segno Spedizione in abbonamento postale Poste Italiane S.p.A. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 ROC · Registro degli operatori di comunicazione n. 18524 - ISSN 0391-3910 00 in libreria
€ 5.
Anno XXXVII
OTT/NOV 2012
242
# 242 - Ottobre / Novembre 2012
Attualità Internazionali d’Arte Contemporanea
SALVATORE SCARPITTA
TOBIA RAVÀ
GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea Exhibition Area - Underground Project Via Magenta 31 - Torino
20 Ottobre 2012 3 febbraio 2013
segno Attualità Internazionali d’Arte Contemporanea
PAOLO CONSORTI
ANSELM KIEFER
GRAZIA TODERI
DOCUMENTA XIII Kassel Segno 242 copertina.indd 1
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Vernissage | December 5, 2012 | By invitation only Catalog order | Tel. +1 212 627 1999, www.artbook.com Follow us on Facebook and Twitter | www.facebook.com/artbaselmiamibeach | www.twitter.com/abmb The International Art Show – La Exposición Internacional de Arte Art Basel Miami Beach, MCH Swiss Exhibition (Basel) Ltd., CH-4005 Basel Fax +41 58 206 31 32, miamibeach@artbasel.com, www.artbasel.com
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#242 sommario
ottobre / novembre 2012 in copertina
Bruce Nauman [17]
Paolo Consorti Palazzo Reale Milano
Tobia Ravà Museo Butti Viggiù
Anselm Kiefer Lia Rumma Milano
Grazia Toderi Vistamare Pescara
Flavio Favelli [25]
documenta 13 Kassel
6/15 Anteprima / News
Mostre & Musei, gallerie e Istituzioni in Italia (a cura di Lisa D’Emidio e Paolo Spadano)
16/57 attività espositive / recensioni / interviste Grandi mostre
Damien Hirst [29]
Le altre mostre
Anselm Kiefer, Galleria Lia Rumma, Milano (Silvia Bottani pag.26); Damien Hirst, Tate Modern, Londra (Roberta Minnucci, pag.); Yue Minjun, Fondazione Cartier, Parigi (di Pi Li, pag.28); Vincenzo Agnetti, CIAC Foligno (Matteo Galbiati, pag.34); Mimmo Paladino, Pinacoteca Provinciale, Bari (Maria Vinella, pag.34); Daniel Buren, MARCA Catanzaro (Simona Caramia, pag-35); Eliseo Mattiacci, Centro d’Arte Monteciccardo (Adele Cappelli, pag.36); Grazia Toderi, Galleria Vistamare (Maria Letizia Paiato, pag.37); H.H. Lim, Penang, Middelburg, Roma (Giuliana Benassi, pag. 38); Gran Tour del contemporaneo in Abruzzo, Teramo, Pescara, Chieti, Carla Accardi, Palazzo Clementi Castelbasso; Radici , Palazzo De Santis Castelbasso; Visioni, La fortezza plurale dell’arte, Fortezza Borbonica, Civitella del Tronto; Fuoriuso, Pescara (a cura di Maria Letizia Paiato pag.40-44); XLV Premio Vasto, POPISM, 63° Premio Michetti, Oliviero Toscani, Razza Umana, Pescara (a cura di Lucia Spadano, pag.44-45); Mediterraneo: incontri o conflitti Gagliano del Capo, Periplo della scultura contemporanea, Sassi di Matera (a cura di Maria Vinella, pag.46);); Afterall, Dino Morra Arte Contemporanea, Napoli (Stefano Taccone, pag.47); Accesa! Arte illuminata, Monteprandone, (Dario Ciferri, pag.47); Marche Centro d’Arte, PalaRiviera, San Benedetto del Tronto (Dario Ciferri pag.48-49); Maria Luisa Tadei, Ritrovo di Rob Shazar, Sant’Agata de’ Goti (a cura di Lucia Spadano, pag.50); Vito Bucciarelli, Polo Museale Santo Spirito, Lanciano, (Umberto Palestini, pag.50); Gian Marco Montesano, Palazzo Panichi, Pietrasanta (un corsivo dell’artista, pag.51); Paolo Consorti, Palazzo Reale, Milano (Matteo Galbiati, pag.52); Marisa Albanese, Studio Trisorio, Napoli (Stefano Taccone, pag.52); Tobia Ravà, Museo Butti, Viggiù (Daniele Capra, pag. 54); Marco Baldicchi, Museo di Santa Croce, Umbertide (Rita Olivieri, 55); Politikaction, Di.st.urb, Scafati, (Chiara Pirozzi, pag.55); Miranda Gibilisco, Museo delle Genti d’Abruzzo, Pescara, Museo Diocesano, Brescia (a cura di Lucia Spadano,pag.55);
Yue Minjun [30]
news e tematiche espositive su www.rivistasegno.eu
La voce delle Immagini a Palazzo Grassi Venezia (a cura di Lucia Spadano pag.16); The Small Utopia, Ars Multiplicata, alla Fondazione Prada Venezia (a cura di Lucia Spadano, pag.17); Documenta 13, Kassel (di Pietro Marino e Marilena Di Tursi, pag.18), Gli artisti italiani a dOcumenta 13 (di Antonella Marino, pag. 22); La storia che non ho vissuto, Castello di Rivoli (Gabriella Serusi, pag.24); NEON, la materia luminosa dell’arte, MACRO Roma (Ilaria Piccioni, pag.24); Mostra Internazionale di Architettura - Common Ground, Venezia (a cura di Lisa D’Emidio e Lucia Spadano, pag.56-57);
Memorie d’Arte
Bauhaus: Art as Life, Barbican Art Gallery, Londra (Roberta Minnucci, pag.58); Some little Fluxus events and Fluxus Concert, Fondazione Prada Ca’ Corner della Regina (a cura di Lucia Spadano, pag.59); Addio a Denise Renè (redazione di Segno); Anni ‘70 - Arte a Milano dal 1969 al 1980, Palazzo Reale, Milano (Andrea Fiore, pag.60-61);
Attività didattica
Workshop, Laboratorio di progettazione promosso da A.A.M Extramoenia. a Gallipoli (Vincenzo D’Alba e Francesco Maggiore, pag. 62-65 )
Interviste a operatori
Razza Umana [45]
Coversazione con Andrea Bruciati (a cura di Luciano Marucci, pag.67)
espositive 68/72 documentazione / attività dal web al cartaceo
In breve altre mostre in corso o concluse in Italia a cura di Paolo Spadano e collaboratori
segno
periodico internazionale di arte contemporanea
Direzione e redazione Corso Manthonè, 57 65127 Pescara Telefono 085/61712 Fax 085/9430467 www.rivistasegno.eu redazione@rivistasegno.eu
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Soci Collaboratori e Corrispondenti: Paolo Aita, Raffaella Barbato, Silvia Bottani, Veronica Caciolli, Simona Caramia, Dalia Della Morgia, Lia De Venere, Anna Saba Didonato, Marilena Di Tursi, Matteo Galbiati, Andrea Mammarella, Antonella Marino, Luciano Marucci, Roberta Minnucci, Francesca Nicoli, Cristina Olivieri, Rita Olivieri, Maria Letizia Paiato, Ilaria Piccioni, Gabriele Perretta, Chiara Pirozzi, Valentina Ricciuti, Gabriella Serusi, Stefano Taccone, Antonello Tolve, Piero Tomassoni, Alessandro Trabucco, Paola Ugolini, Stefano Verri, Maria Vinella.
ABBONAMENTO SPECIALE PER SOSTENITORI E SOCI da E 300 a E 500 L’importo può essere versato sul c/c postale n. 15521651 Rivista Segno - Pescara
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Anteprima/News
a cura di Lisa D’Emidio e Paolo Spadano
FIRENZE
PRATO
Anni ‘30 Francis Bacon
A Palazzo Strozzi, con la curatela di Antonello Negri con Silvia Bignami, Paolo Rusconi, Giorgio Zanchetti e Susanna Ragionieri, Anni ‘30. Arti in Italia oltre il Fascismo, mostra che racconta un decennio attraverso i capolavori, 99 dipinti, 17 sculture, 20 oggetti di design, di oltre quaranta dei più importanti artisti dell’epoca quali Sironi, de Chirico, Savinio, Funi, Carrà, Cagli, Nathan, Lega, Rosai, Soffici, Morandi, Ram, Thayaht, Donghi, Marini, Guttuso, Gambini, C. Levi, de Pisis, Scipione, A. Maraini, Fontana. Nel Centro di Cultura Contemporanea Strozzina, a cura di Franziska Nori e Barbara Dawson, la mostra Francis Bacon e la condizione esistenziale nell’arte contemporanea propone il lavoro di artisti contemporanei che investigano il tema dell’esistenza nel rapporto tra individuo e collettività. Un nucleo centrale di dipinti di Francis Bacon entra in dialogo con cinque artisti internazionali contemporanei: Nathalie Djurberg, Adrian Ghenie, Arcangelo Sassolino, Chiharu Shiota, Annegret Soltau.
MILANO
Fuoriclasse
Promossa dall’Assessorato a Cultura, Moda, Design con la Galleria d’Arte Moderna e il Padiglione d’Arte
Barzagli Storia degli UFO
Ricca la programmazione annunciata dal Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci. In continuità con la serie di mostre personali dedicate agli artisti nati negli anni Sessanta, a partire dal 30 settembre la prima mostra personale in un museo di Massimo Barzagli dal titolo Grandezza Naturale: in contrapposizione serie
Massimo Barzagli, Fiorile, 1993, courtesy Galleria L’Attico, Roma
Contemporanea, la mostra collettiva Fuoriclasse, a cura di Luca Cerizza, riunisce 60 artisti selezionati tra quelli che hanno frequentato, o ancora frequentano, i corsi di Alberto Garutti nelle accademie di Bologna, Milano e Venezia. Con tali premesse, la mostra non vuole essere solo sintesi di una straordinaria esperienza educativa tutt’ora in corso, ma anche e soprattutto uno spaccato significativo sul lavoro degli artisti formatisi in Italia negli ultimi venti anni. I partecipanti vanno dai nomi oramai affermati internazionalmente come Meris Angioletti, Roberto Cuoghi, Lara Favaretto, Giuseppe Gabellone, Petrit Halilaj, Diego Perrone, Paola Pivi e Patrick Tuttofuoco, a giovanissimi colleghi come Giulio Frigo, Christian Frosi, Alessandro Agudio, Davide Stucchi, Marco Basta, Simone Berti, Cherimus, Chiara Luraghi e Stefania Galegati.
Gino Marotta, Scatola temporale, 2011, courtesy Galleria Peccolo, Livorno
Mauro Staccioli
Simone Berti, Alberto, 2012, tecnica mista su carta, cm.30x21, courtesy Galleria Vistamare, Pescara
La galleria A arte Studio Invernizzi propone una personale di Mauro Staccioli dal titolo Forme Perdute. In questa terza occasione di collaborazione con la galleria, lo scultore ha specificamente ideato un percorso che tende a sottolineare continuità e attraversamento dello spazio espositivo. Staccioli è, in contemporanea, anche protagonista de Gli anni di cemento 1968-1982, esposizione a cura di Bruno Corà da Mara Coccia Arte Contemporanea a Roma, in cui si presenta un nucleo di quindici opere in ferro e cemento, argomento di un recente volute curato da Andrea Alibrandi e Simona Santini, edito in collaborazione con l’Archivio Mauro Staccioli dalle Edizioni Il Ponte, Firenze e dalla Galleria Niccoli, Parma. Mauro Staccioli, 2000, veduta dell’esposizione courtesy A arte Studio Invernizzi, Milano
REGENT’S PARK
FRIEZE LONDON 11-14 ottobre 2012
Come ogni anno ad ottobre Regent’s Park ospita la Fiera d’Arte Contemporanea Frieze London: per la decima edizione i direttori Amanda Sharp e Matthew Slotover hanno selezionato 170 galleristi che propongono opere di artisti provenienti da 34 paesi (quest’anno anche Argentina, Cina, Colombia, Ungheria, India, Corea e Sud Africa), tra le quali Algus Greenspon (New York), Casas Riegner (Bogota), Jessica Bradley Art + Projects (Toronto), Chatterjee & Lal (Mumbai), Chert (Berlino), dépendance (Brussels), One And J. Gallery (Seoul) and RaebervonStenglin (Zurigo). Le gallerie italiane presenti sono 7: Massimo De Carlo, Milano; Giò Marconi, Milano; Galleria Franco Noero, Torino; Galleria Lorcan O’Neill, Roma; Galleria Raucci/Santamaria, Napoli; T293, Roma e Fonti, Napoli. Dopo il lancio a maggio nell’edizione newyorchese di Frieze, anche Londra affianca alle classiche una nuova sezione,
Focus, che accoglie gallerie di non più di dieci anni focalizzate sul lavoro di non più di tre artisti. La diversità geografica e la freschezza delle gallerie partecipanti si conferma in Frame, sezione curata da Rodrigo Moura e Tim Saltarelli, che propone 21 giovani gallerie con meno di sei anni di attività – 16 delle quali mai state prima a Frieze – che presentano i lavori di un singolo artista, tra i quali Bani Abidi, Experimenter (Kolkata); Xavier Antin, Galerie Crèvecoeur (Paris); Carolina Caycedo, La Central (Bogota); Lukas Jasansky & Martin Polak, SVIT (Prague); Mike Kuchar, François Ghebaly Gallery (Los Angeles); István Csákány, Kisterem (Budapest) e Lucas Blalock, Ramiken Crucible, (New York). Confermando la propria vocazione di catalizzatore di eventi della scena dell’arte, Londra sarà in contemporanea palcoscenico di una seconda fiera, Frieze Masters una nuova fiera con uno sguardo contemporaneo sull’arte storica. Frieze Projects, curato da Sarah McCrory come ogni anno propone inoltre 5 artisti per la realizzazione di un lavoro site-specific per Frieze London 2012: Thomas Bayrle, Aslı Çavuşoğlu, DIS magazine, Grizedale Arts / Yangjiang Group e Joanna Rajkowska. Vince il premio Emdash Award 2012 Cécile B Evans, con il suo progetto di una audio-guida alla fiera con tanto di accompagnatore olografico.
gallerie italiane è rappresentata da Alfonso Artiaco, Napoli; Continua, Beijing, Boissy-le-Châtel, San Gimignano; Raffaella Cortese, Milano; Massimo De Carlo, London, Milano; Tiziana Di Caro, Salerno; kaufmann repetto, Milano; Francesca Minini, Milano; Massimo Minini, Brescia; Monitor, Roma; Franco Noero , Torino; Tucci Russo, Torre Pellice (Torino); T293, Napoli, Roma; Tornabuoni Arte, Crans Montana, Firenze, Forte dei Marmi, Milano, Paris, Portofino – Genova. Per la rassegna di arte outdoor Hors les Murs FIAC 2012 propone la settima edizione di arte nei Jardins des Tuileries, con una serie di imponenti sculture, installazioni ed opere effimere, sparse nei prati, nelle fontane, nei sentieri e tra i cespugli dei rinnovati giardini delle Tuileries, realizzate da artisti quali Mircea Cantor, Jeppe Hein, William Kentridge e Gerhard Marx, Marc Quinn, Pascale Marthine Tayou. I Jardins
grand palais
Fiac Parigi Rendez vous à Paris 18-21 ottobre 2012
Il maestoso scenario del Grand Palais accoglie per la 39ima edizione della Fiera Internazionale d’Arte Contemporanea a Parigi 182 gallerie da 24 paesi, con opere di più di 3000 artisti provenienti da tutto il mondo. Il rinnovato Salon d’honneur, cuore del Gran Palais, ospita oltre al Contemporaneo, le gallerie specializzate nel Moderno, mentre il primo piano le gallerie d’arte contemporanea, le gallerie con proposte di giovani artisti, e il Settore Lafayette, con 10 gallerie internazionali che presentano artisti emergenti selezionati da una giuria indipendente di curatori internazionali, tra le quali Tiziana Di Caro, Salerno; Essex Street, New York; Neue Alte Brücke, Francoforte. Una folta presenza di
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>anteprima e news gallerie e istituzioni su www.rivistasegno.eu< dell’ultimo decennio e alcune dei primi anni ‘90. L’area Lounge/Project al piano terra del museo ospiterà per la prima volta Storia degli UFO, gruppo d’avanguardia radicale fiorentino che opera dal 1967 tra architettura, azione, arte, design e comunicazione. Il materiale d’archivio raccolto darà anche vita a una pubblicazione dal titolo Ufo story / Storia degli UFO. In viaggio per “la ricostruzione radicale dell’universo”.
Salvatore Scarpitta, courtesy GAM, Torino
ROMA
Gino Marotta
La Galleria nazionale d’arte moderna presenta una mostra/percorso a cura di Laura Cherubini e Angelandreina Rorro, dal titolo Gino Marotta. Relazioni pericolose, esercizio sul linguaggio che mette in relazione la collezione del museo con alcune opere, sia storiche che recenti, di Gino Marotta. Itinerario che perlustra territori di confine tra moderno e contemporaneo, dagli Environment del 1968 ricostruiti negli spazi del Museo, alle Veneri in metacri-
TORINO
Salvatore Scarpitta
La GAM propone, dal 19 ottobre, una grande retrospettiva dedicata a Salvatore Scarpitta (1919–2007), allestita nella Exhibition Area al primo piano del museo e negli spazi espositivi dell’Underground Project al piano interrato. La mostra è incentrata sulle opere degli anni Cinquanta e Sessanta, con un’ampia sezione dedicata ai lavori realizzati con fasce o bende e tecnica mista, più alcune tele estroflesse che testimoniano la tensione a sconfinare dallo spazio pittorico a favore della resa plastica. La curatela del progetto è affidata a un comitato scientifico composto da Germano Celant, Fabrizio D’Amico, Danilo Eccher, Riccardo Passoni e Luigi Sansone. In contemporanea, The Years of The AvantGarde, con opere di Ugo Nespolo.
nonostante non siano sempre conosciuti dal grande pubblico, si sono ritagliati un ruolo importante nella storia dell’arte. Vi è poi, l’esordio di Art Editions, interessante selezione di 5 spazi riservati alle edizioni d’arte: GDM, Parigi; ICA, Londra; OTHER CRITERIA, Londra; WHITE COLUMNS, New York; WHITECHAPEL, Londra. Confermati i programmi Art Walks, con guide d’eccezione alla fiera, e Art Questions, ciclo di incontri con direttori di musei, curatori e critici. Due i progetti curatoriali speciali che si svilupperanno fuori dall’Oval: It’s Not the End of the World, collaborazione tra Artissima e le principali istituzioni torinesi di arte contemporanea; LIDO, percorso di progetti sperimentali in musei e spazi inusuali del Quadrilatero Romano.
UDINE
Keith Haring
Per la III edizione della rassegna culturale Bianco&Nero, nella chiesa medioevale di San Francesco nella mostra Keith Haring extralarge sono allestiti undici monumentali lavori del celebre artista americano Keith Haring: la serie The Ten Commandments e il dipinto The Marriage of Heaven and Hell, il più grande da lui mai creato. A cura di Gianni Mercurio, fino al 15 febbraio 2013. Keith Haring, The Marriage of Heaven and Hell, courtesy The Keith Haring Foundation, New York
Artissima
Robert Doisneau, Il Bacio dell’Hotel de Ville, 1950, © atelier Robert Doisneau
lato e materiali vari, fino alle attuali Ninfee e alle Luci colorate.
Robert Doisneau
A Palazzo delle Esposizioni, fino al 3 febbraio 2013, Robert Doisneau e Parigi: binomio inscindibile tra un grande fotografo e la città che ha amato e immortalato con il suo obiettivo. Paris en liberté raccoglie 240 fotografie originali in bianco e nero, scattate da Doisneau tra il 1934 e il ‘91, raggruppate tematicamente ripercorrendo i soggetti a lui più cari, in particolare i parigini: le donne, gli uomini, i bambini, gli innamorati, gli animali e il loro modo di vivere una città senza tempo.
des Plantes del Museo Nazionale di storia naturale ospitano invece le opere ispirate ai temi della natura, dell’ambiente e della biodiversità realizzate da artisti quali Jennifer Allora & Guillermo Calzadilla, Yto Barrada, Loris Cecchini, Odile Decq, Mark Dion, Lucy + Jorge Orta, Jean Tinguely, Nico Vascellari. Quest’anno una sezione per le sculture large-scale è ospitata nella suggestiva Place Vendôme, con tre monumentali sculture di Jaume Plensa presentate dalla Galleria Lelong di Parigi, mentre l’Esplanade des Invalides presenta Sacrilege, il sacrilego tempio gonfiabile di Stonehenge di Jeremy Deller. Dopo la consacrazione di artisti quali Thomas Hirschhorn, Tatiana Trouvé, Mircea Cantor, gli artisti nominati per l’edizione 2012 del Premio Marcel Duchamp sono Valérie Favre (Jocelyn Wolff, Parigi), Daniel Dewar & Grégory Gicquel, (Loevenbruck, Parigi), Bertrand Lamarche (Poggi, Parigi), Franck Scurti (Michel Rein, Parigi).
MIAMI BEACH
Art BaseL 6-9 dicembre 2012
Per l’edizione 2012 Art Basel Miami Beach accoglie dal 6 al 9 dicembre, una selezione di 257 gallerie internazionali, provenienti da 31 paesi e 5 continenti, che propongono opere che spaziano dal Moderno al Contemporaneo. Circa la metà proviene da Stati Uniti e America Latina, ma è forte anche la presenza del Brasile e dell’Europa, e in aumento quella della Cina: 11 sono le gallerie che rappresentano l’Italia (Alfonso Artiaco Napoli, Galleria Continua San Gimignano, Galleria Massimo De Carlo Milano, Galleria Fonti Napoli, kaufmann repetto Milano, Magazzino Roma, Francesca Minini Milano, Galleria Franco Noero Torino, Lia Rumma Milano, Galleria Christian Stein Milano, Zero... Milano). Come per ogni edizione le gallerie sono suddivise in diversi settori, a seconda delle proprie proposte: Art Galleries, il settore principale, raccoglie 201 gallerie che propongono tra gli altri molti lavori orientati al Moderno, sottolinenando la linea storica scelta quest’anno da Art Basel Miami Beach; Art Nova si propone come piatta-
È ormai ai blocchi di partenza Artissima 19, Internazionale d’Arte Contemporanea, da quest’anno sotto la direzione artistica di Sarah Cosulich Canarutto. L’edizione 2012 si preannuncia contraddistinta da diverse novità, per quanto concepita nel segno della continuità rispetto ai punti di forza che nel corso degli anni hanno permesso alla manifestazione di conquistare una posizione di rilievo nel contesto internazionale. Il Lingotto Fiere si appresta a ospitare 170 gallerie (53 italiane e 117 straniere) suddivise nelle tradizionali quattro sezioni: Main Section, per le gallerie più rappresentative del panorama artistico mondiale; New Entries, per giovani gallerie, tra le quali verrà assegnato il Premio Guido Carbone per il lavoro di ricerca e promozione di giovani artisti; Present Future, dedicata a 20 artisti emergenti invitati da un team di giovani curatori internazionali, che prevede l’assegnazione del Premio Illy Present Future; Back to the Future, dedicata ad artisti attivi negli anni ’60 e ’70 che,
forma per 40 giovani gallerie, offrendo l’occasione di presentare 2 o 3 artisti selezionati, con opere nuove, realizzate negli ultimi tre anni. Nato come spazio dedicato alle novità, il settore presenta più di 100 artisti provenienti da tutto il mondo: Francesca Minini presenta i lavori di Becky Beasley e Simon Dybbroe Möller, Kavi Gupta Gallery quelli di Theaster Gates e Angel Otero; Vitamin Creative Space quelli di Hao Liang, Yangjiang Group e Zheng Guogu. Art Positions presenta una selezione di 16 gallerie, con una serie di progetti realizzati da un singolo artista emergente: Christian Flamm, (Galleria Fonti) Julieta Aranda, (Galerie mor.charpentier), Matt Keegan (Altman Siegel Gallery SF). Il settore Art Kabinett accoglie una selezione di mostre collettive tematiche e solo show di artisti emergenti; mentre Art Video presenta i video di artisti che si esprimono attraverso i media, in due diverse location (all’interno del Miami Beach Convention Center e nel parco SoundScape con la proiezione all’aperto sulle mura del New World Centre, disegnato da Frank Gehry). Infine Art Public è completamente dedicato alle sculture large-scale e alle performance, negli spazi esterni di Collins Park. Numerose saranno le collezioni private e i musei che apriranno le proprie porte agli appassionati di arte contemporanea,
con eventi e mostre proposti in concomitanza con Art Basel Miami Beach: il MOCA con la mostra ‘Bill Viola: Liber Insularum’, il Miami Art Museum con ‘New Work Miami 2013’, il Bass Museum of Art con ‘The Endless Renaissance - Six Solo Artist Projects: Eija-Liisa Ahtila, Barry X Ball, Walead Beshty, Hans-Peter Feldmann, Ged Quinn, Araya Rasdjarmrearnsook’.
SHANGAI
Palermo Felicissima
Palermo rappresenta l’Italia alla IX edizione della Biennale di Shangai, una Palermo Felicissima raccontata da undici tra artisti italiani e internazionali per la sezione City Pavillion al Museum of Contemporary Art of Shanghai, dove il capoluogo siciliano si confronta con capitali internazionali come Mumbai, Teheran, Mosca, Vancouver, Lyon. Con la curatela di Laura Barreca e Davide Quadrio, troviamo lavori che spaziano dal disegno alla performance, dal video alla scultura a opera di Massimo Bartolini, Pina Bausch, Vanessa Beecroft, Manfredi Beninati, Emma Dante, Formafantasma, Stefania Galegati Shines, Guo Hongwei, Lee Kit, Laboratorio Saccardi e Francesco Simeti.
Laboratorio Saccardi, Cinacria - Sicilian Jesuit in China in the 17th Century, 2012, pannelli di legno dipinto, cm.240x307, courtesy gli artisti
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Anteprima/News ANCONA
Anna Franceschini
La Fondazione Ermanno Casoli presenta con la curatela di Marcello Smarrelli, dal 19 ottobre al 22 dicembre nella sede del Gruppo Elica, a Fabriano, Rock-Paper-Scissors, videoinstallazione di Anna Franceschini frutto di un articolato progetto incentrato sulla città marchigiana e il suo territorio. L’artista sarà insignita del XIII Premio Ermanno Casoli “per la qualità estetica della sua ricerca, espressa attraverso il linguaggio cinematografico, e per l’abilità nel cogliere il punto di vista da cui un luogo, un oggetto, un fenomeno, rivelano la loro natura più intima”.
Anna Franceschini, Senza titolo (Almost Lost), 2010, Super8 trasferito su dvd, 49” in loop, prodotto col supporto di Rijksakademie van Beeldende Kunsten, Amsterdam
BOLOGNA
Cara Domani
Il MAMbo - Museo d’Arte Moderna di Bologna propone, a cura di Caroline Corbetta, l’esposizione Cara Domani. Opere dalla collezione Ernesto Esposito, ampia rassegna collettiva, preziosa occasione per rendere accessibile alla fruizione di un pubblico allargato una selezione di opere provenienti da una importante collezione privata. Opere di avaf, Avery, Barney, Beuys, Burr, Coffin, Colen, Creed, Di Fabio, Djurberg, Fowler/Kosten Koper, Fontaine, Francesconi, Gaillard, Gilbert & George, Henderson, Hirst, Homstvedt, R. Johnson, Katz, Koh, Kosuth, Kusama, Lackey, Lai, Lambie, Larsson, Marti, Martin, Mapplethorpe, McGee, McGinley, Megerle, Monk, Patane, Perego, Per-
AMSTERDAM
Stedelijk Museum
Riapre al pubblico con nuove installazioni delle sue collezioni di arte visiva e design lo Stedelijk Museum, con la mostra inaugurale Beyond Imagination, di giovani artisti olandesi, e una speciale installazione di opere large-scale dalla collezione permanente nel nuovo spazio espositivo, il più grande dei Paesi Bassi, di Carl Andre, Rodney Graham, Joan Jonas, John Knight, Barbara Kruger, Melvin Moti e Diana Thater. Fino all’11 novembre
ATENE
Taryn Simon
Gagosian Gallery presenta Black Square, una serie di fotografie per le quali l’artista Taryn Simon sceglie soggetti spiazzanti, ambigui, eccentrici spaziando in una vasta gamma di categorie culturali quali natura, scienza, governo e religione. Fino al 7 dicembre.
BASILEA
Arte Povera
Il kunstmuseum basel propone Arte Povera. Der grosse Aufbruch, ricognizione su uno dei movimenti più innovativi e influenti del secondo ‘900, attraverso cento opere di Alighiero Boetti, Jannis Kounellis, Mario Merz, Michelangelo Pistoletto, Giovanni Anselmo, Pier Paolo Calzolari, Luciano Fabro, Giulio Paolini, Pino Pascali, Giuseppe Penone, Emilio Prini e Gilberto Zorio appartenenti alla Goetz Collection.
BILBAO
Guggenheim Museum
La mostra Inhabited Architecture, a cura di Lucía Agirre, raccoglie sei lavori inediti dalla collezione del Guggenheim Bilbao di cinque artisti internazionali: Liam Gillick, Doris Salcedo, Cristina Iglesias, Mona Hatoum e Pello Irazu. Fino al 19 maggio 2013.
DÜSSELDORF
Harding Meyer
La Galerie Voss presenta Features una serie fotografica di collage-sculture, sul tema della fisiognomica umana, realizzata con ritratti fotografici che Harding Meyer ottiene mescolando elementi ritagliati da volti e ricavati dai diversi media: internet, riviste e TV. Fino al 6 ottobre. Harding Meyer, Ohne Titel, 2012, olio su tela, cm.120x150 courtesy Galerie Voss, Düsseldorf
nice, Pierson, Pistoletto, Prince, Pruitt, Ramos, Rauschenberg, Rees, Rondinone, Ruff, Sarabia, Shearer, Schinwald, A. Snow, D. Snow, Soto Climent, Sterling, Willis Thomas, Tyson, Twombly, Vedovamazzei, Valldosera, Vezzoli, Vonna-Michell, Walker, Warhol, Wearing, Wolfson, A. Young.
BRESCIA
Woodman / Battaglia
La Galleria Massimo Minini dedica la programmazione autunnale a una doppia mostra di due grandi fotografe del Novecento: la statunitense Francesca Woodman, sfortunata autrice dalla breve e intensa parabola creativa, e l’italiana Letizia Battaglia, vulcanica fotoreporter e politica palermitana impegnata su tutti i fronti sociali più caldi.
Letizia Battaglia, Nella spiaggia dell’Arenella la festa è finita, 1986, cm.50x40 Francesca Woodman, Untitled, New York, 1979-80, stampa in gelatina d’argento, cm.14,5x14,5, courtesy Massimo Minini, Brescia
CATANZARO
Geometrie del desiderio
Il Centro per l’arte contemporanea Open Space, in occasione dell’ottava Giornata del Contemporaneo, promossa da AMACI, inaugura il 6 ottobre Geometrie del desiderio, mostra tra parola e immagine curata da Roberto Lacarbonara e dedicata alla poesia del poeta e scrittore pugliese Silvano Trevisani. Invitati dieci artisti appartenenti a generazioni, formazione e linguaggi artistici diversi: Arcuri, Carrino, Catania, Ceccobelli, De Filippi, G. De Mitri, Iurilli, Paradiso, Spagnulo, Violetta. Giulio De Mitri, Passaggio, acrilico, alluminio, corpi illuminanti, forex, tela, cm.70x110x8,5, courtesy Open Space, Cz
EINDHOVEN (NL)
Piero Gilardi
Il Van Abbemuseum presenta la mostra antologica, Collaborative effects seconda tappa del percorso espositivo di una organica indagine sulle esperienze artistiche di Piero Gilardi del periodo 1963-1985. La mostra comprende un gruppodi “opere cardine” degli anni ‘60, documentazione sul lavoro teorico svolto all’insegna della “Microemotive Art” e delle attività di animazione artistica di valenza sociale e politica, svolte dall’artista dagli anni ‘60 ad oggi. Una documentazione audiovisuale sul Parco d’Arte Vivente della Città di Torino. Fino al 6 gennaio 2013.
HONG KONG
Joel Morrison
La Gagosian Gallery presenta le sculture recenti di Joel Morrison. Per la sua prima mostra personale in Asia, Morrison presenta le sue particolari sculture, composte di oggetti trovati e quotidiani, e busti di manichini assemblati con bottiglie d’acqua, palloncini, carrelli della spesa, fuse in forme polimorfe nell’acciaio inossidabile. I suoi lavori ricalcano il percorso della storia della scultura occidentale, dalla classica greca, fino al Futurismo e al readymade di Duchamp. Fino al 17 novembre.
LONDRA
Tino Sehgal
La Tate Modern ha scelto il lavoro dell’artista anglo tedesco Tino Sehgal per l’edizione 2012 del progetto Unilever Series, installazione artistica pensata per gli ampi spazi della Turbine Hall. L’artista propone These associations: per la prima volta la Turbine Hall viene animata da una performance live, nella quale un’assemblea di persone interagisce con il pubblico, attraverso movimenti e azioni coreografate, musica e conversazione. Fino al 28 ottobre.
Callery / Harding / Voskuil
La Sumarria Lunn Gallery presenta Painting: Pulled, Stretched, Revealed la mostra che raccoglie i lavori dei tre artisti Simon Callery, Alex Harding e Jan Maarten Voskuil, che spaziano dalla bidimensionalità dell’opera, fondendo le caratteristiche di pittura e scultura, per creare pitture “scultoree” e opere tridimensionali. Fino al 24 novembre.
Conrad Marca-Relli, December 3 courtesy Ronchini Gallery, Londra
COMO
Miniartextil
Nelle sedi di Villa Olmo e di Villa Carlotta (a Tremezzo), la dodicesima edizione di Miniartextil, mostra/concorso curata da Luciano Caramel e annuale punto di riferimento internazionale per la fiber art, si incentra sul tema portante dell’Agorà, occasione di scambio e confronto a livello mondiale. Tra i 54 finalisti segnaliamo l’irlandese Claire Morgan, il texano Gabriel Dawe, per la prima volta in Italia, il rumeno Martin Emilian Balint, il portoghese David Miguel Oliveira, il giapponese Kiyonori Shimada, la norvegese Tonje Hoydahl Sorli e l’inglese Richard Sweeney.
COSENZA
Adele Lotito L’Associazione Vertigo Arte presenta, dal 6 al 31 ottobre con la curatela di Paolo Aita, la mostra de le stelle fisse di Adele Lotito. Forme e figure ci fanno riflettere sul sistema che governa il Cosmo, e sulla nostra posizione al suo interno. L’artista riassume questi rapporti armonici e affascinanti attraverso lettere e numeri, basi fondanti della sua ricerca.
Adele Lotito, de le stelle fisse, courtesy Vertigo Arte, Cosenza
FIRENZE
Florens 2012
Torna per la seconda edizione Florens, Biennale Internazionale dei Beni Culturali e Ambientali, affrontando il tema Cultura, qualità della vita sotto la direzione culturale di Mauro Agnoletti, Andrea Carandini, Walter Santagata e quella artistica di Davide Rampello. 300 i relatori internazionali previsti per 3 giorni di Forum Internazionale, 43 tra convegni e tavole rotonde, 6 Lectio Magistralis e una proiezione cinematografica inedita del National Geographic.
Giuseppe Penone
La Gagosian Gallery presenta dal 9 ottobre la mostra Intersecting Gaze / Sguardo Incrociato di Giuseppe Penone. Fino al 24 novembre.
Anish Kapoor
Lisson Gallery presenta negli spazi di Bell Street, dal 10 ottobre al 10 novembre, le nuove opere di Anish Kapoor: la mostra segna i 30 anni di collaborazione dell’artista indiano con la galleria londinese, e raccoglie una serie delle sue opere più recenti.
Marca-Relli / Barbieri
Ronchini Gallery, in collaborazione con l’Archivio MarcaRelli di Parma, presenta la prima monografica su Conrad Marca-Relli (1913-2000) in Gran Bretagna. La mostra The Architecture Of Action, curata da Kenneth Baker e David Anfam, pone all’attenzione del pubblico una selezione di opere realizzate nel corso di sessanta anni di carriera da un esponente chiave dell’Espressionismo Astratto. A seguire, la mostra site specific_LONDON 12 del fotografo e artista Olivo Barbieri, che raccoglie la prima serie di fotografie aeree di Londra, parte di un suo progetto speciale di serie site specific. Dal 30 novembre al 12 gennaio 2013.
Theaster Gates
White Cube presenta il lavoro dell’artista, curatore e attivista Theaster Gates, My Labor Is My Protest, una poliedrica installazione che investiga i temi della discriminazione razziale e della storia dei diritti civili, attraverso scultura, installazione, performance e opere bidimensionali esposte sia all’interno che all’esterno degli spazi della galleria di Bermondsey. Fino all’11 Novembre. Theaster Gates, My Labor Is My Protest (dettaglio), 2012, camion dei pompieri Hahn del 1969, catrame e video courtesy White Cube, Londra
Berlinde De Bruyckere
Per la serie Outdoor Sculpture Hauser & Wirth presenta la nuova scultura di Berlinde De Bruyckere: sotto il campanile della chiesa di St. James un cervo che giace su di una lastra di pietra nel tranquillo parco Southwood Garden. L’artista belga nota per i suoi ritratti franchi e diretti delle qualità umane della fragilità, vulnerabilità e imperfezione, usa una sensibilità contemporanea che combina bellezza poetica e realismo brutale. Fino a dicembre 2012.
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>anteprima e news gallerie e istituzioni su www.rivistasegno.eu< Bernd Zimmer
FOLIGNO
Giuseppe Terragni
Il CIAC Centro Italiano Arte Contemporanea, propone dal 6 Ottobre Il primo architetto del tempo, mostra dedicata all’opera di Giuseppe Terragni, a cura di Attilio Terragni e di Italo Tomassoni. L’evento vuole essere la testimonianza di un’esperienza che ha fondato la modernità italiana, con una visione del mondo di grande responsabilità e autocoscienza, dai progetti degli anni ‘20 e ‘30 fino al Danteum, progetto per un centro studi a Roma dedicato alla figura di Dante, realizzato in collaborazione con Daniel Libeskind.
GENOVA
Lucio e Giordano Pozzi
UnimediaModern Contemporary Art apre la stagione espositiva con la mostra Intrecci/Weaves di Lucio Pozzi e Giordano Pozzi. Lucio presenta una nuova serie di lavori, il gruppo Ditto, fotografie sulle quali interviene dipingendo forme geometriche che imitano impercettibilmente il colore e i profili sui quali sono aggiunte. Giordano crea una struttura che interagisce con le foto del padre, ma anziché saldare un intrico di aste di ferro come in altre sue opere, unisce l’una all’altra strette lastre di DBond in un labirinto tridimensionale di forme.
LIVORNO
Hans Richter
Dal 6 ottobre al 15 novembre, alla Galleria Peccolo la mostra di Hans Richter dal titolo opere 1950-1970 e film 1921-1961. In esposizione un’ampia documentazione sulla carriera e l’opera dell’artista tedesco, attraverso la sua ricerca di un equilibrio tra caso e ordine, tra improvvisazione e libero arbitrio.
Giorgio Brogi, El Cairo 13, cm.158x105, courtesy l’artista
LUCCA
Giorgio Brogi
Nella cornice di Villa Bottini, a partire dal 20 ottobre, Un passo indietro, mostra site specific di Giorgio Brogi a cura di Enrico Mattei e Lorenzo Bruni. Pitture, video proiezioni ambientali e performances ispirate all’idea di compiere un passo indietro, ri-pensando costantemente il presente attraverso la materia, i mezzi, il colore ed il luogo di cui vive l’arte stessa.
MILANO
Gringler / Kobe
Doppia occasione alla Brand New Gallery che presenta Black Mass, prima personale italiana dell’artista canadese Jason Gringler, mostra ideata appositamente per gli spazi della galleria e composta da una monumentale installazione site-specific da parete, che si configura in una griglia di specchi frammentati che costituiscono alternanze geometriche continue di positivo e negativo, lavoro in cui lo spettatore, riflettendosi, diviene parte della struttura e si scompone in immagini piene che si rincorrono interponendo un vuoto oscuro. Altra prima in Italia è dystown, personale di Martin Kobe che raccoglie i frutti degli ultimi due anni di lavoro, produzione meticolosa che cattura sulla tela le impressioni di un uomo nato durante la Repubblica Democratica Tedesca e che ha avuto modo di assistere alla pianificazione socialista urbana e ha fatto dell’architettura un’ossessione feconda. Martin Kobe, Senza titolo, 2012, acrilico su tela, cm.40x50, courtesy l’artista e Brand New Gallery, Milano
Hans Richter, Rhythmus 25, 1925, pellicola colorata a mano, fotogramma, courtesy Galleria Peccolo, Livorno
MADRID
Germán Gómez
La Galería Fernando Pradilla presenta la mostra Años 30, installazione fotografica che spazia dall’immagine fotografica pura alla manipolazione attraverso il collage. Fino al 20 ottobre
MOSCA
Joseph Beuys
Il Moscow Museum of Modern Art presenta Appeal for an Alternative la retrospettiva a cura di Eugen Blume, uno degli eventi chiave dell’Anno della Germania in Russia 2012/13. Fino al 14 novembre.
NEW YORK
Regarding Warhol
Per decenni la critica ha sottolineato l’impatto di Andy Warhol sul panorama artistico a lui contemporaneo, ma nessuna esposizione ha ancora esplorato gli esiti odierni della sua influenza. Il Metropolitan Museum offre questa opportunità con Regarding Warhol. Sixty Artists, Fifty Years, occasione di accostare il lavoro di Warhol, dipinti, sculture, film, a cento creazioni di artisti che reinterpretano, rispondono o reagiscono alle sue provocazioni instaurando un proficuo dialogo intergenerazionale. Cinque le sezioni tematiche con lavori di Jeff Koons, Damien Hirst, Ai Wei Wei, Elizabeth Peyton, Karen Kilimnik, Cindy Sherman, Richard Avedon, Peter Hujar, Christopher Makos, Robert Mapplethorpe, Catherine Ai Wei Wei, Neolithic Vase with Coca-Cola Logo, 2010, pittura su Opie, Richard Prince, vaso neolitico (5,000-3,000 AC), Cindy Sherman, Christopher Wool, Takashi cm.24,8x24,8x24,8, courtesy Mary Boone Gallery, New York Murakami.
Joseph Kosuth
Leo Castelli Gallery presenta la mostra Joseph Kosuth: Freud, Wittgenstein and Musil con la iconica installazione wall-paper Zero & Not; l’opera neon Number 182 (I/u + V/i), 1989, dalla serie Wittgenstein e R.M. #1, 1992 dalla serie Musil. Fino al 27 ottobre .
Moore / Kneffel
Gagosian Gallery, in collaborazione con The Henry Moore Foundation presenta nella sua sede di West 21st Street,
Karin Kneffel, Untitled, 2012, olio su tela, cm.179,7x240, courtesy Gagosian, New York
Late Large Forms una grande mostra che raccoglie sculture large-scale di Henry Moore, e una serie di maquettes, objets trouvés appartenuti all’artista e modellini in miniatura delle sue opere. Dal 9 novembre al 12 gennaio 2013. Lo spazio di Madison Avenue presenta le opere pittoriche recenti di Karin Kneffel. Fino al 20 ottobre.
PARIGI
Cindy Sherman
Gagosian Gallery presenta una serie di fotografie recenti di Cindy Sherman. L’artista, da più di trent’anni unico soggetto delle proprie fotografie, trasforma se stessa all’infinito: nei suoi scatti più recenti figure femminili, vestite di costumi pesantemente elaborati, si stagliano inquietanti sullo sfondo di vasti e inospitali paesaggi. Per questa serie la Sherman ha scelto quale sfondo i paesaggi vulcanici e desolati delle isole di Capri e Stromboli, dell’Islanda durante l’eruzione del 2012 e di Shelter Island, New York, modificando in seguito le fotografie digitali per ottenere un effetto pittorico e voluttuoso, a ricordare i cieli di Turner e i paesaggi di Barbizon. I costumi ricchi e sontuosi, in stridente contrasto con la nuda intensità dei paesaggi circostanti, provengono dalla collezione haute couture del 1920 di Coco Chanel e dalle creazioni di Karl Lagerfeld. Fino al 10 ottobre.
Mexico City Blues
La Shanaynay di Parigi (fino al 3 novembre) e la New York Gallery di New York (dal 17 novembre al 21 dicembre) presentano la mostra a cura di Chris Sharp che raccoglie i lavori degli artisti Lucas Blalock, Nina Canell, Esther Kläs, Tahi Moore, Camilla Wills e Italo Zuffi.
Mary A. Waters
Galerie Pièce Unique, presenta la mostra Mirrored Girl, nella quale l’artista si confronta nella propria ricerca pittorica con il tema della riproduzione, ponendo ritratti ad olio su tela dove due volti sono contrapposti come davanti ad uno specchio. Fino al 5 gennaio 2013.
PECHINO
Diego Zuelli
Zajia lab // beijing project space presenta A Retrospective, la mostra retrospettiva di Diego Zuelli a cura di Cecilia Freschini. Con il Patrocinio dell’Istituto Italiano di cultura
Lo Studio d’Arte Cannaviello presenta la personale di Bernd Zimmer, Secondo Natura. La mostra propone 20 opere su tela, di medio e grande formato, appartenenti a due cicli di lavori, Kristallwelt e Spiegelwasser, realizzati tra il 2008 e il 2012. Una pittura che si Bernd Zimmer, Tagastronomuove tra rappresenta- mie II, 2010, acrilico su tela, courtesy Studio zione del reale e la sua cm.190x260, Cannaviello, Milano dissoluzione, con risultati costantemente al limite dell’astrazione.
Paolo Chiasera
Da Francesca Minini, Paolo Chiasera propone un’esposizione dal titolo màn. Termine di origine indo-germanica, “màn” ha il significato di pensare, conoscere, intendere, misurare, sulla sua radice si costruisce la parola “mente” e tutti i termini Chiasera, Melancholia, legati al “manere”, da cui Paolo 2012, olio su tela, cm.70x100, la pretesa della mente courtesy Francesca Minini, Mi di essere un contenuto stabile ed eterno. È per questo che l’artista profonde un pensiero che unisce le opere e, attraverso esse, va costruendo un senso del mondo: egli trasmette, per mezzo della pittura, il contenuto visivo di un’intuizione. Tre gli exhibition painting elaborati per l’occasione: Distacco, Madonna della Scodella e Maliconia.
Mann / Carrubba
La galleria Monica De Cardenas presenta una mostra di opere del giovane artista americano Curtis Mann: fotografie rielaborate attraverso parziali modifiche o cancellazioni, con un processo tecnico che esalta la malleabilità delle immagini usate, a volte provenienti dal web e spesdi Pechino. Fino al 14 ottobre.
RIO DE JANEIRO
Roberto Coda Zabetta
Il MAC Museu de Arte Contemporânea de Niterói ospita la mostra personale di Roberto Coda Zabetta VERDADE, a cura di Guilherme Bueno, Maria Savarese e Maurizio Siniscalco, con 27 lavori sull’intensa vicenda dei desaparecidos brasiliani. Dal 6 ottobre al 3 novembre. Roberto Coda Zabetta, Non abbiamo più paura di avere paura urliamo la nostra ragione, 2012, smalto su tessuto, cm.180x120, courtesy MAC, Rio de Janeiro
TUEBINGEN
Nicola Samorì
La Kunsthalle di Tuebingen annuncia Fegefeuer, la mostra personale che raccoglie 60 dipinti e 5 sculture di Nicola Samorì, che si terrà fino al 2 dicembre.
VIENNA
Sudarshan Shetty
La mostra The pieces earth took away alla Galleria Krinzinger raccoglie cinque opere dell’artista indiano Sudarshan Shetty, che ruotano intorno al tema simbolico della morte: tre fotografie che rappresentano rituali funebri indiani, un film e due monumenti sepolcrali. Fino al 20 ottobre.
WINTERTHUR (CH)
Amar Kanwar
Il Fotomuseum Winterthur e Urs Stahel presentano Evidence una grande raccolta di opere video di Amar Kanwar: lavori ispirati ai problemi sociali e politici del subcontinente indiano, quali la guerra tra India e Pakistan e la ricerca disperata della democrazia. Fino al 18 novembre. OTT/NOV 2012 | 242 segno - 9
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Gino Sabatini Odoardi
III°ContrOrdine Museo “Città di Cannara” Cannara (PG) a cura di Martina Cavallarin
fino al 4 Novembre 2012 settembre Sabato e domenica dalle ore 9.00 alle ore 12.00 e dalle ore 15.00 alle ore 20.00 ottobre - novembre Sabato e domenica dalle ore 10.00 alle ore 18.00
Regione Umbria
COMUNE DI CANNARA
MUSEO “CITTA’ DI CANNARA”
s c a t o l a b i a n c a
La mostra è visitabile anche su appuntamento, per informazioni rivolgersi a: Ufficio Cultura - Mario Andreoli 0742/731811
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Marialuisa Tadei
Traiettorie Stellari
Dal 29 settembre al 18 novembre 2012
Galleria Il ritrovo di Rob Shazar
Via Diaz, 26 - 82019 Sant’Agata de’ Goti (BN) www.galleriashazar.it - shazar@virgilio.it +39 0824 832837 - +39 339 1532484
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>anteprima e news gallerie e istituzioni su www.rivistasegno.eu< David Goldenberg
Curtis Mann, Paper fragments (& Fig 4.17), 2012, pagina del libro, vetro acrilico, stampa cromogenica sbiancata, cm.38x33
Valerio Carrubba, Ian is not on Sinai, 2012, olio su acciaio inossidabile, cm.60x44, courtesy Monica De Cardenas, Milano
La galleria Glenda Cinquegrana: The Studio presenta The Scenarios of Post Autonomy, mostra personale dell’artista inglese David Goldenberg. In questa esposizione l’artista approfondisce la sua visione critica sul sistema dell’arte e i suoi meccanismi di produzione simbolica e culturale, prima tappa di una “travelling exhibition” internazionale che avrà come successive tappe Londra ed Eindhoven. Le installazioni in mostra rispondono alla domanda: “in quali condizioni ha senso realizzare un progetto espositivo in una galleria?”.
David Goldenberg, Use these new spaces to build post autonomy, 2009, gesso, installazione al Vanabbemuseum, Eindhoven, Olanda, foto
Carsten Nicolai
Gabriella Benedini Invideo 2012
Warburghiana
Gehard Demetz
La Galleria Rubin propone Objekte, esposizione che raccoglie quattro opere inedite e di recentissima produzione di Gehard Demetz. Queste nuove sculture non rappresentano figure umane, ma particolari di architetture e oggetti di arredo estrapolati dal loro contesto originale, ricostruiti e scomposti per dare forma a una riflessione sul tema del sacro.
Hangar Bicocca propone unidisplay, installazione audiovisiva lunga circa 40 metri dell’artista e musicista tedesco Carsten Nicolai. L’installazione riunisce in sé i temi più importanti del lavoro di Nicolai: la capacità di rendere percepibile il suono in modo ottico, l’estetica minimale che si traduce nell’uso monotonale del colore e delle sonorità, la propensione verso l’astrazione e quella verso l’infinito. In programma, per il 29 novembre, una speciale performance live.
Gehard Demetz, Objekt 1, 2011, legno di tiglio e lacca, cm.76,5x59x21, courtesy Galleria Rubin, Milano, foto Egon Dejori
Günther Förg
Alla galleria Giò Marconi prima occasione di collaborazione con Günther Förg, astrattista tedesco tra i più influenti della sua generazione. In questa mostra personale presentate 25 tele di grande formato, tra cui un monumentale lavoro del 2005 che invade con i suoi 12 metri di lunghezza una delle sale della galleria.
Carsten Nicolai, unidisplay, courtesy Hanger Bicocca, Milano Fausto Falchi, Sciopero a gatto selvaggio, 2010 300 Maneki Neko dorati, chiodi, batterie courtesy l’artista e kaufmann repetto, Milano
La Fondazione Mudima promuove la mostra Abitare a Milano. Opere e interventi all’interno del territorio milanese dagli anni Sessanta ad oggi, focus su alcuni aspetti storici e contemporanei dell’opera di Ugo La Pietra, con una selezione di campioni, accompagnati da pubblicazioni, interventi e progetti nello spazio urbano e nelle aree urbane dagli anni Sessanta al 2012. Ugo La Pietra, Milano. Decodificazione urbana con Vincenzo Ferrari, 1975, courtesy Fondazione Mudima, Milano
Lo Spazio Oberdan propone per questo autunno una mostra da Gabriella Benedini dal titolo Non si riposa il mare che raccoglie cinquanta fra le opere più recenti della produzione polimaterica, a cura di Martina Corgnati, in un percorso che si sviluppa attraverso nove sale, portando il visitatore in un universo ispirato alla metafora della navigazione, Gabriella Benedini, del viaggio e dell’emisfero Costellazioni, 1990 celeste. polimaterico su tela, Dall’8 al 11 novembre cm.70x100, courtesy l’artista va, quindi, in scena la XXII edizione di Invideo, Mostra Internazionale di video e cinema oltre. Più di 500 i lavori iscritti in concorso, senza dimenticare importanti anticipazioni come le personali di Donato Sansone e Gérald Assouline, la proiezione di Retour à Mandima di Robert-Jean Lacombe e la prima volta del 3D con i lavori in digitale di Giuliana Cunéaz.
Mel Ramos
Günther Förg, courtesy Giò Marconi, Milano
Ugo La Pietra
Venti d’Oriente Susanna Majuri
mc2gallery inaugura la nuova stagione espositiva con Venti d’Oriente, collettiva dedicata ad artisti orientali che, benché quasi tutti cresciuti tra Europa e America, mantengono ben presente e al centro del loro lavoro le loro origini e la cultura Susanna Majuri, Gone, 2007, di appartenenza. Tra i pre- courtesy mc2gallery senti Loan Nguyen, Trong Gia Nguyen, John Clang, Chan Hyo Bae, Tiffany Chung, Chen Nong e Yang Yongliang. A seguire, Imaginary Homeland di Susanna Majuri, artista finlandese le cui immagini fotografiche rimandano alle fiabe del Nord: un mondo e una cultura completamente immersi ne gli elementi naturali della scandinavia: la luce e l’acqua.
so tratte da situazioni attuali storicamente interessanti. Nella Project Room della galleria nuovi dipinti dell’artista siracusano Valerio Carrubba, lavori che celebrano la pittura mentre la scompongono con pennellate precise e immagini intense, ma impenetrabili. Alla Galleria Milano, Warburghiana, gruppo composto da Aurelio Andrighetto, Dario Bellini, Gianluca Codeghini e Elio Grazioli presenta Il Pathos delle forme, mostra in cui al concetto cardine di Warburg di “sopravvivenza dei sentimenti nel tempo, dei contenuti emotivi e affettivi”, si sostituisce quello di “sensibilità per le forme”.
fotografici del ciclo delle Delocazioni, una Re-locazione, tela su tela e alcune foto di installazioni, tutte opere realizzate nel 1970.
Perjovschi / Falchi
kaufmann repetto annuncia due interessanti appuntamenti: partiamo da Good News, Bad News, No News, personale di Dan Perjovschi che realizza una monumentale installazione site-specific, rivestendo le pareti della galleria con pagine di quotidiani di diversa provenienza, su cui interviene dando forma a una moltitudine di disegni tracciati con un pennarello nero. La ricerca artistica di Fausto Falchi Dan è, invece, protagonista di Ode an die Perjovschi, Freude, mostra incentrata su aspetti drawings repertoire, di problematicità propri del rapporto 1995-2012 uomo-macchina e sulle implicazioni courtesy l’artista sociologiche della moderna divisione del lavoro. L’artista decostruisce apparecchi obsoleti e ne riutilizza le singole componenti, innescando processi che ne riorganizzano il significato.
Calzolari / Parmiggiani
Alla Galleria Maria Cilena Opere dei primi anni Settanta, mostra che raccoglie lavori di Pier Paolo Calzolari e Claudio Parmiggiani: del primo troviamo una serie di interventi su carta realizzati con materiali sottili e labili, tutti datati 1971, e Dense intense, una scultura in neon, cuoio e ghiaccio finto; del secondo sono presenti lavori John Clang, Seaport Ice
La Galleria Tega presenta una mostra di selezionate sculture realizzate da Mel Ramos. L’artista californiano, a differenza della seriale essenzialità Mel Ramos, Hav-a-Havana-2, di Warhol o della fumet- courtesy Galleria Tega tistica, distillata figurazione di Lichtenstein, rivolge l’attenzione con uno stile caldo, solare e sensuale al connubio tra pin up dalle nudità esibite con generosa evidenza e il prodotto da reclamizzare.
Zhang Hongmei
Allo Studio Vigato, Opere recenti, personale dell’artista cinese Zhang Hongmei, a cura di Fiorella Minervino. Creatrice di disegni per l’industria tessile internazionale, Zhang Hongmai è emblematica rappresentante della nuova generazione di artisti cinesi che sta rivoluzionando la scena culturale del suo paese e, allo stesso tempo, esportare nel mondo un po’ del gusto e della tradizione calligrafica e della pittografica cinese. Zhang Hongmei, Senza titolo, 2012, cm.70x100, courtesy Studio Vigato, Milano
Progetto25
La Fondazione Zappettini dedica, a partire dal 4 ottobre, una mostra a Progetto25, ideato da Paolo Minoli nel 2004 e da lui affidato a Getulio Alviani, che ha coinvolto una vera schiera di artisti internazionali. Le opere, in edizione serigrafica, sono state riunite in un portfolio e presentate da allora una sola volta. La mostra è organizzata in collaborazione con Casaperlarte Fondazione Paolo Minoli e raccoglie lavori di Alviani, Anceschi, ichard Anuszkiewicz, Boriani, Castellani, Christen, Cruz-Diez, OTT/NOV 2012 | 242 segno - 11
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Anteprima/News De Vecchi, Duarte, Hill, Kapusta, Knifer, Landi, Lowe, Lùcena, Mari, Massironi, Mavignier, Morellet, Picelj, Snelson, Steele, Stein, Varisco, Winiarski.
Marisa Galbiati e Carmen Andriani. Il 18 all’Università di Pescara, Forme Futuribili, incontro con Mario Botta e Anna Mattirolo. Il “tour” termina il 19 ottobre all’Università di Chieti dove Achille Bonito Oliva incontra Gabriele Basilico, autore di riferimento della nuova edizione di Territorio Abruzzo.
Galliani / Busci
Alessandro Busci, Fabbriche rosso, 2007, smalto su ferro, cm.200x200, courtesy MAGA, Gallarate (mi) Omar Galliani, Grande Disegno Italiano, 2005 matita su tavola più installazione, cm.550x650
Il MAGA, Museo d’Arte di Gallarate propone, per l’avvio della nuova stagione espositiva, una mostra ideata e curata da Flavio Caroli dal titolo Galliani, Busci. Un Passaggio di Generazione (Centro di Gravità Permanente), doppia personale dedicata alla produzione e alla ricerca artistica di due protagonisti dell’arte italiana appartenenti a generazioni differenti, dal cui dialogo scaturisce una modulazione tra classico, mitico, disegnato di Omar Galliani, e romantico, coloristico, visionario di Alessandro Busci.
MODENA
Edward Weston
Gli spazi dell’ex Ospedale Sant’Agostino ospitano Una retrospettiva, esaustiva ricognizione sull’opera di uno degli indiscussi maestri della fotografia del Novecento, Edward Weston. Nel percorso espositivo trovano spazio, in 110 opere, temi che vanno dal nudo al paesaggio, attraverso una galleria di ritratti e di oggetti, dai famosi peperoni ai giocattoli indigeni, trasformati in icone surrealiste e postmoderne.
Ai Wei Wei, still da video
NAPOLI
Artecinema
Tra il 4 e il 7 ottobre, al Teatro San Carlo e al Teatro Augusteo, 17a edizione di Artecinema, Festival Internazionale di Film sull’Arte Contemporanea, curato da Laura Trisorio. Saranno presentati 30 documentari sui maggiori artisti, architetti e fotografi degli ultimi cinquant’anni, provenienti da tutto il mondo, la maggior parte in prima nazionale, suddivisi nelle sezioni Arte e Dintorni, Architettura e Fotografia. Si potranno vedere, tra gli altri, filmati dedicati ad Ai Wei Wei, Gerhard Richter, Roman Opalka, Bernard Venet, Trecey Emin, Marc Quinn, Mat Collishaw, John Portman e Thomas Struth.
PESCARA
Territorio Abruzzo
Dopo le fasi espositive di Territorio Abruzzo Premio Fondazione ARIA, che ha portato la vincitrice, Flavia Di Bartolomeo, a trascorrere un mese di stage presso lo studio fotografico di Oliviero Toscani, una ricca tre giorni di convegni ospitati nelle università abruzzesi animerà la programmazione autunnale della Fondazione. Il 17 ottobre un doppio appuntamento: in mattinata all’Università di Teramo, Immagini Contemporanee, incontro con Elio Fiorucci e Silvia Evangelisti; mentre nel pomeriggio l’Università dell’Aquila ospita Nuovi Design, incontro con
RAVENNA
Marco De Luca
Il MAR-Museo d’Arte della città di Ravenna propone una mostra antologica dedicata a Marco De Luca, a cura di Claudio Spadoni. In esposizione trentaquattro opere, tra le più significative degli ultimi trent’anni di produzione dell’artista, tutte fortemente rappresentative del suo approccio innovativo, e al tempo stesso classico, alla tecnica del mosaico.
REGGIO EMILIA
Jules de Balincourt
Parallel Universe è un progetto realizzato da Jules de Balincourt per la Collezione Maramotti, costituito da cinque nuovi dipinti che dopo la mostra entreranno a far parte della Collezione. Le opere, dipinte contemporaneamente e nel medesimo studio, sono entrate in dialogo durante la loro stessa realizzazione, divenendo così risultato di uno stesso processo creativo, sorta di mappa di parti liberamente intrecciate, tesa a esplorare le relazioni che intercorrono tra rappresentazione, astrazione e gesto pittorico. Jules de Balincourt, Psychedelic Soldier, 2012 olio e acrilico su tavola, cm.243,8x243,8 courtesy Collezione Maramotti, Reggio Emilia
Flavia Di Bartolomeo, opera vincitrice di Territorio Abruzzo 2011/2012, courtesy Fondazione ARIA, Pescara
Edward Weston, Nude, 1936, ©1981 Center for Creative Photography, Arizona Board of Regents
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CESARE CATTANEO 1912 - 1943
PENSIERO E SEGNO NELL’ ARCHITETTURA
5 ottobre - 17 novembre 2012 ACCADEMIA NAZIONALE DI SAN LUCA
piazza dell’Accademia di San Luca 77 | 00187 Roma dal lunedì al venerdì 10.00-19.00 | sabato 10.00-14.00
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Marcello Galvani
Alessandro Brighetti
a c ura di
Silvia Loddo
a c ura di
Chiara Canali
Ettore Frani
a c ura di
Matteo Galbiati
dal 19 dicembre 2012 al 16 gennaio 2013 con il contributo di
orari: martedì, giovedì, venerdì 9.00-13.30/15.00-18.00 mercoledì-sabato 9.00-13.30 domenica 15.00-18.00 chiuso il lunedì, il 25 dicembre e il 1 gennaio
tel. 0544 482477 info@museocitta.ra.it www.museocitta.ra.it
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>anteprima e news gallerie e istituzioni su www.rivistasegno.eu< ROMA
Vincenzo Marsiglia
La galleria Emmeotto inaugura la nuova stagione espositiva, con una mostra personale di Vincenzo Marsiglia dal titolo Experience. Il progetto, a cura di Gianluca Marziani, propone tre installazioni ambientali caratterizzate da un utilizzo asciutto della tecnologia contemporanea, così da coinvolgere lo spettatore in una fruizione fisica e al contempo emozionale, tra l’estetica percettiva degli oggetti e il rilascio sensoriale oltre il visibile.
Richard Artschwager
Da Gagosian Gallery, fino al 31 ottobre, in mostra opere di Richard Artschwager: anticonformista ed eclettico, l’artista americano rappresenta lo spazio e gli oggetti di uso quotidiano Richard Artschwager, modificandone significaPiano/Malevich, 2012, tivamente la percezione. laminato su compensato, cm.121,9x121,9x68,6, Artwork Saranno in mostra nuove sculture di formica, ma© Richard Artschwager/SIAE, Italy, courtesy Gagosian Gallery, teriale che ormai simbolo della sua produzione. foto Robert McKeever
Maya Zack
La Galleria Marie-Laure Fleisch inaugura la terza tappa del progetto About Paper. Israeli Contemporary Art, con la mostra personale di Maya Zack intitolata Made to Measure / videos and drawings. In esposizione un’installazione che si presenta come una sorta di ufficio pieno di scartoffie, a ricreare parte dell’ambientazione che appare nel video Black and White Rule (2011), proiettato all’interno dell’installazione stessa a esplorare il rapporto tra video e disegno. La Project Room della galleria ospita Mother Economy (2007), video in cui l’artista mette in scena la una strategia di elaborazione della memoria che non ricalca passivamente il passato, ma lo elabora e lo interpreta.
Maya Zack, Black and White Rule, 2011, still da video, courtesy Marie-Laure Fleisch, Roma
ElementS
LuMi Project ospita negli spazi di Palazzo Montoro il terzo evento espositivo dal titolo ElementS, a cura di Gino Pisapia. La mostra si configura come Pantani-Surace, Bunch, 1997una collettiva incentrata 2003, fotogramma, courtesy sul tema dei 4 elementi, l’artista e LuMi project, Roma sintetizzata con la formula “4 elementi per 4 artisti per 4 stanze”. Protagonisti artisti molto diversi tra loro che, però, negli anni si sono cimentati sul tema degli elementi: Moio&Sivelli, Giovanni Ozzola, Pantani-Surace e Nicola Pecoraro.
ventinovegiorni
Nel nuovo studio di Menexa si propone il progetto ventinovegiorni, rassegna a cura di Federica La Paglia, dedicata al concetto di resistenza, che vedrà alternarsi un’opera alla volta al ritmo del plenilunio, proponendone una lettura talvolta evocativa talaltra dichiaratamente critica. Il primo ciclo ospita El- Elvio Chiricozzi, Acqua azzurra vio Chiricozzi, Sandro acqua chiara, 2003, matita Mele, Maria Rosa Jijon, su tela preparata a gesso, cm.120x120, courtesy l’artista Iginio de Luca.
Robert Wilson
Progetto curato da ChangePerformingArts, a cura di Noah Khoshbin, in collaborazione con DissidentIndustries, la mostra Ritratti a Palazzo Madama propone nelle sale al piano nobile della sede del Senato una esposizione di Robert Wilson che fa perno sui suoi celebri Robert Wilson, Johnny Depp, courtesy l’artista
video ritratti in cui personaggi famosi come Brad Pitt, Isabella Rossellini, Carolina di Monaco e Jeanne Moreau, si alternano a personaggi sconosciuti, una pantera nera, un porcospino e una famiglia di gufi bianchi.
TARANTO
Y. Tensione superficiale
La Galleria Rosso Contemporaneo presenta una rassegna dal titolo Y. Tensione superficiale, a cura di Simona Caramia. Cinque gli artisti presenti, appartenenti a generazioni, formazione e linguaggi diversi: Anna Maria Battista, Maria Grazia Carriero, Claudia Giannuli, Silvio Giordano, Gino Sabatini Odoardi. Attraverso le loro opere, la mostra esemplifica l’intensità della tensione, che da mero stato emotivo si fa drammatico processo identitario o percorso spirituale, volgendo nel sociale, nello spazio pubblico, connotandosi di caratteristiche politiche e contestatarie.
TORINO
Un’altra storia 2
Nell’Ex Birrificio Metzger, Centro di Cultura Contemporanea, inaugura il 12 ottobre la mostra Arte italiana 19801990, tappa dell’ambizioso progetto Un’Altra Storia. Arte Italiana dagli anni Ottanta agli anni Zero, organizzato dal MAU Museo d’Arte Urbana di Torino e curato da Edoardo Di Mauro. Opere di Abate, Anelli, Aschieri, Astore, Benuzzi, Bersezio, Bonomi, Brevi, Calvanese, Correggia, D’Angelo, Damioli, David, di Sambuy, Ferrazzi, Flaccavento, O. Galliani, Ghirardini, Grillo, Guzzetti, Jannini, Lavagetto, Marucci, Massaioli, Melioli, Momoli, Montorsi, Mussini, Palmieri, Plumcake, Ragalzi, Rotelli, Sergio, Taliano, Teodori, Valente, Zucchini, Wal.
Photissima
Con Photissima Art Fair, negli spazi dell’Ex Manifattura Tabacchi dall’8 all’11 novembre, l’arte fotografica diventa pro- Christophe Dessaigne, tagonista indiscussa. The Last Dance, 2012 Fotoreportage, fotografia courtesy MIAAO, Torino storica, street photography, foto artistica contemporanea, il tutto articolato tra la sezione principale e il programma di Photissima Off, piccolo circuito di eventi collaterali che annovera la mostra di Christophe Dessaigne al MIAAO e la collettiva internazionale Dr Karanka’s Print Stravaganza alla AV Art Gallery, oltre a numerosi incontri e seminari.
Piero Gilardi
Alla Galleria Biasutti & Biasutti, trenta opere costituiscono il corpo di Supernatura. Paesaggi litici, esposizione di Piero Gilardi che ha come tema di fondo la natura espressa attraverso paesaggi ambientati in diverPiero Gilardi, Fiume si momenti delle quattro innevato, poliuretano espanso, stagioni. Betulle, greti di cm.100x100, courtesy Biasutti & torrenti innevati, spiagge Biasutti, Torino rosse con tronchi trasportati dalla corrente del mare, spiagge con cactus, noci di cocco, capperi, battigie e paesaggi montani, voce diretta, sincera, amica e nemica dell’uomo.
Gerard Malanga
Ghostly Berms è una nuova serie fotografica di Gerard Malanga in mostra alla galleria In Arco con la curatela di Demetrio Paparoni. 46 fotografie in bianco e nero documentano il casuale ritrovamento, da parte dell’autore, dei resti di una linea ferroviaria costruita alla fine dell’Ottocento e in disuso da circa quarant’anni. Gli elementi naturali hanno, ormai, preso il sopravvento sui mezzi meccanici abbandonati, trasfigurando ciò che ne rimane in una sorta di solenne paesaggio fantasma intensamente evocativo. Quest’opera di poetica archelogia industriale svela una fitta trama di rimandi memoriali, perdendo pian piano aderenza al reale per configurarsi come vera e propria geografia interiore.
Grassino / Pusole
La Fondazione 107 presenta, a cura di Gabriella Serusi, la mostra Atmosphere², impegnativo progetto site-specific ideato dai torinesi Pierluigi Pusole e Paolo Grassino, protagonisti della scena pittorica e plastica italiana affermatasi dopo la seconda metà degli anni Ottanta. In particolare, Pusole presenta 180 disegni su carta in cui paesaggi e figure partecipano idealmente alla formulazione di una teoria pseudo-scientifica sulla natura e sull’auto Atmosphere², flyer
determinazione dell’uomo; Grassino propone una scultura in scala 1:1, un Mig 15 accartocciato, privato sì della funzionalità originaria, ma non svuotato del senso sinistro e perturbante.
90 anni di industria e arte
Ezio Gribaudo, Matite, 1975, bronzo, cm.20x24x3, courtesy collezione Limone, Torino
Le Fonderie Limone, storico complesso industriale del torinese, ospitano la mostra Fonderie Limone. Una storia dell’imprenditoria Piemontese. 90 anni tra industria e arte, organizzata dall’associazione culturale Golfart e curata da Gianfranco Schialvino e da Pegi Limone. L’esposizione, che narra la storia di un successo italiano, comprende fusioni dell’artista Ezio Gribaudo e “capi d’opera” appartenenti alla collezione privata della famiglia Limone. 21 le sculture di Gribaudo in mostra, realizzate a metà degli anni ‘70 come pezzi unici.
Insieme
Gli spazi di franzpaludetto, sia quello torinese che quello romano, propongono in contemporanea una rassegna dedicata ad artisti emergenti dal titolo Insieme, attenta selezione di giovani diplomati che l’Accademia Albertina di Belle Arti ha prodotto negli ultimi anni. A Torino, la galleria ospita opere di Cornelia Badelita, Elisa Barrera, Alessandro Gioiello, The Bounty Killart, Arianna Uda e Nadir Valente, mentre a Roma sono protagonisti Claudia Isabel Alban, Alessio Anastasi, Michela Depetris, Li Geyin, Mattia Macchieraldo e Flavio Palasciano.
Giuliana Cunéaz
Gagliardi Art System presenta la nuova personale di Giuliana Cunéaz dal titolo 3D, in mostra una Giuliana Cunéaz, serie di nuove installazio- Nanoparticles and dandelion ni tridimensionali realiz- clock, 2008, animazione 3D e zate nel corso degli ultimi colore a smalto su schermo al due anni, più un gruppo plasma, courtesy Gagliardi Art di venti lavori, foto, dise- System, Torino gni, opere plastiche e occhiali-scultura. Le videoproiezioni stereoscopiche 3D, dedicate ai disordini ecologici e ambientali, formeranno un vasto ambiente immersivo.
Sandro Becchetti
Dal 27 ottobre la galleria LabLoft ospita PROTAGONISTI, 99 ritratti che hanno fatto la storia, di Sandro Becchetti. Grandi personaggi dell’attualità e della cultura fotografati in un Sandro Becchetti, severo bianco e nero che Alfred Hitchcock, esalta ogni espressione courtesy LabLoft, Torino e ogni esitazione, il tutto senza alcun fronzolo o ritocco. Da Dustin Hoffman a Claudia Cardinale, da Fellini e Rossellini, a Hichcock, Polansky, Truffaut, ma anche Moravia, Pasolini, Ungaretti, Wahrol, Le Witt, Ernst, De Chirico e Christo.
Gianni Berengo Gardin
La VI edizione del Festival Per sentieri e remiganti porta al Museo Regionale di Scienze Naturali il lavoro di uno fra i più noti maestri della fotografia italiana, Gianni Gianni Berengo Gardin, Berengo Gardin con la Gran Bretagna, 1977, mostra Sguardi gentili. 40 courtesy l’artista le immagini in mostra, un viaggio in bianco e nero alla scoperta di un valore lieve e discreto che oggi più che mai andrebbe riscoperto, la gentilezza.
Freedom not Genius
La Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli, prosegue la sua ricerca sul tema del collezionismo e presenta con Freedom not Genius, per la prima volta in Italia, una selezione di opere dalla Murderme collection, la collezione privata di Damien Hirst. A cura di Elena Geuna, in mostra opere di 50 artisti “storici” tra cui Picasso, Auerbach, Bacon, Giacometti, Mario Merz, Nauman, Prince e Warhol, in dialogo con alcuni della generazione successiva, tra cui Banksy, Currin, Emin, Fairhurst, Lucas e Whiteread. Fino al 10 marzo 2013. Jeff Koons, Three Ball Total Equilibrium, 1985 courtesy Pinacoteca Agnelli, Torino
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Dalla collezione Pinault
La Voce delle Immagini Palazzo Grassi, Venezia
a voce delle immagini” è una mostra concepita a partire L dalla collezione video della François Pinault Foundation ed allestita all’interno dell’atrio ed al primo piano nobile di Palazzo Grassi, che per la prima volta accoglie un progetto espositivo dedicato a questa forma d’espressione artistica. Si tratta di circa trenta opere (tra film, video, installazioni di 27 artisti internazionali), accomunate - come scrive Martin Bethenod, direttore di Palazzo Grassi - da “la comune maniera d’interrogare il presente”. Secondo la curatrice Caroline Bourgeois l’intento
s Mircea Cantor, Vertical Attempt, 2009 [01”, loop ] © 2009 Mircea Cantor Courtesy Mircea Cantor et Yvon Lambert, Paris
s Paul Chan, Recessionale, 2008 Installation views at Palazzo Grassi [videoproiezione digitale, 10‘ ] © Paul Chan. Courtesy the artist and Greene Naftali, New York / ph: © Palazzo Grassi, ORCH orsenigo_chemollo
s Bill Viola, Hall of Whispers, 1995 [video 10 canali in bianco e nero proiettato su due pareti opposte di una sala oscurata; suono mono amplificato a dieci canali, 29‘57” dimensioni della sala 10,5 x 3,9 x 3,6m ] © Bill Viola Studio. Courtesy ARTIUM of Alava, Vitoria-Gasteiz - Ph: Gert Voor in‘t Holt
▼ Michel François, Bureau Augmenté – projet évolutif et itinérant, 1997-2012 Installation view at Palazzo Grassi / videoinstallazione, dimensioni varie, 5’45” © Michel François by SIAE 2012. Courtesy carlier | gebauer, Berlin ph: © Palazzo Grassi, ORCH orsenigo_chemollo
della mostra è di offrire ai visitatori un percorso sensoriale che oscilla tra gravità, angoscia, umorismo e leggerezza, attraverso lo sguardo degli artisti. Le opere presentate non sono soltanto descrittive, ma invitano a condividere un’esperienza artistica che va al di là dello sguardo o del linguaggio. La rassegna, ricca di nomi di vere e proprie “star” come, Bill Viola, Mark Wallinger, Shirin Neshat, Fischli e Weiss, è l’occasione migliore per presentare per la prima volta in Europa l’opera “For Beginners” di Bruce Nauman, acquistata da François Pinault nel 2011. Si tratta di una doppia proiezione in cui le mani dell’artista seguono una serie di istruzioini verbali impartite fuori campo dalla sua stessa voce. “Attraverso questo alfabeto visivo l’artista sembra tornare ai processi di apprendimento di base che caratterizzano i primi momenti della vita”. Alcuni video sono vere e proprie sequenze cinematografiche di varia durata, come, ad esempio “The magic of Things” di Mark Wallinger, che è una raccolta di scene - tratte dalla serie di telefilm “Mia moglie è una strega”, che prevedono oggetti che si muovono o levitano senza alcun intervento umano, eventi soprannaturali dall’assurdità inquietante. Ma vi è anche un video del rumeno Mircea Cantor, della durata di un solo secondo, in cui vediamo un bambino intento a tagliare il getto d’acqua del rubinetto con un paio di forbici. L’immagine è proiettata in loop: la brevità cede il passo ad un eterno ritorno e, nella durata, la dimensione allegorica dell’evento si impone con forza allo sguardo. Tra le video installazioni citiamo, per tutte, quella del giapponese Taro Izumi “Lime at the Bottom of the Lake” in cui lo spettatore è invitato a chinarsi su una struttura ove sono disposti in modo casuale barattoli di pittura, un secchio di plastica ed altri piccoli recipienti all’interno dei quali è possibile scorgere un video, girato con una prospettiva verticale, in cui delle figure umane vengono schiacciate come mosche da una mano che si abbatte sullo schermo e scompaiono, lasciando dietro di sè cumuli di indumenti ammonticchiati. Nella impossibilità di rendere conto di tutti i lavori esposti, ecco l’elenco completo degli autori, lasciandovi la curiosità ed il piacere di andarli a scoprire in mostra (fino al prossimo 13 gennaio) seguendo l’itinerario di un sorprendente allestimento: Johan Grimonprez, Anri Sala, Michel François, Peter Aerschmann, BIll Viola, William Pope L., Zoe Leonard, Bruce Nauman, Paul Chan, Javier Téllez, Mircea Cantor, Cao Fei, Abdulnasser Gharem, Yael Bartana, Adel Abdessemed, Taro Izumi, Liu Dahong, Mark Wallinger, Peter Fischli & David Weiss, Hassan Khan, Mohammed, Bourouissa, Anri Sala, Yang Fudong, Shirin Neshat, Cameron Jamie, Samuel Beckett & Marin Karmitz, Bertille Bak, Erin Shirreff. Il catalogo edito da Electa, propone anche 13 interviste originali con alcuni artisti. L.S. Fondazione Prada, Venezia
The Small Utopia. Ars Multiplicata
a mostra “The Small Utopia. Ars Multiplicata”, a cura di Germano Celant, è presentata dalla FonL dazione Prada nella sede di Ca’ Corner della Regina a Venezia, fino al 25 novembre. Il titolo fa riferimento al desiderio, nato all’inizio del Novecento e proseguito fino agli anni Settanta, di ampliare la diffusione dell’arte nella società, attraverso la moltiplicazione dell’oggetto, sperimentandone le inedite fruizioni estetiche e sociali. Il corpo centrale della mostra, allestito nel piano nobile e nel secondo piano ammezzato, ripercorre con oltre seicento tra oggetti di design, ceramiche, vetri, tessuti, giocattoli, edizioni ▼ Fondazione Prada, Cà Corner della Regina, Venice Small Utopia. Ars Multiplicata Installation view, including works by Marcel Duchamp - Ph. Attilio Maranzano
▼ Shirin Neshat, Faezeh, 2008 [pellicola 35mm trasferita su Blue Ray, 13‘42” ] © Shirin Neshat. Courtesy Jerôme de Noirmont, Paris
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s Peter Aerschmann, Eyes, 2006 [videoinstallazione, 12’, loop] © Peter Aerschmann. Courtesy Galerie Anne de Villepoix, Paris
s Abdulnasser Gharem, Siraat (The Path), 2007 [videoproiezione, 3’04”] - Courtesy the artist and EOA Projects
8Bruce Nauman, For Beginners (all the combinations of the thumb and finger), 2010 [videoinstallazione in HD, colore, stereo, suono, 26‘19‘‘ e 25‘19‘‘, loop] © Bruce Nauman by SIAE 2012. Courtesy Sperone Westwater, New York 8 Fondazione Prada, Cà Corner della Regina, Venice Small Utopia. Ars Multiplicata Installation view Veduta d’insieme Ph. Attilio Maranzano
di originali e di multipli d’artista, la trasformazione dell’idea dell’unicità nell’arte, e la sua percezione. Un’avventura contrassegnata all’affermarsi di nuove realtà tecno-
logiche a cui hanno partecipato tutti i principali movimenti e scuole, dal Futurismo italiano al Costruttivismo russo e al Bauhaus, dal Neoplasticismo al Surrealismo, per approdare, attraverso le pratiche dei Nouveaux Réalistes e della Optical Art, alla grande esplosione di ars multiplicata indotta dalla Pop Art, promotrice di un vero “supermarket” dell’oggetto artistico. La mostra è accompagnata da una ampia pubblicazione (ediz. in inglese Progetto Prada Arte, Milano) a cura di Germano Celant, con una prefazione di Miuccia Prada e Patrizio Bertelli, e numerosi contributi di approfondimenti specifici, tra cui Beatriz Colomina, Elena Gigli, Charles Esche, Constance W. Glenn, Maria Gough, Magdalena Holzhey, Adina Kamien-Kazhadan, Karen Koehler, Liz Kotz, Tatyana Vasilevna Kuzmerova, Ulrich Lehmann, Annette Malochet, Marie Rebecchi, Julia Robinson, Gianni Emilio Simonetti, Antonio Somaini, Anne ThurmannJajes, Nicholas Fox Weber g OTT/NOV 2012 | 242 segno - 17
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Kassel
dOCUMENTA (13) di Pietro Marino | foto di Roberto Sala
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he cosa rimane, nella memoria e nella mente, di DocumenC ta 13, ora che le luci si sono spente a Kassel e forse qualche bagliore si prolunga a Kabul, Alessandria d’Egitto, Banff,
nelle diramazioni rizomatiche che la grande rassegna tedesca ha voluto darsi quest’anno assecondando la ricerca di “perdita del centro” voluta dalla direttrice - bulgara di nome ma italiana di fatto - Carolyn Christov Bakargiev? Per convenzione storica, è nell’edificio neoclassico del Fridericianum che ogni direttore di Documenta offre la chiave della sua visione dell’arte e del mondo. Anche se il grosso di opere installazioni e performances si ritrova sparso negli altri spazi ufficiali al chiuso e all’aperto e diffuso in molti luoghi pubblici e privati della città dell’Assia,
cresciuta si può dire all’ombra della manifestazione sorta nel 1955 per iniziativa di Arnold Bode dalle ceneri del dopoguerra. Di questo 2012, il visitatore può ricordare lo spiazzante senso di vuoto che lo ha accolto all’ingresso, col soffio di vento gelido (Ryan Gander) che attraversava le maniche dell’edificio lunghe e nude, con scarse apparizioni della memoria storica (Julio Gonzalez) alle pareti. E di lì, con impatto di brusco contrasto, lo spazio della Rotonda affollato di presenze minimali ed eterogenee. Oltre la vetrata allarmata dalle iscrizioni di Lawrence Weiner s’intravedeva già la parete di fondo chiusa dai quadri di nature morte di Giorgio Morandi. Ma tra il metronomo “da distruggere“ di Man Ray e la statuina millenaria della turkmena
1. Museum Fredericianum; Auepark: 2-3. Song Dong, Doing nothing Garden, 2010-2011; 4. Massimo Bartolini, Untitled, 1997-2012; 5. Giuseppe Penone, Idee di Pietra (Ideas of Stone), bronzo e pietra, 2004/2008/2010. Weinberg terrace: 6. Adrian Villar Rojas, Return to the World, 2012; Fridericianum: 7-8. Ida Applebroog, I see by your fingernails that you are my brother 1969-2011. Courtesy Hauser & Wirth, Zurigo, Londra, New York. Performance nella hall del Federicianum Museum; Neue Galerie: 9. Susan Hiller, 100 songs for 100 days of Documenta; 10. Geoffrey Farmer, Pictures cut from five decades of Life magazine, 2012; Documenta Halle: 11. Yan Lei, Limited Art Project, 2011-12.377 dipinti olio e acrilico su tela, dimensioni variabili. 4
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artisti provenienti da 55 paesi. Una danza frenetica, vivace, roboante, contorta e destinata a durare per molto tempo, come 1ne.50dice la curatrice Carolyn Christov-Bagarkiev aprendo il suo corposo saggio, introduttivo di un’ altrettanto ciclopica manifestazioPreparata in cinque anni scorrendo le urgenze del pianeta, delocalizzando le sedi tra Kassel, Kabul, Alessandria d’Egitto e Banff
(Canada), cercando di tessere i fili di un sistema dell’arte che ha smesso a tempo di concedersi un solo linguaggio, una sola disciplina di riferimento ma che è diventato un onnivoro organismo capace di macinare domande sulla storia, interrogazioni esistenziali sul tema, sui rapporti tra reale e virtuale, sul desiderio, sul potere, sulle guerre e non da ultimo sui destini dell’umanità. Documenta 13, la più autorevole mostra di arte contemporanea al mondo, non solo è tutto questo ma a tutto questo si approccia procedendo per frammenti, includendo piuttosto che scartando, ossia in una modalità rigorosa ma ecumenica, unica forma oggi consentita dagli scenari globali. Tra le tante chiavi di lettura messe in campo, una emerge con maggiore vigore: la ferita che ogni conflitto produce nel sociale, la morte, la memoria del dolore e il bisogno di una sua sublimazione. Secondo la curatrice con una precisa data di inizio, il 1945, termine ‘ante quem’ per aprire la stura al nostro tempo inquieto, in un luogo, la Germania, tragicamente in prima linea nel dirigere gli orrori. A ricordarlo sono in molti tra gli sconosciuti, artisti loro malgrado, ‘new entry’ che l’evento ha il merito di stanare dall’oblio, rimarcando il dettaglio che Documenta è nata dalla violenza della storia e dalla opportunità di emendarsi proprio attraverso l’arte. In merito, Lee Miller, nel ‘brain’, il cervello del ‘Fridericianum’, sconcerta con le fotografie di Hitler che fa il bagno dopo aver trascorso il pomeriggio a Dachau ( si suiciderà di lì a poco); Ines Schaber raggella con quelle del lager di Breitenau, a pochi chilometri da Kassel, e sicuramente tormentano i centinaia di disegni di mele realizzati tra il 1912 e gli anni Sessanta da Korbinian Aigner, botanico, ospite a Dachau dove lavorò come giardiniere e coltivò specie diverse di mele. Continuò a studiarle e disegnarle fino ad eleggerle quale strumento di ostinata terapia anti rimozione. Inoltre, tra i suoi meriti, questa edizione di Documenta, alimenta la consapevolezza che la storia ripristina fatalmente le lacerazioni attraverso nuovi conflitti, attraverso i disordini sociali, i rinnovati focolai di guerra, e infine, e rinforza la certezza che l’arte con la sua carica visionaria, a volte onirica, a volte infarcita di mito e favola possa ancora provare ad elevarsi tra vincitori e vinti, tra distruzione e oscura volontà di potenza. E non a caso la mostra si svolge anche altrove, in diverse parti del mondo; tra l'altro in Afghanistan, a Kabul e poi al Cairo e in un angolo periferico del Canada, e in altri luoghi ancora. Così l'Afghanistan è presente, sia nelle opere di Michael Rakowitz e di Goshka Macuga sia nella straordinaria realizzazione plurale del mappamondo di Alighiero Boetti – ricamato proprio da donne afghane nel 1971 e posto dalla curatrice con indovinata centralità al Fridericianum. Del resto per Christov-Bakargiev, più che per Enwezor che per primo lo aveva anticipato in Documenta 11, l’arte oggi nasce da un rapporto con il mondo senza necessariamente passare attraverso uno sguardo soggettivo. Ciò spiega l’eterogeneo alternarsi di traiettorie, di prospettive teoriche e di linguaggi con le quali esprimerle. Tuttavia prediligendo, quasi sempre, una forma, una possibile impaginazione anche in controtendenza rispetto a quanto visto nelle proposte, volutamente sciatte, politicamente scorrette e per questo ‘impresentabili’ sul piano formale, della vicina Biennale di Berlino. Senza tuttavia sfiorare formalismi di sorta ma solo riconsegnando alla materia la sua vocazione ad esprimere significati anche se si tratta di macerie. Ci pensa a riguardo Lara Favaretto quando con affondo catartico trasforma, nella HauptBanhof di Kassel, mucchi giganteschi e scomposti di ferraglia, in un compendioso e solenne monumento alla sparizione per poi prendere solo alcuni degli scarti rugginosi e isolarli come preziosi reperti, questa volta, in una museale messa in scena. Marilena Di Tursi
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Principessa Baktriana, tra i frammenti di ceramica bruciati nel museo di Beirut durante la guerra civile e la dichiarazione di non-arte dattiloscritta da Francesco Matarrese, vuole essere qui la chiave della mostra. Anzi “the Brain” come l’ha battezzata (con qualche pretesa di troppo) la sua ideatrice. In effetti, con “impulso archivistico” (per usare un termine di Hal Foster), Carolyn Christov dà corpo con questa personale Wunderkammer alla nozione di arte che ha inteso offrire tramite Documenta. La pratica postmoderna dell’ ”archivio”, il collezionare frammenti anche disparati della memoria, era piuttosto diffusa a Kassel (i cento canti popolari registrati da Susan Hiller, le copertine di libri ridipinte da Paul Chan, la biblioteca settecentesca ricostruita in volumi di legno da Mark Dion, il teatrino iconico di Geoffrey Farmer, le mele dipinte in prigionia a Dachau dal prete-giardiniere Korbinian Aigner) e ha trovato la più suggestiva espressione nell’ambiente claustrofobico di Kader Attia, che combina teste di arts and crafts africane con foto di interventi di chirurgia plastica su volti di militari europei devastati in guerra . Ma le idee portanti espresse in più occasioni dalla direttrice sono condensate nei testi che aprono Das Buch der Buecher, il verde Libro dei Libri che raccoglie in 770 pagine i cento saggi pubblicati in corso d’opera: cento quanti i giorni di Documenta, così riecheggiando i cento incontri che si tennero nella edizione 1997 diretta da Catherine David, la più concettual-relazionale di tutte. La prima proposta è quella di concepire Documenta come uno “spazio della mente” che muove a “reimmaginare il mondo”. In esso possono confluire “scienza, ecoarchitettura, agricoltura organica, ricerca di energia rinnovabile, filosofia, antropologia, teoria economica e politica, studi di linguaggio e letteratura” e (infine) “fiction e poesia”…L’arte diviene così una sorta di processo indiziario, insiste il suo vice Chus Martinez, una esperienza conoscitiva compiuta per la 14 via breve e interna di “risonanze”. Questo percorso di sdefinizione dell’arte, di erosione dei suoi confini identitari non è nuovo storicamente. Nelle precedenti edizioni di Kassel se ne sono viste diverse e marcate espressioni (con arte concettuale, relazionale, performativa, politica, “pubblica”, “utile”). Ma nella versione 2012 si è tradotto in campo esteso di indistinzione dell’immaginario dubitante, che però sembra voler recuperare valenze anche sensoriali, oggettuali, della cultura installativa aldilà di teorie decostruzioniste o situazioniste (ma sorvolando opportunamente ogni contesa sugli apparati linguistici, i vecchi e nuovi media) . Una sorta di Nirvana nel quale le singole operazioni si condensano in apparizioni - poche volte eccitanti, spesso gradevoli - all’insegna di una “disinteressata” (kantiana?) distillazione di echi della vita, risulte del mondo. Ecco nel Karlsaue
Park disseminato di capanne quasi a mimare l’esoterica esperienza comunitaria di Monte Verità, il “sanatorium” per curare all’istante depressioni e simili (Pedro Reyes), l’atelier africano di Issa Samb, il chiosco del collettivo And And And che vende cestini di fragole e cartoni di latte a chilometro zero. E nell’Ottoneum il planetario di Jeronimo Voss, il telescopio nascosto fra altri antichi che consente di vedere lontano nel parco l’orologiospecchio di Anri Sala. Ecco i messaggi d’amore composti dalle pionieristiche macchine elettroniche di David Link. Un “territorio magico” (scriveva Achille Bonito Oliva quarant’anni fa) di un presente in fluida sospensione, dal quale il futuro è escluso e il passato è accolto come deriva e frammento, ombra lunga, persistenza di eco. Gli alberelli di melo piantati da Jimmie Durham come pallido omaggio alle 7000 querce che qui iniziò a piantare Joseph Beuys nel 1982, proprio trent’anni fa. Mario Garcia Torres che va sulle tracce dello One Hotel di Boetti a Kabul. Il grande meteorite caduto chissà quando a El Chaco in Argentina che Guillermo Faivovich e Nicolas Goldberg volevano trasportare a Kassel. Anche le tragedie della storia
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politica si traducono in rappresentazioni di valenza onirica, se non addirittura estetica: i patiboli che Sam Durant ricompone in altana contemplativa di paesaggio, la fantasmagoria di rotanti videoshadows con i quali Nalini Malami mescola violenze su donne indiane con scritture di poeti pakistani e occidentali, i disegni eseguiti da combattenti vietcong….Persino i giovani di Occupy sono stati ingaggiati come figuranti o accolti in folclorici attendamenti nella Friedrichsplatz Con rari toccanti affondi sulla cronaca, come i tasti di sangue che citano la rivolta in Siria (Rabin Mroueé) o i frammenti di libri sequestrati da Israele ai palestinesi raccolti da Emily Jacir. La seconda linea della proposta, che s’intreccia coerentemente con la prima, è una presa d’atto generalista della crisi planetaria
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Federicianum Museum: 12. Goshka Macuga, Of What is, That it is. Of What is not, that it is not 1, 2012; 13. Mariana Castillo Deball, Uncomfortable Objects, 2012; 14. Michael Rakowitz, What Dust Will Rise?, 2012 ; 15. Anton Zeilinger, Quanten Heute, 2012; 16. Llyn Foulkes, The Machine; 17. Korbinian Aigner, Apples,1912-60 Courtesy archivio storico dell’Università Tecnica di Monaco; 18. Vann Nath, (1946, Phum Sophy village, Srok Battambang district, Battambang Province, 2011, Phnom Penh) Interrogation at the Kandal Pagoda, 2006. Documenta Halle: 19. Thomas Bayrle, Sternmotor: Hochamt, 2010. Sezione di motore radiale, Installazione sonora. Kistefos Museum Norvegia; 20. Etel Adnan, Jazz, 1999. Tappeti fatti a mano. Courtesy dell’artista, Sfeir Semmler Gallery, Beirut – Amburgo; 21. Nalini Malani, In Search of Vanished Blood, 2012; 22. Gustav Metzger, Too Extreme. A selection of Drawings by Gustav Metzger, made from 1945 to 1959/60, 1945-1959/60; 23. Kristina Buch, The Lover, 2012. Ottoneum: 24. Claire Pentecost, Soil-erg, 2012. Terra, compost e altri materiali; 25. Mark Dion, Xylotheque Kassel, 2011-12; Documenta Halle: 26. Julie Mehretu, Mogamma A painting in four parts, 2012.
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Gli artisti italiani a dOCUMENTA(13) oetica e politica, intellettuale ed P emotiva, impegnata e visionaria... È questo ed altro, tanto altro, la 13° Documenta a Kassel, orchestrata dalla regia appassionata di Carolyn Cristov Bakargiev. Una puntata pantagruelica, come l’ ha definita Achille Bonito Oliva (non a caso “la Sindrome di Pantagruel” s’ intitolava la “Biennale di Torino” della stessa Bakargiev con Francesco Bonami) sparsa, oltre che nelle già monumentali sedi ufficiali, tra molteplici spazi pubblici e privati, belli o sgarrupati, scovati chissà come in una Kassel che vive e si rianima ogni 5 anni . Molto è già stato detto e scritto di un’ edizione che mette in tanti d’accordo sulla qualità delle singole proposte, sulla centralità che nel parterre di oltre 150 presenze (artisti, ma anche architetti, filosofi, scienziati, letterati, economisti…) assumono in generale le opere (in controtendenza con gli azzeramenti formali alla
in questo esordio di Duemila. L’accento è messo sulla ulteriore dissoluzione del centralismo occidentale in chiave geopolitica e sulla negazione radicale dell’antropocentrismo in favore di una mistica neo-ambientalista. Di qui l’apertura generosa ad artisti delle aree ex marginali del mondo, di Asia America Latina ed Est Europa, meglio se sconosciuti (non importa molto il livello di qualità) e spesso in gruppo, quasi delle comuni (esemplare l’ex Elisabeth Hospital dedicato agli afgani). Di qui anche gli interventi problematici sulla/ nella natura, con esperienze di difesa di territori (Francis Alys), clangori di guerre e di macchine che violano la pace della foresta (Janet Cardiff), lo spettrale sconvolgimento di terreni piante animali operato nel parco da Pierre Huyghe. È comprensibile che questa offerta di arte come “entità ambigua”, questa ginnastica amletica dell’”essere/ non essere” abbia prestato il fianco a molti sconcerti, sollevato critiche anche da voci autorevoli e di diversa cultura. In fondo anche l’eredità duchampiana, pur assegnando all’arte la dignità di esperienza ermeneutica, come “sguardo diverso sul mondo”, continua a reclamare comunque la necessità di un “atto di scelta”. Le alternative proposte da Carolyn Christov e dal folto team che l’ha affiancata per cinque anni partono dalle discussioni in atto nella cultura contemporanea ma quasi tenendosi ai bordi, erodendoli e allargandoli in un problematico, ecumenico, “may be”. Il vantaggio della variegata offerta di Documenta 2012 sta nel fatto che ciascuno ha potuto estrarre da un repertorio immenso un qualche suo interlocutore o un punto d’interesse. Ma in fine appare abbastanza sconcertante che nella grande maggioranza delle testimonianze, le emozioni più coinvolgenti siano rimaste affidate ad artisti-artisti che hanno segnato – emergendo negli anni Novanta - la rivincita di un immaginario della complessità e della trasformazione rispetto alla cultura dei simulacri dilagata negli Ottanta: la travolgente teatralità visionaria di Refusal of Time, il nuovo ambiente multimediale creato da William Kentridge in uno stanzone della Haupt Banhof , la danza di contatti di corpi umani nel buio orchestrata da Tino Sehgal nel cuore urbano e quotidiano di Kassel.
Zmjewsky) in molti casi pensate apposta per il contesto. Ce ne è (quasi) per tutti i gusti, ma questo è anche il punto critico di una rassegna che sceglie di non scegliere troppo, che già nelle intenzioni della curatrice rinuncia a cercare una linea di tendenza, un punto di vista, una traccia privilegiata, per tentare di restituirci la polifonica complessità di un mondo frammentato e molteplice. Di qui l’esigenza di “esplorare le diverse forme di conoscenza” a cui l’arte come pensiero critico appartiene, con la coscienza che questo sforzo conoscitivo non può che essere lacunoso, che le domande sono destinate a rimanere aperte… Troppo facile? Forse. Tanto più che alla fine è proprio alla dimensione dell’estetico, sia pur nelle sue declinazioni critiche e linguisticamente sfrangiate, ad essere affidato il compito, per certi versi consolatorio, della ricomposizione. Resta però il fascino di crearsi un percorso all’interno di una mappa fisica e mentale attraversata comunque da una serie di tracce a volte contraddittorie ma spesso affascinanti. Partendo dal cervello pensante della mostra, la raccolta di oggetti d’affezione tra passato e presente riunita da Carolyn
con personale spirito archivistico nella Rotonda del Federicianum, si possono sintetizzare in alcune triadi di parole chiave: Trauma/Collasso/Catastrofe;Memoria/ Catalogazione/Storia; Visione/Sogno/ Immaginazione; Ricostruzione/Cambiamento/ Cura. Su questa griglia possiamo collocare in qualche modo anche le presenze italiane (una decina) inserite nel listone degli invitati con criteri non scontati. Non a caso (Giorgio Morandi a parte) i numi tutelari, entrambi scomparsi, sono due figure diverse ma la cui eredità continua a generare spunti: Fabio Mauri e Alighiero Boetti. Ovvero da un lato il dramma della storia, incarnata in quella tragedia del Nazismo che costituisce il punto di partenza e la ragion d’essere stessa di Documenta, nata nel ‘55 proprio sulle macerie di una guerra che aveva visto nell’anonima Kassel uno snodo centrale… Il tema aleggia in mostra un po’ dovunque , ma assume una pregnanza impegnativa nella riproposizione durante le giornate inaugurali della sua storica performance del 1989, “Che cosa è la filosofia. Heidegger e la questione tedesca. Concerto da tavolo”. Corollario alla
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Neue Galerie: 27. Roman Ondak, Observations, 1995/2011. 120 ritagli da libri raccoti in 72 cornici; 28. Zanele Muholi, Faces and Phases, 2011-2012. 60 fotografie 88,5x63 cm ognuna; 29. Hubertus Gojowczyk, Tür zur Bibliothek, 1977. Libri, malta e legno; 30. Rossella Biscotti, Il processo, 2010/2011. Installazione sonora e 9 sculture in cemento armato; 31. Sanja Ivekovic, The Disobedient (The Revolutionaries), 2012 ; Weinberg Bunker: 32. Allora & Calzadilla. Karlsaue Park: 33. Chiara Fumai, The Moral Exhibition House, 2012, (interno); 34. Issa Samb, La balance déséquilibrées, 2012, installazione su albero e performance; 35. Chiara Fumai, The Moral Exhibition House, 2012; 36. Ruth Robbins and Red Vaughan Tremmel; 37. Christian Philipp Müller; 38. Pedro Reyes, Sanatorium, 2012; 39. Doug Ashford, Many Readers of one Event, 2012.; 40. Paul Ryan, Threeing d13; 41. e-flux Julieta Aranda & Anton Vidokle, Time/Bank, dal 2009 in poi; Ex- Elisabeth Hospital: 42. Lida Abdul, What We Have Overlooked, 2011. Videoinstallazione.
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grande installazione nel Fridericianum “L’universo, come infinito, lo vediamo a pezzi” del 2009, con lapidarie riflessioni esistenziali intagliate in enormi zerbini. Dall’altra, “un esercizio attivo di reimmaginare il mondo” di cui Boetti è sofisticato alfiere: tirato in ballo più che con la nota “Mappa” ricamata del’ 71, con l’ omaggio documentario di Mario Garcia Torres, che insegue le tracce dello One Hotel dove Boetti soggiornava a Kabul, ma che tradisce, con approccio un po’ didascalico, la leggerezza pensosa e arguta dell’artista torinese. Kassel e Kabul si riconnettono anche nell’operazione di Giuseppe Penone, che pianta nel parco Karlsaue il calco in bronzo di un albero simbolicamente proteso a sorreggere una pietra; mentre, con un gesto di denuncia ma anche di speranza, sarà un albero vero ad inglobare col tempo un blocco di marmo in un giardino della capitale afgana. Più radicale è il ripescaggio che Carolyn Bakargiev fa di un autore autoescIusosi dalla scena artistica neI’ 78, Francesco Matarrese: di cui è esposto , proprio nel suo “The Brain”, lo scritto “La sfida”, in cui Ia rinuncia aII’ arte diviene unica for-
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ma coerente di resistenza. Rimandano d’altro canto ad una condizione percettiva instabile sia l’operazione combinatoria che Nanni Balestrini opera dai segni verbali alle immagini, in un film di 2400 ore proiettato per 14 ore aI giorno durante gIi oItre tre mesi di durata deIla manifestazione; sia I’iterata “onda” motoria in una vasca, datata 2000, di Massimo BartoIini. Su una linea “calda” di approccio linguistico ed emozionale alla storia passata e alle tensioni collettive del presente, si possono inserire le proposte più fresche. Ad esempio I’apertura antropologica di Anna Maria Maiolino a culture aItre come queIIa del Brasile (dove vive) , in una colta, attraente e repellente ambientazione nel parco di forme impastate con la terra cruda O l’intervento daI più esplicito contenuto politico di Rossella Biscotti, che ripropone nella Neue Galerie la versione integrale di “The Trial”, il lavoro sul processo del Sette Aprile tenutosi nell’ aula bunker del Foro italico a Roma nel ’79 con cui hai vinto il Premio Italia Arte contemporanea del Museo Maxxi di Roma l’ anno scorso. NeII’ opera – che decostruisce e restituisce per frammenti I’architettura dell’aula bunker insieme aIla recitazione,
in traduzione simultanea dall’italiano al tedesco, delle otto ore del dibattimento originale - ci sono molti degIi aspetti individuati in questa Documenta: la connotazione sociale e concettuale, che non rinuncia però alla formalizzazione dell’ idea; il rapporto con la memoria, nell’impossibilità di una ricostruzione della storia; e soprattutto la centralità della ricerca, dell’ arte come modalità conoscitiva. Al confine tra verità storica e rielaborazione fantastica, tra documentazione e reinterpretazione, si pone invece la ricerca di una new entry interessante come Chiara Fumai. Che, fuori dagIi schemi, presenta una sofisticata installazione e una duplice performance in cui intreccia dialettica hegeliana ed occultismo, femminismo radicale e studi teosofici. Ma Ia sintesi più aderente, per quanto un po’ troppo ridondante, di questa impegnativa kermesse, è offerta dalla mega installazione all’esterno deIIa vecchia Hauptbanhof di Lara Favaretto: una gigantesca montagna di rottami recuperati sul posto, quale presa d’ atto di una condizione di disordine da cui - Carolyn ci crede - può’ nascere forse un nuovo e diverso ordine. AntoneIIa Marino OTT/NOV 2012 | 242 segno - 23
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Castello di Rivoli, Museo d’Arte Contemporanea
La storia che non ho vissuto Testimone indiretto
ivere la Storia non sempre significa V prenpatriziodervi parte direttamente. Il processo storico è qualcosa di este-
so nel tempo e di vitale, un amalgama di passato e presente che è sempre possibile richiamare alla memoria, riscoprire e reinterpretare anche in base alle incidenze che i grandi fatti collettivi hanno avuto nelle vicende personali degli individui e nella formazione delle singole coscienze. È questo il fil rouge che lega insieme le opere di sette giovani artisti italiani (alcuni dei quali già delle vere e proprie promesse internazionali), riunite dalla curatrice Marcella Beccaria in un progetto espositivo articolato dal titolo accattivante La storia che non ho vissuto.Testimone indiretto, allestito nelle sale del terzo piano del Museo di Rivoli. Francesco Arena, Rossella Biscotti, Patrizio di Massimo, Flavio Favelli, il duo Goldiechiari, Seb Patene sono stati scelti dalla Beccaria quali rappresentanti di una generazione di artisti spesso concentrati su tematiche di carattere socio politiche che non escludono frequenti incursioni nella storia moderna e contemporanea del nostro paese. La riflessione proposta dalle opere in mostra si apre ad un’ampia varietà di argomenti, tracciando un percorso teso a sottolineare alcuni momenti tra i più drammatici della storia italiana:dal colonialismo agli anni di piombo, dallo stragismo alla formazione dei poteri oscuri come la P2. La lettura dei fatti storici che da origine ai singoli lavori non è mai frutto di una testimonianza diretta ma è piuttosto la sintesi di un’esperienza partecipata attraverso un processo di analisi di dati e fatti provenienti da narrazioni di altro tipo: che si tratti del vissuto di persone vicine o dei resoconti giornalistici dell’epoca, ciò che conta davvero è la scoperta di nuovi punti di vista e di prospettive alternative a quelle offerte dalla storiografia istituzionale, che mettano in risalto l’incidenza dei grandi eventi sulle biografie personali e addirittura sulla storia di una generazione – quella presente – che pare avvertire oggi più che mai il grande vuoto ideologico e la mancanza di certezze future. Francesco Arena con l’opera L’Appartamento prende in esame uno dei periodi più bui della storia italiana del secondo dopoguerra, quello della formazione di poteri oscuri che cercarono di
MACRO Museo d’Arte Contemporanea, Roma
NEON, la materia luminosa dell’arte
uale miglior modo per Enel di festegQ giare i cinquant’anni della nascita dell’azienda con una mostra dedicata al
Neon nell’arte. Nella grande sala di Enel Contemporanea al Macro di Roma, (e oltre, negli spazi d’ingresso del museo) NEON. La materia luminosa dell’arte apre una panoramica di oltre settanta opere di cinquanta artisti contemporanei, che praticano da tempo il mezzo primario della luce in modi e tematiche diverse. Molti lavori erano raccolti nell’esposizione parigina curata da David Rosenberg a La Maison Rouge, che per la capitale ha avuto una rivisitazione sostanziosa e sostanziale grazie alla co-curatela di Bartolomeo Pietromarchi. L’incremento notevole di opere provenienti da importanti collezioni italiane e stranie-
deviare con il loro operato sotterraneo il corso delle vicende istituzionali. Partendo da una lista di nomi pubblicata nel 1981 in cui figuravano oltre 900 nomi di simpatizzanti e di membri dichiarati della loggia massonica P2, Arena costruisce con le lettere di quei nominativi una specie di racconto in codice che è la descrizione del suo appartamento a Cassano delle Murge. Autobiografia e Storia collettiva si sovrappongono anche nell’opera del siciliano, classe 1970, Seb Patane. Per la mostra l’artista ha realizzato Figlia della lupa, un’installazione sonora nella quale sono riconoscibili frammenti di una conversazione fra lui e sua madre. La registrazione si alimenta di ricordi e di memorie legate alla storia del Fascismo, vissuto e ricordato da una bambina di soli 5 anni (la madre appunto) e pertanto questi ricordi si fanno talora confusi e sfumati perdendo l’aspetto drammatico per diventare rievocazione lontana, narrazione suadente. Nel caso di Flavio Favelli, la tragica e irrisolta vicenda dell’inabissamento misterioso del DC 9 delle aviolinee Itavia, diretto a Ustica e scomparso nella sera del 27 giugno 1980 si mescola con il vissuto personale dell’artista che nella terribile vicenda di quei giorni sembra riconoscere le tracce di un altro inabissamento, quello più privato della propria storia famigliare. Con l’opera
Eva Frapiccini, Genova via Fracchia 12 Seb Patanè, Untitled
▼ Francesco Arena, 18.900 metri su ardesia (la strada di Pinelli), 2009 [ardesia; 322 pezzi di cm 60x60x1 Collezione La Gaia, Busca, Cuneo - Foto Massimo Valicchia Courtesy Galleria Monitor, Roma e l’artista
re, dagli anni 40 a oggi, offre una vivida dal novecento. La rivoluzione di un modo esperienza di ricostruzione di una storia di “vedere” e vivere il concetto di luce si quasi recente, che vede molti artisti inteaffaccia con la diffusione di questo nuovo ressarsi alla fascinazione estetica per la elemento del fare luce. NEON, la materia materia luminosa più elementare. L’aperluminosa dell’arte fa saltellare lo sguardo tura di dialogo con le strutture moderne di su colpi di luce policromi e monocromi, a illuminazione, sfaldando l’estraneità delle fasi alternate e con diffusione netta, decitecniche artistiche “classiche”, parlano sa. La grande sala Enel si adatta all’accoun linguaggio Maurizio Nannucci, Not All at Once, 1993 [dimensioni variabili | dimensions variable] al principio pop, Galerie Gilbert Brownstone, Paris - Courtesy dell’artista poi tautologico e concettuale. Il rapporto con lo spazio e l’architettura è forte, sin dall’origine della storia di questa invenzione, al principio di un’interazione solida fra lavoro dell’uomo e la sua divulgazione diretta, evidente; un centinaio di anni fa, a partire
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RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE
Flavio Favelli, I-TIGI n. 1 (Saluti da Roma), 2007 [cartolina dipinta con cornice - 26x22 cm ] Rossella Biscotti, Archivi
History I never lived (indirect witness)
he autumn exhibitions programme at the Castello di Rivoli opens on September T 15 with History I Never Lived Through (Indirect Witness), a major new exhibition entirely dedicated to young Italian art. The show, hosted in the large rooms on the third
floor of the former Savoyard residence, has been planned and curated by Marcella Beccaria. This new and important exhibition has been made possible by the generous contribution of the Supporting friends of the Castello di Rivoli and it is realized with the Media Partnership by La Stampa and RAI – La Storia siamo noi. Francesco Arena, Rossella Biscotti, Patrizio Di Massimo, Flavio Favelli, Eva Frapiccini, goldiechiari and Seb Patane are the protagonists of History I Never Lived Through (Indirect Witness); they have been chosen as being representative of a new generation of Italian artists who use the history of Italy as the subject of their work. Interpreted in a wide range of forms and choice of media, the works on display focus on some of the periods that have tragically marked the history of Italy over the 20th century. Including works produced especially for the occasion and others that deserve renewed attention, the exhibition provides renewed impetus for the programme promoting young Italian art, already manifested by the Castello with the support of its Friends through a Scholarship for young Italian artists. The exhibition will be accompanied by a packed programme of collateral events dedicated to Italian history and literature, and by a fresh vision of the facts and events analysed in the works glienza della molteplicità luminosa, delle sollecitazioni. Per evitare difficili sovrapposizioni e alterazioni dell’effetto proprio di ogni opera lo spazio è stato suddiviso con multipli pannelli in cartongesso, portando a un doppio movimento, nella grande sala e negli ambienti limitrofi: il foyer, sui ballatoi, e all’ingresso del museo. La tautologia
la fa da padrona, in complicità con il mezzo tecnico-espressivo che con eclatante visibilità e adattabilità ha fatto un grande prestito negli anni al linguaggio artistico, subito dopo la seconda guerra mondiale, dalla corrente concettuale al Pop. L’analisi del momento storico e sociale e il richiamo a fatti noti ha avuto spesso il sopravvento con limitata ed Joseph Kosuth, Neon, 1965 [neon bianco | white neon - 10 x 35 cm] essenziale azione courtesy Joseph Kosuth, Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli - photo Marc Domage visiva, ha dato il polso di una società di cui l’arte ha sempre tenuto conto, in maniera pulita e diretta. Così dice anche, con afflato netto, il lavoro di Cattelan con la “stella cometa” BR o in Ucciso Innocente di Claire Fontane; nella evidenza del soggetto reale propria di
Cerimonia, iniziata nel 2007, Favelli torna su quei fatti, partendo da un ricordo limpido e preciso, un’immagine fotografica pubblicata in quei giorni sul Resto del Carlino, in cui un corpo senza vita galleggiava sul pelo dell’acqua. Cerimonia è pensata dall’artista come un vestito o una coperta di notevoli proporzioni, preparato per ricoprire interamente la dimensione reale dell’aereo diventato nel frattempo un reperto museale a tutti gli effetti. Disteso a terra nel grande salone, il telo appare ben ripiegato e accuratamente disposto in modo da lasciare ben visibile la scritta tracciata con la vernice rossa Itavia. Alle pareti del medesimo salone, le fotografie silenziose di Eva Frapiccini incastrano lo spettatore in un gioco di ricordi e riconoscimenti. Frapiccini riporta a galla i fatti sanguinosi legati al fenomeno delle stragi terroristiche avvenute fra gli anni 1976 e 1982. Ripercorrendo le cronache dell’epoca e avvalendosi di ricerche storiche, l’artista ripercorre date luoghi protagonisti, fino a fare emergere il lato più conturbante di quelle vicende che esposero in fin dei conti vittime e carnefici alla crudeltà e alla durezza di una fase storica che ancora oggi lascia pesanti tracce sul presente. Indagare il passato significa per Rossella Biscotti trasporlo nel presente con tutti gli interrogativi e gli insoluti che esso porta con sé. Biscotti fa riferimento, nella sontuosa quanto enigmatica installazione Gli anarchici non archiviano, alla storia del movimento anarchico nella città di Carrara. Attingendo a testi, relazioni e lettere, l’artista ha creato cinque tavoli in ferro recanti blocchi di caratteri tipografici allestiti come se fossero pronti per ricevere l’inchiostro e procedere con la stampa. I testi in realtà sono frammenti di difficile lettura che richiedono allo spettatore uno sforzo notevole di attenzione e partecipazione come se Biscotti volesse a tutti i costi rendere il pubblico partecipe e attivo nella ricostruzione di questa storia. Il valore della memoria e la crudeltà dell’oblio sono tematiche importanti anche nella ricerca artistica del duo Goldiechiari che nell’installazione intitolata Genealogia di damnatio memorie dal forte impatto visivo, propone al pubblico una tragica sequenza di fatti di sangue che si riferiscono alle stragi accadute in Italia tra il 1969 e il 1980. Qui i fatti sono rievocati attraverso nomi di persone incisi con aulica grafia sul fusto di due giganteschi alberi che troneggiano in una delle sale del Castello. Gabriella Serusi Joseph Kosuth, fino a lavori più recenti di Flavio Favelli, Valerio Rocco Orlando, Pierre Bismuth. Naturalmente notevoli i lavori degli altri artisti storici o più giovani, selezionati per l’occasione: Jean-Michel Alberola, Stephen Antonakos, Olivo Barbieri, Massimo Bartolini, Jean-Pierre Bertrand, Bik Van der Pol, Pierre Bismuth, Stefan Brüggemann, Marie José Burki, Pedro Cabrita Reis, Pier Paolo Calzolari, Chu Hyun Ahn, John Cornu, Tim Davis, Cédric Delsaux, Laddie John Dill, Tracey Emin, Spencer Finch, Dan Flavin, Piero Golia, Douglas Gordon, He An, Alfredo Jaar, Gyula Kosice, Piotr Kowalski, Brigitte Kowanz, Sigalit Landau, Bertrand Lavier, Marcello Maloberti, Mario Merz, François Morellet, Andrea Nacciarriti, Maurizio Nannucci, Bruce Nauman, Moataz Nasr, Fritz Panzer, Anne e Patrick Poirier, Riccardo Previdi, Delphine Reist, Jason Rhoades, Jamie Shovlin, Keith Sonnier, Pascale Marthine Tayou, Tsuneko Taniuchi, Massimo Uberti, Grazia Varisco, Vedovamazzei, Cerith Wyn Evans. Ilaria Piccioni OTT/NOV 2012 | 242 segno - 25
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Galleria Lia Rumma, Milano
Anselm Kiefer a stagione espositiva dello spazio L di Lia Rumma a Milano riparte con un evento di eccezionale rilevanza, la
personale Der Fruchtbare Halbmond La Mezzaluna fertile di Anselm Kiefer. La mostra si presenta con un concept complesso, che prosegue in maniera rigorosa la sua indagine sul tema della Storia. A dieci anni dall’inizio del sodalizio tra l’artista tedesco e la galleria milanese, Kiefer continua a viaggiare nel tempo e condurre lo spettatore verso un altrove possibile, un passato mitico dove sembra situarsi la nascita della civiltà. Il lembo di terra che divide Egitto e Mesopotania è realmente e simbolicamente luogo di fusione tra Oriente e Occidente, ed è lì, in quel confronto tra culture e prospettive, che Kiefer rintraccia il luogo fertile da cui sorge la civiltà, così come oggi la conosciamo. Nelle opere in mostra la sensucht, il senso di nostalgia verso un passato ideale è totalmente assente: i resti del templi, le vestigia dei popoli che abitavano le terre mediorientali non sono souvenir letterari o evocazioni sentimentali. Kiefer non è tipo da indugiare in facili trovate da comunicatore rodato, le immagini da lui prodotte sono sempre fortemente proattive, percorse da continue tensioni e rimandi, e si configurano come dispositivi di senso in grado di generare un dialogo inesausto tra di sé e verso lo spettatore. Questo scambio costante dona una forza persuasiva rara alle sue opere, come se un campo magnetico permeasse i luoghi installativi delle sue mostre. Non a caso i temi della creazione artistica e della circolarità dell’energia sono dei nodi chiave della poetica dell’artista che, attraverso l’evocazione di simboli alchemici, elementi del sapere ermetico e fascinazioni mistiche erge dei veri e propri monumenti al potere demiur-
Anselm Kiefer, Der fruchtbare Halbmond, 2009 [acrylic, oil, shellac and sand on canvas 430x760x8 cm] Anselm Kiefer, The fertile crescent, 2009 [acrylic, oil, shellac and sand on canvas - 280x570x 8 cm] © Anselm Kiefer / Photocredit: Charles Duprat - Courtesy Lia Rumma Gallery, Milan/Naples
▼ Anselm Kiefer, The fertile crescent, 2009 [acrylic, oil, shellac and sand on canvas - 280x570x 8 cm] © Anselm Kiefer / Photocredit: Charles Duprat - Courtesy Lia Rumma Gallery, Milan/Naples
▼ Anselm Kiefer, Bavel Balal Mabul, 2012 [mixed media - 190x380x95 cm - unrolled flms, variable dimensions] © Anselm Kiefer / Photocredit: Charles Duprat / Courtesy Lia Rumma, Milan/Naples
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RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE gico dell’arte. I tentacoli di piombo di Bavel Balal Mabul (2012) riportano alle immagini create attraverso l’elettrolisi di The shape of ancient thought (2012), fotografie nelle quali templi indiani e greci si corrompono attraverso un particolare processo chimico, che evoca sia l’inesorabile trasformazione della materia cui tutto ciò che è vivente soggiace, sia la via alchemica, che attraverso la trasformazione degli elementi conduce all’illuminazione dell’individuo. I resti di antiche architetture sono anche i soggetti di The Fertile Crescent, opere datate 2009, imponenti pitture realizzate con sabbia e gommalacca, mentre il sapere alchemico riaffiora ne Il mistero delle Cattedrali, opera con cui Kiefer rende un omaggio dichiarato alla figura di Fulcanelli, misterioso alchimista contemporaneo di cui non è mai stata appurata la reale identità. La complessità della figura di Kiefer si rispecchia totalmente in una produzione che non è eccessivo definire inesauribile dal punto di vista della stratificazione. Il rigore del suo pensiero, unito a una felicità espressiva indiscutibile e a una ampiezza di visione che lo caratterizza in maniera precipua, lo rendono uno degli artisti viventi più fertili del panorama contemporaneo e uno dei più attivi dal punto di vista dell’elaborazione teorica. Quando di-
chiara: “Che cosa fa l’artista? Disegna connessioni. Tesse l’invisibile trama tra le cose. Si tuffa nella storia, sia essa la storia del genere umano, la storia geologica del pianeta o l’inizio e la fine dell’universo conosciuto” sembra delineare una figura intellettuale che molto si avvicina a quell’idea di uomo sapiente che l’alchimia, la Magnum Opus, persegue, figura che lo stesso artista incarna completamente. In questa prospettiva, non va trascurata l’influenza del pensiero di un altro grande tedesco, Joseph Beuys, che segna la parte iniziale dell’attività artistica di Kiefer, vicina al Neo Espressionismo. La visionarietà di Beuys, la sua volontà di concepire un’arte collettiva, politica, che fosse dono e possibilità reale di pratica di vita per l’umanità, riecheggiano nell’afflato umanistico di Kiefer e nel suo ambizioso tentativo di restituire all’arte un valore rivoluzionario rispetto all’esistenza degli individui. Quando sostiene: “Che cos’è la storia? La storia non esiste in modo obiettivo. È puramente soggettiva. È nelle mani degli artisti, come lo era nelle mani di Dio nella Genesi.” non sembra voler semplicemente mettere in discussione lo statuto della storia a favore di un comodo relativismo, bensì sembra voler sottolineare la potenza inscritta nell’atto creativo, un atto che non a caso paragona all’azione di Dio
Anselm Kiefer, Fulcanelli: il mistero delle cattedrali, 2012 [Oil, acrylic, pastel, steel, lead, chalk and plaster on canvas 380x380x50 cm] © Anselm Kiefer / Photocredit: Charles Duprat Courtesy Lia Rumma Gallery, Milan/Naples
nella Genesi, una volontà che crea il mondo. L’immensa fiducia che Kiefer ripone nel gesto artistico è quasi una professione di fede, mistica e laica, il credo in una azione che ad ogni manifestarsi dà vita al mondo. È l’energia che percorre le cose e che l’arte intercetta e a cui dà forma, un’energia inesauribile e in costante movimento che è tanto vicina all’idea di divinità – sia essa lo Yahweh ebraico, il Buddha dell’Oriente o una divinità solare perduta – quanto a quella della scienza, che nella fisica contemporanea trova compiuta espressione. Silvia Bottani
Anselm Kiefer, Fulcanelli – der Sprache des Vögel, 2012 [photographs – 19 double pages + cover & back - 100x60x5 cm © Anselm Kiefer / Photocredit: Charles Duprat Courtesy Lia Rumma Gallery, Milan/Naples
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Tate Modern, Londra
Damien Hirst avanti l’ingresso della Tate Modern D l’opera colossale Hymn (1999-2005), riproduzione di un busto anatomico alto
quasi sei metri, accoglie il visitatore alla prima mostra di ampio respiro che il Regno Unito dedica a Damien Hirst, una delle figure più provocatorie e discusse dell’arte contemporanea. Un’indagine completa ed accurata che si snoda attraverso opere che coprono ventiquattro anni di attività, dagli anni del Goldsmiths College e di Freeze fino ai lavori più recenti. Il percorso espositivo inizia con una foto dell’artista ragazzino, in una posa canzonatoria accanto ad una testa mozzata di
un uomo morto su un tavolo da laboratorio: immagine rivelatoria del suo fascino prematuro, e duraturo, nei confronti della morte. Il tema della morte come presenza profondamente fisica percorre infatti tutta la sua opera, e la mostra ne segue fedelmente gli sviluppi. Nell’impressionante struttura a due vetrine A Thousand Years (1990), a terra posa la testa di una mucca in decomposizione, presa d’assalto da un nugolo di mosche destinate a loro volta a finire vittime di un’ammazzamosche elettrico. Non c’è scampo, la vetrina non lascia via d’uscita, e l’osservatore si trova, inerme e disgustato, a godersi il macabro spettacolo. La vetrina, quasi strumento di un morboso voyerismo, lascia all’occhio la possibilità di scandagliare minuziosamente la de-
composizione fisica, vietando però ogni esplorazione tattile. Hirst ne fa una sua cifra distintiva utilizzandola come strumento privilegiato per la contemplazione dei suoi trionfi mortiferi. In The Psysical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living (1991) in una vetrina di formaldeide sospende uno squalo immobilizzato nel momento dell’aggressione: un’immagine maestosa che provoca un terrore primordiale nell’osservatore, che si ritrova salvo soltanto per una sorta di fermo immagine provvidenziale. In Mother and Child Divided le quattro vetrine di formaldeide contengono invece i corpi di una mucca e del suo piccolo divisi in due parti simmetricamente perfette; la distanza tra le sezioni permette di indagarne le interiora, con un orrore misto ad una malsana curiosità.
Damien Hirst ‘Pharmacy’, 1992 Glass, faced particleboard, painted MDF, beech, ramin, wooden dowels, aluminium, pharmaceutical packaging, desks, office chairs, foot stools, apothecary bottles, coloured water, insect-o-cutor, medical text books, stationary, bowls, resin, honey and honey . Dimensions variable Tate / Photographed by Prudence Cuming Associates © Damien Hirst and Science Ltd. All rights reserved, DACS 2012
amien Hirst’s solo show at the Tate Modern is the first D complete survey of his oeuvre in the UK. This great show investigates the fascination of the artist for life and death, horror and beauty, in over seventy works, including the famed The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living, where a shark is perfectly preserved and suspended in formaldehyde in a vitrine structure. The material presence of death is shown in other works such as Mother and Child Divided, a cow and a calf whose bodies are divided in two, and A Thousand Years, where a cow’s head lies on the floor, becoming the meal for starving flies. Damien Hirst ‘Sympathy in White Major - Absolution II’, 2006 © Damien Hirst and Science Ltd. All rights reserved. DACS 2011. Photo: Photographed by Prudence Cuming Associates
The cabinets series, with rows of pills, instruments and medical packaging, shows the pathological obsession of escaping death in contemporary society, whilst other works investigate the power of colour and form such as the spot and spin paintings. The most fascinating experience in the exhibition is the installation In and Out of Love, composed by a room with coloured monochrome canvases with dead butterflies on them, and a second one where live butterflies fly around the room, randomly settling on the visitors: a simultaneous experience of life and death in the same artwork Damien Hirst The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living, 1991 © Damien Hirst and Science Ltd. All rights reserved. DACS 2011 Photo: Photographed by Prudence Cuming Associates
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RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE Esposte in luccicanti vetrine sono anche le opere della serie sui medicinali: dal primo esempio Sinner (1988), in cui flaconi, bottigliette e scatole mostrano il loro packaging colorato da farmacia, fino all’ambizioso Lullaby, the Season (2002) dove quattro enormi vetrine, che portano ognuna il nome di una stagione, ospitano sui propri ripiani centinaia di pillole colorate. Le superfici metalliche ne riflettono l’ammiccante forma e i colori brillanti, dichiarando esplicitamente il loro status di placebo. L’indagine sul tema culmina nell’installazione Pharmacy (1992), fedele ricreazione di una farmacia con le pareti percorse da una serie infinita di prodotti pronti alla vendita. Nonostante la presunta vocazione salvifica, nelle mani di Hirst questi medicinali non diventano altro che
un ulteriore memento mori: nonostante la loro carica attrattiva, tradiscono la loro inutilità, la loro impotenza nell’evitare all’uomo il suo destino di morte. Tutta la mostra è percorsa da un’ambivalente compresenza di vita e morte, di straordinaria bellezza estetica e orrore materiale. Ali di farfalla coloratissime si dispongono sulla tela come minuscole tessere di stupefacenti vetrate, ma l’occhio attento scopre la crudeltà del colore in cui l’ala è rimasta invischiata. L’installazione In and Out of Love, in mostra per la prima volta dal 1991, è la dimostrazione materiale della compresenza materiale di vita e morte nella stessa opera.: dopo esser entrati in una stanza con al centro un tavolo con posaceneri ricolmi, e alle pareti tele monocrome con ali di farfalle morte,
si prosegue in un’altra in cui farfalle coloratissime nascono, crescono, svolazzano nello spazio circoscritto, e si posano sulle figure dei visitatori stupiti. In altre serie l’artista sceglie di far proprio il polo positivo dell’ossimoro tanto amato, e si concentra sulla carica vitale del colore, facendone il fattore determinante dell’opera: negli Spot Paintings, in cui i pois si dispongono a distanze regolari sulla tela con un gioco di colori e sfumature, e negli Spin Paintings, enormi tele circolari con una festa di impressioni cromatiche. Se i medicinali sono una falsa illusione di longevità, e il regno umano e animale condividono lo stesso destino di morte, forse, sembra volerci dire l’artista, l’unica salvezza è nella gioia estetica. Roberta Minnucci
Damien Hirst ‘A Thousand Years’, 1990 (installation view) Glass, steel, silicone rubber, painted MDF, insect-ocutor, cow’s head, blood, flies, maggots, metal dishes, cotton wool, sugar and water . Photographed by Prudence Cuming Associates © Damien Hirst and Science Ltd. All rights reserved, DACS 2012 ▼ Damien Hirst ‘In and Out of Love (White paintings and Live Butterflies) 1991 Installation view Primer on canvas with pupae, steel, potted flowers, live butterflies, Formica, MDF, bowls, sugar-water solution, fruit, radiators, heaters, cool misters, air vents, lights, thermometers and humidistats. Dimensions variable Private Collection, courtesy White Cube Photographed by Prudence Cuming Associates © Damien Hirst and Science Ltd. All rights reserved, DACS 2012
Damien Hirst ‘Sinner’, 1988 Glass, faced particleboard, ramin, plastic, aluminium, anatomical model, scalpels and pharmaceutical packaging © Damien Hirst and Science Ltd. All rights reserved. DACS 2012. Photographed by Prudence Cuming Associates Damien Hirst, Beautiful, childish, expressive, tasteless, not art, over
simplistic, throw away, kid’s stuff, lacking integrity, rotating, nothing but visual candy, celebrating, sensational, inarguably beautiful painting (for over the sofa), 1996 © Damien Hirst and Science Ltd. All rights reserved. DACS 2011. Photo: Photographed by Prudence Cuming Associates
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di o non completamente nel pieno delle proprie facoltà. Queste opere suggeriscono un tema antico nella storia dell’arte, quello del “fool”, il folle, lo stolto della Scuola fiamminga. Nel Rinascimento i pazzi e gli stolti non venivano più considerati, come accadeva nel Medioevo, persone in contatto con Dio, ma posseduti da demoni o privi della ragione. La sorte riservata a quel tipo di persone era di venire banditi dalle città, imprigionati e imbarcati su delle navi con poco cibo, lasciati alla deriva e al proprio destino. Quello del “folle” era un tema ricorrente nella pittura fiammin-
ga, e in particolare nelle opere di Bosch e Bruegel. Attraverso di esso venivano messe in ridicolo l’ignoranza e la stupidità della chiesa, e veniva denunciato il controllo della religione sul popolo. Secondo il loro pensiero, molti usi o costumi volgari e cattivi del genere umano potevano essere individuati nei comportamenti di quei “pazzi”, che allora erano serviti come metafora della realtà. Come per i pittori fiamminghi del periodo rinascimentale, la pittura di Yue Minjun è l’arte di provocare risate. Proprio come nella nostra epoca, le sue immagini spesso mostrano chiaramente il potere esercitato dalla cosiddetta “superficialità”. L’aura umoristica che l’artista crea è così accattivante che spesso porta a trascurare il significato profondo nascosto dietro i dipinti stessi. Generalizzando sulla sua pittura si tende ad enfatizzare il fatto che il suo lavoro ha spesso per soggetto l’artista stesso e pone in ridicolo l’ego. In realtà, ad uno sguardo approfondito, protagonista dei suoi quadri non è solo l’artista, ma anche noi stessi. L’arte di Yue Minjun ha il potere di penetrare direttamente il cuore umano. Questo potere deriva dalla “rinuncia” a se stessi. Yue Minjun ha usato il termine “rinuncia” per descrivere i suoi primi lavori negli anni ’90. Questa parola incarna perfettamente le caratteristiche di quel periodo. Negli anni ’80 un gruppo di artisti considerava la propria arte un mezzo per salvare e riformare la società, ma il corso della storia mandò in frantumi il sogno di quegli artisti. Eppure, nel 1990, si fece strada un nuovo tipo di artisti, e Yue Minjun era tra loro. La situazione sociale dalla riforma e dall’apertura aveva portato questi artisti a scoprire che, sebbene i colleghi che li avevano preceduti avessero lottato duramente per quasi dieci anni, all’interno della società esisteva ancora una schiacciante opposizione. E che non era possibile realizzare la propria intuizione creativa per un artista. Così i sentimenti di cinismo e misantropia cominciarono a pervadere il mondo dell’arte. Yue Minjun e i suoi colleghi utilizzano scene di vita quotidiana semplici, noiose e assurde per ridicolizzare la società. Un occhio attento noterà che dietro le sue risate e la sua rinuncia si cela in realtà una più profonda consapevolezza. A differenza di artisti precedenti, questa convinzione si manifesta nel lavoro di Yue Minjun attraverso l’”ironia”. Nella logica della sua arte egli contrappone “moda”, “volgarità” e “insensatezza” a “nobiltà” e “senso” nel discorso sociale dominante, e tenta di restituire dignità al sé. In questo contesto Yue Minjun si trova ad essere combattuto sotto due aspetti: da un lato, si trova a dubitare e a interrogarsi sulla realtà e, dall’altro, a mettere in discussione l’intero modello e la metodologia creativa dell’arte contemporanea cinese dagli anni ’80. Sfortunatamente dagli anni ’90 in poi, i profondi cambiamenti nello scenario internazionale politico e culturale, hanno portato ad un invisibile insabbiamento del vero significato dell’arte: tali cambiamenti si sono però rivelati una benedizione per le arti. L’arte di Yue Minjun viene di frequente considerata come una sfida nei confronti della realtà. Ciò che viene trascurato è la difficoltà della relazione tra le vec-
s Yue Minjun, Memory ?, 2000 [oil on canvas - cm. 140 x 108]
▼ Yue Minjun, Freedom Leading the People, 1999 [oil on canvas - cm. 250 x 360]
Fondazione Cartier, Parigi
Yue Minjun
“Pazzo quanto te / Risate” di Pi Li soggetti nelle opere di Yue Minjun risultano sempre intrapIgiudizio polati in condizioni emotive estreme e sembrano aver perso il razionale.Vengono raffigurati come esseri confusi, stupi-
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RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE
Yue Minjun, Buddism, 2006 [Acrylic on Canvas, cm. 220x264cm]
chie modalità creative e il suo metodo. Solo riconoscendo il suo superamento di queste vecchie modalità è possibile comprendere ciò che Yue Minjun è riuscito a realizzare come artista. Nella sua arte Yue Minjun elimina completamente concezioni
estetiche tradizionali quali la grazia, il sublime, la concretezza e la qualità poetica. È questo in realtà il significato essenziale della sua “rinuncia”. La più grande differenza tra gli altri artisti contemporanei e Yue Minjun è che, mentre gli altri artisti rendono Yue Minjun, Gweong, 1993 [oil on canvas - cm. 182 x 250]
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Yue Minjun, The Death of Marat, 2002 [oil on canvas - cm. 220 x 292]
Yue Minjun, Re-portrait series, 2011/12 [oil on canvas]
i momenti noiosi “sublimi” e “poetici”, lui mette in atto una ferma azione di degradazione e adulterazione dei concetti di “sublime” e “poetica”. Questa differenza è sottile, ma significativa. Soggetto della sua azione di riscrittura e degradazione sono scene allegre, momenti storici significativi e arte classica. E questo tipo di degradazione e di adattamento è di cruciale importanza per l’arte contemporanea cinese, perché ciò che Yue Minjun ha concretizzato attraverso le sue azioni non è uno stile, ma una dimensione artistica strettamente connessa alla vita contemporanea. Con il passare del tempo, il contenuto della cosiddetta “realtà sociale” in Cina è oggi molto cambiato rispetto alla realtà artistica dei primi anni ’90. Attualmente gli scontri tra diverse ideologie e valori non sono così acuti come in passato, ma non sono ancora scomparsi del tutto dal panorama contemporaneo, essendo solo temporaneamente celati dal boom economico-commerciale. In questa realtà complessa, tutto può essere tradito, o ceduto, anche la “spiritualità” nell’arte. La Cina, entrando nel ciclo della globalizzazione, come qualsiasi altro paese nel mondo si è trova-
ta ad essere costantemente guidata da un desiderio di “novità”. Seguendo questo desiderio, la gente ha sentito il bisogno di dimenticare rapidamente i vecchi idoli e al tempo stesso di crearne sempre di nuovi. Di conseguenza,”novità” e “contemporaneo” sono diventati il più grande idolo di questa era. Caratteristica della cultura di questa epoca è divenuto l’incessante processo di creazione di idoli. In questo contesto, attraverso la degradazione e la riscrittura, l’obbiettivo di Yue Minjun è quello di opporsi all’idolatria usando la “ripetizione” costante. L’artista ha dichiarato: “L’utilizzo dei mezzi tradizionali della pittura e della scultura per clonare all’infinito la propria immagine ha lo scopo di creare un nuovo idolo, seguendo le modalità proprie della televisione e del cinema contemporanei. Quando un idolo viene costantemente riprodotto, grazie all’aumento della quantità, acquista un enorme potere. Una volta creato un idolo, posso servirmi del mio idolo, usandolo continuamente. Gli idoli hanno vita propria. Spesso influenzano la nostra vita, standardizzano i nostri costumi e comportamenti. La
he figures in Yue Minjun’s works are T always stuck in extreme emotional conditions, and appear to have lost their
rational judgement. They are rendered as beings who are either dull-headed or short of a full complement of wits. These works suggest an age-old motive in art history, that is, the theme of “fool” in the Flemish School. During the Renaissance, lunatics and fools were no longer regarded as people in touch with God as in the Medieval Age, but taken as those possessed by demons or deprived of reason. The way to deal with this sort of people was to secure them on boats given a small store of food and banished from the cities as the boat was left to run its own course. The subject of the “fool” was a perpetual theme portrayed by Flemish painters, especially Bosch and Bruegel. In this way, they satirized the ignorance and stupidity of the church, and referenced the control of religion over the people. In their view, various vulgar and evil customs or practices of mankind could be found in those lunatics, which then served as a metaphor for reality. Similar to the Flemish painters of the Renaissance period, Yue Minjun’s painting is the art of provoking laughter. Just as in our era, his pictures often show clearly the power carried by so-called “superficiality”. The humorous aura he creates is so appealing that we frequently overlook the profound meaning behind the paintings themselves. When roughly generalizing his paintings, people tend to place emphasis
on the fact that his work often takes the self as its object and offers a mockery of ego. Actually, to thoughtful people, the characters in his paintings are not only the artist himself, but also us. Yue Minjun’s art has the power to penetrate directly the human heart. This power stems from the “abandonment” of the self. Yue Minjun used the word “abandonment” when he described his earliest works in the early 1990s. This word very much embodies the features of that period. In the 1980s, a group of artists regarded their creation as a means to save and reform society. But the course of history shattered those artists’ dream. Yet in the 1990s, a new species of artists emerged, and Yue Minjun was among them. The social situation since reform and opening-up has led these artists to discover that although previous artists had endeavored very hard for almost ten years, yet within society, there still existed an overwhelming counter-force. As an artist, it is not possible in fact for an artist to realize their creative intuition. Thus, the sentiments of cynicism and misanthropy began to pervade the art world. Yue Minjun and his counterparts employ plain, boring and absurd scenes from life to ridicule society. Those with a discerning eye will see that beneath his jokes and abandonment there actually lies a more profound conviction. Differing from previous artists, in the work of Yue Minjun this belief arises in the form of “irony”. The basic logic in his art uses “vogue”, “coarse” and “meaninglessness” as a
counterpoint to “nobility” and “meaning” in the ruling social discourse, and tries to restore the dignity desired of by the self. Against this background, Yue Minjun situates himself in a double-battled state: on one hand, there is doubt about and a questioning of reality; and on the other hand, a questioning of the entire pattern and creative methodology of China’s contemporary art since the 1980s. However, unfortunately, since the 1990s, the real changes in the international, political and cultural layout have invisibly covered up the internal meaning of art, while those changes confer all kinds of blessings upon the arts. Yue Minjun’s art is frequently and narrowly understood as an attitude toward reality. What is neglected is the severing of the relationship between Yue Minjun, Untitled, 1998 [oil on canvas - cm. 70,5 x 70]
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RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE
Yue Minjun, Isolated Island, 2010 [oil on canvas - cm. 300 x 300]
Yue Minjun, Mao Xinglan, 2007 [acrylique sur toile - cm. 400 x 500]
società odierna è una società degli idoli. La cultura di oggi è la cultura degli idoli”. È forse alla luce di ciò che Yue Minjun prende in prestito la forma de “I Guerrieri e Cavalli di terracotta” della Dinastia Qin, duplicando all’infinito l’immagine di se stesso. Così come in passato ha utilizzato il tema dell’”inutilità”, come contrappunto a quello del “valore”, oggi ha cominciato a usare il concetto di “noncreazione” per negare quello di “creazione”. Perché anche nella dimensione artistica contemporanea la creazione guidata da vantaggi commerciali è divenuta una sorta di nuovo idolo, ed è applicata a vendite e mostre, ricavando grande beneficio economico. Se con il passare del tempo si sono sollevati dubbi circa l’arte di Yue Minjun, accusata di perdere la sua natura critica nei confronti della realtà, allo stesso modo l’evoluzione di cui questa era è protagonista rivela chiaramente il potere critico dell’artista su arte e storia dell’arte. Questi due aspetti permeano tutte le sue opere. La natura critica del passato si esplica nelle sue opere attraverso le immagini, mentre quella recente si realizza attraverso le alterazioni della sua metodologia. Per un artista questa è una sfida e un modo di affrontare la realtà, una sorta di percorso artistico, e anche un modo di vivere. Wang Shuo, famoso autore contemporaneo di Yue Minjun, nel suo Wan Zhu descrive uno scrittore sussiegoso ed ipocrita che dice ad una giovane scrittrice che la cosa più importante nella creazione letteraria è che “si dovrebbe essere disposti a rinunciare a se stessi, ad abbandonare il proprio io”. the old-style methods of creation and his own. Only when we recognise the break-throughs in these methods can we understand the achievement Yue Minjun has made as an artist. In Yue Minjun’s art, he thoroughly eliminates traditional aesthetic conceptions, such as grace, sublimity, tangibility and poetic quality. This is actually the essential meaning of his “abandonment”. The biggest difference between other contemporary artists and Yue Minjun is that while other artists make the boring moments “sublime” and “poetic”, he resolutely employs a mode of degradation and adulteration of the concepts of “sublime” and “poetic”. This difference is subtle, yet significant in effect. His rewriting and degradation include cheerful scenes, significant historical moments and profound classical art. And this sort of degradation and adaptation is particularly critical to China’s contemporary art, because what Yue Minjun has established, in this process, is not a style but an artistic realms closely bound to contemporary life. With the passage of time, the content of so-called “social reality” in China today differs greatly from the artistic reality of the early 1990s. At present, the clashes between diverse ideologies and values are not as acute as in the past, but they have not yet vanished completely from our sight, being only temporarily concealed by the booming commercial economy. In this complicated reality, everything can be
rom November 14, 2012 to March 17, 2013 the Fondation F Cartier pour l’art contemporain will present the first major European exhibition dedicated to the Chinese artist Yue Minjun,
a unique opportunity to discover the work of an artist who, in spite of his international renown, continues to maintain a relatively low profile. Yue Minjun’s paintings, with their colorful iconography, peopled by enigmatically laughing characters, reinvent the grotesque and its codes, while expressing an ironic and disillusioned vision of the social and political situation in contemporary China, as well as of the human condition in the modern world. Featuring nearly 50 paintings from collections around the world, a significant selection of sculptures from the garden in his Beijing studio, as well as a wide array of drawings that have never been shown to the general public, this exhibition will reveal the singular and complex aesthetic of an oeuvre that defies all interpretation.
Non so se Yue Minjun abbia letto questo romanzo, ma credo che avrebbe sicuramente apprezzato lo stralcio qui riportato. Perché ciò che fa nel suo lavoro si può paragonare ad una ragazza ignorante e innocente che rinuncia a se stessa: egli rinuncia non solo alla propria immagine, ma anche al proprio dovere di artista. E una volta rinunciato realmente a questi elementi, egli sarà come Marx afferma nel suo Manifesto del Comunismo: “Ciò che si è perso sono solo catene, ma ciò che si è vinto è il mondo intero”.
betrayed, or ceded, even “spirituality” in art. Entering into the cycle of globalization, China like any place in the world is driven constantly by a desire for “novelty”. Under the motivation of this desire, people need to forget rapidly the old idols while at the same time continuously create new ones. Following this, “newness” or “contemporary” have become the greatest idol of this era. The culture characteristic of this epoch is the process of unceasingly creating idols. Within this context, while degrading and rewriting, Yue Minjun achieves the goal of anti-idolization through constant “repetition”. He has said, “Using traditional modes of painting and sculpturing to unendingly clone the self-image is for the purpose of creating a new idol just like contemporary television and film modes. When an idol is constantly repeated, because of the increase in quantity, it acquires tremendous power. Once an idol is created, I can utilize and apply my idol, using it continuously. Idols have life. They frequently influence our life, standardize our manners and behavior. Today’s society is a society of idols. Today’s culture is the culture of idols.” Perhaps, against this background, Yue Minjun borrows the form of “The Terracotta Warriors and Horses” from the Qin Dynasty, infinitely duplicating the image of his own self. As he used “worthlessness” as a counterpoint to “value” before, today, he has begun to use “non-creation” to negate “creation”. Because even within
the contemporary artistic realm, the creation driven by commercial benefits has become a kind of new idol and is applied in sales and exhibition, which has won great commercial benefit. If the movement of times raises doubts about Yue Minjun’s art losing its critical nature to reality, then similarly the evolution affecting this age clearly bespeaks of his critical power on art and art history. These two aspects actually penetrate all his works. The former critical nature is achieved through the images in his works, and the latter is realized through the alterations in his methodology. This is a kind of attitude and way to face reality for an artist, a kind of artistic way, and even a way of living. Wang Shuo, a renowned author who is a contemporary of Yue Minjun, in a detail of his Wan Zhu depicts a prim and sanctimonious writer who says to a young literary girl that the most important thing in literary creation is that “one should be willing to part with oneself”. I don’t know whether Yue Minjun has read this novel, but I believe that he would certainly appreciate the detail mentioned here. Because what he does in his work is like an ignorant and innocent girl who gives up her self, that is not only the image of oneself, but also the obligation of oneself as an artist. And once really these are given up, he will be as Marx pronounced in his Communism Manifesto: “What is lost is only chains, but what is won is the whole world” OTT/NOV 2012 | 242 segno - 33
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CIAC, Foligno
Vincenzo Agnetti olitamente le attività estive in proS grammazione in un museo presentano mostre “di servizio” realizzate in previ-
sione di una bassa affluenza dato il concomitante periodo vacanziero, e quindi si concentrano su tematiche frivole oppure su variegate e leggere collettive che, pur assicurando l’impegno e la serietà, non comportano oneri economici particolarmente rilevanti. Le mostre importanti vengono proposte in altri momenti dell’anno. Al CIAC di Foligno, considerevole spazio per l’arte contemporanea, già preannunciato da una ragguardevole architettura, hanno pensato in grande, senza pregiudizi, e con altrettanto grande coraggio hanno consegnato al pubblico una mostra impegnativa, curata e raffinata anche nel periodo estivo, permettendo al piccolo centro umbro di ospitare uno dei maggiori esponenti dell’arte contemporanea attuale: Vincenzo Agnetti. Nata in collaboVincenzo Agnetti e Paolo Scheggi con l'opera Il trono, 1979 [courtesy Fabio Donato Napoli]
razione con l’Archivio Agnetti e grazie al contributo e la supervisione delle direttrici Bruna Soletti e Germana Agnetti – moglie e figlia del grande artista – la mostra ha potuto offrire una lettura mirata e puntuale sul percorso poetico di Agnetti dal 1967 al 1981. Un’esposizione non facile data la complessa personalità di questo artista, ma che i due curatori – Italo Tomassoni e Bruno Corà – hanno egregiamente condotto partendo da una selezione attenta di alcune tra le maggiori opere della sua produzione testimoniando, nei due piani espositivi del CIAC, i cicli di lavori diversi che animano la storia del pensiero di Agnetti nel corso del tempo. In mostra si potevano, infatti, ammirare capolavori come Macchina drogata, Photo-Graffie, Surplace o Libro dimenticato a memoria… Opere che hanno segnato il linguaggio artistico contemporaneo, animando il dibattito in anni cruciali per la formazione di una nuova sensibilità e un nuovo modo di vedere e intendere l’arte, e hanno lasciato un esempio forte, benché il genio dell’artista non sia stato negli anni celebrato quanto in realtà avrebbe meritato, per
le generazioni future di artisti. Vincenzo Agnetti è stato un artista, un pensatore di rara capacità e pur spaziando in generi diversi – ha prodotto dipinti, sculture, azioni e ha lasciato anche scritti critici e teorici – ha mantenuto una coerenza esemplare in ogni esito raggiunto. La sua attenzione si rivolgeva anche ad uno scambio vivo e sincero con molti artisti di quel periodo e, in tal senso, non si deve dimenticare la collaborazione e gli scambi con Enrico Castellani, Piero Manzoni, Giorgio Colombo, Paolo Scheggi, Claudio Parmiggiani o con l’editore Scheiwiller con il quale pubblicò il romanzo-manifesto Obsoleto (con una copertina in rilievo di Enrico Castellani). La mostra è stata resa possibile grazie ad un significativo contributo in termini di prestiti di opere che provenivano dalle maggiori collezioni pubbliche e private, segno ulteriore dell’alta qualità di questo progetto. Una mostra che non solo rende omaggio ad un talento ma restituisce anche lo spunto per una nuova e precisa analisi critica su uno degli interpreti maggiori di una irripetibile stagione artistica. Matteo Galbiati
Vincenzo Agnetti, ”Libro dimenticato a memoria”, 1970 [libro fustellato al centro con copertina in tela, 70x50 cm, Archivio Vincenzo Agnetti, Milano]
Pinacoteca Provinciale, Bari
Mimmo Paladino a splendida mostra alla Pinacoteca L Provinciale Corrado Giaquinto di Bari, omaggio alla scultura di Mimmo Paladino
a cura di Clara Gelao e Enzo Di Martino, accoglie circa novanta sculture installate negli spazi museali delle sale della collezione permanente di arte antica. In questa inusuale occasione espositiva, le opere in bronzo del maestro della nuova figurazione della Transavanguardia dialogano magicamente con opere di Giovanni Bellini, dei Vivarini, con polittici e pezzi scultorei tre-quattrocenteschi. Eseguite prevalentemente negli ultimi trent’anni, tra il 1982 e il 2007, le sculture in mostra documentano con efficacia un prolifico percorso di ricerca espressiva, un percorso che ha saputo recuperare le radici dell’universo arcano e primitivo della cultura mediterranea, sino ai miti classici e ai simboli etruschi, alle figurazioni dell’arte romana e dell’arte rinascimentale, evidenziando una significativa competenza visiva generata dall’accurata stratificazione storica di citazioni colte e dalle audaci incursioni nell’universo della tradizione popolare. La costante ricerca di Paladino di nuove vesti stilistiche per la scultura si basa su una innata abilità manipolatoria, una sorprendente conoscenza dei materiali,
Mimmo Paladino, Allestimenti alla Pinacoteca Provinciale di Bari
una trasgressiva capacità di ricondurre il tutto ad un’unica cifra formale, densa di eleganti segni e di forme semplificate, di solenne spazialità metafisica e di inquietante coerenza compositiva. Figure acefale, pose statiche, gesti rituali, metaforiche sagome animali, simboliche strutture geometriche, rivendicano la complessa matrice concettuale dell’opera di Paladino, sospesa tra orizzonti figurativi e fughe
aniconiche. Grande interprete del leggendario epos italico, Paladino nella sua vasta produzione scultorea ha saggiato l’uso disinibito di materiali differenti come il legno, la pietra, la ceramica, la terracotta (a volte colorati). E, soprattutto il bronzo, come ben testimonia questa antologica che propone pezzi noti come “Architettura”, l’imponente e stilizzato cavallo del 2007; il grande
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attività espositive
RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE
Daniel Buren, Allestimenti al MARCA di Catanzaro
MARCA, Catanzaro
Daniel Buren i rinnova il consueto appuntamento S con Intersezioni, evento a cura di Alberto Fiz, che vede il Parco Archeologico di Scolacium di Catanzaro oggetto d’arte, riplasmato dal fare sapiente di noti artisti. Per questa edizione il “luogo dell’archeologia” incontra le architetture
minimali di Daniel Buren, che realizza cinque istallazioni site specific; completano la mostra una serie di lavori esposti al MARCA, anch’essi scanditi dal rigore geometrico e da un compìto dinamismo cromatico. Non perdendo l’originaria tendenza all’azzeramento della base materiale della pittura, che ne garantisce le condizioni minime di esistenza, ancora una volta l’artista francese predilige forme elementari e bande regolari, che si traslano dal piano pittorico a quello
Mimmo Paladino, Allestimenti alla Pinacoteca Provinciale di Bari
volume del dodecaedro stellato con la minuta testa maschile sospesa (“Senza titolo” del 2001); la figura accovacciata con il cane (“Senza titolo” del 1993); la figura a cavallo con lo scudo (“Omaggio a Marino Marini” del 2003); il “Don Chisciotte” del 2007 con la piccola testina barbuta all’ingiù; e, ancora, i nobili guerrieri e le statue equestri, gli smagriti animali e i viandanti dormienti, gli uomini inginocchiati e quelli
seduti e pensanti, i vincitori e i vinti, i vivi e i morti. Nella Sala II della Pinacoteca Giaquinto, la cosiddetta Sala dei Veneti, è ambientata l’opera scultorea più grande e coinvolgente dell’artista campano. Anche questo lavoro, come gli altri, genera perturbanti assonanze visive con le opere antiche, sollecitando riverberi e rispecchiamenti. Si tratta di una monumentale installa-
scultoreo-installativo, modificando il contesto in cui opera. I suoi interventi, a Scolacium, realizzano un sincretismo con i resti dell’antico insediamento romano, annullando la distanza - temporale e spaziale - tra tradizione e contemporaneità, richiamando l’attenzione sul reale, sulla stretta relazione - quella di consueto esibita dall’artista - con l’ambiente circostante naturale o urbanoarchitettonico. Difatti, “Costruire sulle vestigia: Impermanenze. Opere in situ” non è solo il titolo della mostra, ma l’autentico obiettivo di Buren, che ha sempre progettato le sue opere per spazi specifici, poiché - afferma - «un’opera senza luogo non esiste». Non alterandone la complessità storica ed artistica, Buren reinventa la Basilica, l’uliveto, il Foro ed il Teatro, creando un percorso suggestivo. Se la Basilica di Santa Maria della Roccella brilla di una calda luce blu e rossa, merito delle “nuove” vetrate in plexiglass, che riecheggiano le duecentesche vetrate gotiche di Saint Denis, l’uliveto presenta venti elementi circolari che dialogano con gli alberi, abbracciandone la base del tronco; procedendo, il Foro accoglie un basso colonnato che si insinua su elementi preesistenti, la cui scalanatura è ottenuta tramite variazione cromatica dal bianco al rosso; nel Teatro una struttura specchiante, una serie di lastre allestite parallelamente o perpendicolarmente l’una all’altra, accoglie in sé e al contempo nasconde lo spazio circostante. Ultima istallazione, legata al riadattamento del Teatro, è “Cabane éclatée aux 4 couleurs: travail in situ”, metaforicamente protesa al vuoto, aperta ad assorbirlo e ad occuparlo, ricreando uno spazio abitabile, animato da una propria identità irripetibile. Inevitabilmente caricati di valenze concettuali, gli interventi di Daniel Buren vogliono dimostrare che l’opera è un segno che dipende principalmente dal contesto in cui si colloca, inducendo il fruitore ad interrogarsi sulla vera natura dell’arte, oltrepassando - “To Transgress” - ogni tipo di rappresentazione. Simona Caramia zione con l’assemblaggio suggestivo di settantadue sculture in bronzo di piccole e medie dimensioni collocate su alti tavolini in metallo: “un insieme vivo e brulicante, da scoprire a poco a poco, posto in un ambiente abitato che allinea sulle pareti testimonianze artistiche di vario genere, cronologicamente scalate tra il XIII e il XVI secolo”, come osserva in catalogo la direttrice del museo Clara Gelao. Una scomposta folla di figurine essenziali e schematiche, volti ermetici, mani e maschere, teschi e piedi, sagome geometriche e forme alate, oggetti domestici e strumenti anonimi, formule matematiche e quinte architettoniche, rami e scale, grate e tralicci, solidi platonici e carrucole, elementi vegetali e carretti, figure mitologiche e allusioni allegoriche. Un incantato microuniverso di sculture misteriose, quasi un piccolo museo di ex-voto dell’arte contemporanea. Umberto Eco lo celebrerebbe nel suo mirabile “Vertigine della Lista” come una eccezionale vertigine visiva, un’enumerazione caotica del non-archiviabile, un’elencazione impossibile del rappresentabile, una catalogazione dell’illimitato potere dell’immagine e dell’immaginazione. O, forse, una testimonianza del problematico presente dell’arte destinata alla futura arte che verrà (Catalogo Edizioni Marsilio con testi di Clara Gelao e Enzo Di Martino). Maria Vinella OTT/NOV 2012 | 242 segno - 35
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Centro per l’arte contemporanea, Monteciccardo (Pu)
Eliseo Mattiacci on è facile indovinare su quali N aspetti di questo nostro mondo si soffermino gli occhi grigio-azzurri di Eli-
seo Mattiacci (…) con l’imparzialità di un raggio di un faro, il suo sguardo calmo ed innocente dove brilla sempre una luce discreta di affettuosa ironia, una allegra scintilla di curiosità.” Ogni volta che incontro Eliseo Mattiacci mi tornano alla mente queste parole scritte da Giuliano Briganti. L’occasione in questo caso è l’approdo, in un piccolo convento cinquecentesco nell’entroterra pesarese a Monteccicardo, in un pomeriggio estivo che regala una luce capace di mostrare colline segnate da solchi, colorati dal rivivere della terra, incastonati tra il verde acceso della vegetazione. All’interno del conventino dei Servi di Maria, una selezione di disegni dell’artista e un’opera, Sette corpi di energia, non esposta da diverso tempo, presentata nel 1973, alla galleria milanese Alexander Jolas. Dall’ingresso, passando sotto i portici dell’ampio chiostro luminoso e procedendo su, per due strette rampe di scale, in una delle stanze del conventino, l’opera, nel ‘73 letta dalla critica quale testimonianza dell’aspirazione a riappropriarsi di tradizioni e tempi di antica memoria antropologica, oggi sembra attendere il visitatore per immergerlo in un qualche cosa di meravigliosamente, temporalmente e fisicamente, sospeso. Sette tronchi di quercia, calchi in allumi-
nio, di piccolo diametro ma forti e alti e su uno di essi una piccola scultura. A dimora, sull’estremità del tronco, la statua del dio Xochipilli orientato verso gli ultimi raggi di sole del tramonto che, entrando di taglio dalla finestra, lo investono di luce, come a voler sottolineare la possibilità di incontro tra le energie della natura, della scultura e del rito, nella fusione delle forme con, anche, la forza del sole. Il visitatore, come sollevato, in questo spazio dilatato altro non può che sentirsi accolto “dentro” questo campo di energie, dove forme e spazio rimbalzano tra stanza ed esterno, rendendo a momenti le pareti immateriali, in questo gioco di orientamenti e rimandi arcaci. Ancora una volta, caparbiamente, l’artista entra e separa il ciclo continuo dell’unità della natura. Allo stesso modo delle opere collocate in spazi aperti anche qui, all’interno di una stanza, Mattiacci riesce a canalizzare gli elementi dell’energia “cosmica”, evocati e resi fisicamente presenti, rinnovando così la sua sempre viva ricerca. La costante curiosità, motore di questa sfida o gioco, sembra sempre spingerlo verso soluzioni artistiche, attraverso la realizzazione di opere, capaci di interrompere il flusso della natura nel suo darsi come totalità, cercando di liberare, individuando attraverso l’esperienza intesa come una serie di atti che danno accesso a ciò che non si conosce, i singoli elementi per mostrare che “in senso immediato, come in senso simbolico, in senso corporeo, come in senso spirituale, siamo noi, in ogni momento, coloro i quali separano ciò che è collegato e collegano ciò che è separato” . Xochipilli, dio azteco principe
dei fiori, dio dell’amore, della fertilità e dei raccolti, dall’alto della sua collocazione, idealmente conduce il visitatore nelle altre piccole stanze, dove i disegni si dispiegano come una mappa che racconta di un immaginario, utilizzando le parole scritte da Fabrizio D’Amico, “indissolubilmente teso a catturare le scintille disseminate sulla terra di un’energia che egli – Mattiacci - avverte come ‘cosmica’ ” . Ecco allora, energici segni della grafite sulla carta, come in Intermittenza del tempo all’estremità dei poli del 1987, o nel recente Accenno di disegno di opere in mostra, e riflessioni che avvicinano ulteriormente il visitatore al modo nel quale l’artista s’inserisce, inserisce la propria opera, nel flusso delle energie, naturali e trasmesse, per rilevarne i momenti di possibile contatto e dar segno visibile della loro convivenza, come l’artista stesso sottolinea in un appunto scritto in calce ad un disegno per una “opera nel bosco che prolifera La natura cresce, ma crescono le energie che entrano in contatto”. Disegni che lasciano intuire desiderio e forza immutata, dell’artista, di continuare ad “essere fisicamente nelle cose (...) analizzarle, comprimerle, attraversarle” come spesso da lui ripetuto. Una mostra di particolare poesia che sicuramente da un bel contributo al proposito di Mattiacci di creare un “satellite felice dove succedono cose imprevedibili (una piccola isola di creatività)” , lontana dai formalismi, magica e sicuramente capace avere quella sfera “(…) di attrazione nell’insieme da incuriosire la C.I.A. e il K.G.B” ironicamente evocata! Adele Cappelli
Eliseo Mattiacci, Sette corpi di energia, 1973, fusione in alluminio, 200x200x195 cm, Courtesy Luisa Laureati.
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RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE
Grazia Toderi, Atlante Rosso, 2012 [video projection, loop, sound, dvd - ed. 1/5] Grazia Toderi, Atlante Rosso, 2011 [two video projections, loop, sound, dvd - ed. 1/5
Galleria Vistamare, Pescara
Grazia Toderi tlante Rosso è il titolo del progetto, A composto di stampe fotografiche, di grande e piccolo formato, e opere video
che Grazia Toderi presenta per la prima volta in Italia, appositamente realizzato per questa sua personale alla Galleria Vistamare. Il suo lavoro coinvolge ed emoziona. E’ un invito alla contemplazione che si consuma nella fascinazione delle immagini. Nei due video della stanza centrale, lo sguardo è quasi ipnotizzato dalla doppia rotazione che le proiezioni lentamente compiono in opposte direzioni. E’ letteralmente rapito dalla bellezza ed eleganza delle forme circolari che sembrano una lente d’ingrandimento dei nostri occhi. La luce rossa, base cromatica di queste opere, si propaga e diffonde, riverberandosi tra le sale della galleria. Ci avvolge calorosamente, ci trasporta in una dimensione eterea, dove si fa fortissima la sensazione di essere completamente immersi in quella porzione di mondo di fronte a noi, come parte di un tutto. Il progetto nella sua essenza può considerarsi quasi come la sintesi della poetica
▼ Grazia Toderi, Atlante Rosso #1, 2012 [cibachrome su dibond - cm 166x125 - ed. 1/5] Courtesy Galleria Vistamare, Pescara
dell’artista. Dai primi anni del 2000 ella dedica la propria attenzione al tema della città e al suo rapporto con il cosmo. Abbiamo così opere video quali: La pista degli angeli 2000, Firenze stelle di terra 2000, Città invisibile 2003, riprese dall’alto di Roma, Firenze e Londra concepite come riflesso in terra del cielo. Si tratta di vere e proprie trasposizioni visive delle Città Invisibili di Calvino, interpretate e trasformate in luoghi nuovi e insoliti ma sempre attraversate da un senso d’incanto e mistero. Ma più che invisibili, le città di Atlante Rosso appaiono indefinite, prive di confini e contorni che ne traccino un’identità e alle quali possa essere assegnato un nome con certezza. Si mette così in moto un senso di abbandono nei confronti della grandezza dell’universo. L’affanno con cui quotidianamente l’uomo tende a definire gli spazi è vanificato all’idea di questo pensiero, cui nessuno è in realtà in grado di sottrarsi. Le visioni di Atlante Rosso, attraversate dalla miriade di luci affastellate l’una sull’altra, assumono così la forma, calco perfetto, di quanto visibile in cielo. Nel 2009, nell’ambito della Biennale di Venezia Fare Mondi, l’artista realizza un’altra opera chiave alla comprensione del progetto per Vistamare. Orbite Rosse, una doppia proiezione video in cui appaiono,
inscritte in due grandi ovali, luci di città lontane in continua trasformazione. Atlante Rosso si porta dietro questo colore, che è sia la tonalità assunta di notte dalle nostre città illuminate artificialmente, sia quella venatura indefinita che percepiamo ad occhi chiusi quando rivolti alla luce. E da Orbite Rosse eredita anche, quella fascinazione mai perduta, per il planisfero, per il globo terrestre e quelli celesti. L’atlante è un libro. Una convenzione umana finalizzata a raccogliere carte che illustrino in modo esauriente una determinata area o una porzione del mondo. L’atlante, per sua stessa natura descrive uno spazio complicato e per quanto tenda alla massima precisione, a causa della curvatura della terra, non è mai possibile la realizzazione di mappe perfettamente allineate. Allo stesso modo Grazia Toderi descrive uno spazio complicato, sintetizzato in pochi semplici elementi; uno spazio che metaforicamente è anche quello dell’ interiorità. Traccia così la proposta di un viaggio negli sconfinati territori della geografia dell’anima, per la quale torna alla mente Calvino a soccorrerci dal suo Palomar : <<L’universo è lo specchio in cui possiamo contemplare solo ciò che abbiamo imparato a conoscere in noi>>. M.Letizia Paiato OTT/NOV 2012 | 242 segno - 37
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Penang, Middelburg, Roma
H.H. Lim
o spunto parte dalla vita di tutti i giorL ni. H.H. Lim, artista sino-malese che vive e lavora tra Roma e Penang, viag-
gia con il proprio “bagaglio personale” portando con sé quel particolare punto di vista sulla realtà che diventa oggettosoggetto della propria ricerca artistica. Anche curatori e collaboratori seguono l'artista in questo viaggio itinerante: nell'arco di questo 2012 Lim ha esposto a Penang, Middelburg e Roma, avvalendosi della collaborazione di Ram radioartemobile e dei curatori Lorenzo Benedetti e Guo Xiaoyan. L'anima del progetto è il "Daily Music" , cioè la storia di tutti i giorni, lo specchio della routine quotidiana visto dal particolare punto di vista dell’artista. L’immagine degli elicotteri sulle grandi tele esposte durante la mostra Daily Music nello spazio Izu Zone Fine Arts di Penang, ben rappresenta il dinamico punto di osservazione dell’artista che, accostandosi alle cose, sembra sorvolare il mondo, guardandolo dal finestrino. Ed ecco che
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l’attenzione di Lim si posa sugli oggetti e si materializza in opera d’arte perché ogni riflessione sulla vita quotidiana è per lui prezioso materiale di ricerca. Nelle opere di Lim gli oggetti fanno il loro ingresso perché intesi come portavoce di una loro storia passata. La distesa di utensili quotidiani accumulati sulla piattaforma luminosa - opera esposta a Izu Zone - richiama alla memoria la funzione primaria degli oggetti stessi che diventano protagonisti dell’opera, come degli attori ai quali è stato sottoposto un nuovo copione. Il consumo degli oggetti e la perdita del loro utilizzo è argomento sul quale Lim si era già soffermato nel 2010 con le installazioni all’UCCA di Beijing (mostra curata da Guo Xiaoyan e Jerome Sans), ma con l’opera Gone with the wind - esposta al Gurney Paragon di Penang contestualmente alla mostra Daily Music - Lim porta alle estreme conseguenze il suo pensiero facendoci vedere una macchina completamente lavorata in ferro posta su un altare-piedistallo e attraversata lungo il fianco dalle pale di un ventilatore. A volare via è la funzione primaria dell’oggetto che con il tempo si consuma. I poli tra i quali si muove il pensiero di Lim sono due: quello sull’oggetto che vie-
ne voracemente consumato e pronto per la discarica e quello sul meccanismo di sostituzione dell’oggetto che si innesca conseguentemente al suo deperimento, permettendo alla società di sopravvivere. Un pensiero che non si risolve, ma che viaggia sulle cose come a voler misurare la distanza e la durata delle varie dinamiche della realtà. Sempre in viaggio, dall’Oriente si passa all’Occidente, dove presso la De Kabinetten van De Vleeshal di Middelburg Lim ha presentato il video Daily World Music (esposto anche a Izu Zone): la “musica” di tutti i giorni fatta dell’incessante accumulo di immagini e suoni globali che quotidianamente accompagna ciascuno di noi viene espressa da Lim attraverso una melodia creata dal susseguirsi di note improvvisate con vari strumenti a percussione e dal sottofondo dello zapping televisivo tra i canali di tutto il mondo. Di tutto il mondo sono anche le banconote che traboccano dalla valigia esposta sempre a Middelburg. Attenzione però! I soldi in questione sono di “serie B” e provenienti dai diversi stati del mondo, così detti outsider. L’opera, messa a confronto con l’altro grande progetto di Lim (Il tesoro nascosto) appare come un tesoro ironicamente “svelato”. Come in una sorta di life show, Lim approda a Roma nell’Hotel Westin Excelsior con delle valigie incatenate ed ingabbiate. La mostra intitolata Il tesoro nascosto - progetto nato alla Tang Gallery di Bangkok nel 2010 e continuato alla Gnam di Roma nel 2011 - è stata inaugurata in concomitanza con la Festa d’Indipendenza della Malaysia lo scorso 7 settembre. Assieme alle valigie sfavillanti di catene e lucchetti, Lim ha “intrappolato” con delle gabbie sigillate anche le raffinatissime poltrone dei salotti della hall del prestigioso albergo romano. Le installazioni, inserite nello spazio senza disturbare l’elegante arredamento dell’hotel, invitano l’osservatore alla ricerca di un tesoro, suscitando curiosità e dubbio, incertezze e dilemmi. Che cosa si nasconderà dentro le valigie? Un tesoro? Così come sono tante le chiavi di cui dovremmo servirci per aprire i numerosi lucchetti delle valigie di Lim, altrettanto numerose sono le chiavi di lettura e gli esiti di questa “caccia al tesoro”. Un confronto con lo spazio che contiene
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le opere ci induce a scoprire che in fondo si è già all’interno di un luogo che, per il suo valore storico, costituisce un tesoro. Mentre, l’ossessivo sistema di chiusura delle valigie è così plateale da continuare a seminare il dubbio, lasciandoci sospesi tra indizi e questioni prive di soluzioni. Un indizio potrebbe risiedere nelle tre grandi tavole esposte sempre all’Hotel Westin Excelsior, dove troneggiano delle tigri e delle scritte incise in tre lingue diverse (malese “Setiap lagenda mempunyai saksi saksi yang akan menjadikannya cerita”, italiano “Ogni leggenda ha dei testimoni che ne raccontano la storia”, inglese “Each legend has witnesses to tell the story”). Il riferimento alla “tigre della Malaysia” funge da possibile ponte tra
cultura italiana e cultura malese perché costruito sulla casuale coincidenza della famigliare presenza dell’animale tigre in ambedue le culture: in quella italiana grazie al personaggio leggendario Sandokan, figlio della letteratura popolare salgariana; in quella malese perché soggetto presente nello stemma federale di stato. In questo senso Lim propone un dialogo tra le due culture mediante un confronto tra il valore metaforico delle gabbie e quello reale della cultura di ciascuno di noi, prendendo spunto dalle vicende della realtà di tutti i giorni, come fossero ritagli di giornale che vanno a riempire il proprio “bagaglio personale”, compagno quotidiano di viaggio e custode di un tesoro. Giuliana Benassi
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1. Izu Zone Fine Arts, Penang, Vista dell’esposizione; 2. Gone with the Wind, 2012. Gurney Paragon, Penang; 3. Hotel Westin Excelsior, Roma, Vista dell’esposizione; 4. 5.Hotel Westin Excelsior, Roma, Il tesoro nascosto; 6. Viaggiatore di serie B. 4
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Castelbasso (Te)
Carla Accardi Radici di Maria Letizia Paiato
iaggio attraverso l’Abruzzo scritto V dal gentiluomo Richard Keppel Craven e pubblicato nel 1837, narra per la
prima volta di questa terra, inserendola tra le mete obbligate del Gran Tour italiano. Luoghi magici e selvaggi che suggeriscono alla mente gesti arcaici in un misto di credenze pagane e cristiane. Un forte senso di pittoresco affascina il viaggiatore ottocentesco, che in quei luoghi, sospesi nell’oblio del tempo, può vivere l’esperienza del sublime. Il tempo sembra non essere trascorso. E a distanza di quasi due secoli, avventurandosi nell’entroterra abruzzese, si vivono ancora le medesime sensazioni. Sono almeno cinque, per quest’estate appena trascorsa, le soste obbligate per un possibile ‘gran tour’ contemporaneo in Abruzzo. Non Milano, non New York, non Berlino, ma in primis Castelbasso e Civitella del Tronto che, a pochi chilometri da Teramo, in questi borghi sospesi tra la vicinanza dell’adriatico e la vista del Gran Sasso, accolgono uno solido spaccato dell’arte del Novecento. Castelbasso è uno tra i più antichi borghi della penisola; nonché tra i più affascinanti e suggestivi che ha rischiato, in un passato non troppo lontano, l’abbandono e lo spopolamento. Un destino scongiurato grazie all’impegno e opera di Osvaldo Menegaz, patron dell’omonima fondazione, che oggi lo vede tra le mete più attrattive d’Abruzzo oltre che polo culturale di grande interesse nazionale. Ma l’orizzonte di Castelbasso quest’estate si amplia oltre le sue ripide mura, valicando l’accesso di una delle fortezze più imponenti d’Europa: il borgo di Civitella del Tronto. La Fondazione Menegaz incontra l’Associazione Naca Arte con la quale hanno dato vita a Cultura Contemporanea nei Borghi, vera scommessa sui linguaggi della contemporaneità intesi come risorsa, anche economica, per il
Moataz Nasr, The Towers of Love, 2011 [4 torri in ferro, bronzo, cristallo, terra refrattaria - cm 192 x 28 x 28 (ferro) - cm 190 x 35 x 35 (bronzo) - cm 173 x 33 x 33 (cristallo) - cm 172 x 38 x 38 (terra refrattaria) Courtesy Galleria Continua, San Gimignano, Beijing, Le Moulin
territorio e il futuro di questo Paese. Due le mostre a Castelbasso. A Palazzo Clemente, la personale dal titolo Smarrire i fili della voce di Carla Accardi, a cura di Laura Cherubini e quella a Palazzo De Sanctis “Radici”. Memoria, identità e cambiamento nell’arte di oggi curata da Eugenio Viola. La scelta del titolo di quest’ultima, credo racchiuda, il senso complessivo dell’intera operazione Castelbasso/Civitella. Semanticamente il termine radice rappresenta tutto ciò da cui ha origine qualcosa. Una prima chiave di lettura potrebbe essere, dunque, semplicemente questa. Ovvero il considerare gli artisti qui chiamati: Marina Abramovic, Jota Castro, Sam Durant, Regina José Galindo, Carlos Garacoia, Alfredo Jaar, Mariangela Levita, Moataz Nasr, Giulia Piscitelli, Bert Rodriguez, Santiago Serra come nomi essenziali, radici per l’appunto, nello svolgimento delle vicende che tracciano la storia dell’arte contemporanea. Tuttavia, il loro contributo a tale storia è dato non solo attraverso il proprio esserci dentro, ma al come, nelle proprie ricerche artistiche hanno scelto di esserci. Il guardare al passato, alle proprie terre di origine, diventa prassi necessaria per confrontarsi con il proprio tempo. Nell’indagine tra identità personale, dinamiche
relazionali e ambiente, ognuno di questi artisti attraverso una personale forma espressiva, da vita ad inaspettati dialoghi tra identità contemporanea e complessità multiculturale.
Jota Castro, Ignobilis, 2011 [marmo rosa del Portogallo inciso cm 70 x 230 - pezzo unico] Courtesy Galleria Umberto Di Marino, Napoli
Marina Abramovic, Balkan Erotic Epic: Women in Rain 2, 2005 [stampa cromogenica - cm173x173 cm - Edizione di 7] - Balkan Erotic Epic: Banging the Skull, 2005 [stampa cromogenica - cm 127,6x127,6 - Edizione di 7] - Carrying Elvira facing up, 2006 [stampa cromogenica - cm 183x153 - Edizione di 7] Courtesy Galleria Lia Rumma, Napoli / Milano
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RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE
Mariangela Levita, Powerful-Definition, 2012 [wall paper - dimensioni ambientali- courtesy dell’artista]. Santiago Serra, No, 2009 [scultura in legno marino, pittura nera opaca - cm 100x64,5x20 (N) cm 100x74x20 (O) - edizione di 7+2 A.P.] Courtesy Prometeogallery di Ida Pisani, Milano-Lucca - Collezione Elio D’Archivio, Teramo Regina Josè Galindo, Quien puede borrar las huellas, 2003 [stampa lambda su forex - cm 100 x124 - edizione di 5+2 A.P.] Courtesy Prometeogallery di Ida Pisani, Milano-Lucca / Collezione Elio D’Archivio, Teramo
Su questo difficile e problematico snodo è giocato tutto il senso della mostra: nell’ossimoro globalizzazione/multiculturalità, dilemma del XXI secolo, cui ciascuno, consapevolmente o non, è chiamato a confrontarsi quotidianamente. Spesso, però, la fruizione di talune opere può rivelarsi ermetica al visitatore non esperto. Serve tempo: il tempo di una riflessione che non è soltanto un atto meditativo ma il presupposto per l’interpretazione di un’esperienza. Ecco ad esempio, come Balkan Baroque del 1997 e Balkan Erotic Epic del 2005 di Marina Abramovic, le cui immagini forti, talvolta fastidiose
e irritanti, trasmettono un voluto senso di confusione emozionale che oscilla tra tragedia e sarcastica commedia. Non solo ricerca ma riconquista di una nazionalità, quella Jugoslava, prima acquisita e poi perduta, ma sempre frutto delle dinamiche politiche consumatesi in quelle terre; e che diventa ideologicamente riconquista della storia. Sulla stessa scia ma nella dimensione dello sradicamento si gioca Ignobilis, opera del 2011 del peruviano Jota Castro. Su una lapide di marmo rosa del Portogallo, egli ha inciso le sagome di paesi che rischiano la cancellazione nella mappa del mondo, se non
Carlos Garaicoa, Construyendo Ciudades, 2009 [3 tavoli di legno, lightbox, nastri adesivi tagliati a mano su carta millimetrata, carta - cm 120 x 188 x 80 ognuno] Courtesy Galleria Continua, San Gimignano, Beijing, Le Moulin
addirittura già scomparsi per circostanze storiche. Un lavoro che nella sua semplicità ci pone di fronte a considerazioni universali: la nostra identità è anche e soprattutto indissolubilmente legata al riconoscimento politico da parte del mondo intero, senza il quale si consuma la condanna del non esistere. Una proposta di superamento delle proprie individualità, quale invito alla pacifica convivenza è offerta dall’opera di Moataz Nasr Tower of Love. Nello svettare delle architetture che declinano le quattro grandi religioni del mondo, si riconosce un senso di spiritualità comune a noi tutti. Ma forse è No Global Tour di Santiago Sierra l’opera che meglio interpreta questo percorso. Il suo “No”, ha letteralmente fatto il giro del mondo, diventando, come fonema unico e universale, simbolo delle diverse problematiche, sociali, economiche e culturali, delle ingiustizie e dei soprusi, di ogni protesta in ogni parte del globo. Su tutt’altro piano è organizzata la mostra dedicata a una tra le artiste che ha segnato indelebile la storia del Novecento. Contemplazione e ascolto paiono essere le parole chiave che accompagnano la personale di Carla Accardi. Svanita la confusione e il gran vociare dell’inaugurazione, le bianche pareti di Palazzo Clemente si offrono a chi guarda come un solo e grande foglio di carta. Possiamo camminare tra le stanze o scegliere di sederci a terra. Smarrire i fili della voce, per l’appunto, e metterci in ascolto; sicché godere di quella eterea e poetica musica che pare trapelare dalle tele nella vibrazione dei colori. Unica donna del Gruppo Forma 1, interprete significativa dell’astrattismo italiano, Accardi si è proposta al grande pubblico, con una cifra stilistica, indirizzata ad una continua esplorazione delle potenzialità del segno e del colore. Un leitmotiv divenuto carattere e che ella ha perseguito negli anni fino ad oggi. Sebbene il nucleo della mostra si svolga intorno alla più recente produzione, intelligentemente la curatrice Laura Cherubini non ha tralasciato l’inserimento di alcuni lavori realizzati sul finire degli anni Sessanta. Si tratta dei piccoli sicofoil aggettanti le pareti, che nell’incontro con l’architettura appaiono come pietre incastonate ai muri o isolate tessere di un mosaico. Essi rappresentano il passaggio dell’artista dalla dimensione del quadro allo sconfinamento nello spazio; all’approccio di nuovi materiali (in sintonia con le ricerche introdotte dall’Arte Povera), e alla scelta di orientarsi verso supporti plastici trasparenti, così come osserviamo nell’opera del 1979 la Catasta, sulla dicotomia segno-trasparenza. Una relazione che continua nel tempo sino agli ultimi lavori qui esposti. Nessuna inflessione nostalgica: ogni opera è una storia a sé, che non dimentica le sue origini ma tiene lo sguardo puntato al futuro. Un’opera come Onda, realizzata nel 2008-09, ripercorre e riattualizza i valori della forma jn relazione all’ambiente; scende dalla parete e si colloca sinuosamente a terra. Autoriflessiva ma capace di aprirsi al mondo, Carla Accardi affronta un discorso interno alle ragioni dell’arte, spingendo la sua analisi, la sua ricerca, alle radici stesse della rappresentazione e allestisce situazioni visive entro cui lo sguardo è letteralmente rapito. Così, tutte le opere composte negli ultimi anni: Impronta d’Ombra, Incontri di segni, Luci intermittenti, Smarrire i fili della voce, Orologi perditempo, Identità ignote, si percepiscono come docili sinfonie capaci di toccare le corde del cuore g OTT/NOV 2012 | 242 segno - 41
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Carla Accardi, Catasta, 1979 [sicofoil su legno dipinto - 8 elementi quadrati dimensioni variabili - nr. arch. 759] - Veduta dell’installazione a Palazzo Clemente (a sinistra) e particolare (a destra). Carla Accardi, Smarrire i fili della voce, 2012 [vinilico su tela cm 160x220 - nr. arch. 221c]
Carla Accardi, Incontri di segni, 2009 [vinilico su tela, cm 50x70 - nr. arch. 168c]
Bert Rodriguez, Installazione a Palazzo De Sanctis
Sam Durant, Propaganda of the Deed, 2011 [Installazione a Palazzo De Sanctis - courtesy Franco Soffiantino Contemporary Art production]
Gianni Pettena, Grazia e Giustizia, 1968-2012 - Veduta dell’installazione / installation view. Fortezza borbonica, Civitella del Tronto (Teramo)
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RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE Fortezza Borbonica, Civitella del Tronto
Visioni.
La fortezza plurale dell’arte
ochi chilometri di distanza e alla ForP tezza Borbonica di Civitella del Tronto l’arte contemporanea s’irradia ovunque e
Stefano Arienti, Library, 2011
Ettore Spalletti, Colonna persa, 2012
s Alessandro Mendini, Senza Titolo, 1996
in tutte le sue forme. Il luogo non è facilmente accessibile. Sebbene le moderne scale mobili conducano a metà del percorso, la restante presenta comunque una salita ostica e difficile. Man mano che si sale si ha la percezione di essere in un luogo unico, sfondo fantastico e ideale su cui inscenarvi l’ipotetica trama di un romanzo gotico. Arrivati in cima si è così colti letteralmente da una visione. Impressione che fa il verso al titolo scelto per questa esposizione dai curatori Giacinto di Pietrantonio e Umberto Palestini. Visione che si moltiplica nelle opere collocate tra i vari ambienti interni ed esterni della fortezza, e che trovano spazio nelle vaste piazze d’armi, negli interminabili camminamenti di ronda, nella chiesa fino alle camere degli ufficiali, tra cunicoli segreti o nelle celle carcerarie, in un unisono caratterizzato da elementi romantici e dell’orrore allo stesso tempo. Visioni per l’appunto, che gli artisti selezionati, vere icone del contemporaneo, da Beuys a Cattelan, da Fabre alla Beecroft, da Arienti a Paladino, da Neshat a Cucchi e molti altri ancora: De Dominicis, De Serio, De Lazzari, Lynch, McQueen, Mendini, Morganti, Pettena, Pistoletto, Presicce, Schnabel, Spalletti, Stampone, Taylor-Wood, Tiravanija, Tuttofuoco, Vetturi, Vista; mostrano al pubblico nel proprio messaggio. Poetiche artistiche diverse, non solo per un aspetto generazionale ma anche per modus operandi. Forse qui, ancor più che a Castelbasso, nell’isolamento del luogo si fa più pungente quel senso di complessità che ci accompagna, cui i curatori evidentemente preferiscono non dare risposta. Visioni. La fortezza plurale dell’arte lascia aperta la porta allo spettatore, demandando alla sola forza visiva delle opere il compito dell’interpretazione sulla base di una possibile relazione. Uno sguardo dunque moltiplicato e plurale che forse permette al visitatore di godere dell’arte contemporanea in modo spontaneo e disincantato. [M.L.P.]
▼ Giuseppe Stampone, Global Education, 2012 ▼ Maurizio Cattelan, Untitled (Punizioni), 1991
s Enzo Cucchi, Religione, 2012
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Pescara
Scuderie di Palazzo Aragona, Vasto (Ch)
FUORIUSO inoperA
XLV Premio Vasto
razie alla tenacia dell’avvocato RoberG to Bontempo (da decenni instancabile promotore e organizzatore), il Premio Vasto
ha celebrato la quarantacinquesina edizione con una mostra, affidata alla cura di Carlo Fabrizio Carli, dal titolo “Percorsi di figurazione oggi”. Nel presentare i 25 artisti, pittori e scultori d’immagine, Carli sembra quasi giustificare la presenza della “ritrovata pittura d’immagine in questi scenari epocali così fortemente mutati”, dimenticando forse, che la pittura ha una storia, che non è solo tradizione ed accumulo, ma anche costruzione, definizione delle modalità del significare e del comunicare. Per questo molti artisti scelgono la strada della sicurezza espressiva, del gesto e della resa cromatica, della sintesi partecipativa che governa anche i processi necessari della scissione e della comparazione. Gli artisti proposti: Paolo Assenza, Laura Barbarini, Carlo Bertocci (protagonista tra i più lirici, negli anni Ottanta, della Pittura Colta di Italo Mussa), Lucilla Candeloro (con raffinati lavori su carta), Sergio Ceccotti, Francesco Cervelli, Antonella Cinelli, Alessandra Di Francesco, Mauro Di Silvestre, (opere dal forte impatto compositivo-decorativo), Michelangelo Galliani (artista dalle straordinarie capacità tecniche e compositive nella lavorazione del marmo), Stefania Mileto, Alberto Mingotti (per le sue sculture privilegia la ceramica, un materiale dalle eccezionali possibilità plastiche e cromatiche), Cesare Mirabella, Giorgio Ortona, Luca Padroni, Alessandro Papari, Francesco Parisi, Giuseppe Pirozzi, Paolo Porelli, Mauro Reggio, Maurizio Ro-
Museo Michetti, Francavilla al Mare
POPISM
63°Premio Michetti OPISM, l’Arte in Italia. Dalla teoria dei P mass media al social network, è il titolo della 63a edizione del Premio Michetti
a cura di Luca Beatrice. “Popism - scrive Beatrice - non è una mostra sulla Pop Art italiana e nemmeno un’operazione vintage di Pop Revival. Piuttosto, seguendo l’ispirazione del britannico “criticism”, dove tra un dubbio e una certezza si sceglie sempre il primo, vuol disegnare un panorama insieme ironico e analitico, piacevole e intellettuale, immediato e complesso, caratteri che peraltro coesistono pacificamente nella cultura italiana”. La rassegna è una cavalcata, che parte dal 1967 (anno in cui Mc Luhan scrive che il medium è il messaggio ) fino all’attuale era dei network, coinvolgendo più di 120 artisti, distribuiti in categorie che spesso si confondono a favore di una vivacità culturale eterogenea ed eterodossa, senza una linea guida precisa...”. Il Premio Michetti, si sa, è nato come Premio di Pittura ed ha sempre privilegiato autori che usano questo linguaggio e questa mostra sottolinea (se mai fosse possibile) la persistenza della pittura, “che non ha mai perso la capacità di dialogare e di interrogarsi su quale fosse il proprio ruolo all’interno del sistema dell’arte contemporanea e nel più ampio universo della comunicazione”. La gran parte dei lavori esposti a prima vista sembra iscriversi nel recupero postmoderno della decorazione e dell’ornamento, ma c’è una caratteristica che l’accomuna: la narrazione, che, per lo più coincide, nei personaggi e negli eventi salienti, con quanto accaduto nella realtà della storia all’interno di una nazione di una regione o di una città. Alla fine degli anni Sessanta sono da situare la fondazione dell’Arte Povera, i moti del Sessantotto, l’espandersi della Pop Art a Roma, a Torino
Fuori-luogo o in-luogo? Francesca Tulli, Sete, 2012 [bronzo, ferro, led luminoso] Mauro Di Silvestre, La poltrona delle belle arti, 2011 [olio su tela, cm. 80x60] courtesy z2o Sara Zanin, Roma
mani, Francesca Tulli (che modella creature ibride, che esprimono la paura dell’ignoto e, nel contempo, la necessità di andare oltre), Carlo Venturi, Franz Weidinger, Fernando Zucchi. (LS) e via via in tutta Italia fino ai nostri giorni. La mostra ne dà una campionatura vastissima: da Berlingeri a Notargiacomo, Ugo Nespolo, Piero Gilardi (vincitore del Premio di quest’anno), Salvo e poi ancora Marco Lodola, Gianmarco Montesano, Tommaso Cascella, Nicola Maria Martino, per proseguire con la generazione a cavallo degli anni Ottanta/Novanta: Daniele Galliano, Cingolani, Bolla, Bertozzi e Casoni, De Paris, Maurizio Savini, Mark Kostabi, Thorsten Kirchhof, Robert Gligorov, David Bowes, Debora Hirsch e Cris Gilmour (vincitore di un premio acquisto), fino ad arrivare all’ultima sezione “Popism Remix”, dove, in un caos di segni ed immagini sono affastellati paesaggi ed oggetti di ogni genere, proptagonisti di una natura ancora non sedimentata dalle forme bizzarre e da un tripudio di colori. (LS)
Robert Gligorov, Gramophone, Amaryllis 2, Stampa fotografica Chris Gilmour, Moto Triton, 2010-11 [cartone e colla] courtesy Marcorossi Milano
opo diciotto edizioni e cinque D d’interruzione, la storica manifestazione ideata da Cesare Manzo ritor-
na in Opera. Non è un gioco di parole ma una realtà, poiché l’esposizione è allestita nel parcheggio sotterraneo del gigantesco palazzo Opera. Progetto dell’architetto Mario Botta e probabile sede della Regione Abruzzo. La formula è cambiata. Teatro della rassegna non sono più edifici dismessi o abbandonati, ma un vero e proprio cantiere in cui si fanno le prove generali dell’imminente utilizzo. Tutto sembra fuorché di andare a visitare una mostra, ma la lista degli artisti, selezionati dal curatore Giacinto Di Pietrantonio, è notevole. Un ricco repertorio della storia dell’arte del Novecento è messa in Opera, passando dal pianoforte che non suona ma si mostra, di Filippo Tommaso Marinetti a quelli di Giuseppe Chiari e John Cage. Dalla Rivoluzione siamo noi di Beuys, agli specchi e stracci di Pistoletto, dai manifesti di Emilio Prini alle libere pitture di Mario Schifano e molti altri ancora fino alle recentissime e delicate filigrane di Mario Airò. Tuttavia, l’imponenza dello spazio finisce con il sovrastare visivamente le opere esposte, lasciando incertezze sulla riuscita dell’operazione. Il luogo è veramente difficile da interpretare. Forse troppo difficile persino per un curatore collaudato quale Di Pietrantonio. Per non sbagliare chiama in causa nomi affermati del contemporaneo, e si preoccupa subito di chiarire che non era sua intenzione rappresenPiazza della Rinascita, Pescara
Oliviero Toscani
Razza Umana a Fondazione ARIA, nata circa un L anno fa dal sodalizio di alcune aziende abruzzesi per “dare vita - come si legge nello statuto - a spazi per le arti che coinvolgano e rappresentino tutto l’Abruzzo”, ha dato avvio, ad inizio estate, al suo primo progetto: un Premio di Fotografia destinato agli studenti degli Istituti Superiori regionali. Direttore del Premio è Achille Bonito Oliva, che ha designato quale autore di riferimento per la “prima edizione” Oliviero Toscani, dal cui lavoro “Razza Umana” prende spunto Razza Abruzzo 1001 lavori. La giuria per la selezione delle foto migliori ha selezionato 63 delle 252 foto degli studenti partecipanti. Il premio vinto da Flavia Di Bartolomeo, consistente in uno stage di un mese presso lo Studio di Oliviero Toscani; altri 29 lavori selezionati saranno acquistati dalle aziende partner. La fase espositiva delle 63 foto selezionate, assieme a 20 dei 90 scatti realizzati all’interno delle aziende partner dai fotografi professionisti ha preso avvio in uno dei borghi più belli d’Italia, Tagliacozzo, presso l’Istituto Tecnico Statale per il Turismo Argoli, per poi essere accolta, dal primo settembre dall’Istituto Superiore Delfico-Montauti di Teramo ed infine ospitata nella splen-
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RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE
Michelangelo Pistoletto
tare alcuna tendenza, né sviluppare una tematica, ma esclusivamente porre l’accento sulla valenza dell’opera d’arte in quanto tale. La relazione arte-architettura, arte-ambiente, tema centrale sin dalle origini della rassegna, non è però pienamente soddisfatta. Ma questo si offre a mio avviso, come nuovo stimolo di ricerca sul tema. Probabilmente in futuro si potrebbe giocare sul dialogo arte-nonluogo, piuttosto che sulla consolidata dualità arte-luogo. Aeroporti, stazioni, autostrade, centri commerciali, spazi all’incirca sempre uguali in ogni parte del mondo; anonimi e stereotipati, privi di storicità e di rapporti di memoria, dove le persone transitano senza tessere relazione: sono questi i “nonluoghi”. Secondo la felice definizione di Augé, spazi in cui la vita trascorre priva di comunicazione e progettualità. Anche il Giuseppe di Sislej Xhafa, che ci accoglie all’ingresso della
Sislej Xahfa, Giuseppe
Oliviero Toscani, ritratto di Lucio Mucciaccia
Achille Bonito Oliva con Nicola Mattoscio alla inaugurazione
dida cornice dell’Auditorium Diocleziano di Lanciano. In Piazza della Rinascita, a Pescara, sono arrivati i “Giganti di Razza Umana”, dei totem di circa tre metri, su cui è impresso un variegato ventaglio di
Alberto Garutti, Madonna 2008 Rirkrit Tiravanija, Fear eats the soul 2012
mostra, pare alquanto smarrito in quel parcheggio sotterraneo. Appiedato, con una busta di plastica in mano e nell’altra delle zollette di zucchero, cerca il suo cavallo rubato e forse anche la sua stessa storia [M.L.P.]
Oliviero Toscani, “Razza Umana”, 2012 [installation view - Piazza della Rinascita, Pescara]
umanità, che ha posato dietro l’obiettivo di Toscani e del suo team e che fa parte di un mastodontico progetto in progress, che l’autore definisce “uno studio sociopolitico, culturale e antropolico” basato su un puzzle di volti umani immortalati nei contesti più disparati. In un dialogo tra Achille Bonito Oliva e Oliviero Toscani, pubblicato sul catalogo edito dalla Fondazione ARIA, Achille riconosce a Toscani “di aver sempre lavorato per smantellare i complessi di inferiorità che la fotografia aveva, prima nei confronti della pittura e poi verso il cinema (....) e di essere riuscito, senza moralismo a dimostrare
che si poteva accettare la committenza pubblicitaria senza fare apologia del reale”. In altra occasione Achille Bonito Oliva ha scritto: “Il linguaggio di Oliviero Toscani parla la terza persona della forma che crea una condizione di resistenza, di solidarietà ma anche di impenetrabilità anche di fronte all’attenzione ammirata dello spettatore. L’artista, per narcisismo ama la contemplazione del pubblico ma non desidera essere penetrato nella intimità biografica. In definitiva la “razza umana” è frutto di un soggetto collettivo, lo studio di Oliviero Toscani inviato speciale nella realtà della omologazione e della globalizzazione. Con la sua ottica frontale ci consegna una infinita galleria di ritratti che confermano il ruolo dell’arte e della fotografia: rappresentare un valore che è quello della coesistenza delle differenze”. (LS) OTT/NOV 2012 | 242 segno - 45
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Gagliano del Capo, Lecce
Mediterraneo: incontri o conflitti? ella nostra contemporaneità densa N di capovolgimenti geo-economici e storico-politici, le sorti del Mare No-
strum e dei paesi dell’area mediterranea subiscono vorticose mutazioni. Anche sul fronte culturale. Su questi temi riflette la mostra curata da Ludovico Pratesi e ideata e organizzata dall’associazione Capo d’Arte in collaborazione con il Comune di Gagliano del Capo, nell’ambito del programma “Fineterra” della Provincia di Lecce. Affiancata dalla tavola rotonda con artisti-studiosi-esperti invitati a discutere sulle questioni forti del Mediterraneo (arte e cultura, politica e finanza, commerci e scambi, ecc.), l’inaugurazione della mostra ospitata a Palazzo Gargasole accoglie le opere di artisti internazionali (Rossella Biscotti, Kader Attia, Sisley Xhafa, Ahmet Ogut, Pascal Hachem, Adrian Paci, Moataz Nasr) scelti per documentare il disagio di questa delicata fase storica e per progettare creativamente una possibile rinascita consapevole. L’arte, quindi, diventa stimolo per un confronto democratico sugli intrecci confusi dei cambiamenti politici, economici, antropologici, sociali. La tavola rotonda (ospitata al Castello di Acaya - Vernole) si svolge, con più precisione, intorno al tavolo multiforme di Michelangelo Pistoletto “Love difference” che nel proprio perimetro - specchio e metafora delle differenze - segue le forme delle coste dei territori del Mare Nostrum, concretizzando l’idea di un progetto aperto a tutte le alterità e al dialogo ‘senza frontiere’ (Stefano Bartezzaghi, Duilio Giammaria, Monica Maggioni, Edoardo Winspeare, il Sottosegretario Staffan De Mistura, l’ambasciatore Ettore Sequi, l’economista Elena Carletti, gli artisti Rossella Biscotti, Pascal Hachem, Adrian Paci). Invece, la mostra è accolta nel vetusto Palazzo Gargasole, un edificio signorile di impianto settecentesco, un misto di ‘miseria e nobiltà’, con ampia corte centrale attorno alla quale si snodano tutte le stanze in maniera consequenziale. Gli ambienti coinvolti nell’esposizione sono sette, di dimensioni molto simili tra loro, con pianta con
▼ Palazzo Gargasole
s A.Paci, The Encounter ▼ M.Pistoletto, Love Difference
volta a stella, elemento architettonico tipicamente salentino. Ogni stanza accoglie, nella penombra silenziosa di una misteriosa e incantata sospensione temporale, l’opera di un artista. La ricerca di Rossella Biscotti è, come sempre, incentrata sulla rilettura di episodi critici della storia italiana del ventesimo secolo, dal fascismo alle lotte anarchiche fino al terrorismo degli anni di piombo. L’opera presentata a Gagliano illustra (in un video di sette minuti) lo sfruttamento degli extracomunitari nell’Italia di oggi, dove i lavori più pesanti vengono affidati agli immigrati, senza rispettarne l’origine e l’identità. Il video “The Encounter” di Adrian Paci è un viaggio nel mondo rurale marinaro fatto di gesti immobili e rituali immutati. Uno sguardo che indaga sulla ritualità delle cerimonie legata alle gerarchie di potere, attraverso la performance che l’artista ha realizzato nella piazza principale di Scicli, nel cuore della Sicilia profonda. L’ironia dell’artista kosovaro Sislej Xhafa si manifesta in maniera evidente nel video del concerto realizzato al buio da un’orchestra sudanese al Cairo, di cui però si vede soltanto l’ombra di un musicista, mentre gli altri sono riconoscibili soltanto dal suono dei loro strumenti. Una metafora della società in transizione, dove la repressione dei dittatori impedisce agli artisti di diffondere a volto scoperto la loro voce. “Light” di Kader Attia è una scultura che si ispira alle forme delle falci, strumento
che ha insanguinato e continua ad insanguinare ogni sommossa scaturita dalle classi contadine dei popoli mediterranei. Simbolo ancestrale legato alla rappresentazione della morte, nell’opera di Attia la falce si trasforma in una sorgente luminosa, un aereo e minimale arabesco sospeso nel vuoto L’opera di Pascal Hachem, intitolata “Slow Food”, è un’installazione che riflette sulle dinamiche dei banchetti come espressione dei poteri oligarchici o dittatoriali. Le duemila forchette disposte in maniera irregolare intorno ad un unico piatto posto sul pavimento sono mosse da un ingranaggio meccanico; ogni inaspettato sobbalzo smuove pericolosamente le instabili posate creando forme nuove e non prevedibile. L’artista egiziano Moataz Nasr presenta “Ya Wadod” (in arabo significa compassione, e si riferisce alle preghiere legate al sufismo) una elegante scultura in alabastro che ripropone nel simbolo della grafia araba il misticismo del messaggio divino. “Perfect Lovers” di Ahmet Ögüt , riprendendo il titolo di una famosa opera dell’artista cubano Felix Gonzales Torres, nasce dall’accostamento di due monete dalla identica forma, dimensione, matericità e struttura: 2 euro e 1 lira turca, una il doppio dell’altra eppure una equivalente all’altra: un accoppiamento denso di riferimenti politici legati alla difficile situazione attuale di due paesi simili eppure differenti tra loro. Maria Vinella
Giorgio Andreotta Calò, Clessidra
Sassi di Matera
vi della scena artistica degli ultimissimi anni. Con le proprie opere, Giorgio Andreotta Calò, Francesco Arena, Giuseppe Capitano, Alice Cattaneo, Emmanuele De Ruvo, Francesco Gennari, Perino & Vele, Donato Piccolo, Luca Trevisani, Nico Vascellari, Antonella Zazzera, restituiscono una panoramica significativa delle ultime ricerche multidisciplinari e dei nuovi linguaggi formali. Ricerche e linguaggi che si confrontano, in questa occasione, con gli incredibili spazi dei Sassi materani e delle Chiese rupestri, luoghi di magica seduzione, dove la poliedricità espressiva che contraddistingue le ultime generazioni di artisti quarantenni si muove nel segno delle pratiche performative agite tra arte visiva, cinema-video, teatro-danza, architettura-design. La dimensione prevalentemente installativa delle opere svela la complessa esigenza di rapportarsi al “luogo”, che è per Andreotta Calò occasione di ripensamento di forme arcaiche o comunque naturalistiche, inaspettate misuratrici di tempo;
s Castello di Acaja
Periplo della scultura contemporanea a 26° edizione de Le Grandi MoL stre nei Sassi di Matera è dedicata quest’anno al progetto Periplo della scul-
tura italiana contemporanea ed è ospitata nel complesso rupestre di San Nicola dei Greci e della Madonna delle Virtù, con appendici espositive al MuSMa (Museo della Scultura Contemporanea Matera) e nel Museo Nazionale d’arte medievale e moderna della Basilicata a Palazzo Lanfranchi. Questa terza edizione della manifestazione (le precedenti risalgono al 1988 e al 2000) è curata da Giuseppe Appella e Marta Ragozzino della Soprintendenza della Basilicata, e accoglie undici giovani artisti selezionati tra i più rappresentati-
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RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE Dino Morra Arte Contemporanea, Napoli
Afterall
’opinione di gran lunga maggioritaL ria attribuisce l’avanzamento della conoscenza ad un’attitudine in defini-
tiva teleologica, ma se la certezza e la solidità del fine può rivelarsi uno straordinario propulsore di energia, un aristotelico “motore immobile” in grado di attivare i processi intellettivi, esso, operando come una sorta di filtro tra nozioni “utili” ed “inutili”, finisce per obliare un grande potenziale patrimonio di linguaggi ed esperienze solo perché non funzionali al perseguimento dell’obiettivo ultimo, ipotecando – almeno per lungo tempo - la possibilità che gli uomini – od anche, più in generale, altri soggetti viventi - possano relazionarsi ad essi con esiti parimenti positivi. Il lavoro degli Afterall - duo artistico composto dai fratelli Silvia Viola Esposito (1975) ed Enzo Esposito (1977) - è da tempo votato, attraverso una pluralità di media - che tutto è però tranne che ostentazione di complessità, dato che, al contrario, i loro segni risultano deliberatamente poveri, scarni -, a porre l’accento proprio su tali parentesi di senso, su ciò che la coscienza comune non reputa che un inciampo, un
Afterall, Didascalie light
ostruzione, mentre il pensiero dominante benedice tale rilegamento nell’invisibilità, conseguendo contemporaneamente - quanto inevitabilmente – una dimensione in cui ad essere posta in discussione è proprio la reductio ad unum tipicamente operata dalla teleologia - in quanto l’oggetto della ricerca non costituisce un transito per alcun al di là, se non quello di una maggiore consapevolezza dello stesso -; un territorio dal carattere Autotelico – questo, peraltro, il titolo della loro mostra personale, a cura di Chiara Pirozzi -, aggettivo composto da due parole greche e definibile come “qualità di ciò che ha il fine in se stesso”. Tutto ruota intorno ad un foglio di carta carbone, sempre “piegato in tasca” durante le tre azioni, che - tratte dalla più vieta vita quotidiana, assolutamente “senza qualità”, descritte, per giunta, con un piglio quasi wittgensteiniano – si apprendono per mezzo della doppia traccia audio e quindi oggetto di un’altra semplice ma sottilissima azione che - narrata attraverso una minuscola proiezione video e due altrettanto piccole foto digitali - consiste nel praticare su di esso un lavoro di ricamo, articolando, in virtù della capacità di riprodurre senza poter vedere propria del supporto, un discorso tra memoria e dimenticanza sintetizzato appunto dall’impegnativo - quanto esplicativo della volontà di richiamo non solo ad una singola opera, ma, io credo, ad un intero mondo eticocognitivo - ossimoro agnettiano del titolo dell’opera, Dimenticare a memoria. Stefano Taccone Palazzo Parissi, Monteprandone
Accesa! arte illuminata
he sia giunto il momento di riaccenL dere le idee? Di dare spazio a nuove prospettive? Di mandare un segnale che c’è creatività, voglia di ripartire, di riflettere, di dare spazio e dignità a pensieri altri. In fondo è questo il primo messaggio che mi sembra emergere da Accesa! Arte illuminata, la collettiva di arte organizzata nei mesi di luglio ed agosto 2012 dal Comune di Monteprandone e dall’Associazione Culturale Officina San Giacomo C.A.V.. La mostra, ospitata nei suggestivi spazi di Palazzo Parissi, presenta le opere di Daniele Camaioni, Hernan Chavar, Giulia Corradetti, Vincenzo Lopardo, Marco Monaldi, Nemanja Nikolic, Emilio
per Perino & Vele è spazio speciale per la riflessione sarcastica sul sociale; per Francesco Arena come per Nico Vascellari è testimone della sfida storico-socialeantropologica sospesa tra poetica politica ed eccentrica ironia. Per Giuseppe Capitano è contenitore propiziatorio di incontri surreali di materiali. Per Alice Cattaneo è motivo di eleganti equilibri per improbabili architetture, mentre per De Ruvo è contenitore paziente per gli assemblaggi e le combinazioni di oggetti precariamente sospesi nell’aria. Gli ambienti dei Sassi sollecitano il confronto serrato sulla molteplicità delle relazioni tra spazio e materiali per Antonella Zazzera o per Luca Trevisani, o – all’opposto – sull’immaterialità dei rapporti tra le cose, come per Francesco Gennari o per Donato Piccolo (la terza edizione del Periplo della scultura italiana contemporanea è promossa come di consueto dal Circolo La Scaletta e dal Comune di Matera. Catalogo delle Edizioni della Cometa). Maria Vinella
Giuseppe Capitano
Daniele Camaioni, Tripfood, 2012 [video 5’]
Patalocchi, Giorgio Pignotti, Caterina Silenzi, Nima Tayebian, Mariano Vittori e Luca Zampetti, ed è introdotta da uno testo di Silvia Baldassarri. A coordinare la manifestazione c’è l’esperienza e l’entusiasmo di Nazareno Luciani. Accesa! riflette sul concetto e sull’uso della luce in arte, luce vista in molteplici modi, come esperienza, visione, idea; come introspezione e come proiezione Gli artisti propongono allora un frammento del proprio percorso artistico, interagendo con lo spazio attraverso i più svariati linguaggi, dalla pittura al video, dalla fotografia all’installazione e alla scultura. È una collettiva ricca che offre molti spunti di riflessione e una ricchezza di lavori. Il Comune di Monteprandone continua a confermarsi attento e attivo nella promozione della giovane arte italiana dando spazio a degli artisti che portano avanti dei percorsi di ricerca che possono emergere e crescere a livello nazionale e non solo. La collettiva presenta allora la ricerca scultorea di Caterina Silenzi che con ossa ferro ed ossa dà forma al suo stato d’animo, la pittura minima e psicologica di Vincenzo Lopardo, i disegni inquieti e realisti di Hernan Chavar, la natura tecnotrasformata delle tele di Giulia Corradetti, si passa poi ai temi ironici e noir delle tavole di Luca Zampetti, alla critica ai simboli all’ipocrisia del mercato delle opere di Emilio Patalocchi, agli sguardi dilatati delle fotografie di Nemanja Nikolic, al senso di libertà e costrizione della pittura di Marco Monaldi, scendendo le scale si trovano i ritratti legati all’attualità di Nima Tayebian, il video di Daniele Camaioni che forgia paesaggi con il cibo, l’ambiguità dei sessi delle tele di Giorgio Pignotti e infine la riflessione sulle produzioni alimentari dell’installazione di Mariano Vittori. Dario Ciferri Giuseppe Capitano
Perino e Vele
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PalaRiviera, San Benedetto del Tronto
Marche Centro d’Arte
Expo di arte contemporanea - II edizione ei mesi di luglio ed agosto presso N il PalaRiviera di San Benedetto del Tronto si è tenuta la seconda edizione
dell’Expo di arte contemporanea di Marche Centro d’Arte. L’iniziativa, pensata e voluta dalla Galleria Marconi, dal Cocalo’s Club e dal PalaRiviera ha visto coinvolti 4 critici/curatori, 46 artisti e 48 adottanti che hanno sostenuto l’iniziativa. La partecipazione degli adottanti, quasi dei moderni mecenati, ha permesso inoltre che si potessero mettere in interrelazione fra loro, artisti, imprenditori, liberi professionisti, operatori culturali, riviste, realtà di promozione artistica di vario genere. Il progetto Marche Centro d’Arte è nato con l’idea che le Marche non siano solo un territorio che produce cultura, ma anche
s Davide Zucco
▼ Niba
Davide Coltro
s Alberto Di Fabio
▼ Giovanni Termini
un luogo che accoglie e assorbe quanto proviene da fuori per poterlo ripresentare all’esterno, esattamente come il movimento delle onde sulla riva del mare. Per questa ragione la seconda edizione dell’Expo ha presentato i lavori di alcuni dei più interessanti artisti che portano avanti la propria ricerca in Italia. Per dare corpo all’Expo sono stati invitati tre critici a realizzare le tre sezioni di arte installata e un critico che ha realizzato una sezione di videoarte. I critici che hanno curato le sezioni installative sono Gloria Gradassi, Luca Panaro e Stefano Verri, mentre la sezione di videoarte è stata curata da Giovanni Viceconte. Ciascuna sezione installativa presenta un tema concettuale che riunisce idealmente i percorsi dei singoli artisti. Ecco che entrando negli spazi dell’Expo per prima cosa ci imbattiamo in un “non-luogo” come lo ha definito Stefano Verri presentando il suo Luogo/identità. Uno spazio di transito a tutti gli altri ambienti della struttura dove ad accoglierci c’è Giovanni Termini con la sua installazione che in maniera quasi virale si espande in tutti gli altri luoghi. E se Rocco Dubbini ci offre uno stralcio della storia del paese al tempo del boom economico, Gigi Cifali documenta l’importanza dell’acqua e della sua assenza per lo sviluppo e la crescita di una comunità. Un legame con la propria comunità che emerge nell’opera di Paolo Consorti che omaggia la sua città con un’edicola dedicata al patrono San Benedetto Martire. Verso il mare e una comunità arcadica felice e giocosa proietta la sua opera Lidia Tropea. Ancora al mare e all’economia che gli ruota intorno rivolge la sua raffinata pittura Giuseppe Restano e sempre il mare, la speranza e i legami tra popoli, che da sempre crea, raccontano nella loro installazione Marco Bernacchia e Maurizio Mercuri. Luigi Carboni attraverso una delle sue raffinatissime mappe mostra legami, mondi, prospettive che si proiettano in una nuova alchimia tra uomo e natura. L’ironia dell’opera di Filippo Minelli fa riflettere sul legame che si sta creando tra social network e
omologazione. Cristiano Berti con le sue foto racconta una storia di disperazione e di speranza, quella che ha portato alla creazione dell’Ambasciata Universale. Gloria Gradassi con Grow-up propone un confronto e una riflessione tra due generazioni di artisti, quelli partiti alla fine del XX secolo giunti ora a una maturità espressiva e quelli che hanno iniziato negli anni 2000, e usano linguaggi all’apparenza più leggeri. Troviamo allora Vanni Cuoghi, che ci introduce a un mondo fiabesco con percorsi psicologici e visioni oniriche seducenti ed inquietanti, e Davide Zucco, che propone una ricerca visiva più ascetica e dirige la pittura verso soluzioni ambientali originali dove fonde elementi naturali e colori fluo. È la ricerca di un difficile equi-
Cristiano Berti
Rita Soccio
s Giovanni Manunta Pastorelio ▼ Giuseppe Restano
s Rita Vitali Rosati
s Matteo Negri
▼ Patrizia Zelano
▼ Filippo Minelli
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RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE
Maurizio Mercuri e Marco Bernacchia
Karin Andersen
librio quello che ci mostra Roberto Cicchinè, un tentativo impossibile di recidere un legame, con la sofferenza che agisce come punto di incontro. Un equilibrio che invece appare visto in maniera ironica da Matteo Negri, che ci mostra il complesso e lineare intrecciarsi dell’io attraverso l’uso del linguaggio dei Lego. Davide Coltro attraverso il quadro elettronico dà un nuovo senso alla durata e alla mutazione dell’opera d’arte variando le immagini della sua pittura digitale. Una profonda riflessione sulla tossicità di quanto mangiamo e vediamo ci viene invece presentata da Rita Soccio. Riflettendo sull’oggetto contemporaneo e sulla sua durata Mattia Biagi crea dei fossili attuali creando un intreccio di ombrelli sotto catrame. La pittura rapida e raffinata di Giovanni Manunta Pastorello ci pone di fronte all’urgenza comunicativa dell’artista e agli intrecci visivi che ne possono scaturire. Pittura che invece nelle opere di Alberto Di Fabio si mostra in un linguaggio spaziale bidimen-
sionale che si esplicita in una vertigine cosmica. Infine Niba racconta le inquietudini legate all’infanzia, al dolore, alle trappole attraverso una rappresentazione molto vicina a un linguaggio dickensiano. Non c’è invece un vero e proprio percorso concettuale in Senza titolo, la sezione curata da Luca Panaro, che guarda però soprattutto al linguaggio fotografico concedendosi delle rapide incursioni verso la pittura, il disegno e l’installazione. In fondo alla sala che ospita la sezione di Panaro troviamo il disegno di Maria Lucrezia Schiavarelli opera circolare che mette l’uomo in rapporto con il cosmo, l’occhio con le stelle, il micro con il macro. Le foto di Matilde Soligno sono, invece dei volti femminili, ripresi da vicino, senza nascondere i segni del tempo, ma cercandone la forza introspettiva. maicol&mirco ci fanno esplorare alcuni degli infiniti universi popolati dagli infiniti personaggi partoriti dalla loro mente, sono mondi così assurdi da sembrare assurdamente reali. Patrizia
s M.Lucrezi Schiavarelli
s Silvia Camporesi
▼Matteo Girola
s Sabrina Muzi
▼ Luigi Carboni
s Gigi Cifali
▼Carlo Alberto Treccani
▼ Lidia Tropea
Zelano riflette sulla percezione che abbiamo delle cose, fotografando resti animali e creando illusioni visive con l’intercessione del mezzo fotografico. Se Silvia Camporesi sofferma la sua attenzione su frammenti di paesaggio di oggetti e di volti e con un fuoco perpetuo a dare circolarità e compostezza all’insieme, Karin Andersen propone una serie di volti teriomorphi per ricordare l’assurdità del pensiero antropocentrico e l’importanza del rispetto delle diversità che la natura presenta. Matteo Girola interviene sulla percezione del mondo, lo fa andando a creare piani pixelati sulle immagini e facendo vacillare il senso e le sicurezze sulla realtà. Carloalberto Treccani ferma sulla stampa le immagini prese da Google street view, luoghi e persone congelati nell’interazione con il web che vengono riportati a una fruizione più reale. Rita Vitali Rosati prosegue invece la sua riflessione sull’uomo, sulla sofferenza, sulla bellezza e sulla caducità, legando il destino umano a un fiore appassito. Al centro della sala c’è infine l’installazione di Sabrina Muzi, un grande monile realizzato con conchiglie, lische, legni e ossi di seppia, quasi a ricongiungere un mondo arcaico con il presente. Tutto l’Expo ha offerto la possibilità di ripensare il contemporaneo, la crisi che stiamo vivendo e le contraddizioni che spesso si incontrano quando si riflette sul presente, andando a dare durante il periodo estivo, normalmente dedicato alla spensieratezza, la possibilità di fare una bella esperienza culturale. Non resta che aspettare la terza edizione dell’Expo, mentre sono già ricominciati gli eventi collaterali organizzati da Marche Centro d’Arte. Dario Ciferri
s Paolo Consorti
s Rocco Dubbini
▼Roberto Cicchinà
▼ Matilde Soligno
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Ritrovo di Rob Shazar, Sant’Agata de’ Goti
Maria Luisa Tadei
a colloquio con Lucia Spadano > Come nasce il progetto di mostra “Traiettorie Stellari” e, più in generale, come si inserisce nel tuo attuale percorso evolutivo? Già nel 2004 avevo fatto una mostra pubblica a Ravenna che si chiamava “Camminando tra galassie”, quindi è una mia costante occuparmi di questi temi. Trovo spesso ispirazione nella natura, nel cielo, nei paesaggi sconfinati dell’universo. Questo nuovo progetto è stato pensato apposta per la galleria Shazar: la preparazione è stata piuttosto lunga, in quanto c’è una scultura in alluminio fuso, composta da 12 “anelli” di diametro diverso, colorati e dai riflessi cangianti, che sono sospesi nello spazio. In questa mostra affronto il tema della leggerezza e della pesantezza, delle opposte qualità che convivono nello stesso spazio. > Ho notato l’uso della stampa fotografica in alcuni lavori di questa personale. La fotografia è un media come un altro per esprimere contenuti o le affidi un ruolo specifico, all’interno della tua attuale produzione artistica? La fotografia è un mezzo come un altro per esprimere l’idea su cui sto lavorando. In particolare, in questo ultimo ciclo di opere fotografiche, c’è da specificare che la foto è solo l’ultimo passaggio; infatti, tutto il lavoro nasce da una ricerca di tipo pittorico. > Lavori con materiali diversi, alcuni dei quali del tutto peculiari nel panorama attuale dell’arte contemporanea (penso all’uso della tecnica del mosaico negli Oculus Dei ed in Octopus, una scultura enorme, recentemente posta dalla tua galleria londinese in Thomas Square): come scegli il materiale da abbinare per un’opera? Scelgo sempre il materiale in funzione dell’idea che voglio esprimere e realizzare. In particolare, mi piace il mosaico per la sua interazione mutevole con la luce ed anche perché è una tecnica antica, resistente e durevole nel tempo, che si adatta bene a realizzare un certo tipo di opere. Polo Museale Santo Spirito, Lanciano Palazzo del Comune, San Vito Chietino
Vito Bucciarelli
la Storia nella recente persoIdelrrompe nale di Vito Bucciarelli La Primavera Pane, inaugurata al Polo Museale di Santo Spirito di Lanciano. Una storia riconsiderata sotto la luce del linguaggio dell’arte che trasfigura e illumina gli accadimenti della cronaca facendoci riflettere sulle speranze e sulle complesse conseguenze internazionali scaturite dal vento di libertà generato dalla “rivoluzione del Gelsomino” nata in Tunisia tra il 2010 e il 2011. La mostra, dedicata a Mohamed Bouazizi, giovane ambulante suicida per protestare contro le drammatiche condizioni di povertà, l’aumento dei prezzi di prima necessità e contro la corruzione, diventa per Bucciarelli una sorta di dichiarazione d’amore per un paese diventato per l’artista una nazio-
Maria Luisa Tadei, Rings 2012 - courtesy l’artista e Il ritrovo di Rob Shazar
> Come prepari i tuoi lavori, da dove parti, come nasce il processo creativo? Il punto di partenza viene sempre da una ispirazione interna; la realtà è filtrata da quello che penso e sento, ma mi sento di dire che parto sempre da una visione interna……il momento progettuale, i materiali vengono in un secondo momento. > Hai memoria specifica del momento in cui hai deciso di fare l’artista o è stato un processo di maturazione lenta? C’è stato qualcuno o qualcosa di importante che ti ha spinta in questa direzione? Credo che si nasca artisti e non lo si diventi; continuare a sviluppare questo dono è una scelta che io ho fatto sin da piccola. Nessuno mi ha spinta in questa direzione. > Come vedi il panorama attuale dell’arte contemporanea in Italia? Credi che la crisi stia cambiando le modalità di lavoro degli artisti? Qual è il tuo punto di vista? Purtroppo, devo dire che la maggior parte delle mostre che ho visto negli ultimi anni non mi hanno entusiasmata, non solo in Italia, ma un po’ ovunque… Se gli uomini pensassero più al loro rapporto con l’infinito andrebbe tutto un po’ per il meglio. In generale, la crisi costringe tutti a comportamenti più coerenti. > Che rapporto hai con gli attori del mercato dell’arte: collezionisti, galleristi, curatori ecc? Sono indispenne d’adozione e un territorio dell’anima. L’intervento dell’autore trasforma il nuovo allestimento dello spazio museale in una suggestiva e complessa installazione dove scultura, pittura, elementi sonori e interventi luminosi coesistono facendo riverberare accenti sensibili. Ceramiche dalle tipiche decorazioni diventano orologi che scandiscono i tempi della storia o, come svettanti oggetti scultorei rivestiti di squillanti cromie, rappresentano i simboli di una civiltà legata alla terra; sulle tele le drammatiche immagini tratte dalla cronaca sembrano, invece, galleggiare ed emergere come miraggi dalle superfici verdastre del lumen e dialogano con particolari che hanno la forza e l’evidenza della fotografia, producendo un potente contrasto concettuale. Sugli spazi aleggiano le sonorità dei versi vocali lanciati dalle donne magrebine che, come grida di battaglia, rivestono l’installazione ideata da Bucciarelli: un luogo emotivo creato per rispecchiare, grazie alla sensibilità di un artista impe-
sabili per la riuscita di un’artista o pensi che si possa lavorare in modo soddisfacente, immaginando percorsi alternativi? Il lavoro dell’artista, se è un buon lavoro, deve essere indipendente e deve potersi difendere da solo. Detto questo, direi che alcuni galleristi e collezionisti si pongono in una prospettiva diversa, chiamiamola pure commerciale, se vuoi, mentre per gli artisti è più importante crescere dal punto di vista del lavoro, sperimentare, ricercare linguaggi espressivi nuovi. A volte, con alcuni critici si riesce ad instaurare un rapporto molto stimolante e, soprattutto, uno scambio di punti di vista sul proprio lavoro. Ma non puoi sempre generalizzare, perché ci sono diversi tipi di galleristi, di curatori e di collezionisti. > Infine, volevo chiederti: qual è o quale dovrebbe essere il ruolo dell’artista in una società mobile e “liquida” come quella attuale? Ispirarsi alla creazione di Dio e riconoscersi sue creature, non mettersi mai al Suo posto. Al contrario, nella società attuale, l’uomo si sente padrone della vita e della morte, non c’è più rispetto per la creazione divina. A proposito di forme liquide, nelle mie opere scultoree, ma anche in quelle pittoriche e fotografiche, è molto presente l’elemento fluido, il movimento che crea energia e forme, nuove e diverse. Nel mio lavoro, c’è un senso costante di trasformazione e rigenerazione da una forma all’altra, in un susseguirsi ritmato di pieni e vuoti…..ma mi rendo conto che di altro tipo di liquidità si parla g gnato, il dramma di un’umanità sensibile travolta dal dramma di una Storia che, in molti casi, privilegia l’egoismo e rinuncia al prezioso dono della fratellanza. Umberto Palestini
Vito Bucciarelli, Il sogno della Dora Maria
distanza di una settimana dalla moA stra di Lanciano, Vito Bucciarelli ha allestito nel Comune di San Vito Chietino
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RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE Palazzo Panichi, Pietrasanta
Gian Marco Montesano
e opere esposte avrebbero dovuto L far parte di una collezione paradossale e improbabile: la mia collezione di
Montesano. Pensavo - in anni ormai lontani - di raccogliere qualche esemplare del lavoro che questo artista andava facendo. Sbagliavo, dimenticavo completamente che Montesano sono io. L’ipotesi di “collezionare”, cioè di tenere per me tutti quei Montesano, non nasceva affatto da una forma d’amore narcisistico per quel che facevo e faccio, infatti, se non fossi stato io Montesano, cioè l’autore che poteva avere gratuitamente quei lavori, non mi sarebbe mai passato per la testa di comprare un Montesano. Allora perché ? La questione era di natura critica (vale a dire l’esatto contrario dell’infatuazione per me stesso). Volevo poter osservare criticamente, a posteriori, quel che andavo facendo. Sarebbe come dire che intendevo esprimere su di me il giudizio dei posteri. Si tratta probabilmente di una forma paranoica dalla quale sono spontaneamente guarito da qualche anno. Fortunatamente, non essendo mai riuscito, per motivi economici, né a imparare né a mettere da parte l’arte che intendevo conservare ed avendo finalmente capito che non sono, non posso essere io l’occhio critico della Storia che scruta Montesano, ecco che le tracce superstiti di quella che avrebbe dovuto essere la vera, grande riflessione critica su questo artista, si ritrovano del tutto naturalmente sparse tra mercanti e collezionisti. L’autore, grazie a Dio, non possiede nulla di quel che ha fatto dunque, a suo grande scorno (cioè scornato, senza corna che vuol dire senza potere) non è più in grado di esercitare una qualsivoglia critica oggettiva sul proprio lavoro. Restava, come unica possibilità, il PRO MEMORIA, la raccolta di qualche traccia sufficiente a far capire all’autore il significato critico del suo lavoro. Vale a dire: chi sono, cosa ho fatto e perché. Un’ indagine perenne che, come ogni indagine oggettiva, può andare avanti solo in presenza di tracce palesi, visibili e comparabili, quelle tracce che pensavo di poter accumulare “collezionando” Montesano. Fortunatamente un Mercante amico si è reso disponibile per testimoniare una
una serie di opere riunite sotto il titolo di “Vedute Dannunziane”. Come nella “Primavera del Pane” l’artista stabilisce anche in questa mostra un rapporto con gli eventi e con i luoghi. Infatti le opere, installate in un loggiato del Palazzo del Comune, aperto da una serie di arcate dalle quali ci si immerge visivamente nella Valle della Fornace e in un tratto del mare Adriatico verso il Trabocco del Turchino, sono luoghi legati alla stagione più bella della sua vita, che Bucciarelli ha scelto per narrare l’antico rapporto che gli abitanti di questo territorio hanno con il mare e con l’immaginario del viaggio. Sulle grandi tele che guardano il mare sono tratteggiati, come sinopie, i profili dei promontori che dal loggiato si possono ammirare, e giù, a valle, sulla battigia, ricca di colori, è arenata la “Dora Maria”, la prima barca da pesca a motore usata dai pescatori del luogo tristemente naufragata e restituita alla visione di quante persone ancora la ricordano grazie alla magia dell’arte. (L.S.)
parte almeno di quel che è accaduto nel tempo. E un succinto PRO MEMORIA ha preso forma. Oggi, credo di averlo capito, non sono più io l’occhio della Storia che valuta criticamente Montesano, ed è certamente meglio così infatti, a proposito di occhio critico, devo aggiungere che il mio, su questo artista, è sempre stato poco compiacente e più cattivo di quanto Montesano si aspettasse. Questo accade quando l’occhio critico conosce fin troppo bene l’autore. Non essendo mai opportuno infierire, a questo “giornale” è affidato il compito di ricordare le opinioni di altri, diversi sguardi critici, occhi più benevoli e indulgenti, a volte persino inaspettatamente elogiativi. Ma si tratta pur sempre e soltanto di un “giornale” che allude al “quotidiano”, all’effimero apparire e scomparire di notizie e fatti che oggi ci illudono e domani son carta straccia. Ecco perché questo non è un Catalogo secondo le regole canoniche ma un PRO MEMORIA in forma di giornale. Intanto, per quanto le tracce conservate e messe in mostra siano poche e le testimonianze effimere, su carta semplice, le indagini continuano g
Gian Marco Montesano, Histoire d’un allemand [cm. 150 x 120] courtesy Claudio Poleschi Arte Contemporanea, Lucca
Gian Marco Montesano, Grazie dei fiori [olio su tela - cm. 200 x 450] courtesy Claudio Poleschi Arte Contemporanea, Lucca Gian Marco Montesano, Donna al bar [courtesy Claudio Poleschi Arte Contemporanea, Lucca]
Vito Bucciarelli, La Primavera del pane [veduta delle installazioni / installation view]
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Palazzo Reale, Milano
7Paolo Consorti, Performance, Piazza Duomo, Milano
Italia ultimamente si è assistito ad Ico,nuneconomico, inasprimento del dibattito politisociale. Sono aumentati
con convinta costanza Paolo Consorti che con il progetto Rebellio Patroni – iniziato lo scorso anno – ha voluto attingere dalle iconografie cristiane – sfidando il senso religioso che queste hanno – dei santi patroni delle città italiane. Il progetto diventa in questo modo itinerante e ad ogni sua presentazione riesce a rinnovarsi aggiungendo un’esperienza nuova e specifica data da performance che l’artista attua – con l’aiuto di partner famosi – legate al diverso patrono cui ciascuna municipalità si vota ed è devota. Consorti si fa spietato e acuto critico, sferzante nella sua vena
satirica ed ironica, e, giocando sempre in bilico tra rappresentazione sacra e devozionale o esperienza profana, denuncia una ribellione attraverso la figura dei santi e dei beati che quelle città dovrebbero proteggere. Consorti con le sue fotografie dialoga con un tono che si trasforma, da una veste volutamente kitsch e quasi carnevalesca, in spregiudicatamente tagliente ed ironica verso la situazione di oggi. Chi osserva percepisce immediatamente il messaggio di Consorti che parla di una società corrotta, senza valori, piena di soprusi e votata al cieco profitto. I santi di Consorti si ribellano sotto gli occhi dei loro devoti. Anche loro sembrano dire, una volta per tutte, basta! Il cangiante progetto di Paolo Consorti è arrivato anche a Milano dove la sua variopinta arte è stata ospitata a Palazzo Reale con una grande mostra, curata da Antonio Arévalo con un contributo critico di Angelo Bucarelli, in cui si sono proposte venti opere di grande formato accompagnate da un’istallazione e un documentario film sulla personale re-interpretazione dell’opera dei Santi patroni d’Italia letti secondo la sua, per certi versi dissacrante, visione contemporanea e quindi nuovamente simbolica. Nell’intervento-performance per la mostra milanese protagonista è stato ovviamente Sant’Ambrogio che – interpretato da Luca Mangoni membro della gruppo musicale Elio e le Storie Tese – cercava in un’affol-
Dai rami lasciati crescere, in virtù del rivestimento in resina bianca - dalla quale eccede però un germoglio -, in maniera tale da far scaturire una forma pressoché
cilindrica ed attraversati da una proiezione di parole luminose, al solido blocco di ossidiana paradossalmente infranto da un uccello con il suo esile becco; dalle
Paolo Consorti malcontento, manifestazioni, proteste. Il Paese – e la cronaca recente lo dimostra – sembra sprofondare sempre di più in quel pelago di vizi che, pur emersi da tempo, avrebbe dovuto invece superare e sconfiggere. Nulla cambia e nessuno strumento sembra essere sufficiente ad ostacolare questo stato di inevitabile decadenza. Alcuni artisti, con il magico strumento della loro poetica artistica, ci provano con gli strumenti a loro più congeniali. Lo fa
Paolo Consorti, Installation view, Palazzo Reale, Milano
Paolo Consorti, Installation view - Palazzo Reale, Milano
Studio Trisorio, Napoli
Marisa Albanese
A
Marisa Albanese, Incontro - Rejoin, 2012 [bronzo e legno]
Marisa Albanese, Scalanaturae, 2012
distanza di qualche anno dalla sua personale al Museo di Capodimonte, e ad un lavoro sempre più analitico sulle metamorfosi della materia, Marisa Albanese torna a riflettere sulle questioni della natura e sulla criticità del rapporto uomo-natura, sottolineando l’irriducibile connessione tra le molteplici forme di vita – dalle più articolate a quelle monocellulari - e tra tutti i fenomeni naturali in genere, avanzando una sorta di antidoto che proceda innanzi tutto da una lucida presa di coscienza di tale connessione stessa. Per il ciclo di opere presentate allo Studio Trisorio Marisa Albanese prende spunto dalla teoria del caos deterministico di Edward Norton Lorenz, che formulò il principio del “butterfly effect” in una conferenza del 1972 intitolata “Può il batter d’ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas?”. L’artista si è interrogata sulle possibili trasformazioni della materia, sull’unità sostanziale della natura, a fronte di un’irriducibile molteplicità delle sue forme, e sull’energia che si attiva dalle relazioni fra le diverse forme di vita. 52 - segno 242 | OTT/NOV 2012
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RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE
Paolo Consorti, Santa Giustina
lata piazza Duomo di rilanciare l’immagine e il valore della cattedrale meneghina. Consorti adotta un linguaggio che riesce a farsi efficace, rispetto lo spettatore, perché miscela abilmente elementi diversi e tra loro contrastanti con un risultato che non lascia, nel bene o nel male, nessuno indifferente. L’artista unisce senso fotografico a scelte quasi cinematografiche, utilizza elementi manuali ma ricorre anche a strumenti di sofisticata tecnologia. In sostanza si muove sempre in bilico tra una tradizione consolidata e una più dinamica e innovativa contemporaneità. Poli opposti dell’esperienza di ciascuno. In questo Paolo Consorti raggiunge un’autonomia e un’individualità di linguaggio che gli devono essere riconosciuti come caratteristici. Rebellio Patroni non si ferma in questa occasione, ma prosegue ancora rinnovandosi. Il work in progress delle performance di Paolo Consorti, che non smette di calare i suoi protagonisti nel presente e realtà, riesce a riportare la ritualità di una tradizione sacra e religiosa sentita spesso come lontana dall’attualità – anche per una certa sfiducia della gente verso i modelli consolidati della propria tradizione – in pieno contatto con le emergenze del momento. Queste sì, tutte tristemente concrete e terrene e per questo veramente reali. Matteo Galbiati incisioni di una figura arborea su quattro irregolari solidi in marmo nero, allusione alla recente scoperta della discendenza di tutti i vegetali dalla Cynaphora Paradoxa, un’alga la cui simbiosi con un batterio diede origine alla fotosintesi, ai cinquanta piccoli rametti spogli a parete, figura di un paesaggio interiore; dall’iscrizione perpendicolare di un ramo bronzeo in una sedia lignea alle due Marisa Albanese, Un battito d’ali - nstallation view, 2012
Paolo Consorti, Sant’Ambrogio
Paolo Consorti, Santa Chiara
Paolo Consorti, Performance alla Biennale di Venezia 2011 con Stefano Belisari alias “Elio”
pile di fogli di carta che racchiudono la minuscola proiezione di un intreccio circolare di alberi – dai quali appunto proviene la carta -, il cui agitarsi rima con il flusso delle nuvole, l’artista costruisce così un percorso ove natura ed artificio, soggettività plasmante ed oggettività plasmanda, aderenza al dato fisico e trascendenza nella dimensione metafisica, si affrontano in un dialogo serrato, mai
domo e costantemente soggetto ad esiti imprevedibili, in un’ottica certo guidata da una intuizione etica e persino politica, ma anche improntata ad una tensione impregiudicata verso ogni percorso di conoscenza, che abbraccia tanto i territori dell’immediatamente sensibile quanto la sovversione immaginifica delle regole in base alle quali esso funziona. Stefano Taccone
Marisa Albanese, Faccia a faccia, 2012 Courtesy Studio Trisorio, Napoli
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Museo Butti, Viggiù (Va)
Tobia Ravà partire dalle avanguardie degli A anni Cinquanta del secolo scorso, tanto gli artisti che usano la pittura
come una dei medium possibili, quanto coloro che si sentono compiutamente “pittori”, hanno via via maturato un atteggiamento di indipendenza dalla realtà e dall’idea di mimesi. Il rapporto della pittura con la realtà, che da un lato può fortunatamente dirsi mai risolto compiutamente, ha portato in dote – nelle sue continue frizioni – lo spiccato atteggiamento di contestazione da parte delle avanguardie postbelliche, sfociato successivamente nella consapevolezza che la pittura possa vivere di un linguaggio proprio, di dinamiche che sono interne allo stesso mezzo e possono garantire in qualche modo l’autosussistenza. È anche l’atteggiamento che caratterizza il lavoro di Tobia Ravà, pittore – per caso o scelta filosofica – che ha maturato uno stile personalissimo, in cui la pittura è essenzialmente uno strumento che fa da sé, e che diventa un’impalcatura che rende possibile un gioco formidabile sul linguaggio. Ereditato e ribaltato il costrutto ludico magrittiano di Ceci n’est pas une pipe, l’artista infatti mostra nei suoi lavori dei ritagli di mondo che sono qualcos’altro, e non necessariamente qualcosa di diverso da ciò che lo spettatore può vedere sulla superficie pittorica. I suoi paesaggi, i suoi volti o suoi animali, sono infatti anche qualcosa di diverso, come annuncia la loro pelle tatuata. Sono migliaia di numeri, qualche volta lettere, ad abitare quel microcosmo, che vediamo e conosciamo a partire dalla sua forma visibile. Quei pezzi di realtà non sono illusioni: il suo non è un monito alla non conoscibilità del mondo, e nemmeno è sua volontà instillare dubbi filosofici sulla visione. Al contrario, la sua ossessiva necessità di analizzare e riimmaginare in forma ghematrica la realtà esprime la volontà di costruire sistemi di relazioni forti ma aperti tra le cose, tra gli oggetti, tra gli elementi del mondo. Alla base di tutto c’è la ghematria, lo studio delle corrispondenze tra le lettere dell’alf a b e t o ebraico e numeri, di cui l’autore quotidianamente si nutre. In particolare, grazie all’equivalenza tra parola e numero, la ghematria innesca un meccanismo interpretativo per cui i concetti possono trovare forma numerica, e, allo stesso tempo, una serie numerica può essere espressione di più parole. Il rapporto che si instaura è sostanzialmente quello che in matematica viene definita funzione suriettiva,
Tobia Ravà, Radici alla radice, bronzo a cera persa Tobia Ravà, Incontro ghematrico 2012,(ranetta e farfallina) bronzo a cera persa cm. 17x22x16
una legge grazie alla quale gli elementi di partenza (gli elementi x) vengono trasformati in altro (cioè y), ma contemporaneamente y può essere immagine di più x. Questo garantisce una discreta – seppur non illimitata – libertà interpretativa, poiché l’immagine finale può essere generata da elementi diversi. Ma soprattutto mette in moto una serie vorticosa di pensieri alla ricerca delle interrelazioni tra parole, concetti, e – questo il passo successivo che compie Ravà – immagini. Le tele e gli oggetti (sovente sono animali) che l’artista veneziano dipinge, sono così popolati da una pelle numerica, che, più di rivestirli li motiva filosoficamente. Non si tratta banalmente di epidermide: le sue immagini contengono infatti
Tobia Ravà, Trota midrascica 2012 bronzo a cera persa cm 61x22x11
Tobia Ravà, Trachemis ghematrica 2012, (tartaruga) bronzo a cera persa cm. 38x35x16
al proprio interno, tra i propri tessuti, dei micro enunciati che permettono di muoversi altrove, di spostare l’attenzione anche sulla sostanza e non solo sull’accidente della superficie. Questo, fatalmente, consente a Ravà di mettere a punto un dispositivo di senso che rende possibile la connessione tra cose che prossime non sono: l’opera
è cioè un vero e proprio ipertesto basato su relazioni numerologiche, su rapporti segreti tra concetti. Chi vede, pur non essendo conscio di tutti i passaggi (e dei gradi di parentela delle parole), viene condotto altrove poiché la pelle numerica è inevitabilmente una decorazione che apre gli occhi ad una realtà altra, affascinante e misterica, anche nella propria incapacità di capire per filo e per segno tutti i passaggi intermedi. Allo spettatore – blandito da una decorazione piacevole ed insistita che apre continuamente nuove finestre come fa un internet browser impazzito – non rimane che perdersi, o prendere le distanze alla ricerca dei necessari appigli visivi, che sono l’unica ancora di salvezza di fronte ad una babele irresistibilmente seducente di segni. Daniele Capra
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RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE Museo di Santa Croce, Umbertide
Marco Baldicchi gni sorriso è una potente installaO zione di Marco Baldicchi realizzata al Museo di S. Croce ad Umbertide e
costituita da dodici grandi teli che a mo’ di stendardi sono collocati lungo il perimetro della navata dell’ex chiesa, dove si conserva la Deposizione dalla croce di Luca Signorelli. Ogni telo ha impresso un sorriso, quello di ognuna delle dodici vittime di un efferato atto di barbarie compiuto proprio nei pressi della cittadina umbra durante la seconda guerra mondiale, al passaggio del fronte. In un linguaggio minimal, ridotto ad un asciutto, quanto poetico, segno essenziale , quello di un sorriso che si ripete e si differenzia per ogni telo bianco, esposto in successione , l’artista ha voluto farsi portatore di memoria. I dodici sorrisi, estrapolati da una foto Di.st.urb, Scafati
Politikaction
una linea rossa che lega, territorialÈ mente e idealmente, il 1972, anno della mostra/manifestazione Politikaction
a cura della Cellula Grafica “J. Heartfield”, al 2012, anno in cui, sempre a Scafati, un gruppo di 30 soggetti tra artisti e collettivi inaugura la mostra Politikaction. Il sistema è la crisi, a cura di Stefano Taccone. La linea rossa di cui negli anni ’70 parlava Luca (Luigi Castellano), per identificare le esperienze aggregatorie di opposizione politica di classe realizzate con l’arma dell’”avanguardia politica”, giunge viva
Marco Baldicchi, Installation view 2012 Museo di Santa Croce, Umbertide
d’epoca e ricostruiti con stampa su tela e ricamo a filo d’oro, sono amplificati da Baldicchi in una traccia indelebile, effigie della vita che si perpetua al di là della tragedia e della brutalità umana, in un’operazione prima etica e civile, e poi, ancor più, classicamente artistica nella cura che l’arte ha per il dolore, la stessa che Teognide e Mnemòsine, dee della speranza e del ricordo, promettono agli più che mai tra le fila degli artisti che oggi hanno come obiettivo della propria ricerca estetica il costante interesse verso tutti quegli aspetti - sociali, culturali e politici - che caratterizzano e nutrono la crisi del sistema economico mondiale in atto. La linea rossa passa e lega tutte quelle esperienze estetiche alternative e underground che a partire dagli anni Settanta - con moventi, mezzi ed espressività sempre diversi - si pervadono l’una nell’altra e inevitabilmente si influenzano in uno scambio reciproco di esperienze, pratiche e creatività. Per questo motivo Politikaction del 2012 risente volutamente e dichiaratamente delle esperienze fatte non solo nello stesso territorio quarant’anni prima, ma anche
di tutte quelle pratiche politiche, sociali e artistiche come i movimenti di contestazione Occupy o come la mostra simbolo delle occupazioni allo Zuccotti Park intitolata This Is What Democracy Look Likes e allestita nel 2011 alla NYU’s Gallatin Galleries di New York. Ciascuno con la propria individualità di linguaggio, stile e pensiero, gli artisti presenti in Politikaction del 2012 si inseriscono nel tessuto della lunga linea rossa riuscendo a creare una mostra-manifesto capace di indagare in modo chiaro e incisivo gli aspetti malati del sistema in crisi. Gli artisti invitati (Katia Alicante, Emanuela Ascari, Az.namusn. art, Enzo Calibé, Leone Contini, Nemanja Cvijanovic, Karmen Dada, Rosa Futuro e Tobias Marx, Silvia Giambrone, Rosaria Iazzetta, Internationale Surplace, Marta Lodola, MaisMenos ±, Domenico Antonio Mancini, Salvatore Manzi, Pietro Mele, Giuditta Nelli, NoiSe GrUp Pier Paolo Patti, Giuliana Racco, Alessandro Ratti, Mauro Rescigno, Rhaze, Fabrizio Sartori, Ur5o, Claudia Ventola, Marco Villani, Ciro Vitale, Marco Zezza, Mary Zygouri) riescono a creare un percorso di lettura unitario delle singole suggestioni e lo fanno attraverso foto, manifesti, installazioni, scritte e performance. Politikaction del 2012 si presenta come un’esperienza aggregante dal forte impianto sperimentale, nel quale l’obiettivo è creare un’opera unica in grado di legare insieme sia le impressioni derivanti da un’analisi generale della crisi a livello nazionale e globale, sia i pensieri circa gli aspetti più locali e specifici in cui la crisi mondiale si risolve. Chiara Pirozzi
che ci accostano ad un mondo sorprendentemente più intimo e riservato. La sua natura viva, in perenne viaggio, è luce e colore, è silenzio e suono, è atto d'amore. Così, scatto dopo scatto, un totale diventa particolare e viceversa, riflettendo semplicemente il percorso di un’anima.” Nel testo critico in catalogo, Pierre Hidalgo esalta e scopre negli scatti di Miranda, il magma e la nascita dei sensi, il ritmo della vita e le sensazioni dell'infinita immensità della natura, nel carattere sconfinato della superficie delle onde, della profondità dell'acqua, dell'ampiezza del cielo o dell'aria. Immagini strutturate, minuziose, preziose, evocatrici di cose che vanno al di là di quelle che rappresentano, forse anche simboliche. Le mostre sono state accompagnate dalle musiche di Massimiliano Ventrone, in un amalgama di suoni della natura (come uccelli e tuoni) o simbolici
(come il suono della campana) per ricordarci - osserva Hidalgo - che la musica è l'arte delle cose intangibili. (LS)
Politikaction, Installation view - courtesy Di.st.urb. Scafati
Museo delle Genti d’Abruzzo, Pescara Museo Diocesano, Brescia
Miranda Gibilisco
I
n una duplice personale, prima a Pescara e poi a Brescia, Miranda Gibilisco, fotografa da sempre, si è resa testimone di una sconfinata passione per la natura e per i suoi dettagli più intimi, con singolari opere in un percorso espositivo di connubio tra più elementi, e in particolare tra fotografia (con stampe lambda su duraclear o alluminio), installazione di light box e musica. Come racconta Mariano Cipollini, curatore delle due mostre, “Miranda, con semplicità assoluta e ancor più assoluta precisione, ferma con il suo obiettivo attimi impercettibili, apparentemente invisibili, mostrandoci un’altra verità: frammenti brevissimi
scomparsi. Così le loro eteree sembianze, ora pura astrazione, con quell’unico reperto documentario scelto, sono trasposte in tangibile immagine, in visibile ricordo e in opera d’arte. Marco Baldicchi è partito nell’ideazione di quest’opera, come in tutto il suo lavoro, da un pensiero forte, che procede dall’immateriale al materiale e compone, in questo caso, un sacrario della memoria, in cui le inevitabili e molteplici implicazioni emotive sono cristallizzate in una stasi pressoché assoluta. La sua opera induce inoltre ad una riflessione sempre attuale sul ruolo dell’arte in relazione ad eventi di tragedia collettiva, se pur di micro storia, e su quale possa essere il linguaggio efficace per essi. La mostra a cura di Aldo Iori è corredata da un ricco catalogo con contributi, tra gli altri, di Bruno Corà, Enrico Crispolti e dello stesso curatore. Rita Olivieri
Miranda Gibilisco, Un mare di bene 2012 light box (plexiglas)
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13. Mostra internazionale di Architettura di Venezia
Common Ground fino al 25 novembre 2012
Da sinistra: Toyo Ito, Commissario; Annamaria Cancellieri, Ministero dell’Interno; Paolo Baratta, Presidente della Biennale di Venezia. Leone d’Oro per la migliore Partecipazione nazionale al Giappone. Architecture possible here? Home-for-All, Naoya Hatakeyama; Kumiko Inui; Sou Fujimoto; Akihisa Hirata (Padiglione ai Giardini) Commissario: Toyo Ito. Commissari Aggiunti: Atsuko Sato, Tae Mori. Foto: Francesco Galli. Courtesy: la Biennale di Venezia.
a 13ma Mostra Internazionale di Architettura è stata affidata quest’anno alla L direzione artistica dell’architetto inglese
David Chipperfield ed organizzata, come sempre, dalla Biennale di Venezia presieduta da Paolo Baratta. Il tema di questa edizione, Common Ground, è stato scelto da Chipperfield per “stimolare i colleghi a reagire alle prevalenti tendenze professionali e culturali del nostro tempo che tanto risalto danno alle azioni individuali isolate ed incoraggiarli ad illustrare idee comuni e condivise, che costituiscono la base di una cultura architettonica”. La mostra concepita da Chipperfield, distribuita su 10 mila metri quadri in un unico percorso espositivo dal Padiglione
Centrale ai Giardini dell’Arsenale, comprende 69 progetti realizzati da architetti, fotografi, artisti, critici e studiosi, che presentano proposte originali e installazioni create espressamente per questa Biennale, e che hanno coinvolto nel proprio progetto altri colleghi con i quali condividono un Common Ground. I nominativi presenti sono in totale 119, tra i quali la curatrice dell’ultima edizione Kazuyo Sejima con Ryue Nishizawa, Tokyo, che presenta un’installazione sul tema della ricostruzione dell’isola di MiyatoJima distrutta dallo tsunami; Norman Foster, Londra, con lavori di Marisa Gonzales, Andreas Gursky e Ben Johnson; Kenneth Frampton, New York, che ospita Steven
Stati uniti, Spontaneous Interventions, Design Actions for the Common Good, curatori Cathy Lang Ho, Ned Cramer, David van der Leer. Foto: Francesco Galli. Courtesy: la Biennale di Venezia.
Scuole di Architettura, 40,000 Hours. Foto: Francesco Galli - Courtesy: la Biennale di Venezia
Padiglione Polonia, Katarzyna Krakowiak, Making the walls quake as if they were dilating with the secret knowledge of great powers. Commissario: Hanna Wróblewska. Curatore: Michał Libera. (Padiglione ai Giardini). Foto: Francesco Galli Courtesy: la Biennale di Venezia.
Holl; Zaha Hadid, Londra; il raggruppamento Jean Nouvel e Mia Hägg, Parigi; Peter Fischli e David Weiss, Zurigo; Jacques Herzog e Pierre de Meuron di Basilea; il raggruppamento Álvaro Siza Vieira e Eduardo Souto de Moura, Porto, con la struttura di Alvaro Siza che si snoda tra gli alberi, in un omaggio all’intricato tessuto urbano di Venezia, e il lavoro Windows di Souto de Moura che riguarda l’acqua, altro elemento importante della città, con tre finestre che si affacciano sulla riva e ritagliano prospettive; Johannes e Wilfried Kuehn e Simona Malvezzi, Berlino, con lavori di Candida Höfer e Armin Linke; Francisco e Manuel Aires Mateus, Lisbona, che offrono la costruzione di nuove realtà ispirate alla possente architettura delle Gaggiandre dell’Arsenale; Thomas Struth, Berlino; Roger Diener, Basilea, con Gabriele Basilico; Olafur Eliasson, Berlino, con Frederik Ottesen; Gort e Scott, Londra, con Renzo Piano. Per Il Presidente Baratta “quella di Chipperfield è una mostra fatta di risonanze, in cui riemerge la relazione tra architettura, spazio e urbanistica. Egli invita a guardare all’interesse degli architetti partecipanti per la città, con particolare attenzione al recupero di edifici esistenti e alla riqualificazione di spazi urbani o a quei partecipanti che hanno attinto ispirazione da un forte legame con i maestri del passato, remoto o recente o che hanno attivato collaborazioni con altri grandi colleghi contemporanei”. La rassegna è affiancata da 55 Partecipazioni Nazionali, distribuite come di consueto negli storici Padiglioni ai Giardini dell’Arsenale e nel Centro Storico di Venezia. Le nazioni presenti per la prima volta sono quattro: Angola, Repubblica del Kosovo, Kuwait e Perù; l’Argentina invece espone per la prima volta in un suo proprio padiglione. Il Padiglione Italia alle Tese delle Vergini all’Arsenale, organizzato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali con la PaBAAC-Direzione Generale per il paesaggio, le belle arti, l’architettura e l’arte contemporanee, è curato dall’architetto Luca Zevi, che ha scelto di prendere ad esempio il modello di pensiero di Adriano Olivetti, il suo modo di fare impresa e di coniugare la cultura con il business, e di rendere il padiglione stesso un prototipo della ecosostenibilità, energeticamente autosufficiente e all’insegna del riuso, secondo i dettami del progetto “Nutrire il pianeta” presentato per l’Expo 2015 di Milano. Il progetto curatoriale presentato, Le quattro stagioni, Architetture del Made in Italy da Adriano Olivetti alla Green Economy, si snoda come il racconto di un incontro possibile, della riscrittura del ‘patto’ – luogo condiviso e spazio possibile – in cui le ragioni dell’architettura, del territorio, dell’ambiente dialoghino con quelle dello sviluppo economico. Un ‘common ground’ tra imprenditoria e architettura come necessità imprescindibile per la ripresa. Il racconto descrive le “quattro stagioni” dell’architettura del Made in Italy lungo un percorso accidentato
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attività espositive Grandi Mostre
Padiglione Russia, i- сity. Foto: Francesco Galli - Courtesy: la Biennale di Venezia
e fecondo, mirato alla ricerca di un rapporto virtuoso tra architettura, crescita e innovazione. L’opera di Michelangelo Pistoletto L’Italia Riciclata realizzata per il Padiglione Italia nel Giardino delle Vergini, rappresenta un metaforico centro di energie e luogo fisico per una serie di incontri. Ai Giardini il Padiglione della Francia presenta Grands & Ensembles, con tra gli altri il lavoro di Benedetta Tagliabue; l’Olanda presenta il progetto Re-set Inside Outside / Petra Blaisse, curatore Ole Bouman; il Padiglione tedesco, curato da Muck Petzet, chiarisce già nel titolo sulla facciata gli obiettivi “Reduce, Reuse, Recycle”, Architecture as a Resource propone 16 progetti con denominatore comune il recupero di manufatti già esistenti. La Grecia, che combatte ogni giorno contro il collasso economico, ha presentato il progetto di una schiera di giovani architetti che hanno dato vita a “Made in Athens”, lavoro collettivo su alcune aree pubbliche cittadine e sulla rielaborazione dell’idea di “condominio”. Il Padiglione del Giappone, commissario Toyo Ito, con il progetto Architecture possible here? Home for all, si è aggiudicato il Leone d’Oro per la migliore Partecipazione nazionale, per “la grande umanità” con cui il progetto affronta e cerca di dare una risposta concreta e terrena all’enorme disagio del terremoto del 2011. Con il suo progetto Toyo Ito ha collaborato con architetti più giovani e con la comunità locale per affrontare in modo pratico e inventivo la progettazione di un nuovo centro per una regione devastata da una catastrofe nazionale. La presentazione e il racconto nel padiglione sono stati unanimemente giudicati straordinari e ampiamente accessibili a un vasto pubblico dalla giuria, che si è detta colpita dall’umanità di questo progetto. La Giuria internazionale della 13. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia, composta da Robert A.M. Stern (USA), Wiel Arets (Olanda), Benedetta Tagliabue (Italia/Spagna) Kristin Feireiss (Germania) e Alan Yentob (Gran Bretagna) ha così assegnato i premi ufficiali della Biennale Architettura 2012: menzioni speciali sono state riconosciute alla Russia, che presenta video, foto e rendering dell’ambizioso progetto della città del futuro Skolkovo, che verrà creata in Russia con la partecipazione di architetti da tutto il mondo, tra i quali lo studio Chipperfield, Herzog & de Meuron e Stefano Boeri. Per il progetto i-city. i-city è stato adottato un approccio dialettico al passato, presente e futuro della Russia che trasforma tutti in spie digitali. La giuria è stata attirata in questo magico tour del mistero e si è dichiarata sedotta dalla sua presentazione visiva; alla Polonia, con Making the walls quake as if they were dilating with the secret knowledge of great powers di Katarzyna Krakowiak, installazione definita dai giudici “audace e coraggiosa, rammenta al visitatore non solo di guardare ma anche di ascoltare… E di percepire il suono del Common Ground”. Menzione speciale è stata attribuita infine agli Stati uniti, con il progetto Spontaneous Interventions, Design Actions for the Common Good, curatori Cathy Lang Ho, Ned Cramer, David van der Leer. Questa installazione interattiva
ha colpito la giuria “per la sua celebrazione della capacità degli individui di cambiare la società con gesti piccoli ma efficaci”. La presentazione semplice e non pretenziosa è stata giudicata incantevole. Il Leone d’oro per il miglior progetto della Mostra Internazionale Common Ground all’Arsenale è andato a Torre David / Gran Horizonte, 2012 di Justin McGuirk e Urban Think Tank (Alfredo Brillembourg, Hubert Klumpner) e agli abitanti di Caracas e alle loro famiglie che hanno creato una nuova comunità e una casa a partire da un edificio abbandonato e incompiuto. La giuria ha elogiato gli architetti per aver riconosciuto la potenza di questo progetto trasformazionale (una comunità spontanea ha creato una nuova casa e una nuova identità occupando Torre David, e lo ha fatto con talento e determinazione. Questa iniziativa può essere intesa come un modello ispiratore che riconosce la forza delle associazioni informali). Gran Bretagna e Venezuela espongono alle Corderie dell’Arsenale. Menzione Speciale per Cino Zucchi, Milano, per l’installazione Copycat. Empatia e invidia come generatori di forma, che “vuole richiamare la complessa rete di relazioni che modellano il nostro ambiente fisico”, e che la giuria ritiene rappresenti in modo esemplare il tema onnicomprensivo della Mostra Common Ground. Leone d’argento per un promettente studio di architettura della Mostra Internazionale Common Ground è stato assegnato allo studio emergente Grafton Architects (Yvonne Farrell e Shelley McNamara) Dublino, per la notevole presentazione di un nuovo campus universitario a Lima, che si ricollega alle idee di Paulo Mendes da Rocha. La giuria ha ritenuto che “le qualità concettuali e spaziali di questa installazione dimostrano il considerevole potenziale di questo studio di architettura nella reinvenzione del paesaggio urbano”. Consegnato
Grafton Architects, Paulo Mendes da Rocha, Common Ground, 2012. Foto: Francesco Galli - Courtesy: la Biennale di Venezia
anche il Leone d’oro alla Carriera ad Alvaro Siza. La decisione, su proposta del Direttore David Chipperfield, è stata così motivata: “È difficile pensare a un architetto contemporaneo che abbia mantenuto una presenza coerente nell’ambito della professione quanto Álvaro Siza. Che una tale presenza sia mantenuta proprio da un architetto che vive e lavora all’estremo margine atlantico dell’Europa non fa che mettere in risalto la sua autorità e la sua condizione”.
Kazuyo Sejima, Ryue Nishizawa - Kazuyo Sejima + Ryue Nishizawa / Sanaa, Miyato-Jima Recontruction Project, 2012. Foto: Francesco Galli - Courtesy: la Biennale di Venezia Urban-Think Tank (Alfredo Brillembourg, Hubert Klumpner), Justin McGuirk and Iwan Baan, Torre David / Gran Horizonte, 2012. Foto: Francesco Galli - Courtesy: la Biennale di Venezia
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Barbican Art Gallery, Barbican Centre, Londra
Bauhaus: Art as Life
Walter Gropius and Masters on the roof
on sarebbe potuta esistere sede N migliore per ospitare una mostra sul Bauhaus: i labirintici spazi del Bar-
bican Centre, celebre esempio di architettura brutalista, si rivelano infatti particolarmente suggestivi e funzionali per raccontare gli anni di vita della scuola che avrebbe rivoluzionato il modo di intendere le arti. Fondata nel 1919 a Weimar da Walter Gropius sulla spinta di un’unione fra le arti e di un loro collegamento con l’industria, la scuola si trasferì nel 1925 a Dessau, in un campus appositamente costruito, e successivamente a Berlino, fino a quando nel 1933, senza più finanziamenti pubblici e in un clima di crescente tensione con l’avvento del nazismo, fu costretta a chiudere i battenti. Le personalità che l’avevano resa grande emigrarono in altri paesi, soprattutto negli Stati Uniti, dove riuscirono ad assicurare continuità ai principi che li avevano ispirati. La mostra ripercorre fedelmente l’intera parabola della scuola dalla fondazione fino al triste epilogo, e ne svela la straordinaria carica creativa. Una classe
s Erich Consemuller
Herbert and Irene Bayer
docente d’eccezione, con nomi come Josef Albers, Herbert Bayer, Marianne Brandt, Marcel Breuer, Walter Gropius, Wassily Kandinsky, Paul Klee, Johannes Itten, Hannes Meyer, Ludwig Mies van der Rohe, László Moholy-Nagy, Oskar Schlemmer e Gunta Stölzl per laboratori di scultura, mobili, vetro, metallo, ceramica, tessuti, incisione, pittura murale e teatro per studenti altrettanto dotati. La vera forza della mostra è riuscire non solo a far capire la spinta utopica e lo spirito di unione tra le arti che guidava il progetto, ma anche nel ricreare l’atmosfera che docenti e studenti condividevano. Nella nuova sede di Dessau le idee del Bauhaus prendono forma in un edificio in cui apprendimento e vita sociale sono indissociabili, e le immagini e i materiali esposti ne sono una documentazione unica. Dalle feste allo sport, dalle cene alle lezioni, dai regali personalizzati ai costumi per le rappresentazioni teatrali, l’energia creativa della vita quotidiana rivive direttamente nei volti dei protagonisti. Il risultato di questa sinergia è
▼ Marianne Brandt s Erich Consemuller
visibile nelle oltre quattrocento opere esposte, che coprono ogni area di sperimentazione all’interno della scuola. Se non mancano opere più conosciute, come Construction in Enamel 1 (EM1) di Moholy-Nagy, Circles in a Circle di Kandinsky e Tomb in Three Parts di Klee, di altrettanto valore si dimostrano quelle uscite dai laboratori degli studenti, come la celebre teiera di Marianne Brandt e la lampada MT8 di Wilhelm Wagenfeld, decisamente all’avanguardia nel design, come anche la Club Chair (Wassily Armchair) di Marcel Breuer. Di impressionante modernità le ricerche svolte all’interno del corso di pubblicità, soprattutto nel campo della grafica e della fotografia, medium praticato anche da Lucia Moholy e Moholy-Nagy. La mostra permette una visione ampia e rende giustizia alla multidisciplinarietà del Bauhaus e all’umanità dei suoi protagonisti. Ne racconta la storia da vicino, lasciando però la fine in sospeso, perché le idee che hanno guidato la celebre scuola continuano ancora oggi ad esercitare la loro influenza. Roberta Minnucci
▼ Paul Klee
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memorie d’arte attività espositive
ell’ambito dell’esposizione, “The N Small Utopia. Ars Multiplicata”, a cura di Germano Celant, a Ca’ Corner della
Fondazione Prada, Venezia
Some little Fluxus events and Fluxus Concert
Ciao René
Nel 2001, il Centre Pompidou di Parigi l’ha celebrata dedicandole la mostra Denise
Regina a Venezia, la Fondazione Prada ha proposto, a cinquant’anni dalla nascita di Fluxus (1962-2012), una serie di eventi a cura di Gianni Emilio Simonetti - uno degli artisti italiani che ha fatto parte di Fluxus e che si occupa di musica fin dal 1960 - con una programmazione di performances e concerti Fluxus più volte ripetuti con l’aiuto di giovani performer non professionisti: Evelina Carrara, Sara Murrone, Giulia Tacchini, Melissa Sieben e, Andrea Grotto, Gionatan Lassandro, Jacopo Pagin, Giulio Saverio Rossi. Sono stati eseguiti brani di Ay-o, George Brecht, Philip Corner, Al Hansen, Dick Higgins, Alison Knowles, Takehisa Kosugi, Shigeko Kubota, Joe Jones, George Maciunas, Walter Marchetti, Nam June Paik, Ben Patterson, Terry Riley, Tomas Schmit, Mieko Shiomi, Ben Vautier, Robert Watts, La Monte Young e per l’occasione anche reinterpretati nello spirito di questa avanguardia alcuni lavori di John Cage – Fontana Mix (1958), Sounds of Venice e Water Walk (1959), Variation III (1962). Come storicamente noto, il termine Fluxus nacque nel 1961 a New York, con George Maciunas (1931-1978), ma diventò popolare l’anno dopo, nel 1962, a Wiesbaden, in Germania, con una serie di azioni musicali e di event che segnarono la storia dell’arte moderna e in particolare delle performance. Fluxus è la più piccola tra le piccole utopie del Novecento, ma anche quella che ha avuto padri prestigiosi, da Erik Satie a Marcel Duchamp, a Tristan Tzara, a Filippo Tommaso Marinetti, a John Cage. È stata ed è un’avanguardia di artisti déraciné provenienti da ogni angolo del mondo, specialisti nella contraddizione, ma fedeli ad una poetica che ha voluto fare dell’arte un’esperienza all’altezza dei desideri della vita corrente perché, come sosteneva Duchamp le spectateur fait l’oeuvre. Definire Fluxus è definire l’indefinibile, ciò non toglie che la sua poetica abbia per sempre, con Cage soprattutto, cambiato la musica contemporanea e il modo di porsi nei confronti dell’arte. In Fluxus si realizza una duplice alleanza, del verbo con il gesto, della parola con il silenzio, del non-sense con l’assoluta serietà del gioco. Per George Maciunas Fluxus ha rappresentato l’irruzione dell’imprevisto nella vita corrente con l’obiettivo di restituire all’arte il suo antico sogno, di esperienza capace di produrre nuovi legami sociali al di là di ogni forma di potere e di violenza. (CS) René, l’intrépide. Une galerie dans l’aventure de l’art abstrait, 1944-1978 g
ll’età di 99 anni, dopo una vita intensamente dedicata all’arte, ci ha A lasciato Denise René, grande e sincera amica della nostra rivista. Gallerista parigina, dal 1945 anima della scena internazionale, invitò a esporre artisti da ogni parte del mondo e si guadagnò la definizione da parte della stampa transalpina di “Papessa dell’astrazione”. Basò la parte iniziale della sua attività rilanciando artisti del periodo prebellico come Max Ernst, Atlan e Picabia, ma ben presto si concentrò sulla promozione di nomi quali Victor Vasarely, Jean Arp, Alexander Calder, Piet Mondrian, Jean Tinguely, Yaacov Agam e Pol Bury dando vita nel 1955 alla leggendaria esposizione Le Mouvement, vero e proprio atto di nascita dell’arte cinetica e della Op Art. Renè credeva fermamente che l’astrazione potesse liberare l’arte dalle limitazioni accademiche della tradizione figurativa e che solo creando nuove strade potesse continuare ad esistere. Con gli anni, allargò la propria attività alle sedi di New York e Düsseldorf.
Panoramica della Galerie Denise René, Paris
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Milano / Palazzo Reale
Addio anni ‘70. Arte a Milano dal 1969 al 1980 pesso investiamo tempo e denaS ro in mostre, e, se da una parte cogliamo l’occasione di osservare im-
portanti opere, dall’altra elargiamo un soffio vitale alle esanimi risorse destinate alla cultura. Fin qui tutto chiaro. La questione diventa piuttosto spinosa, invece, quando ci si interroga sul senso di un’esposizione e sul valore culturale che essa destina alla comunità. Particolarmente predisposta a questo tipo di riflessione è stata la recente mostra “Addio anni ’70, Arte a Milano 1969 1980” a Palazzo Reale curata da Paola Nicolin e da Francesco Bonami. L’esposizione è un omaggio all’arte milanese degli anni Settanta con l’intento di raccontarne il vivace tessuto culturale attraverso opere e documenti. Il racconto degli anni Settanta si ricompone, nel percorso espositivo, attraverso un grande numero di opere e documenti. Un volo d’uccello che percorre il periodo incluso tra la fine delle contestazioni studentesche e la Milano da bere. Due mondi inconciliabili, collegati dal ponte vacillante degli anni Settanta milanesi. Il percorso parte dalle scale asimmetriche di Gianni Colombo, per poi cedere il passo alla ricerca antropologica di Claudio Costa. Una mostra con una copiosa documentazione, fondamentale per comprendere gli sviluppi di quegli anni. L’affollata teca di libri e di riviste è accanto ad un’opera di Nanni Balestrini, posta come se fosse una solenne guardiana morale. La grande manifestazione del Nouveau Réalisme e l’ultima cena al ristorante Biffi, sono messe al confronto con i funerali di Piazza Fontana, immortalati dall’obiettivo di Ugo Mulas. Una realtà presentata attraverso prospettive diverse: due mondi al confronto. La mostra procede con le grandi estroflessioni di Enrico Castellani che, in realtà, ci rammentano più gli anni Sessanta di Azimuth che il decennio successivo, ma spesso il rigore cronologico è troppo limitante per poter esprimere una netta cesura temporale. I lavori di Vincenzo Agnetti ci accompagnano alla soglia del Restaurant di Daniel Spoerri. Opere di artisti particolarmente riconosciuti sono esposte accanto ai lavori di artisti meno celebrati. Questa scelta, particolarmente apprezzabile, permette alle fotografie di Alberto Garutti di introdurre le opere di Emilio Isgrò.
Ph. Delgino Sisto Legnani
Alfa Castaldi, La machine à manger le huitres, 1972 - Courtesy Alfa Castaldi
La sperimentazione comunicativa dell’opera Viaggio sul Reno di Ugo La Pietra precede l’analisi apparentemente meccanicizzata degli alfabeti della mente di Dadamaino. Subito dopo la figurazione pop di Valerio Adami si contrappone, come in una radicale idiosincrasia, alle austere sculture di Giuseppe Uncini. In occasione della mostra è stato organizzato il seminario Noi non c’eravamo, del quale, mi auguro, non se ne perda la memoria. Otto giovani studiosi hanno parlato del decennio in esame, offrendo nuove possibilità di analisi e di lettura. Per comprendere quindi i meriti e le criticità di questa esposizione ho rivolto alcune domande a Paola Nicolin, curatrice della mostra, a Stella Succi, relatrice del seminario “Addio Anni Settanta”, ad Alessio Tacca, studioso che ha collaborato alla realizzazione del catalogo edito da Mousse ed a Ugo La Pietra. Chiedo a Paola Nicolin Se “Addio anni ’70” è una mostra nostalgica, qual è il principale intento della mostra? > No, non lo è. Anzi forse è vero il contrario. “Addio anni Settanta, arte a Milano 1969-1980” è una mostra dedicata alla scena dell’arte visiva a Milano negli anni Settanta. È la manifestazione di un bisogno di conoscenza e di riflessione critica non stereotipata della ricerca artistica di un decennio compreso tra la strage di Piazza Fontana e la stagione della Milano da bere. È un tentativo di andare oltre. Un decennio nel quale la città è stata protagonista di una produzione culturale complessa, consapevole e di un realismo mai più raggiunto. Il principale intento della mostra è afferrare e proporre un possibile ritratto delle due anime di questa città che convivevano, l’una accanto all’altra, contemporaneamente: una profondamente legata all’impegno, alla lotta politica e alla cronaca appassionata di un decennio sanguinoso, l’altra già rivolta al post anni Settanta, animata da sentimenti e attitudini individualistiche, caratterizzata dal disimpegno e da un’atmosfera gaudente. Intento della mostra è dunque portare alla luce tutto questo, dando voce e peso alle opere e agli artisti:
senza mediazioni, senza ricostruzioni di atmosfere, senza ambientazioni di costume, società, stile di vita. Quelle in mostra sono alcune delle opere nelle quali ci si poteva imbattere girando per gallerie, spazi istituzionali o non istituzionali, teatri, parchi ecc ecc. Sono tutte estremamente attuali. Più che nostalgica, visto che Bonami non ha vissuto quella Milano ed io sono nata nel ‘76, direi realista, dunque. A differenza di altre mostre, Addio Anni ‘70 indaga un periodo attraverso un metodo di ricerca storica. Come avete cercato di combinare il valore estetico e la consapevolezza documentaria? > “Addio Anni ‘70” considera i percorsi irregolari degli artisti che vivevano e o lavoravano a Milano. È questa irregolarità che oggi, più che mai, ha l’urgenza di testimoniare le forme e contenuti e sostenere una ricerca che fatica a ricongiungersi nei movimenti e nelle teorie espresse nei manuali di storia dell’arte. Il criterio storico curatoriale ha tenuto conto delle tante storie dell’arte, dei tanti percorsi che spesso sfuggono alle classificazioni. Questa caduta dei codici è per altro estremamente attuale nel processo di ripensamento e riformulazione dei linguaggi dell’arte contemporanea. Ancora una volta mettere al centro della mostra l’opera e l’artista e accantonare tentazioni filologiche o tematiche ha reso possibile combinare il valore estetico alla consapevolezza documentaria. Chiedo a Stella Succi Storica dell’arte, relatrice del seminario: “Noi non c’eravamo”. Nel suo intervento ha trattato la nascita della rivista AlfaBeta in maniera esaustiva; potrebbe spiegare il ruolo di questa rivista nella Milano degli anni Settanta? > Ho incentrato il mio intervento in particolare su quella che potrebbe essere definita la ‘serie zero’ di Alfabeta, un gioiello editoriale uscito in cinque numeri tra il marzo del 1975 ed il gennaio del 1977. Rispetto alla più nota e gloriosa Alfabeta degli anni Ottanta, questa se-
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memorie d’arte attività espositive
rie è profondamente connotata - anche graficamente - come portavoce delle istanze del movimento Fluxus, e dei movimenti artistici che ne hanno informato modi e contenuti, come il futurismo ed il dadaismo. Ho voluto, in questo senso, rendere omaggio a coloro che sono stati i fautori della rivista, ma ancora prima animatori della vita culturale milanese già dagli anni Sessanta, e a cui va il merito di avere aperto al movimento Fluxus una delle sue vie italiane: Gianni Emilio Simonetti, Gino Di Maggio, Gianni Sassi, Sergio Albergoni. Trovo, infatti, che il contributo italiano a Fluxus sia una realtà non sufficientemente considerata, specialmente all’estero. In mostra è presente un notevole corpus documentario riguardante libri e riviste. Cosa significa la circolazioni di queste pubblicazioni nell’ambiente socio-culturale degli anni Settanta? > Un’analisi del ruolo dell’editoria indipendente e della nascita della controinformazione negli anni Settanta è difficilmente condensabile in poche righe, in virtù della smisurata quantità di titoli e temi: dalla propaganda politica, all’arte, alla musica, al fumetto. Un aspetto sicuramente interessante poiché molto distante dalla realtà odierna, è il fatto che moltissime persone - ed in particolare moltissimi giovani - decidessero di dare alle stampe una rivista, o fondare una casa editrice. Molte di queste avventure editoriali avevano vita brevissima, ma un impatto enorme. Senza che, spesso, i protagonisti se ne rendessero conto. Penso che la presenza in mostra delle pubblicazioni sia importante non tanto come testimonianza della circolazione di certi concetti o informazioni, ma piuttosto sia una dimostrazione di come dare voce alle proprie idee fosse sentita come un’esigenza alla quale era impossibile resistere. Ad Alessio Tacca Storico dell’arte, collaboratore per la redazione del catalogo, chiedo La motivazione che ha portato alla redazione di un catalogo che non parla delle opere della mostra, ma del contesto culturale del periodo analizzato? > Il catalogo vuole essere un’antologia di testi e immagini relativi al contesto artistico degli anni Settanta. In linea con gli intenti della mostra, piuttosto che concentrare l’attenzione su alcune singole opere, si è preferito cercare di fornire al lettore una panoramica sugli eventi, le correnti e i personaggi più rilevanti della Milano artistica negli anni Settanta. Ugo La Pietra - Ph. Delgino Sisto Legnani
Ph. Delgino Sisto Legnani
Cercare di ricostruire un contesto culturale attraverso le parole dei protagonisti (quindi copie anastatiche di tesi ed altro) è un’operazione tanto interessante quanto “pericolosa”; il rischio principale è quello di escludere qualcosa di importante. In che modo è stato contenuto questo rischio? > Purtroppo ogni selezione è necessariamente parziale e spesso discutibile. Tuttavia, grazie alla collaborazione dell’ Università Statale e al contributo di alcuni neo-laureati in storia dell’arte, si è cercato di fare una selezione logica e il più coerente possibile. Piuttosto che agli artisti, è stato dato ampio spazio ai testi dei critici, alle riviste di settore e a quelle gallerie che negli anni Settanta sono state più attive e lungimiranti. Ugo La Pietra Architetto, artista e designer. Credo che sia molto complicato tentare di ricostruire un ambiente artistico come quello degli anni Settanta, ma immagino che il modo più indicato per farlo sia attraverso un’attenta selezione dei documenti proposti al pubblico. Secondo lei, in qualità di protagonista degli anni Settanta, la mostra di Palazzo Reale descrive in una maniera esaustiva le vicende milanesi di quegli anni? > Secondo me no. Se dobbiamo cercare di dire qualcosa per far capire lo spirito di quegli anni, sicuramente bisogna far riferimento alle espressioni più marginali di quel tempo. Diciamo che la mostra aveva molte opere di autori bravissimi, ma, in alcuni casi, non rappresentavano le esperienze di quel periodo. Anche alla curatrice, Paola Nicolin, ho citato cinque o sei situazioni tipiche di quell’area e di quel periodo, come le manifestazioni che erano state fatte proprio a Palazzo Reale chiamate “Extra Media”, al fine di far comprendere che negli anni Settanta si operava con molti strumenti e molte tecniche espressive. Tra le varie espressioni che si sono affermante, più facilmente reperibili rispetto alle tante altre, dobbiamo ricordare il “Cinema d’artista”, spesso coordinato da Vittorio Fagone. Un’alta cosa nata a Milano negli anni Settanta è la “Nuova Scrittura”, alla quale prendevo parte io, Vaccari e molti altri. Questi sono veri e propri movimenti che non si possono esaurire con la semplice esposizione di alcune opere. Un altro movimento, che esprime le caratteristiche degli anni Settanta è il raggruppamento dell’“Architettura Radicale”, un fenomeno, questo, strettamente connesso alla concettualità ed alla perdita dello specifico disciplinare. Molte operazioni erano fatte non all’insegna dell’arte o
dell’architettura, ma solo superando lo specifico disciplinare, questa è la più rilevante caratteristica degli anni Settanta. Un altro movimento in cui il sistema dell’arte trovava espressione in quegli anni è anche il raggruppamento del Global Tools. Queste sono espressioni importanti, ma per poterle raccontare bisognerebbe avere materiale, lo spazio e la possibilità di fare ricerche su queste esperienze. Negli anni Settanta la crisi di carattere culturale, politico ed economico, portò molti artisti a cercare nuove forme di aggregazione e di lavoro in alternativa alla galleria, da qui la “Fabbrica di Comunicazione”, la “Cooperativa Maroncelli” e tutta una serie di iniziative documentate nella rivista che ho diretto, Brera Flash. Questo per dire che molti fenomeni degli anni Settanta non sono stati ancora indagati. Vi sono inoltre delle manifestazioni di carattere aggregativo, come l’attività del Centro Internazionale di Brera di cui purtroppo non c’è alcuna documentazione, ma dal quale sono passate tutte le espressioni d’avanguardia. Questo è qualcosa che dovrebbe essere indagato. Io le ho citato solo cinque o sei cose che in nessun luogo si può accedere per conoscerle. Tutte le esperienze che le ho citato non le trova chiamando la Galleria Marconi, oppure la Galleria Milano; sono cose che sono nate e si sono sviluppate in luoghi di cui adesso non se ne conosce una memoria depositata, ma un buono storico, critico o ricercatore può trovare, con pazienza, quei materiali che suffragano quello che sto dicendo. Gli interventi urbani e l’importanza di ricercare nuovi mezzi espressivi, secondo lei, rappresentano ancora oggi una necessità culturale? > Questo senz’altro. Non c’è dubbio. Sicuramente lo dimostra anche il modo più o meno riconoscibile di una serie di artisti che, in qualche modo, riprendono dei temi del passato. La cosa più importante è che oggi ci sia un interesse nei confronti degli aspetti di carattere sociale e ambientale. L’unico grosso difetto di questi nuovi movimenti è che operano ancora in modo molto incerto. A differenza di quello che facevamo noi negli anni Settanta, e che continuiamo a fare ancora oggi, i lavori di oggi non hanno una solida base ideologica, caratteristica che distingueva il nostro lavoro. L’ideologia sostiene il lavoro, senza di essa l’opera diventa solo un fatto formale. Per questo motivo bisognerebbe capire più profondamente quali sono gli elementi che sostengono la ricerca artistica, per avere una credibilità che non sia solo un fenomeno di moda. Con “Addio anni ‘70” si è dimostrato che può essere realizzata un’importante esposizione spendendo in maniera oculata le poche risorse economiche disponibili. Insieme ai meriti sono emerse anche alcune criticità, come la scelta di alcune tematiche e l’esclusione di altre. Un altro appunto riguarda l’idea di proletariato intellettuale dei nostri giorni, del quale ho sentito parlare Umberto Eco in occasione di una conferenza di AlfaBeta2. Anche in questo caso il contributo degli studiosi è così prezioso che non ha prezzo. Sarà per questo che nessuno li paga? Nonostante le ultime riserve, questa mostra rappresenta un valido punto di partenza per realizzare esposizioni capaci di dare un importante contributo allo sviluppo culturale del territorio. Andrea Fiore OTT/NOV 2012 | 242 segno - 61
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A.A.M. Architettura Arte Moderna Extramoenia
Architettura per lo Sport Laboratorio di Progettazione, Gallipoli 2012 di Vincenzo D’Alba, Francesco Maggiore
differenza di quanto accade di A solito, il Workshop Internazionale di Architettura e Progetto, promosso a
Gallipoli dall’Ordine degli Architetti di Lecce con A.A.M. Architettura Arte Moderna, non nasce in maniera tendenziosa o circoscritta, ma pluralistica. I partecipanti si sono confrontati, oltre che con la ristrettezza dei tempi, con la contemporanea presenza di sette voci autorevoli dell’architettura italiana, estranee alla logica dello star system. Sette individualità distinte chiamate da Francesco Moschini, direttore scientifico e culturale del Workshop, a confrontarsi sulla progettazione: A.B.D.R., Stefano Cordeschi, Beniamino Servino, Mauro Galantino, Nicola Di Battista, Alberto Cecchetto, Renato Rizzi, Alfonso Femia e Simonetta Cenci (5+1AA). Le personalità coinvolte sono caratterizzate dall’aver avuto esperienza sia nel campo teorico sia nel campo pratico. Questo ha consentito una molteplicità di voci e di narrazioni molto diversificate, denotate dall’aver fatto del rapporto tra teoria e pratica del costruire un momento qualificante dell’esperienza in ambito professionale e in ambito didattico o accademico. Il Workshop dal titolo “Architettura per lo Sport. Un polo sportivo a Gallipoli per il Salento” si pone in continuità con i “Laboratori di Progettazione” ideati da A.A.M. Architettura Arte Moderna e già avviati e sperimentati, in passato, per il Comune di Roma e, successivamente, per altri centri minori come Cerreto Sannita e Cassino. Il Laboratorio mira a creare un meccanismo attraverso cui ottenere contributi di alto livello mediante un lavoro progettuale attento alla dimensione teorica e, al tempo stesso, alla fattibilità dell’opera; uno strumento di garanzia, quindi, per la creazione di una sinergia tra la committenza e le diverse poetiche degli architetti.
Navata centrale dell’Ex Mercato coperto di Gallipoli, sede del Workshop
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attività didattiche DOCUMENTAZIONE
Renato Rizzi
Nicola Di Battista
Stefano Cordeschi
Antonella Mari
Queste occasioni di confronto si pongono come una sorta di verifica di compatibilità e di indicazioni di metodo per la costruzione di proficui rapporti tra gli architetti che costituiscono la testa di serie nel panorama dell’architettura italiana e le forze locali chiamate a supportarli. La formula del Workshop nasce, come spiega Francesco Moschini, dal bisogno di cultura, di conoscenza del territorio, dalla necessità di ritrovare un modus operandi coerente per la permanenza dei luoghi, non per congelare tutto ma con lo sguardo rivolto in avanti. Meno frenesia progettuale e più attenzione alla discrezione nel rapporto con la preesistenza, nel pensare e progettare il nuovo, e nell’intervenire sull’esistente. Non servono elementi velleitariamente contemporanei. Nel mondo ci sono architetti che amano griffare la propria architettura, pensandola come il sistema della moda. L’architettura diviene una forma di consumo, come le collezioni che si devono cambiare a ogni stagione. Assistiamo al proliferare di architetture manifesto, autoreferenziali, auto pubblicitarie, che non assolvono le proprie funzioni; gesti eclatanti e vistosamente imposti al mondo. Tutto questo non è necessario. Piuttosto, tornare ad ascoltare i luoghi, che sono i primi ad indicarti l’architettura necessaria capace di riconnettersi al contesto, senza passatismi. Riconnettersi al contesto, ovvero spostare millimetricamente la barra più in là”. Nel Workshop di Gallipoli, per la durata di una settimana, sono stati affrontati i temi relativi alla progettazione e alla gestione di aree destinate alle attività sportive. Ciascuna giornata, infatti, si è snodata in modo integrato per sessioni strutturate come luogo di progettazione e di studio, avvalendosi di Tavole rotonde su temi di particolare interesse per la progettazione architettonica, sempre più chiamata a confrontarsi con le trasformazioni dei luoghi in relazione alla contemporaneità. Le sette giornate si sono concluse con una Lectio Magistralis che ha visto protagonista ciascuno dei Visiting Professors. Parallelamente, il Workshop si è avvalso dell’apporto critico di sette Architetti legati al territorio pugliese che nelle sette giornate hanno contribuito criticamente alla redazione dei progetti: Antonio Annicchiarico, Antonio Esposito,
Antonella Mari, Carlo Moccia, Lorenzo Netti, Spartaco Paris. I progetti frutto del “Workshop/Laboratorio” hanno carattere operativo e i “limiti” di ciascun intervento sono definiti all’interno di un quadro organico che individua anche un’effettiva capacità di modificazione dell’immagine della città per una sua possibile e graduale riqualificazione. Ogni coinvolgimento progettuale è coadiuvato ed indirizzato da una documentazione base appositamente redatta. La necessità di una struttura come quella del Workshop è sembrata l’unica via da percorrere a partire dall’esigenza di realizzare un Polo sportivo e polifunzionale a Gallipoli. I temi individuati a supporto della fase progettuale (Paesaggio, Economia, Infrastrutture, Urbanistica, Strutture, Sostenibilità e Impiantistica) riguardano ambiti che, seppur diversi tra loro, insistono all’interno di una metodologia comune di intervento. Nei giorni del Workshop l’attenzione À stata tutta concentrata sulla processualità alimentata da questa continua verifica, questa continua messa in discussione grazie all’autorevolezza dei Visiting professors, degli Advisors, e anche dei sette giovani Tutor: Vincenzo D’Alba, Antonello Leggiero, Francesco Maggiore, Lorenzo Pietropaolo, Domenico Rinaldi. L’obbiettivo è stato quello di elaborare un progetto in grado di esprimere una molteplicità di funzioni allo scopo di configurarsi come emergenza architettonica all’interno del territorio salentino. Sono state identificate due aree di progetto interne al Comune di Gallipoli, in un certo senso, antitetiche tra loro per dimensione, posizione, caratteri topografici e legislativi. Tenendo presente le differenze, soprattutto, dimensionali tra le due aree si è scelto di indicare all’interno della progettazione del Polo Sportivo uno stadio come elemento di riferimento imprescindibile alla costituzione dell’intero complesso. Seguiranno a questa richiesta le necessità di soddisfare differenti esigenze sportive in parallelo a quelle commerciali e di tempo libero. A partire dalla volontà di realizzare uno stadio si è voluto costituire un polo sportivo di nuova concezione fondato sui criteri di flessibilità funzionale. Oltre allo stadio come elemento cardine dell’intero progetto, è stata richiesta la progettazio-
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ne di una piscina olimpionica allo scopo di esaltare il tradizionale rapporto tra la città di Gallipoli ed il mare. A questi due elementi si affiancano altre strutture come un palazzetto dello sport, dove potranno esprimersi varie discipline sportive. L’intero complesso dovrà soddisfare le esigenze comunali e, al tempo stesso, proiettarsi verso un riconoscimento ed una fruizione estesa alla gran parte del territorio provinciale. Grande importanza avranno le ipotesi progettuali in cui si potranno identificare le potenzialità gestionali allo scopo di coniugare parametri economici con alte capacità funzionali. Possono, quindi, considerarsi interne al Polo Sportivo tutte quelle attività commerciali ritenute coerenti al complesso sportivo e indispensabili per auspicare una autonomia di gestione. La frammentarietà della forma urbana salentina implica una capacità di coniugare e collimare le distanze tra i vari centri abitati attraverso un progetto architettonico e urbanistico in grado di formulare una “emergenza architettonica” riconoscibile nel policentrismo urbano della Provincia di Lecce, quindi, fruibile anche dai territori limitrofi. Tutte le forme di conoscenza specifica intrecciate all’architettura come l’ecologia, la sostenibilità, il risparmio energetico, la tecnologia, saranno da intendersi indispensabili ai fini progettuali. Queste declinazioni disciplinari dovranno costituire un sistema dove si concretizzano sinergie e interdipendenze utili alla definizione delle prestazioni del Complesso Sportivo. I partecipanti si confronteranno con queste tematiche verificando lo stato di fatto, ivi compreso il quadro normativo, configurando alle varie scale, le funzioni, le forme, i materiali del contesto progettuale e naturale. Il Workshop di progettazione architettonica ha lo scopo di sensibilizzare e coinvolgere le Istituzioni pubbliche e private per la realizzazione di un complesso sportivo nel Comune di Gallipoli. Peculiarità principale è quella di individuare soluzioni contraddistinte da una elevata qualità progettuale da riconoscersi in una dimensione teorica e pratica dell’architettura. Il fine è quello di sperimentare, attraverso la prassi progettuale, strategie e tecniche di riqualifi-
cazione, ad una scala architettonica ed urbana. Gli obiettivi di questa iniziativa sono la qualità e la funzionalità dei manufatti; la rilettura critica del territorio in rapporto con la tradizione e la trasformazione edilizia; l’identificazione delle relazioni tra l’edificio e il contesto; l’attenzione all’efficienza energetica. Le soluzioni progettuali dovranno individuare forme e tecniche a basso impatto ambientale; identificazioni dei materiali, continuità formali negli aspetti naturali e antropici. L’insieme delle soluzioni progettuali dovranno recare informazioni di massima sui dati di riferimento normativo, tecnico, statistico ed economico. Il workshop si configura come luogo di studio e progettazione nel rigore della disciplina architettonica. Come spiega Francesco Moschini “il Workshop, pur nella ristrettezza dei
tempi, ha dato vita a progetti animati da tensioni critiche distanti da certezze preordinate. È molto difficile svincolarsi da idee formali precostituite, ovvero individuate come soluzioni sin dall’inizio. Emergono tuttavia progetti slegati da una fissazione architettonica formalmente scelta a priori. Si nota, quindi, una predisposizione alla progettazione a partire da una ipotesi non ancora compiutamente formalizzata. Il Workshop non nasce con un carattere velleitario, fantasioso, creativo, di libertà, ma con un preciso obiettivo, e a prescindere da qualsiasi committenza: tracciare risposte a reali esigenze del territorio di Gallipoli. Portare a compimento il progetto sarà il compito di ogni gruppo in vista dell’allestimento della Mostra e della pubblicazione del Catalogo”. Il Laboratorio si è, inoltre, contraddistin-
Francesco Moschini e Nicola Di Battista
Gruppo dei partecipanti al Workshop durante il sopralluogo delle aree di progetto
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attività didattiche DOCUMENTAZIONE
Alberto Cecchetto
Antonio Annichiarico
Beniamino Servino
Michele Montemurro
Lorenzo Netti
Mauro Galantino
Carlo Moccia
Spartaco Paris
to per l’attenzione verso il disegno; senza tralasciare l’importanza dei mezzi informatici, si è voluto considerare imprescindibile la lentezza dei tempi di riflessione che il disegno a mano libera comporta. Come afferma Francesco Moschini “Non abbiamo dieci progetti creativi, ma dieci progetti supportati dai fondamenti e dall’essere stati continuamente messi in discussione. Insisto su questo, perché lo considero un dato essenziale”. Il Laboratorio si è svolto, come sottolinea Francesco Moschini “in un luogo magico,
grazie all’ospitalità di Gallipoli. Città e Laboratorio sono stai permeabilissimi. In questi sette giorni i visitatori sono stati tantissimi, le persone sono andate e venute, si sono confrontate, hanno parlato con tutti noi. Il lavoro svolto non è il risultato di una enclave claustrale, ma di una compromissione con il quotidiano, con la vita che ha attraversato gli spazi del laboratorio […] Io vengo dal mondo universitario. Temo, di dover riconoscere, che organizzare un progetto del genere in ambito accademico sarebbe molto
Tutte le fotografie sono di Francesco Maggiore. Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna.
difficile, tutto rientrerebbe in una pastoia talmente burocratizzata, sclerotizzata, afflitta da equilibri da rispettare, da generare l’impotenza nei confronti dell’esito. In questo caso l’Ordine degli Architetti di Lecce ha scelto, veramente scelto, il sottoscritto come consulente scientifico. E io, con la libertà che mi contraddistingue da sempre, ho coinvolto le persone non in base a bilancini di misurazione, di convenienza, ma in base a quel che era strettamente necessario per avviare la macchina”.
Gruppo dei partecipanti al Workshop durante il sopralluogo delle aree di progetto
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Rita Vitali Rosati
ve che invadono lo spazio casalingo. Questo è quanto scrive Claudia Colasanti sulle pagine del Fatto Quotidiano a commento di una delle presentazioni che Rita Vitali Rosati ha organizzato in diverse occasioni tra gallerie e librerie d’arte. Il progetto “Ahi” è nato da un’urgenza, quella che l’artista vive a contatto del quotidiano: è il racconto fotografico costruito annodando, foto dopo foto, tutti i sentimenti legati ai problemi che si producono attraverso le notizie apprese dai giornali e dai telegiornali. Attivando una vasta nomenclatura di emozioni. Emozioni che si sedimentano nella memoria collettiva, insieme alle immagini. “La macchina fotografica diventa testimone e filtro, rappresenta il mezzo veloce per una documentazione perfetta ma anche oggetto di distacco culturale che pone la distanza dell’interpretazione e della scelta tra la propria vita ed il polpettone di immagini televisive che ogni gior-
Rita Vitali Rosati, Ahi - 2010 [immagini estratte dal libro]
no e ad ogni ora, tra una tragedia di proporzioni apocalittiche ed un amore ritrovato, tra due vicini che litigano ed una foresta in fiamme dall’altra parte del mondo, siamo costretti (o avvezzi) a subire”. (Stefano Verri) “Ahi” È un viaggio faticoso con un percorso disperato e violento ma anche ironico e provocatorio. Come dice la stessa Rita Vitali Rosati “questi
s Rita Vitali Rosati, Ahi - 2010 [immagini estratte dal libro] s
hi: libro di sole immagini, diario quotidiano A in cui si descrive l’acuto dolore provocato dall’intollerabile mix di informazioni televisi-
due linguaggi sono una bipolarità caratteriale, dovuta ai due cognomi che porto, ma alla fine entrambi i linguaggi formano un unico lavoro.” Non manca di ricordare il famoso fotografo Luigi Crocenzi. È lui che per primo ha sperimentato il racconto fotografico. È lui che l’ha presa per mano e l’ha incoraggiata a percorrere questo viaggio per costruire un film su carta. “Se fossi nata prima probabilmente oggi farei la regista. Questo assemblaggio di immagini in sequenza una dopo l’altra è come un tapirulan dove scorre la vita di ognuno. Qualche volta il nastro si ferma, si fa una riflessione e poi si continua. Questo mi ha insegnato Crocenzi e io gli sono grata.” (Nikla Cingolani) Con le sue immagini Rita Vitali Rosati mette una lente di ingrandimento sul formicolio sociale invitando lo spettatore ad interpretare il suo nonsenso. Come sottolinea Enrica Loggi: “Ahi! Come per una puntura di spillo: è l’ironia di Rita. Il titolo del racconto fotografico maschera un’esclamazione indicibile. Sono i flashes del dramma quotidiano che viviamo tra quattro mura, schiacciati dalla solitudine dei nostri giorni che si consuma tra le pareti domestiche, dove le immagini della televisione recitano per noi quotidianamente la catechesi dell’inesorabile. La nostra esistenza viene così simbolicamente esposta allo spettacolo senza repliche delle ferite, del sangue, della morte. Immagini che passano indisturbate, come in un Acheronte che le confonde a quelle degli show televisivi, cantanti accanto a poeti, divi del piccolo schermo, nello stesso magma”.
s
Rita Vitali Rosati è nata a Milano nel 1949. La sua ricerca artistica si concentra sull’osservazione e la registrazione della scena sociale, tratta dall’ambito mediatico proprio della televisione. www.ritavitalirosati.it
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documentazione INTERVISTE
Conversazione con Andrea Bruciati
Emergenze artistiche in Friuli-Venezia Giulia a cura di Luciano Marucci
el momento in cui la cultura soffre per la dilagante crisi economica e i N tagli, si intensificano le proteste degli addetti ai lavori e di quanti hanno a cuore le sue sorti. Nel contempo si studiano i rimedi per evitare che i
benefici finiscano per perdersi. Gli operatori del settore artistico si orientano verso nuove formule, capaci anche di ridurre i costi, e cercano di estendere la cooperazione. In questo ‘povero’ contesto è ormai evidente che i grandi musei, dovendo utilizzare le scarse risorse finanziarie per il loro mantenimento, non riescono a varare programmi ambiziosi come in passato. Da qui il diverso ruolo delle piccole strutture espositive che, almeno in parte, potrebbero supplire alla carenza di grandi eventi. Eppure, fuori dell’ambiente cittadino in cui esse agiscono, spesso passano quasi inosservate. Mi riferisco, in particolare, ai musei minori e alle gallerie civiche di arte contemporanea i quali, grazie ad illuminati direttori artistici, sviluppano un’attività formativa e propositiva senza cadere nella retorica e nel clientelismo più o meno localistico; a quelle istituzioni che rivolgono una maggiore attenzione alle ricerche delle giovani generazioni e tendono a realizzare un confronto più ampio con le realtà territoriali. Questi, non avendo la rigidità e l’austerità dei musei metropolitani, possono attuare le iniziative con maggiore dinamismo e comunicare in modo più diretto con il pubblico. In tale scenario emerge l’azione del curatore Andrea Bruciati in Friuli-Venezia Giulia che mi ha rappresentato cosa si va concretizzando in quella Regione. Attualmente qual è il tuo rapporto con la Galleria Comunale d’Arte Contemporanea di Monfalcone? - Sto seguendo dei progetti che erano già in essere lo scorso anno e spero di portarli a buon fine. Per quanto riguarda il rinnovo del mio incarico, per il momento non c’è nulla di formalizzato. Il contratto è scaduto e sto attendendo. Se ci sarà un nuovo bando di concorso, parteciperò. Resterà l’orientamento di dare spazio agli emergenti? Quali pensi che possano essere i programmi? - Ovviamente continuerei le linee operative precedenti, sempre sulla ricerca, sullo scouting, proponendo voci differenti rispetto al mainstream. Potrebbe essere la prosecuzione delle mostre legate alla ricerca nella pittura e nel disegno e del “Premio Moroso” che ho ideato due anni fa insieme con Patrizia Moroso. Questi i principali obiettivi da portare avanti e mi auguro che l’Amministrazione sia d’accordo su questa linea. Al momento faccio parte del comitato scientifico, ma curerò una mostra dal titolo Metamorphosis che si inaugurerà ad ottobre, per i 60 anni dell’Azienda Moroso, in Casa Cavazzini, nuova sede centrale della GAMUD. Sarà, appunto, un’esposizione sul rapporto tra arti visive e ricerca nel design secondo la prospettiva organica dell’Azienda. La sinergia con Udine quali vantaggi può offrire? - Udine è una città molto diversa da Monfalcone, quindi si prospettano altre sfide. C’è l’università dinamica con una facoltà in beni culturali, perciò, in teoria, offre stimoli inediti per il rapporto con la Storia dell’arte e gli studi scientifici concernenti l’arte contemporanea. È comunque tutto in prospettiva, ma mi auguro di procedere coerentemente secondo la mia linea operativa. La realizzazione di un polo culturale si potrebbe concretizzare a breve termine? - Non saprei cosa dirti, dipende dalle scelte decisionali dell’odierna amministrazione. A me piacerebbe continuare il rapporto fra arte e imprenditoria, quindi stimolare le aziende che fanno ricerca e che hanno in questo il loro valore aggiunto, avvicinarle all’arte contemporanea, un po’ come è successo con la ditta Moroso. È’ un’ideazione realistica escogitata anche per evitare la recessione in questo ambito? - Non si può gestire la cultura, soprattutto se si tratta dall’alta visibilità dell’arte contemporanea, senza analizzare concretamente la situazione attuale. Credo che il futuro sarà, necessariamente, sempre di più un avvicinarsi tra privato e pubblico, ma d’altronde, visti i tagli al settore, non ci sono altri tipi di soluzioni. Come già dicevo, la sensibilizzazione di aziende private nei confronti della cultura e del suo sviluppo nel pubblico, a mio avviso, è l’unica scelta per quanto riguarda la sfida dell’arte contemporanea nel domani. Dalla individuazione dei creativi alle relazioni esperienziali attraverso le “residenze”, dalla promozione all’esposizione degli esiti. Il progetto, che appare piuttosto articolato, è la sperimentazione di un anno o ha la possibilità, anche finanziaria, di proseguire? - Come sempre, io concepisco dei progetti pilota. Va da sé che vorrei continuassero, perché, come tutti i progetti legati alla formazione e alla propedeutica, diventano tanto più forti ed incisivi quanto più reiterati sul territorio. Da parte mia c’è la volontà di volerli sviluppare e mi auguro che anche l’imprenditore che ha creduto in uno specifico format possa e voglia proseguire su questo cammino. In sostanza verrebbe lanciata una sfida alla crisi economica che investe le istituzioni culturali… - Credo sia una sorta di strada obbligata: fondamentale. Non può essere imbastito un discorso di investimenti culturali senza avere una piattaforma comune e includere, stimolare anche la voce operativa dei privati. Ormai è un fattore imprescindibile. Anche in base all’attività, alla specificità delle
Da sinistra: Andrea Bruciati, Andrea Mastrovito e Patrizia Moroso alla mostra Premio Moroso di New York (marzo 2012)
imprese si possono costruire dei progetti ad hoc, inerenti alla politica e alla poetica dell’impresa singola. Tendo a formulare dei veri e propri esperimenti culturali, differenti a seconda della tipologia, delle necessità e della ricaduta sul territorio dell’azienda. Se ho ben capito, si vorrebbe realizzare un luogo di riferimento per la valorizzazione delle ultime generazioni di artisti. - Opero in tal senso da almeno da dieci anni, quindi continuerei a sviluppare questa prospettiva, a mio avviso vincente se vogliamo investire e credere nel domani. Il rapporto con musei e fondazioni è praticabile? - Direi vitale, nel momento in cui il museo diventa la cassa di risonanza pubblica e garantisce la sua missione, cioè quella di luogo deputato alla cultura dalla forte connotazione sociale. A mio avviso, i due elementi combinati possono produrre delle prospettive interessanti e sicuramente sono una soluzione auspicabile. Oltre a stimolare la ricerca artistica, c’è l’ambizione di esportare le nostre più autentiche identità? - Credo che sia il naturale esito, se si intende la cultura in maniera dinamica e come fattore attivo nella società: come qualcosa di identitario che si nutre e si arricchisce in base agli interlocutori con cui viene a contatto. Quando un artista è bravo, non ha confini e ritengo che laddove vi sia un investimento, è giusto credere in determinati autori. È auspicabile anzi che facciano conoscere la loro ricerca e vengano, per così dire, esportati. In Friuli hai individuato talenti meritevoli? - Un centro culturale deve offrire delle opportunità soprattutto agli artisti giovani e bravi, ai quali vanno offerti stimoli adeguati e occasioni di confronto. Su coloro che hanno delle potenzialità, vanno concentrate le energie. Come si può manifestare il legame con il territorio? C’è il proposito di incentivare gli artisti regionali? - Ovviamente la Galleria di Monfalcone, essendo civica, ha un legame molto forte con il territorio. Da parte mia, seguo attentamente gli artisti locali perché mi interessa che vi sia un dialogo, una crescita per raggiungere esiti di qualità. Nel medio e lungo periodo l’artista deve poi dimostrare di essere tale e suscitare interesse in un novero di operatori che ne decretano l’affermazione professionale. Sono previste iniziative per coinvolgere il pubblico? - Come è naturale per una istituzione pubblica, si cerca di avvicinarlo con laboratori, con un forte investimento nei confronti della didattica, della propedeutica ad ogni livello, non solo scolare. Il momento formativo, che rende l’opera d’arte accessibile al largo pubblico, è fondante: rappresenta una modalità differente per far partire dalla base e quindi non solo dagli interessati al mondo dell’arte, il rapporto con l’artista. Non è assolutamente un criterio che piove dall’alto e questo, secondo me, fa sì che l’arte venga sentita ad un livello generalizzato, anche dai non addetti ai lavori. Quali sono i maggiori ostacoli che si incontrano in Friuli-Venezia Giulia nel promuovere l’arte contemporanea? - Penso che gli ostacoli siano gli stessi di altre regioni che non possiedono centri gravitanti di rilievo per l’arte contemporanea. Ci sono problemi di regia, organizzazione, integrazione che agiscono sulle varie iniziative e che inducono a fare programmi diversificati e complementari. Mancano gli investimenti nei confronti della didattica che, invece, sono primari da parte di una istituzione e della politica. La burocrazia, come oggi è organizzata, non aiuta di certo la ricerca, è una sorta di ingabbiamento. È necessaria, ma non nelle modalità in cui avviene a livello amministrativo. Per una spesa di 100 euro non si può fare un bando di concorso, come se si dovesse costruire una strada da un milione di euro. Questo rallenta l’operatività: il dinamismo, la sperimentazione vanno organizzati, indirizzati, non ostacolati, affossati. Il potere politico fa sentire il suo peso? - In Italia è un dato naturale perché si vive in una sorta di perenne campagna elettorale in cui la bilancia pende dalla parte di chi aiuta ad attrarre voti, ad avere consenso. E l’arte contemporanea, per sua stessa definizione, non dovrebbe perseguire il consenso. Interpreta criticamente la realtà, quindi, diventa scomoda. In una tale situazione mi chiedo quanti siano i partiti o gli esponenti politici che vogliano investire su qualcosa che invece di essere addensante di voti, mina all’interno le certezze dell’elettore. Perciò viene evitata. Invece si deve capire che l’arte contemporanea di per sé è una specie di meccanismo sano della democrazia, di critica interna al sistema. Quando un politico capirà questo, ci sarà un investimento nei confronti della cultura veritiero e non occasionale. Al contrario, se viene vista come una specie di vetrina per attrarre gli elettori, sicuramente non si investirà in essa se non in modo sporadico. OTT/NOV 2012 | 242 segno - 67
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attività espositive dal web al cartaceo a cura di Paolo Spadano
AGRIGENTO
da parte della città d’origine attraverso opere pittoriche e digitali create da Calogero Barba dal 2005 a oggi. Testo critico dello scrittore Mario Ricotta.
Fabrizio Plessi
Il Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi ha fatto da cornice alla mostra Monumenta di Fabrizio Plessi, progetto di video-installazioni con cui l’artista modella la sua tecnologica materia sugli esempi degli antichi architetti greci.
CATANIA
20 x Majorana Giulio Paolini, Studio per Immacolata Concezione, 2008, collage su carta, due elem., cm.35x35 cad., courtesy Studio G7, Bologna
Elena Stradiotto, Calendario, un disegno al giorno fino a che non torni, courtesy Galleria Oltredimore, Bologna
che hanno sfruttato la carta facendola spaziare da elemento di supporto a materiale scultoreo, da emblema di esecuzione veloce a strumento di ricerca minuziosa. Gli artisti: Bartolini, Beckley, Chung, Curti, Erben, Habicher, Maher, Nagasawa, Paolini, Romanelli, Zazzera.
e della distanza. La galleria ha, poi, inaugurato la nuova stagione espositiva con Comportamento Emergente di Gioacchino Pontrelli, a cura di Raffaele Gavarro. La mostra coniuga il linguaggio della pittura con la realtà, in particolare l’idea che il linguaggio della pittura possa essere strumento d’indagine utile alla comprensione dell’ambiente in cui si vive.
Plamen Dejanoff
Fabrizio Plessi, Cascata, courtesy l’artista
ALESSANDRIA
L’ignoto che appare
La Galleria Repetto di Acqui Terme ha aperto la stagione espositiva con L’ignoto che appare. Torino, presenze, 1967-2012, testimonianza del ruolo avuto dal capoluogo piemontese nel panorama artistico del secondo ‘900, con opere di Anselmo, Boetti, Calzolari, Fabro, Gilardi, Merz, Mondino, Penone, Paolini, Prini, Pistoletto, Salvo, Zorio. La galleria ha, inoltre, aperto un nuovo spazio a Milano, inaugurato con l’esposizione Andy Warhol L’eternità dell’istante, 18 unique screenprints on paper, provenienti da The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, New York. A questo evento faranno seguito La soglia dell’invisibile, di Ghirri e Paolini, e Dei misteri eleusini. Fausto Melotti. Ceramiche 1948–1965.
Mario Merz, Staccati, 1977, tecnica mista su carta intelata, cm.151x199,5, courtesy Galleria Repetto, Acqui Terme (al)
BARLETTA
Intramoenia
Al Castello di Barletta, ideato e curato di Giusy Caroppo con il contributo di Aldo Torre, si è svolto Intramoenia Extra Art / Watershed. Sette progetti speciali con opere inedite, teatro-danza, architettura, scultura, arti visive, video art, performance art, dibattiti virtuali, residenze d’artista, attrattività paesaggistica e monumentale, il tutto incentrato sul delicato tema dell’acqua, in particolare il progetto speciale Dark Matter di Maurice Nio.
BOLOGNA
On Paper
Studio G7 ha presentato con la mostra On Paper - Lavori su carta, opere di 12 artisti Maurice Nio, Dark Matter, 2012, installazione ambientale nel sotterraneo del Castello di Barletta
Il MAMbo ha aperto i suoi spazi espositivi a Plamen Dejanoff ospitando The Bronze House, mostra che si inserisce nel percorso di avvicinamento alla costruzione del maggiore monumento in bronzo mai realizzato nell’arte moderna e contemporanea: un edificio, di oltre seicento mq, destinato ad essere assemblato in Bulgaria. Percorso espositivo ricco di modelli, plastici, schizzi, disegni e collages che approfondiscono le fasi di studio per la realizzazione dell’opera, oltre ad alcuni lavori installativi che si muovono tra arte concettuale e immaginario iper-pop.
BOLZANO
Martin Pohl
Alla Galleria Antonella Cattani Swinging beauty, personale dell’artista altoatesino Martin Pohl. Diciotto opere dalle quali emerge una certa allusione figurativa modulata dalla scansione astratta degli elementi e da infinite variazioni di ritmi e di sequenze impresse in un materiale fluido e sinuoso come la cera.
Anna Valeria Borsari
Con Musei del vento il Museo Geologico Capellini ha accolto una installazione minimale di Anna Valeria Borsari con sabbia di fiume accumulata come una duna e duplicata da un grande specchio a parete. Il rumore del vento, debole, poi forte e di nuovo debole fino ad alternarsi a momenti di silenzio, ha ugualmente invaso lo spazio espositivo, coinvolgendo i reperti geologici, gli apporti dell’artista, i visitatori. In questa installazione, tra i vari oggetti esposti in permanenza nel Museo, l’artista ha anche inserito un suo breve video, muto, ove alcuni amici salutano sorridenti e se vanno, da soli o a piccoli gruppi; alcuni “disturbi di ricezione” frammentano poi la visione e prevalgono sulle immagini. L’artista, che dall’inizio degli anni ‘80 opera in contesti naturali e in esterni o interni urbani, inserendovi un lavoro che poi viene cancellato o riassorbito dall’ambiente stesso (in sintonia con quei processi di smaterializzazione teorizzati da Lyotard che caratterizzano la contemporaneità), intervenendo all’interno di un museo geologico, accostando delle testimonianze di un recente vissuto alle tracce di mondi ormai lontanissimi, le ha sprofondate in un irrecuperabile ed unitario passato; e la sensazione di precarietà che in genere trasmettono le sue opere, è stata avvertita in modo ancora più significativo.
M.I.L.C., Méduses, still da video, courtesy Garage 21, Ceglie Messapica (br)
Palazzo Manganelli ha ospitato la mostra 20 X Majorana, evento ideato dalla Galleria Pio Monti di Roma come omaggio alla figura del fisico teorico siciliano Ettore Majorana: personaggio storico, letterario e mitico, sia per l’indiscussa genialità scientifica che per l’enigmatica scomparsa. In mostra 20 artisti che presentano un lavoro dedicato o ispirato in qualche modo da Majorana: Alviani, Bianchi, Chia, De Dominicis, Di Fabio, Hermanides, Hesse, Iaria, Levini, LeWitt, Lisanti, Divshali, Mochetti, Montesano, Pedriali, Pisani, Poloni, Prini, Simei, Salvo.
COMO
Artforkids
Nelle storiche Serre Ratti, Artforkids. Arte per piccoli collezionisti, progetto ideato da Emma Gravagnuolo e Roberta Lietti, nato per avvicinare bambini e adolescenti all’arte contemporanea. Lavori in mostra di formato ridotto e con soggetti caratterizzati da dettagli che colpiscono l’immaginario e suscitano creatività. 40 opere in tutto, dai ritratti stilizzati di Fulvia Mendini ai lightboxes di Marina Giannobi, dalle narrazioni fantastiche di Alice Colombo agli animali realistici di Federico Guida, ma anche opere di Davide Nido, Dany Vescovi, Aura Zecchini, Roberta Savelli, Marco Grassi, Massimo Dalla Pola, Ilaria Del Monte, Luciano Civettini e Vanni Cuoghi.
BRINDISI
Pronti via
Il nascente spazio espositivo Garage 21 Arte Contemporanea, a Ceglie Messapica, ha scelto come mostra inaugurale la collettiva Pronti via. La rassegna, a cura di Lorenzo Madaro, ha proposto opere di tre distinte realtà artistiche legate al meridione: Vittorio Balsebre, Davide Pepe e il movimento M.I.L.C..
Il Labirinto del Fauno
Lo storico frantoio ipogeo della Masseria Il Brigantino di Fasano ha ospitato la rassegna Il Labirinto del Fauno, percorso ricognitivo a cura di Graziano Menolascina sulle esperienze artistiche contemporanee, attraverso una selezione di opere di artisti internazionali: Akao, Barney, Bellini, Bucchi, G. De Mitri, Fogli, Gligorov, Grassino, Iurilli, Nachshon, Ontani, Oursler, Pisani, Raduta, Ragalzi, Sanguini, Sylos Labini, Tessarollo.
Roberta Savelli, Giulio, 2009, olio su garza, cm.61x85, courtesy l’artista
FERRARA
Masuyama / Scheda
Doppia personale alla MLB Maria Livia Brunelli home gallery: il giapponese Hiroyuki Masuyama e il bolognese Stefano Scheda hanno dato vita a Sorolla’s gardens, progetto espositivo ideato in concomitanza con la mostra dell’impressionista spagnolo Joaquín Sorolla a Palazzo dei Diamanti. In un aperto confronto sul tema dei “giardini di luce”, Masuyama ha realizzato spettacolari light boxes sovrapponendo centinaia di fotografie digitali, Scheda ha invece presentato particolari foto di un casolare abbandonato nell’arco delle quattro stagioni.
Iginio Iurilli, Groviglio, courtesy l’artista Anna Valeria Borsari, Musei del vento, particolare dell’installazione, curtesy Museo Geologico Giovanni Capellini, Bologna
Stradiotto / Pontrelli
La Galleria Oltredimore ha proposto Interno Lettera, progetto di arte relazionale avviato da una lettera scritta a mano e spedita da Elena Stradiotto a una costellazione di nomi. Il video dell’apertura delle risposte ricevute chiude il cerchio veicolando ricordi, emozioni e invenzioni, a proposito dei rituali privati di elaborazione e analisi e che gli scriventi attuano come antidoto alla misura del tempo, della separazione
CALTANISSETTA
Calogero Barba
Nella cornice di Palazzo Sgadari, a Mussomeli, Calogero Barba incontra gli amici di Mussomeli, omaggio all’artista Calogero Barba, Personaggi illustri, particolare, courtesy l’artista
Hiroyuki Masuyama, Magnolia No.02, 2006, light box, cm.70x136x13, ed. 1/5, courtesy Studio La Città, Verona Stefano Scheda, Fuori, dentro 1-5-1_ 2008, lambda print su dibond, cm.70x100, courtesy MLB, Ferrara
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documentazione ricerca di sapere e conoscenza. Strati materici e sovrapposizioni di colori danno forma a scenari onirici in cui fluttuano scarpe, vestiti, manichini, città e barche. Testo critico di Emanuele Beluffi.
Dadamaino Getulio Alviani, Gianna Nannini, Mi meraviglio di me, 2008, courtesy RAM, Roma
FIRENZE
Palcoscenico Verticale
Il Teatro Obihall ha esposto i suoi sipari d’autore con la mostra Il Palcoscenico Verticale, curata dal critico Marco Meneguzzo, nata intorno all’idea di una elemento decorativo che diviene oggetto artistico intrecciandosi con le altre arti fra musica, video e fotografia. Aldo Mondino, Carla Accardi, Getulio Alviani e Mimmo Paladino, sulla scia della tradizione tutta italiana dei sipari dipinti hanno reinterpretato, dal 2005 ad oggi, la loro idea in materia dando così vita alla collezione esposta. Due installazioni speciali a cura di RAM radioartemobile: Superficie in ceramica della Accardi con il contributo sonoro di Gianna Nannini, quest’ultima ha anche collaborato con Alviani per allestire Mi meraviglio di me.
LANCIANO
Rinascimento del Faro
Il Faro ideato da Aldo Rossi è stato protagonista della rassegna Rinascimento del Faro, organizzata a Lanciano da Pixie Promotion e curata da Raffaella Tenaglia. Arti visive, teatro, musica, letteratura per una manifestazione culturale polisensoriale che ha avuto in Kaleidoscopica, mostra di Federico Comelli Ferrari, il momento più pregnante. Gli scatti del fotografo bresciano reinterpretano le superfici architettoniche metropolitane per mezzo del colore e della luce scomposta in tonalità intense che rivestono a nuovo gli spazi urbani.
Federico Comelli Ferrari, Porta Genova, 2009, courtesy l’artista Aldo Rossi, Faro
Gino Marotta, Scatola temporale, 2011, metacrilato, courtesy Galleria Peccolo, Livorno
dedicata all’artista vincitore. Nell’opera di Campus non vi è alcuna separazione tra pittura e scultura, affrontate come mezzi espressivi in continua possibilità di dialogo e di confronto.
LIVORNO
Gino Marotta
La Galleria Peccolo ha proposto metacrilati 2003-2010 e Luci colorate 2011-12, personale di Gino Marotta, momento di lavoro che ha ripreso e riproposto il tema di fondo di una ricerca che l’ artista persegue ancora oggi. Le Edizioni Peccolo sono state, inoltre, protagoniste alla IX edizione di Artelibro, Festival del Libro d’Arte a Palazzo Re Enzo, Bologna, con la presentazione della collana Memorie d’Artista.
LUCCA
Sergio Scatizzi
Alla Fondazione Ragghianti è andata in scena la pittura materica e le esplosioni cromatiche di Sergio Scatizzi, artista di vocazione informale, ma appassionato ai classici generi della figura, della natura morta e del paesaggio. La mostra Scatizzi. L’ipotesi della pittura, curata da Giovanna Uzzani, ha raccolto 70 opere (dipinti e lavori grafici) a testimonianza dell’intera parabola artistica di Scatizzi, appartenenti alla Fondazione, ma anche all’importante collezione di Giuliano Innocenti.
Sergio Scatizzi, Frutti, 1968 courtesy Collezione Innocenti
MILANO
Thomas Allen Il CAMeC, con la mostra Tempo in processo di Giovanni Campus ha dato vita a una nuova formula di premio artistico con l’acquisizione dell’opera premiata nella rassegna annuale Settembre d’Arte e la produzione di una personale Giovanni Campus, Tempo in processo, particolare dell’allestimento, courtesy CAMeC, La Spezia, foto Enrico Amici
La Galleria Bianca Maria Rizzi & Matthias Ritter ha presentato una personale Jernej Forbici dal titolo Last Flowers, il cui tema fondante è il problema del riscaldamento globale e degli effetti che questo ha sulla vegetazione del pianeta. Il progetto espositivo è stato curato da Fortunato D’Amico e ha previsto 4 lavori di grandi dimensioni, 2 teche con piante morte, più la sezione New Documents: 80 lavori di piccole dimensioni presentati come prove di un processo il cui imputato è l’uomo.
Alla Galleria 1000eventi, nell’ambito del MIA-Milan Image Art Fair, esposti i lavori di Thomas Allen, talento infallibile nel ricreare l’illusione di tridimensionalità, usando vecchi libri di pulp fiction come soggetti per i suoi set. Ritagli di figure liberate dalla loro tridimensionalità e animati grazie a un uso sapiente delle luci e dell’obiettivo. Thomas Allen, Loaded, 2006, C-print, cm.50x60, ed.1-10, courtesy 1000eventi, Milano
Alla Galleria Monopoli Lo spazio, il movimento, mostra personale di Dadamaino curata da Andrea Fiore. Il percorso espositivo propone un excursus tra la produzione dell’artista milanese, partendo dai Volumi della fine degli anni Cinquanta, fino a giungere ai Movimenti delle cose dei Novanta, passando attraverso sperimentazioni come nella serie Volumi a moduli sfasati, nei disegni Ottici dinamici e nelle modulazioni cromatiche delle Ricerche del colore.
Natasha Shulte
By Gallery ha ospitato la prima personale in Italia dell’artista ucraina Natasha Shulte. Presentato, per la prima volta nella sua completezza, il progetto Resignation, realizzato appositamente per la I Biennale di Kiev. Modelli per il lavoro sono bambini abbandonati in un orfanotrofio ubicato in mezzo ad un bosco, a diversi chilometri di distanza dal primo centro abitato, inscrivendo con forza l’opera nel novero della social art.
A.R.Penck
Grande mostra dedicata a uno degli artisti della fotografia più stravaganti del panorama internazionale, David LaChapelle, al Lu.C.C.A. – Lucca Center of Contemporary Art, a cura di Maurizio Vanni. 53 scatti suddivisi in 10 sezioni tematiche: Star System, Deluge (Awakened), Earth Laughs in Flowers, After the Pop, Destruction and Disaster, Excess, Plastic People, Dream evokes Surrealism, Art References e Negative Currency.
Giovanni Campus
Jernej Forbici
Natasha Shulte, Resignation courtesy By Gallery, Milano
David LaChapelle
LA SPEZIA
Jernej Forbici, Blury future with fake plastic flowers, 2011, tecnica mista su tela, cm.155x125, courtesy Bianca Maria Rizzi & Matthias Ritter, Milano
Cardi Black Box ha aperto la nuova stagione espositiva con un’importante retrospettiva dedicata a uno dei maggiori esponenti del neo-espressionismo tedesco, A.R Penck. In mostra 40 opere, tra dipinti di grande formato e sculture, dove sono rintracciabili i motivi e i temi centrali della sua estetica: uno stile personale che combina figurazione e astrazione mediante un tratto marcatamente infantile e un cromatismo intenso.
Dadamaino, courtesy Galleria Monopoli, Milano
Elad Lassry
Il PAC Padiglione d’Arte Contemporanea ha presentato la prima monografica che un’istituzione museale italiana abbia dedicato al lavoro di Elad Lassry, a cura di Alessandro Rabottini. In mostra un’ampia selezione di opere, quattro film, più nuove sculture e un’installazione che fonde fotografia, scultura e architettura realizzata appositamente per il PAC. Cuore del lavoro di Lassry consiste nella riflessione sull’atto stesso del vedere, sulla costruzione della rappresentazione e su come noi stessi proiettiamo sulle immagini significati che gli sono estranee e che provengono dalla nostra stessa esperienza autobiografica e culturale.
Elad Lassry, Short Ribs, Eggs, 2012 courtesy PAC, Milano
Chiara Dynys
A.R.Penck, courtesy Cardi Black Box, Milano
Veronica Garcia
La Costantini Art Gallery ha proposto El recuerdo de la Sombra, personale dell’artista argentina Veronica Garcia. Selezione di opere recenti in cui traspare l’esigenza di rappresentare, attraverso immagini a lei consuete, una costante Veronica Garcia, Cumpleanos, 2012, tecnica mista su tela, cm.100x100, courtesy Costantini Art Gallery, Milano
Look at you-Guardati è il titolo del nuovo progetto espositivo di Chiara Dynys presentato allo Spazioborgogno, per la prima volta integralmente (20 elementi) grazie alla collaborazione con la Collezione VAF-Stiftung e col Museo Pecci di Milano. Una lunga parete accoglie scatole visive trasparenti, ognuna delle quali riproduce un microambiente espositivo che invita a osservare ciò che contiene, ma induce a guardare la propria immagine riflessa sul fondo specchiante. Chiara Dynys, Look at you (Guardati), 2011, particolare dell’installazione, courtesy Spazioborgogno, Milano, Museo Pecci, Milano, Collezione VAF-Stiftung, Karlsruhe
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attività espositive Startmilano
VII anno di attività per Startmilano, associazione non profit che ha raccolto negli anni alcune delle più prestigiose gallerie di arte contemporanea meneghine. Quest’anno l’offerta è stata raddoppiata portando a due i weekend di settembre ricchi di inaugurazioni, aperture speciali ed eventi. All’interno del fitto cartellone alcuni segnaliamo alcuni eventi. Da Camera16 ha inaugurato Fashionality, collettiva a cura di Francesca Spiller e Carlo Madesani, con opere inedite di giovani fotografi che testimoniano un passaggio sullo stato della fotografia di moda contemporanea. Scatti di Andrea Artemisio, Olga Cafiero, Luca De Santis, Claudia Grassl, Marton Perlaki, Brea Souders. Bosco, Scultura 0, 2012, marmo, Fabbri Contemporary Art ha esposto, in una mostra dal titolo nero su bianco, le opere Mattia cm.144x78x31, courtesy Federico Luger, inedite più recenti di Paola Pezzi, artista nota per le sculture colorate e felici, realiz- Milano, foto Antonio Maniscalco zate con matite, cannucce, palline da ping pong, spugne e i materiali più vari e insoliti. A cura di Federico Sardella. Federico Luger ha presentato al pubblico la prima personale di Mattia Bosco, Nuove Sculture, con un ciclo di lavori in pietra in cui la pratica d’artista si pone in relazione con le forme geometriche elementari proprie della tradizione minimalista, coniugate con il lavoro della natura e del tempo. Doppia inugurazione alla Fondazione Marconi con le mostre Tristanoil, di Nanni Balestrini, ed Emilio Tadini 1985-1997. I profughi, i filosofi, la città, la notte. Balestrini ha presentato il film più lungo del mondo, già in visione a Documenta, 2400 ore di proiezione senza interruzione, accompagnate da una serie di opere su tela tratte da immagini del film. La mostra su Emilio Tadini si concentra sulla fase creativa della maturità dell’artista, quando la sua attenzione si concentra su temi e soluzioni stilistiche che emergeranno poi con forza nei trittici del decennio successivo, come la Mario Schifano, Erba verde vittoriosa sul Città e il Profugo. giardiniere, 1984, cm.200x300 Alla Galleria Milano Sandro Somaré ha presentato Oceano Nox, un recente lavoro sul courtesy Zonca e Zonca, Milano tema del mare a cui hanno fatto da corollario una ventina di acquerelli e una cartella Sandro Somaré, L’isle d’Orange, 2011, acdi 20 acquerelli stampata da Giorgio Lucini e dedicata a Giorgio Falck. quarello, courtesy Galleria Milano, Milano La Galleria Lia Rumma ha inaugurato la nuova stagione espositiva con la mostra Der fruchtbare Halbmond / La Mezzaluna fertile, di Anselm Kiefer. Un progetto immaginifco ed eloquente per molteplicità e ricchezza dei rimandi sottesi, per quel che evoca e per la eterogeneità dei mezzi linguistici con cui si manifesta. L’artista tedesco si tuffa nella storia e volge lo sguardo, il suo e il nostro, là dove la civiltà è nata. La galleria Zonca e Zonca ha, infine, proposto l’apertura di una mostra di Mario Schifano dal titolo The Eighties. In esposizione opere di grande formato degli anni ‘80, periodo in cui l’artista concentra la sua attenzione sull’elemento naturale: paesaggi, fiori, prati, onde sono ricreati nelle tele attraverso una gestualità carica di ricordi, pulsioni, sensazioni.
MODENA
Nanni Balestrini, Tristanoil N.19, 2012, inkjet su tela, cm.60x90 courtesy Fondazione Marconi, Milano Emilio Tadini, Oltremare, 1990, acrilico su tela, cm.200x300, courtesy Fondazione Marconi, Milano
ni, Massimo Festi, Karelei, Dante Maffei, Kazuo Ohno per eventi a cura di Nikla Cingolani, Claudio Composti/ Toshio Mizohata/Jack Fisher, Daniele De Angelis, Roberta Donato, Flavia Fiocchi, Carolina Lio, Solidea Ruggiero, Francesco Sala, Viviana Siviero, Alice Zannoni, Stefano Verri.
Nakis Panayotidis
La Galleria Civica ha ospitato, nella Palazzina dei Giardini, una personale dell’artista greco Nakis Panayotidis a cura di Marco Pierini e Matthias Frehner. Mostra composta da opere realizzate per l’occasione, con un percorso espositivo che ha offerto il repertorio completo delle tecniche predilette da Panayotidis, dalle scritte al neon ai disegni retroilluminati, dalle installazioni alle fotografie.
Paola Pezzi, ONDA, 2011, feltro, cm.75x60x22, courtesy Fabbri.ca, Milano
Andrea Chiesi, Perpetuum 16, 2011, olio su lino, cm.140x200, courtesy l’artista
NAPOLI
Artecinema
Nakis Panayotidis, Nasconditi sapere, 2011, tavolino, graffiti, vapore, lampadina rotta, cm.65x70x50, courtesy Galleria Civica, Modnea
Andrea Chiesi
Nell’ambito del Festival della Filosofia 2012, con la curatela di Mario Bertoni, si è tenuta nelle Paggerie di Palazzo Ducale, a Sassuolo, la mostra Scomparse di Andrea Chiesi. Esposta una serie di dipinti che indagano sulle cose andate: strutture abbandonate, residui di un uso che le ha rese oggetti di consumo per lasciarle a un’apatica inutilità, luoghi e cose divenuti sterili simulacri della loro genesi.
Thomas Struth, Pergamon Museum 3, courtesy l’artista Ben Loeterman, John Portman: A Life Of Building, 2011, 52’
Al Teatro San Carlo, 17a edizione di Artecinema, Festival Internazionale di Film sull’Arte Contemporanea, curato da Laura Trisorio. Suddivisi nelle sezioni Arte e Dintorni, Architettura, Fotografia, sono proiettati documentari sui maggiori artisti, architetti e fotografi degli ultimi cinquant’anni con interviste, biografie filmate e narrazioni montate con materiali d’archivio. 30 i titoli in programma, la maggior parte in prima nazionale, tra i quali il documentario dedicato ad Ai Wei Wei, artista cinese tra i più influenti nel panorama internazionale; a GRRR Jamming Squeack, progetto di arte pubblica di Paola Pivi; agli artisti iracheni presenti per la prima volta alla Biennale di Venezia nel 2011, come Halim Al Karim; ma anche a Gerhard Richter, Roman Opalka, Bernard Venet, Trecey Emin, Marc Quinn, Mat Collishaw, all’architetto americano John Portman e al fotografo tedesco Thomas Struth.
Paola Pivi, Senza titolo, 2003, stampa fotografica, Courtesy Galleria Massimo De Carlo, Milano Ai Wei Wei, Tate Modern, Londra, 2011
Gino Sabatini Odoardi, III ContrOrdine, flyer, courtesy l’artista
PERUGIA
Gino Sabatini Odoardi
Al Museo Città di Cannara, III° ContrOrdine, esposizione personale di Gino Sabatini Odoardi con opere in dialogo diacronico e sincronico con i reperti conservati nelle stanze del Museo e con la storia e la geografia di Cannara. Per l’occasione l’artista ha creato una serie di opere inedite tra cui un’installazione posizionata sul grande Mosaico romano, il provocatorio ciclo degli Offertori, due video, ma anche l’opera presentata all’ultima Biennale di Venezia, Senza titolo + cubo con rumore segreto. A cura di Martina Cavallarin.
Sculture in Città
A Palazzo Collicola, con la curatela di Gianluca Marziani, +50. Sculture In Città tra memoria (1962) e presente (2012), celebrazione della scultura contemporanea attraverso le opere di oltre 50 artisti italiani, più tre importanti personali: Giovanni Albanese, Michelangelo Galliani, Robert Gligorov. Tra gli altri, presenti Alex Pinna, Adrian Tranquilli, Gehard Demetz, Chiara Dynys, Antonella Zazzera, Peppe Perone, Lucio Perone, Silvano Tessarollo.
Bianconirico, Cambiare il mondo, courtesy Sponge, Pergola (ps)
PORDENONE
Nane Zavagno
Alla Galleria d’arte moderna e contemporanea “Armando Pizzinato”, polo museale di PArCo-Pordenone Arte Contemporanea, antologica di Nane Zavagno dal titolo La natura e le forme. Disegno pittura scultura mosaico. L’esposizione, articolata anche in altre due sedi, la Galleria Sagittaria del Centro Iniziative Culturali Pordenone e Palazzo Cossetti, sede direzionale della Banca Popolare FriulAdria-Crédit Agricole, ha offerto al pubblico la preziosa opportunità di ammirare e percorrere, in un’unica occasione espositiva, i frutti di una ricerca pluridecennale che spazia tra mosaico, scultura, pittura e disegno.
Franco Vecchiet
L’Associazione Culturale La Roggia ha offerto una importante ricognizione nella pluridecennale opera grafica di Franco Vecchiet con la mostra di libri d’artista “...è la stessa cosa…”. Il percorso espositivo ha riproposto, quasi come in caNane Zavagno, Senza titolo, 2012 acrilico e carboncino su tela, cm.130x180 courtesy l’artista
PESARO
Perfect Number
Da Sponge Living Space, a Pergola, terza edizione di Perfect Number - 9 artisti, 9 curatori, 9 stanze, 9 project room, 9 personali. Protagonisti Gianluigi Antonelli, Bianconirico, Luca Caimmi, Claudio Cavallaro, Matia Chincari70 - segno 242 | OTT/NOV 2012
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documentazione VENEZIA
Castellani/Uecker Raffaele Boschini
Franco Vecchiet, courtesy La Roggia, Pordenone
talogo sinottico, tutti i modi e i percorsi attraverso cui un libro d’artista si va delineando come intuizione per articolarsi come progetto, arricchirsi di contributi e scambi e diventare alla fine materiale vivo da ammirare o manipolare.
ROMA
Andrea Dojmi
Per l’apertura della nuova stagione espositiva, la galleria CO2 ha presentato The isle of the dead, personale di Andrea Dojmi. Cuore della mostra un’installazione site-specific che punta a stravolgere la percezione dello spazio della galleria: elementi di costruzioni urbanistiche e apparati militari fusi nell’edificazione di un bunker, che diviene tramite di un’intensa emotività e di suggestioni psicologiche; progetto che ruota attorno alla corrispondenza tra l’ambiente e la suggestione psicologica che l’opera suscita.
Les Intermittences du couer
All’Ex Elettrofonica Les Intermittences du couer, titolo preso da un paragrafo della Recherche proustiana, contenuto in Sodome et Gomorrhe. La mostra è la tappa finale di Patria Interiore, evento curato da Manuela Pacella e concepito per il project space della Golden Thread Gallery di Belfast in cui 8 artisti italiani si sono confrontati sulla tematica della memoria. Protagonisti Alessandro Cannistrà, Ilaria Loquenzi, Emiliano Maggi, Stefano Minzi, Luana Perilli, Moira Ricci, Alessandro Rosa e Beatrice Scaccia.
Cvetka Hojnik
Lo Studio Arte Fuori Centro ha proposto la personale di Cvetka Hojnik, Nel silenzio della passione, a cura di Enzo di Grazia. L’artista slovena ha presentato una serie di dipinti vagamente ispirati all’arte programmata, ma condizionati dal senso estetico della stilista, che concepisce le forme soprattutto in funzione dell’”indossabilità”. Cvetka Hojnik, Ujetost trenutka, 2012, tecnica mista, cm.230x100, courtesy Studio Arte Fuori Centro, Roma
Due maestri dell’arte contemporanea, Enrico Castellani e Günther Uecker, rappresentanti dell’ultima generazione del Gruppo Zero si sono ritrovati dopo quasi cinquant’anni per questa mostra allestita nei suggestivi ambienti al secondo piano di Ca’ Pesaro. In mostra una selezione di lavori storici tra i più rappresentativi della loro produzione, oltre a opere recenti, alcune realizzate appositamente per l’evento.
Rodrigo De La Sierra, Tiempos modernos, courtesy Il Ponte Contemporanea, Roma
Rodrigo De La Sierra
Alla Galleria Il Ponte Contemporanea, prima personale dell’artista Rodrigo De La Sierra. L’autodidatta scultore messicano ci accompagna con una danza attraverso le vicissitudini della vita, scegliendo bronzi dalle patine chiare per rappresentare Timo, piccola ed eroica figura inserita in contesti chiave come ad esempio una catena di montaggio. Un’arte gioiosa che veicola temi estremamente seri conquistando attraverso l’apparente “leggerezza dell’essere”.
Sam Pulitzer, Untitled, 2012, courtesy l’artista
Sam Pulitzer
La Fondazione Pastificio Cerere ha presentato la prima personale in Italia dell’artista americano Sam Pulitzer, a cura di Michele D’Aurizio. Cuore dell’allestimento Untitled (2012), installazione composta da un ampio numero di opere grafiche, realizzate su PVC adesivo e applicate alle pareti delle sale espositive della Fondazione, chiaro esempio della ricerca artistica di Pulitzer, fondata sulla ricontestualizzazione di oggetti e immagini dotati di una peculiare valenza culturale.
Georgia Tribuiani, La Tempesta, installazione, 2011, courtesy ARCA, Teramo
mente a Los Angeles. L’evento rientra nel programma di Habitat, progetto artistico-culturale di ricerca e indagine sul territorio per far emergere esperienze e figure di particolare interesse.
TORINO
Fang Lijun
La GAM-Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea ha dedicato la programmazione estiva alla prima grande personale in Italia dell’artista cinese Fang Lijun, artista acclamato in patria e uno dei principali esponenti del Realismo Cinico. Il precipizio sopra le nuvole, a cura di Danilo Eccher, ha presentato 30 opere dalle dimensioni imponenti appartenenti alla produzione più recente, oltre a lavori terminati appositamente per questa occasione. Fang Lijun, 2005-2007, 2010, courtesy GAM, Torino
SALERNO
Door to Door
Il centro storico di Salerno ha fatto da cornice allo svolgimento della II edizione di Door to Door, rassegna d’arte che vuole essere punto di incontro tra arte contemporanea, storia, tessuto urbano e grande pubblico. Con il coordinamento di Rosa Carafa e Ilaria Tamburro, ha avuto come protagonisti: Aldo Grazzi e Carlo Bernardini, al Museo Diocesano S. Matteo; Francesco Carbone con Maria Jose Germano e il collettivo Arturo, alla Fondazione Carisal; Paolo Radi a Palazzo Pinto; il Collettivo Anomalia al Vicolo dei Pinto; Ivano Troisi e Anna Maria Gioja, a Palazzo D’Avossa; Filippo Centenari, al Quadriportico dell’ostello Ave Gratia Plena; Pino Musi, Marco Coraggio e Giuseppe De Marco a Palazzo Genovese; Daniela Di Maro alla Villa comunale; Valerio Rocco Orlando, nel Quartiere Fornelle; Maurizio Elettrico e Stefano Gargiulo, al Giardino della Minerva; Pierpaolo Salvi, al Quadriportico S. Maria delle Grazie, Maria Adele Del Vecchio e Pier Francesco Solimene, lungo il percorso e, a Piazza Abate Conforti, DJ set Aldoina Filangieri. Con un inconsueto programma di curatela condivisa: gli artisti presenti sono stati proposti da Angela Tecce, dalla Fondazione Filiberto Menna, dalle Fondazioni Morra e Plart di Napoli, dalle gallerie salernitane Tiziana Di Caro, Leggermente Fuori Fuoco, Paola Verrengia e Studioventuno, oltre ai curatori indipendenti Marco Alfano, Renata Caragliano e Stefania Zuliani.
TERAMO
Georgia Tribuiani
L’ARCA laboratorio per le arti contemporanee propone Unire Punti, mostra che raccoglie i progetti artistici e pubblicitari di Georgia Tribuiani, giovane e interessante visual designer attual-
Günther Uecker, Couvertiert 2009 colla, gesso, tela su tela, cm.300x300
Enrico Castellani, Superfice rigata bianca e blu, 1963
Per il ciclo di mostre dossier, ospitate nella Sala 10 del museo, Opere grafiche 1912–1925, messa a fuoco dell’attività grafica di Raffaele Boschini (1893– 1960), nel tentativo di sottrarre l’artista veneziano dalla “zona d’ombra” nella quale è stato sino ad oggi confinato. 52 i lavori esposti, a cura di Silvio Fuso e Cristiano Sant, che coprono gli anni giovanili dell’artista, dalla permanenza nello studio di Ca’ Pesaro fino ai primi anni milanesi, probabilmente i più intensi nella sua parabola artistica.
Gabriele Bonato, Icons #2 (Charles Darwin), 2012, olio su tela, cm.20x20, courtesy LipanjePuntin, Trieste
TRIESTE
Gabriele Bonato
LipanjePuntin artecontemporanea ha presentato Icons, mostra personale di Gabriele Bonato, artista la cui riflessione pittorica si concentra sulle peculiarità dell’immagine e sulla sua perfezione formale. Il progetto ha voluto portare l’osservatore al di là dell’immagine stessa, spesso banalizzata dai mass-media, verso un risveglio e un’apertura al “Simbolo-Icona”, sorta di viaggio nell’inconscio collettivo costituito da realtà assolute e infinite contraddizioni.
UDINE
Sedmach / Scabar
La Galleria Plurima ha proposto i lavori recenti di Manuela Sedmach e Sergio Scabar, artisti che da anni seguono un percorso molto particolare di ricerca: le ultime tele della Sedmach dichiarano una particolare attenzione per una quasi monocromia ottenuta con sapienti stesure di grigi insistiti e morbidi bianchi-luce; gli scatti di Scabar, invece, necessitano di una lettura su tempi lunghi per riuscirne a cogliere tutta la profonda poeticità e udire il silenzio delle cose che ci mostrano.
Raffaele Boschini, Profilo di donna con cappello, courtesy MuVe, Venezia
Sergio Scabar, Nel silenzio delle cose, 2012, cm.38x45 Manuela Sedmach, Destinazione provvisoria, courtesy Galleria Plurima, Udine
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attività espositive Giuseppe Capogrossi
Oltre settanta opere, tra dipinti e lavori su carta, compongono una retrospettiva, a cura di Luca Massimo Barbero, esposta alla Collezione Peggy Guggenheim fino al 10 febbraio 2013, e spiegano l’evoluzione della complessa vicenda pittorica di Giuseppe Capogrossi, tra i più celebri protagonisti della scena artistica del secondo dopoguerra, insieme a due altri maestri dell’arte contemporanea italiana quali Alberto Burri e Lucio Fontana. Béatrice Helg, Emergence IV, 2008 courtesy MuVe, Venezia
Gli artisti del Premio Zingarelli
Vittoria Ramondelli, Dentro il giardino aperto
Autunno a Palazzo Fortuny
Molto ricca la programmazione espositiva di Palazzo Fortuny. Il piano terra e le sale laterali al piano nobile hanno ospitato Tutte le cose emergono dal nulla, personale di Franco Vimercati, a cura di Elio Grazioli e John Eskenazi: occasione per vedere riuniti alcuni dei celebri scatti dell’artista, dalle serie di bottiglie di acqua minerale, al parquet, al ciclo della zuppiera, alla sveglia rovesciata, con l’oggetto capovolto come lo “vede” la macchina. Al piano nobile, Annamaria Zanella con Oltre l’ornamento, a cura di Daniela Ferretti: la designer di gioielli presenta uno studio sui metalli che da vita a un materiale al tatto e alla vista simile alla seta, opere sensuali che si esaltano nell’accarezzare la pelle. Al secondo piano, a cura di Andrea Villani, approccio esaustivo agli elementi poetici del lavoro di Maurizio Donzelli con la mostra Metamorfosi. Si contrappongono tematicamente grandi tappeti in lana e seta, annodati in Nepal, e arazzi Jacquard realizzati nelle Fiandre, ma anche, per la prima volta, gli specchi e gli acquerelli raccolti nei cicli Disegni del Quasi e Talisman. Il terzo piano, infine, ha ospitato Risonanze della fotografa svizzera Béatrice Helg: ricerca sullo spazio, la materia, la luce, la nozione del tempo e del divenire con la creazione di spazi monumentali, universi di una singolare bellezza, in cui scultura, pittura, scenografia, luce e oscurità si fondono e compongono visioni di silenziosa meditazione.
Il lato oscuro della luna
Alla Jarach Gallery Il lato oscuro della luna, collettiva a cura di Andrea Bruciati con opere di Sergio Breviario, Stefano Calligaro, David Casini, Andrea Dojmi, Paolo Gonzato, Dacia Manto, Pietro Mele e Lucia Veronesi. Muovendo dalla crisi petrolifera degli anni ’70, la mostra ha indagato il lato oscuro, misterioso e problematico della riflessione artistica, proprio degli spiriti malinconici, ma non esente dall’indagine sul presente.
Mirko Canesi, Persona, 2011
Ignazio Mortellaro, Untited bestiario, 2011
Pierluigi Lanzillotta, L’albero di Plutone
Franco Vimercati, Esperienze multiple
VERONA
Castella / Ghirri / Hashimoto
Lo Studio La Città ha presentato la mostra Off-Screen, con opere di Vincenzo Castella, Luigi Ghirri e Jacob Hashimoto. A cura di Francesco Zanot, si è svelato come denominatore comune il dare vita a immagini racchiuse in un perimetro, innescando la dialettica fra interno ed esterno. Entrambi i contesti sono presi senza soluzione di continuità, facendo da supporto a una costante indagine sulle nozioni di natura, artificio e visione.
Luca Moscariello, drupa dei pregressi, 2011 Martine Parise, Simbiosi2
Maria Grazia Carriero, Cosa penso
Sergio Picciaredda, A modern garden
Luigi Ghirri, Riviera romagnola 1985, 1985, stampa cromogenica vintage da negativo 4,5x6 cm., cm. 24x33, foto Michele Alberto Sereni
Mattia Scappini, B - all’ombra dei giardini fioriti, 2011
Riccardo Ruberti, Misto Kvitiv
Raffaele Fiorella, La raccolta delle olive
Enatalem D.Zeleke, Renato Rubini, Untitled Untitled 2
I. Del Monte, Prima che i galli cantino, 2011
Luna Corà, Canto d’Amore Fronte1, 2011
Paolo Gonzato, IT’S NOT RIGHT, 2010, 7 ombrelli tradizionali giapponesi, carta, bambù, courtesy Jarach Gallery, Venezia
Jacob Hashimoto, Cyclon and the Wonder Wheel, 2008, acrilico, carta, uretano su lino, cm.48x38,5x4 Vincenzo Castella, #01 Milano 2012, 2012, C-print, cm.105x132, courtesy Studio la Città, Verona
Luca Cruz Salvati, Senza Titolo
Laura de Barba, Olivam
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€ 5.
Anno XXXVII
OTT/NOV 2012
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# 242 - Ottobre / Novembre 2012
Attualità Internazionali d’Arte Contemporanea
SALVATORE SCARPITTA
TOBIA RAVÀ
GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea Exhibition Area - Underground Project Via Magenta 31 - Torino
20 Ottobre 2012 3 febbraio 2013
segno Attualità Internazionali d’Arte Contemporanea
PAOLO CONSORTI
ANSELM KIEFER
GRAZIA TODERI
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25/28 GEN/JAN 2013 BOLOGNA/ITALY www.artefiera.bolognafiere.it
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