Senza perdere la tenerezza di Paco Ignacio Taibo II

Page 1

Nuovi Saggi


Tutte le fotografie riprodotte nel libro appartengono all’archivio dell’autore. www.saggiatore.it (sito & eStore) Twitter @ilSaggiatoreEd Facebook il Saggiatore editore © Paco Ignacio Taibo ii, 2011 © il Saggiatore S.p.A., Milano 2012 Titolo originale: Ernesto Guevara también conocido como El Che


Paco Ignacio Taibo II

Senza perdere la tenerezza Vita e morte di Ernesto Che Guevara

Traduzione di Gloria Cecchini, Gina Maneri e Sandro Ossola



Senza perdere la tenerezza

Questo libro è dedicato ai miei amici Miguel Bonasso e Juan Gelman, argentini e guevaristi, due cose che, messe insieme, non sono troppo ben viste di questi tempi.



Sommario

Nota dell’autore

13

1. Il piccolo Guevara, l’infanzia è destino

23

2. Il Furibondo Serna

37

3. «Tutta energia sprecata»

45

4. La scoperta dell’America

55

5. Visita lampo

67

6. America senza fine

69

7. Guatemala, le ore della verità

77

8. Stazioni di transito

91

9. Il mondo alla fine è un’isola

105

10. Addestrarsi alla guerra

117

11. La nonnina fa acqua

141

12. Il disastro

149

13. Senza meta

155

14. Resurrezione a La Plata

161

15. Esecuzione

175

16. Graffiando la terra

185

17. Comandante

195

18. La polemica

219

19. La Sierra e il Llano

235


20. L’offensiva

243

21. Invasione

253

22. Altri monti, altri problemi

279

23. La campagna lampo

299

24. I Mau Mau a Santa Clara

321

25. L’ultimo giorno di guerra, il primo della rivoluzione

339

26. Il lungo gennaio del ‘59

347

27. La battaglia per la riforma agraria

367

28. Non si può sognare all’ombra di una piramide

381

29. Trovare un posto nella rivoluzione

389

30. «Ogni volta che un Guevara si mette in affari, fallisce»

397

31. Fabbriche e deodoranti

423

32. Playa Girón

433

33. Le difficoltà di una società socialista

447

34. Senza il diritto di stancarsi

465

35. Voglia di sparare agli aeroplani

483

36. «Neppure il Che poteva essere sempre come il Che»

495

37. Il 1964, i sotterranei della rivoluzione

519

38. Di nuovo America Latina

543

39. La riscoperta dell’Africa

555

40. «Il contributo dei miei modesti sforzi»

567

41. Tatu, il numero tre

577

42. L’attesa nell’«inferno surrealista della noia»

585

43. Un fantasma con il dono dell’ubiquità

601

44. La disfatta di Front de Force

603

45. Abbattimento e fuga

607

46. L’ottimista pessimista

621

47. Un fantasma con il dono dell’ubiquità (ii)

629

48. Débâcle

633

49. Gli ultimi giorni di quel novembre

643


50. Dar es Salaam

649

51. Praga: il freddo, la solitudine

657

52. La sfida della sfinge

667

53. Tagliare i ponti

671

54. «Tornerò a essere me stesso»

687

55. La spedizione micidiale

707

56. Combattimenti

719

57. L’intervento, gli amici morti

737

58. Il massacro della retroguardia

755

59. «Tagliare la corda e cercare zone più favorevoli»

767

60. Quebrada del Yuro

773

61. La cattura

779

62. Le diciotto ore di La Higuera

785

63. Il cadavere scomparso

795

64. I molti orologi del comandante Guevara

805

65. Gli inafferrabili diari

809

66. La “maledizione” del Che

817

67. Una fossa con sette cadaveri

823

68. Immagini e fantasmi

829

Fonti e annotazioni

837

Bibliografia

989

Opere di Ernesto Che Guevara tradotte in italiano

1051



Per fare qualcosa bisogna credere molto. Per amare appassionatamente bisogna credere follemente. Régis Debray, parlando del Che Ogni grande impresa richiede passione e la rivoluzione richiede passione e audacia in grandi dosi. Ernesto Guevara a sua madre, 15 luglio 1956 In un rosario di morti si modula la nostra nostalgia, e ci si vergogna un poco a stare seduti qui, davanti a una macchina da scrivere, pur sapendo che anche questa è una sorta di fatalità, e pur consolandosi con l’idea che questa fatalità serve a qualcosa. Rodolfo Walsh Compagni, ho in casa un poster di tutti voi. Che (frase letta ad Amburgo sotto un cartellone da dove Guevara ci sorride)



Nota dell’autore

I Non esiste una lettura innocente. Oggi sappiamo che la seconda ondata della rivoluzione latinoamericana si è esaurita e ha fallito, che il modello industriale progettato dal Che ha funzionato a breve termine, e che a medio termine senza di lui e senza la sua vigilanza si è andato logorando. Leggeremo il libro sapendo persino qual è stato l’esito finale dell’operazione del Che in Bolivia. E pur sapendo tutto questo, vorrei fare in modo che il libro venisse letto come una storia che accade man mano che viene narrata. Non si può raccontare la storia risalendo dalle conseguenze alle origini: in questo modo si vizia la prospettiva. Una biografia non è la storia di un morto che si spiega: Lytton Strachey in un momento di terribile lucidità diceva che «gli esseri umani sono troppo importanti per essere trattati come semplici sintomi del passato». I personaggi si costruiscono attraverso atti le cui conseguenze non possono arrivare a scoprire. La storia che mi interessa non funziona come una spiegazione a partire dall’esito, ma come una provocazione che viene dal passato, i cui personaggi principali non hanno mai posseduto una sfera di cristallo che rivelasse loro il futuro. D’altro canto questo non è un libro facile. Sicuramente questa storia è prigioniera della visione di quelli che sono arrivati dopo, della generazione dell’“eterno poi” e dei suoi incolpevoli figli; e tuttavia si deve tentare di leggerla come una storia “di allora”, dell’America Latina degli anni cinquanta e sessanta. Sorprendente ma vero, il fantasma del Che, come un viaggiatore di frontiera senza visti né passaporti, si trova intrappolato a metà di un ponte generazionale, tra giovani che sanno pochissimo di lui ma che lo immaginano come il grande comandante e nonno rosso dell’utopia, e la generazione degli anni sessanta (quelli di cui Paco Urondo, presagendo il suo stesso destino, 13


diceva: «Es que vamos a perder / la vida de mala manera»), i cui sopravvissuti capiscono che il Che continua a essere l’araldo di una rivoluzione latinoamericana che, per quanto possa sembrare impossibile, continua a essere assolutamente necessaria. Ci vorrebbe qualcuno più intelligente e con più risorse storiografiche e letterarie di me per poter raccontare a due generazioni di lettori molto diverse due versioni della storia con lo stesso materiale; per raccontare a due tipi di lettori, quelli dentro e quelli fuori dall’America Latina, la stessa storia. Agli uni bisognerebbe dedicare spiegazioni e contestualizzazioni a cui ho rinunciato per concentrarmi sul personaggio, e agli altri maggiore abbondanza di informazioni sul dibattito politico di quei momenti. Le omissioni sono state volontarie: che ciascuno si assuma le proprie colpe. Come se non bastasse, il Che è un fantasma che, nonostante il suo humour caustico e le sue reiterate timidezze, è rimasto prigioniero degli attributi della propria immagine e dei meccanismi, innocenti o meno, che svuotano di contenuto tutto quello che incontrano per trasformarlo in magliette, souvenir, tazze da tè, slogan, poster o fotografie destinate al consumo. E questa è la condanna di chi suscita nostalgia: rimanere intrappolato nei templi del consumo o nei rifugi dell’innocenza. Rimanere prigioniero nel limbo del mito.

II Partire dal presupposto che, per quanto si sforzi, questo libro sarà in molti sensi un fallimento, è di aiuto allo storico. Scrivevo, nel firmare la prima edizione, che dovevo pensarlo come un testo che avrebbe provocato chiarimenti, smentite e correzioni, stimolato la comparsa di nuovi documenti, suscitato dibattiti, e forse soprattutto accelerato la pubblicazione della enorme quantità di inediti di Ernesto Che Guevara. Tutto ciò è accaduto. È confortante pensare che un libro non sia qualcosa di morto, ma una specie di alien mutante provocatorio. Questo è anche il libro delle piccole storie, delle storie personali, più o meno significative. Più che le parole, le azioni. E parole che spiegano o propongono azioni. Raccolta di storie che, come diceva il Che, sono problemi individuali e di cui si discute privatamente, e non c’è occasione di studiarli quando si analizza la storia della rivoluzione. Nel corso di tutti questi anni di letture e di conversazioni, ho trovato alcune chiavi interpretative: una frase, un’immagine… Per esempio, gli anfibi allacciati a metà. Mi sembrava curioso trovare fotografie che, una dopo l’altra, mostravano il direttore del Banco nacional, il ministro dell’Industria, l’am­14


basciatore rivoluzionario con gli anfibi allacciati a metà, forse perché aveva sempre fretta. Un personaggio di cui Desnoes diceva che «doveva essere accecante se anche i più opachi al suo passaggio ne erano illuminati», e che fu descritto da Debray come «il più austero tra quanti praticano il socialismo».

III Dall’uscita dell’edizione riveduta e ampliata di questo libro sono state rese pubbliche nuove informazioni sulla vita di Ernesto Guevara: sono stati trovati i suoi quaderni di Praga, gli Apuntes críticos a la economía política, la sua antologia poetica (El cuaderno verde, che poi è risultato essere rosa), un paio di racconti, le biografie che scrisse su Marx ed Engels, molti degli appunti sulle sue letture adolescenziali e gli elenchi delle letture fatte in Congo e in Bolivia. L’attesa pubblicazione di Evocación. La mia vita a fianco del Che, di Aleida March, fornisce molti elementi sulla sua vita privata durante gli anni sessanta. Le notizie sul periodo al ministero dell’Industria si arricchiscono grazie alle testimonianze di Miguel Ángel Arcos Bergnes, di Tirso W. Sáenz, di due dei suoi «cileni», Romeo e Oyarzún, e a un nuovo libro di Orlando Borrego, Che, recuerdos en ráfaga. Inoltre, l’eccellente intervista di Néstor Kohan a Borrego è un chiaro lascito degli studi e dei dibattiti che si tennero nel ristretto circolo dei compagni del Che, con lui in testa, durante il primo decennio degli anni sessanta. Sono stati pubblicati anche una biografia del generale Bayo scritta da Luisz Díez, Bayo, el general que adiestró a la guerrilla de Castro y el Che, e il libro di Antonio del Conde, El Cuate: Yate Granma. Di grande interesse sono le interviste di José Antonio Fulgueiras a combattenti che affiancarono il Che sulla Sierra Maestra, sull’Escambray e in Congo, che aggiungono alle vicende nuovi particolari e aneddoti. Una conversazione con Soria Galvarro a La Paz mi ha costretto a rivedere la parte del libro sulla Bolivia e ad aggiungere materiali che non avevo utilizzato nelle edizioni precedenti, come il diario originale di Pombo, e a riconsiderare in maniera più giusta tutti i combattenti, grazie al volume compilato dallo stesso Soria e alla minuziosa documentazione fornita dai cinque tomi di Documentos y testimonios; inoltre, la testimonianza di Eusebio Choque, il libro di Eusebio Tapia (Piedras y espinas en las arenas de Ñancahuazú), le conversazioni con Paco, il libro del generale Reque Terán, le ricerche di Vázquez Viaña, di Vania Solares e Arguedas confidencial del giornalista boliviano Roberto Cuevas Ramírez, una biografia ricca di informazioni sul controverso e 15


ambiguo ministro dell’Interno boliviano. Sono state preziose le memorie di Ciro Bustos (El Che quiere verte) e numerosi articoli che speculano sulla scivolosa questione di «chi tradì il Che in Bolivia». Oggi si può accedere a molti materiali non più riservati dell’archivio della cia e a interviste inedite con gli agenti Gustavo Villoldo e Félix Rodríguez. Grazie all’articolo di Gary Tennant, sappiamo qualcosa anche dei rapporti del Che con i trockijsti cubani. A tutta questa produzione di libri di testimonianze, saggi, documenti, al culto laico della sua figura, alle nuove biografie, si sono aggiunti quattro film sul Che (i più interessanti sono quello di Walter Salles e i due di Steven Soderbergh), e altri certo ne verranno girati, decine di documentari, tre nuovi romanzi: quello dell’ex ministro boliviano Juan Ignacio Siles del Valle, Gli ultimi giorni del Che. Il nostro sogno era così grande, dalla curiosa struttura a romanzo-documentario, Las andaduras del Che dello scrittore spagnolo Ramón Chao, che istituisce un parallelo narrativo tra il Che e Don Chisciotte, ed El misterio de las Tanias del cileno Sebastián Edwards. E sto citando solo una piccola parte del nuovo materiale che ho trovato e incorporato al libro. Sono passati quasi tredici anni da quando ho consegnato alla casa editrice il primo manoscritto. Per questo aggiornamento ho utilizzato altri cento tra libri, articoli, foto e documenti, oltre alle migliaia già consultate per la prima e la seconda edizione. Anche se non credo di aver apportato cambiamenti essenziali alle precedenti edizioni, ho corretto alcuni errori, approfondito nuove vicende e aggiunto aneddoti che arricchiscono il ritratto del personaggio. Sembrerebbe che la storia, nell’essenziale, sia ormai stata raccontata, ma alcune polemiche non muoiono, anzi si acuiscono, e ne ho approfittato per affrontarle. La risposta del mercato al culto del Che sta raggiungendo il limite della saturazione, e di fronte a simili fenomeni incontrollati gli intellettuali della nuova destra diventano nervosi: proprio loro, i grandi difensori del capitalismo selvaggio, così benevoli verso il sistema, inorridiscono davanti alle sue aberrazioni. Li infastidisce fino all’isteria il venditore di magliette con l’immagine del Che nel sottobosco dell’economia marginale, si esasperano di fronte all’immoralità di chi, per guadagnarsi qualche pesos, mostra al turista la casa dove visse il Che a Guayaquil, si scandalizzano per la bassezza del Chebusiness. Sono forse i guardiani del Che? I detentori di una qualche purezza morale a noi ignota? Due sono i perfetti esponenti della versione meno edulcorata del nuovo reazionarismo (all’estremità più colta ci sarebbero Jorge Castañeda e il francese Pierre Kalfon): Humberto Fontova, autore di Exponiendo al Che Guevara real y a los útiles idiotas que lo idolatran e di “Fidel’s Executioners”, e Álvaro Vargas Llo­16


sa, con “La máquina de matar: el Che Guevara, de agitator comunista a marca capitalista” e Il mito Che Guevara e il futuro della libertà pubblicato inizialmente in inglese dall’Independent Institute. A essi vanno affiancati Frank Niess e Kate Havelin. Quando i loro scritti sono approdati in rete, in una giostra di citazioni incrociate, hanno scatenato centinaia di articoli che cercano di mostrare quanto fosse politicamente scorretto Guevara («feroce sterminatore di omosessuali a Cuba» si dice in una pagina web, «machista estremista» si legge in tante altre), di ridicolizzarlo in relazione al marketing imperante – come se il povero Ernesto fosse azionista delle fabbriche di magliette che riproducono la sua immagine –, di trasformare il Che in un sadico assassino. Un tema ricorrente è il periodo trascorso dal Che a La Cabaña, in rapporto al quale viene definito «assassino implacabile», «macellaio di La Cabaña», «sicario a sangue freddo». Ho controllato con molta attenzione questi materiali, cercando di capire cosa ci sia di vero. L’ultimo documento di questa leggenda nera è La autobiografía de Fidel Castro di Norberto Fuentes, due tomi di oltre mille pagine ciascuno, con più di duecento riferimenti al Che. Al di là del ridicolo chiacchiericcio anticastrista e del rimestare negli affari privati e metaprivati del processo rivoluzionario che Norberto conobbe bene, il libro non fa distinzioni tra informazione, congettura, pettegolezzo e calunnia, mescolando generosamente il tutto e rendendo assai difficile per il lettore distinguere una cosa dall’altra; inoltre riproduce documenti che non sono tali, e sistematicamente mette in bocca a Fidel pensieri di cui è impossibile stabilire la veridicità. Più vicino al romanzo che alla testimonianza, il libro induce pericolosamente i lettori a prendere per buono il rigore nella narrazione, suffragato dalla perversa avvertenza dell’editore che si tratta della «biografia canonica del dittatore». La riesumazione delle spoglie del Che e di alcuni suoi compagni è stata il pretesto per una nuova polemica, a partire dalla pubblicazione di un articolo dei già noti Maite Rico e Bertrand de la Grange (“Operación Che. Historia de una mentira de Estado”), in cui si sostiene che il corpo dissotterrato a Vallegrande e portato a Cuba non sia quello del Che. L’articolo, particolarmente minuzioso nella ricostruzione della vicenda, ci obbliga a discuterlo nei dettagli. Di tutto questo materiale, e di altro ancora, si darà conto in questa nuova edizione.

IV I testi in corsivo appartengono al Che, sono frammenti di lettere personali e pubbliche, diari, appunti scritti a mano, messaggi, articoli, poesie, libri, di17


scorsi, conferenze, interventi pubblici o semipubblici di cui rimangono gli atti, risposte a interviste e anche alcune sue frasi riportate da testimoni affidabili. È lui il secondo narratore di questa storia, quello che conta. Le note sono state raggruppate alla fine del volume e comprendono spiegazioni sulle fonti informative consultate, brevi ritratti di molti dei personaggi principali, riferimenti a vicende secondarie, polemiche, ampliamenti e interpretazioni. Erano state espunte dal testo per non distrarre da una lettura fluida, ma rivedendomi e rileggendomi ho la sensazione che un lettore critico non dovrebbe ignorare le fonti a cui gli storici attingono. In questo grande mucchio si trovano molti materiali fondamentali.

V L’elenco dei ringraziamenti è immenso: non mi dimentico di Miguel con la sua fotocopiatrice, del mio omonimo Paco Rosas con la sua valigia di ritagli, di tutti i vecchi guevaristi, di Justo Vasco che ha corretto imprecisioni e cubanismi, dei fotografi dell’Avana, della direzione di Verde Olivo; voglio ricordare particolarmente il giornalista Mariano Rodríguez (che mi ha aiutato a scrivere un libro che meritava di scrivere lui) e gli scrittori Daniel Chavarría (che mi ha fatto da autista all’Avana per pura solidarietà), José Latour (che ha fatto la parte del documentarista per amicizia), Luis Adrián Betancourt (che cedendomi il suo archivio ha innalzato un monumento alla fiducia), e il mio collega Jorge Castañeda che, al di là delle divergenze di opinione sul personaggio (discrepanze che sono diventate più profonde con il passare degli anni, via via che Jorge vendeva la sua anima al diavolo e si allontanava dal fantasma del Che), è stato il più leale degli avversari durante la stesura della prima versione, confermando la mia idea originaria per cui, nella storia, nessuno è proprietario di documenti, ma solo di interpretazioni e di modi di raccontarla. A questo elenco si sono aggiunti vari nomi: Santiago Behm, che mi ha fatto avere il suo archivio di famiglia, Orlando Borrego, Zoila Boluarte, Patty González, Roberto Fernández Rematar, Ismael Gómez Dantés, Laura Brown, Dominick Abel, David Cabrera, Julio Pineda, Gianfranco Ginestri, Vladimir L. Kulikov, Soria Galvarro e Loyola Guzmán.

VI L’elaborazione della prima versione di questa biografia mi lasciò in uno stato terribile, pieno di ossessioni e di angosce. Non sapevo che scrivere ­18


una biografia significasse arrivare così vicino alla pelle altrui. Non sapevo quanto ci si esponga alla pazzia vivendo per tanti anni ossessionati da un personaggio, chiusi con lui in una stanza inizialmente vuota che a poco a poco si riempie di dettagli, via via che la storia prende forma. Avvicinarsi troppo a un personaggio come questo è pericoloso. Entrare nella sua testa, uscirne e prendere le distanze, una volta e poi un’altra volta ancora. Mentre scrivevo la sua biografia, sentivo il fuoco arrivarmi fino ai piedi, le ore di lavoro si accumulavano, non distinguevo più le notti dai giorni. Che cazzo mi stava succedendo? Metodo Stanislavskij applicato alla storia? Eppure mi dicevo che se non entri nella pelle del personaggio non puoi capirlo, se non ti avvicini non lo comprendi… La distanza è un metodo da medievalisti. Ma il Che brucia, brucia, accelera, costringe, impone… Resta difficile parlare di questo personaggio a cui Fidel diceva, stando a Debray, che aveva «sempre una battuta di anticipo sulla musica». Immagino che scrivere questa terza versione non salderà i miei debiti personali con Ernesto Guevara, e che lui continuerà a farmi visita nei sogni, rimproverandomi perché non sto mettendo bene i mattoni nella scuola in costruzione.

VII Durante la lettura del nuovo materiale mi sono imbattuto spesso in una polemica sotterranea che deforma malamente la vicenda: le profonde divergenze di giudizio di molti storici e testimoni sulla direzione della rivoluzione cubana, in particolare su Fidel. A partire da queste divergenze, si viaggia nel passato per trovarne conferma, anche a costo di falsificare i fatti. E si rivedono la storia del Che e le sue relazioni con Castro e con la rivoluzione cubana alla luce di fissazioni, di eventi accaduti vent’anni dopo o di fenomeni che Guevara non visse. D’altro canto, la tentazione tipicamente cubana di presentare un Che perfetto, modello indiscutibile che incarna la rivoluzione, permea centinaia di testi, con censure, autocensure, omissioni, mutilazioni e banalizzazioni ideologiche. Ho cercato di non cadere nelle trappole dei mitografi, degli evangelizzatori dell’immagine del Che, e di non farmi contaminare dagli anticastristi con le loro ossessioni extrastoriche. A ogni modo, invito il lettore a non fidarsi e a fare di questo libro, come di qualsiasi altro, una lettura il più possibile critica, irriverente, pignola. Il Che gliene sarebbe grato. 19


VIII Fin dalla sua prima giovinezza, il Che fu un avventuriero, un vagabondo e un romantico. Assetato di terre straniere, paracadutista in territori sconosciuti, mise in pratica un’etica delle emozioni che comandavano sui confini oscuri della ragione. Queste tre grandi virtù, variamente modulate, moderate dall’esperienza e dalle sconfitte, lo accompagnarono per tutta la vita. La sinistra “Neanderthal” degli anni sessanta in cui sono cresciuto metteva quelle parole nel catalogo delle perversioni; erano nomi di malefatte e malattie, “deviazioni piccoloborghesi”. Deviazioni da cosa? Dal cammino verso dove? Esisteva forse un unico cammino? Recuperare il Che oggi significa recuperare parole come queste, riscoprirle nel loro significato originario. Romantico: colui che accarezza con amore le idee, indipendentemente dalla loro possibilità. Vagabondo: colui che concepisce il mondo come scenario di viaggio permanente, dove non bisogna sedersi o fermarsi. Avventuriero: colui che intende la vita come un’avventura le cui conseguenze sono imprevedibili. E insieme a queste, parole come utopista (colui che coltiva l’amore per l’utopia), informale (colui che non bada ed è contro le apparenze), irriverente (colui che non si china davanti a nessun tipo di potere), egualitario (colui che pratica l’uguaglianza nella ricchezza e nella miseria), imprudente (colui che non misura le conseguenze delle proprie parole e delle proprie azioni, e che ha perso il senso conservatore della prudenza). Parole che associo fortemente all’immagine del Che, che cresce via via che scrivo di lui. Appartengo a una generazione in cui il razionalismo cercava di avere la meglio sul romanticismo, ricoprendolo con una lieve pennellata di assennatezza ma, per quanto si impegnasse, l’elemento romantico emergeva sempre dal sottile strato di vernice e non riusciva mai a sostituirsi a esso; una generazione in cui il marxismo radical-chic ripeteva come una cantilena il verbo “smitizzare”. Sono pienamente consapevole del fatto che smitizzare la figura del Che, riportare il mito all’uomo per via letteraria (non romanzesca: questo libro non ha niente a che vedere con la finzione), l’unica che conosco, raccontare cioè minuziosamente le sue vicende, significa contribuire a una nuova mitizzazione, ma la cosa non mi preoccupa. Credo che i cittadini abbiano diritto ai miti. pit ii Città del Messico maggio 2010

­20


1

2

1-2 L’uomo che aveva sempre fretta e non finiva di allacciarsi gli stivali, una costante guevariana.


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.