mi-fa; l’intervallo sol-do’ si dimezza in sol-la e la-si’ con altro resto si-do’. I due «resti» non sono ovviamente uguali fra loro, ma sono circa mezzi toni, «semitoni». Si ottiene una scala di sette note. È un altro modo di intendere il compromesso degli assiro-babilonesi. Un paio di generazioni dopo Archita e Platone, il prolifico Aristosseno, allievo diretto di Aristotele, dedica alla musica un paio dei suoi 435 trattati sullo scibile umano: nell’incompleto Elementi di ritmica scrive che il tempo della musica deve seguire quello della poesia. Nei due libri che ci sono rimasti di Elementi di armonia espone i princìpi della melodia intesa come successione di note separate fra loro da un intervallo. Fra le due note che delimitano l’intervallo consonante di quarta (do-fa), inserisce altre due note divise da intervalli variabili e ricava la successione di quattro note detta «tetracordo» (do-remi-fa). Costruisce un nuovo tetracordo sull’ultima nota del precedente, giunge all’ottava (fa-sol-la-si) e torna così la divisione dell’intervallo di ottava in sette parti. Emerge come preferita la cosiddetta «scala diatonica», quella che troviamo sui tasti bianchi di una moderna tastiera di pianoforte. Come tutte le altre possibili scale, la diatonica non divide l’intervallo di ottava in sette parti perfettamente uguali. Le sue cinque parti intere (toni) più le due loro metà (semitoni) sono disposte in successione fissa. Due toni interi T (do-re-mi) stanno fra due semitoni S (si-do e mi-fa) a loro volta preceduti (o seguiti) da tre toni interi T (fa-sol-la-si) in una catena infinita, discendente e ascendente: ... ttstttsttstttstts... (...do-re-mi-fa-sol-la-si-do-re-mi-fa-sol-la-si...). Da ciascuna delle sette note parte una scala particolare, distinta dalle altre per la posizione dei semitoni. Per gli antichi greci, ciascuna scala o «modo» ha un suo carattere, capace di influenzare chi ascolta. Al punto che i nomi dei singoli modi sono legati a un territorio, come dire che la musica esprime il carattere di una popolazione o l’emozione di un momento. Il modo frigio va bene per il lamento di Seikilos, come si è visto. Però con l’avvertenza che i veri «modi greci» non corrispondono ai «modi ecclesiastici» o
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«gregoriani» in uso pratico nel Medioevo e teorizzati con molti malintesi dallo svizzero Glareano in quella sorta di storia della musica da Boezio in poi che è il suo Dodekachordon (1547). Restano i nomi e le successioni degli intervalli, ma le note di partenza sono diverse, nell’ordine: «do, re, mi, fa, sol, la, si», che corrispondono ai «modi moderni» ionico o maggiore, dorico, frigio, lidio, misolidio, eolio o minore, ipofrigio. Il declino della civiltà greca, il disinteresse dei romani e la permanente difficoltà di far uscire la musica dalla tradizione orale portano a una stasi evolutiva, almeno in Occidente. Poco si sa del resto del mondo che favorisce la concretezza del suono e della sua scansione, dove per cantare una melodia basta una vaga e irregolare scala pentatonica, magari con una nota in più che la trasformi in esatonica. In Cina, India, Vietnam e Giappone si tiene gran conto della qualità e dell’individualità del materiale che il singolo suono genera, cioè del timbro. Meno ancora si conosce della musica in Africa, dove comunque si bada alla sua distribuzione nel tempo, cioè al ritmo. In Asia, come in Africa, contano poco le relazioni reciproche («intonazione») fra le singole note, critiche per il mondo occidentale. Nulla è tramandato sulla musica negli altri continenti. Il canto cristiano, erede di quello delle sinagoghe ebraiche, a lungo nascosto nelle catacombe e finalmente uscito all’aria aperta dopo l’editto di Costantino del 313 d.C., fa rifiorire l’arte della musica in tutto il Mediterraneo. Assieme alle nuove speculazioni teologiche che cercano radici nel pensiero greco, riprendono vigore le teorie musicali di Pitagora e Platone, di Aristotele e Aristosseno. Ne discettano i dotti padri della Chiesa. Gli operativi vescovi delle comunità periferiche invitano a intonare soprattutto canti nuovi, in segno di autonomia dal potere centrale. Nasce il canto gregoriano. Si entra in un altro mondo.
Ascolti Pugnate, Musica Romana, Emmuty Records 2009 Musique de l’Antiquité grecque, Annie Bélis, Ensemble Kérylos, Kérylos 1996
Letture S. Hagel, Ancient Greek Music: a New Technical History, Cambridge University Press, Cambridge 2010 T.J. Mathiesen, Apollo’s Lyre: Greek Music and Music Theory in Antiquity and the Middle Ages, University of Nebraska Press, Lincoln 1999