Segno 246

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segno Spedizione in abbonamento postale Poste Italiane S.p.A. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 ROC · Registro degli operatori di comunicazione n. 18524 - ISSN 0391-3910 00 in libreria

E 5.

Anno XXXVIII

OTT/DIC 2013

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Attualità Internazionali d’Arte Contemporanea

Carla Accardi

CARLO MARIA MARIANI

MIMMO PALADINO

FRANCO GIULI

GIULIo DE MITRI



Jason Dodge A permanently open window

installazione permanente via fratelli cervi 61 reggio emilia visita su richiesta alla Collezione Maramotti

ph. +39 0522 382484 info@collezionemaramotti.org www.collezionemaramotti.org



#246 sommario

segno Spedizione in abbonamento postale Poste Italiane S.p.A. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 ROC · Registro degli operatori di comunicazione n. 18524 - ISSN 0391-3910 00 in libreria

E 5.

Anno XXXVIII

OTT/DIC 2013

ottobre/dicembre 2013

246

in copertina

Carla aCCarDI

CarlO MarIa MarIaNI

MIMMO PalaDINO

FraNCO GIUlI

GIUlIO DE MITrI

Carla Accardi, Carlo Maria Mariani, Mimmo Paladino, Franco Giuli, Giulio Di Mitri in particolari esposizioni

Frieze Art Fair [10]

segno Attualità Internazionali d’Arte Contemporanea

# 246 - Ottobre/Dicembre 2013

Attualità Internazionali d’Arte Contemporanea

di evidenza culturale

7/15 News gallerie e istituzioni Jan Fabre [12]

Agenda Mostre & Musei in Italia e all’Estero

a cura di Lisa D’Emidio e Lucia Spadano Artissima 2013, One Torino Frieze Art Fair, 89 plus Marathon Londra (intervista ad Hans Ulrich Obrist di Luciano Marucci), News grandi mostre nelle Istituzioni pubbliche e Gallerie private

Liliana Moro - Biennale di Salonicco [25]

Speciale 55a Biennale di Venezia (2a parte) pag.16-23) Commenti a cura di Paolo Balmas, Gabriele Perretta, Ilaria Piccioni, Lia De Venere, Antonella Marino, Marilena Di Tursi , Giorgio Viganò, fotografie a cura di Roberto Sala IVa Biennale di Arte Contemporanea di Salonicco pag.24-27 A colloquio con Katerina Koskina, Adelina von Furstenberg e Denys Zacharopoulos a cura di Lucia Spadano. Biennale di Lione (a cura di Lisa D’Emidio) Carla Accardi: Gesti di qualità alla ricerca della luminosità (pag, 28-29) intervista a Denys Zacharopoulos a cura di Lucia Spadano. Jannis Kounellis (Ilaria Piccioni pag.30-31) Castelbasso 2013. Le ragioni della pittura. Dall’Immagine alla parola, intervista a Mimmo Paladino Visione Animale, Visione Mario Dondero (Maria Letizia Paiato pag.32-37) Mat Collishaw- Premio Pascali (Maria Vinella pag. 38), Carlo Maria Mariani (Lucia Spadano pag. 39), Wang Xiaosong (Adriana Iezzi pag.40), Light Before Dawn - l’arte non ufficiale cinese tra il 1974 ed il 1985 (Sara Bortoletto pag.40), Lin Yilin (Giuliana Benassi pag.41), Li Songsong (L.S. pag.42), Harnold Helbling (Sara Boggio pag.42), Francesco Vezzoli (Ilaria Piccioni pag.43), Pavel Buchler (Maria Letizia Paiato pag.44), Anselm Kiefer (Rita Olivieri pag.45), Fiona Tan (a cura di Rosanna Fumai pag.46), Gunter Forg (Paolo Aita pag.47) Hirschhorn/Artschwager - Carl Andre (Raffaella Barbato - Stefano Taccone pag.48) Mimma Russo (Raffaella Barbato pag.49), Pistoletto / Etel Adnam (Rita Olivieri pag.50) Castello di Rivara Equinozio d’autunno (a cura di L.S. pag.52-53) Giulio De Mitri (Roberto Lacarbonara pag.54), Franco Giuli (Valeria Carnevali pag.56) Michele Zaza - Il risveglio del paesaggio (Gabriella Serusi pag-58), Coppie in Arte: Moio & Sivelli (Antonello Tolve pag-60), Pino Chimenti (Maria Francesca D’Amante pag.62), Arte & Vita (Simona Caramia pag.62), “Kaputt” - Cattelan alla Fondazione Beyeler (Luciano Marucci pag.63), Il corpo solitario - l’autoritratto nella fotografia contemporanea (a cura di L.S. pag.64), Dacia Manto (Lucia Nica pag.64), 10 artisti per d’Annunzio (Lucia Spadano pag.64), Dannunziana (Lucia Spadano pag.65), Gigi Cifali (Stefano Taccone pag.65), Marco Scotini - L’Estetico e il Politico (intervista a cura di Luciano Marucci pag. 66), Nanni Balestrini Tristanoil (a cura di Andrea Fiore, pag. 67) Marche Centro d’Arte (Dario Ciferri pag.68-69 Memorie d’Arte / Attività didattiche. Venticinque anni di didattica sperimentale al Politecnico di Bari (Ester Bonsante pag.70-73)

Oreste Casalini [52]

news e tematiche espositive su www.rivistasegno.eu

& 16/74 attività espositive / recensioni documentazione

espositive 75/86 documentazione / attività in Italia ed Estero

segno

periodico internazionale di arte contemporanea

Direzione e redazione Corso Manthonè, 57 65127 Pescara Telefono 085/61712 Fax 085/9430467 www.rivistasegno.eu redazione@rivistasegno.eu

Pavel Büchler [52]

a cura di Lucia Spadano e collaboratori) Collezione Lambert ad Avignone, Feminin -Masculin en Mediterranée a Marsiglia, Il tempo macchia e smacchia (Gabriella Serusi), What’s the story (M.Letizia Paiato), L’Italia al Contrario o capovolta (Federica La Paglia), Premi d’arte ed esposizioni varie. - “Addii”. I cantieri di restauro dell’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro presso l’Accademia di San Luca di Roma (di Teresa Ianni e Fabrizio Ronconi)

Direttore responsabile LUCIA SPADANO (Pescara) Condirettore e consulente scientifico PAOLO BALMAS (Roma) Direzione editoriale UMBERTO SALA

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>news istituzioni e gallerie< Artissima 2013

a venerdì 8 a domenica 10 novembre 2013 ventesima edizione di Artissima, la Fiera D Internazionale d’Arte Contemporanea a Torino,

per la seconda volta sotto la direzione artistica di Sarah Cosulich Canarutto. La stessa direttrice, nella conferenza stampa di presentazione, ha sottolineato come Artissima ha dimostrato di essere un appuntamento di alto profilo per tutti gli operatori del settore e un elemento chiave di attrazione e propulsione per la città di Torino e il suo territorio, capace di coinvolgere l’interesse degli specialisti, del grande pubblico e della stampa. Confermatasi quale segno della ricerca creativa e di allargamento dei confini geografici di riferimento, Artissima ha raggiunto nuovi importanti risultati, attraverso il lavoro di internazionalizzazione sia per quanto riguarda la composizione dei diversi comitati curatoriali e di selezione, sia per quanto riguarda la presenza di gallerie e artisti. In particolare, viene rivolta una speciale attenzione alle aree più emergenti per il contemporaneo, attraverso il coinvolgimento di alcuni paesi del Sud America e dell’Asia, con l’obiettivo di introdurre nuovi e diversi punti di vista e connotare sempre di più la fiera come il luogo dove scoprire e incontrare le più interessanti proposte della scena artistica internazionale. Tra le novità del 2013 va evidenziato l’importante traguardo del processo di evoluzione del calendario dei progetti curatoriali, che da sempre affianca il padiglione fieristico, in dialogo e complementarietà con esso. Il progetto di Sarah Cosulich Canarutto prende le mosse dall’esperienza della scorsa edizione per dar vita a un evento straordinario, autonomo, con una forte identità e una intrinseca capacità di sviluppo. Nasce anche la prima edizione di ONE TORINO, una grande rassegna annuale, ideata e prodotta da Artissima e realizzata in collaborazione con le maggiori istituzioni di arte contemporanea e sedi espositive della città: Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, GAM Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Fondazione Merz, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e Palazzo Cavour. ONE TORINO è un nuovo, ambizioso progetto espositivo, attrattivo e di altissimo livello, mirato a rafforzare la rete delle istituzioni torinesi con un evento internazionale di grande respiro che coinvolge le migliori voci contemporanee sulla scena mondiale. La rassegna si propone di sottolineare le eccellenze di Torino e consolidare ulteriormente l’immagine della città e del territorio nel contemporaneo. Artissima 2103 si avvale della presenza di 190 gallerie (130 straniere e 60 italiane), provenienti

Benjamin Senior,The Pool 2013. Egg tempera on cotton on aluminium 40 x 60 cm Courtesy Galleria Monica De Cardenas, Milano / Zuoz

da 38 diversi paesi, negli eleganti stand dellìOval - Lingotto Fiere di Torino, articolate nelle tradizionali cinque sezioni: MAIN SECTION è la sezione che raccoglie una selezione di gallerie tra le più rappresentative del panorama artistico mondiale. Ne sono state selezionate 108 provenienti da 27 diversi paesi (42 italiane e 66 straniere). NEW ENTRIES è uno speciale punto di riferimento per la nuova creatività, riservato alle più interessanti giovani gallerie, con meno di cinque anni di attività, presenti per la prima volta ad Artissima. Sono state selezionate in 27 gallerie (4 italiane, 23 straniere) provenienti da 14 paesi. Riservato alle New Entries, viene assegnato il Premio Guido Carbone - istituito dalla fiera nel 2006 - di 5.000 euro attribuito alla galleria ritenuta più meritevole per il lavoro di ricerca e promozione di giovani artisti, da una giuria composta da Emre Baykal, Suzanne Cotter, Anselm Franke, Jochen Volz e da Laura Viale, artista, membro permanente in rappresentanza della famiglia di Guido Carbone. PRESENT FUTURE è la speciale sezione al centro della fiera, dedicata ai talenti emergenti, che Artissima e illycaffè in collaborazione propongono per il tredicesimo anno consecutivo. Sono stati accolti i progetti di 24 artisti presentati da 25 gallerie (5 italiane, 20 straniere) scelti da un ampio Comitato curatoriale composto da cinque giovani curatori internazionali – Alex Gartenfeld, Krist Gruijthuijsen, Robert Leckie, Qinyi Lim e Alice Motard – coordinati, come per le passate edizioni, da Luigi Fassi. Le opere degli artisti invitati

includono proposte inedite realizzate ad hoc per la fiera e progetti alla loro prima esposizione nel contesto europeo ed italiano. Dalla scorsa edizione, il Premio Illycaffè offre all’artista vincitore l’opportunità di una mostra negli spazi del Castello di Rivoli da inaugurarsi in concomitanza con la successiva edizione di Artissima. Una formula che vede la sua prima realizzazione quest’anno con la presentazione di una grande collettiva dedicata ai tre vincitori ex aequo dello scorso anno – Naufus RamÍrez Figueroa, Vanessa Safavi e Santo Tolone – curata dai giurati del Premio 2012 Andrew Berardini, Beatrice Merz, Gregor Muir e Beatrix Ruf, con opere inedite prodotte per l’evento. La giuria per l’assegnazione del Premio illy Present Future 2013 è composta da Defne Ayas, Juan A.Galtàn, Matthew Higgs e Joanna Mytkowska. BACK TO THE FUTURE è la sezione presentata in un contesto dedicato alle sperimentazioni più nuove del contemporaneo e ad alcuni grandi innovatori del linguaggio dell’arte moderna che hanno avuto un limitato riconoscimento negli ultimi decenni, ma il cui lavoro è ancora oggi particolarmente significativo. Back to the Future presenta solo show di livello museale con progetti di un gruppo di artisti direttamente proposti e selezionati da un Comitato curatoriale. Quest’anno partecipano alla sezione 30 gallerie (6 italiane, 24 straniere) provenienti da 12 paesi, proponendo i lavori di 32 artisti. ART TALKS/ MEETING POINT è l’area riservata alla presentazione di progetti o a conversazioni e dibattiti su alcune tematiche fondamentali della

Qui sotto: Antony Gormley, VESSEL 2012. Cor-Ten in acciaio, viti in acciaio M16 svasata, 370 x 2200 x 480 cm. Courtesy the artist and GALLERIA CONTINUA, San Gimignano / Beijing / Le Moulin. Photo Ela Bialkowska, OKNO STUDIO. In basso: Botto e Bruno, Una traccia 2012. Tempera su carta e fotocollage cm 29,7x36. Courtesy Alberto Peola, Torino. A destra: Dina Danish, An Audience in Hiding, 2013. 16’01 video a colori, suono / video with color and sound. In basso a destra: Gea Casolaro, Still here_AngelA_Pont Alexandre III 2009/2013. Fotografia digitale stampata su alluminio 59 x 100 cm. Courtesy The Gallery Apart, Roma. Courtesy SpazioA, Pistoia

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>news istituzioni e gallerie<

Robin Rhode, Kinderstoel 2011. 12 Lambda prints face-mounted with Plexiglas on aluminium panels, 33,8 x 60 Cm cad. – Opera installata 141,2 x 184 cm, edizione di 5. Courtesy: Tucci Russo Studio per l’Arte Contemporanea, Torre Pellice

contemporaneità, promossi e curati da musei, istituzioni e associazioni pubbliche e artistiche: un’occasione unica di incontro e confronto con alcuni tra i protagonisti della scena artistica contemporanea internazionale. Artissima dedica anche nel 2013 un grande spazio a musei, fondazioni e istituzioni pubbliche e artistiche del territorio in una esclusiva rassegna dedicata all’offerta espositiva di arte contemporanea a Torino e in Piemonte. Ogni istituzione è stata invitata a esporre un’opera della propria collezione o legata alla mostra in corso nella propria sede nei giorni di Artissima al fine di creare un vero e proprio spazio museale dove i visitatori possono scoprire opere inedite e conoscere in anteprima mostre ed iniziative in programma nella regione. Le Istituzioni invitate: Accademia Albertina delle Belle Arti, Associazione Artegiovane, Barriera, Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, CeSAC Centro Sperimentale per le Arti Contemporanee, Città di Torino, Cittadellarte-Fondazione Pistoletto, Collezione La Gaia, Compagnia di San Paolo, Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT, Fondazione Merz, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Fondazione Spinola Banna per l’Arte, Fondazione 107, Fondo Giov-Anna Piras, GAM Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, PAV Parco Arte Vivente, Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli, Provincia di Torino / Eco & Narciso, Regione Piemonte, Resò. Di notevole interesse il Premio Ettore Fico, istituito nel 2009 dalla Fondazione medesima per valorizzare e promuovere il lavoro dei giovani artisti e consistente nell’importo di 15.000 euro. Un premio-acquisto che viene assegnato a un artista scelto tra tutti quelli esposti ad Artissima, in ogni sezione. La Giuria del Premio Ettore Fico è composta da Renato Alpegiani, Andrea Busto, Andrea Lissoni, Letizia Ragaglia, Andrea Viliani. Condividiamo pienamente le osservazioni della direttrice Sarah Cosulich Canarutto, per la quale l’alto livello delle proposte, la forte vocazione sperimentale e di ricerca, rappresentano le chiavi attraverso cui Artissima basa la propria specificità e il proprio ruolo nell’ormai affollatissimo panorama internazionale delle fiere d’arte. Andro Wekua, Walk, 2011. Steel sculpture, ceramic, wax. Courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino. Photo: Maurizio Elia

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Larissa Sansour, A Space Exodus – Flag 2013. Double C-print on Hahnehmühle Photo Rag paper and translucid chinese paper lightbox. 90x160cm, Edition of 5. Courtesy the artist and Sabrina Amrani Art Gallery

Thomas Allen, Maneater 2006. Chromogenic print 50,8 x 60,9 cm Pablo Bronstein, Temple of Convenience, 2011. Wood and plasterboard structure, plaster ornaments, 350 x 676 x 426 cm Courtesy the artist and Galleria Franco Noero, Torino. Photo: Sebastiano Pellion di Persano

L’opera che sarà riprodotta da Matthew Darbyshire per One Torino: Marisa Merz, Living Sculpture, (1966). Lamierino in alluminio cucito con punti metallici. 200 x 90 x 80 cm Courtesy GAM, Torino


>news istituzioni e gallerie<

Da sinistra a destra: Nina Beier, The Demonstrators (Drowning Coins), 2011. Trapezes, rope, stock image posters. Unique / SONB/I 2011-071. Courtesy Standard (Oslo), Oslo; Santo Tolone, Nuvola, 2013. Scultura. Allumino, mastice poliuretanico, poliuretano, poliestere, stucco metallico, pittura, impiallacciato in legno di palissandro, multistrato di pioppo, truciolare 170 x 80 x 80 cm. photo: Alessandro Zambianchi. Courtesy l’artista e Limoncello Gallery, London; Naufus Ramírez-Figueroa, Breve Historia de la Arquitectura en Guatemala, 2011-13. Video, 5min. Cast: Diego Sagastume, Jennifer de Leon, and Naufus RamirezFigueroa. Marimba: Alfonso Tunche and his Siempre Viva Marimba. Video: Byron Marmol.

ONE TORINO a new annual exhibition

7 novembre 2013 – 12 gennaio 2014 assegna espositiva annuale ideata e prodotta da Artissima in collaborazione con R le maggiori istituzioni d’arte contemporanea

della città che mira a rafforzare la rete delle istituzioni torinesi con un evento internazionale di grande respiro che coinvolge le migliori voci contemporanee sulla scena mondiale. Per questa prima edizione, Artissima ha invitato sette affermati curatori internazionali, provenienti da aree geografiche diverse ed eterogenee, che attraverso cinque mostre collettive, connesse ma indipendenti, danno vita a un percorso espositivo unitario nei principali musei e fondazioni della città e in una prestigiosa sede storica nel centro di Torino. Il progetto coinvolge i principali protagonisti della vita culturale torinese in ambito contemporaneo: Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, GAM Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Fondazione Merz, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e investe il settecentesco Palazzo Cavour, splendido esempio di barocco piemontese, con la sua capacità di unire la propria identità storica a quella contemporanea. Attraverso le diverse visioni e interpretazioni dei sette curatori internazionali coinvolti nel progetto, la rassegna porta a Torino opere importanti e nuovi lavori – molti dei quali appositamente commissionati e prodotti proprio per questo evento – di oltre 50 artisti, già affermati o giovani talenti emergenti, provenienti dalle più diverse aree geografiche. ONE TORINO #1, sarà visibile sino al 12 gennaio 2014. Obiettivo della rassegna – ha detto Sarah Cosulich Canarutto – è proporre un evento di grande richiamo ponendo Torino al centro dell’attenzione internazionale. Il punto di partenza è la consapevolezza che la forza di Artissima è indissolubilmente legata all’energia culturale della città, dei suoi musei e fondazioni, della sua identità contemporanea, del suo ruolo di “produttrice d’arte”. One Torino è un progetto concepito proprio per dare maggiore coesione alle risorse “contemporanee” presenti sul territorio ed è il risultato di un’importante collaborazione tra tutte le istituzioni coinvolte

PARATISSIMA

Vanessa Safavi, Real Life is Elsewhere, 2011. Sand. Dimensions variable ‘Resorts’, Solo exhibition, Kunsthaus Glarus, Glarus, 2011. Installation view. Courtesy the artist and Chert, Berlin.

e dell’unanime e convinto sostegno di tutti gli Enti patrocinatori di Artissima. Questa rassegna è mirata ad allargare l’impatto di Artissima a una durata che supera i quattro giorni della fiera, creando una connessione forte non solo tra le realtà cittadine ma in un’ottica di dialogo e scambio con artisti e istituzioni internazionali. ONE TORINO #1 è accompagnato da un catalogo con testi critici dei curatori, con informazioni sugli artisti e immagini delle opere in mostra. A Palazzo Cavour “Repertory” a cura di Gary Carrion-Murayari; al Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea Premio illy Present Future 2012 – Naufus Andreas Schulze, Ohne Titel, 1986. Acrylic on untreated cotton 200 x 400 cm (2-teilig). Courtesy the artist and Sprüth Magers, Berlin/London

In concomitanza di Artissima, G@P- Galleries at Paratissima è un altra proposta di fiera meno selettiva e autonoma, sistemata all’interno delle arcate storiche dell’ex-Mercato Ortofrutticolo, (geograficamente collocato in prossimità dell’Oval). Nell’intento di rivolgersi ad un target di collezionismo più “giovane”, interessato o anche solo incuriosito dall’Arte Contemporanea, questa Fiera è dedicata ad una trentina di Gallerie, che vogliano sfruttare l’opportunità di esporre e vendere opere d’arte ad un budget controllato. “Paratissima” - proclamano gli organizzatori - vuol essere uno spazio aperto dove poter comprare arte a prezzi sostenibili, dove il collezionista agli inizi, si possa trovare a proprio agio, in un ambiente informale e accogliente. L’unico vincolo di partecipazione richiesto alle Gallerie aderenti, è di esporre nelle cinque giornate dell’evento un massimo di cinque artisti e che le opere in esposizione abbiano un prezzo “massimo” di vendita di 5000 euro.

Andrea Zittel, Personal Panels (Small Black and White Top), 2012. Linen 48.3 x 57.2 cm Stitched label © Andrea Zittel, courtesy Andrea Rosen Gallery, New York. Photo: Jessica Eckart

Ramírez-Figueroa, Vanessa Safavi, Santo Tolone, a cura di Andrew Berardini, Gregor Muir, Beatrix Ruf; alla GAM Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea Ideal Standard Forms, a cura di Anna Colin; alla Fondazione Merz Ways of Working: the Incidental Object a cura di Julieta González; alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo VEERLE a cura di Chris Fitzpatric.

FLASHBACK

Con lo slogan “L’arte è tutta contemporanea” viene proposta la prima edizione di Flashback, una nuova fiera contradditoria dedicata all’arte antica e moderna, negli spazi della Società Promotrice di Belle Arti al Parco del Valentino. Anche qui con una una trentina di Gallerie di specifico settore . L’ambizione di Flashback -affermano le direttrici Stefania Poddighe e Ginevra Pucci - è di imporsi come riferimento per il collezionismo di settore, italiano e straniero, affiancato però da un pubblico più trasversale per il quale la discriminante non è più il periodo di realizzazione dell’opera ma la sua unicità e qualità. Oltre a voler imporre un nuovo standard di mercato per le fiere d’arte antica e moderna, con Flashback vogliamo proporre anche una rimodulazione del gusto del pubblico. I fruitori, a cui ci rivolgiamo in particolare, sono i nostri coetanei, per i quali questo settore è ritenuto meno appetibile. ” OTT/DIC 2013 | 246 segno - 9


>news istituzioni e gallerie< Londra

Frieze Art Fair

di Luciano Marucci - foto Massimo Sala

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on l’11ma edizione Frieze London 2013 si è confermata tra le migliori fiere d’arte. Ormai definita la sua identità, si è connotata come luogo più dichiaratamente culturale che commerciale. Le gallerie prestigiose a livello mondiale hanno colto l’occasione per presentare opere inedite ed abbastanza trasgressive, mentre quelle dei paesi emergenti (Brasile, Cina, Colombia, India, Libano, Corea, Messico, Sudafrica) ne hanno approfittato per acquisire maggiore visibilità sulla scena internazionale. In genere è stato dato rilievo alla forte individualità e, quando si incontravano opere di autori affermati, esse apparivano particolarmente significative e fresche. Vedi Kentridge (Goodmann), Koons (Gagosian N.Y.), Kounellis (Almine Rech), Basilico, Schnabel. Tra le installazioni più vistose quella di Sam Keoghi & Joseph Noonan-Ganley (Kerlin Gallery), con evidenti riferimenti alla natura, e l’altra dell’africana Mechac Gaba (Stevenson) dalle componenti di rilevanza sociale. Impersonale... il candido e gigantesco autoritratto scultoreo dell’americana Jennifer Rubell (S. Friedman), il più fotografato, ma troppo somigliante alle realizzazioni di Marc Quinn. Numerose le esperienze con il medium pittorico. Emblematico il ritorno al pennello (dopo un ventennio) di Paul McCarthy con una grande tela (venduta da Hauser & Wirth per 750.000 dollari). Ridotta la presenza degli stand italiani (De Carlo, Marconi, Noero, Raucci/ Santamaria, T293). Alle sezioni Galleries erano associate Focus con gallerie dall’attività almeno decennale, Frame (Gallerie giovani con personali di artisti da lanciare), Frieze Projects (sette

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creative, è favorito dal temperamento dinamico e dalla conoscenza di più lingue. La disponibilità che lo distingue entra in conflitto con gli impegni che non sempre gli consentono di dare ascolto a quanti cercano di coinvolgerlo in operazioni culturali. Gli chiedo informazioni sulle manifestazioni alla Serpentine Gallery di Londra, di cui è co-direttore con Julia Peyton-Jones e principale promotore delle annuali “maratone” dell’arte.

L’architetto giapponese Sou Fujimoto (courtesy Serpentine Gallery, Londra; ph Davide Vintiner)

Londra

89plus Marathon con la “Diamond Generation” a colloquio con Hans Ulrich Obrist a cura di Luciano Marucci

ra i più attivi investigatori delle ricerche T artistiche interdisciplinari a livello internazionale Hans Ulrich Olbrist ha il merito di sco-

prirle in tempo reale, spesso relazionandole alle ideazioni pionieristiche del passato, e di riuscire a focalizzarle attraverso programmi operativi (eventi espositivi anche itineranti, tavole rotonde, interviste, pubblicazione di libri e articoli) per promuovere conoscenze e accelerare i processi evolutivi del sistema dell’arte. Il suo nomadismo, stimolato dalla passione per le espressioni più 10 - segno 246 | OTT/DIC 2013

LM: Con quali intenti nasce “89plus Marathon”? HUO: Per la prima volta provo a vedere cosa sta facendo la generazione digitale, quella nata dal 1989, anno interessante perché c’è stata la caduta del muro di Berlino, l’introduzione del world wide web, che ha aperto la strada alla fruizione generalizzata di internet, ed è iniziata la polifonia dei centri. Con il collega Simon Castets - giovane curatore statunitense con il quale sto lavorando parecchio - elaborerò un mapping globale di artisti, coreografi, compositori, scienziati… che hanno 24 anni o meno, tutti cresciuti con internet. È dunque una Maratona del futuro, ma intervengono anche personalità di generazioni precedenti che analizzano quella in argomento. Vi partecipa, per esempio, il canadese Douglas Coupland che ha scritto il libro Generation X e stiamo lavorando con il magazine americano DIS. L’idea è di attuare un progetto con residenze, borse di studio, mentoring, pubblicazioni... Abbiamo già cominciato ad Art Basel Hong Kong con un con-

vegno a cui ha preso parte il direttore d’orchestra Claudio Abbado. A Londra ci saranno anche molti web designers e, naturalmente, artisti digitali. I primi risultati si possono consultare nei siti di Art Basel Hong Kong e di DVD. Verranno organizzate pure delle mostre d’arte e una di libri. Come altri miei progetti, svilupperò anche questo in un tempo lungo, 5-10 anni, coinvolgendo Simon Castest per dare corso a una collaborazione reciproca. Per me è stato sempre così. Quando a 22-23 anni ho cominciato a lavorare, sono stato invitato da Kaspar König e ho pensato che in futuro avrei fatto la stessa cosa. È bellissimo stabilire un dialogo transnazionale! Dopo circa 20 anni di attività è giunto il momento di relazionarmi con colleghi più giovani, di aprire alle nuove generazioni e di dare loro un supporto. LM: Il Padiglione temporaneo 2013 adiacente alla “Serpentine”, che evidenzia l’integrazione arte-architettura, come si caratterizza? HUO: Abbiamo invitato il giovane architetto giapponese Sou Fujimoto che ha realizzato una struttura partecipatoria, dove ognuno può interagire secondo diverse direzioni. È una costruzione evanescente, aperta, totalmente trasparente; i dischi che proteggono dalla pioggia sono praticamente invisibili. Quindi è davvero un’esperienza en plein air. C’è il superamento dell’aspetto gravitazionale, così la costruzione sembra volare. È proprio un padiglione nuvola… n


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lavori site-specific, tra cui Family Space dove, per la prima volta, ragazzi sopra i 12 anni e famiglie erano direttamente coinvolte in performances, games, screening. Sculpture Park con 21 opere dislocate nell’English Gardens, in cui si distinguevano quelle di Shoniba- 19 re, Chicago, Elmgreen & Dragset, Plensa, Murillo. Naturalmente anche in questa Fiera vi era la produzione superflua, ma nell’insieme la Frieze non appariva retorica e scontata, così anche i visitatori più esigenti erano attratti da certe novità. Opportuna la sede distaccata di Masters - nata solo l’anno scorso e complementare alla attigua sede centrale che delineava un percorso ordinato, documentando in modo attendibile l’evoluzione delle arti visive fino ai nostri giorni. Ovviamente si trattava soprattutto di opere bidimensionali, ma di alta qualità, difficili da trovare in circolazione, allestite in ampi spazi che conferivano loro dignità museale affermando la continuità antropologica dell’attività creativa tra moderno e contemporaneo. Numerose e di ottima scelta le opere di Manzoni, Fontana, Melotti. La figurazione dell’arte antica e i manufatti più o meno esotici facevano valere il loro peso storico e finivano per riaffermare l’aspetto mercantile. Le più giovanili personali di Spotlight - che includevano la nostra Anna Maria Maiolino (Millan Gallery)- risultavano piuttosto isolate, nè l’autorevolezza di Nancy Spero (Lelong), Joseph Kosuth (S. Kelly), Gordon Matta Clark (Solomon), riuscivano a dare consistenza al contesto.

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Serpentine Gallery, Padiglione 2013 progettato dall’architetto Sou Fujimoto (courtesy dell’autore e della Serpentine Gallery di Londra; ph Iwan Baan)

1. Valentin Carron, Ciao nr.4, 2012, dietro Jon Pestoni, No Harm Done, 2013. David Kordansky Gallery, Los Angeles. 2. Adam McEwen, Bier, 2013. The Modern Institute, Glasgow. 3. Do Ho Suh, Secret garden, 2012. Lehmann Maupin, New York, Hong Kong. 4. Barbara Kruger, Untitled (Endless war / You will live forever), 2006. Sprüth Magers Gallery Berlin. 5. Doug Aitken, You/You, 2012. 303 Gallery New York. 6. Dan Graham, Groovy Spiral, 2013. Lisson Gallery London Milan Newyork. 7. Elmgreen & Dragset. Galleria Massimo De Carlo Milano Londra. 8. Navid Nuur, Untitled (Abracadabra), 2009-2013. Galerie Max Hetzler Berlin. 9. Roe Ethridge, Louise Blowing a bubble, 2013. Gall Andrew Kreps New York. 10. Eduardo T. Basualdo, Galleria. PSM Berlin - Sezione Frame. 11. George Baselitz, Yellow Song, 2013, dietro Was ist aus Trotzki geworden?, 2013. Galerie Thaddaeus Ropac, paris sazburg. 12. Victoria Miro, London. 13. Amalia Pica, Catachresis #45, 2013. Galerie Johann König, Berlin. 14. Roman Ondák, Retreat, 2012. Galerie Martin Janda, Wien. 15. Petra Feriancova. amt_project, Bratislava - Sezione Frame. 16. White Cube, Hong Kong London São Paulo. 17. Jack Lavender, The Approach London. 18. Galleria Franco Noero, Torino. 19. Leonor Antunes, Discrepâncias com T.P. (II), 2012. Galeria Luisa Strina São Paulo. 20. Jennifer Rubell, Portrait of the artist, 2013. 21. Allora & Calzadilla, Intermission (Halloween Afghanistan Interior III), 2013. Galerie Chantal Crousel. 22. Gavin Brown’s enterprise, New York. 23. Adrian Villar Rojas, Marian Goodman Gallery, New York. 24. Jeff Koons. 25. Helio Oiticica & Neville D’Almeida, Cosmcoca, 1973. A Gentil Carioca, Rio de Janeiro. 26. Kyung A Ham, SMS Series / Greedy is good, 20122013. Kukje Gallery Seoul. 27. Gallery Limoncello London - Sezione Focus. 28. Djordje Ozbolt, Made in Africa (assembled in China).Herald St London. 29. Simon Denny, Galleria T293 Napoli, Roma. 30. Hollybush Gardens, London - Sezione Focus. 31. Christian Flamm, Verso Ovest, 2013. Galleria Fonti, Napoli - Sezione Focus.

OTT/DIC 2013 | 246 segno - 11


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Pollock e gli “Irascibili”

Palazzo Reale di Milano ivoluzione artistica, rottura col passato, sperimentazione, energia: questi i concetti espressi R nella mostra Pollock e gli irascibili a Palazzo Reale

di Milano. Un gruppo di 18 artisti, guidati dal carismatico Pollock, e definiti “Irascibili” da un celeberrimo episodio di protesta nei confronti del Metropolitan Museum of Art, seppero re-interpretare la tela come uno spazio per la libertà di pensiero e di azione dell’individuo, dando vita a quella che poi fu chiamata “la Scuola di New York”: un fenomeno unico, che caratterizzò l’America del dopoguerra e che influenzò l’Arte Moderna in tutto il mondo. La mostra, che consta di oltre 60 capolavori provenienti dal Whitney Museum di New York, apre le celebrazione dell’“Autunno Americano” a Milano. Guest star della mostra l’opera Number 27 di Pollock, forse il suo quadro più famoso: la delicatezza e la fragilità di questo olio, nonché le sue dimensioni straordinarie - circa tre metri di lunghezza rendono normalmente impossibile il prestito. Per l’“Autunno Americano” del Comune di Milano, il Whitney Museum ha eccezionalmente acconsentito a fare viaggiare quest’opera, alla quale è dedicata un’intera sala di Palazzo Reale. Le altre opere sono di Arshile Gorky, David Smith, Franz Kline, Willem de Kooning, Helen Frankenthaler, Adolph Gottlieb, Barnett Newman, Ad Reinhardt, Clyfford Still, Richard Pousette-Dart, William Baziotes, Hedda Sterne, Lea Krasner, Robert Motherwell, Hans Holmann, Mark Rothko, La mostra, curata da Carter Foster con la collaborazione di Luca Beatrice, è prodotta ed organizzata da Arthemisia Group e 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, in collaborazione con il Whitney Museum di New York. Fino al 16 febbraio 2014. Jackson Pollock Number 27, 1950. Olio, smalto e pittura di alluminio su tela, 124,6 x 269,4 cm. © Whitney Museum of American Art

al rapporto tra alcuni dei maggiori artisti italiani contemporanei e Duchamp è curata da Carla Subrizi, autrice in catalogo di un esaustivo saggio che ricompone il quadro storico-artistico di quegli anni. L’importanza dell’evento vede la sinergia di quattro tra le più importanti aziende nell’editoria d’arte e nell’organizzazione di grandi mostre a livello nazionale: una straordinaria collaborazione di Electa e Civita, da anni impegnate in qualità di concessionarie dei servizi della Galleria, con Arthemisia Group e 24 ORE Cultura - Gruppo 24 ORE. Sulla mostra e del suo percorso, pubblicheremo un servizio sul prossimo numero.

JanFabre, Stigmata. MAXXI, Roma. ph. MusacchioIanniello

Marcel Duchamp, Ruota di bicicletta, 1913 (1964) ready-made: ruota di bicicletta con forcella montata su sgabello di legno dipinto. Roma, Galleria nazionale d’arte moderna, 1998, dono di Arturo Schwarz, © Succession Marcel Duchamp, by SIAE 2013, Archivio Fotografico Soprintendenza alla Galleria nazionale d’arte moderna, foto Giuseppe Schiavinotto

Jan Fabre Stigmata MAXXI, Roma

Marcel Duchamp P Galleria nazionale d’arte moderna, Roma

uchamp. Re-made in Italy”, è l’omaggio all’artista più discusso del ‘900, 50 anni “D dopo il suo viaggio in Italia e 100 anni dopo la cre-

azione del primo ready-made: “Ruota di bicicletta” (1913). La Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma propone una mostra che verte sulle opere storiche di Duchamp, facenti parte del lascito di Arturo Schwarz. È anche l’occasione per raccontare la storia del passaggio espositivo dell’artista in Italia nel 1964 e 1965, e delle conseguenze che questo ha comportato sul lavoro di alcuni artisti italiani entrati in contatto diretto con lui. Il percorso si focalizza quindi su due importanti appuntamenti di quegli anni: la mostra a Milano presso la Galleria Schwarz, dal 5 giugno al 30 settembre del 1964, e l’esposizione realizzata a Roma presso lo spazio Gavina di via Condotti, nel giugno 1965, con l’allestimento di Carlo Scarpa. Già nel settembre del 1962, Marcel Duchamp aveva accettato l’invito di Arturo Schwarz di venire a Milano e, in quell’occasione, incontra alcuni artisti italiani, tra i quali Enrico Baj e Sergio Dangelo, protagonisti del Movimento Nucleare fondato nel 1951, e il pittore Gianfranco Baruchello, che diventerà un suo caro amico. La mostra è curata da Stefano Cecchetto, Giovanna Coltelli e Marcella Cossu con l’allestimento di Alessandro Maria Liguori. La sezione dedicata 12 - segno 246 | OTT/DIC 2013

iù di 800 tra documenti, opere e elementi residuali delle performance realizzate da Jan Fabre dal 1976 a oggi su 91 tavoli trasparenti che invadono gli spazi del MAXXI. È Jan Fabre. Stigmata. Actions & Performances 1976-2013 a cura di Germano Celant la prima grande retrospettiva italiana dedicata all’artista belga. Su ognuno dei 91 tavoli, che richiamano i piani di lavoro in vetro su cui la-

vora l’artista nel suo studio, sono disposti, in modo da formare dei piccoli racconti, disegni, thinking models, collages, film, foto, documenti e oggetti iconici come costumi e sculture, delle decine di performance e di azioni, sia private che​pubbliche, realizzate da Jan Fabre a partire dal 1976. I tavoli sono allestiti in modo da coprire l’intera superficie della galleria espositiva seguendo, proprio come un fiume, il dislivello del pavimento. Senza distinzione tra gli oggetti, con un semplice andamento cronologico, JAN FABRE. STIGMATA. Actions & Performances 1976-2013 non si limita a presentare delle opere, ma vuole restituire quella “modalità di pensiero” che ha portato Fabre a realizzare i suoi lavori, sottolineando anche quella febbre narrativa che spesso accompagna gli artisti che realizzano performance, opere che “fisicamente” non esistono se non nella loro documentazione. Jan Fabre è tra i più interessanti artisti contemporanei che pensa alla performance come una esplorazione dei limiti, delle azioni e delle reazioni del corpo, sia interne che esterne: dalle prime azioni come Money Performance del 1979 e Ilad of the Bic-Art, the Bic-Art Room del 1981, passando per Sanguis/Mantis presentato al Festival Polysonnieres di Lione nel 2001, fino alle ultime prove come Virgin/Warrior performance realizzata con Marina Abramović al Palais de Tokyo di Parigi nel 2004; e ancora video, disegni e tele segnate ossessivamente con una penna a sfera blu, i disegni della serie My body, my blood, my landscape realizzati con il suo sangue nel 1978, JAN FABRE. STIGMATA. Actions & Performances 1976-2013 presenta un corpus ricchissimo di lavori simile a un flusso di pensieri, un viaggio nella memoria dell’artista che avvolge gli spettatori proprio come gli spazi fluidi dell’architettura disegnata da Zaha Hadid. Fino al 16 febbraio 2014.

JanFabre, Stigmata. MAXXI, Roma. ph. MusacchioIanniello


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Francesco Clemente, White and red, 2004. cm. 76,2x101,6 - olio su tela. Courtesy Fondazione MAXXI, Roma

Francesco Clemente

Palazzo Sant’Elia, Palermo urata da Achille Bonito Oliva, promossa dalla Provincia Regionale di Palermo e organizzata C in collaborazione con Civita, la personale di Fran-

cesco Clemente offre l’occasione di ospitare per la prima volta in Sicilia l’opera di uno degli artisti italiani più noti e apprezzati a livello internazionale. Nei prestigiosi saloni di Palazzo sant’Elia la mostra

Francesco Clemente, Origin, 2004. cm. 76,2x101,6 - olio su tela. Courtesy Fondazione MAXXI, Roma

raccoglie, dal 24 novembre 2013 al 2 marzo 2014, una sessantina di opere rappresentative dei temi, delle scelte iconografiche e delle problematiche linguistiche, con le quali l’artista si è confrontato dalla metà degli anni 80 a oggi e, in particolare, negli ultimi 20 anni di attività segnati da importanti retrospettive al Guggenheim Museum di New York e Bilbao. Il percorso espositivo segue la riflessione dell’artista e il suo procedere per cicli successivi di lavoro, nei quali i lunghi soggiorni in India e i viaggi in Europa, nei Caraibi, Egitto, Sud America, Giamaica danno vita - come scrive Bonito Oliva - a un vocabolario costantemente in divenire. Un grande laboratorio di ideogrammi ed emblemi apotropaici, in cui gli opposti convivono, di simbologie e associazioni spesso messe in scena dall’artista attraverso il proprio autoritratto, che dalla fine degli anni 70 costituisce la cifra della sua poetica. Tra le opere proposte in mostra: il trittico Crown (1988, Collezione permanente MAXXI Arte, Roma), che richiama la corona di spine, simbolo della passione di Cristo; Place of Power I (1989, Museo Madre - Fondazione Donnaregina,Napoli), ispirato alle camere funerarie della Valle dei Re visitate dall’artista a fine 1986; i quadri della serie Tandoori Satori (2003-2004), che coniugano il Buddismo Zen e la cucina dell’Asia meridionale con le stilizzazioni underground della New York anni ottanta segnata dalla pittura di Keith Haring. Il catalogo, edito da Giampaolo Prearo, Milano, e concepito da Francesco Clemente in collaborazione con lo studio grafico londinese Inventory Studio, è corredato dai saggi critici di Achille Bonito Oliva e Francesco Gallo Mazzeo.

Thomas Schütte

Fondation Beyeler, Basilea ra gli artisti più interessanti della sua generazione, Thomas Schütte (Oldenburg 1954) T si rifà alla tradizione della statuaria e crea figure

LIVORNO

> Galleria Peccolo, Trascrizioni sul corpo. Mostra a cura di Simona Caramia. Nella pratica più recente dell’arte, il corpo - proprio o altrui - diventa materia da plasmare e su cui intervenire, attraverso il quale veicolare messaggi di grande immediatezza. La mostra analizza il ruolo del corpo, come oggetto/soggetto all’interno del contesto socio-politico con opere di Karin Andersen & Christian Rainer, Tania Brasseco & Lazlo Passi Norberto, Giulia Caira, Corpicrudi, Danilo De Mitri, Antonella Gandini, Robert Gligorov, Urs Luthi, Charlotte Moorman, Orlan, Jo Spence, Elvira Todaro, Michele Zaza.

BERGAMO

> Gamec. Luciano Fabro. Disegno in-opera a cura di Giacinto Di Pietrantonio In collaborazione con Silvia Fabro. 

La mostra presenta per la prima volta un ricco nucleo di disegni di Luciano Fabro, che si confermano parte integrante e irrinunciabile del corpus dell’opera dell’artista. Disegni in cui è esplicito il riferimento alla scultura come campo di indagine e di sperimentazione.
Accanto ad essi una selezione di grandi opere - tra cui sculture e habitat. Realizzata in collaborazione con il Centro Italiano Arte Contemporanea di Foligno, che la ospiterà il prossimo anno, la mostra si avvale di un
catalogo - edito da Silvana Editoriale - che include testi critici di curatori, storici dell’arte e artisti che hanno conosciuto e lavorato con Luciano Fabro e quattro sue lezioni sul disegno - di cui due inedite - che forniscono una chiave di lettura preziosa dei disegni e della sua opera in generale. > Nella stessa sede, prima personale dell’artista croato David Maljković, a cura di Alessandro Rabottini e Andrea Viliani, con installazioni scenografiche
a vocazione retrospettiva affidata a una serie di collage fotografici che l’artista ha creato per questa mostra a Bergamo, nella quale immagini di lavori realizzati nel corso della sua carriera sono sovrapposte, quasi condensate, per costruire una mappatura visiva e concettuale della sua pratica artistica.

CASSINO

Nell’ambito delle attività di inaugurazione del CAMUSAC, Cassino Museo di Arte Contemporanea, è stata aperta una mostra dedicata ad opere di Enrico Castellani e al giovane scultore giapponese Shigeru SaiShigeru Saito, Composito, 2012

to. Questo nuovo spazio museale, creato con impegno e passione da Sergio e Maria Longo, e affidato alla direzione artistica di Bruno Corà, è stato ricavato da ex strutture industriali, e comprende anche l’attuale sede della collezione di scultura nel parco adiacente, formando insieme una dotazione di opere di oltre duecento artisti contemporanei, fra i quali Giovanni Anselmo, Nobuyoshi Araki, Bizhan Bassiri, Alighiero Boetti, Louise Bourgeois, Pedro Cabrita Reis, Enrico Castellani, Antonio Gatto, Jannis Kounellis, Sol LeWitt, Jason Martin, Eliseo Mattiacci, Mario Merz, Vittorio Messina, Nunzio, Luigi Ontani, Julian Opie, Giulio Paolini, Giuseppe Penone, Beverly Pepper, Michelangelo Pistoletto, Renato Ranaldi, Marco Tirelli, David Tremlett.

PESCARA

> Aurum. Sala D’Annunzio. Ad un anno dalla scomparsa del suo fondatore Corrado Gizzi, la Fondazione Casa di Dante in Abruzzo, propone la 34a edizione con una mostra dedicata alle “donne del Paradiso” interpretate da otto artisti invitati dal curatore e storico dell’arte Giorgio Di Genova: Edi Brancolini, Franco Cilia, Giulio De Mitri, Danilo Fusi, Impero Nigiani, Romano Notari, Teresa Noto e Luminita Taranu.

ROMA

>MACRO Museo d’Arte Contemporanea di Roma. Dal 29 novembre, Giulio Paolini con 12 grandi installazioni ideate dall’artista a partire dai primi anni ‘90 fino ad oggi, con un’opera nuova pensata appositamente sul tema Essere o non essere che sviluppa l’intero percorso espositivo. > Dalla stessa data, Renato Mambor, con circa 30 opere, quale Atto unico che distingue la sua ricerca iconica e oggettuale sul tema dello sconfinamento tra arte e vita, che l’artista ricerca trasformando il suo fare arte in un laboratorio teatrale permanente. > MACRO Testaccio. Quarta edizione di Digital life - Liquid landscapes la rassegna dedicata alle connessioni fra i linguaggi artistici contemporanei e le nuove tecnologie. Gli artisti proposti sono Pietro Babina, Carlo Bernardini, Michale Bogamin, Mattia Casalegno, Carlos Granklin, Donato Piccolo, Roberto Pugliese, Daniele Puppi (al MAXXI), Quiet Ensemble, Marco Maria, Giuseppe Scifo, Paul Thorel, Devis Venturelli, Aurelien Verhes-Lermusiaux.

TORINO

> GAM, Surprise è il ciclo espositivo annuale di appuntamenti dedicati ad aspetti specifici della ricerca artistica torinese tra gli anni Sessanta e Settanta, a cura di Maria Teresa Roberto. Per il quinto appuntamento la proposta è dedicata a Max Pellegrini con opere degli anni sessanta di ispirazione Pop.

Thomas Schütte,
Walser’s Wife, 2011 Lacquer on aluminium
65 x 38 x 54 cm © 2013, ProLitteris, Zurich Photo: Luise Heuter

e teste che per forza di seduzione e processo creativo sono di una inequivocabile attualità. Il gioco magistrale tra grande e piccolo, tra monumentalità e intimità porta le figure di Schütte da molti anni anche negli spazi pubblici, dove esse sono visibili a tutti, spettatori o passanti. Sono parte integrante dell’esposizione anche sculture collocate all’aperto, come nella consuetudine della Fondation Beyeler. Il disegno è un filo conduttore che attraversa tutta l’opera di Thomas Schütte, che con acquerelli e disegni, tracciati di getto come schizzi, sembrano visioni di un mondo immaginario libero dalla pesantezza materiale della scultura. La mostra include diverse serie di disegni incentrati sul tema della figura umana. La mostra, aperta fino al 2 febbraio 2014, è a cura di Theodora Vischer, Senior Curator della Fondation Beyeler. > La Fondazione Merz presenta nei propri spazi espositivi Alfredo Jaar. Una personale di un indiscusso protagonista dell’arte di oggi, a cura di Claudia Gioia. Rappresentante del padiglione cileno alla 55 Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia e artista scelto per l’edizione 2013 della rassegna di arte pubblica torinese Luci d’Artista, Alfredo Jaar (Santiago del Cile, 1956) per la Fondazione Merz ha ideato un Max Pellegrini nuovo progetto giocato sul concetto di riflesso e di riflessione che, nel solco del suo interesse per la relazione tra cultura e vita democratica, interroga il senso della memoria e dell’impegno politico degli anni Sessanta e Settanta, non per commemorare, ma per tornare a promuovere la cultura come fattore di cambiamento. La mostra, composta da circa 60 opere, ha inizio con una grande installazione costituita da milioni di pezzi di vetro e specchio che coprono quasi interamente il pavimento della Fondazione. Lo spettatore, camminando su una distesa riflettente di macerie che è anche spazio della memoria, è invitato a ripensare ai momenti difficili della storia collettiva, e allo stesso tempo si ritrova a compiere un esercizio di conoscenza di se stesso. Ciò che rimane degli insegnamenti, del giudizio della storia, delle rovine, diventa la base per la rinascita e la spinta per il riscatto. Nel percorso alcune pareti della Fondazione si coprono interamente di lavori realizzati da Alfredo Jaar a partire dai primi anni Settanta fino ad alcuni ideati appositamente per la mostra. Opere dedicate ad Antonio Gramsci, Pier Paolo Pasolini, Giuseppe Ungaretti, alla denuncia delle dittature in America Latina Alfredo Jaar, M’illumino e all’impegno politico degli d’immenso, 2009 anni Sessante e Settanta, Courtesy of the artist, New York si combinano con altre di and Galleria Lia Rumma, Milano artisti come Mario Merz, Yoko Ono, Nancy Spero, Gerhard Richter, Fabio Mauri, Yves Klein, Joseph Kosuth, Michelangelo Pistoletto, Hans Haacke, Alighiero Boetti, personalità che con il loro percorso non smettono mai di interrogare il mondo. OTT/DIC 2013 | 246 segno - 13



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ARTECINEMA / NAPOLI

Anche la 18ª edizione di Artecinema, Festival Internazionale di Film sull’Arte Contemporanea, curato da Laura Trisorio, si è confermata ricca di interessi per la sua specificità, accogliendo in un unico evento di pochi giorni, una folta schiera di appassionati ed esperti sia al Teatro San Carlo, per la serata inaugurale, che al Teatro Augusteo nei giorni successivi. Una ventina i documentari presentati sui maggiori artisti, architetti e fotografi della scena internazionale, suddivisi nelle sezioni Arte e Dintorni, Architettura, Fotografia. Tra i primi filmati, quello di Anri Sala sull’artista Edi Rama, attuale Primo Ministro d’Albania ed ex sindaco di Tirana, che cerca di stimolare, attraverso l’arte, nei propri cittadini, il senso del bene comune e la speranza di un cambiamento, facendo tingere i palazzi con fantasie patchwork. Naturalmente bellissime le pellicole su alcuni grandi personaggi della pittura, come Salvator Dalì ad opera di Francois Lévy-Huentz, di Carrol Moore su Mirò, di Jan-Pierre Devillers su Edward Hopper, di Chris Teerink su Sol LeWitt. Altre pellicole avvincenti, quelle sulla sulla vita di Costantin Brancusi, Daniel Buren, John Cage. Particolare emozione per il documentario di Giorgio Treves che ricostruisce la carriera di Gino De Dominicis (L’immortale) attraverso le sue opere e le testimonianze di Bonito Oliva, Maurizio Calvesi, Fabrizio Lemme, Fabio Sargentini, Vittorio Sgarbi, Italo Tomassoni. Grande curiosità infine nella pellicola sul museo itinerante MuMo di Gilles Coudert destinato ai bambini per il quale 16 artisti di fama internazionale, fra cui Maurizio Cattelan, John Baldessari, Daniel Buren, James Turrell, Ghada Amer e Chéri Samba, hanno lavorato sul tema sociale del vivere insieme. Su aspetti più concettuali si snoda il film di Stan Neumann che mette in discussione il concetto stesso della creazione artistica, attraverso opere e meriti di artisti d’avanguardia come Jan Dibbets, Peter Fischli e David Weiss, autori il cui linguaggio fotografico ed uso diventa sempre più semplice espressione figurativa. Nella sezione prettamente dedicata alla fotografia, focus su Martin Parr, Henri Cartier-Bresson, Andres Serrano e Gregory Crewdson, artista alla ricerca di una sola immagine perfetta attraverso l’allestimento di interi set cinematografici. Nella sezione dedicata all’architettura, grande interesse sugli architetti australiani Robert McBride e Debbie Rayan, ma soprattutto su Antony Gaudí e sul progetto della Sagrada Familia - El Misteri De La Creacio di Stefan Haup.

ATTIVITÀ ESPOSITIVE - ottobre-dicembre 2013 BARI

> Molfetta, Torrione Passari, personali di Nagasawa e Luigi Presicce

BIELLA

> Fondazione Zegna a Trivero. Per la quinta edizione di ALL’APERTO a cura di Andrea Zegna e Barbara CasavecNagasawa chia, installazione Visione di Ezechiele, permanente di 2011 Marcello Maloberti, I baci più dolci del vino.

BOLOGNA

> MAMbo, La grande Magia. Opere scelte dalla Collezione UniCredit > Galleria Astuni, Negative Capability, Lavori di 
Carla Galleria Astuni Accardi, Pier Photo M.Ravenna Paolo Calzolari, Anetta Mona Chisa & Lucia Tkáčová, Peter Halley, Reinhard Mucha, Giulio Paolini. > Galleria Oltredimore. Nella nuova sede, Maziar Mokhtari, giovane artista iraniano. > Spazio ABC, Ryan Mendoza, 15 opere inedite raccolte nel titolo Chromophobia

BRESCIA

> Galleria Massimo Minini, Monica Bonvicini, Then to see the days again and night never never be too high.

GENOVA

> Pinksummer, Luca Vitone, Per l’eternità.

LA SPEZIA Monica Bonvicini, Brescia

> Cardelli & Fontana, Sarzana, Mirco Marchelli, Ballabili miniati.

FIRENZE

> TornabuoniArte. Nuova sede espositiva con la mostra “Bianco Italia” raccolta di opere per Luca Vitone, Genova celebrare gli artisti italiani contemporanei che hanno posto il tema del “non colore” al centro della propria ricerca. Da Manzoni a Fontana, da Burri a Boetti e CastelMirco Marchelli, Ballabile miniato, 2013 lani. La Spezia

MILANO

> Arte Studio Invernizzi, David Tremlett e Michel Verjux > Galleria Bonelli, Giuseppe Gonella, Involved > Cardi Black Box, Nicolas Pol, 17 new works > Galleria Raffaella Cortese, Helen Mirra, Hourly Field Notes > Galleria P.Curti/A.Gambuzzi, Greg Bogin, Companion series > Galleria Monica De Cardenas, Barbara Probst, Fotografie; Benjamin Senior, giovane pittore inglese. > Galleria Massimo De Carlo, Kaari Upson Sleep with the key > Galleria Giò Marconi, Lucie Stahi Fredrik Vaerslev > Galleria Giacomo Guidi, Nahum Tevet, Islands > Studio Guenzani, Matteo Rubbi. Paesaggi-puzzle e costellazioni antropomorfe in una mostra in divenire. > Lisson Gallery, Fred Sandback. Selezione storica di lavori dell’artista americano. Jason Martin, nuova serie di opere in rame e nichel > Galleria Lorenzelli, Omaggio a Ronnie Cutrone, recentemente scomparso. > Marcorossi Arte Contemporanea. In contemporanea con la galleria di Verona, personale Kaari Upson di Arcangelo con circa 60 opere su carta, tela e sculture in cera. > Primo Marella Gallery, collettiva di 4 giovani artisti, Alessandro Brighetti, Donato Piccolo, FranceG.Gonella sco Fonassi, Voldemars Johansons, nella mostra Images du futur > Francesca Minini, Matthias Bitzer, Amherst/ Ether/Fields > Galleria Milano, Matthias Bitzer Luca Vitone, Non siamo mai soli > Fondazione Mudima, Thomas Lange, Dipinti recenti > Mimmo ScognaGreg Bogin miglio, Il lato umano della fotografia. Opere di Maddalena Ambrosio, Nobuyoshi Araki, Daniel Canogar, Matteo Rubbi Carlo Fei, Mario Giacomelli, Nan Nicolas Pol Goldin, Robert Mapplethorpe, Yasumasa Morimura, Erwin Olaf, Annee’ Olofsson, Susan

Paulsen, George Platt-lynes, Andres Serrano, Johnnie Shand-kydd, Cindy Sherman, Spencer Tunick. > Christian Stein, Zero Avantgarde 19652013. Straordinario “remake” dedicato al Gruppo Zero anche oggi a cura di Nanda Vigo. Circa 60 opere e notevole catalogo con saggio critico di Marco Meneguzzo. > Fondazione Trussardi, Palazzo Cusani, Allora & Calzadilla, Fault lines

NAPOLI

> Galleria Lia Rumma, Anselm Kiefer Walther von der Vogelweide fur Lia

Anselm Kiefer

> Umberto Di Marino, personale del piemontese Eugenio Tibaldi,

PESCARA

> Galleria Vistamare, Pavel Buchler. > Galleria Cesare Manzo, Sabrina D’Alessandro, URPS > Galleria Pentagono, Tommaso Cascella CalenDiario, progetto con 365 piccoli quadri.

PIACENZA

>Placentia Arte, Roberto Ago, Tra la terra e il cielo

RAGUSA

> Laveronica Arte Contemp, Modica. Mostra di esordio per due giovani artiste: Claudia Ponzi con una video installazione: Barbara Baiocchi con una serie fotografica.

> Galerie Henze & Ketterer & Triebold Dario Basso, De lo que crece. Dario Basso

BEDBURG-HAU

> Museum Schloss Moyland, Katharina Sieverding, Weltlinie 1968-2013

BERLINO

> Galerie Buchmann, Des Hughes, Rust never sleeps. > Galleria Paolo Erbetta, Alessio Delfino, “Rèves/ Des Hughes Dreams”. Alessio Delfino

LONDRA

> Serpentine Gallery, Marisa Merz Dopo il Leon d’oro alla carriera alla Biennale di Venezia, Marisa Merz è protagonista di una retrospettiva con una serie di Marisa Merz sculture, dipinti e installazioni creati in 50 anni di produzione. La mostra è realizzata in collaborazione con la Fondazione Merz Rob Pruitt > Galleria Massimo De Carlo, Rob Pruitt, The Suicide paintings > Ronchini Gallery, Alexander Calder e Fausto Melotti. Calder/Melotti

NEW YORK

> MOMA, Magritte, The mystery of th ordinary 1926-1938 80 opere, collages, oggetti e una selezione di fotografie.La mostra sarà trasferita al The Menil Collection, Houston (February 14–June 1, 2014), e successivamente al The Art Institute of Chicago (June 29– October 12, 2014). > Gagosian Gallery, Willem De Kooning, Ten paintings 1983-1985

PARIGI

> Galerie Pièce Donald Sultan, Unique, Donald Lantern Flowers Grey Sultan Echos. and White, 2012

SALERNO

> Galleria Tiziana Di Caro, Maxime Rossi, Kemosabe > Linee Contemporanee, Wanda Fiscina, Progettazione di intenti

TORINO

Barbara Baiocchi Claudia Ponzi

ROMA

>Unosunove arte contemporanea: Jonathan VanDyke, Oltre l’oblio >De Crescenzo/Viesti, Davide Dormino Lontanodentro >Annamarracontemporanea, Paolo Radi, Alzando lo sguardo > smART-polo per l’arte, nuovo spazio espositivo nel quartiere Trieste, con una personale del fiorentino Giacomo Costa. > Galleria Marie-Laure Fleisch. Per la prima volta in Italia il lavoro dell’austriaco Nikolaus Gansterer. con il titolo Thinking Matters, laboratorio ambientale con disegni, sculture e video > Gallery of Art Temple University. Equilibti Instabili, mostra di opere di Stefania Fabrizi, Emauela Fiorelli, Licia Galizia, Adele Lotito, Claudia Peill, Anna Romanello, Barbara Salvucci.

> Guido Costa Projects, Pesca alla trota in America. John Baldessari, “Throwing Four Balls In The Air To Get A Square”, 1972/73, 8 color photographs mounted on board. > Noire Gallery, Stefano John Baldessari Cerio, Chinese fun. Fotografie di Olivo Barbieri nella sede di San Sebastiano, fino al 31 genn. > PAV/Parco Arte Vivente, Botto&Bruno e Laura Viale, Unicum > Galleria Giorgio Persano, Lawrence Weiner, Mens rea > Galleria CO2. The cock-crow è la mostra inaugurale della nuova sede della galleria già operante a Ettore Favini Roma. Gli artisti proposti sono Giulio Delvè, Andrea Dojmi, Ettore Favini, Helena Hladilova, Ilja Karilampi, Gianni Politi, Mike Ruiz, Samara Scott, Jesse Wine. OTT/DIC 2013 | 246 segno - 15


SPECIALE BIENNALE Di VENEZIA

Un’Epica della Non Storia di Paolo Balmas

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on il suo “Palazzo Enciclopedico” Massimiliano Gioni, a prima vista, sembra aver seguito una strategia curatoriale omologa a quella consolidatasi nelle più recenti edizioni della Biennale: dare effettiva centralità al tema generale proposto e, nel far questo, ridimensionare l’ormai obsoleto schema che chiedeva al direttore della manifestazione veneziana di comportarsi ad un tempo come un demiurgo (che da forma al presente individuando gli artisti più interessanti) e come un profeta (che scommette su quali siano le poetiche destinate ad improntare di se l’arte a venire). A guardar bene però Gioni ha fatto molto di più, scegliendo, infatti, di raccogliere solo immagini relative all’antico incoercibile desiderio umano di documentare e riordinare tutto lo scibile, egli ha dato vita ad una sorta di Epica della Non Storia, entro cui diviene possibile arruolare idealmente un’immensa armata di eroi silenziosi distribuiti su di un fronte ubiquo ed intemporale, quello della lotta alla disgregazione della soggettività intesa come possibile conseguenza dell’accumulo del sapere. Ne è nato uno schieramento, impossibile da uniformare fino in fondo ma ricco di tensioni strutturali, entro il quale i giovani artisti che da tempo il nostro curatore va seguendo si sono trovati a convivere non solo con più maturi colleghi chiamati ad avallare la loro rilevanza, ma anche con un’ incredibile quantità di produttori di immagini a vario titolo ( dall’utopista ingenuo allo sciamano sentenzioso, dallo scienziato trasgessivo all’artigiano maniacale, dal dilettante solitario al guaritore geniale, dal credente fanatico al visionario ispirato) tutti accomunati da una stessa inconsapevole o comunque pacata marginalità rispetto al sistema ufficiale dell’arte contemporanea. Che senso abbia questo schieramento così apparentemente eterogeneo, in cui arte e non arte provano, a loro rischio e pericolo, a fecondarsi a vicenda, lo si comincia a capire meglio se si riflette su quale sia oggi il peggior nemico della ricerca artistica, la trappola più micidiale da cui l’immaginazione visiva deve difendersi con più vigore per mantenersi libera e vitale. Se è vero, infatti, che tale nemico non può che essere quell’inesausta proliferazione di immagini, funzionali al potere finanziario e veicolate da ogni tipo di media, che ruota ogni giorno, in un crescendo assordante, attorno ai nostri residui sogni di bellezza e di felicità sarà altrettanto vero che una simile invasione aliena non può che essere combatuta con armi uguali e contrarie alle sue. Il nemico si rigenera in continuazione eludendo ogni forma di di direzionalità progettante? Bene, proviamo ad opporgli il fascino di tutti i progetti di circolarità della conoscenza di cui riusciamo ad avere notizia in epoca recente. Il nemico si mantiene eternamente in superfice galleggiando sulla perdita di sostanza della realtà? Proviamo ad opporgli tutti i tentativia noi noti di tradurre in immagine l’esperienza del trascendimento del quotidiano sia in senso introspettivo che cosmico. Il nemico indirizza la nostra energia desiderante verso un mondo di stereotipi vincenti ottenuti depurando della sua carica di fisicità la comue esperienza erotica? Proviamo a riavvicinarci al corpo umano attraverso le immagini più analiticamente vicine alla pura fisicità che riusciamo a reperire. Il nemico sta cercando di indirizzarci verso un uso della rete inibitorio nei confronti delle differenze tra le singole personalità dei

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suoi utenti? Opponiamogli l’infinito gioco di rimandi trasgressivi e trasversali fin qui posto in essere dagli utenti più fortemente suggestionati dalle fantasmagoriche possibilità di incremento della conoscenza offerte dalWeb. E via dicendo…la caccia alle omologie inverse è aperta, la medicina comincia a fare il suo effetto. Fin qui quello che ho apprezzato di più e che credo di aver capito. Ma c’è anche qualcosa che non va? Che non quadra? Che non mi è piaciuto? Su piano teorico, a dire il vero, intravedo non pochi dubbi che andrebbero sviluppati in tempi e spazi di cui qui non dispongo. Sul piano intuitivo, invece, c’è soprattutto una obiezione che si fa avanti: il desiderio di sistematizzare e imbrigliare le conoscenze umane, si è presentato sullo scenario del mondo, dal 1900 in poi, anche secondo forme di sensibiltà che non tendono alla richiusura, alla formalizzazione, alla definitezza, alla circolarità, ovvero secondo i modi e tempi di u’immaginazione dinamica e sbilanciata, magari legata ad entusiasmi filotecnologici e suggestioni fantascientifiche difficili da isolare rispetto ai paradigmi ideologci del Moderno, ma sicuramente ricche indicazioni e traboccanti di debolezze, ingenuità, ossessioni, deviazioni e altre insostituibili qualità umane. Perché anche questo tipo di immaginario non ha trovato posto nel Palazzo Enciclopedico di Massimiliano Gioni? n

Enciclopedismo e globalismo di propaganda? di Gabriele Perretta

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ara vecchia arte contemporanea, così astratta, impalpabile, di ostica comprensione per molti. Eppure, non se ne potrebbe fare a meno, visto che la nostra vita appare come lo specchio di questa “attitudine espressiva”, che ormai da molti decenni segna, almeno finanziariamente, il nostro vissuto. Abbondano mostre e manuali su vita, morte e miracoli di grandi maestri, che da sempre hanno provato a spiegare il senso delle nostre vite. Tuttavia, bisognerebbe prima capire che cos’è l’arte contemporanea e quali tipi di “ragionamenti” essa presuppone. M. Gioni, conosciuto per i suoi record da supereroe dell’artistar system, con questa 55esima, prova a “iniziare” un vasto pubblico ad un modello di “competizione” che si avvale di un’immagine complessa ed affascinante. Le mostre manualistiche dei curator, come sappiamo, sono solite squadernare in ordine cronologico il contributo dei maggiori artisti, iniziando dagli antichi (e mai presi in considerazione) fino ai moderni ed ai contemporanei che servono a sortire la sorpresa, quell’istigazione che serve a reggere tutta la strategia pubblicitaria della stessa esposizione. Sì, perché anche per l’arte contemporanea, e forse “per la sua stessa estetica”, è ancora la strategia pubblicitaria l’anima del commercio! Oggi potremmo affermare che: curatorialismo ed esposizionismo sono l’anima del commercio. Parafrasi di uno slogan piuttosto datato che, nella sua sintetica semplicità, racconta una verità che si dimostra sempre più effettiva. Nessuna opera d’arte messa in vendita sul mercato, dalle più rinomate e nuove alle più oscure, riscuote successo e gradimento da parte dei compratori intelligenti e possidenti, senza l’aiutino di un’adeguata campagna propagandistica. I carrozzoni finanziari dell’artistarismo fanno grande affidamento sul battage che trasmettono, pagato da aziende produttrici che scelgono questa o quella rete espositiva, in funzione della qualità


foto Roberto Sala delle opere, quindi dell’ascolto indotto, per diffondere al massimo i prodotti. Il curator: un personaggio dotato di caratteristiche particolari scelte e selezionate dalle politiche economiche del sistema stesso, capace di coniare uno slogan (vedi: Il Palazzo Enciclopedico) e impostare un’etichetta, una confezione, un’immagine per un determinato prodotto, tale che esso divenga gradito, commercialmente parlando, anche se spesso quanto dichiarato in reclame non risponde del tutto al vero. È la ragione per cui, per regolamentare l’attività, è stata istituzionalizzata una politica di emarginazione della critica e dell’approfondimento semiotico. Ancor di più oggi, nell’era della globalizzazione, del mondo virtuale, del commercio sul web, è fondamentale riuscire ad emergere e contrastare la concorrenza di vecchi critici che magari, per tutti gli anni ’90 e il primo decennio del nuovo Millennio, hanno insistito sulla possibilità di invertire il “medium in community”. Certo non è facile ideare la soluzione vincente, quella che possa colpire il consumatore finale e fare la differenza: però c’è chi provandoci con dilettevole enciclopedismo ci riesce, e il risultato è davvero geniale … In tempo di crisi, così come le strade delle città, le buche delle lettere, i parabrezza delle auto in sosta, i davanzali delle finestre, sono invase da depliant più o meno voluminosi, per rilanciare i consumi, così anche le grandi manifestazioni d’arte come la 55esima sono ricche di opere e di autori, magari sfumando le “distinzioni tra artisti professionisti e dilettanti, outsider e insider”. Se alcuni siti del quotidiano sono veri e propri giornaletti abbondantemente illustrati, in altri casi, per intraprendenza dell’eroe/ curator si tratta di più di 150 artisti, provenienti da più di 38 paesi, per lungagginare il “Museo temporaneo”. Ma se i volantoni finiranno, se va bene, nella differenziata, o perlopiù per terra con disperazione degli operatori ecologici, e quindi nelle discariche, le opere rispolverate e rivalorizzate andranno ad occupare un altro “post” (to post) nella rete commerciale dell’arte. Ecco che anche l’utopia dell’”approccio antropologico”, la fede nel “sogno”, non quello freudiano ma junghiano, su cui sentenzia Gioni, finisce per catapultarsi da sola nell’estetica, in una struttura ri-posizionata nel sistema, fino a raggiungere i reconditi spazi del processo produttivo. L’imballaggio curatoriale può essere composto da qualunque tipo di “fantasia”, serve a proteggere le merci contenute, consentendone il trasporto e la manipolazione da parte del produttore e dell’acquirente, da parte dei tramiti, ovvero il venditore dall’ingrosso fino al dettaglio, fino al consumatore finale. L’abito non farà il monaco, è vero, ma nel caso dei prodotti curatoriali - vista l’agguerrita concorrenza - fa senz’altro la differenza. L’imballaggio perfetto, a quanto pare, è quello “creativo”. Il banchiere o l’operatore commerciale dell’arte va stupito e la sua attenzione va indirizzata sulla presentazione, studiata sempre più spesso come un vero e proprio oggetto di design. L’effetto “sorpresa” che questa suscita può risultare determinante, in alcuni casi, nel momento in cui si preferisce un Palazzo Enciclopedico ad un altro della stessa tipologia. Ecco una serie di idee, messe insieme dall’intraprendente Gioni, che non possono di certo passare inosservate: innanzitutto, si chiede che “senso ha cercare di costruire un’immagine del mondo, quando il mondo stesso s’è fatto immagine?”; poi trasforma questa domanda critica in un’affermazione reclamistica, ampia, globale, assoluta, pronta a spendersi il perfettibile per far emergere strade senza via d’uscita! Nel panorama del sistema artistico attuale, essendo ormai la critica un ente super partes - che osserverebbe in maniera esegetica la messaggistica pubblicitaria senza freni tesa a istigare vere e proprie battaglie fra “carrozzoni” e “scuderie”, per far primeggiare questo o quell’autore – va lasciata perdere, va tumulata nella disperata archeologia del suo passatismo. Alcune “imprese” curatoriali, sotto forma di messaggi strutturali, “siparietti del senso”, sono gradevoli e orientano effettivamente gusti e preferenze. Altre sembrano al limite della demenza per la loro insulsaggine. Altre ancora ricorrono a messaggi che forse nelle intenzioni di chi le ha allestite, non avevano quello scopo, ma che tuttavia, sono fuorvianti e spacciano qualcosa che effettivamente non è, creando danno ed effetti collaterali non quantificabili! La 55esima, rivolgendosi a tutti – in particolar modo al pubblico di ArtBasel, di Miami e ad appassionate miriadi di curator ed artisti aspiranti al medesimo artistarismo – cerca di seguire una traccia differente: partendo da un gran numero di problemi teorici e senza tuttavia attraversarne alcuno, riesce a realizzare il più ampio ventaglio possibile di soluzioni sulle questioni via via emulate, illustrandone sfide mai sopite, dando tutto per assodato, e richiamando quando necessario le curiosità, più che gli insegnamenti, di alcuni importanti pensatori che, per approccio interdisciplinare, hanno coinciso con i prodromi dell’arte moder-

na. Il Palazzo Enciclopedico, di agile e gradevole lettura, non ripropone tanto che cosa hanno detto il Libro Rosso di Carl Gustav Jung, Hilma af Klint, Augustin Lesage, le “divinazioni” di Aleister Crowley: il taglio introduttivo mostra, invece, come una strategia comunitaristica (insomma come ricorda Gioni: le “cosmologie” di Auriti, sono “deliri di conoscenza (che) mettono in scena la sfida costante di conciliare il sé con l’universo, il soggettivo con il collettivo, il particolare con il generale, l’individuo con la cultura del suo tempo”), spinta da ricchi magnati, può essere elaborata, osservando e interpretando come provare ad essere più o meno indipendenti da Dakis Joannou e Deste Foundation. Ma si può essere veramente indipendente da chi ti sostiene con forza e palese condizionamento finanziario? Gioni, in effetti, pur facendo leva su problematiche poste da altre fonti critiche, richiama quegli argomenti classici in cui la speculazione curatoriale si è immersa da secoli nella ricerca finanziaria. I temi considerati dal curatore sono svariati: la politica, la democrazia, la libertà, la mente, la scienza, l’arte. Viene esposto così il confronto su assunti sempre attuali, anche difficili e impegnativi, sui quali si sono consumate piene intelligenze “critiche”. Un approccio concreto ma strategico, dunque, al ragionamento empirico-ideologico della curatorialità, aperto a tutti con uno stile “palesemente scenografico”, ma afferrabile, ad uso e consumo di qualsiasi fruitore interessato. Chiare e precise sono le parole affidate all’Editoriale: “Il Palazzo Enciclopedico è una mostra sulle ossessioni e sul potere trasformativo dell’immaginazione. Artisti assai diversi quali Morton Bartlett, James Castle, Peter Fritz e Achilles Rizzoli hanno passato la vita a progettare mondi alternativi. […] Da queste e molte altre opere in mostra, Il Palazzo Enciclopedico emerge come una costruzione complessa ma fragile, un’architettura del pensiero tanto fantastica quanto delirante. Dopo tutto, il modello stesso delle esposizioni biennali nasce dal desiderio impossibile di concentrare in un unico luogo gli infiniti mondi dell’arte contemporanea: un compito che oggi appare assurdo e inebriante quanto il sogno di Auriti”. L’intento dichiarato, in termini assai espliciti e grintosi, quanto visionari ed esaltati, dai direttori della Biennale, visto che di essi ne abbiamo individuato per lo meno tre (Gioni, Baratta e Joannou Dakis), è quello di porre un argine, resistere con tutte le forze, ma anche di contrattaccare quella deriva culturale a cui sta andando incontro, con ogni evidenza, non solo la pratica mediale diffusa fuori dalla specificità del sistema, ma, ancor di più, il sistema stesso. Non si tratta, banalmente, di una presa di posizione antitetica e arroccata su modelli alternativi rispetto a quelli che vanno oggi imponendosi, tutti imperniati sul concetto di certificazione oggettiva. Questo linguaggio invade la valutazione della ricerca e della formazione e considera sostanzialmente i soggetti dell’arte come agenti economici, utenti e utensili, contraddistinti da comporta-

Nella pagina a fianco, il Libro Rosso di Carl Gustav Jung. In questa pagina, Morton Bartlett, Senza titolo - bambola, 1960 ca.

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menti misurabili in termini di perfetta razionalità. D’altra parte, a sostegno di questa visione astoricistica e antiumanistica, impera la cosiddetta pedagogia delle competenze, che rimanda a una concezione tutta agonistica. Il sapere dunque deve servire; l’amore per il sapere, non sempre serve. Qui, al contrario, accettando a testa alta la sfida proveniente da questa visione oggettivistica e quantitativa, Gioni et company intendono rifondare le strategie che riguardano l’artisticismo. Rilanciare l’arte e l’immaginazione, dunque, con la convinzione che esse non possono prescindere dal loro carattere essenzialmente “tattico”, volutamente lontano, per così dire, sia da un’impostazione rigidamente analitica di stampo anglosassone sia da una strettamente storiografica. Immaginare, pensare in termini “sognativi”, vuol dire forse raziocinare? Sembra al contrario, leggendo i diversi contributi, che piuttosto voglia dire “smontare la strategia delle minorità dilettanti”, sulla base di un coinvolgimento diplomatico, che va non solo conservato in quanto tale, ma addirittura messo in evidenza con forza. Una sorta di rovesciamento gestaltico si profila all’orizzonte del rapporto mito/logos, e ancora di più del rapporto pathos/logos. È il mito che prende inaspettatamente il sopravvento; il mito che ci eravamo lasciati alle spalle, allorché nacque il logos. L’autore di riferimento, potrebbe essere sempre Martin Heidegger, con la sua nozione intraducibile di Befindlichkeit (situazione/tonalità

Il sapere enciclopedico di Ilaria Piccioni

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l sapere enciclopedico risulta oggi, nell’epoca della globalizzazione, un aspetto di sicura attualità, ma all’approfondimento più specifico del sapere umano si percepisce come elemento spinoso e per certi versi inadeguato a una buona coscienza intellettuale. Per lo stesso motivo può far dubitare se inteso nel contesto artistico contemporaneo, andando a calamitare nella medesima area tematica ricerche e pensieri per le arti visive che abbracciano anche aspetti tangenti le tradizioni artigiane, e gli sviluppi scientifici di orientamento antropologico. Ma alla 55. Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, la curatela di Massimiliano Gioni ha dato una forte spinta rinvigorente al pensiero statico e stantio che caratterizza l’arte e il suo contesto globale; per scrutare il sogno del sapere universale come luogo in cui ritrovare un mondo insondato, fatto da elementi fortemente eterogenei. Il Palazzo Enciclopedico, titolo scelto dal curatore italiano, ha di positivo che innesca molte domande e spunti di riflessione su una condizione culturale contemporanea che ha tracimato su fronti sganciati dall’affettato elemento estetico, nei margini più profondi della natura umana. La linea seguita va a riannodare aspetti e questioni intellettualmente valide. L’origine e lo spunto per Gioni è dato dall’autodidatta e oramai sovra-citato italo-americano Marino Auriti che, nel lontano 1955 a Washington, dava spazio al suo sogno di realizzare un luogo in cui la cultura fosse ospitata e accentrata in un unico grande edificio di 136 piani, contenitore per la consapevolezza di tutti: appunto il Palazzo Enciclopedico. L’aspetto illuminista del sapere umano è poco attuale e adattabile all’aggiornamento sempre richiesto in questi anni, ma è sicuramente di forte interesse l’attenzione che all’arte si da per il mezzo della conoscenza, con le sue più ampie derivazioni. E così l’attenzione cade anche su quelle analisi pedisseque dei particolari, l’ossessione delle collezioni di oggetti anche di scarso significato estetico, rimodulati ai fini di una nuova e personale ricerca come i temi di reperti storici e di artefatti che sostengono l’analisi dello sguardo interno. Gioni nel testo introduttivo del catalogo scrive “Il Palazzo Enciclopedico è una mostra sulla conoscenza, sul desiderio di sapere e vedere tutto e sul punto in cui questo desiderio si trasforma in ossessioni e paranoia. Pertanto è anche una mostra sull’impossibilità di sapere, sul fallimento di una conoscenza totale e sulla malinconia che ci travolge di fronte all’evidente constatazione che i nostri sforzi saranno inutili.” Forse la mostra lascia troppo spazio all’attenzione per le ossessioni umane, evidenti nelle compulsive raccolte di materiali comuni e delle strambe collezioni da parte di outsider e insider, per tornare a citare il curatore. Nelle derivazioni voyeuristiche e di devianze o particolarità, che indugiano su aspetti biomorfici o antropologici, dell’immaginario umano e psicopatologico, si raccolgono le infinite espressioni figurative di una umanità che esprime il bello nei modi e gli usi più diversi. Se l’insondabile è principalmente il lato oscuro e l’aspetto malato dell’inconscio, non è convincente pensare che sia dominante questa forma del pensiero, anche se da luogo a grandi estensioni di ricerca e conoscenza. Non a caso, ovviamente, la mostra si fa iniziare - al Padiglione Centrale ai Giardini - con Il Liber Novus (Il Libro rosso) di Jung e i disegni su lavagna di Steiner: la visita è chiarita negli elementi portanti della ricerca del profondo. 18 - segno 246 | OTT/DIC 2013

Padiglione Italiano, Marcello Moloberti, La voglia matta, performance con 55 ragazzi che animano 55 piccole “architetture indossabili”, attorno a un immennso blocco di marmo di Carrara.

E poi negli ambienti caratteristici dell’Arsenale, adattati come neutri ambienti museali, Gioni ha portato a sforzarsi per una fruizione neutra e decontestualizzata di una mostra ricca di opere molto diverse tra loro, dalle didascalie decisamente importanti per completare la comprensione dei lavori. Tutto nel suo insieme diventa racconto. La conoscenza e il materiale che ne deriva, appartengono a tutti i luoghi della mente, che sono poi un unico grande luogo del sapere. Dagli artisti agli sciamani la ricerca delle immagini non prevede confini, tentando di arginare il danno prodotto dalla ghettizzazione dell’arte contemporanea ad ambito chiuso ed elitario vissuta finora. n

Padiglioni nazionali di Lia De Venere

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iversi interventi nei padiglioni nazionali hanno diretto l’attenzione – spesso attraverso l’uso di complessi dispositivi metaforici – nei confronti di tematiche geopolitiche, che di rimando hanno toccato argomenti legati alla globalizzazione delle dinamiche culturali. A cominciare dalla straordinaria installazione di Alfredo Jaar (Cile), un’enorme vasca di acqua torbida da cui ogni tre minuti emerge una riproduzione dettagliata dell’area dei Giardini con i padiglioni stranieri: un invito poetico e politico insieme a ripensare il modello delle partecipazioni nazionali, oggi ormai quasi priva di senso, e al tempo stesso un segnale di speranza nel futuro dell’istituzione. Alla Biennale di Venezia come “utopico modello di interconnettività inter-nazionale” in un mondo in cui reti sotterranee possono eliminare i confini dei singoli paesi, fa riferimento la videoinstallazione di Gilad Ratman (Israele), mentre per celebrare il cinquantenario del Trattato dell’Eliseo, Francia e Germania, non solo si sono addirittura scambiati i padiglioni, ma hanno affidato ad artisti stranieri la propria rappresentanza. La Germania ospita il progetto Ravel Ravel Unravel dell’albanese Anri Sala, che riflette sul concetto di nazionalità e sulla natura dell’attività artistica e in genere culturale, sulle note del Concerto per mano sinistra di Maurice Ravel, interpretato da due musicisti contemporaneamente ma non in sincrono; una grande istallazione di Ai Wei Wei (Cina) costruita con circa novecento sgabelli di legno di fabbricazione artigianale, i film del regista tedesco di origini francoiraniane Romuald Karmakar, le foto e i video del sudafricano Santu Mokofeng e dell’indiana Dayanita Singh occupano il padiglione francese. Con finalità simili si muovono Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca, ormai da anni stati indipendenti, che si presentano insieme nel padiglione storico, affrontando il tema della costruzione, elaborazione e conservazione della memoria, attraverso l’archivio personale della ceca Petra Feriancová, costituito da serie di oggetti e di immagini solo marginalmente allusivi a Venezia e la rilettura che di esso conduce lo slovacco Zbynêk Baladrán. E su binari affini viaggia la partecipazione collettiva dell’IILA, con le opere di artisti nati in America Latina, che vivono in Europa e viceversa, con l’intento di porre in risalto l’ormai frequente e proficuo scambio tra persone di diversa provenienza ed estrazione culturale. E se Cuba ha inserito i lavori di sette artisti cubani e sette internazionali tra le opere nel Museo Archeologico Nazionale in piazza San Marco, nel Palasport “Giobatta Gianquinto” hanno trovato posto Cipro e Lituania in due padiglioni distinti, ma sotto


attività espositive SPECIALE BIENNALE VENEZIA

emotiva/umore/esser situato), che non può essere confusa con un mero stato psicologico. Si potrebbe parlare a questo proposito, di nuovo inizio dell’artisticizzare, arte concreta (moneta e poesia), in grado di superare i limiti della metafisica tradizionale. Ma c’è di più. Alla luce di una lettura fantasiosa dell’opera di Heidegger, si potrebbe mostrare il carattere essenzialmente artistico della stessa curatorialità, un convergere in essa di incorporeo e di oggetto d’affezione alla Man Ray. L’immaginazione un po’ fantasy viene in quel tempo concepita come “arte della fuga”, dell’incompiutezza, di contro a un pensiero strutturato e sistematico, metafisico in senso stretto. Il Palazzo Enciclopedico è ulteriorità del debolismo postmoderno. Così come l’intelligenza è anche sensibilità e la sensibilità intelligente. Il co-implicarsi di spirito e affettività, comprensione e tonalità emotiva, caratterizza in modo essenziale innanzitutto l’apparire artistico, laddove l’affettività converge nell’arte, e l’arte diverge in affettività. D’altra parte, è nella stessa Befindlichkeit che coesistono quell’inquietudine e quello stupore che assieme testimoniano della irriducibile connivenza fra essere e nulla, angoscia ed estasi. È la meraviglia/timore, un’ambivalenza che emerge con ogni evidenza nell’espressione, prima ma anche all’interno della pratica artistica più autentica. Ci chiediamo allora, provocatoriamente, come riuscire oggi a invertire la rotta di un sapere che, almeno così come viene ripro-

dotto all’interno delle istituzioni curatoriali, esclude per lo più da sé spazi, momenti, occasioni dedicate alla dimensione essenzialmente divergente dell’affettività, della corporeità, delle emozioni in genere? Il problema che a noi si pone in chiusura, una chiusura diversa dall’agile saggio di un Gioni che propende per l’incerto, è quello di trovare – dopo il Web – un “luogo pubblico” per l’arte e per i saperi in genere, nel quale emanciparsi da una verità schematica, astratta, unilaterale e mortificante per chi ritiene che i saperi facciano tutti capo a un “contesto antropologico” planetario ed enciclopedistico, plurale e multiforme. Sebbene, forse, non sia così scontato, tuttavia in questa carrellata di spiriti ricchi di pathos, a nostro avviso manca un protagonista di prim’ordine della critica dell’economia politica. Penso alla critica del capitale, al suo linguaggio nient’affatto sistematico e definitorio, che arricchisce l’esercizio dell’intelletto contro la pratica dell’imballaggio, e ad esempi vivi e concreti, tratti dalla storia, dall’interazione di figure sociali diversificate e multifunzionali. Il padiglione russo, ad esempio, rivisita il tema leggendario di Danae, che personifica la brama e la cupidigia, qui reinterpretato da Vadim Zakharova. Questa installazione mette l’indice nell’ulcera dell’arte e del curatorio, poiché ci ricorda con un grido da Pussy Riot che il conquibus è diventato il fine ultimo di un‘arte pensata per produrre danaro e prepotenti sistemi di successo. n

Joana Vasconcelos, Portogallo

Vadim Zacharov, Russia

la guida di un unico curatore, meritando una menzione speciale della giuria per l’originalità della formula adottata. Da sempre interessata alle rovine del recente passato, agli edifici in degrado nel tessuto urbano, Lara Almarcegui conferisce una connotazione drammatica di tenore sociopolitico al suo intervento nel padiglione spagnolo, occupandolo con diversi monumentali cumuli di calcinacci, di frammenti di vetro, di mattoni tritati, di polvere di acciaio, in quantità corrispondente ai materiali serviti per costruire l’edificio negli anni Venti. Di carattere completamente diverso l’intervento “architettonico” dei giovani georgiani Bouillon Group, Thea Djordjadze, Nikoloz Lutidze, Gela Patashuri che con Ei Arakawa e Sergei Tcherepin, Gio Sumbadze hanno realizzato Kamikaze Loggia, la superfetazione “parassitaria” di un edificio dell’Arsenale, simile a quelle diffusesi a Tbilisi nel periodo di grande illegalità seguito al disfacimento dell’URSS. A giudizio di molti deludente il pur impegnativo intervento di Kimsooja, che ha ingaggiato una sorta di sfida con l’architettura, trasformando l’interno del padiglione coreano in una “macchina di riflessi”, foderandolo completamente con specchi per instillare nei visitatori una sensazione di spaesamento, accentuata dalla presenza di una camera anecoica. Sul concetto di disorientamento ha lavorato anche Sarah Sze, che ha occupato l’interno e l’esterno del padiglione statunitense con grandi e articolate installazioni realizzate con oggetti tra i più disparati. A monte di Triple point, la cui elaborazione in situ è costata tre mesi, c’è l’idea che oggi viviamo in un mondo che ci

disorienta continuamente, nel quale abbiamo bisogno di trovare appigli spaziali e temporali nell’intento di conquistare un equilibrio permanente. La gravissima crisi che ha colpito la Grecia, vista anche come opportunità per elaborare una nuova visione del futuro, è il sotterraneo filo rosso che percorre History Zero dell’artista ellenico Stefanos Tsivopoulos, costituita da un film in tre parti e da un archivio di testi e immagini, che riflettono sui concetti di valore, plusvalore, proprietà, scarsità di denaro. Il mito di Danae, presente in molti esempi dell’arte occidentale sin dall’antichità, offre a Vadim Zacharov (Russia) lo spunto per costruire un’elaborata metafora della lussuria, ma soprattutto del potere corruttore del denaro, attraverso una pioggia di monete d’oro che si riversa sul pubblico esclusivamente femminile. Un intervento “politico” sui generis quello di Jeremy Deller (Gran Bretagna), che in English Magic conduce con spirito caustico ma venato di humour una critica della società britannica e delle vicende e dei protagonisti della sua storia politica, sociale, economica e culturale, portando in scena con avvincente continuità narrativa fatti e personaggi del passato e del presente e avventurandosi anche nell’immaginare il futuro . Un intervento molto apprezzato per la straordinaria inappuntabile realizzazione tecnica e la capacità di coinvolgere emozionalmente il pubblico, quello dell’artista argentina Nicola Costantino, che dalla figura di Evita Peron ha tratto motivo per una complessa multiproiezione, di cui è sensibile e convincente protagonista e

Simón Vega (El Salvador), padiglione IILA

Anri Sala, frame dal video Ravel Ravel Unravel, padiglione Francia

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Petra Feriancová, Zbynêk Baladrán, Padiglione Ceco e Slovacco

Lara Almarcegui, Spagna

Gilad Ratman, Israele

Nicola Costantino, Argentina

Eventi collaterali

ad evocare un paesaggio nevoso - sviluppa il confronto con l’antica arte vetraria anche la contigua Fragile, collettiva di opere in vetro di 28 artisti internazionali del calibro di Marcel Duchamp, Damien Hirst, l’ubiquitario Ai Wei Wei. Il vetro è per la verità un must, per non dire un tormentone, delle esposizioni in laguna, complice il genius loci. Oltre alla collaudata Glasstress, che cresce ad ogni edizione e dispiega nel fascinoso Palazzo Franchetti grandi e spettacolari interventi di addirittura 66 autori della scena globale (tra cui i nostrani Mimmo Paladino, Aldo Mondino, Loris Cecchini e Francesco Gennari), una new entry sul tema è la mostra Very Light Art ideata da Caterina Tognon e curata a Cà Rezzonico da Cornelia Lauf. Punto di partenza è un prezioso lampadario di Murano presente nelle sfarzose sale dell’edificio. A questo esemplare storico di grande perizia artigianale si ispirano liberamente le opere di Mario Airò, Stefano Arienti, Flavio Favelli, Luigi Ontani, Gabriel Orozco, Cerith

Mission impossible di Antonella Marino

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i sarebbe voluto almeno un mese di permanenza a Venezia per tentare di visionare la pletora di eventi che fanno da corollario alla Biennale. È un refrain che si ripete ogni anno, ed ogni anno con un carico bulimico maggiore che rende difficile pretese di report completi, nonché la scelta di criteri da indicare. Sulla carta le iniziative parallele (Giardini, Arsenale e padiglioni nazionali esclusi) sfiorano il centinaio. Naturalmente di queste solo una minoranza rientra nell’ elenco ufficiale della Biennale; molte coinvolgono invece i tanti spazi istituzionali, pubblici e privati, di cui la città lagunare è ricca; senza contare la miriade di situazioni grandi e piccole, moltiplicatesi in questo periodo per sfruttare la piattaforma di visibilità offerta dalla kermesse principale. Tra le più importanti (recensite qui anche da Marilena Di Tursi), spicca di certo l’impegnativa personale di Marc Quinn curata da Germano Celant alla Fondazione Cini. Il verbo “spiccare” non è casuale: anche a distanza non poteva sfuggire alla vista lungo Canal Grande la gigantesca mole di Alison Lapper, la donna focomelica mutila e incinta già ritratta con gran scandalo dall’artista inglese come una classica statua in marmo su un plinto di Trafalgar Square a Londra nel 2005, e riproposta ora in versione gigantesca e in materiale gonfiabile di fronte alla Chiesa della Salute. Poco più avanti, sempre all’aperto, dei conchiglioni in bronzo ottenuti sviluppando una sequenza digitale dal codice del DNA, conducono fino all’entrata del percorso interno, col loro mix sempre più accentuato di seduzione estetica e risvolti ambigui. È un aspetto che si ritrova in tutta la ricerca di Quinn, linguisticamente eclettica ma accomunata da un’ indagine anche estrema sui rapporti tra vita e morte, arte e scienza, bellezza e decadenza, con qualche inclinazione estetizzante. Nelle sale si passa così dai dipinti con carne cruda, ad una perigliosa installazione di aeroplani in movimento, allo storico Self, celebre autoritratto col proprio sangue congelato. Fino all’inedita sequenza di feti, Evolution, dieci iperrealistiche sculture in marmo rosa che in contesto acqueo mirano ad affrontare senza simbolismi l’irrisolto mistero della nascita. Ma l’offerta sull’Isola di San Giorgio non si esaurisce qui. Se un ambiente dell’Abbazia ospita una installazione specchiante dello svizzero Not Vital - ben 700 sfere in vetro soffiato poste a terra 20 - segno 246 | OTT/DIC 2013

Not Vital, 700 Snowballs, a cura di Alma Zevi. Abbazia dell‘isola di San Giorgio Maggiore, Venezia.


attività espositive SPECIALE BIENNALE VENEZIA

alla quale si affiancano alcune installazioni che evocano aspetti della vicenda privata e pubblica della amatissima e insieme disprezzata compagna di Juan Peron, dalle grandi sofferenze fisiche all’immenso dolore popolare per la sua prematura scomparsa. Un’atmosfera crepuscolare circonda l’installazione di Berlinde de Bruyckere (Belgio), tra le più affascinanti a Venezia: un grande tronco d’albero, legato strettamente con funi e cinghie e bendato, come un ferito grave, coperto di cera e adagiato su cuscini e asciugamani rossi, si trasforma in un corpo umano, alludendo al martirio di San Sebastiano, che a Venezia è considerato il protettore dalla peste. Alla città lagunare, o meglio alla storia della Biennale, si ispira la partecipazione “immateriale” della Romania, forse la più eccentrica tra quelle registrate quest’anno, ideata dall’artista Alexandra Pirici e dal danzatore Manuel Pelmus: nel padiglione vuoto si alternano a intervalli regolari alcuni performer che mimano centinaia di opere d’arte esposte durante i 120 anni di vita della manifestazione. Tra i dieci paesi per la prima volta presenti alla Biennale, spicca la Santa Sede che ospita In principio, una riflessione sui primi undici capitoli del Genesi, introdotta da tre dipinti di Tano Festa, che citano gli affreschi michelangioleschi della Cappella Sistina. Una complessa e affascinante multinstallazione video interattiva realizzata da Studio Azzurro, le foto in b/n di Josef Koudelka, in parte appoggiate a terra e raffiguranti paesaggi in cui rovine materiali alludono alla perdita di senso etico, e alcuni quadri polimaterici di grandi dimensioni di Lawrence Carroll, alludono rispettivamente ai temi della Creazione, della De-Creazione e della Ri-Creazione. Un altro dei paesi alla loro prima Biennale, l’Angola, ha conquistato con un intervento minimale il Leone d’oro per il miglior padiglione straniero: le foto di Edson Chagas, che ritrae oggetti abbandonati, reimmettendoli poi nel contesto urbano di Luanda, capitale del paese africano, alla ricerca di inedite relazioni tra cose e luoghi, sono state stampate in offset su poster di grande formato e poggiate su bancali a disposizione del pubblico, nelle sale di Palazzo Cini a San Vio, che ospitano – tra gli altri – capolavori di Botticelli, Piero della Francesca, Pontormo. Di fronte all’entrata dei Giardini, attraccato alla Riva dei Partigia-

ni, c’è un vecchio traghetto turistico, completamente trasformato da Joana Vasconcelos (Portogallo): all’esterno un’immagine della Lisbona del XVIII secolo realizzata con la tecnica degli azulejos; all’interno un ambiente costituito da forme bianche e azzurre realizzate all’uncinetto, immerse nella penombra e appena rischiarate da led. Forse il più affascinante tra gli interventi della 55° Biennale, ispirata agli aspetti che accomunano la città lagunare e la capitale portoghese, come l’acqua, la navigazione e, ovviamente, le imbarcazioni. n

Alfredo Jaar, Cile Sarah Sze, Triple point, Stati Uniti

Nico Vascellari, gli scheletri in coppia di Wyn Evans e Heimo Zobernig, disposte Marza Migliora, le strutture artificiali di all’interno delle sale: che sembrano però impostazione organica di Luca Trevisani, rinunciare già in partenza alla titanica imle mappe topografiche di Roberto Cuoghi presa di competere con la forza dei luoghi e Mario Airò. e del modello, puntando invece su un’idea Sempre sul fronte istituzionale, da non di leggerezza che va oltre l’aspetto visivo, perdere era anche la performance mesfacendosi piuttosto qualità mentale. sa in scena quotidianamente da Chiara Cà Rezzonico fa parte del circuito dei Fumai per il premio Furla alla FondazioMusei Veneziani, che si può permettere ne Beviacqua La Masa. Nei panni di una di schierare pesi massimi su più fronti: serissima guida l’artista per due mesi ha da Manet, che “torna a Venezia” in una guidato i visitatori tra le opere della fagrande retrospettiva a Palazzo Ducale; a miglia Stampalia, salvo essere interrotta Tapiès, affrontato con un taglio archivistie posseduta, a sorpresa, da una muta ma co ormai trendy che ben s’integra con la minacciosa presenza fantasmatica. Vomesse di oggetti di memoria di Palazzo lontà di riscatto al femminile e denuncia Fortuny; ai mostri sacri della Collezione anche politica s’intrecciano qui in un gioco Sonnabend a Cà Pesaro; al solito Vedova, sottile ed intenso di identità multiple, in cui sembra proprio non si possa rinunciare, cui la violenza verbale incrocia utopie lipromosso al Museo Correr. A fronte ad un Marc Quinn, Self, 2011. Fondazione Cini, beratorie che dal privato si estendono alla tale schieramento di forze una chicca, di Isola di San Giorgio Maggiore, Venezia. sfera collettiva. Sebbene l’azione sia stata un pò penalizzata da sicuro sfuggita a molti, è la collettiva Bestiario contemporaneo uno scarso sostegno comunicativo da parte della Fondazione, che curata da Giorgio Verzotti nel piccolo ma attualissimo Museo di al suo interno ospitava anche l’ambientazione cerebrale e ricca di Storia Naturale. Un museo di ultima generazione, allestito con cririmandi mitologici del cinese Quiu Zhijiei e la giocosa installateri innovativi e un coinvolgente impianto didattico, al cui interno zione site specific del giapponese Jacob Hashimoto. si sono insinuate, mescolandosi, integrandosi e spesso mimetizTra le iniziative private, una menzione speciale va d’altra parte zandosi con i reperti scientifici, 28 opere di 16 artisti italiani della all’interessante focus a sfondo politico sull’artista turco Ahmet collezione ACACIA. L’idea non è nuovissima, operazioni di questo Gunestekin, che nell’Arsenale Docks a San Pietro di Castello ha tipo si fanno ormai da diversi anni. Ma il risultato è davvero delipresentato installazioni e proiezioni video legate, con taglio ora zioso, con accostamenti spesso sorprendenti che confermano le più evocativo ora documentario, al tema della memoria storica potenzialità di dialogo e di reciproci scarti immaginifici tra arte e come filtro necessario alla denuncia delle discriminazioni del prescienza. Così aggiungono qualcosa alla freddezza catalogatoria sente: con particolare attenzione per la bruciante questione curdei trofei con animali impagliati, i malinconico - ironici Musida, tuttora in Turchia oggetto di persecuzioni e divieti linguistici. canti di Brema di Maurizio Cattelan o le spiazzanti bestie di Più estetico, ma ugualmente intrigante, è apparso inoltre il lavoro Paola Pivi; e creano sensi altri le ricostruzioni di nidi in teca di del giovanissimo Tony Fiorentino: proposto dalla galleria Doppelgaenger di Bari nello spazio del collezionista tedesco Norbert Heimo Zobernig, Senza Titolo, 2012. Very Light Art, Ca’ Rezzonico, Venezia Salenbauchm e incentrato su due fuligginose “sculture viventi”, oscure ramificazioni che si formano per un processo chimico e fluttuano precarie dentro ampolle, tra associazioni alchemiche e riferimenti dureriani ad umori saturnini. Da segnalare, infine, il provocatorio Padiglione Crepaccio, sostenuto dalla rivista Domus e messo insieme da Caroline Corbetta in un appartamento durante i tre giorni di vernice. Un’esposizione intima e conviviale autogestita da un gruppetto di giovani artisti veneti o che a Venezia studiano, che intendeva mettere il dito nella piaga della scarsa attenzione e ricaduta che grandi manifestazioni come la Biennale hanno quasi sempre sul tessuto artistico delle città ospitanti. n OTT/DIC 2013 | 246 segno - 21


Eventi collaterali

Ordine e catalogazione di Marilena Di Tursi | foto Roberto Sala

L’

esigenza di ordinare materiali simili, di catalogare oggetti e pensieri, di assestare e di riposizionare idee e convincimenti attuali e del recente passato, costituisce una delle possibili chiavi di lettura per orientarsi non solo all’interno della Biennale ma, per una felice congruenza di intenti, anche tra gli eventi collaterali che scortano questa 55° edizione. Una conferma che giunge, con calzante evidenza, da When attitudes become form. Bern 1969/Venice 2013, la mostra ‘vintage’ che la Fondazione Prada ha promosso affidandosi alle cure di Marc Quinn, Breath, 2012. Versione gonfiabile h 11m rappresenta Alison Lapper, un’artista inglese focomelica che, dopo aver scoperto di essere incinta, ha deciso di portare a termine la gravidanza nonostante le difficoltà poste dalla sua condizione fisica e dai pregiudizi della società, dando alla luce un figlio sano. Fondazione Cini, Isola di San Giorgio Maggiore, Venezia.

When attitudes become form. Bern 1969/Venice 2013. Fondazione Prada. James Lee Byars, Byars is Elephant, 1997. Prima materia, Punta della Dogana, Venezia

Germano Celant. Il proposito è quello di ripercorrere con una filologica meticolosità l’omonima esposizione del 1969 di Harald Szeemann alla Kunsthalle di Berna, sorta di paradigma che ha governato in una lunga gittata molti degli orientamenti concettuali di fine secolo con 69 artisti europei e statunitensi, da Joseph Beuys a Carl Andre, da Bruce Nauman a Mario Merz, da Gilberto Zorio a Sol LeWitt. Celant, coadiuvato da Thomas Demand e Rem Koolhaas, rimette in campo, dopo 44 anni, non solo un modello espositivo, sebbene l’ossessione per il remake abbia obbligato a rieditarne pedissequamente anche gli allestimenti, ma l’attualità di una proposta. Quella, seconda la quale, la natura casuale ed entropica dell’arte poteva penetrare trasversalmente più linguaggi, la processualità insita in ogni attività estetica poteva spingere verso un abbandono delle forme tradizionali, pittura e scultura per intendersi, e, per l’appunto, poteva approdare ad un’attitudine verso la dimensione informe, con la conseguente invasione degli spazi grazie a installazioni e a produzioni effimere e deperibili. Quanto sia necessaria la riesumazione è tutto da dimostrare, per quanto risulti fecondo stabilire la tenuta di un’operazione che ha definitivamente abbattuto i limiti e la subordinazione dei processi artistici a canoni definiti e ha sancito un imprescindibile format espositivo. Che poi l’arte possa farsi con tutto, posizione peraltro già chiara ai dadaisti, viene ribadito non solo dalla mostra di Celant ma soprattutto dal nuovo allestimento di Punta della Dogana, in cui le opere della collezione Pinault, sono organizzate in un percorso tematico dal titolo Prima materia, firmato da Caroline Bourgeois e Michael Govan. Tornano anche qui, arte povera e concettuale, per opere provenienti da epoche e luoghi geograficamente distanti, affidate a materiali eclettici e disposte secondo una suggestiva alternanza di pieni e vuoti: dalla turbinante epifania luminosa di Philippe Parreno al video No, no (1987) di Bruce Nauman o all’installazione di Dominique Gonzalez Foerster, presentata nel 2008 alla Tate Modern di Londra (TH.2058); dalle potenti rivelazioni della sofferenza umana emerse dalle sfatte pennellate di Marlene Dumas, dalle provocanti crocifissioni di fulgore kitsch di Adel Abdessemed alle istigazioni

Rudolf Stingel, Palazzo Grassi, Venezia. Sulla parete un ritratto dell’artista di Franz West

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attività espositive SPECIALE BIENNALE VENEZIA

Pop-fumettiste di Llyn Foulkes fino alle rigorose ricerche concettuali di Piero Manzoni e Arakawa. Tale densità di offerte si rarefa di colpo nella seconda sede della collezione Pinault, Palazzo Grassi, dove ad invadere, letteralmente senza soluzione di continuità, gli spazi dell’augusta magione, pareti e pavimenti inclusi, c’è Rudolf Stingel. Qui un motivo decorativo, impresso su moquette e carta da parati, ripreso dal celebre divano dello studio di Freud, riveste con maniacale solerzia 5000 metri quadrati. Un involucro tappezzato che Stingel (vive tra New York e Merano), di autistico profilo nel privato ma di soverchiante pregnanza sul fronte espositivo, usa per installare una trentina di dipinti, realizzati tra il 1990 e il 2012 e tutti rigorosamente senza titolo. Calati in una sorta di studio freudiano a macro scala, si manifestano richiami della cultura mitteleuropea, influenze orientali di una Vienna ‘fin de siecle’ di nostalgica quanto evocativa suggestione, si palesano ossessioni e pulsioni in una modalità narcisistica. Il pubblico è invitato a presiedere alla sua seduta psicanalitica, a decodificare complessi di Edipo (ritratto di Franz West), miti e archetipi (sculture lignee dell’iconografie devozionale del Sud Tirolo) e un subconscio svelato in astratti grovigli segnici. Tra le personali presenti in laguna, di grande richiamo senza dubbio quella del cinese Ai Wei Wei, artista ingombrante non solo per la generosità delle sue installazioni ma per lo spessore politico delle sue riflessioni. E infatti, in una doppia articolazione, nel complesso delle Zitelle ( replica un lavoro sulla strage di bambini in un asilo cinese) e nella chiesa di Sant’Antonin, il dissidente cinese consegna ai posteri la propia kafkiana esperienza da detenuto in una messa in scena, prodiga di riferimenti documentali, alla sua limitatissima esistenza da sorvegliato speciale. Un’opera di nuovo conio con cui punta il dito sul problema dei dissidenti in una Cina contemporanea ancora troppo lontana dalla soglia minima di tolleranza democratica. Alla seconda edizione il Future Generation Art Prize, promosso dalla Victor Pinchuk Foundation, schiera ventuno presenze distribuite nell’ameno contesto di Palazzo Contarini Polignac, una vetrina per la giovane arte contemporanea internazionale over 35, che può contare non solo sulla visibilità ma su significativi sostegni economici per la produzione dei singoli lavori. Da segnalare anche la new entry a due passi da Piazza San Marco, all’ultimo piano della Maison Louis Vuitton, l’Espace Louis Vuitton Venezia incrocia presente e passato attraverso produzioni ‘site-specific’ che un artista contemporaneo dedica di volta in volta ad un’opera appartenente al patrimonio storicoartistico veneziano. Si parte con le emozioni sanguigne di Where should Othello go?, ispirato alla ‘Morte di Otello’ di Pompeo Marino Molmenti (1819-1894) su cui Tony Oursler, imbastisce per l’occasione Strawberry-Ecstasy-Green, una lisergica e cromatica decostruzione sui temi della gelosia, dell’amore e della vendetta. n

Mimmo Paladino, Il Rabdomante, 2013. Glasstress, Palazzo Franchetti, Venezia

Ai Wei Wei, Chiesa di Sant’Antonin, Venezia

Event0 collaterale

Fragile? di Giorgio Viganò ra gli innumerevoli eventi collaterali di questa F edizione della Biennale veneziana ci piace segnalare una mostra ospitata sull’Isola di S. Giorgio, accanto a quella tanto pubblicizzata di Marc Quin, dal titolo Fragile? Una mostra che si riallaccia all’antica tradizione vetraria della città lagunare ed ove Mario Codognato ha raccolto le opere di una trentina di artisti che nella loro produzione si sono espressi anche con il

vetro. Non è l’unica mostra che ha per protagonista il vetro; ricordiamo ad esempio Glasstress a Palazzo Cavalli Franchetti, ove gli artisti sono stati chiamati a produrre direttamente in fornace e in collaborazione con i maestri vetrai, i loro lavori (con opere, tra gli altri, di Jan Fabre, Joseph Kosuth, Loris Cecchini, Pedro Cabrita Reis, Thomas Schutte, Jason Martin, Tony Oursler). Fragile? prende in considerazione un differente aspetto dell’utilizzo del vetro: come oggetto trovato, materiale di scarto da riutilizzare, con tutte le potenzialità simboliche insite nella fragilità dell’elemento, quali la trasparenza, la levigatezza e anche la resistenza e con le sue qualità metaforiche e linguistiche. È l’occasione per ammi-

rare (o rivedere) alcune opere storiche che sono talvolta entrate nel mito o più semplicemente nella storia dell’arte contemporanea, come “Air de Paris” di Marcel Duchamp, un’ampolla di vetro con all’interno (così afferma l’artista) aria di Parigi. O l’altrettanto celebre “Terremoto in Palazzo” di Joseph Beuys, commissionata all’epoca del terremoto di Napoli all’artista tedesco da Lucio Amelio. E ancora “Mezzo specchiato-Mezzo trasparente” di Luciano Fabro, un lavoro diviso verticalmente in una parte di vetro trasparente e un’altra specchiante, ove il visitatore, muovendosi, appare e scompare. E via enumerando con la combinazione di oggetti e parole di Joseph Kosuth,le bottiglie tagliate di Mona Hatoum, una scultura illuminata di Keith Sonnier, la striscia di terra tagliata da lastre verticali di Mario Merz, la barra d’aria di Giuseppe Penone, e ancora Richter, Anselmo, Claire Fontaine, David Hammons, Kounellis, Pipilotti Rist. In definitiva una mostra da non perdere. n OTT/DIC 2013 | 246 segno - 23


IV BIENNALE DI ARTE CONTEMPORANEA DI SALONICCO Old intersections - Make it New Everywhere but Now

A colloquio con Katerina Koskina, Adelina von Fürstenberg e Denys Zacharopoulos

Katerina Koskina con Lucia Spadano alla Biennale di Venezia

Katerina Koskina Direttrice della Biennale alonicco, da sempre vissuto come centro del Mediterraneo, S ancor oggi attraverso le tracce

greco-romano-bizantine, costituisce una sorta di laboratorio globale. Infatti il titolo scelto per questa IV Biennale, Old intersections - Make it New, vuol dire, - ci spiega Katerina Koskina - in senso lato, che ci sono cose che esistono da cento anni, ma ora le dobbiamo riproporre, ricreare, rileggere in un’altra maniera. - Salonicco, dunque, ha sempre avuto un ruolo importante nel Mediterraneo? - Abitata, dal tempo di Alessandro, da armeni, turchi, francesi ecc. è stata una città cosmopolita importante sin dall’epoca romana e bizantina, seconda dopo Costantinopoli. In seguito è diventata una provincia greca. Ai giorni nostri un grande impulso di rinnovamento è arrivato grazie al nuovo sindaco, Yiannis Boutaris, che ha una forte personalità, e dall’entusiasmo e l’energia dei giovani. Insieme a loro abbiamo voluto guardare l’arte come una forza motrice di libertà, perché essa rappresenta l’unico spazio in cui uno può sentirsi libero, come un linguaggio che non ha bisogno di traduzioni. Quali sono stati i problemi che hai dovuto affrontare, in tempo di crisi e recessione globale, per la realizzazione di questa Biennale?

- Al momento dell’inaugurazione di questa Biennale, al piacere di presentare un evento così riuscito si è mescolata la tristezza e la rabbia per il terribile omicidio di un giovane musicista rapper, Pavlos Fissas, avvenuto ad Atene, per mano di un membro di Alba Dorata, il partito neonazista che si oppone con la violenza alla democrazia parlamentare. Avrei voluto posporre l’apertura della Biennale, ma, in accordo con Adelina von Fürstestenberg, al numerosissimo pubblico abbiamo detto di voler dedicare la performance di Marcello Maloberti, Circus, (allestita davanti all’ingresso principale della “mostra centrale”) al giovane musicista ucciso. Questa Biennale, che presiedo dalla terza edizione, è parte di un “trittico” (che 24 - segno 246 | OTT/DIC 2013

Marcello Maloberti, Circus, 2012-2013, performance (Museo della Cultura Bizantina)

include la quinta edizione che si terrà, naturalmente, fra due anni) tutto dedicato al Mediterraneo. Quando ho iniziato questa avventura ho avuto il sostegno dell’Unione Europea e della Grecia con un progetto che non poteva esaurirsi in una sola edizione. Siamo tutti gente del Mediterraneo e sono tante le similarità e le diversità che ci accomunano. Quello che vorremmo avviare è un “Laboratorio di discussioni e di ricerche” dialogando con i diversi Paesi. Ma le cose sono cambiate e, di conseguenza, anche la situazione geografica, politica e sociale, rendono il dialogo più intrigante. - Il programma di questa Biennale è molto ampio e interessante ed ho notato che, diversamente dalle altre edizioni, si svolgerà sino a gennaio prossimo. - Il prolungamento di questa edizione è dovuto anche ai sostegni dell’Istituto Italiano di Cultura, dell’Università di Salonicco e di altre Istituzioni importanti come l’Istituto Francese, il Goethe Institut e molti altri e la collaborazione di cinque musei: il Museo Archeologico di Salonicco, il Museo della Cultura Bizantina, il Museo Macedone di Arte Contemporanea, il Museo Statale di Arte Contemporanea, la Fondazione Teloglion di Arte Auth. Il Programma centrale, a cura di Adelina von Fürstenberg, con cinquanta artisti internazionali, (di cui dodici greci), che hanno allestito le loro opere nel Padiglione 6 della Fiera Internazionale di Salonicco, e in due monumenti della città, sottolinea proprio il tratto mediterraneo della mostra. Adelina parla nel suo testo in catalogo della “Teoria dell’uomo ribelle”, che assomiglia molto all’artista nuovo. Le opere della rassegna centrale, come quelle delle numerose mostre collaterali in quattro musei importanti della città sono tutte attinenti al tema del Mediterraneo e stabiliscono un dialogo straordinario con le opere del passato come le installazioni di Bill Balaskas, Lenora de Barros, Paris Petridis e Panos Tsagaris inserite tra di-

pinti e disegni della straordinaria mostra, da me curata, sull’Avanguardia Russa (costituita da 1500 pezzi) della Collezione Costakis, dedicata ai cento anni dalla nascita del grande collezionista. Un’altra mostra a mia cura, “Tradition-Reversa”l, allestita al Centro d’Arte Contemporanea del Porto, riunisce opere provenienti dalle mostre organizzate nelle scorse Biennali e dalle collezioni del Museo: una selezione di dipinti, sculture, installazioni, fotografie e proiezioni, realizzate da 29 artisti greci ed internazionali, uniti da un unico filo conduttore, il Mediterraneo, punto di incontro tra Oriente ed Occidente, con le sue idiosincrasie, il suo ricco retaggio culturale ed intellettuale, così unico e pieno di contraddizioni, le sue convergenze e divergenze. In Ottobre c’è inoltre, come nella scorsa edizione, il III Festival della performance con un omaggio a Valie Export, con azioni dal vivo, seminari, concerti di musica elettronica sperimentale e proiezioni di video performance. - Tra un mese circa s’inaugura una Biennale anche ad Atene come mai due Biennali, a breve distanza, in Grecia? - Si tratta di una Biennale con alcuni sostegni privati. Atene, purtroppo, non si muove con la stessa energia di Salonicco. Noi abbiamo deciso di cambiare la stima di questa città dal passato molto forte, dandole un’immagine piùcontemporanea. John Armleder, OPAR N°7, 2007, surf boards, polyurethane foam, paint, fabric, 500 x 20 x 264 cm. (Periptero 6 - Fiera Internazionale di Salonicco)


foto Roberto Sala

Marina Abramovic, Dangerous Games, 2008, video, col., 3 min. 34 sec. Segment of the long feature film Stories on Human Rights, produced by ART for The World for the 60th Anniversary of the Universal Declaration of Human Rights, 2008. Courtesy Galerie Guy Bartschi, Geneva.

Maria Papadimitriou, Apparatus, 2011. Vetro di Murano, barca, veduta dell’installazione.

Liliana Moro, Underdog, 2005, Bronze sculptures, life size Adrian Paci, The Column, 2012, video projection, 27 min.

Adelina von Fürstenberg curatore della mostra “Everywhere but now”

Marta Dell’Angelo, La Prua, 2009. Particolare Miltos Manetas

Adelina von Fustemberg

Zineb Sedira, The death of a journey 1, 2008, 120 x 100 cm Ghada Amer, Blue Bra Girls, 2011, stainless steal casted, polished, stainless steel, 182.9 x 157.5 x 137.2 cm

Everywhere but now è il titolo della mostra centrale della IV Biennale a cura di Adelina von Fürstenberg alla quale ci è sembrato opportuno chiederle qualche precisazione. - Quali sono le caratteristiche principali di questa rassegna? La mostra è un faccia a faccia interattivo, potente e delicato, dove il pubblico può riscoprire le realtà composite di oggi intorno al Mediterraneo, ponendo in stretta relazione la questione dello spazio (Everywhere) e dei differenti genius loci dei paesi dell’area mediterranea con la questione del tempo (Now), della creazione nella nostra società contemporanea. Intorno al Mare Nostrum diverse civiltà hanno contribuito allo sviluppo e al progresso politico, economico, artistico e tecnologico dell’area. D’altra parte i suoi confini sono testimoni di incertezze e perplessità, di differenze tra le nazioni, le

religioni e le culture; sono aree di incontro geografico e storico tra benessere e povertà, instabilità politica e insicurezza così come tra bellezza naturale, inquinamento e tragedie umane. - Più di 50 artisti provenienti da 25 paesi dell’area mediterranea e non solo, (tra i quali 14 dalla Grecia stessa), hanno realizzato per la mostra lavori originali, utilizzando svariati media, dalla pittura alla scultura, alla fotografia, video installazione e performance. ma “formalmente” non sembrano essere portatori di novità. Forse ci si aspettava un po’ più di rischio. Con quale criterio li hai scelti? - Non sono stata alla ricerca di novità, ma di qualcosa che faccia riflettere, portando l’arte all’esterno di un “main streaming” e proporre l’arte come pensiero che parla anche di problemi e suggerisce delle soluzioni. La mostra è stata concepita come uno spazio di scambio e confronto, proprio come il Mediterraneo. Le opere presentate, a volte sono veicolo di messaggi politici, commenti caustici all’economia mondiale, a volte fanno riferimento ad eventi storici, a problematiche religiose o ambientali. Attraverso i propri lavori artisti come Marina Abramovic, (con il suo video sui bambini-soldati), Ghada Amer, John Armleder, Jafar Panahi, confermano che l’arte può essere strumento utile al dialogo e alla conoscenza, al superamento di pregiudizi, differenze e barriere culturali tra persone. n OTT/DIC 2013 | 246 segno - 25


Everywhere But Now

Per la prima volta una grande parte della Mostra Centrale della Biennale è presentata nel Padiglione 6 della Fiera Internazionale di Salonicco, in un’area di 2500 metri quadri nel cuore della città, e si estende poi a luoghi suggestivi quali il minareto Alatza Imaret (che ospita i lavori di Beforelight, Gülsün Karamustafa, Mark Mangion, Ange Leccia, Peter Wüthrich) la Moschea Geni Tzami (con le opere di Haris Epaminonda, Ymane Fakhir, Hüseyin Karabey, Rosana Palazyan, Jafar Panahi, Gal Weinstein), il Museo Archeologico di Salonicco (David Casini), il Museo della Cultura Bizantina (Adrian Paci), il Museo Macedone di Arte Contemporanea (Sheba Chhachhi, Jacques Berthet), il Museo Statale di Arte Contemporanea Moni Lazariston (Bill Balaskas, Lenora de Barros, Paris Petridis, Panos Tsagaris). Gli artisti in mostra al Padiglione 6 di Helexpo: Marina Abramovic, Ghada Amer, John Armleder, Maja Bajevic, Nigol Bezjian, Mohamed Bourouissa, Marie Bovo, Claire Fontaine, Jordi Colomer, Marta Dell’Angelo, Desertmed Collective, Inci Eviner, Parastou Forouhar, Apostolos Georgiou, Khaled Jarrar, Iseult Labote, Los Carpinteros, DeAnna Maganias, Marcello Maloberti, Miltos Manetas, Liliana Moro, Maria Papadimitriou, Dan & Lia Perjovschi, Ivan Petrovic, Khalil Rabah, Philip Rantzer, Zineb Sedira, Veronica Smirnoff, Priscilla Tea, Maria Tsagkari, Raed Yassin, Yiorgis Yerolymbos, Vasilis Zografos. Visitabile fino al 31 gennaio 2014.

Khalil Rabah

Parastou Forouhar, Written Room, 2013

Gal Weinstein, Fire Tire, 2010 - 2013

Museo Statale di Arte Contemporanea Tradition-Reversal Centro d’Arte Contemporanea del Porto di Salonicco

A cura di: Katerina Koskina, Yannis Bolis Artisti selezionati: Nikos Alexiou, Stephen Antonakos, Filippo Berta, Lizzie Calligas, Vlassis Caniaris, Nikos Charalampides*, Lydia Dambassina, Christoph Draeger, Yioula Hatzigeorgiou, Khaled Hafez, Niki Kanagini, Antigoni Kavvatha, Evangelia Kranioti, Nikolaj Bendix Skuym Larsen, Maria Loizidou, Dimitris Merantzas, Micha, Oliver Musovik, Irfan Önürmen, Dennis Oppenheim, Leda Papaconstantinou, Natassa Poulantza, Eugenio Tibaldi, Giorgos Tserionis, Costas Tsoclis, Costas Varotsos, Constantin Xenakis, Dimitris Xonoglou, Yang Yonglang. Visitabile fino a dicembre 2014. Costas Varotsos

Priscilla Tea, Curved-horizontal-space, 2012

Biennale di Lione 2013 Meanwhile… Suddenly, And then 12 Settembre 2013 – 5 gennaio 2014 Ed Atkins, Even Pricks, 2013. La Sucrière

in dalla prima Biennale del 1991, ho invitato i curatori designati a “F pensare nei termini di una ‘parola chiave’,

che rimane la stessa per le tre successive edizioni della biennale” – ha dichiarato il Direttore Artistico della Biennale di Lione Thierry Raspail – il curatore dell’edizione 2013 Gunnar B. Kvaran, ha scelto la parola “Racconto”. Il termine è diventato il titolo e il punto di partenza per un dialogo, “sul quale abbiamo costruito tre progetti: in primo luogo la ‘Mostra principale’, quindi il laboratorio creativo dal titolo ‘Veduta’ – nel quale i lavori degli artisti in residenza, la collezione del Museo Contemporaneo di Lione, le opere parte della mostra e quelle di artisti amatoriali di ogni età e background sociale, si combinano e interagiscono per costruire un nuovo rapporto visivo con il

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mondo – e il terzo progetto, ‘Résonance’, che costituisce una vasta polifonia di creatività di massa, nella quale collettive di artisti, giovani gallerie, nuove istituzioni, rendono omaggio all’‘irrazionale’ facendo da contrappunto alla Mostra principale.” Per l’edizione 2013 della Biennale di Lione, il curatore Gunnar B. Kvaran ha invitato artisti internazionali che lavorano nel campo della narrativa e utilizzano l’arte come mezzo per sperimentare attraverso le modalità e i meccanismi della narrazione. L’arte di questi artisti-narratori si sviluppa attraverso diverse forme e diversi registri, materiali e tecniche. La mostra raccoglie sculture, dipinti, immagini animate, arrangiamenti di testi, suoni e oggetti nello spazio, e performance in luoghi istituzionali, come il Museo Contemporaneo di Lione disegnato da Renzo Piano e la Fondazione Bullukian, affascinanti quali la chiesa di San Giusto che ospita il lavoro di Tom Sachs, le architetture industriali anni Trenta della Chaufferie de l’Antiquaille che ospitano due grandi lavori di Zhang Ding, e la ex fabbrica dello zucchero la Sucrière, i cui 7000 metri quadri ospitano tra silos e spazi intrisi di


foto Roberto Sala

Denys Zacharopoulos direttore artistico del Museo Macedone d’Arte Contemporanea - Abbiamo incontrato Denys prima della vernice della Biennale in occasione dell’inaugurazione della mostra di Carla Accardi al Museo Macedone d’Arte Contemporanea e, in una chiacchierata amichevole, Denys Zacharopoulos ci ha rilasciato le sue prime impressioni sulla Biennale. - La Biennale di Salonicco nelle sue varie proposizioni comprende un gran numero di artisti internazionali che hanno lavorato negli ultimi vent’anni. La mostra Tradition-Reversal, curata da Katerina Koskina al Museo Statale d’Arte Contemporanea, è in assoluto dialogo con la rassegna centrale di Adelina von Fürstenberg, che riprende l’idea del Mediterraneo come modello pubblico culturale, mentre l’altra (che non so se io avrei avuto l’ardire di fare!) ha un’impostazione che chiarisce delle idee sul contesto attuale del Mediterraneo. Se pensiamo che è una rassegna che – per citare Leopardi –” dall’ultimo orizzonte il guardo esclude”, ci accorgiamo che c’è, sì il senso della perdita, ma ci accorgiamo anche di stare ancora nel mare, come parte di un elemento che è del mondo. Questa esperienza son sicuro che non la si può fare di fronte all’Oceano! Tutti gli artisti che hanno conosciuto il Mediterraneo l’hanno trasmesso al resto del mondo. La mostra “The Mediterranean experience” - allestita nel Museo Macedone d’Arte Contemporanea che dirigo - comprende oltre 120 opere di artisti contemporanei, dagli anni Sessanta ad oggi, e intende esplorare sistematicamente e per la prima volta la formazione di nuove categorie estetiche e cognitive, intese come topologia dell’esperienza mediterranea attraverso l’arte contemporanea, a partire dal Nouveau Réalisme e dall’Arte Povera fino ai giorni nostri. Sarà possibile apprezzare fino al 31 dicembre le opere di artisti greci ed internazionali quali Marina Abramovic, Alighiero Bopassato le opere dei giovani artisti invitati, tra i quali Ed Atkins e Helen Marten (Gran Bretagna), l’artista ceco Vaclav Magid, gli americani Trisha Baga, Ian Zhang Ding, Buddah Jumps over the Wall (Le Bouddha saute par-dessus le mur), 2012. La Chaufferie de l’Antiquaille

etti, Nikos Alexiou, Dimitris Alithinos, Stephen Antonakos, Daniel Buren, Pedro Cabrita Reis, PierPaolo Calzolari, Jimmie Durham, Diego Esposito, Jenny Holzer, Mike Kelley, Joseph Kosuth, Dimitris Kozaris, Nikos Kessanis, Robert Longo, Joan Muñoz, Eliseo Mattiacci, Pino Pascali, Remo Salvadori, Takis, Gilberto Zorio e altri. In questo contesto alcuni sono già noti in Grecia, mentre altri sono “nuovi” ed è giusto che qui tutti abbiano la possibilità di conoscerli ed apprezzare le loro opere, non solo attraverso le fotografie: visto che non tutti hanno la possibilità di andare a Venezia o al MOMA!

Thessaloniki Performance Festival

è a cura di Eirini Papakostantinou. Live performances: Maria Jose Arjona, Ron Athey, Aymeric Hainaux, Clarice, Mara Maglione, Mohamed El Mahdaoui, Monali Meher, Alekos Plomaritis, Tamar Raban, Maria Sideri. Workshops: Manuel Vason. Tributes: Valie Export e Dimitris Alithinos. L’Istituto Italiano di Cultura di Salonicco ha una nuova direttrice, Monica Zecca, che ha iniziato la sua attività il 26 settembre scorso con una “giornata di porte aperte”. “L’Istituto Italiano di Cultura è impegnato a farsi conoscere sempre di più – ci dice durante il nostro incontro nella giornata inaugurale della Biennale – e l’occasione migliore mi è sembrata “La giornata internazionale della lingua italiana” (già istituita dal Ministero degli Esteri nel 2000) con conferenze, proiezioni, concerti e tutto ciò che può servire alla diffusione della nostra lingua. L’Istituto ha deciso inoltre di dare un sostegno alla Biennale di Salonicco per il terzo Festival della performance con un contributo per la partecipazione dell’artista italiana MaraM (Mara Maglione)”.

Apostolos Georgiou, Untitled, 2010

Dan & Lia Perjovschi, WHAT HAPPENED TO US? 2007, Permanent marker su muro.

Ange Leccia Ymane Fakhir, Un Ange Passe, 2003

Cheng, Petra Cortright, Nate Lowman e Ryan Trecarti e, dal Giappone, Masaya Chiba, e gli artisti francesi Neil Beloufa e Lili Reynaud-Dewar. Artisti invitati: Jonathas de Andrade Souza, Ed Atkins, 
Trisha Baga, 
Matthew Barney, Neïl Beloufa, 
Gerry Bibby, 
Dineo Seshee Bopape
, The Bruce High Quality Foundation, Antoine Catala, 
Paul Chan, 
Ian Cheng
, Dan Colen, 
Petra Cortright, 
 Jason Dodge
 , Aleksandra Domanovi, 
David Douard, 
Erró
, Roe Ethridge, 
Edward Fornieles
, Gabriela Friðriksdottir, 
Robert Gober, 
Karl Haendel, 
Fabrice Hyber, 
Jeff Koons, 
Ann Lislegaard, 
 Nate Lowman, 
 Madeln Company
, Václav Magid
, Helen Marten, Thiago Martins De Melo, Bjarne Melgaard, 
 Takao Minami
 , Meleko Mokgosi, Paulo Nazareth, Paulo Nimer Pjota, Yoko Ono, 
Laure Prouvost, 
Lili Reynaud-Dewar, James Richards, Matthew Ronay, Tom Sachs, Hiraki Sawa
, Mary Sibande, 
Gustavo Speridião, 
Tavares Strachan, 
Nobuaki Takekawa, 
Ryan Trecartin & Lizzie Fitch, Hannah Weinberger, 
Ming Wong, 
Yang Fudong, 
Anicka Yi, 
Zhang Ding. n

Matthew Barney, Ambergris and Winch in Flensing Station, 2005 – 2010. Le Musée d’art contemporain

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Itinerario Europeo di

CARLA ACCARDI

Gesti di qualità alla ricerca della luminosità Intervista a Denys Zacharopoulos a cura di Lucia Spadano

P

roveniente da Budapest (Museo di Belle Arti Vasarely) e prima ancora da Torun in Polonia, l’itinerario europeo della mostra monografica di Carla Accardi è stato proposto dal 18 settembre negli spazi del Macedonian Museum of Contemporary Art di Salonicco, nell’ambito degli itinerari espositivi della IV Biennale d’Arte Contemporanea, per proseguire successivamente in novembre ad Atene. Il progetto espositivo è parte del programma di promozione dei grandi artisti italiani all’estero, le cui opere sono presenti nella Collezione Farnesina a Roma, ed è promosso dall’Area della Promozione Culturale del Ministero degli Affari Esteri, dalla Fondazione Malvina Menegaz di Castelbasso (Teramo) e dall’Associazione per l’Arte Contemporanea Zerynthia (Roma). La mostra di Carla Accardi (il cui titolo generale è “Smarrire i fili della voce”, a cura di Laura Cherubini e Maria Rosa Sossai), per queste due ultime tappe in Grecia, è curata dal critico greco Denys Zacharopoulos, direttore artistico del Macedonian Museum of Contemporary Art di Salonicco e dell’Alex Mylona Macedonian Museum di Atene (dove la mostra sarà trasferita a novembre), al quale abbiamo chiesto di sintetizzarci alcuni aspetti e ruolo di questa importante mostra itinerante. - Penso che questa mostra - ci dice Zacharopoulos - in mezzo ad una Biennale, ove spesso si vedono molte opere di giovani artisti, sia una verifica per capire fino a che punto Carla Accardi sia attuale, fino a che punto, cioè, il suo lavoro sia in una posizione che non mi sembra per nulla indifferente alla realtà del mondo in cui viviamo e che comunque è di una freschezza che esprime il piacere e la gioia di vivere, di operare col bene nel bene. D’altra parte - come ho scritto nel testo in catalogo - la figura di Carla Accardi è tra i principali artisti del nostro tempo,

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per aver conferito alla storia della pittura europea e alle tendenze artistiche del dopoguerra un profilo molteplice e stimolante. I suoi risultati, le tappe e le fasi della sua carriera, sono sicuramente significativi nella storia dell’arte. Tuttavia l’estensione del suo lavoro, la finezza e l’intensità della sua espressione artistica, la qualità e l’autenticità della sua pittura, offrono un vasto orizzonte che lo spettatore contemporaneo e gli appassionati d’arte possono efficacemente apprezzare. Nel corso degli anni, la sua pittura diventa sempre più individuale, utilizzando con


attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Carla Accardi, in alto, a sinistra, Smarrire i fili della voce, 2012, vinilico su tela, cm 160x220 – collezione privata; a destra, Impronta d’ombra, 2012, vinilico su tela, cm 200x130 – collezione privata; sulla sinistra, Identità ignote, 2012, vinilico su tela, cm 70x90 – collezione privata; in basso, installazione al Museo Torum, Budapest. Nella pagina a fianco, sopra al titolo, Onda, 2008/2009, vernice su perspex, cm 30.5x80x244 – collezione privata; a centro pagina, Bianconero, 2010, stoffa dipinta, cm 203x137 – collezione privata (foto Gino Di Paolo). in basso, installazione al Museo Torum, Budapest.

grande libertà gli elementi formali di analisi che ha inventato e ridefinisce, nel suo lavoro più recente, attraverso questa prospettiva una nuova dimensione poetica della pittura. Per farlo l’artista ci invita a coinvolgere i nostri occhi, la nostra mente, il nostro corpo, il nostro movimento, i nostri sentimenti nello spazio e nel tempo, la nostra relazione con l’altro , e la nostra tendenza ad uscire da noi stessi per incontrare il mondo esterno. Sapiente e razionale, il suo lavoro è gioioso, luminoso e brillante, pieno di temperamento, luce e speranza. E’ il più gradito tra tutti i

messaggi che possiamo ricevere, da una persona che ha già percorso la via che ci farà uscire dalle tenebre, dalla guerra, dalla miseria, dal fascismo, dalla crisi individuale e sociale del secolo scorso. Un messaggio che offre spazio e visione ad una generazione più giovane nuovamente minacciata dall’oscurità e dalla miseria. Carla Accardi, più giovane che mai, affronta il futuro senza rughe. La sua pittura getta le basi per permettere alle persone di guardare lontano, nel tempo e nello spazio, e di trovarsi faccia a faccia con la luminosità. n

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Da Roma a Trieste

Jannis Kounellis l contributo della materia nella ricerca di Jannis Kounellis è coerente con la Idimensione concettuale. I corpi materici

sono congiunti e sempre ritrovati; creano stabilmente un filo narrativo di sintesi e ripresa del percorso dell’artista greco che da anni lavora in Italia, sua patria d’adozione sin dal 1956. La mostra personale alla Galleria Giacomo Guidi a Roma, a cura di Bruno Corà, dischiude i margini del lavoro artistico che Kounellis dispiega da sempre per il senso storico della vita, aperto alla contemporaneità. La necessità di riordinare la complessità del vissuto dell’uomo come esperienza drammaturgica è per Kounellis una azione imprescindibile, come in uno zibaldone artistico la materia diviene il linguaggio primario di costruzione del racconto. Andare alla radice della questione umana attraverso il rapporto diretto con i luoghi e le strutture

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spaziali, dispone e amplia l’esperienza di analisi e ricerca del rapporto estetico con l’umanizzazione del fare arte. Il dialogo è costante e diretto; con la nostra storia e con il mezzo dell’esperienza creativa si affidano forti spunti di riflessione, nella lettura dei secoli trascorsi. Fare luce sugli orrori dell’umanità, sull’incoerenza del fluire storico. Questa evidenza è illuminata dalla lampada di coltelli, sospesa in altezza da una sorta di forca che chiude la scena della sala grande della galleria romana, nell’incombenza di uno stato di sospensione. Dalla parte terminale dell’ambiente a volta la forca luminosa si confronta in una obliqua complementarietà con il cerchio materico dei sacchi di iuta colmi di carbone, all’ingresso della stanza. I dodici elementi riprendono la struttura del coro greco e la sede mnemonica dello sviluppo industriale della società occidentale. La firma stilistica dell’artista amplifica l’aspetto dialettico, nella luminosità della materia nera. Il rimando alla storia dell’arte che viene da

definire come storia umana è in continua perseveranza, in una silente citazione visiva, lontanamente riconosciuta, come è per la lampada-forca tanto vicina a quella altrettanto incisiva della Guernica di Picasso. La spazio diviene l’hortus conclusus in cui l’artista fa gravitare la ricerca della drammaticità, con la forte circoscrizione delle lamiere d’acciaio che chiudono serratamente i perimetri della sala grande della galleria, in una sospensione temporale drastica. Ilaria Piccioni Nella mostra allestita al Porto di Trieste, nel Salone degli Incanti / ex Pescheria, Kounellis mette in scena un lavoro, usando il suo linguaggio sempre poetico ed espressivo legato in modo particolarissimo alle città portuali e soprattutto ai ricordi di un’infanzia trascorsa nel porto di Atene. L’uomo e la sua storia sono e rimangono per Kounellis il punto di riferimento e la base di partenza per la creazione di ogni opera, elaborata secondo


attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE dimensioni riferite all’essere umano e qui, con un gesto pittorico unico, risolutore, l’artista affronta il grande spazio restituendo dall’abbandono frammenti e memorie di un passato di fervida laboriosità, dando così vita ad una suggestione che rimanda con forza all’immaginario dei luoghi e delle tradizioni del mare. Pietre e corde, come filze di grani di enormi rosari, raccontano allo spettatore il dramma e la sacralità delle storie dei naviganti. Resti consunti di barche di legno, oggi inutilizzate, emarginate, rivivono nell’intervento di Kounellis come metafore dell’incapacità a navigare il mare del cambiamento che prelude alla fine. L’utilizzo di un gran numero di sedie mette infine in scena la tragedia restituendo l’antico valore teatrale alla rappresentazione dell’artista. La spettacolare rassegna, curata da Davide Sarchioni e Marco Lorenzetti, è visibile sino al 6 gennaio 2014. n

L’installazione di Jannis Kounellis a Trieste photos©M Baboussis

Tre opere di Jannis Kounellis alla Galleria Guidi di Roma

L’installazione di Jannis Kounellis a Trieste photos©M Baboussis

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Castelbasso 2013 / Palazzo De Sanctis

Le ragioni della pittura di Maria Letizia Paiato

Peter Linde Busk, The happy Wanderer, 2011, colori acrilici e matite su tela, cm 82,6x57,9x3,5, Collezione Raffaella e Stefano Sciarretta, Nomas Foundation, Roma.

« […] cosa intendere oggi per pittura? E quali artisti inserire in una mostra che intende fare il punto su questo medium? […]. E ancora: considerare “pittori puri” oppure artisti la cui pratica eterogenea consente sporadiche ma efficaci incursioni nella pittura? […]». Queste sono le domande più significative che Eugenio Viola, curatore insieme a Laura Cherubini della mostra Le ragioni della pittura, esiti e prospettive di un medium allestita quest’estate a Castelbasso, consolidato appuntamento estivo che da anni si svolge grazie al profuso impegno della Fondazione Malvina Menegaz; si pone nel testo di sua stessa mano in catalogo. Interrogativi tutt’altro che semplici! È un discorso, quello sul valore della pittura oggi che presuppone risposte complesse e non banali e che a sua volta – come un domino – rilancia nuovi quesiti. La riflessione parte dall’assunto che esprimersi attraverso il medium pittorico significhi comunicare con modi obsoleti e attinenti all’ambito della tradizione. Per capire il nocciolo della questione è necessario, per prima cosa, tenere bene a mente

i cambiamenti epocali, sulla natura stessa del “fare” arte, avvenuti nel corso del secolo passato. È innanzi tutto l’agire stesso dell’artista che si trasforma. Egli, spostando l’ago della bilancia dall’oggetto finito al procedimento intellettuale e concettuale che sottende l’operazione artistica, ha contribuito al dibattito sul valore della creazione, aprendo un divario fra i concetti di “estetico” e “artistico”. L’arte ha così spalancato le porte alla possibilità di nuovi materiali e nuove forme entrate nel bagaglio delle esperienze contemporanee e che oggi sono percepite, sia dal pubblico sia dagli operatori di settore, come consuetudine. Difatti adesso “fare” arte – se ci riferiamo esclusivamente all’ambito delle tecniche- coincide con l’ammissibilità di qualsiasi mezzo espressivo. È l’artista che determina quale tecnica prediligere, quale scegliere e se utilizzarla in modo esclusivo o innestarla ad altre, dando per assolto che il medium dipende dalla strutturazione stessa della propria poetica. Una prima risposta è data quindi dagli stessi curatori, che ammettono nei loro interrogativi che il medium pittorico è una possibilità, è una scelta espressiva che spetta all’artista. È una risposta chiara anche nella selezione stessa degli artisti - Salvatore Arancio, Hernan Bas, Simone Berti, Michael Bevilacqua, Matthias Bitzer, Peter Linde Busk, davide Cantoni Carter, Matthew Chambers, Benny Chirco, fabrizio Cotognini, Alberto di Fabio, Patrizio Di Massimo, Giulio Frigo, Stefania Galeati Shines, Paolo Gonzato, Uwe Henneken, Haavard Homstvedt, Mariangela Levita, Birgit Megerle, Damir Ocko, Donato Piccolo, Luigi Presicce, Tanja Roscit, Rob Sherwood, Jamie Shovlin, Dan Shaw-Town, Diego Singh, Ian Tweedy che per l’appunto spaziano da una tecnica

Mariangela Levita, Permanent Vocation, 2013, background stampa su carta, acrilico su tela, cm 356x252, quadri, cm 140x100, Courtesy VOICE gallery, Marrakech

Paolo Gonzato, L’isola delle rose, 2012, legno e smalto, dimensioni variabili, Courtesy A Palazzo Gallery, Brescia

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all’altra pur mantenendo nella pittura il proprio referente. Se davvero fosse tutto così semplice, avremmo già risolto il problema. Qual è allora il vero nodo da sciogliere? Forse, l’intreccio da sbrogliare non riguarda tanto l’attualità della tecnica, quanto invece la cifra stessa Ian Tweedy, Tower Tumble della pittura; cioè il Down, 2011, olio su tela. pensiero che essa Veduta dell’installazione abbia un’implica- presso MONITOR, cm 107x305, l’artista e Monitor, zione diretta nel Courtesy Roma, ph Gino Di Paolo processo d’identificazione con il tempo. La sua svalutazione potrebbe in primo luogo essere legata - in Italia più che altrove - al peso che sopporta nei confronti del passato, tanto che anche il pubblico, molto spesso, non vede in essa un modello in grado di sostenerne il confronto. Che sia forse questo uno fra i motivi per cui, spesso, il linguaggio della pittura contemporanea, ci suggestiona di meno rispetto ad altri, restituendoci una forte sensazione di già visto? Per ciò, in più occasioni e ripetutamente, nel corso del XX secolo se n’è dichiarata la morte? relegandola così ai margini della produzione contemporanea? Tuttavia, e questo è un dato concreto, essa non è mai davvero scomparsa. Mai, nella storia dell’arte, un medium ne ha realmente soppiantato un altro – come diversamente accade strettamente per l’ambito tecnologico e elettronico – ma semmai, per l’appunto, come già ampiamente evidenziato, ha rintracciato

Luigi Presicce, Sputato a Cristo, 2012


attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Simone Berti, Senza Titolo, 2010, carboncino, grafite, vernici e pastello su carta foderata/charcoal, graphite, paint and crayon on lined paper, cm 150x105, Courtesy Galleria Vistamare, Pescara

Hernan Bas, A green line, 2005, tecnica mista su carta , cm 31 x 26, Collezione privata, Lucca, ph Gino Di Paolo

Fabrizio Cotognini, Navi fantastiche (omaggio a Jurgis Baltrušaitis), 2013, lapis, sanguigna, biacca, colore organico su carta giapponese montata su legno, cm 300x190, Courtesy l’Artista e Prometeogallery di Ida Pisani, Milano-Lucca

parte delle ragioni della sua esistenza in virtù di un suo affiancarsi ad altri mezzi. Un passaggio forse mancante – spunto che lancio per una futura riflessione – che mi viene suggerito nell’osservare le opere in mostra e che mi sembra possa aiutare a chiarire quale senso riassegnare oggi alla “pittura”, riguarda più strettamente a forma. Intorno ad essa possiamo disquisire su quante e quali volte sia morta e risorta, se la tecnica è pura o spuria, se è figurativa o astratta, se rispondente a dettami costruttivi o se invece sosti più nella sfera delle emozioni. Ma non possiamo prescindere dall’unico dato certo che l’accompagna sin dalla sua nascita, cioè che essa è sempre stata proposta nella forma del quadro. L’etimologia della parola “quadro” equivale nel campo della storia dell’arte a un dipinto. Ma quadro indica anche la superfice di uno schermo – televisivo, cinematografico, di un video, del pc -; nel teatro designa una sequenza, una o più parti di un atto, in geometria descrittiva specifica il piano di proiezione e in matematica equivale a una frazione e all’esponente di una radice. E la lista di significati e cose associabili alla parola “quadro” potrebbe di gran lunga essere maggiore se vi aggiungiamo tutta la serie di dispositivi atti alla registrazione e visualizzazione di immagini. In sostanza la parola “quadro” rimanda al concetto più ampio d’immagine, da una parte strettamente connesso al senso della vista, dall’altra a quello attinente l’ambito delle idee. “Quadro”, precisa pertanto non tanto un oggetto materiale, ma una modalità del vedere. Fare un “quadro” – sin dalla sua invenzione – altro non è che una proposta di sintesi del mondo tendente alla creazione di qualcosa che gli somigli, che prende spunto da esso per poi racchiuderlo in uno spazio definito. Ed è sempre stato così e lo è tutt’oggi. La pittura non è, quindi, soltanto una tecnica e o una possibilità espressiva, ma una visione costante nel tempo. È su questo nodo che essa mostra la sua cifra. È in questa proposta del vedere che sopravvive alla sua distruzione, nella memoria, nella narrazione, in copie e tracce che possono preservarsi anche in altri media. È per questo motivo che la “pittura” non morirà mai, al di là e oltre le singole poetiche degli artisti. Credo sia in questi termini che vada rintracciato il senso del definirsi “pittore” su cui Mimmo Paladino insiste

Da Antonello da Messina, 2002, legno e ferro/ wood and iron, cm60x60x60(h), Collezione dell’artista/ collection of the artist. Photo credits: Gino Di Paolo e Mario Di Paolo(veduta d’allestimento)

sovente. Che egli affronti una superfice bidimensionale, che dipinga tout court o la tratti a stregua di scultura, che egli si espanda nella dimensione ambientale o dia vita ad una pellicola cinematografica; Mimmo Paladino è sempre “pittore”, perché propone una visione. Attraverso il suo vedere, il suo essere “pittore” l’artista trattiene il legame con il passato riuscendo a percepirlo e interpretarlo come ulteriore tempo del presente. n

Michael Bevilacqua, Staind

Alberto Di Fabio, Sinapsi blu+galassie, 2010. Acrilico su tela, cm140x140x4. Courtesy Gagosian Gallery. ph Gino Di Paolo

Castelbasso 2013 / Palazzo Clemente

Mimmo Paladino di Maria Letizia Paiato

Mimmo Paladino è protagonista della seconda mostra allestita a Castelbasso dal titolo VARIeAZIONI; un percorso espositivo che ripercorre a tappe i momenti più significativi della carriera del maestro. Dagli oli e metallo su tela del 1997 alla scultura di legno e ferro Da Antonello da Messina, all’uomo Geometrico del 2002. Dalle sculture in bronzo, ferro e pittura del 2005 alle recenti grandi tele, quella blu e quella chiara in contrasto fra loro collocate nella sala del camino della Fondazione. Dalla stanza dedicata alla produzione delle terracotte, ivi comprese quelle a “quadro”, fino alle due figure appositamente realizzate per Castelbasso quale omaggio alla terra d’Abruzzo. Ancora, dagli allumini policromi installati sui muri del borgo, preludio al visitatore di ciò che lo attende, fino ai Dormienti spettacolare opera del 1999. Parallelamente alla mostra di Castelbasso Mimmo Paladino è impegnato in un altro progetto nell’ambito del Ravello Festival 2013. L’esposizione curata da Flavio Arensi, promossa dalla Fondazione Ravello, in OTT/DIC 2013 | 246 segno - 33


stretta collaborazione con il Direttore Artistico del Ravello Festival Stefano Valanzuolo, consta di 60 opere, tra cui la grande installazione dei venti Testimoni collocati in dialogo con l’architettura di Niemeyer. Una mostra complessa che celebra il quattrocentesimo anniversario della morte del compositore Gesualdo di Venosa, al quale Paladino dedica un corto, dal titolo Labyrinthus, realizzato con l’attore Alessandro Haber, che interpreta il musicista nelle sue ultime ore di vita mentre detta il testamento. n

Mimmo Paladino, veduta d’allestimento, Castelbasso, 2013. Photo credits: Gino Di Paolo e Mario Di Paolo

Dall’immagine alla parola intervista a Mimmo Paladino a cura di Maria Letizia Paiato

Senza Titolo (Elmi), 1993, legno, terracotta, calce/ wood, clay, lime, cm198x78,5x90(h), Collezione dell’artista/ collection of the artist. Photo credits: Gino Di Paolo e Mario Di Paolo (veduta d’allestimento)

ue sono le mostre che quest’estate D l’hanno vista protagonista, una a Castelbasso in Abruzzo, l’altra a Ravello

per il Ravello Festival in Campania. Il titolo dell’esposizione di Castelbasso VARIeAZIONI mi incuriosisce moltissimo. In particolare, la parola azione, sinonimo di movimento ma anche termine utilizzato nel cinema, mi fa pensare ad una sorta di orchestrazione generale di entrambe le mostre. E’ così? - Si, in effetti l’idea di azione, di movimento, è in parte comune ad entrambe le mostre. Il termine orchestrazione lo trovo consono a definire il mio modo di lavorare perché è attinente all’ambito musicale e perché sottende l’idea di composizione. Di fatti la musica è una disciplina molto presente e molto affine alla mia esperienza artistica. Tuttavia, questo pensiero riguarda singolarmente ogni opera realizzata che in seguito si amplia alla mia intera produzione indipendentemente dal tipo di mostra che mi ritrovo a fare. - Come nascono allora le due esposizioni? Che differenza c’è tra l’essere chiamati a interpretare un tema - il 400° anniversario della morte di Gesualdo da Venosa- e proporre se stessi, la propria poetica come tema? - No, attenzione. A Ravello non sono stato chiamato a interpretare un tema, bensì quella di realizzare un corto sulla figura di Gesualdo da Venosa è stata una mia proposta. Già da tempo conoscevo l’opera del compositore lucano, importante madrigalista e innovatore del linguaggio musicale. L’occasione, pertanto, mi si è presentata come una possibilità, come un’opportunità che mi ha spinto a realizzare il corto 34 - segno 246 | OTT/DIC 2013

Dormienti, 1999, terracotta, 12 elementi/elements, cm121x85x27(h) cad/each, Collezione dell’artista/ collection of the artist. Photo credits: Gino Di Paolo e Mario Di Paolo

Labyrintus dove Alessandro Haber interpreta le ultime ore del musicista mentre recita il proprio testamento. A Ravello ho avuto a disposizione spazi diversificati in cui intervenire e dove collocare varie opere. A Castelbasso, invece, il nucleo principale è raccolto negli spazi della Fondazione Malvina Menegaz. In sostanza, ho avuto, molto semplicemente, a disposizione delle stanze, pertanto la proposta di fare un lavoro più intimo – se così vogliamo dire - è venuto spontaneamente. I vari ambienti, le varie stanze, mi hanno suggerito l’idea di creare come delle piccole isole, delle stazioni vere e proprie dove sostare. In pratica ogni ambiente è dedicato a uno specifico metodo, alle diverse materie con cui ho lavorato e lavoro, ai diversi manufatti realizzati: sculture e o dipinti.

- Quindi, a Castelbasso è come se, per certi aspetti, nell’aver organizzato la mostra per nuclei tematici significativi della sua carriera, avesse voluto chiarire il suo percorso personale? - In parte si; ma anche in questo caso è stata una possibilità, una proposta non dettata dalla necessità di fare il punto della situazione della mia carriera. Non mi ha interessato e non mi interessa tracciare dei bilanci ma, semmai, mi si è prospettata l’occasione di rivedere e evidenziare taluni momenti significativi della mia produzione artistica. - Fra i due interventi, leggo una sorta di tratto d’unione. Immagino un ponte che attraversa e congiunge i due territori, quasi che le sue opere annullino la specificità del luogo facendo si che esso si


attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE ricrei nella visione del suo lavoro. Si ritrova in questo pensiero? - In parte è così e in parte no. In realtà, ogni mostra è un’esperienza a sé e viene “orchestrata” soprattutto tenendo conto della specificità dello spazio che la ospita. Ogni opera ha – al momento della sua creazione e sempre - una propria vita la cui ragion d’essere sussiste indipendentemente da dove sarà collocata. In tal senso, ogni opera acquisisce continuamente nuovi significati ogni volta che è riproposta per un nuovo ambiente e per un nuovo progetto di mostra. - La mostra di Ravello – il festival- è accompagnata dal titolo “Domani”. In una recente canzone di Francesco De Gregori, Ragazza del ’95, egli scrive: «Io credo che il futuro sia un dovere». Si ritrova in questa frase? Come descriverebbe l’idea di domani, quindi di futuro? - Francesco è un caro amico che ha scritto e scrive canzoni bellissime. Tuttavia, il senso che potrei assegnare a questa frase è probabilmente diverso dalla sua originaria intenzione. Forse, la frase tradisce un contenuto sociale che a me non interessa molto. Dal mio punto di vista, il futuro è per l’artista un aspetto insito nella sua stessa definizione, poiché egli ha sempre un domani davanti. Il passato non esiste in quanto tale. Esso è un’esperienza da cui poter attingere continuamente ma sempre nella prospettiva di andare oltre. È come una porta aperta che si può attraversare ogni qual volta lo si desidera. È un continuo andare e venire da cui attingere incessantemente. Pertanto l’artista è sempre proiettato al domani.

meno nelle proprie intenzioni, l’obiettivo di avere un ruolo sociale. Ciò non esclude che fra le conseguenze del suo lavoro tale aspetto sia compreso; ma l’artista ha una posizione diversa, ad esempio, da quella dell’architetto. L’architettura è una disciplina che incide in maniera determinante sulle forme della realtà e non può prescindere dall’impatto che ha sulla e nella collettività. Il lavoro dell’artista, invece, presuppone una libertà assoluta. Il suo lavoro - il mio - s’inserisce fra e negli spazi vissuti dalle persone, è una visione non imposta e senza alcuna pretesa di determinare il vivere.

- Crede che l’artista abbia un ruolo sociale? - No, questo no. Credo che l’artista debba essere libero e porsi, per lo

- Ritornando a Castelbasso, i curatori hanno insistito spesso sul cercare una definizione per lei. E lei ha risposto di considerarsi pittore. Poiché la parallela mostra “Le ragioni della pittura, esiti e prospettive di un medium” tenta di sciogliere il nodo sulla cifra della pittura oggi, non sarà forse molto più semplice pensare che il suo senso possa riferirsi all’idea di una proposta di visione costante nel tempo sin dalla sua nascita? - Il mio insistere nel definirmi pittore, parte innanzi tutto, dall’evidenza che io soprattutto dipingo, uso i pennelli e faccio dei quadri. Questa è una condizione, che sin dagli esordi, si è naturalmente ampliata oltre la superfice bidimensionale, oltre le dimensioni contenute di un “quadro”. Io di fatti, ho dipinto anche quando sono fuoriuscito verso l’ambiente, ed è ancora così. E questa è una condizione che a sua volta, – se questo intendi con la tua domanda - si amplia continuamente. Pertanto, più che essere una proposta di visione, un modo di vedere, è per me una modalità del fare, un modo di essere. Io sono pittore anche quando realizzo un’opera scultorea perché è un’espansione di quel modo di fare. Ciò

Mimmo Paladino, S.T. 1993 - Chiostro di Villa Rufolo, Ravello

Mimmo Paladino, I Testimoni - Auditorium Niemeyer, Ravello

Mimmo Paladino, I Testimoni - Auditorium Oscar Niemeyer, Ravello

include inevitabilmente anche una visione altra che è un’interpretazione del circostante. - Quando lavora in dimensione ambiente, lei sente di inscenare delle possibili storie? Quanto conta l’aspetto narrativo nel suo lavoro? - Questo è un aspetto che spesso viene equivocato. Il dato narrativo non mi interessa affatto e non appartiene alle mie intenzioni. Nemmeno quando lavoro alla realizzazione di un film. Tanto è vero che, se pensiamo proprio al Labyrinthus, il corto su Gesualdo Da Venosa, esso non racconta la sua storia, ma si concentra su un momento preciso della sua esistenza: le sue ultime ore di vita. Le mie opere, il mio lavoro, non hanno la prerogativa di raccontare una storia, che sia la mia o un’altra, ma sono da considerarsi dei segni, dei frammenti, dei timbri, delle note – tanto per riferirsi all’ambito della musica – che vivono di vita propria. E anche un segno in verità può narrare una vicenda. Spesso le immagini, la riproposizione di forme e figure, ci ingannano portandoci a pensare che esista un filo conduttore dietro il lavoro dell’artista. In verità io non sono mai affezionato a una trama, come potrebbe esserlo uno scrittore; ciò che m’interessa è la percezione di significato che si concentra nella traccia. - Un’ultima cosa. Sono a conoscenza del fatto che sta preparando il catalogo generale di tutto il suo lavoro e che lo curerà Germano Celant. Come vi siete scelti? Che valore aggiunto darà a questa opera cartacea un critico che forse agli albori della sua carriera le era distante? Infine, mi pare che un discorso narrativo nonostante tutto si faccia avanti, dunque, serve anche e necessariamente la parola? Forse l’esigenza di riorganizzare la propria storia, un’idea di sistemazione e ordine si è fatta più insistente? - Innanzi tutto, va chiarito che non si tratta di un catalogo generale, ma di una proposta biografica che è venuta da Germano Celant. È dunque un suo lavoro più che mio, dal quale è evidente che io non possa essere escluso. Inoltre il fatto che egli sia stato distante dal mio percorso è un’idea scorretta, che appartiene più alla critica che alla realtà. Vi sono sempre stati, fin dagli anni Ottanta, numerosi incontri, contatti e scambi fra noi. Celant è un critico attento all’intera storia dell’arte contemporanea, dunque anche alla mia esperienza, indipendentemente dagli accadimenti storico-artistici che l’hanno coinvolto in prima persona. Sarebbe limitativo assoggettare il suo lavoro solo a esperienze circoscritte. Gli artisti, i critici non sono necessariamente e per sempre legati a un particolare momento storico ma seguono l’evoluzione del tempo, pertanto la sua proposta non è strana ma coerente alla sua professione. Per quanto mi riguarda, anche in questo caso non si è fatta avanti nessuna esigenza narrativa, nessun bisogno di raccontare la mia storia, anche se certo, è evidente che per questo tipo di lavoro una selezione, una riorganizzazione dei miei lavori, dei miei segni, delle mie tracce è necessaria. Ma a scrivere sarà Celant non io, per cui la narratività appartiene a lui e sono certo che svolgerà una lettura attenta e scientifica del mio percorso. n OTT/DIC 2013 | 246 segno - 35


Fortezza di Civitella del Tronto

Visione Animale. Visione Mario Dondero.

A sinistra: Fabio Mauri, Finimenti in pelle ebrea, 1971. Cavallo in legno, finimenti in pelle, rivestimenti in cerata nera, targhetta, metallo, courtesy Studio Mauri; Qui sopra: Mario Airò, Senza titolo,1991. Resina e neon. Collezione Alberto Garutti; Sotto: Simone Berti, Cervo, 2011. Grafite e pastelli su carta foderata. Courtesy Galleria Vistamare e l’artista.

uando lo scorso anno per la prima volta vidi la fortezza di Civitella del Q Tronto, rimasi letteralmente folgorata

dall’incantevole bellezza dell’architettura, ma soprattutto dalla visione totale – un vero e proprio senso di dominio e controllo- che si ha sull’intero territorio della vallata teramana. Un luogo – ammetto non priva d’imbarazzo- a me sconosciuto e che con tutta probabilità avrei tardato a scoprire se non fosse stato perché incuriosita alla visita della prima edizione di Visioni. In quell’occasione, non ho potuto fare a meno di pensare a quanto fosse stato azzeccato il titolo assegnato alla rassegna. Tuttavia, l’idea di una visione che enfaticamente si moltiplicava attraverso e nelle opere collocate fra i vari ambienti interni ed esteri della fortezza, mi sembrava suggestiva e concettualmente pertinente. Allo stesso tempo immaginavo quel luogo quale sfondo ideale per un romanzo dai toni noir o fantastico scenario per una favola contemporanea. «Le donne, i cavalier, l’arme, gli amori» avrebbe detto Ludovico Ariosto!. Trovo quindi, ricca d’immaginazione e affascinante la proposta di Giacinto di Pietrantonio di allestire una mostra sul tema della visione degli animali, quanto quella di Umberto Palestini di contrapporvi quella di un grande fotografo come Mario Dondero, impegnato tutta la vita a indagare la natura dell’uomo nello svolgersi della sua esistenza. Così la Civitella del Tronto nel corso dell’estate è stata popolata da fantasiosi quanto bizzarri animali. Dal Bue di Mario Airò, alla sola testa di Corrado Levi, vera e propria citazione della Testa di Toro di Picasso fino ai cervi dalle corna

Paul McCarthy, Bear Sculpture, 1992 Orso di peluche su base di legno, collezione Leggeri

36 - segno 246 | OTT/DIC 2013

fuori misura di Maddalena Ambrosio e Simone Berti. Una serie che continua con quello impaurito di fronte alla presenza del lupo di Mircea Cantor e si conclude con la scomparsa del cervo di cui restano sole le corna, anch’essa opera di Corrado Levi. Troviamo poi il grazioso cagnolino sulla panchina di Alberto Garutti – parte del progetto di opere pubbliche per Triverio del 2009- e le coloratissime farfalle che per scongiurare il loro triste destino che le vuole vive un giorno soltanto, si sono posate sulle sedie - sdraio di Damien Hirst ad abbracciare l’eternità. Se al mondo delle favole vogliamo fare riferimento, qualche personaggio – qualche animale nel nostro caso – deve necessariamente essere un poco più che bizzarro. In tal senso, il cavallo, da sempre simbolo di bellezza e vitalità, nasconde per Fabio Mauri, sotto le eleganti sembianze, una macabra realtà. Il titolo, infatti, che accompagna l’opera Finimenti in pelle ebrea mette in luce la diabolica capacità umana di compiere atrocità verso i propri simili. Sul piano del disorientamento si pone invece il cagnolino sul carrello di Victor Man che assembla oggetti privi di una correlazione ragionevole fra loro. Viene davvero da chiedersi cosa ci faccia quel cagnolino la sopra, non senza timore che possa cadere e farsi male da un momento all’altro. Abbiamo poi le oche bianche di Diego Perrone intrappolate nella cornice dello schermo video, Willy Coyote e Beep Beep prestati dai cartoon di Mungo Thomson e il dissacrante Bear di Paul McCarthy. Chiude questa carrellata il Mommy Puffy Daddy Monster pupazzo gonfiabile di Loredana di Lillo. In verità- a osservarne la forma- un semplice parallelepipedo giacente a terra al quale sono agganciate due specie di braccia aperte e distese. Viene da chiedersi cosa sia? Forse è una specie di uomo nero moderno; sicuramente non ispira nulla di buono; ma d’altra parte in una favola se non c’è un cattivo, che favola è? Qualsivoglia sia la storia, indipendente-

mente dal finale, il dato sensibile, tema centrale dell’esposizione, si materializza in un invito a chi osserva ad andare oltre il visibile per mettersi in ascolto. Una sorta di appello, di chiamata a ritrovare, fra la sottesa narratività suggerita dal luogo e in quella evocata dalle “visioni animali”, quel che pare il perduto legame fra il mondo e gli esseri che lo abitano. L’aspetto narrativo pare dunque quello più espressivo a ristabilire questo logos. Non a caso Giacinto di Pietrantonio sceglie in catalogo di dismettere la penna e affidare a un classico della letteratura antica, L’intellegenza degli animali di Plutarco, le motivazioni e la “critica” alla sua stessa proposta curatoriale. Leggiamo, pertanto, dell’ostinazione di Ulisse a sostenere la superiorità dell’essere umano sugli animali e di come le sue tesi – che potrebbero e spesso sono inconsapevolmente le nostre- siano argutamente messe in crisi dall’ex uomo trasformato in maiale dalla maga Circe. E scopriremo che molto spesso ciò che crediamo essere una virtù nasconde un’immoralità, così come ciò che appare in condizione sfavorevole può essere invece preferibile. Il testo è bellissimo – ne consiglio vivamente la lettura- e ha visto bene Di Pietrantonio. Talvolta non servono nuove parole ma è sufficiente rileggere quelle degli antichi; uomini come noi e che prima di noi avevano compreso l’importanza del saper rispettare il diverso. La Visione animale in questo senso è lo specchio in cui si riflettono virtù e debolezze umane, attraverso cui vedere e conoscere meglio noi stessi, la nostra natura. Altre possibilità ci sono offerte attraverso la visione di Mario Dondero; vero e proprio artista della macchina fotografica che al centro del suo obiettivo ha posto quasi sempre e principalmente l’uomo. Romantico nel cogliere le tante sfaccettature che colorano la vita, attento alle dinamiche sociali, impegnato in prima linea a raccontare con le sue immagini le guerre più sanguinolente e disperate nel mondo; compagno


attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Damien Hirst, BUTTERFLY DECKCHAIR. Legno e tela serigrafata, multiplo

di battaglie civili e per la libertà vissute in prima persona; Dondero è il testimone più vero e sincero che il “secolo breve” abbai mai avuto. Reporter nell’animo sempre e ovunque; i suoi scatti hanno descritto la brutale capacità di disumanizzarsi- o come si suole dire- di “farsi bestia” che l’uomo spesso ha insita in sé. Un vecchio modo di dire che sottende l’idea che l’animale conduca un’esistenza, non solo intellettivamente più limitata ma anche priva di un senso di civiltà, capace soltanto di rispondere ai primordiali istinti di sopravvivenza con ferocità e rozzezza. Le foto qui presentate non sono scatti cruenti; tuttavia esse sono rilevanti di alcune situazioni limite che hanno interessato trasversalmente l’Europa e l’Asia. Da quella scattata in occasione della Deposizione di De Gaulle datata 1958 a quelle fatte alla frontiera siriana nel 1965; fino a quelle eseguite due giorni prima la caduta del muro a Berlino nel 1989. Sono immagini che descrivono situazioni sospese, che attestano un prominente e possibile cambiamento; sono come delle piccole finestre da cui si assiste a dei passaggi. Sono delle feritoie verso qualcosa d’altro che si cela oltre la forma rettangolare della foto e oltre il tempo

Alberto Garutti, Il cane qui ritratto appartiene a una delle famiglie di Trivero. Quest’opera è dedicata a loro e alle persone che sedendosi qui ne parleranno, 2009. Courtesy l’artista

fissato sulla pellicola. Sono immagini molto ideologiche dove l’identità personale è completamente azzerata ma subito ritrovata in quelle delle Contadine turche, dei Pastori dell’Anatolia o del Miliziano repubblicano sfuggito ai fucili di Franco, persone che portano sulle spalle tutto il peso della miseria umana. Ma Dondero sa che la vita non è fatta solo di disperazione e non dimentica mai che essa è fatta anche della tranquilla quotidianità del lavoro, di momenti gioviali e di convivialità. Tenera l’immagine del giovane cameriere spagnolo fiero del suo mestiere o quella delle Piccole tifose del Manchester scattata nel ’60 dove le ragazze sorridono imbarazzate e un po’ eccitate sapendo di essere ritratte. Non dimentichiamo, infine, la vicinanza intrattenuta con il mondo dell’arte e della letteratura, dove il fotografo, presente laddove i cambiamenti culturali sono avvenuti davvero, con il suo terzo occhio ha immortalato per sempre la storia. Impossibile tralasciare il ricordo fissato nella pellicola del gruppo d’ intellettuali delle Editions de Minuit di Parigi nel 1959 o il ritratto di Francis Bacon eseguito nel suo atelier londinese o ignorare la memorabile foto di Pasolini scattata accanto alla madre nella sua

casa all’Eur. Bisognerebbe guardarle tutte le immagini di Mario Dondero, senza trascurarne nessuna; perché ognuna di esse, ciascuno dei volti ritratti, ha la capacità di parlare, come per magia, della nostra stessa storia personale. La Visione Mario Dondero è l’occasione per dare finalmente importanza a quel particolare, a quel dettaglio cui spesso, presi dalla freneticità della vita di tutti i giorni, non diamo importanza o ignoriamo completamente. È una proposta alternativa per interpretare il mondo secondo una visione etica e “umanista” e che getta le basi dei suoi stessi fondamenti nei principi di solidarietà e altruismo. Due diverse visioni, quella degli animali e quella degli uomini non poi così distanti e che in fondo parlano del nostro stare e abitare nel mondo; belli e buoni, brutti o cattivi che siamo. È una riflessione molto profonda e capace di toccare l’anima e che si sposa con le motivazioni che sottendono all’impegno in ambito culturale profuso dagli organizzatori dell’Associazione NACA in collaborazione con la Fondazione Malvina Menegaz di Castelbasso, di vivere i luoghi del passato come un’opportunità che non teme azioni di rinnovamento. Maria Letizia Paiato

Veduta dell’allestimento Mario Dondero, Pier Paolo Pasolini con la madre Susanna. Roma, 1961

Mario Dondero, Due giorni prima della Caduta del muro di Berlino, 1989 Mario Dondero, Il gruppo degli scrittori del Nouveau Roman. Parigi 1959

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Xvi Edizione - Premio Pino Pascali 2013

Mat Collishaw

rtificio fantastico e decadente A malinconia, fragilità dell’essenza vitale e atmosfere da incubo, allegorie

della morte e inquietudine tecnologica. E interesse per la citazione dalla storia dell’arte: Chardin, Delacroix, Caravaggio, Bacon, Dürer, Böcklin, Vélasquez … Questi gli ingredienti essenziali del lavoro di Mat Collishaw, le cui ricerche sull’umana natura e sulla sua bellezza e perversione, sui suoi vizi e virtù, hanno alimentato parte dell’ immaginario della Young British Artists. Esponente della scuderia Saatchi, l’autore inglese (nato nel 1966 a Nottingham e residente a Londra) è un raffinato intellettuale che concentra la propria poetica espressiva sui complessi meccanismi che regolano la percezione e sugli effetti di questa sulla visione. Utilizzando tutti i medium che l’arte contemporanea mette a sua disposizione, dalla fotografia alla scultura, dal video alle installazioni ambientali, l’artista fonde più codici espressivi e introduce l’osservatore all’interno di un suggestivo scenario multipercettivo e plurisensoriale. Qui, mirabilmente convivono temi come le relazioni tra la vita e la morte, la caducità e la vanitas intese come riflessione sulla precaria e terrifica

condizione dell’esistenza umana. La XVI edizione del Premio Pino Pascali assegnato dal Museo Pascali di Polignano (Bari) è stato attribuito all’artista per il suo sfaccettato e provocatorio repertorio visivo. “Il suo sguardo indaga la storia dell’arte e scruta la realtà – ha stabilito la commissione composta da R. Branà, A. Tolve e L. Madaro – mettendola in scena con un’enfasi che spesso ha temperature drammatiche e allegoriche. Il fulcro attorno a cui ruota la sua ricerca è sostanzialmente l’interesse per la citazione, che si risolve in un viaggio nei territori della cultura visiva del nostro tempo, rivelando temi universali e imperituri, come la bellezza, la violenza e la morte”. In occasione della mostra personale organizzata per la premiazione, presso la Fondazione Pascali sono esposte una ventina di opere che ripercorrono la produzione più significativa di Collishaw, realizzata dal 1998 al 2012 (ricordiamo che negli ultimi dieci anni, il lavoro dell’artista è stato esposto in innumerevoli mostre personali in tutto il mondo: Cohen Gallery, New York; XLV Biennale di Venezia; Lisson Gallery, Londra; Galleria d’Arte Moderna, Bologna e Museo di Arte Contemporanea di Varsavia nel 2000; Art & Public, Ginevra; Freud Museum e Victoria & Albert Museum di Londra).

Tra le fotografie, i video, le opere in 3D, un’imponente installazione ambientale site-specific, intitolata “Island of the Dead”, altera la percezione dello spazio nel salone centrale del museo, rendendo l’atmosfera ambientale mistica e quasi sacrale. La monumentale proiezione virtuale dell’opera “Isola dei Morti” di Böcklin, definisce un rapporto romantico con il paesaggio marino visibile al di là della vetrata del museo, paesaggio interpretato dall’artista come allegoria di uno spazio dilatato e magico, approdo senza tempo e senza confini. Nella video-installazione di Collishaw la luce passa dal crepuscolo all’alba e mai come in questo caso la natura e l’artificio si confrontano e dialogano tra loro. Sono sempre tempo e luce ad essere protagonisti dell’altra conturbante videoinstallazione “The end of Innocence” dedicata al ritratto di Innocenzo X di Vélasquez, dipinto reinterpretato anche da Bacon. Qui, una sottile e intrigante operazione di metalinguaggio tendente a mettere in luce la forza nefasta del potere, velata dall’angoscia del possesso distruttivo. In mostra, sono visibili altre opere fotografiche dedicate alla vanitas e riletture di celebri dipinti appartenenti alla storia dell’arte del passato. Maria Vinella

Mat Collishaw, viste dell’installazione. Foto di Rocco Pio Schiavone

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attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Carlo Maria Mariani, City 7, 2002

Foligno

Carlo Maria Mariani erso la fine degli anni ’70, come è V noto, un po’ dovunque serpeggiava tra gli artisti più autoconsapevoli, un’in-

soddisfazione crescente per quella sorta di diffusa icono-fobia che, con l’imporsi delle Neovanguardie, aveva monopolizzato critica e mercato qualificandosi come ineluttabile approdo della Modernità. La fuoriuscita da questa situazione di stallo, per una sorta di nemesi storica, fu resa possibile proprio dalla più radicale delle Neovanguardie, quel Concettualismo che per concentrarsi sullo statuto epistemico dell’arte ne favorì di fatto la smaterializzazione. Il vuoto lasciato dall’opera insieme al lasciapassare fornito dalla tautologia consentirono infatti, alla distanza, un recupero dell’immagine finalmente intesa non più come mimesi, ma come simulacro linguistico. Il nuovo territorio da conquistare era infinito, (il doppio speculare dell’intera

Carlo Maria Mariani, Violas, 2008-2011

storia dell’arte), ma il varco strettissimo, (come la strozzatura di una clessidra), e la visuale disturbata da pregiudizi e sensi di colpa. Il veicolo utilizzato per la traversata fu un po’ dovunque lo stesso: la citazione, declinata secondo le prospettive più diverse, ma sempre e comunque vissuta come esperienza liberatoria. Ad operazione compiuta non fu poi difficile per nessuno inscrivere le varie correnti da essa emerse nella più vasta categoria del Post Moderno. Come è stato sottolineato più di una volta da Paolo Balmas, autore al quale devo molto per quanto riguarda la mia messa a fuoco dell’ argomento, anche il percorso artistico di Carlo Maria Mariani è passato per questo varco epocale, ma, ha avuto sin dall’inizio un’intonazione diversa, apparentemente più criptica e appartata, ma in realtà lucidissima ed estremamente coraggiosa. Mariani non ha scelto, infatti, a suo tempo, di citare questa o quell’opera, questo o quell’autore, lasciandosi guidare dal proprio vissuto personale o territoriale, ha scelto piuttosto di citare un’intero linguaggio con tanto di tecnica,

iconografia e tematiche di riferimento: il Neoclassicismo. Un’opzione intellettualmente raffinata ma non azzardata in quanto, come tutti coloro che conoscono dal di dentro la Storia dell’arte, egli sapeva bene di poter contare sull’ambizione di fondo di tale movimento, quella non tanto di riattaccarsi all’antica Arte Greca, quanto di tornare a praticare la “vera arte” in un tempo altro, il tempo sovrastorico della bellezza. La ricerca concettuale di una fondazione formalmente ineccepibile dell’artisticità, si è trasformata così in inseguimento ad infinitum di quella perfetta armonia che gli Antichi non concepivano come copia del vero, ma come condivisione delle leggi supreme della natura. Non ci si deve pertanto stupire se su tutto il lavoro di Mariani sin dagli esordi, nei primi anni ’80, può essere riguardato anche come una progressiva liberazione dalle scorie del presente, sia quelle accumulatesi con il trascorrere della storia sia quelle direttamente provenienti dalla volgarità del presente. Ed è questo esattamente quello che possiamo vedere e ammirare nella mostra Folignate, cui questo scritto si riferisce, il punto di arrivo di un processo di purificazione. Se agli esordi Mariani ha avuto bisogno, dapprima di far riferimento alle personalità più influenti dell’ambiente da cui ha preso le mosse, poi di dar testimonianza dei problemi incontrati e risolti attraverso figure, costumi e scenografie concepiti ad hoc, ora negli anni americani indagati e presentati nelle sale messe a disposizione da CIAC, sembra aver raggiunto una più diretta ed intensa capacità di comunicare simbolicamente gli esiti del proprio lavoro. I personaggi rappresentati, infatti, perdono sempre di più i propri paludamenti mitologici, i corpi si avvicinano sempre di più ad una nudità che non è privazione dell’abito, ma affermazione della persona, fino a giungere alla supremazia del volto. Un volto giovanile la cui trepida espressione si nutre solo di calma grandezza e nobile semplicità. Il tutto mentre l’immagine della metropoli moderna, emersa dal nulla, ma relegata sullo sfondo ci appare di volta in volta più amorfa e schematica nella sua oscura prevedibilità. Lucia Spadano

Carlo Maria Mariani, Autoritratto (Self-Portrait), 2004

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Palazzo Medici Riccardi, Firenze

Wang Xiaosong a mostra dell’artista cinese contemL poraneo Wang Xiaosong (Wuhan, 1964) a Palazzo Medici Riccardi a Firenze,

restituisce all’osservatore attento un caleidoscopico universo visuale animato da orizzonti compositi che l’artista ha avuto la capacità di reinterpretare e oltrepassare. Vivendo a cavallo tra due mondi, quello orientale e quello occidentale (egli vive e opera tra Cina e Germania), Wang Xiaosong dà vita a un linguaggio artistico che, avendo fatto esperienza della figurazione, della geometria e delle poetiche dell’informale, avendo assorbito il concetto dell’astrazione calligrafica cinese, dell’astrattismo storico, dell’astrattismo post-pittorico e del minimalismo occidentali, riesce a frangere ciascuno dei confini imposti da ognuna di queste sperimentazioni per dare vita a una palingenesi artistica dai riverberi internazionali e la cui eco giunge fin dalla sua partecipazione alla Biennale di Venezia del 2011. Le sue opere mostrano un’arte in primo luogo giocata su un’ambivalenza di fondo (e sul suo superamento) che celebra lo spazio d’intersezione tra realismo e astrazione che da sempre caratterizza la cultura estetica cinese, in cui l’esperienza della contemplazione del reale si trasfigura in rielaborazione mentale della composizione attraverso una pennellata libera, espressiva e spontanea, che “ritrae l’idea” (xieyi) e non ricalca l’apparenza fenomenologica del dato reale. Questo tipo di approccio “astratto” viene poi portato all’estremo attraverso il ricorso a figure geometriche o pseudo tali che rappresentano il luogo di una razionalità meccanica

e puramente funzionale che viene però dimidiata e attenuata grazie all’irregolarità segnica o pseudo figurativa che riempie di colore ciascun elemento. Le figure geometriche che costituiscono il figurativo della nostra epoca abitata dalla tecnologia tesa alla smaterializzazione e all’astrazione dei corpi vengono da lui rielaborate attraverso la matericità stratificata del colore che dà corpo e sostanza alle forme, giocando con la bidimensionalità della superficie che in ogni momento si converte alle tre dimensioni, figurandosi come realtà linguistica concreta. Minuscole forme di corpi umani trasfiguranti in formiche alacri o larve bituminose geminano e si moltiplicano su superfici tagliate da improvvise angolazioni, ferite da tumescenze in rilievo, lacerti, urti, pressioni e ammaccamenti che registrano i colpi inferti all’uomo dalla sua condizione contemporanea: un’architettura di volumi scultorei che emergono attraverso la corposità solida della struttura cementizia della pittura a olio. Manipolando questa materia, l’artista stabilisce con essa un rapporto di continuità esistenziale e di immedesimazione: il dipinto si trasfigura in un frammento del reale in cui l’uomo è imbrigliato e da cui non riesce a distaccarsi, che ci restituisce la frammentarietà tragica dell’esistenza. Nelle lacerazioni, nei tagli, nelle tumefazioni, negli sbalzi e nelle protuberanze della materia è possibile individuare un’iconografia della sofferenza attraverso cui l’uomo viene in qualche modo “martirizzato” (“Martire” è infatti il titolo di una delle serie presentate). I segni che vi vengono impressi, scavati e incisi con durezza, sono sintomi di aritmia e sofferenza, lacerti della materia, che ripetono la difformità del vivere la condizione umana. Il principio di modularità asimmetrica che ne guida

Malinconia d’atteggiamento, 100x150cm, olio su tela, 2013

però l’esecuzione rappresenta il tentativo da parte dell’artista di sottrarsi all’oggettività e riappropriarsi delle possibilità dell’espressione individuale. Inserendosi in questo modo nella corrente artistica del “massimalismo cinese” (così definita dal critico Gao Minglu), nata in opposizione al “minimalismo occidentale”, egli, attraverso tale principio, vuole ricalcare prassi e significato dell’esercizio giornaliero della meditazione di matrice buddhista, di un’esperienza quotidiana cadenzata, ritmica e “poetica” (nel senso di poiesis: “che fa, che crea/creativa”) che si oppone alla frenesia dell’inurbamento e della massificazione che caratterizza il nostro tempo. La struttura stratificata del colore, la tridimensionalità quasi scultorea della materia, la parcellizzazione della tela divisa in tagli netti di colore, la rifrazione in ciascuna sezione di tonalità diverse di un’unica unità coloristica, la creazione di un caleidoscopio di piani, la pienezza della composizione che non lascia spazio a pause “vuote” del bianco del supporto

Asian Society, Hong Kong

Light Before Dawn

l’arte non ufficiale cinese tra il 1974 ed il 1985 di Sara Bortoletto

a Cina degli anni ‘60 arrivò distorta in Europa: mentre i moL vimenti studenteschi sfilavano per le strade immolando Mao Zedong, in Cina alcuni gruppi di adolescenti manifestavano con la pittura le prime forme di disillusione verso quel sistema dove, come afferma Qu Leilei di The Stars : “la moralità regnava sovrana, ma senza principi”. Nella mostra “Light before dawn”, all’Asian Society di Hong Kong fino al primo settembre, Kuiyi Shen e Julia F. Andrews hanno presentato le tre correnti non ufficiali della Rivoluzione Culturale: il No Name group, la Grass Society e The Stars. Seppur i tre gruppi non svilupparono uno stile unitario e la loro visione dell’arte differisse, essi mossero i primi timidi passi dell’arte contemporanea cinese nel lontano 1970. Il 27 settembre 1979 The Stars allestisce una mostra fuori dal Museo d’Arte Nazionale di Pechino, con l’appoggio del direttore

Qiu Deshu (1948 - ), Grass Society 3-5 Times Shouting, 1980 Ink on paper, H112 x W 254 cm Photo Credit: Nick Ma

Huang Rui (1952 - ), The Stars Red Gate, 1981 Oil on canvas, H59 x W74.5 cm. Photo Credit: Nick Ma

Chen Jialing (1937 - ), Grass Society White Lotus, 1980 Ink and Color on paper, H96.5 x W175 cm Photo Credit: Nick Ma Zhang Wei (1952 - ), No Name Group The Hall of Supreme Harmony, 1976 Oil on paperboard, H18.7 x W25.6 cm Photo courtesy of Carolyn HsuHsu -Balcer and René Balcer

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attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE Edicola Notte, Roma ZooZone Art Forum, Roma

Lin Yilin

n viaggio verso l’Italia, l’artista Lin YilinIculturale cinese di Guangzhou- racconta l’incontro tra Oriente e Occidente attraver-

Il nulla e l’essere, 100x150 cm, olio su tela, 2013

(così fondamentali nella pittura tradizionale cinese) sembrano strumenti messi in atto da Wang Xiaosong per demistificare totalmente il reale attraverso la rottura del limite imposto dalla struttura del quadro. Sono tutti accorgimenti che costringono l’occhio dell’osservatore a spostare l’attenzione verso il rapporto che lo spazio pittorico intesse con lo spazio esterno attraverso una visione dinamica e integrata con l’ambiente. Il tentativo è quello di creare una “tridimensionalità del bidimensionale”, di disvelare un’illusione che ci fa interrogare sulla natura stessa di ciò che stiamo contemplando. Rompere con le categorie della spazialità significa infrangere gli argini costrittivi imposti dal vivere sociale e dal fare artistico per dare vita a una nuova visualità, a un diottrismo capace di dotare l’uomo di una lente critica con cui osservare il mondo, scrostarlo delle superficialità fraudolente e interpretarlo secondo un’ottica che si colora delle razionalità espressiva dell’uomo. Adriana Iezzi

so delle opere che espone a Roma in una “doppia personale” che ce lo fa conoscere come performer e artista impegnato nella riflessione sul possibile raccordo tra culture diverse. Gli spazi romani che lo accolgono sono la nuova galleria Zoo Zone Art Forum di Viviana Guadagno e lo storico project-space Edicola Notte di H.H. Lim. Reduce dalla residenza d’artista presso Civitella Ranieri, Yilin ha pensato per lo spazio Zoo Zone Art Forum di raccontarsi nelle vesti di intellettuale rivoluzionario cinese, appendendosi al collo un cartellone con la scritta in cinese “Mountain Resort” (nome della residenza della dinastia Qing e titolo della mostra), nel mentre e` affacciato dal balcone centrale del castello umbro. La coincidenza di rimandi architettonici tra l’architettura di Civitella Ranieri e quella della residenza della dinastia Qing offrono all’artista lo spunto per tracciare una linea di continuita` e un confronto tra la storia della cultura feudale, le vicende della cultura rivoluzionaria cinese e la contemporanea cultura della globalizzazione. Nel gesto performativo riecheggia dunque la possibilita` di inquadrare la condizione dell’intellettuale in senso universale. Le suggestioni del viaggio in Italia passano per Yilin anche attraverso il cibo. Cosi’, per lo spazio di Edicola Notte l’artista ha pensato di gustare un piatto di spaghetti appeso a testa in giu`, individuando nell’alimento un filo capace di legare ancora una volta la cultura orientale e quella occidentale. La performance- dal titolo Holiday- suona un

Jiang Feng: ufficialmente nasce il modernismo cinese. Individualità, autenticità ed alienazione in forme cubiste-astratte sono la novità a pochi anni dalla rivoluzione culturale. La ricerca formale e lo studio del colore di questo gruppo indicano come sia la forma a dare il contenuto all’opera e non, come si diceva, ad essere il contenuto a dare la forma. Le opere esposte quell’anno mostrano il bisogno di considerare oltre all’apertura economica del ‘79 altri fattori che influenzarono lo stile di questi giovani artisti. Anche se la Grass Society nacque solo nell’autunno del 1979, la sua riabilitazione é importante poiché riportò in auge il modernismo cosmopolita cinese degli anni ’30. I loro dipinti enfatizzano l’importanza della forma astratta e l’indipendenza espressiva: due aspetti tipici del modernismo cinese ed europeo degli anni ‘20. Il 7 luglio ‘79 apriva all’Huafangzhai di Pechino la mostra ufficiale dei No Name. La pittura di paesaggio di questi giovani artisti presenta una chiara influenza delle tendenze cinesi precedenti al 1949. Il gruppo si forma per caso con Zhang Wei, Ma Kelu e Keping Wang (1949 - ), The Stars Idol, 1979 Wood, H57 x W29 D14 cm Photo Credit: Nick Ma

po` come una sfida contro la forza di gravita` e, metaforicamente, contro il tempo e le distanze di un viaggio fisico e culturale. Gli spaghetti sono un pretesto di affinita’ culturale e anche simbolo di complicita’ con l’artista H.H. Lim (di origine cino-malese, ma romano da oltre quarant’anni) che con lo spazio no-profit di Edicola Notte ha coinvolto artisti di tutto il mondo, offrendo a Roma una speciale vetrina sul mondo dell’arte, da ormai 23 anni. Giuliana Benassi

Lin Yilin, allestimento a Zoo Zone Art Forum Lin Yilin, azione per Edicola Notte

Zhao Wenliang nel 1972 e lentamente si allarga. Molti tra questa dozzina di ragazzi e ragazze si conobbero ai corsi d’arte statale tenuti da quegli artisti che studiarono all’estero negli anni ‘30. Loro e la mostra proposta nel ‘74 da Jiang Qing, la moglie di Mao, “The black paintings” – l’arte bandita dal partito, sono state le influenze del gruppo che con passione e rischio hanno proseguito lo sviluppo della pittura ad olio cinese. Il manifesto della loro mostra illegale nel 1974 spiega come la scelta verso la pittura di paesaggio avvenne per proseguire certe ricerche formali in relativa tranquillità. Solo in questo modo fu possibile dipingere en plein-air nei parchi della città o trovare una scappatoia dalle pene dei campi di rieducazione. “Sunset over the Farm Dormitory” di Zheng Zigang mostra come il gruppo sia stato l’anello unificante tra l’arte cinese degli anni ‘20 e The Stars. La mostra dell’Asian Society riscopre come l’arte cinese non abbia mai del tutto abbandonato il sua ricerca formale e come essa abbia un rilevante valore storico-sociale. n

Zheng Zigang (1953 – 2012), No Name Group Sunset over the Farm Dormitory, 1973 Oil on paperboard H19.7x W26.7. Photo courtesy of Carolyn HsuHsu -Balcer and René Balcer

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Li Songsong, Big Girls, 280x250cm

Pace Gallery, Londra

Li Songsong resentato in catalogo da Demetrio P Paparoni e Ai Weiwei, la Pace Gallery London presenta la prima mostra

personale in Europa di Li Songsong, il quarant’enne pittore cinese che, smesso di essere considerato l’enfant prodige della pittura cinese, è oggi ritenuto uno dei suoi massimi protagonisti. La mostra, dal titolo We Have Betrayed the Revolution, fa seguito alle fortunate personali che l’artista ha tenuto alla Pace Gallery di New York del 2011 e a quella della ace Gallery di Pechino dell’anno scorso. Scrive Demetrio Paparoni in catalogo: “Li Songsong è noto principalmente per i quadri nei quali si appropria di immagini che hanno avuto grande diffusione sui media cinesi. Queste immagini testimoniano che quanto è accaduto in passato continuerà a far sentire i suoi effetti fino a quando le nuove generazioni non riusciranno a rendere questi frammenti di storia null’altro che un ricordo. L’arte di Li Songsong si inserisce così nel dibattito sul processo di cambiamento socio-politico in atto in Cina a partire dalla seconda metà degli anni ottanta. Non è tuttavia soltanto la natura delle immagini che egli propone a fare della sua un’arte politica. A definirne il carattere politico incide il linguaggio, la grammatica e il metodo pittorico di cui egli fa uso per riprodurle: i suoi quadri ci dicono che qualunque storia possa essere raccontata con un linguaggio contemporaneo è da considerare contemporanea. Molte di queste immagini sono state viste e riviste fino a essere metabolizzate e, come tutti sanno, un’immagine vista molte volte perde la sua capacità di colpire l’attenzione, fino a far scivolare nell’indifferenza chi la osserva. A differenza di quanto accade con una foto storica o di cronaca riprodotta su libri o riviste, un dipinto non perde attualità. Al contrario, più tempo passa più il dipinto sarà capace di coinvolgerci.” L.S.

Li Songsong, And a Pity You aren’t Interested in Something Else, 300x210cm

DRFA AHelbling Architectonics#55, 48x64 inches med copy

Diane Rosenstein Fine Art, Los Angeles

Arnold Helbling

a personale dedicata all’artista svizL zero, residente a New York, pone in primo piano i dipinti della serie Ar-

chitectonics, ma comprende anche una selezione di lavori precedenti, realizzati tra il 2002 e il 2004. Nelle tele del ciclo Architectonics lo spazio del dipinto è attraversato da linee di vario spessore che, intersecandosi, danno luogo a griglie di poligoni irregolari. Tali geometrie si prestano a molteplici letture percettive: ciò che osserviamo sulla tela è la pianta di una città vista dall’alto oppure un frammento di realtà sotto la lente del microscopio? Helbling lascia aperte entrambe le possibilità, senza escludere l’ipotesi di un territorio puramente mentale: l’artista conferma così l’inscindibilità tra astrazione e figurazione. Osservata da vicino, la superficie dei dipinti di Architectonics rivela una fitta trama di piccole grinze e micro-venature, che conferiscono alla tela il vigore plastico e la sobria eleganza di un tessuto in seta. Questo effetto è il risultato della tecnica con cui viene applicato il colore (sempre acrilico), che consiste in un elaborato metodo di trasferimento per mezzo di rivestimenti in plastica. Le opere precedenti (come Zabriskie 5) prendono spunto dalle immagini di un progetto residenziale della periferia di Parigi. L’artista sottopone queste immagini a un processo di sintesi che annulla ogni riferimento figurativo: le architetture degli edifici scompaiono, sostituite da un luogo ipotetico, fatto di pennellate ampie e discontinue, schizzi e macchie di colore, interventi aerografici. Sia le geometrie controllate di Architectonics sia le più libere astrazioni dei lavori precedenti si servono di cromatismi accesi, acidi e sanguigni, combinati in accostamenti tonali di potente impatto, a onorare la più alta tradizione astratta

DRFA AHelbling Victory Boogie Woogie, 70x96inches med copy

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– cui recano esplicito omaggio i gialli e i blu di Victory Boogie Woogie (dal titolo dell’ultimo e incompiuto lavoro di Piet Mondrian). Le opere in mostra attestano il persistente interesse dell’artista nei confronti della struttura – intesa come assetto essenziale sia del mondo fisico che del pensiero – e ribadiscono, come ha fatto notare lo stesso curatore della mostra Demetrio Paparoni, la vicinanza della sua pratica pittorica alle riflessioni di Ralph Waldo Emerson. Secondo il filosofo americano, padre del Trascendentalismo ottocentesco, tra le leggi che governano la natura e quelle che regolano la mente umana esiste una sostanziale identità. Per questo l’immaginario di Helbling, così come lo vediamo in Drop City, può essere percepito sia come rappresentazione figurativa del microscopico e dell’ invisibile, sia come astrazione del macroscopico, sia esso il mondo della natura o quello artificiale costruito dall’uomo. Sara Boggio

DRFA AHelbling From the Series of Places, 72x66 inches med copy


attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE MAXXI Roma

Francesco Vezzoli Galleria Vezzoli

icuramente Francesco Vezzoli è artiS sta dall’agile pensiero creativo che riferito alla sua professione, dedito all’ar-

te contemporanea, ben si dispone per le discipline della comunicazione di massa, con l’ausilio del passato. La dimostrazione di una disposizione di dialogo con i periodi storici - dall’antico all’epoca contemporanea, l’era dei media - la troviamo esplorando gli spazi del MAXXI di Roma, riadattati in occasione della retrospettiva che nelle gallerie 2 e 3 dispiega la sua Galleria Vezzoli. Infatti nella mostra aperta nel al Museo delle Arti del XXI secolo - prima tappa di una trilogia che vedrà in autunno al MoMA PS1 di New York la traslazione di una chiesa sconsacrata del XIX secolo e al MOCA di Los Angeles una mostra intitolata Cinema Vezzoli a cura di Alma Ruiz – il rimando agli ambienti di uno spazio espositivo di fine ottocento sono rinsaldanti dell’idea di arte tout court. Per il dinamismo assemblativo del pensiero critico di Vezzoli ogni mezzo diventa espressione. Sin dall’origine della sua carriera, dalla metà degli anni Novanta quando il lavoro a ricamo è sostegno intimo e figurativo, ai lavori più recenti sostenuti dal mezzo video, la continuità si insedia in una fluida risonanza per la notorietà. La “figura” della sua arte visiva si avvale di ogni medium atto a dimostrare la propensione di decantazione del visibile estetico, con le nuove tecnologie. L’allestimento di richiamo ottocentesco è elaborato dallo stesso artista bresciano che con grande entusiasmo si occupa degli aspetti più particolari dell’intera macchina espositiva; il tutto in accordo perfetto con la curatrice della mostra, Anna Mattirolo. Classicità e cinema sono i temi centrali della Galleria, che vede nella prima parte gli aspetti dominanti dell’autoritratto e del doppio, con opere degli esordi. Una riproposizione dei quindici anni di carriera di Vezzoli, ricchi di rimandi alle stelle del cinema americano e nostrano, con la carrellata di ritratti e video degli attori e cantanti che negli anni hanno prestato la loro immagine: a partire da Iva Zanicchi fino a Eva Mendez. Molto ben fatta la sala con la parete semicircolare che tra video sostenuti da Ore in fila con gli occhi chiusi, e le delicate opere del primo periodo - ricami d’apres da Albers e Rothko - racchiude bene l’essenza comunicativa di Vezzoli. Lacrime luccicanti scendono sui volti delle dive di altri tempi e delle stelle pop italiane e americane degli anni 70. Nella fattura “classicheggiante” della tecnica di ricamo a mezzo punto e sulle superfici delle copertine patinate, i volti segnati di Joan Crawford e Silvana Mangano, Sofia Loren e Marlene Dietrich avvalorano la galleria dell’immaginario, di una cultura viva nella memoria collettiva, destrutturata nella sua intonsa espressività. Il tema del doppio è ridondante ed espresso nei gessi classici di imperatori specularmente contrapposti al ritratto dell’artista: nelle smorfie irriverenti si legge una viva dichiarazione di certezza del ruolo dominante dell’arte, il gioco ammiccante sull’estetica asservita. Ilaria Piccioni

Francesco Vezzoli Galleria Vezzoli foto Musacchio/Ianniello/Napolitano

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Galleria Vistamare, Pescara

Pavel Büchler

Pavel Bücler ritratto da Jim Harold

Fare in modo che nulla accada è il leitmotiv che accompagna e sottende la poetica di Pavel Büchler, eclettico artista e scrittore, di origini ceche e adozione inglese. Questo, che risuona quasi a guisa di un motto, è la più diretta manifestazione di un modo di creare, le cui origini vanno rintracciate nei fondamenti che sostengono, sin dagli anni Settanta, l’arte concettuale. Tuttavia, fin dagli esordi, l’artista elabora una versione personale e originale di questa tendenza. Agli aspetti più speculativi e mentali, infatti, spesso si accompagnano velate sensazioni poetiche, il cui connubio è letteralmente capace di toccare simultaneamente il cuore e acuire la ragione. Le sue opere, come quelle ospitate a Vistamare, appaiono come la trascrizione visiva di un dialogo, dove chi osserva è chiamato ad interrogarsi e poi rispondere su cosa realmente si celi dietro una determinata forma, dietro un oggetto e/o a una scritta. Opere che hanno un valore sia sociale sia personale, sia collettivo sia soggettivo. Büchler innesca con noi e in tal senso, una relazione. Ci chiede di riflettere, di pensare e non fermarsi alle apparenze, ci invita a fare un esercizio di approfondimento per andare oltre, per scendere in profondità, Fondazione Burri / Città di Castello

Anselm Kiefer

ell’ambito dell’iniziativa “Progetto N Piccoli e Grandi Musei, Capolavori in Valtiberina tra Toscana e Umbria, da

Piero della Francesca a Burri”, con catalogo edito da 3Arte, testi di Maurizio

Pavel Büchler, Honest Work (Word), 2013 stampa tipografica su carta Arches 88, pezzo unico cm. 50x34

Pavel Büchler, Honest Work (Word), 2013 stampa tipografica su carta Arches 88, pezzo unico cm. 50x34

Pavel Büchler, The Shadow of Its Disappearance, Summer 2011, 2011 grafite su carta, matita, 30 elementi cm. 12x21

Calvesi, Bruno Corà e Italo Tomassoni, Anselm Kiefer Presenza-omaggio per Alberto Burri è il titolo dell’esposizione allestita al Capannone 12, agli ex Seccatoi del Tabacco, organizzata dalla Fondazione stessa in collaborazione con la Regione dell’Umbria. Alberto Burri e Anselm Kiefer si stimavano reciprocamente. Un filo, quasi invisibile, collega i due artisti: il memorabile incon-

tro a Perugia nel 1980 fra Beuys, maestro di Kiefer, e Burri. Di quella giornata sono testimonianza le “sei lavagne” della magistrale lezione di Beuys, conservate a Palazzo della Penna, e il Grande Nero del 1980 di Burri che fu appositamente montato per l’evento, prima della sua collocazione definitiva a Palazzo Albizzini. Allo stesso modo il 1945, data cruciale della fine della guerra, è anno significativo per Anselm Kiefer, Omaggio ad Alberto Burri

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attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE sia nell’indagine della nostra anima sia in quella della mente. Per questo motivo, gran parte della sua produzione artistica gioca sull’insistenza continua di opposizioni o intorno a temi legati ai concetti di doppio, di simmetria, di specularità e di polarità. Allo stesso modo fa largo uso della parola scritta e del suono e non a caso le sue opere sono condensate di ripetuti riferimenti a quelle di Beckett. Si veda, ad esempio, 0:0, una doppia bilancia postale fra le quali sono collocate due palline da ping pong. Esse sono poste l’una sull’altra tali da risultare speculari. Di fatti si tratta di un semplice assemblaggio che annulla la funzione d’uso originaria e fa si che se ne ottenga un solo, unico e nuovo manufatto. Dove, da una parte risulta impossibile registrare il carico di qualsiasi cosa, dall’altra, l’indicazione della misura altro non è che il peso stesso di ciascuna bilancia. Su un piano molto più lirico si colloca Inside Watt del 2010: installazione che corre verticalmente su due pareti contigue della galleria. Si tratta di piccole lettere plastificate, rigorosamente bianche, e incollate ai muri. Queste, quasi impercettibili alla vista, tanto da confondersi con la superfice, compongono un testo - tratto da un’opera Beckett – il cui risultato ha l’effetto di un grande libro aperto a grandezza d’uomo. La medesima pagina si riflette nella contigua parete, esattamente come se una fosse lo specchio dell’altra, dando origine così al suo “doppio”. Un lavoro che sottesamente parla della possibilità di leggere quella parte del mondo e di noi stessi, che spesso non vediamo o rimane nascosta. Molto più concettuali, secondo una definizione più radicale del movimento, sono quelle opere che hanno a che fare con la relazione fra parole e numeri. Frequenti i giochi linguistici, grammaticali e aritmetici che Büchler sapientemente mette in atto e che obbligano chi guarda, anche in questi casi attraverso l’aspetto visivo, a verificare molte di quelle dicoto-

mie cui spesso non prestiamo attenzione e a cui l’artista è molto legato. In tal senso le recenti opere come Twenty six e Fifty Fifty, appaiono nella loro semplicità quasi delle rivelazioni. Forse però, il lavoro più coinvolgente e poetico, quello che sfiora il territorio dei sentimenti, che è anche quel-

lo meno dipendente da un meccanismo di tipo mentale e matematico è The shadow of its disappearance. L’opera, del 2011, è composta di trenta piccoli disegni installati a parete lungo una linea continua che attraversa più stanze della galleria. Essi raffigurano l’ombra, in realtà più ombre, sovrapposte l’una sull’altra, della stessa matita ripresa in diversi momenti della giornata, la quale, consumata, è contenuta entro la stessa cornice dei quadretti. Al consumarsi del lapis, alla sua quasi scomparsa materiale, corrisponde il crescere dell’ombra. Nella proiezione della sua immagine è come se questa non perdesse mai completamente la sua esistenza trattenuta simbolicamente nella sua traccia. Il lavoro parla metaforicamente del senso della vita, della transitorietà delle cose e dei continui cambiamenti e trasformazioni cui è sottoposta. Parla anche dello stesso Bückler, tanto che egli ha concepito questo lavoro come un vero e proprio diario visivo, essendo ogni singolo disegno realizzato nell’arco di trenta giorni. Una memoria personale che ha il suono di un eco. Maria Letizia Paiato

Pavel Bücler, Modern Paintings No. B52a-b (fili d’erba e fiori, Manchester, Luglio 2012). Pittura su tela, cm. 73x60

Pavel Bücler, Trickle, 2013. Lattina d’olio e moneta, h. 26cm

entrambi: ad esso risalgono le prime opere dipinte da Burri durante la prigionia e in quell’anno nasce Kiefer nella Germania in macerie. La loro comune grandezza sta, tra l’altro, nell’aver considerato l’arte una sfida, trasformando l’amara coscienza del presente per Burri e i bui fantasmi passato per Kiefer in un messaggio universale di equilibrio e di poesia. Al di là delle radicali innovazioni della pittura di Burri e dal volerne riconoscere gli echi negli artisti delle generazioni successive, la forza dirompente dell’opera del maestro umbro sta nella lezione magnifica della forma e nella radicale rivoluzione della materia-colore in tutte le sue stagioni, mentre quella di Kiefer nella profondità di sensi, di materiali, di linguaggi, di simbologie utilizzati nel suo lavoro. La loro Arte trascende il tempo. Questa Presenza-omaggio di Anselm Kiefer ad Alberto Burri colpisce profondamente lo spettatore, spingendolo a voler addentrarsi sempre di più nel senso della straordinaria fucina dell’artista tedesco, proprio nel luogo in cui il maestro umbro ha voluto disporre la sua opera nel perfetto connubio con l’ambiente. Qui, a distanza ravvicinata dai Cicli di Burri, dalla sinfonia dei Cellotex, dall’esplosione dei Neri in tutte le loro modulazioni fino all’epilogo de Il Nero e l’Oro del 1993, campeggiano le quattro gigantesche opere di Kiefer, esposti nel capannone adiacente a quello che fu lo studio del maestro, in onde di risonanza e in un dialogo ora ancora più vivo. L’enigma della bellezza dell’opera dell’artista tedesco si svela in tutti i suoi attributi, dalla profon-

dità concettuale, alla forza materica, alla visione geniale e sofferta della storia e della condizione umana. L’ impatto che gli universi di piombo, le vie siderali, i reperti di organismi viventi, le cabalistiche scritture autografe e le astronavi di morte che queste “Costellazioni” suscitano, è indefinibile a parole, se non come spinta e attrazione verso l’infinito di quei cieli muti e plumbei. Filosofia, storia, alchimia, scienze, letteratura e mondo esoterico sottendono, fra l’altro, l’ opera di Kiefer, la suprema asprezza materica e la monumentalità delle sue opere, che , infine, come ultimo approdo, sono rigeneratrici e catartiche, come in un rito sciamanico. Nell’ opera Christian Rosenkreuz esposta, datata 1999, sono esaltati alcuni degli elementi dell’ordine dei Rosacroce, di cui il dipinto porta il nome del fondatore e narra la storia avvolta nella leggenda. È una superficie pittorica dalla simbologia complessa, in cui il piombo trasmutato crea rivoli di lava, con al centro, in un triangolo, iscritto in un cerchio, rose rosse appassite e aggettanti con la pelle di serpente, reliquia terrificante e bellissima. Le scritte autografe, in alto ai due lati del quadro, bilanciano spazialmente l’affondo di irregolari sfere di piombo che dal centro sono calate verso il basso. Liturgia di simboli, apoteosi di morte e trasformazione appare Christian Rosenkreuz, opera nella quale vi è anche la presenza, appena percepibile, dei girasoli, elemento ricorrente nella poetica dell’artista, pianta e fiore che morendo rinasce. Für Saint-John Perse, Ètroits sont les vaisseaux del 2003 evoca i versi di Saint-John

Perse tratti dal poema Amers, dedicato al mare, emblema del movimento e della riconciliazione. Immersione cosmologica e superba solitudine astrale emergono nelle stratificazioni materiche della colossale superficie di Kiefer dalla vastità stellare, con le costellazioni numericamente classificate e congiunte da visibili alfabeti, fino all’incontro nell’orizzonte centrale con la profondità marina, a suggerire un moto perenne, in un fremito che sobbolle l’interno e cretta la materia, unendo mare e cielo. Con Merkaba del 2002 l’arte diventa strumento di conoscenza, processo interiore dell’artista per raggiungere attraverso vari passaggi il divino, integrando il mondo terrestre, la materia e lo spirito. Il confine fra essi è segnato nell’opera dall’astronave collocata al centro, che assieme agli aeroplani più piccoli ricorda l’ineluttabile passato, le sue terribili ombre, ma emblematicamente diventa forse- veicolo di ascesi. In Raumschiff del 2004 linee bianche percorrono un universo galattico corroso, dalla luce bruciata, costellato da una miriade di numeri dalla doppia valenza, dal valore classificatorio e tragico, simbolo di un dolore storico che si allarga al cosmo. L’astronave, anch’essa issata nella zona centrale del dipinto, come nell’altra superficie e a questa simmetrica, è strumento di morte nello spazio infinito, percorso dalle traiettorie degli aerei che incrociano la loro scia con quella delle stelle. La magnifica apocalisse di Kiefer diventa poesia e l’arte riscatta la storia. Rita Olivieri

Pavel Bücler, Revised architecture, 2013 libro, cm. 18,5x18,5x18,5

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Roma, MAXXI

Fiona Tan iona Tan è un’artista rappresentativa F dei nostri tempi che porta sulle spalle una storia personale molto complessa.

Capace di analizzare ed interpretare il problema dello scorrere del tempo in modo assolutamente originale, la Tan elabora profondamente il concetto di memoria, grazie all’emersione del ricordo. Organizzata visivamente e poi contestualizzata artisticamente in un sapiente apparato creativo, la memoria storica rivive in ogni opera, grazie anche ad un sapiente ed elegante uso della tecnologia. Nata nel 1966 a Pekanbaru in Indonesia, da padre cinese e madre australiana, Fiona Tan intraprende un viaggio che ha come punto di partenza Roma e come destinazione mete inaspettate. Così è nato il video Inventory per il MAXXI. Girato interamente a Londra, nella casa museo di Sir John Soane (1753-1837), Inventory viene qui esposto in prima mondiale assoluta. L’artista realizza il video con sei videocamere diverse. Considerando tema centrale di quest’opera proprio gli strumenti tecnici, l’evento riflette sul concetto di traduzione e sulla fugacità delle nostre percezioni. Il legame tra Piranesi, Bentham e Soane costituisce parte della riflessione di Fiona Tan sui concetti che esplora con il suo lavoro, come quelli di tempo, memoria, identità culturale, rapporto con lo spazio. In occasione della mostra (27 marzo - 8 settembre 2013) abbiamo incontrato la curatrice, Monia Trombetta, a cui abbiamo rivolto alcune domande. - Chi è Fiona Tan nel panorama artistico attuale? Fiona Tan è un’artista che lavora a livello internazionale da circa 15 anni. Quando nel 2009 realizza il Padiglione Olandese alla Biennale d’Arte di Venezia, il suo lavoro è già molto conosciuto e ha già partecipato ad una precedente Biennale (2001), a Documenta Kassel (2002), alla Biennale di Instambul (2003) ed esposto il suo lavoro in una personale alla Tate Modern (Time Zones 2004). La sua ferrea disciplina sul lavoro, la passione, il profondo studio dei temi di cui si nutre la sua poetica, l’hanno portata oggi a presentare un’opera come Inventory al MAXXI di Roma. Un lavoro che da una parte rivela la fedeltà alle sue aree di ricerca, dall’altra il progressivo sviluppo dell’analisi dei suoi mezzi espressivi. Soggettività e osservazione oggettiva restano costantemente i due poli all’interno dei quali si muove la sua ricerca. L’artista arriva al MAXXI dopo Rise and Fall, una importante mostra realizzata nel 2011 alla Arthur M. Sackler di Washington, DC e dopo la mostra Disorient alla Galleria di Arte Moderna di Glasgow. - Mi racconta in breve i suoi inizi? Come ha cominciato? Fiona Tan è cresciuta a Melbourne in Australia, ma oggi vive in Olanda e a tutti gli effetti si considera un’artista olandese. La sua storia personale e l’analisi delle sue origini costituiscono sin dall’inizio un forte stimolo creativo. I suoi primi lavori, come May you live in interesting times (1995 - 97), un documentario in cui racconta il suo viaggio per conoscere tutti i parenti cinesi in giro per il mondo, ne sono una chiara testimonianza. Ma in genere tutti i suoi primi lavori contengono già in nuce i temi che svilupperà nel corso degli anni.

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Fiona Tan, Inventory, HD & video installation, 2012. Courtesy the artist and Frith Street Gallery, London and made possible with financial support from the Philadelphia Museum of Art and Mondriaan Fund, Amsterdam.

L’interesse per il “punto di vista occidentale sull’Oriente” che troviamo in Tuareg del 2000, che mostra scene di bambini Tuareg di un clan Berbero del Sahara, torna prepotente in Disorient, il lavoro che la Tan porta al padiglione Olandese della Biennale di Venezia del 2009, un lavoro che partendo dai diari di viaggio di Marco Polo denuncia la visione distorta dell’occidente nel giudicare le culture orientali. Ancora in Countenance , il lavoro che Fiona Tan presenta a Documenta di Kassel nel 2001, l’artista ritrae oltre 200 berlinesi: in questa modalità, che l’artista definisce “da biologo amatoriale del XIX secolo”, ritroviamo una delle caratteristiche di Correction (2004), in cui l’artista ritrae oltre 300 detenuti e carcerieri di 4 carceri americani. Sia Disorient che Correction sono lavori che saranno esposti al MAXXI nel corso dell’at-

tuale mostra. - Quali sono le fonti principali del suo linguaggio e qual è il suo legame con la memoria, il passato, gli archivi, la storia? Al di là degli spunti provenienti dalla sua storia personale e dal suo modo scientifico di procedere all’analisi delle cose, di cui ho già detto, una caratteristica del lavoro della Tan è il suo profondo legame con la cultura del passato. Il fatto di essere attratta da temi come quello della memoria, del tempo, dell’identità culturale, l’ha portata a studiare come una storica o un’antropologa. I lavori esposti al MAXXI hanno dei riferimenti specifici dichiarati dall’artista stessa: Jeremy Bentham (1748-1832), Giovan Battista Piranesi (1720-1778) e Marco Polo (1254-1324) ma la sua ricerca ha un’infinità di riferimenti culturali, tra cui Walter Benjamin, Umberto Eco, Paul Valéry e se ne potrebbero citare


attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE altri ancora. Non saprei esattamente dire quale è il suo personale legame con il passato e con la storia. Bisognerebbe chiederlo a lei. Quello che posso dire è che questi temi sono pregevolmente espressi e approfonditi nel suo ultimo lavoro ed in generale nel progetto di mostra per il MAXXI. - Ci sono artisti/registi che hanno influenzato il suo lavoro? In una conversazione nel suo studio, a proposito del progetto di allestimento per gli spazi del MAXXI, Fiona ha esplicitamente fatto riferimento a Dogville, diretto da Lars von Trier. Il film realizzato nel 2003 presenta un’immaginaria città di Dogville sen-

za costruzioni architettoniche, come un palcoscenico vuoto, in cui su un pavimento verde le strade e i confini delle case sono tracciate con strisce bianche. Le divisioni architettoniche sono invisibili, così come nell’allestimento della Galleria 5 che presenta i lavori di Fiona Tan senza divisioni e pannelli, in un allestimento aperto che rende fruibili le opere in un dialogo puro con l’architettura, ne garantisce l’integrità di ciascuna e la concentrazione necessaria per la fruizione. La scelta di non realizzare divisioni architettoniche lascia alle opere di Fiona Tan il compito di creare ambienti, spazi e connessioni.

- Quale è l’importanza di questo suo ultimo lavoro? Dagli anni Novanta Fiona Tan crea una serie di opere accomunate dall’interesse per la memoria, la storia e l’identità, individuali e collettive. Con Inventory l’artista ritorna su questi temi concentrandosi sul patrimonio lasciataci da Sir John Soane, che era a sua volta molto interessato al trascorrere del tempo e alla caducità umana. Fiona Tan palesa il proprio interesse nei confronti della continua ricerca da parte dell’uomo di rendere perenne la transitorietà della vita stessa. (a cura di Rosanna Fumai)

Museo Bilotti / Roma

Günter Forg

olto opportunamente, nei testi di M presentazione dell’esposizione, viene detto che questa non è una mostra di

Förg dedicata a Roma, ma il gesto di gratitudine con cui Roma accoglie l’artista che qui ha soggiornato. In ogni caso occorre considerare l’entità del mito della città eterna nella cultura tedesca. E’ dai tempi di Goethe che il viaggio in Italia viene considerato un capitolo fondamentale della crescita culturale di ogni individuo, così lo studio delle antichità diffuse nella nostra città, con il loro tono serioso e il loro splendido equilibrio stilistico, sembrava che potesse imprimere un orientamento intriso di magnifici valori e generoso senso dello Stato alla formazione di ognuno. Günther Förg sembra dire che questi valori si possono trovare anche nell’Italia di oggi, così ferma il suo sguardo sull’Architettura Razionalista, ultimo capitolo dell’evoluzione di un gusto che, dalla misura e dal controllo classicistico, giunge al rigore di oggi. Le sue fotografie sono decisamente portatrici di un gusto che, sebbene vada nella direzione dell’oggettività, per il modo compositivo degli edifici fotografati, al contrario per la scelta di un bianco e nero piuttosto sgranato e di tagli compositivi ricchi di affettività, situano questi scatti nel gusto fotografico degli ultimi decenni del secolo. In questo si nota anche una sorta di critica sottile al Razionalismo e all’ideologia Fascista retrostante, poiché in altre fotografie il suo scatto è molto più limpido. In ogni caso, riferendosi al classicismo, non si può dimenticare la formula di Winckelmann, per il quale la sua perfetta

Günter Forg, installazione al Museo Bilotti di Roma (©foto Gino Di Paolo)

realizzazione umana consiste in un’unione ideale di “nobile semplicità e calma grandezza”. Credo che questo obiettivo sia perfettamente raggiunto nelle tele di Günther Förg. Se nell’Informale veniva celebrato un comporre gestuale piuttosto incontrollato, nelle tele esposte di Förg la trama di colore scuro, sottostante, viene ad essere fecondata da segni piuttosto larghi, deposti in senso orizzontale e verticale, con un effetto di velatura a reticolo molto efficace. Questi segni subiscono delle variazioni di differente entità, che vengono percepite dall’occhio molto agevolmente, così qualsiasi minimo spostamento diventa significativo e gravido

di conseguenze espressive. Si tratta, dunque, della sensibilizzazione di una superficie che potrebbe essere idealisticamente regolare, ma nella quale qualsiasi inserimento e modificazione tramite queste velature sovrapposte “a griglia” (secondo la definizione dell’artista degli anni ‘90) trova il massimo effetto visivo. Completano questa mostra, che vorrebbe idealmente essere una retrospettiva, alcune sculture poste nel piano superiore dell’edificio, che, assieme al testo critico di Pier Paolo Pancotto, daranno un’idea piuttosto esauriente dell’attività dell’artista. Paolo Aita

Günter Forg, installazione al Museo Bilotti di Roma (©foto Gino Di Paolo)

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Thomas Hirschhorn, Break-Through, Aprile 2013. Veduta parziale dell’installazione. Alfonso Artiaco, Napoli

Richard Artschwager, Aprile 2013. Veduta parziale della mostra. Alfonso Artiaco, Napoli

Galleria Alfonso Artiaco, Napoli

che interessò gli stati americani nel 2005, quello dell’Uragano Katrina; uno dei cicloni più funesti degli ultimi anni, le cui luttuose immagini di cittadine distrutte e case devastate, divennero l’eikón dolorosa dell’impotenza dell’uomo e della subordinazione dello stesso alle alterazioni sistemiche. Partendo dalle immagini fotografate, dei soffitti sventrati nelle abitazioni post Katrina, Thomas Hirschhorn propone: “una nuova forma di scultura […] una scultura critica” -così la definisce egli stesso nella dichiarazione scritta che accompagna il suo lavoro-, trasformando la memoria di quelle scene in icone/sculture, riproposte attraverso un intervento sapientemente ragionato negli spazi della galleria, di cui ne sventra i controsoffitti in cartongesso per creare bocche, dalle cui cavità oscure -pitture trompe-l’œil raffiguranti le travate lignee della struttura originaria- sono espulsi, vomitati, materiali di uso quotidiano e di risulta quali nastro adesivo, cartone, fili elettrici, tubi di latta e di plastica, fogli di gomma piuma e polistirolo, ed altro ancora; assemblage eterogenei dispiegati a cascata per un’altezza di 4 metri circa. Un lavoro, questo di Hirschhorn, che si pone nella non facile relazione tra arte e politica; attraverso un approccio estetico e teorico sempre inclusivo e antigerarchico che unisce insieme

Hirschhorn / Artschwager Carl Andre

on ci si può esimere dalla sensazione di stupore percepita di fronte N l’imponenza volumetrica, la maestosità e

l’autenticità delle sculture polimateriche di Thomas Hirschhorn che rompendone ritmi e dinamiche spaziali per impostarne di nuovi, hanno occupato le ariose sale della Galleria Alfonso Artiaco a piazzetta Nilo, cuore fervente del centro storico napoletano. Un intervento site specific proposto dal cinquantaseienne artista svizzero, che dopo sette anni di mostre itineranti per il mondo ritorna a Napoli, pronto a lanciare una nuova denuncia e polemizzare, con toni ironici e pungenti, su questioni politiche/economiche e “conseguenze catastrofiche” del capitalismo industriale mondiale: la sempre più incalzante alterazione dell’ecosistema e l’inadeguatezza, inefficienza, dei sistemi e degli organi preposti al controllo/intervento in casi di calamità naturali. La riflessione originaria che sorregge Break-Though, questo il titolo dell’installazione, è difatti un tragico avvenimento

Carl Andre, Crux 14, 2010. Croce greca composta da 14 pezzi, cm 0,5 x 50 x 50 ognuno cm 0,5 x 350 x 350 complessivi sul pavimento

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politica, estetica e filosofia. L’opera d’arte è per Hirschhorn uno strumento di contestazione; ogni lavoro si carica della funzione di denuncia al sistema capitalistico ed alla sua pesante incidenza/condizionamento nella vita sociale e culturale di ogni individuo. Chiaro e frequentemente dichiarato è il suo riferimento alla filosofia, quale medium di analisi dei fenomeni contemporanei; in tale ottica le sculture Break-Though, diventano segno e simbolo di quei paradossi che omaggiano la logica del senso di Gilles Deleuze -della quale l’artista svizzero cerca di sviluppare attraverso la propria ricerca l’idea dell’evento in divenire-, in cui denunciare anche quel principio della dèpense - recuperato da Georges Bataille, delle teorie del dispendio e dello “spreco sacro” - che spesso abbiamo ritrovato indagato nei lavori datati; palinsesti in cui figurazioni del consumo e del sistema economico si fondevano in complesse istallazione e macchinazioni barocche. In Break-Though, le icone del consumismo tanto denunciate ed abusate nei lavori precedenti scompaiono lasciando il posto ad una traccia memoriale della materia, con cui ancora conferisce voce ad aspetti, che l’artista definisce parte e manifestazione del mondo, il “disastro”, affermando in merito: “Devo amare questo mondo, se voglio cambiare le sue con-


attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE dizioni, devo amare il fatto che il disastro e “il negativo” sono anche parte di essa. Il mondo non è il mondo senza il negativo”. Omaggiato negli spazi della galleria è anche il lavoro dello scomparso americano Richard Artschwager (Washington U.S.A 1923- Allbany NY, U.S.A. 2013), artista eclettico, vissuto ed attivo negli anni della Pop Art, del Minimalismo e dell’Arte Concettuale, ricerche sfiorate e sfuggite, per generare attraverso una voluta “confusione” di generi/limiti dell’arte, un linguaggio autonomo, personale e libero. In occasione di questa mostra sono stati esposti i lavori Weave Green (1991) e Up and Out (1990). Raffaella Barbato

N

ato a Quincy in Massachusetts settantotto anni fa, ed affermatosi come uno dei maggiori esponenti del minimalismo d’oltreoceano ad appena trent’anni, Carl Andre brucia letteralmente le tappe, aprendo la strada alla tendenza che invarrà nei decenni successivi. Nella nuova amplissima sede della galleria di Artiaco a Piazzetta Nilo, gli è stato possibile sviluppare anche una sorta di piccola antologica. Le opere scultoree – in maggioranza appartenenti a quella sua più frequente ed emblematica tipologia, messa a punto a partire dal ’67 e dunque fin dalla sua prima maturità, basata su moduli quadrangolari così privi di spessore da coincidere pressoché col pavimento e favorire il deambulare del pubblico su di essi, ovvero i floorpices o metalplates; ma vi sono anche due piccole sculture del 2001, prodotte dalla rispettiva giustapposizione di tre e di quattro parallelepipedi - si collocano infatti in un arco cronologico che va dal ’75 al 2010. La nota più interessante della mostra mi pare tuttavia costituita dall’identità di Andre di operatore del linguaggio verbale, che viene finalmente fuori accanto a quella assai più celebre di operatore del linguaggio plastico-visuale e quasi con pari dignità, in virtù della scelta di accompagnare il dispiegarsi sul pavimento delle costruzioni scultoree con la presentazione dei suoi poemi dattiloscritti – concepiti onde introdurre i suoi stessi lavori in cataloghi e pubblicazioni varie e, di conseguenza, assai meno conosciuti - lungo le pareti. Ammontando a ben 1500 – esito di oltre quarant’anni di lavoro, dal ’57 al 2000, di cui rende conto il catalogo ragionato con la pubblicazione dell’intero corpus - i poemi vanno intesi in strettissima relazione con la sua scultura, in quanto condividono con essa – e forse, più precisamente, con l’opera di tutti gli artisti minimalisti o almeno di quelli plastici – la modularità paratattica e la correlata letteralità degli stessi moduli, quasi instaurando una circolarità concettuale perpetua in grado di gettare reciproca luce. «Ora il mondo non è né significativo né assurdo. Esso è semplicemente. In luogo dell’universo dei significati (psicologici, sociali, funzionali) si dovrebbe costruire un mondo più solido e immediato». Questo brano di Alain Robbe-Grillet – citato non a caso da Barbara Rose nel saggio ABC Art (1965), ove la critica statunitense analizza appunto le radici della poetica minimalista – ben testimonia la tendenza del Nouveau Roman, di cui Robbe-Grillet è probabilmente il maggior teorico e l’esponente più importante, ad abolire ogni contenuto di trascendenza, ogni “altrove”, ma la produzione poetica di Andre, espellendo ormai ogni traccia di significato ed assumendo non la parola ma la semplice sillaba come unità modulare massima, consegue esiti ancor più radicali. Stefano Taccone

Studio Trisorio, Napoli

Mimma Russo ean Baudrillard sostiene che “con la J modernità, in cui non smettiamo di accumulare, di aggiungere, di rilanciare,

abbiamo disimparato che è la sottrazione a dare la forza, che dall’assenza nasce la potenza. E per il fatto di non essere più capaci di affrontare la padronanza simbolica dell’assenza, oggi siamo immersi nell’illusione inversa, quella, disincantata, della proliferazione degli schermi e delle immagini”. Capacità di sottrazione e padronanza simbolica dell’assenza, potrebbero considerarsi, per certo versi, le direttrici principali che oggi sorreggono la ricerca artistica di Mimma Russo, in linea con lo “sdoppiamento tra presenza ottica e lontananza sociale-esistenziale” di cui un maturo Antonio del Guercio parlava in riferimento alle emozioni generate dai lavori di propaganda degli anni 70’; una ricerca in cui preesistente è la critica all’illusorietà della materia, di cui l’artista ne indaga la mutevolezza e lo status mobile. Le contestazioni rumorose degli anni giovanili, che prendevano spunto da “immagini del panorama urbano e della civiltà dei consumi […] attraverso compenetrazione cromatiche, che - come ricordava Filiberto Menna- echeggiavano la ricerca dei futuristi”, lasciano spazio ad una dimensione rarefatta e dimessa in cui la denuncia del rapporto uomo/materia è si presente, ma sussurrata e indagata attraverso fenomenologie nuove. L’artista oggi lavora prediligendo, la dimensione del silenzio quale, propulsione dell’entità/materia, e sulla (la non sulla se è un complemento oggetto) riduzione/sottrazione della cosità originaria. Una ricerca concettuale e sofisticata che indaga le masse nel proprio divenire, in

una dimensione di metamorfica illusorietà materica e percettiva: i corpi perdono l’iniziale fisicità per riproporsi, all’occhio dello spettatore - nelle sue sculture/ quadro - con una quidditas altra. Listarelle sottili di legno che si aprono a ventaglio sono percepite come volant plissettato di raso nero; compatte sculture zigrinate dalle forme sinuose echeggiano la leggerezza della carta e degli origami giapponesi; pannelli con stuccature smaltale rinviano alla lucentezza ed alla preziosità di velluti e stoffe damascate; texture fittissime di gusci di uova, tinteggiate di nero fumo, pendono l’originaria friabilità e leggerezza, sollecitando nella mente la percezione di irregolari scaglie di pietra lavica. Una modulazione di pieni e vuoti in cui l’ombra ed il colore, in questo caso il nero - l’assenza di colore -, sono essi stessi volume e forma. Total Black è lo style scelto dalla Russo per questo nuovo ciclo di lavori, dove il monocromo, a seconda dei pigmenti usati, riflette e trattiene la luce, che, assorbita dalle superfici porose e smaterializzata da quelle lucide, costruisce, nel suo infrangersi e rifrangersi, un motus perpetuo in cui le sculture sembrano trasfigurare. Raffaella Barbato

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Continua, San Gimignano

Pistoletto Etel Adnam di Rita Olivieri

Michelangelo Pistoletto, Questo spazio non esiste, 19762013. Specchio, lettere in vinile adesivo, dimensioni ambiente. Opera n°70 dal libro giallo ‘Cento mostre nel mese di ottobre’, Torino 1976. Courtesy GALLERIA CONTINUA, San Gimignano / Beijing / Le Moulin. Photo Ela Bialkowska, OKNO STUDIO

Michelangelo Pistoletto, Terzo Paradiso, 2003 - 2013
 346 piatti da batteria, coperchi, 120 x 640 x 1120 cm Courtesy GALLERIA CONTINUA, San Gimignano / Beijing / Le Moulin. Photo Ela Bialkowska, OKNO STUDIO

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edicate a Michelangelo Pistoletto e D a Etel Adnan sono le due personali proposte dalla Galleria Continua di San

Gimignano, ancora una volta nel segno di un rapporto stretto fra territorio ed arte contemporanea, nella prospettiva di una partecipazione allargata e coinvolgente per lo spettatore, resa possibile anche attraverso le performance inaugurali. ll rapporto con il mondo esterno sia esso naturale, sia esso sociale è peculiarità di entrambi gli artisti e fonte di ispirazione. Per Pistoletto centrale è il legame che sussiste fra uomo e natura, su questo da tempo si addentra il complesso impianto concettuale alla base del suo lavoro, mentre nella visione poetica di Adnan la natura diventa rivelazione per l’uomo, fulcro di risonanze e motivo di esperienza. In particolare nella meditazione dell’artista piemontese vi è l’individuazione di una via che armonizzi il primo e il secondo paradiso, secondo la definizione di Pistoletto stesso, ovvero mondo naturale e artificiale, per confluire in quello che lui chiama Terzo Paradiso, come recita anche il titolo del relativo manifesto datato 2003. In questo progetto, in questa utopia che si fa realtà, fondamentale è il superamento dei due mondi dicotomici, di

un binomio talora conflittuale, per la concretizzazione di un reale che esprima citando direttamente l’autore - “un nuovo livello di civiltà planetaria, indispensabile per assicurare al genere umano la propria sopravvivenza”. L’arte, sul cui lemma si sviluppa la parola artificio, nella visione dell’artista diventa il perno della metamorfosi di tali mondi separati, ingloba la realtà tutta, è responsabile dell’esistente e propone, attraverso l’opera, un itinerario da percorrere. Il simbolo matematico di infinito, con i due cerchi esemplificativi di natura e artificio, viene ridisegnato da Pistoletto, con un terzo cerchio centrale che emblematicamente congiunge e rappresenta l’integrazione avvenuta fra i due poli e l’accesso a un nuovo stadio di per sé “generativo”. Terzo paradiso è il progetto artistico che ormai da un decennio l’artista porta avanti con Cittadellarte, in dialogo con la società, affinché etica ed estetica coesistano, per il raggiungimento, inoltre, di una nuova dimensione spirituale. Terzo Paradiso è anche la straordinaria installazione nella platea dell’ex cinema della Galleria Continua, realizzata appositamente, che rappresenta i tre cerchi dell’infinito con una miriade di piatti da

Michelangelo Pistoletto, Vortice-pentittico, 2010-2013. Specchio nero e argento, legno dorato. 5 elementi: 201 x 141 cm ognuno Courtesy GALLERIA CONTINUA, San Gimignano / Beijing / Le Moulin. Photo Ela Bialkowska, OKNO STUDIO Michelangelo Pistoletto, 2013.
Veduta della mostra Galleria Continua / San Gimignano Courtesy GALLERIA CONTINUA, San Gimignano / Beijing / Le Moulin. Photo Ela Bialkowska, OKNO STUDIO


attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Etel Adnan, San Gimignano #2, 2013. Inchiostro su carta, H 27,4 x L 279 cm. Courtesy GALLERIA CONTINUA, San Gimignano / Beijing / Le Moulin. Photo Ela Bialkowska, OKNO STUDIO

Etel Adnan, California #1, 2013. Olio su tela, 32 x 40,5 x 2 cm Courtesy GALLERIA CONTINUA, San Gimignano / Beijing / Le Moulin. Photo Ela Bialkowska, OKNO STUDIO

Etel Adnan, 2013.
Veduta della mostra Galleria Continua / San Gimignano Courtesy GALLERIA CONTINUA, San Gimignano / Beijing / Le Moulin. Photo Ela Bialkowska, OKNO STUDIO

batteria di forme e grandezze differenti, che diventerà immagine sonora durante l’inaugurazione grazie all’intervento dell’orchestra di percussioni Bandão. Vortice è un ciclo di opere collocate ad apertura dell’esposizione, rappresentato da grandi specchi neri e argentei, dei quali il perimetro è impreziosito da una cornice in legno dorato, nei quali sembra estrinsecarsi la dialettica dei contrari nel gioco di forme in bianco e in nero, connotate da ordine e simmetria, di rimando al caos di specchi in frantumi al suolo. Il percorso presenta molteplici opere realizzate per l’ esposizione, delle quali il progetto era stato enucleato già nel libro “Cento mostre nel mese di ottobre” pubblicato dalla Galleria Giorgio Persano di Torino nel 1976, contenente appunto cento idee per altrettanti mostre. Camera ardente è un’installazione allestita nello spazio della torre che ridisegna lo spazio nella “stanzetta”, in una suggestiva visione di luce e di buio, nell’alternanza di momenti di illuminazione ad altri di oscurità. L’arte è ancora libera è la frase che campeggia nell’opera omonima, oltrepassando con il suo contenuto simbolico le pesanti sbarre metalliche e le sottili maglie di una rete reale. La libertà e la versatilità dell’arte sono temi anche informano il lavoro di Etel Adnan, poetessa e artista visiva cosmopolita, anch’essa saggista che trova nella natura motivo di ispirazione. I quadri astratti esposti, degli olii realizzati in occasione della mostra, sono caratterizzati da basilari forme astratte, giustapposte sulle superfici cui corrisponde un universo di poesia. Non c’è presenza umana nel lavoro di Etel Adnan, piuttosto lo scenario naturale incontaminato, cui l’uomo si rivolge per attingere bellezza, come è per l’artista il Monte Tamalpais sopra San Francisco, fonte di osservazione e reiterato soggetto di parola poetica e di pittura. Questa “ossessione” diventa centro del visibile e l’approdo della percezione di ciò che si nasconde dietro le parvenze reali e si trasforma perennemente. n

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Castello di Rivara Centro d’Arte Contemporanea

Equinozio d’autunno

19 artisti, italiani e internazionali “dialogano” con le opere della collezione permanente

Come l’equinozio si ripete nel corso del tempo segnando il passaggio da una stagione all’altra, così la mostra “Equinozio d’autunno” ritorna, dopo sei anni, al Castello di Rivara, ancora più ricca e suggestiva. Franz Paludetto, oggi come allora, ha individuato una nuova generazione di artisti per festeggiare l’evento astronomico che rende la notte uguale al giorno. Equinozio d’autunno è un’esposizione fuori dall’ordinario. Non si tratta di una mostra convenzionale, ma di una esperienza complessa e multiforme impostata su più fronti. Quattro sono le personali in cui sono esposte le opere di Elvio Chiricozzi “Senza peso”, Oreste Casalini “Balanced”, Mustafa Sabbagh “Tutto si muove”, Davide Dormino “Magnetism”, situate in una parte del corpo principale del Castello. Sempre in questo spazio, accanto alle opere della collezione esposte in permanenza, si trovano i lavori di Omar Elvio Chiricozzi, Sky Room, 2013. Orizzontale

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Oreste Casalini, Balanced, 2013

Ronda “Gli ospiti di sangue blu in visita al Castello di Rivara”. Le Scuderie ospitano la personale dell’artista tedesco Peter Schmersal, “Pittura” a conferma del rapporto che lega, ancora oggi, il Castello di Rivara alla Germania: un amore di lunga data fatto di vita privata e operazioni importanti, segnato da mostre fondamentali nella storia dell’arte contemporanea. Nel

Castello Vecchio, quasi in antitesi con la sua definizione, vengono presentati i lavori dei tre giovanissimi: Luca Cruz Salvati “Principi senza princìpi”, Sveva Angeletti e Leonardo Aquilino “Centro di Documentazione Fotografica”, a cui fanno da simbolici “tutor” le altre importanti opere della collezione permanente e i progetti degli artisti Enzo Gagliardino, Adriano


attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE Campisi “Il giglio si manifesta alla parete bianca”, Alessio Delfino “Tarots” e Daniela Perego “Quel che rimane”. All’esterno il parco che circonda il castello segue la stessa logica, facendo convivere e dialogare le opere permanenti con quelle temporanee, allestite in occasione dell’Equinozio: Alessandro Giorgi “4 materassi bianchi 1 nero”, Annamaria Gelmi “The flower for Castello”, Maurizio Taioli “Via Crucis” e Nicus Lucà “Il ladro di colore”. Le cantine del Castello, infine, introducono ai lavori di Katia Pugach “Dejavu” e alla storia del vino Erbaluce, con la ceramista Maria Teresa Rosa in “Cantico” e i produttori canavesani Ferrando, Orsolani, Santa Clelia. Il Castello di Rivara, situato a 37 chilometri da Torino nelle valli del Canavese, è un complesso composto da tre edifici indipendenti: il Castello Medievale, la Villa neobarocca e le Scuderie, immersi in un parco di oltre 45mila metri quadrati. Ha a disposizione numerosi atéliers e camere dove abitualmente sono ospitati artisti italiani e stranieri ed uno spazio espositivo multifunzionale di 2.530 metri quadri. La direzione artistica è dal 1985 di Franz Paludetto. Personalità importanti hanno condiviso l’invenzione di questo luogo, come Aldo Mondino, o hanno avuto l’opportunità di lavorare qui: tra i tanti, Dan Graham che nelle Scuderie realizzò il Paesaggio Specchiante, Maurizio Cattelan con la sua Fuga, Gonzales Torres e Raymond Pettibon che vi hanno vissuto a lungo e che insieme a Paul McCarthy, Lary Pittman, Larry Johnson e Jeffrey Vallance compaiono nella mostra “Viaggio a Los Angeles”, realizzata al Castello nel 1993. E ancora, artisti stranieri e italiani, come Stefano Arienti, John Armleder, Stephan Balkenhol, Alighiero Boetti, Mirian Cahn, Umberto Cavenago, Giorgio Ciam, Silvie Fleury, Peter Friedl, Paolo Grassino, Karin Kneffel, Gordon Matta-Clark, Allan McCollum, Julian Opie, Gianni Piacentino, Hermann Pitz, Pierluigi Pusole, Sergio Ragalzi, Francesco Sena, Pia Stadtbaumer, Rudolf Stingel, Luca Vitone e molti altri. n

Nicus Lucà, Il ladro di colore, 2013

Katja Pugach, Dejavu, 2013

Davide Dormino e Mustafa Sabbagh, 2013

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Giulio De Mitri, Eden, 2012-2013. Multistrato di legno, acrilico bianco, metacrilato opaco e trasparente, poliestere, motore, corpi illuminanti. Installazione ambientale. Giulio De Mitri, Eden, 2012-2013. Multistrato di legno, acrilico bianco, metacrilato opaco e trasparente, poliestere, motore, corpi illuminanti. Installazione ambientale.

Studio d’Arte Contemporanea Pino Casagrande, Roma Studio d’Arte Contemporanea Pino Casagrande, Roma Studio d’Arte Contemporanea Pino Casagrande, Roma

Giulio Giulio De Mitri De Mitri Giulio De Mitri

Q Q

uando l’arte contemporanea si addentra nei territori di una storia remota ea uando l’arte contemporanea si addentrattitra inattingibile mito, ilremota linguagnei territoriquale di unail storia ea gio improvvisamente la fragilità della trattisvela inattingibile quale il mito, il linguaguando l’arte contemporanea si adragione con cui un uomo pensa a dio.della Né gio svela improvvisamente fragilità dentra nei territori dilauna storia reimporta la posteriorità del nostro tempo, ragione cui inattingibile un uomo pensa a dio. Né mota e acon tratti quale il mito, degli “deisvela fuggiti” e della rassegnata ilepoca linguaggio improvvisamente importa la posteriorità del nostro tempo,la adesione a “dei modelli di relazione e conofragilità della ragione con cuirassegnata un uomo epoca degli fuggiti” e della scenza secolarizzati: l’arte eternamente pensa a dio. Né importa la posteriorità adesione a modelli di relazione e conodel nostro tempo, epoca degli “dei fuggidisfa il tempo e dimora nell’origine. scenza secolarizzati: l’arte eternamente ti” e della rassegnata adesione modelli L’intera produzione di Giulio DeaMitri si disfa il tempo e dimora nell’origine. di relazione e conoscenza secolarizzati: imbatte nell’esplorazione – o nell’azzardo L’intera produzione di Giulio De Mitri si l’arte eternamente disfa il tempo e dimo–imbatte di un nell’esplorazione idealismo memoriale dell’eternità – o nell’azzardo ra nell’origine. che le rotte della L’intera diciviltà Giuliomediterranea De Mitri si – dirisale un produzione idealismo memoriale dell’eternità senza ignorarne il suo inesorabile declino imbatte – omediterranea nell’azzardo che risalenell’esplorazione le rotte della civiltà anche senza sostare nella lacrimosa –ma di un idealismo memoriale dell’eternità senza ignorarne il suo inesorabile declino che risaledella le rotte della nella civiltà nostalgia classicità. Così lacrimosa lamediterbellezma anche senza sostare ranea senzaunico ignorarne il suo inesorabile za, canone e dedizione ampissima nostalgiamadella classicità. Così lanella bellezdeclino anche senza sostare ladell’artista tarantino, resta ancorata alla za, canone unico edella dedizione ampissima crimosa nostalgia classicità. Così la domanda, incessante, di purezza. dell’artistacanone tarantino, ancorata alla bellezza, unicoresta e dedizione ampisCon idell’artista quattro lavori installativi sima tarantino, restapresentati ancorata domanda, incessante, di purezza. negli della galleria romana di Pino alla incessante, di purezza. Con domanda, i spazi quattro lavori installativi presentati Casagrande, De Mitri compie un’operazioCon i quattro lavori installativi presentati negli spazi della galleria romana di Pino negli galleria romana Pino ne di spazi grandedella estetica e dirigore Casagrande, Deseduzione Mitri compie un’operazioCasagrande, De Mitri compie un’operaformale soffermandosi con sensibilità e ne di di grande seduzione estetica e erigore zione grande seduzione estetica rigoincanto nel giardino dellecon “Esperidi”, luo-e formale soffermandosi sensibilità re formale soffermandosi con sensibilità go e utopia di un notturno architettonico incanto nel giardino delle “Esperidi”, luodove la caducità giorno architettonico si coniuga al go e utopia di undelnotturno silenzio dell’eterno. Opere della recente dove la caducità del giorno si coniuga al

Q

silenzio dell’eterno. Opere della recente

ricerca svolta nell’ambito della light art, le installazioni di De Mitri della rivelano faricerca svolta nell’ambito lightla art, scinazione poetica un artista da le installazioni di DediMitri rivelanoche la fasempre ragiona attorno a quella che il cupoetica di undelle artista che da escinazione incanto nel giardino ratore mostra, Paolo Aita,“Esperidi”, tratteggia sempreedella ragiona a quella che il culuogo utopia diattorno un notturno architettonicome “personificazione del mare”, ovvero ratore mostra, del Paolo Aita,sitratteggia co dovedella la caducità giorno coniuga la continua, affinata dedizione a conferire al silenzio dell’eterno. Opere della recencome “personificazione del mare”, ovvero all’orizzonte visivo una cristallizzazione, te ricerca svolta nell’ambito light la continua, affinata dedizione adella conferire una forma essenziale. art, le installazioni De Mitri rivelano la all’orizzonte visivo diuna cristallizzazione, fascinazione poetica di un artista che da L’opera “Eden”, una grande circonferenza una forma essenziale. sempre ragiona attorno a quella cheazzuril cusu cui si adagiano leggeri i bagliori L’operadella “Eden”, una Paolo grandeAita, circonferenza ratore mostra, tratteggia risudella luce e gli strali di ampie volute di cui“personificazione si adagiano leggeri azzurcome deli bagliori mare”, ovvero poliestere, rappresenta forse il momento ri continua, della luce affinata e gli strali di ampiea conferire volute di la dedizione teoretico all’orizzonte visivodella unaricerca cristallizzazione, poliestere,centrale rappresenta forse ildell’artista, momento ovvero la centrale tensione dell’opera verso un’idea una forma essenziale. teoretico della ricerca dell’artista, universale e al tempo stesso intima della L’opera “Eden”, una grande circonferenza ovvero la tensione dell’opera verso un’idea su cui si adagiano leggeri ei bagliori azzurri bellezza. Il emoto perenne circolare delle universale al tempo stesso intima della della luce esvettano gli stralicentrali di ampie volute di farfalle che sulla superfibellezza. Il moto perenneforse e circolare delle poliestere, rappresenta ilmoltitudine momento cie della scultura conduce la farfalle checentrale svettanodella centrali sulla dell’artisuperfiteoretico ricerca dei ad un’unità decisa, una sintesi cie segni della scultura conduce laadmoltitudine sta, ovvero la tensione dell’opera verso perfetta: iladprofilo diedecisa, una farfalla. Sisintesi tratta un’idea al tempo stesso indei segniuniversale un’unità ad una di un lavoro di disarmante complessità tima della bellezza. Il moto perenne e cirperfetta: il profilo di una farfalla. Si tratta eppure di coinvolta immediatezza. In esso colare farfalle che svettano centrali di un delle lavoro di disarmante complessità sulla superficie della scultura conduce la si accumulano le prove di una sorta di eppure di coinvolta immediatezza. In esso moltitudine dei segni ad un’unità decisa, fondo comune dell’umanità, rintracciate si accumulano le prove ildi profilo una sorta di ad una sintesi perfetta: di una trasversalmente rispetto a culture distanti fondo comune dell’umanità, rintracciate farfalla. Si tratta di un lavoro di disarmanche hanno produzioni e religiose trasversalmente rispettomitiche culture distanti te complessità eppure diacoinvolta immesimili e siInavvalgono degli stessi simboli. diatezza. esso si accumulano le prove che hanno produzioni mitiche e religiose “Ogni lavoro è undegli processo disimboli. elabodi una emio sorta di fondo comune dell’umanisimili si avvalgono stessi razione di simboli afferma l’artista – che tà, rintracciate “Ogni mio lavorotrasversalmente è–un processo dirispetto elaboaaffluiscono culture distanti hanno produzioni alla millenaria storia dell’uorazione di simboli –che afferma l’artista – che mitiche e religiose ilsimili si avvalgono mo, racchiudendo valoreestoria immaginifico affluiscono alla millenaria dell’uodegli stessi simboli. “Ogni mioillavoro è un emo,archetipo, stigmatizzando territorio, racchiudendo il valore processo di elaborazione di immaginifico simboli – afdimora ideale per la centralità dell’uomo, e archetipo, stigmatizzando il territorio, riallacciando, fili di una cultura dimora ideale così, per la i centralità dell’uomo, sconfinata”. riallacciando, così, i fili di una cultura sconfinata”.

Giulio De Mitri, Passaggio, 2012. Forex, smalto, vernice, corpi illuminanti. Installazione ambientale (particolare). Giulio De Mitri, Passaggio, 2012. Forex, smalto, vernice, corpi illuminanti. Installazione ambientale (particolare).

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In questo esercizio critico del pensiero simbolico, l’intero impianto della In questo esercizio critico scenico del pensiero mostra sembra voler coniugare due aspetti simbolico, l’intero impianto scenico della essenziali dellavoler sensibilità umana: da un mostral’artista sembra due aspetti ferma –primitivo, che coniugare affluiscono alla millato il pensiero primario, arcaiessenziali delladell’uomo, sensibilitàracchiudendo umana: da unil lenaria storia co, lungoprimitivo, i refoli diprimario, una profonda lato svolto il pensiero arcaivalore immaginifico e archetipo, stigmaesigenza dall’altro il profonda pensiero tizzando ilspirituale, territorio, dimora ideale per la co, svolto lungo i refoli di una cosiddetto razionale, della coscienza centralità dell’uomo, riallacciando, così,oi esigenza spirituale, dall’altro il pensiero dell’uomo civilizzato edella che trova la suao fili di una cultura sconfinata”. cosiddetto razionale, coscienza Inmassima questoespressione esercizio critico del pensienella tecnica. dell’uomo civilizzato e impianto che trovascenico la sua ro simbolico, l’intero Non c’è lavoro di De Mitri che non sollemassima espressione nella tecnica. della mostra sembra voler coniugare citi di diquesta continua dialettica Nonl’azzardo c’è lavoroessenziali De Mitri che sensibilità non solledue aspetti della tra pulsioni/desideri e forma/struttura. citi l’azzardo questa continua primitivo, dialetticaIl umana: da undilato il pensiero metacrilato delle farfalle, il poliestere, laIl primario, arcaico, svolto lungo i refoli di tra pulsioni/desideri e forma/struttura. luce a led, la meccanica rotativa del corpo una profonda esigenza spirituale, dall’almetacrilato delle farfalle, il poliestere, la centrale: dettaglio convoca magistraltro cosiddetto razionale, della luceil apensiero led,ogni la meccanica rotativa del corpo coscienza o dell’uomo civilizzato che mente nell’opera la felice armonia trae l’imcentrale: ogni dettaglio convoca magistraltrova la suadelle massima espressione nella materialità sensazioni e la rigorosa mente nell’opera la felice armonia tra l’imtecnica. organizzazione sistemica dell’opera. Ecco materialità delledi sensazioni e lanon rigorosa Non c’è lavoro De Mitri che solledunque il κόσμος (kósmos), l’ordine uniorganizzazione sistemica dell’opera. Ecco citi l’azzardo di questa continua dialettica versale cui l’artista(kósmos), volge lo sguardo im-Il tra pulsioni/desideri e forma/struttura. dunque il κόσμος l’ordine unimergendosi nella perfezione dei riferimenti metacrilato delle farfalle, il poliestere, la versale cui l’artista volge lo sguardo imastrali e marittimi, nellarotativa loro trepidante luce a led, lanella meccanica del cormergendosi perfezione dei riferimenti po centrale: ogni dettaglio convoca maineffabilità. astrali e marittimi, nellala loro trepidante gistralmente felice armonia Poco distanti,nell’opera le nove stele di “Flux” inineffabilità. tra l’immaterialità delle sensazioni e la stallate a mo’ di esili, fragili alberi traspaPoco distanti, le nove stele di “Flux” inrigorosa organizzazione sistemica dell’orenti, compiono l’ulteriore verso stallateEcco a mo’ di esili, fragiliapprodo alberi traspapera. dunque il koσμος (kósmos), quelle “minime eternità” con cuivolge l’artista l’ordine universale cui l’artista lo renti, compiono l’ulteriore approdo verso declinava il proprio lavoro in una preziosguardo immergendosi nella perfezione quelle “minime eternità” con cui l’artista sa collettiva delastrali 2012lavoro (Catanzaro, dei riferimenti e marittimi, nella declinava il proprio in una Galleria prezioloro trepidante ineffabilità. Open Space).delVirgole issate in verticale, sa collettiva 2012 (Catanzaro, Galleria Poco distanti, le nove di “Flux” income a districare unostele spazio tra Open Space). issate in fluido verticale, stallate a mo’ dieVirgole esili, fragili alberi traspapresenze esili diafane, le stele appaiono come a districare uno spazio fluido tra renti, compiono l’ulteriore approdo verso punteggiate miriade di segni lupresenze esilidie una diafane, le stele appaiono minosi, brevidivibrazioni delladiluce chelule punteggiate una miriade segni percorre lungo il corpo cilindrico. Ed ogni minosi, brevi vibrazioni della luce che le percorre lungo il corpo cilindrico. Ed ogni


attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE slancio, ogni tensione rilancia lo sguardo quelle “minime eternità” con cui l’artista declinava lavorol’inarrestabile in una preziosa verso l’altoil proprio dichiarando ricollettiva 2012 (Catanzaro, Galleria cerca di undel punto di fuga, un’ulteriorità, sia Openspaziale Space).che Virgole issate in verticale, essa spirituale. come a districare uno tra A pochi passi s’involano aspazio decine fluido le farfalle presenze esili e diafane, le stele appabianchissime di “Passaggio”, sagome che iono punteggiate di una miriade di segni staccano la paretedella emulando unale luminosi, appena brevi vibrazioni luce che fuga prospettica sommità.EdSono percorre lungo il verso corpo lacilindrico. ogni slancio, ogniscultorei, tensioneognuno rilanciarecante lo sguardo 42 elementi nel verso l’alto dichiarando l’inarrestabile ricentro un punto di luce azzurra, un pixel cerca puntouna di fuga, di cielodie un di mare, tracciaun’ulteriorità, che evoca e sia essa gli spaziale contiene abissi.che spirituale. A pochi passi s’involano a decine le Tra la terra ed il mare volteggiano le farfarfalle bianchissime di “Passaggio”, falle di Deche Mitri, le animeappena alate della mito di sagome staccano parete Psyché. Colte punto di librarsi verso in volo,la emulando unasulfuga prospettica esplicano fascino di mutamento sommità. ilSono 42 fragile elementi scultorei, recante nel l’artista centro un puntounadi eognuno leggerezza. Eppure compie luce azzurra, di cielo e di mare, scelta radicaleun ed pixel inquieta: la meravigliosa una traccia che contiene gli delle abisarchitettura e la evoca usualee colorazione si. Tra la terra ed il mare volteggiano le livree delle farfalle sono qui bruscamente farfalle di De Mitri, le anime alate del azzerate e involute. Bianche e simmetriche, mito di Psyché. Colte sul punto di librarschematiche nella struttura e nel fragile numero,di si in volo, esplicano il fascino queste formee riducono l’enorme mutamento leggerezza. Eppurevariaziol’artista compie una scelta radicale ed inquieta: ne universale a segno unico, controllatola architettura e lanel usuale coemeravigliosa rigoroso. Sono farfalle che, candore lorazione delle livree delle farfalle sono alato della propria linearità formale, imqui bruscamente azzerate e involute. pressionano le luce e sommano nel bianco Bianche e simmetriche, schematiche nelogni colore elasciando trasparire, la struttura nel numero, questememoforme riale e impenetrabile, una pantografia dela riducono l’enorme variazione universale mare. segno unico, controllato e rigoroso. Sono farfalle che, candore alato della proDall’altra partenel dell’orizzonte stanno invece priaastri. linearità formale, impressionano gli E in questa continua trasposizio-le lucedelle e sommano nel bianco ognisembra colore ne latitudini emotive De Mitri lasciando trasparire, memoriale e impefissare con “Lucis” il massimo punto netrabile, una pantografia del mare. di astrazione dell’intero percorso espositivo. Dall’altra parte dell’orizzonte stanno inTre tridimensionali di dimensioni vecestelle gli astri. E in questa continua traspodiverse, dipintelatitudini con smalto metallizzato di sizione delle emotive De Mitri sembrablu. fissare “Lucis” il massimo colore Dallecon stesse si irradiano seipunto corpi di astrazione cento luminosi. dell’intero Stelle che percorso rivelano espositivo.di Tre tridimensionali l’essenza una stelle luce remota e destinale,di dimensioni diverse, dipinte con smalto punti di riferimento metallizzato di colorenella blu.volta Dalleceleste stesseinsi grado di orientare il moto terrestre quinirradiano seicento corpi luminosi.e Stelle di legamediirriducibile tra la checongiunzione, rivelano l’essenza una luce remodimensione terrena e quella astrale. nella ta e destinale, punti di riferimento volta “Esperidi” celeste in grado orientare il moto Con GiuliodiDe Mitri raduna terrestre quindi da congiunzione, legame molti dei esoggetti tempo appartenenti irriducibile la dimensione terrena alla propria tra ricerca e definisce un vero ee quella astrale. proprio ecosistema simbolico e immerCon “Esperidi” Giulio De Mitri raduna sivo di generare visitatore molti indeigrado soggetti da temponel appartenenti profonde esperienze alla propria ricerca esensoriali. definisce Complice un vero e eproprio protagonista dell’artista diventae ilimmerbuio, ecosistema simbolico sivo in grado di generare nel visitatore processo di isolamento e creazione di uno profonde esperienze sensoriali. Complispazio nello spazio. “La mia ricerca tra ce e protagonista dell’artista scultura e installazione – affermadiventa De Mitriil di isolamento creazione -buio, vive processo una intensa, avvolgente eeimmersiva di uno spazio nello spazio. “La mia ricerenergia designando un percorso– interiore ca tra scultura e installazione afferma che si fonda sull’esperienza dele De Mitri - vive una intensa,quotidiana avvolgente mondo, maienergia scevradesignando da riferimenti immersiva un sensopercorso interiore si fonda sull’esperienza riali e poetici,cheevocati dall’autenticità del quotidiana del mondo, mai scevra da vivere”. riferimenti sensoriali e poetici, evocati Sembra rievocare immediatamente le padall’autenticità vivere”. role dell’amica del poetessa Alda Merini: “I Sembra rievocare immediatamente le papoeti lavorano dipoetessa notte quando il tempo“I role dell’amica Alda Merini: non su didiloro”. è esattamente poetiurge lavorano notteEdquando il tempo questa fuoriuscita dal Ed tempo, o meglio non urge su di loro”. è esattamente questa irruzione fuoriuscita dal tempo, onelmeglio questa dell’atemporale temquesta irruzione nel etempo, a rendere la dell’atemporale mostra un fremito un po, a rendere mostra coinvolgente un fremito e un tormento, un la tentativo di tormento, ilun tentativo coinvolgente dominare sensibile e, attraverso questodi dominare il sensibile e, attraverso questo controllo, controllo, portare portarel’ultrasensibile l’ultrasensibileall’interall’inno di dicategorie praticabili terno categorierazionalmente razionalmente praticacosì che che l’artista realizza il piùil grande dei bili così l’artista realizza più grande dei desideri, quello forma, quello desideri, quello delladella forma, quello di im-di imprimere mondoil ilsegno segnostesso stessodella delprimere nelnel mondo la sua libertà. “Meglio salvare il mistero sua libertà. “Meglio salvare il mistero che che arrendersi al segreto”. quando arrendersi al segreto”. ComeCome quando si fa si fa notte. notte. Roberto Lacarbonara Roberto Lacarbonara

Giulio De Mitri, Flux, 2012. Metacrilato, corpi illuminanti. Installazione ambientale (particolare).

Giulio De Mitri, Il giardino degli dei, 2012. Multistrato di legno, smalto, vernice, metacrilato, corpi illuminanti. Installazione ambientale. Giulio De Mitri, Psichè, 2012. Still da video, DVD 3’ 57”.

OTT/DIC 2013 | 246 segno - 55


Franco Giuli, in alto: Opera80, 1980/81. Acrilico su juta, cm. 155x170x6. In basso: Senza titolo, 1972/74. Acrilico su tela, cm. 150x150

Galleria Edieuropa, Roma

Franco Giuli

di arrivo è sui tre grandi inediti portano la data del 2012 e 2013, Ichelchepunto si stagliano superbamente allo sguar-

do dalle pareti dello spazio romano: gli acrilici dalle tinte sature e decise su cui si innesta lo stridore del collage con incisioni su cartone ondulato da imballaggio rappresentano non solo l’ultima produzione di Franco Giuli (opere che, di per sé, giustificano pienamente la visione della mostra da parte di un pubblico attento), ma anche l’approdo a tutt’oggi di una ricerca che si produce senza sosta dagli anni Sessanta. L’interessante scelta delle opere compiuta dal curatore Bruno Corà per l’antologica proposta dalla galleria Edieuropa, inaugurata il 2 ottobre e visitabile fino al 16 novembre, è composta da pezzi tutti piuttosto importanti nell’alveo della carriera dell’autore, e rappresenta sinteticamente ma in modo puntuale le tappe dell’indagine di Giuli sul rapporto costruito tra colore, forma e materia. L’indirizzo voluto da Corà, chiaramente documentato nel testo critico che accompagna il catalogo, vuole spingerci verso una lettura della selezione più intellettuale che diacronica: egli non parla infatti di “periodi”, quanto piuttosto di “itinerari”, spostando la categoria di riferimento dal tempo allo spazio e concedendo quindi maggiore attenzione non allo sviluppo di un concetto estetico in senso evolutivo, 56 - segno 246 | OTT/DIC 2013


attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Franco Giuli. Acrilico+collage+incisione su cartoni da imballaggio, cm. 108x149

ma all’analisi di filoni di studio paralleli, tutti parte di una poetica rigorosa e coerente. In questa prospettiva, che vede l’esposizione delinearsi come la geografia di una elaborazione incessante (per Corà infatti gli itinerari di pittura di Giuli sono “inesauribili”), si ribalta la concezione della grande monografia edita nel 2010 (“Franco Giuli. Opere dal 1959 al 2009”, a cura di Luciano Caramel, De Luca Editori d’Arte), che, ripercorrendo gli anni di attività del maestro marchigiano, fraziona agevolmente la sua produzione in unità di ricerca casualmente (o naturalmente germinate in seno alla storia dell’arte occidentale?) collocate nello spazio dei decenni. L’esposizione evidenzia quindi i passaggi reciprocamente alternativi in cui la creatività di Giuli ha transitato, ora analisi sulla forma e sulla struttura, tipica degli anni Settanta, ora operazione di indagine sul colore, tappa obbligata degli anni Ottanta, oppure esperimenti sulle diverse consistenze e superfici nel lungo “periodo dei materiali”, in un’ottica tangente all’Arte Povera, o il gioco insieme fisico e mentale degli “incastri e disincastri”, fino al ritrovarsi delle diverse strade intraprese nell’incontro dei lavori recenti. Valeria Carnevali Franco Giuli, Strutture su rosso, 1972/74. Acrilico su tela, cm. 140x140 Franco Giuli, Itinerari spaziali, 2009. Trittico, acrilico+incisione su cartone, cm. 108x322

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Presenza assenza, 1973, 3 fotografie b/n, 50 x 29 cm cad. © Michele Zaza. Courtesy Galleria Giorgio Persano

Galleria Giorgio Persano,Torino

Michele Zaza

Cielo abitato, 1985, 2 fotografie a colori, 50 x 60 cm cad. © Michele Zaza. Courtesy Galleria Giorgio Persano

Il risveglio del paesaggio clima di generale riscoperta del patrimonio di autori nazioche con il loro contributo artistico hanno favorito e, in alcuni Icasinnaliunanticipato, il rinnovamento dei linguaggi dell’arte, la galleria

di Giorgio Persano a Torino, ha riportato all’attenzione la figura e il lavoro del fotografo italiano Michele Zaza (Molfetta, 1948), protagonista di una mostra che ha ripercorso – attraverso un corpo selezionato di opere provenienti dall’archivio dell’artista – le tappe salienti: dai primi esperimenti fotografici in b/n degli anni ’70 fortemente connotati in direzione autobiografica fino agli esiti più recenti, dove installazione -video, performance e fotografia si scambiano continuamente di ruolo, confluendo in un unicum linguistico e tematico di grande respiro. Non è un caso quindi che la curatrice Elena Re abbia focalizzato l’attenzione e indicato a pretesto di analisi il paradigma del “Paesaggio”, svelando subito il senso profondo e la chiave di lettura più attendibile della ricerca di Michele Zaza. Il paesaggio è evocato nell’opera come metafora di spostamento del soggetto, come vertigine del pensiero, come viaggio di conoscenza del Sé e dell’Altro; in alcuni casi come idea della ciclicità temporale che, nel risveglio affettivo degli elementi (oggetti, volti, luoghi familiari e riconosciuti), fa riaffiorare memorie ed esperienze. La parabola dell’esistenza si compie attraverso l’esplorazione degli opposti passato/presente, vita/morte, maschile/femminile, familiare/sconosciuto, organico/inorganico. Nella mostra, si è partiti da un gruppo ristretto di opere, ma significativo degli anni settanta fra le quali spicca il trittico in b/n dal titolo programmatico “Presenza/Assenza”, un lavoro magnetico ed enigmatico che vede protagonista dell’immagine l’artista stesso, calato nel suo mondo, pura e immobile presenza ieratica stagliata davanti ad una porta chiusa che sancisce l’ingresso in un mondo sconosciuto. Questo universo da esplorare contempla (come mostrato nel percorso fotogafico) i genitori dell’artista, la prima moglie, la nuova compagna, la figlia, gli oggetti quotidiani più cari e naturalmente l’artista in prima persona che come un sapiente demiurgo li traghetta dalla concretezza effimera del reale all’imperitura dimensione del simbolico. A questo servono i colori (fra tutti il blu) con cui dalla fine degli anni settanta in poi, Zaza definisce gli ambienti, i volti, gli oggetti dei suoi personaggi, eletti a simbolo di un’umanità semplice e peregrina presa a testimonianza del suo viaggio. Nella intricata foresta di simboli fanno via via la loro comparsa anche elementi più estetici e decorativi Apparizione segreta, 2002, 2 fotografie a colori, 70 x 86 cm cad. © Michele Zaza. Courtesy Galleria Giorgio Persano

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attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

come piccoli origami colorati, a fianco di oggetti quotidiani carichi di significato come le molliche di pane, simbolo per eccellenza del nutrimento primario dell’uomo e del legame con la natura. Passando per un gruppo di opere realizzate negli anni ottanta, si arriva al presente: una fase nuova che però è logica conseguenza del lavoro svolto nel tempo da Michele Zaza. Nel video suggestivo e commovente stagliato sull’intera parete a destra dell’ingresso della galleria, compaiono alcuni dei protagonisti

della vita di Zaza, immersi in un blu pittorico intenso, illuminati da punti luce reali che ne sottolineano i gesti lenti e primigenii, la potenza simbolica. Ogni cosa – pare sottolineare quel battito cardiaco diffuso come colonna sonora nello spazio espositivo – ha una sua origine e un suo ritorno; ogni elemento partecipa di una cosmogonia tutt’ora in fieri, ogni gesto racconta un disegno più alto non ancora compiuto. Gabriella Serusi

Qui sopra, Paesaggio magico, 2009, 12 fotografie a colori, 80 x 90 cm cad.; In alto, Ritratto magico, 2005, fotografia a colori, 126 x 135 cm; Sotto, Cielo abitato, 1985, 3 fotografie a colori, 40 x 40 cm cad. Tutte © Michele Zaza. Courtesy Galleria Giorgio Persano

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Coppie in arte

Moio&Sivelli ironia dell’icona di Antonello Tolve

Moio&Sivelli, Ensnaring 3, 2005. Stampa ilfochrome su alluminio e silicone, cm 100x80. Courtesy Dino Morra arte contemporanea, Napoli.

er il terzo appuntamento con le coppie d'artista, proponiaP mo un focus sul duo Moio&Sivelli la cui prossima personale è fissata per aprile 2014 negli spazi della Galleria Dino Morra

Arte Contemporanea. «Il comico, per esser fresco ed efficiente, va rinnovato di giorno in giorno, se non addirittura di ora in ora». Savinio evidenzia l'importanza di operare «per effetto di contrasto: per improvvisa, inaspettata manifestazione (apparizione) di aspetti, caratteri, segni» tesi a trasformare l'ordinario in straordinario, l'abituale in eccezionale. A questo brano riflessivo Moio&Sivelli (Luigi Moio / Napoli – 21 agosto 75 / Luca Sivelli – Napoli, 18 ottobre 1974), dedicano, da tempo, il loro viaggio luminoso fino a costruire un sentiero estetico che investe di nuovo senso l'immagine strappata alla realtà per fonderla – o sovrapporla, a volte – con l'esperienza. Difatti, attraversando il teatro del mondo gli artisti accentuano il tessuto instabile della vita per produrre interferenze linguistiche che si sbarazzano di ogni archetipo manierato. Ma anche per azionare un processo investigativo atto a calcare la leva della creazione sul filo dell’ironia e del gioco. Di un gioco che si fa, per loro, prefisso indispensabile di ogni attività ideativa (perfino la più austera e puntigliosa) e, contestualmente, fondamento teso a comprendere l’aspetto metaforico delle cose e degli eventi, l’aria ludica presente anche nelle più severe e puntigliose progettazioni. Con una spinta energica della leva creativa sulle maglie del quotidiano, Moio&Sivelli dispiegano, in questo modo, un potente programma (esuberante, tendenzioso, innocente) che surclassa la realtà per formulare un abecedario linguistico efficace a ritrarre un mondo distratto e distraente, involontario, veloce. Segnato dal nomadismo ante litteram, da un programma rizomatico, camaleontico e flessibile, il lavoro di Moio&Sivelli mira, inoltre, a costruire un panorama linguistico che boicotta la riproducibilità tecnica dell’opera per ritornare – attraverso il gesto dell’artista – alle maglie felici dell’unicità. Ad un brano in cui manuale e mentale si incontrano per suscitare nuove emozioni, nuove regioni elettroniche, nuovi sentieri estetici. Dal silicone al metallo, dalla fotografia al video, dalla performance alla scultura, la ludoteca creativa di Moio&Sivelli propone, allora, un continente culturologico in cui ironico ed erotico si incontrano per tessere una fitta trama iconografica all’interno della quale ricontestualizzare l’esistenza mediante escamotages idiomatici di chiara impostazione percettologica. Whatever you like!, 21 woodgrange avenue, I was walking with you...! (tutti del 2004), Hampstead park: it’s done actually (2005), What’s the game? e A night in Costiera Amalfitana (2006) che recupera l’arcaico tessuto immaginifico della lanterna magica e della scatola ottica in generale. Still life in it! (2006), dodici uova di papera insonorizzate e imbalsamate in un seducente involucro siliconico o Millions of future lives (2006), una moltitudine di uova di storione (trattate anche queste con paste siliconiche) che formano macrotartine/monocromi naturali quasi a prendere per la coda la mondanità. L’ironica e pungente Cappella privata (2007) che presenta una scottante madonnina dietro un duo ginnico nell’atto di cornificare i fedeli. E poi, ancora, Greetings e Classroom # 1 (2008) in cui la macchina da presa, come sempre, si fa sguardo nascosto, teso a frugare e investigare situazioni, luoghi ed occasioni, per carpire gli atteggiamenti involontari di altrettanto involontari personaggi attorializzati. O Panta Rei 60 - segno 246 | OTT/DIC 2013

Sopra: Moio&Sivelli, Italienische Reise. Videoinstallazione, stop motion video, cornice digitale e silicone 18,5 x 29,5 courtesy Dino Morra arte contemporanea, Napoli. Sotto: Moio&Sivelli, Panta Rei1, 2012. Video in stop-motion, monitor 16-9 (cm 29,5 x cm18,5) collezione privata.

(2012), una meravigliosa installazione (sei schermi avviluppati da un tegumento siliconico) che invita lo spettatore ad ispezionare dei paesaggi in cui si nascondono, dietro una cortina opalescente, alcuni micromovimenti (realizzati in stop-motion) legati a un vento leggero ed elegiaco che rappresenta la necessità d’un’intervallo dai rumori del mondo. Sono soltanto alcuni dei lavori concepiti dalla briosità di Moio&Sivelli per incrinare la serietà, la compostezza, la dilagante e perbenistica omologazione umana ad una revisione critica del panorama planetario. Tramite efficacissimi motti di spirito gli artisti affondano, così, lo sguardo nell’ordinario per concepire interpretazioni pungenti, indispensabili proairesi su circostanze apparentemente abituali che azionano riflessioni volte a smagliare il luogo comune mediante una ironia dissolvente, appunto, un senso critico sempre più brillante e coinvolgente. n Moio&Sivelli, Roundabout, 2006. Still video Courtesy Dino Morra arte contemporanea e NEST.


attivitĂ espositive COPPIE IN ARTE

Moio&Sivelli, untitled1, untitled2, 2012. Video stop-motion, 2 monitor cm29,5 x cm18,5, silicone courtesy Dino Morra arte contemporanea.

Moio&Sivelli, Panta Rei, 2012. Video still, courtesy Dino Morra arte contemporanea. Moio&Sivelli, Classroom#1, 2008. Video still, courtesy Dino Morra arte contemporanea.

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Museo MACA, Acri

Pino Chimenti coprire in Calabria luoghi dedicati S alla cultura produce un piacevole effetto di smarrimento che mi fa ben spe-

rare e respirare dopo tanti anni romani. Vittorio Cappelli mi propone di andare ad Acri a vedere la mostra di Pino Chimenti, noto artista calabrese; cerco di assaporare il carattere della sua arte prima di arrivare, attraverso le riproduzioni raccolte nel catalogo della stessa mostra ma solo dopo mi accorgerò che per quanto fedele alla realtà, le riproduzioni su patinata carta stampata non possono minimamente documentare il risultato formale del certosino lavoro artistico. La location che ospita la mostra è assolutamente straordinaria, il Palazzo San Severino Falcone, del XVIII secolo, divenuto Museo di arte contemporanea; qui il connubio di antico e tardo-moderno genera un’atmosfera speciale che unisce il regale e l’effimero nel medesimo spazio-tempo. Proprio qui, nelle ampie sale del primo piano si può ammirare, nel suo percorso espositivo, Una Gioiosa Macchina da Guerra, la personale del Chimenti, a cura di Boris Brollo. Dalle acque ancestrali della Magna Grecia sembrerebbe attingere il suo fare artistico, un epico raccontare che porta in rilievo tesori dormienti nei fondali del mithos. Dall’immaginazione sua, fantasia personale dell’artista eppure archetipica, affiorano, uno per volta, arcani segni in narrazioni iconografiche: puntualizzazioni meticolose di un poema incantevole, perché di incanto si tratta e l’incanto si osserva nelle distese mistiche di geroglifici emergenti dall’inconscio collettivo. Nelle geografie ritmiche di ricami pregiati, nelle cartografie ordinate di simulacri ritrovati in “altri luoghi”, forse lontani, forse troppo vicini a se stessi per poterli vedere: utopie localizzate, spazi altri e segreti, perché magici, che si mostrano ironicamente, nella dialettica danzante di tesi e antitesi, di guerra e pace, di luce e giorno, di maschile e femminile, di gioco e morte. Le opere chimentiane si sfogliano a diverse distanze perché ogni distanza apre un velo e ogni velo mostra i pigmenti infinitesimali delle epidermidi di tempera, Museo dei Brettii e degli Enotri, Cosenza

Arte&Vita

auspicio che quanto mai in un periodo L’ storico così drammatico l’arte possa giocare un ruolo positivo, di spinta verso il

futuro, nonché l’autentica convinzione che l’arte e la vita siano un’unica cosa, sono la ragion d’essere di “Arte = Vita: ovvero una vita vissuta ad arte”, rassegna a cura di Dores Sacquegna, organizzata nell’ambito di Art in Progress, festival cosentino, alla sua seconda edizione. Per gli spazi del Museo dei Brettii e degli Enotri, Sacquegna traccia un percorso, tra opere storiche e lavori di giovani e meritevoli artisti (alcuni molto noti), volto all’interdisciplinarietà e, al contempo, dotato di una caratterizzazione identitaria ben precisa. Si inizia con gli anni Sessanta di “Paradise Now” del Living Theatre, che opera una rivoluzione in campo teatrale, cercando non di fingere la vita, ma di «esserla, di viverla davvero», provando ad opporsi al Sistema pacificamente. Proprio l’ideale politico - e spirituale - del cambiamento è alla base del “Nuovo Paradiso”. Ci spostiamo verso gli anni Settanta con Vito Acconci e Ugo Nespolo. Acconci usa il corpo quale luogo d’elezione per i pro-

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delle acriliche iridescenze follicolari, dei mimetismi di ectopie giocose e fantasiosi microcosmi somatici. Se da lontano si evincono le gesta di guerrieri impegnati in ludici combattimenti e memorie belliche, a due centimetri si scoprono filigrane cerebrali che compongono paesi e disegnano labirintiche strade sulle quali camminare con gli occhi per poter sentire meglio la consistenza delle superfici giustapposte. Sono arazzi biografici di arabeschi criptici, cifre in gravitazione che sembrano segnare i calcoli di una fantasia architettonica; sono tappeti di geometrici paesaggi che s’accendono dell’azzurro della serendipity, del giallo della confusione, del bianco dell’infanzia, del rosso del fuoco eracliteo. I lavori degli anni 80 rivelano un approccio ancora sperimentale, l’atteggiamento libero di espressioni segniche che si raccolgono in scampoli di squame e lanugini dorate per raffigurare ambiguità animali di uno zodiaco interiore: morbide linee collidono con spigolosi tratti che nelle intersecazioni poetiche del sogno formano esseri alati o formazioni nuvolari antropomorfe. L’uccello filosofia si affaccia in molteplici variazioni mimetiche di strutturate progressioni rappresentative; con mistiche movenze multietniche del “senzatempo” osserva simboli culturali dell’umano esser-ci immerso nei

tessuti illusionistici di colore che riportano alle ingenue composizioni di Adolf Wölfli e ai disordini composti di Alberto Savinio. Con la prima opera dei 90 entra in gioco una chiara tensione al futuro, al moderno che contempla l’antico e alla volontà di compiere armonie tra gli opposti, convivenze tra rivali e sintesi di alfa e omega affidate alla memoria, al gioco, al travestimento. All’arte. Sono palpabili le simbologie culturali (una mezza mela assume i connotati biologici de L’origine du monde di Courbet) come gli indizi significanti che rimandano ai poemi epici rivisitati in chiave post-moderna con una metrica assolutamente personale ma allo stesso tempo universale e primitiva che ricerca e cerca di rappresentare l’arché senza troppa serietà. I titoli sono parte integrante della pittura, estensioni semiotiche delle immagini che rivelano la passione dell’artista per un linguaggio teosofico che si eleva in movimenti gnostici tra misticismo e scienza (un televisore e un pesce del paleozoico coesistono sulla medesima scena). L’arte di Chimenti è una scienza che ha per oggetto luoghi favolistici simili alle utopie ubicate di Foucault, spazi assolutamente altri come l’oceano che i bambini trovano nel letto dei genitori, luoghi di una realtà favolistica. Maria Francesca D’Amante

Pino Chimenti, Il mio Orfeo è la tua guerra,1997. Tempera e acrilico su tavola, 70 x 100 cm.

pri interventi artistici, corpo su cui agire attraverso “compiti” ed “esercizi” (tasks, secondo la definizione di Hal Foster) basati sulla ripetizione di azioni inutili e talvolta dolorose, che testano la resistenza dell’artista e creano un legame - reazioni di disagio ed imbarazzo - con il pubblico. Nespolo racconta l’arte e gli artisti attraverso una serie di lungometraggi, mostrando quel connubio indissolubile con la vita, che si rivela nei momenti quotidiani, come la rasatura della barba che precede il momento della creazione - o dell’esistenza autonoma - della palla di cartapesta di Michelangelo Pistoletto (in “Buongiorno, Michelangelo”). Arte e ironia si ritrovano nel cinema di Giovanni Albanese, come nel recente “Senza arte, né parte” (2011), ed una suggestiva bellezza alchemica è complice delle sue istallazioni di fuoco, in cui l’artista recupera l’oggetto - di scarto, logorato dal tempo -, riattualizzandolo. La “problematica dell’oggetto” diventa elemento fondante nella ricerca di Maria Luisa Imperiali, i cui lavori si relazionano dialetticamente allo spazio, facendosi corpo. Pongono davanti ad una scelta politica i lavori di Xiao Lu e, in modo totalmente differente, quelli di Matteo Basilè. L’artista cinese lotta a favore dell’emancipazione femminile, chiedendo il sovvertimento del-

lo status quo del proprio Paese d’origine, lottando contro pregiudizi e tabù, da cui l’odierna società non si è ancora affrancata. Il giovane Basilè rivoluziona il tema del ritratto, accentuando il tormento e il degrado di alcuni volti, o reinterpretando l’iconografia classica alla luce dei compromessi e delle ipocrisie. Alterità e diversità sono spesso i soggetti improbabili dei suoi drammatici, ma altamente lirici e rigorosi scenari. Contestazione ed impegno sociale si spingono sino all’osceno e al grottesco nei lavori di Astolfo Funes, sensibile al punto di vista dello spettatore, vero soggetto della sua ricerca; pubblico che diventa parte integrante del fare negli interventi performativi di Massimiliano Manieri, il cui corpo si fa filtro di scambio delle emozione, dall’artista al fruitore e ritorno. Simona Caramia

Giovanni Albanese


attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE Fondazione Beyeler, Basilea

Maurizio Cattelan Kaputt Massimiliano Gioni e Francesco Bonami in conversazione

a Fondazione Beyeler, diretta da L Samuel Keller, in concomitanza con Art Basel organizza esposizioni piuttosto

esaustive mettendo a confronto due importanti artisti, uno storico e l’altro contemporaneo. Quest’anno ha riunito una quantità di opere tra le più interessanti di Max Ernst; Maurizio Cattelan, invece, ha presentato solo Kaputt: cinque cavalli imbalsamati con la testa ‘conficcata’ in un’ampia parete bianca. L’opera, ispirata all’omonimo romanzo di Curzio Malaparte in cui vengono descritti in maniera immaginifica questi animali, non era totalmente nuova. Un unico esemplare figurava Untitled già nel 2007 al MMK di Francoforte e in seguito in altri luoghi. Ma Cattelan ha colpito ancora per l’imponenza dell’installazione, anche se meno trasgressiva di quella con i 12 cavalli vivi di Jannis Kounellis del 1969 alla Galleria l’Attico (ex garage) di Roma, riproposta alla Biennale di Venezia e altrove. La riedizione di Cattelan, però, ha acquistato plusvalore percettivo per merito della lunga conversazione incentrata sull’artista, tenuta sotto gli stalloni da Massimiliano Gioni e Francesco Bonami il giorno dell’opening. Il principale protagonista della serata, che si definisce non-artista, era assente. Affacciatosi da uno dei due ingressi laterali, si è confuso tra gli spettatori che stavano irrompendo nella sala, inizialmente destinata a una ventina di privilegiati, per sparire come una meteora un attimo dopo. Tutto sommato neppure questa volta Cattelan ha deluso chi si aspettava sorprese, dal momento che nel corso del “ping-pong” i due critici hanno raccontato alcune sue azioni, sconosciute ai più, che ampliavano la conoscenza della sua idea di arte. ‘Comportamenti’, sempre decisamente comunicativi e scioccanti, che lo hanno reso famoso e costoso…, fino a promuoverlo artista italiano più celebre a livello internazionale, capace di contrastare l’egemonia artistica americana, grazie anche al superamento di schemi linguistici e modalità in uso, all’effetto dirompente dell’oggetto estetico, unito all’irriverenza. Né va trascurato il loro aspetto burlesco che, oltre a catturare l’attenzione, ha la funzione di demitizzare il concetto storico di opera d’arte, austera e aristocratica, propria dei musei conservativi. Specialmente Gioni, che ha frequentato assiduamente Cattelan a New York tanto da divenirne l’alter ego, nel citare le sue ‘trovate’ in fondo ha contribuito a mettere in luce l’originalità dell’opera che si identifica con l’esistenza dell’autore. Per la semplicità dell’operazione egli ha giudicato tra le più rappresentative la mostra del 1989 alla Galleria Neon di Bologna, in cui l’artista chiudeva la porta d’ingresso e vi appendeva il cartello “Torno subito”. Nel 1998 a Milano Gioni gli diede appuntamento per un’intervista e Cattelan si presentò con un computer per cercare in internet le risposte di altri artisti che potevano essere da lui condivise. Il giorno dopo, per un’altra conversazione alla radio, si fece sostituire da Gioni stesso e così avvenne in altre occasioni nei sei anni successivi. Al contrario…, nell’estate del 1997, durante l’inaugurazione di Fuori uso a Pescara, Maurizio accettò di farsi intervistare da me, ma alla fine mi raccomandò di non pubblicare le dichiarazioni tra virgolette. Per rispettare alla

lettera la sua volontà, solo 12 anni dopo inserii nel mio sito web il testo “svirgolettato”... Per soddisfare la curiosità, Bonami ha ricordato che nel 1993, quando invitò Cattelan alla sezione Aperto della Biennale di Venezia (era la prima volta che vi partecipava), l’artista vendette il suo spazio a un’agenzia pubblicitaria e intitolò il gesto “Lavorare è un brutto mestiere”. Con il ricavato volò a New York dove più tardi si stabilì. Riprendendo la parola, Gioni precisava che il suo rapporto di curatore con lui non è stato di tipo convenzionale, ma tale da dare vita a una terza mente. E ha portato un esempio emblematico. Alla VI Biennale dei Carabi, tenuta nell’Isola di St. Kitts (sesta, anche se non c’erano state edizioni precedenti e non ne seguirono altre), di cui egli era capo ufficio stampa e Cattelan organizzatore con Jens Hoffmann, crearono il mito di un evento che non sarebbe mai avvenuto, perché senza opere esposte, con l’obiettivo di violare l’ansia della produzione artistica e di esaltare il processo, più che l’arte e l’autore, “per attivare lo spazio e il tempo a dimostrazione che in ogni angolo del pianeta si nascondono universi complessi e vitali”. In pratica venne elaborata una struttura espositiva istituzionale con pubblicità, sponsor e comunicati agli organi di informazione; poi gli invitati (Eliasson, Gordon, Mori, Ofili, Orozco, Peyton, Rehberger, Rist, Tillmans, Tiravanija) godettero di due settimane di vacanza… Nel singolare curriculum di Cattelan vi è anche la gestione a Chelsea - con il solito Gioni e Ali Subotnik - della Wrong Gallery, la più piccola del mondo (un metro quadrato), in cui dal 2002 al 2005 furono attuate una trentina di mostre di maestri che attirarono non soltanto i collezionisti newyorchesi. A un certo punto il dialogo è approdato all’interpretazione critica dell’opera esposta alla “Beyeler” e di altre ormai negli annali degli ultimi decenni, delineando al meglio il lavoro dell’artista, caratterizzato da immediatezza visiva e ambiguità, in rapporto ai contenuti delle diversificate realizzazioni e al vissuto. In realtà Cattelan riesce a trarre energie dalle contraddizioni le quali, a loro volta,

generano i cambiamenti di scena che alimentano la sua leggenda. Infatti, tutti gli interventi artistici, studiati o spontanei, risultano di sicuro impatto sull’immaginario collettivo e suscitano discussioni anche al di là dell’ambito artistico. Questo, ovviamente, accresce la sua popolarità. Bonami, a commento di Kaputt, ha detto che i cavalli “non cercano la libertà, ma la sopravvivenza” e ha fatto notare che la mostra alla Fondazione si è inaugurata dopo che Cattelan ha annunciato il suo ritiro dal mondo dell’arte. Secondo lui, per valutare il proposito, va considerato che ogni volta ci si aspetta dai suoi artefatti qualcosa di “più eroico” e che la sua attività artistica è anche “emancipazione dalla condizione operaia, per cui l’annuncio fa pensare a una variante di percorso. Ciò crea il paradosso di dover continuare a impegnarsi e, nello stesso tempo, di tenersi fuori da tutto, fuggire dalla dura manodopera, da una sorta di condanna…”. A mio parere l’intenzione, pur se intimamente sentita, in certa misura rientra nelle sue ‘stravaganze’ artistiche che nascono da motivazioni ben diverse da quelle di Duchamp, il quale a 33 anni smise veramente di operare per dedicarsi all’ “arte di respirare”. Nella citata mia intervista Cattelan rispose con fermezza che non tendeva a ‘provocare’, anzi, si rimproverava di essere un conservatore. Riteneva che i suoi lavori fossero visti e rivisti, tanto che si proponeva di cambiare mestiere, di andare in fabbrica. Al termine Bonami e Gioni si sono soffermati su come N.Y. abbia influenzato Cattelan: “forse è divenuto più pop, ma è rimasto una persona semplice”. Non a caso nella Big Apple è apprezzato da molti perché outsider, uno che nonostante la notorietà raggiunta, non si è completamente allineato al sistema. Ad incontro pubblico concluso l’artista è ricomparso dove era in visione la sua insolita rivista Toilet Paper (fondata nel 2010 con il fotografo Pierpaolo Ferrari) e i più pronti hanno potuto rubare qualche scatto fotografico mentre era a fianco di Keller, Gioni e Bonami: momento anch’esso inatteso…, posa-ricordo da collezionare. Luciano Marucci

Massimiliano Gioni e Francesco Bonami in conversazione alla Fondazione Beyeler (ph L. Marucci)

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MACT/CACT, Bellinzona

Il corpo solitario L’autoritratto nella fotografia contemporanea

on questa mostra il MACT/CACT di Bellinzona ha ripreso, dopo anni di C quasi assoluta secessione dalla fotografia,

una mostra proprio sulla fotografia, di cui “il corpo solitario” potrebbe costituire l’inizio di un ciclo tematico. Lo afferma in presentazione, il direttore Mario Casanova, il cui approccio curatoriale della mostra è stato ispirato ad una recente pubblicazione antologica sul tema di Giorgio Bonomi. Se da un lato il secondo Novecento - scrive Casanova - ha tentato in tutti i modi di frammentare l’uomo e le sue forme mentali, portando a paradossali forme d’arte e non già a un’estetica dell’arte (tranne forse l’espressione di una qualsivoglia militanza), la società civile abbandonata da quella istituzionale crea – anche in ambito artistico – una nuova estetica della fotografia, maggiormente legata a forme figurative e facilmente ricollegabili alla storia della pittura. L’intermediazione di configurazioni telematiche socialmente condivise quali Facebook, Twitter, Flickr, Instagram (soprattutto Facebook) hanno inevitabilmente dato origine non già a nuove, ma a rinnovate concezioni dell’immagine, puntualizzando pure che – in tale stato di nemesi storica – l’arte ancora attinge all’intelligenza del passato, anziché fungere, come lo fu per lunghi periodi, da modello e ispirazione per le arti applicate e altre forme di creatività parallela. Il fenomeno, tuttavia, è da studiare e sicuramente la fotografia di moda, così come molti spot pubblicitari, è altresì – se non di più – ‘bella’ dell’arte cosiddetta pura. Nello specifico di questa esposizione, si constata viepiù la presenza di nuovi autori, che arrivano,

Galleria Cart, Monza

Dacia Manto Luciferase

“L

uciferase” è un enzima, una sostanza chimica presente naturalmente in alcuni organismi viventi, capace di trasformare l’energia in luce. Insetti come le lucciole lo producono con sottili variazioni da individuo a individuo, sotto forma di impulsi luminosi e ritmici. Anche altri organismi, come una specie particolare di funghi ed alcuni esseri marini, presentano una particolare capacità di produrre luce fluorescente. Gran parte del lavoro di Dacia Manto fonda il proprio percorso attraverso le diverse modalità di percepire la luce, che si manifestano di volta in volta attraverso istallazioni luminose, video e disegni. Nell’opera Macondo (Nebulosa II), una grande istallazione luminosa, una mappa geografica vista dall’aereo si trasforma in un disegno a terra: ma l’apparenza di

Dacia Manto, Wood Seer, 2011 Pastelli e grafite su carta. Galleria Cart Monza

64 - segno 246 | OTT/DIC 2013

Fabrizio Sacchetti, Il corpo solitario

appunto, dalla fotografia commerciale; in particolare dall’ambito della moda, dove l’esecuzione è pregna di virtuosismo tecnico e di totale compiacimento. Tuttavia, anche questo ambito tenta di lambire l’arte pura e l’arroganza del mezzo: una nuova tendenza che influenza gli ultimi artisti a ritrovare un segnale artistico, pur attraversando l’estetica dettata dalla macchina e dall’apparato commerciale. Genere, identità, travestitismo e (s)mascheramento sono i temi fondamentali di questa mostra, che punta al corpo svelato nei suoi molteplici significati. Gli artisti in mostra: Mirko Aretini, Juha Arvid Helminen, Fiorenza Bassetti, Hicham Benohoud, Stefania Beretta, Edo Bertoglio, David Colin Onze, John Coplans, Pier Giorgio De Pinto, Daniele De Vitis, Uri Gershuni, Aneta Grzeszykowska &

Jan Smaga, Elke Krystufek, Jon Jacobsen, Andrea La Rocca, Urs Luthi, Bjørn Melhus, Bruce Nauman, Paolo Ravalico Scerri, Dorothee von Rechenberg, Silvano Repetto, Mustafa Sabbagh, Fabrizio Sacchetti, Richard Sawdon Smith, Chiara Scarfò, Valter Luca Signorile, Alessandra Spranzi, Annelies Štrba, Eduardo Tachado, David Trullo, Marco Villani, Natale Zoppis.

Fabrizio Sacchetti, Il corpo solitario

Fabrizio Sacchetti, Il corpo solitario

una città viva e illuminata si rivela essere un territorio fantasma, un luogo inesistente nei classici atlanti. È “solo” una visione notturna delle 54.000 piattaforme petrolifere istallate nel Golfo del Messico: altro che mera parvenza! Una città galleggiante che sfrutta il sottosuolo e le sue risorse naturali impoverendo e danneggiando il territorio sottomarino e le coste, concorrendo al pericolo della subsidenza geologica e in grado di provocare sismi e maremoti. Macondo, può sembrare ironico, era anche il nome del pozzo esplorativo esploso nell’aprile del 2010 e che per mesi ha riversato milioni di litri di petrolio nel Golfo, devastando le coste statunitensi. Accompagnano questa grande istallazione alcune piccole sculture, realizzate utilizzando materiali sedimentari e residui derivati dall’estrazione del greggio e una mappa alla parete. Nell’altra sala sono esposti una serie di disegni, anche di grandi dimensioni, spesso a grafite su carta da lucido, che raccontano l’approccio dell’artista al mondo naturale: una descrizione di territori ai margini, spesso abbandonati o lasciati liberi dall’uomo, fragili ecosistemi, in costante pericolo. In questi lavori il colore gioca un ruolo prevalente: le diverse tonalità, soprattutto del verde, richiamano un mondo incontaminato, la natura delle zone umide e selvagge, ove non è contemplata la presenza, spesso devastante, dell’essere umano; così anche nel video ”Planiziaria”, girato nel delta del Po, è indagata e descritta una natura spesso costituita da bagliori e riflessi, ove è significativa l’immersione sensoriale in un paesaggio quasi immoto . Lucia Nica

Loggia dannunziana, San Vito Chietino

10 artisti per D’Annunzio

Per i 150 anni dalla nascita Estate sanvitese rappresenta, da alcuni anni, un’occasione culturale per L’ l’organizzazione di mostre, performances

teatrali e musicali, promossa da un “sindaco illuminato”, Rocco Catenaro, che vuole dare un volto nuovo alla sua città. In occasione dei 150 anni della nascita di Gabriele D’Annunzio, che, durante la sua vita, trascorse lunghi periodi a San Vito Chetino, il Comune ha organizzato una serie di rassegne ed eventi per tenere viva la memoria del Vate. Sulla Loggia del Comune che affaccia sull’incantevole costa dei “Trabocchi” (che d’Annunzio definì “la mia Mecca” e dove creò opere come “Il trionfo della morte”), dieci artisti sono stati invitati, dal 14 luglio a metà settembre, ad esporre delle opere concepite per l’occasione. Franco Marrocco, per esempio, ha proposto tre lavori dal rosso dominante che costituiscono una sorta di sottolineatura dove il colore acquisisce anche un valore simbolico proprio come corpo-carne che vive e si nutre di energiaspazio, mentre la grande tela “TraiettorieEspanso” sottolinea lo stretto rapporto tra desiderio e corpo, filo conduttore dell’opera di d’Annunzio. S’intitola Il Volo la mostra condivisa di Tiziana Tacconi e Vito Bucciarelli e qui il riferimento al mitico Volo del Vate è chiaramente voluto e riferito ad un’esperienza che ha arricchito di sensazioni nuove e visioni straordinarie dell’aria, dell’acqua, dei laghi, dei paesaggi. Le opere esposte s’ispirano allo stacco dalla terra, all’ebbrezza del volo, alle visioni po-


attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE Il ritrovo di Rob Shazar, San’Agata dei Goti (BN)

Gigi Cifali on il ciclo fotoC grafico di cui si compone la mostra

Vito Bucciarelli, Tiziana Tacconi, Il Volo, 2013

etiche e ad una nuova postazione spaziale, stazione orbitale, ormai dimora stabile del terrestre, dalla quale, fornito di strumenti altamente sofisticati si osserva. Fernando De Filippi ha proposto “L’epifania del fuoco”, 10 opere che si ispirano all’immagine del fuoco come desiderio intenso che libera le energie latenti e permette il raggiungimento dei propri sogni, il desiderio intenso e la gioia proiettarsi verso nuove esperienze per superare i propri limiti. Nelle pagine dell’”Epifania del fuoco” infatti d’Annunzio rappresenta simbolicamente i poli, fuoco e acqua, luce e ombra, pieni e vuoti, come alternative metafore di vita e morte. Gli altri artisti partecipanti a questa “impresa”: Alessandro Jasci, Domenico David, Marco Pellizzola, Antonio Patrino, Claudio Di Bene, Francesco Correggia. Lucia Spadano

Fernando De Filippi, Epifania del Fuoco, 2012 Tecnica mista su carta - cm.100x70

Parco dei Priori, Fossacesia (Ch)

Dannunziana

ra le numerose proposte culturali organizzate nella Regione Abruzzo per T i 150 anni dalla nascita di Gabriele d’An-

nunzio, merita una segnalazione la manifestazione Dannunziana, nata da un progetto di Lino Alviani e Loredana Iannucci, che si dispiega in una mostra, in concerti e performances. Alla rassegna, curata da Leonardo Santoli ed allestita nello straordinario complesso del Parco dei Priori (di recente restaurato), situato di fronte all’Abbazia di San Giovanni in Venere, sono stati invitati gli artisti: Lino Alviani, Salvatore Anelli, Paola Babini, Mauro Bendandi, Maria Luisa Borra, Carmine Calvanese, Gianni Celano

personale New Vesuvian Landscapes, già presentata in anteprima alla MIA Fair di Milano e prossimamente visitabile a Fever Bruxelles, Gigi Cifali – nato a Torre del Greco nel 1975, ma da tempo residente a Londra – conduce un’operazione in cui reminiscenze della produzione visiva e materiale di secoli addietro ed istanze di denuncia sia pure mai gridata, anzi articolata con un sottile, appena percettibile piglio ironico - non solo non confliggono, ma appaiono radicalmente compenetrate, costituendo le prime l’alimento della seconda. Gli strumenti non sono in realtà troppo dissimili da un precedente ciclo come Absence of Water (2008), ove l’ampia visione delle preziose ma ormai dismesse piscine di età vittoriana, con tanto di analogia – o apparente tale – con la scuola becheriana di Düsseldorf – in particolare penso a Candida Höfer -, diviene immagine delle politiche antisociali inaugurate a suo tempo da Margaret Thatcher. In New Vesuvian Landscapes vi è infatti il chiaro aggancio alla pittura di paesaggio tra Seicento ed Ottocento - cui la scelta di cornici a foglia d’oro e la stessa qualità della stampa, particolarmente adatta a produrre effetti che si avvicinano a superfici dipinte, conferisce ulteriore prossimità -, ma anche ai servizi di piatti reali decorati con paesaggi, dai quali – tra l’altro - potrebbe derivare Giannici, Gianni Cella, Giorgio T. Costantino, Giancarlo Costanzo, Giuliano Cotellessa, Domenico Difilippo, Paolo D’Orazio, Davide Ferro, Franco Flaccavento, Raimondo Galeano, Cristina Gardumi, Gabriele Lamberti, Ettore Le Donne, Luigi Leonidi, Fabrizio Mariani, Paola Martelli, Luigi Mastrangelo, Nanni Menetti, Olinsky (Paolo Sandano), Gianni Pedullà, Francesco Petrosillo, Tarcisio Pingitore, Loredana Raciti, Leonardo Santoli, Gianfranco Sergio, Mario Serra, Gabriele Talarico, Luisa Valentini. Nella giornata inaugurale si è svolta una performance condivisa tra Raimondo Galeano, Cristina Gardumi, Leonardo Santoli, ove la magia della luce di Galeano ha giocato straordinarie suggestioni. Durante tutta la durata della mostra si sono svolti i concerti di Rossella Arrizza, Alessandro Trapasso, Manuela Formichella e Marco Ciccone. La presentazione del libro di Massimo Santili, “Pensieri, parole e omissioni in terra dannunziana”. “Silent Family”, performance di Mandra Cerrone. Lucia Spadano

la scelta del formato tondo, benché non paia improprio pensare anche ad una certa eco – cosciente o meno – delle lunette Aldobrandini di Annibale Carracci, ove peraltro il paesaggio assurge per la prima volta a reale protagonista nella storia della pittura moderna. Tutto questo immaginario appare però evocato onde essere dialetticamente contraddetto da meno nobili ed attraenti incongruità: quelle costruzioni ora incompiute come scheletri, ora anche perfettamente funzionanti e persino talvolta dotate di un certo sfavillio, ma non di meno attestati di una situazione «in cui», come scrive Anna Bianchi in catalogo, «viene a mancare sia il dialogo con la natura, sia quello con la storia». È quanto avviene alle pendici del Vesuvio, ove l’attività edilizia appare doppiamente criminale, tanto nel suo deturpare, sul piano sociale ed estetico, una riserva naturale di straordinaria bellezza e ricchezza - che peraltro dal 1995 è parco nazionale! -, quanto nel suo ignorare l’assoluta precarietà – e pericolosità! – dell’insediarsi in quei luoghi, dato che tutti sanno che prima o poi il vulcano tornerà ad eruttare ed i suoi effetti saranno disastrosi. Così la natura si vendicherà un giorno della violenza inflittale dal suo figlio meno grato, ma nel frattempo la preoccupazione più immediata dei cementificatori è il condono. Stefano Taccone Gigi Cifali, New Vesuvian Landscapes Untitled 01, 2013 Fuji matte C-type 60 cm diameter in edition of 6; New Vesuvian Landscapes Untitled 02, 2013 Fuji matte C-type 100 cm diameter in edition of 6; New Vesuvian Landscapes Untitled 03, 2013 Fuji matte C-type 100 cm diameter in edition of 6. Courtesy Il ritrovo di Rob Shazar Un frame della performance di Raimondo Galeano, Cristina Gardumi e Leonardo Santoli.

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Asian Society, Hong Kong

Marco Scotini

L’Estetico e il Politico Intervista a cura di Luciano Marucci

Se non sbaglio, la tua azione culturale rientra in una forma di attivismo sociale. Puoi chiarire le tue intenzioni? Credo non ci possa essere cultura (affermativa, di ricerca, sperimentale) senza un’attivazione in ambito sociale. Senza, cioè, che questa cultura sia anche una proposta di emancipazione sociale e dunque una forma di contestazione dei codici comuni esistenti. Per anni ho subìto il fascino della figura dell’‘intellettuale’ di matrice borghese che aveva come obiettivo quello dell’impegno. Ma poi questa figura è scomparsa per ovvie ragioni e parlare d’impegno oggi fa un po’ ridere perché significa riaffermare una divisione tra teoria e pratica (tra lavoro manuale e lavoro intellettuale) che non ha più alcun senso. Che significato può avere infatti, in tempi di produzione immateriale o di capitalismo cognitivo, mantenere separati i terreni della riflessione e quelli della produzione? Tirarsi fuori, dichiararsi neutrali o affermarsi in un limbo scientifico, è possibile solo a patto di creare un artificio ideologico. Altro che collocazione naturale! Che senso ha la produzione di segni e linguaggi senza una conseguente rivendicazione dell’azione? Come si chiedeva già Benjamin, qual è la libertà se uno ha il consenso di esprimersi ma senza veder riconosciuti i propri diritti, senza che ciò possa intaccare i rapporti di proprietà, i rapporti di potere, le gerarchie tra le cose? In questo senso penso di collocarmi all’interno di un’accezione ampia di arte contemporanea: dalla curatela alla formazione, dall’intervento urbano collettivo alle pratiche di autorganizzazione. Quale formazione promuovi come direttore del dipartimento di arti visive alla Nuova Accademia di Belle Arti (NABA) di Milano? Proprio per quanto ho detto prima, fin da subito ho pensato al Dipartimento di Arti Visive NABA non come ad un luogo di formazione classico e, cioè, propedeutico al mondo del lavoro. Ho progettato piuttosto la scuola di Arti Visive come un luogo di produzione, in cui i cosiddetti studenti partecipano in scala reale e in senso orizzontale alla realizzazione di segni ed eventi: da una mostra ad un catalogo, da un video screening ad un intervento di public art, con i maggiori professionisti del settore. Se c’è formazione, questa è possibile solo attraverso l’esperienza diretta sul campo in modo tale da poter far sviluppare tanto attitudini affermative quanto anticorpi critici. Come potrei, proprio io, coltivare l’obbedienza? Confesso che figure come Joseph Beuys (dall’Ac66 - segno 246 | OTT/DIC 2013

cademia di Düsseldorf fino alla Free International University) oppure Group Material (da “The People’s Choice” a “Democracy: Education”) sono stati referenti importanti e, non a caso, Tim Rollins e Doug Ashford sono ora regolari visiting professors a NABA. Se è vero che l’Accademia è stata storicamente il dispositivo privilegiato per ridurre l’arte ad un sapere disciplinare (distribuendo ruoli e condotte o assegnando spazi e pubblici), oggi al contrario è vero che non si tratta più di educare all’arte ma di concepire l’arte come il centro nevralgico dei processi di formazione in generale. Sono stati soprattutto Foucault e Deleuze a ricordarcelo. Entrambi si richiamano al “processo di soggettivazione” che trova nel modello estetico la propria procedura di realizzazione. La soggettivazione è un’operazione artistica che si distingue dal sapere e dal potere, senza trovare una collocazione al loro interno. Nel modello estetico non abbiamo a che fare con le regole codificate del sapere, né con quelle imperative del potere. Si tratta di regole che potremmo definire facoltative e che riguardano il rapporto con il sé. Le conversazioni su “Centri e Periferie”, che hai curato all’ultima ArteFiera di Bologna, sorprendevano per la tua competenza specifica delle problematiche dei Paesi in via di sviluppo. Cosa ti ha spinto ad occuparti così intensamente di questa parte di mondo? La piena consapevolezza che non puoi stare in un luogo circoscritto, separato da tutto il resto. Un luogo, cioè, che assumiamo come delimitato, privilegiato e radicato, da cui osservare il resto del mondo. Ormai centri e periferie sono davvero intrecciati, interdipendenti. I loro rapporti mobili, non statici: quali sono i nostri strumenti per analizzarli? Quando parliamo di globalizzazione non siamo di fronte ad un diagramma astratto o ad uno schermo televisivo. Siamo dentro una realtà concreta, fatta di flussi economici, semiotici, umani: appunto vettori di movimento e in movimento, per cui non possiamo più usare vecchie categorie precodificate che appartenevano ancora ai confini degli stati nazionali. Come posso avere un punto di vista critico su questa realtà quando non la conosco direttamente, quando non ne faccio esperienza? Le pratiche artistiche recenti (soprattutto quelle emerse dalle ex-colonie) ci hanno insegnato davvero molto: non solo un nuovo rapporto con il mondo ma anche con la produzione delle soggettività contemporanee.

Suppongo che, oltre all’indagine artistica, piuttosto diretta, tu abbia interesse a ridurre certe distanze in favore di processi relazionali e di democratizzazione. Certo non mi interessa solo quale concezione dell’arte sia ancora possibile trovarci, come in una sorta di Eldorado. Anzi la realtà migratoria è il dato più vistoso del processo di globalizzazione e può definire un nuovo spazio aperto di politicizzazione. In generale, nei vari luoghi da te frequentati le ricerche artistiche più impegnate fanno da battistrada a quanti rivendicano i diritti civili? Per anni mi sono occupato dell’America Latina, dell’eredità del ex blocco sovietico, del Nord Africa e del Medio Oriente. Ora sto lavorando anche su quel mondo nomade per statuto e straordinario che è il Centro Asia. Il fatto che dalla lista siano assenti realtà come la Cina è già una risposta alla tua domanda. Non mi interessava seguire in questi paesi quanto avessero assimilato del modello economico e sociale occidentale ma, piuttosto, l’opposto. Cioè, le forze di resistenza contro il neoliberismo, le proposte di forme sociali alternative, le loro rivendicazioni autonomiste. Molto spesso ho avuto l’impressione che in queste realtà l’arte e la cultura hanno ancora un valore d’uso, che noi abbiamo totalmente perso in favore di regimi che non esiterei a definire “decorativi”. Il fenomeno della globalizzazione e internet possono portare all’omologazione dei linguaggi e alla perdita delle identità territoriali? Il fenomeno della mediatizzazione è oggi cruciale e ha una doppia natura. L’omologazione è uno dei suoi effetti possibili e visibili ma nel momento in cui le reti digitali e le tecnologie dell’informazione vengono ricondotte alle vecchie funzioni e a forme di ricezione unilaterali. Altrimenti i nuovi dispositivi dovrebbero portare, di per sé, a nuovi modi d’eversione e a processi collettivi di produzione. Passiamo alla tua attività curatoriale. Con la mostra itinerante “Disobedience Archive”, approdata anche al Castello di Rivoli, cosa hai voluto focalizzare principalmente? Fare una sintesi di “Disobedience Archive” non è facile. Due parole non bastano per una mostra che è cresciuta lungo l’arco di dieci anni ed ha attraversato molti paesi del mondo e molte istituzioni importanti: dal Van Abbemuseum

Disobedience Archive (The Republic), 2013, veduta di una sala dell’esposizione (Courtesy Museo d’Arte Contemporanea Castello di Rivoli, Torino; ph Andrea Guermani).


attività espositive INTERVISTE

di Eindhoven al Bildmuseet di Umea, dalla SAPS di Città del Messico al MIT di Boston. Si dice che questo archivio di immagini video, eterogeneo e in evoluzione, vuole essere una user’s guide attraverso le storie e geografie della disobbedienza: dalle lotte sociali italiane del ’77 alle proteste globali, fino ad arrivare alle insurrezioni in corso nel Medio Oriente e nel mondo arabo. Ma dietro la fortuna di “Disobedience” non c’è solo la grande attualità del suo progetto che si focalizza sul connubio tra pratiche artistiche e attivismo sociale, come ultimo approdo della ricerca estetica e dei suoi nuovi modi di essere, di dire e di fare. Dietro “Disobedience” c’è anche un vero e proprio modello di ricerca in campo artistico. Mi viene in mente Benjamin e un passaggio chiave del suo testo straordinario sull’opera d’arte e la riproducibilità tecnica. Si tratta di un saggio che tutti citano ma che nessuno ha letto: altrimenti le cose non andrebbero più come vanno. Che cosa intende Benjamin quando vede il limite di ricerche, seppur avanzatissime, come quelle di Riegl e Wickhoff? Si concentra sulla necessità imprescindibile di associare i processi trasformativi dei modi di percezione e quelli dei modi di esistenza delle collettività umane. Non possiamo limitarci al “contrassegno formale” della trasformazione percettiva ma bisogna mostrare i rivolgimenti sociali che (in questo cambiamento di percezione) vi hanno trovato espressione. Ecco che “Disobedience”, dopo tanti anni dalla sua concezione, mi sembra proprio mostrare al meglio questo nesso benjaminiano. Mi pare che fino ad ora l’esposizione abbia avuto più risconti critici all’estero che da noi… Il problema non è mio o di “Disobedience Archive” ma dell’Italia, della cultura ufficiale italiana. C’è qualcuno che può asserire il contrario? Dove sono gli artisti italiani all’estero? E pensare che la mostra nasce da un background tutto italiano, naturalmente non ortodosso… …Eppure le motivazioni di quell’evento in progress, supportato dalla scelta di artisti tra i più rappresentativi di certe tendenze sono di grande attualità. Lo stesso format dell’archivio trova oggi una grande attualità nelle mostre d’arte e nasce all’interno di “Disobedience” in tempi non sospetti. Oggi fa addirittura tendenza e lo ritrovi sotto vari nomi: dall’atlante al carattere enciclopedico. Ma le differenze sono molte e questi termini non sono sinonimi. Anzi forse sarà bene cominciare a temerli: quale ordinamento vogliamo ancora istituire? All’opposto dietro l’archivio della disobbedienza (o disobbediente) c’è il riconoscimento di una precarietà strutturale che lo riporta ad un piano d’immanenza in cui, ad ogni nuovo passaggio, si possono creare nuovi concatenamenti, arricchire o contestare quelli già esistenti. L’esercizio continuo di de-archiviare e re-archiviare è proprio di chi, come me e tutti gli artisti in “Disobedience”, si sono sbarazzati di un fondamento unico e disciplinare ed è alla ricerca di un assetto mai definitivo. Per concludere, qual è il progetto più ambizioso che vorresti realizzare? Se è vero che nessun progetto lo puoi fare da solo, tanto meno quello che ho in mente. Ha bisogno di collettività e di molte forze attive. Una rivolta dei pubblici: perché no? n

Palazzo Ducale, Genova

Nanni Balestrini Tristanoil

n arte non è certo una novità che un Iambiente elemento possa essere rimosso dal suo originario e ricollocato in un nuo-

vo contesto, annientando, quindi, ogni orizzonte d’attesa (poco chiaro). Si tratta di un fenomeno ricorrente nelle arti figurative di ogni tempo e che si riscontra, ad esempio, dal reimpiego dei marmi antichi, ai cammei montati sui monili rinascimentali, fino al ready-made nel Novecento. L’aspetto che ne deriva è la decontestualizzazione del soggetto e la reinvenzione del suo significato. Questo avviene anche nella comunicazione letteraria attraverso l’utilizzo sperimentale dei significanti, combinati al fine di aprire nuove possibilità espressive. Tristanoil di Nanni Balestrini, è un film generato attraverso un computer, che amalgama, in capitoli di dieci minuti ciascuno, oltre 150 videoclip in modo che ogni unità sia diversa dall’altra pur trattando il medesimo argomento: gli effetti distruttivi del petrolio sul pianeta. Attivando un processo contrario rispetto alla omologazione delle immagini proposte dai film o dai programmi delle televisioni commerciali, Balestrini combina gli effetti elettronici con diversi materiali video: grazie al programma ideato da Vittorio Pellegrineschi e all’elaborazione video di Giacomo Verde, l’artista utilizza la tecnica del cut-up (smontaggiomontaggio-rimontaggio) per creare una ricombinazione visiva di sequenze video. In Tristanoil una coltre di petrolio ricopre e amalgama le scene del video: dai documentari sulle catastrofi ambientali, ai brandelli della soap opera Dallas; il video riflette sulla disgregazione del mondo capitalistico e su quella del linguaggio. Come in una sorta di continuo ed altalenante riciclo di infiniti soggetti, si ripercorrono le cause che spingono ad una visione apocalittica della realtà contemporanea. Tristanoil è stato proposto a Genova, presso il Palazzo Ducale, in una esposizione curata da Caterina Gualco con alcuni still del film, insieme alle pubblicazioni di Balestrini in una ampia documentazione che sottolinea i rapporti dell’autore con la letteratura e il continuo intreccio tra arti visive e produzione letteraria, aspetto distintivo del Gruppo 63. Al fine di indagare il senso e gli intenti dell’esposizione genovese di Tristanoil abbiamo posto delle domande alla curatrice della mostra Caterina Gualco. - Curare una mostra di Nanni Balestrini non è certo un’operazione semplice, sia per il valore intellettuale, sia per la complessità del lessico stilistico dell’artista; com’è nata l’idea di presentare Tristanoil a Genova? - Dopo la presentazione di Tristanoil a Kassel (Documenta13) è stata prevista una sua circuitazione; difatti è stato presentato in diversi luoghi: a Roma presso il MACRO, allo Studio Morra di Napoli, alla Galleria Martano di Torino, da Frittelli a Firenze e da Michela Rizzo a Venezia, in collaborazione con lo Studio Fabio Mauri, presso i Magazzini del Sale. Il libro e il dvd di Tristanoil sono stati prodotti dalla casa editrice genovese Il Canneto, la quale ha promosso quest’esposizione a Genova, anche al fine di promuovere il libro. Nanni Balestrini, con il quale avevo già fatto una mostra nel 2010 (RIMBALZANOINFINITISPARPAGLIATI), mi ha chiesto di curare questa mostra ed io l’ho fatto con grande soddisfazione. - Quanto è importante la presenza di un corpus documentario all’interno di un percorso espositivo? La presenza di materiale documentario in

Nanni Balestrini, Still dal video Tristanoil, 2012

una mostra è assolutamente indispensabile, soprattutto quando si tratta di un artista che ha un curriculum denso e importante. Questo aspetto mi sembra naturale per come intendo io il lavoro di gallerista. In questo momento nella mia galleria, ad esempio, anche se non è la sede della mostra Tristanoil, sono esposte molte pubblicazioni di Balestrini. Ogni galleria, nel suo piccolo, dovrebbe presentare le mostre come nei musei. Se io organizzassi una mostra di Lucio Fontana, cercherei di presentare il massimo della documentazione su questo celebre artista, la stessa cosa farei per l’esposizione di un artista più giovane. È stato da parte mia un impegno assoluto far si che le persone non vengano nella mia galleria solo per vedere o comprare, ma per comprendere e godere al massimo delle opere. A me interessa essere una sorta di ponte di comunicazione tra colui che produce un’opera e colui che la vuole conoscere. Questo è un discorso che vale per l’arte di ogni periodo. Non mi piacciono le gallerie che non spiegano nulla delle opere esposte, questo atteggiamento lo trovo una forma di snobbismo squallido e inutile. - Oltre a rivestire il ruolo di curatrice lei è un’importante gallerista conosciuta, soprattutto, per i suoi rapporti con Fluxus; in che modo la curatela e l’attività di gallerista possono coniugarsi? Quanto è importante la conoscenza dei fenomeni artistici per i galleristi? - Mi occupo di Fluxus, ma non solo. Per esempio quest’anno stiamo cercando di realizzare una serie di manifestazioni per festeggiare i cinquant’anni del Gruppo 63. Una galleria per avere un senso dovrebbe dare, come dicevo prima, lo stesso servizio di un museo; io ho sempre cercato di farlo rivestendo, quindi, sia il ruolo di gallerista che quello di curatrice. Ho partecipato a molte mostre facendo parte del comitato scientifico, come in numerose mostre realizzate per il museo di arte contemporanea di Villa Croce a Genova, come quella di Claudio Costa o per i quarant’anni di Fluxus, mi trovo continuamente in queste situazioni e sono perfettamente a mio agio. Mi chiedo come ci si possa occupare di qualcosa che non si conosce. Il mondo dei galleristi italiani purtroppo è molto squallido, chi cerca di occuparsi solo di mercato è ovvio che se ne occupi male; se non conosci ciò che hai in mano, come fai a venderlo? Allora sarebbe molto meglio occuparsi di altro. Il gallerista è un mestiere molto difficile e impegnativo; il mercato è una via attraverso la quale l’opera entra nel mondo, per questo lavorarci è un ruolo di grande responsabilità. (a cura di Andrea Fiore) OTT/DIC 2013 | 246 segno - 67


PalaRiviera, San Benedetto del Tronto

Marche Centro d’Arte

ei mesi di Luglio ed Agosto il PalaRiN viera di San Benedetto del Tronto ha ospitato la terza edizione dell’Expo di Arte

Contemporanea organizzato da Marche Centro d’Arte (MCdA), un’edizione che ha radicalmente modificato le impostazioni della manifestazione, se infatti nei due anni precedenti i curatori avevano presentato un quadro dell’arte prima marchigiana e poi italiana, quest’anno il direttore artistico Franco Marconi e il presidente di MCdA Lino Rosetti hanno deciso di prendere due direzioni diverse. Come prima cosa si è pensato di puntare l’obiettivo su una specifica regione italiana, la Sardegna, raccontando i fermenti e le idee che dall’isola emergono per andare a dialogare con l’arte peninsulare e oltre. In qualche modo è stato costruito un ponte ideale tra due territori (Marche e Sardegna) che, pur sembrando periferici, sono centrali nella produzione culturale italiana. Da questi fermenti è nata Me Myself and I, sezione a cura di Sonia Borsato Per la seconda sezione si è dato forma a un bando di selezione nazionale che andasse a recepire i fermenti e i concetti che il mondo dell’arte sta sviluppando in questi anni con l’obiettivo di valorizzare e promuovere l’arte contemporanea e di individuare nuovi talenti e/o tendenze espressive. L’organizzazione del bando e la cura dell’installazione che ne è seguita è stata affidata all’Associazione Culturale Verticale d’Arte (Silvia Bartolini, Giorgia Berardinelli, Elisa Mori). Dalla selezione è nata la sezione Crosswais. Certamente questa edizione dell’Expo MCdA ha presentato un interessante incrocio di idee rappresentato anche vi-

sivamente dal punto di vista installativo, poiché Me Myself and I è stata posta nella sala centrale come punto di raccordo e unione alle due sale che hanno ospitato Crosswais. Il risultato è un percorso ricco di idee e suggestioni che riesce a offrire input e momenti di riflessione importanti e costruttivi. Entrando nella sala curata da Sonia Borsato troviamo ad accoglierci le opere di Narcisa Monni raffiguranti abiti del suo armadio, quasi totem votivi del suo vivere e del suo quotidiano. Se Chiara Seghene ci pone di fronte a una riflessione sull’uomo e sulla religione, sull’essere animali e sul creato, sul simbolismo e sul rapporto con il divino, Fabiola Ledda costruisce una rappresentazione quasi cristica di un corpo umano raccontato attraverso uno scatto essenziale ed intimo. Luca Spano raccoglie scatti della sua terra, sono tagli narrativi, scatti frontali che raccontano l’uomo, la natura e la loro convivenza. Silvia Idili opera invece un’operazione di mascheramento, utilizza un figurativo fantastico sospeso tra sogno e realtà con dei disegni dell’infanzia proiettati in un tempo indefinito. Stefania Mattu rivolge il suo occhio all’umano, alla sofferenza portando nel contemporaneo il dolore e

Gianluca Vassallo

Giovanni Manunta Pastorello

Josephine Sassu

Narcisa Monni Fabiola Ledda

Luca Spano Stefania Mattu

Chiara Seghene Silvia Idili

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il senso di perdizione dei nostri progenitori biblici, Eva e Adamo. Sempre intorno all’umano si muove la ricerca di Gianluca Vassallo con una serie di scatti realizzati sulla linea sottile vittima/carnefice in cui l’artista si trasforma fino a diventare Hitler/killer e a uccidere/uccidersi. L’opera di Chiara Porcheddu è un work in progress sul proprio corpo, in cui l’azione di pesarsi si reitera nello spazio-tempo attraverso una serie di scatti su Polaroid. Giovanni Manunta Pastorello ci mostra la sua pittura ricca di colore, di gesto, di velocità, di lenta preparazione, di paesaggi astratti, di astrattismo paesaggistico. A concludere questo percorso troviamo l’installazione di Josephine Sassu: un elefante e un baobab di plastilina che si affiancano sotto un firmamento di stelle, quasi volesse indicare per l’uomo un percorso di memoria fatto di sogno e longevità. Passando alle sale curate da Verticale d’Arte incontriamo prima di tutto le opere pittoriche di Hernan Chavar e il suo immaginario fatto di suggestioni, incubi, demoni e sogni. Giorgio Dursi invece ha proposto una riflessione sul tempo e sulla libertà attraverso una performance di cui è rimasta testimonianza per tutto il periodo della mostra. Lidia Tropea ha installato un video che riflette sulle proprie radici, sia territoriali che familiari, in un perpetuarsi tra generazioni di riti e tradizioni. Madalin Ciuca rivolge la sua attenzione al ritratto ottenuto attraverso una ricerca costante intorno alla luce. La pittura e i light-box di Elena Giustozzi si rivolgono a un privato collettivo, mostrando immagini familiari di un sapore anteguerra che si attualizzano prendendo una forma nel presente. Silvia Mariotti attraverso la sua ricerca fotografica mira raccogliere istanti sottraendoli al flusso del tempo e cercando di riempirli di nuovi significati semantici. Quella di Attinia è invece un’arte dal sapore sociale, nelle due installazioni che propone al centro della sala riflette sul senso del diverso e dell’uguale, sulla comunicazione e sull’incomunicabilità che ci circondano. Giovanni Scotti con la sua ricerca fotografica pone l’accento sulla percezione del tempo, dello spazio, della realtà, trasportandoci in paesaggi reali ma al contempo fiabeschi e onirici. I light-box di Alice Grassi ci danno una riflessione sulla natura ponendola in un non-tempo, in un immobilismo che la perpetua ponendo l’umano in una situazione di totale marginalità. L’installazione di Francesca Tilio si muove sulle note di “Last night the moon came”(Jon Hassel), si dilata nello scatto fotografico e si fissa su delle lolite contemporanee. Karmil Cardone si focalizza sul paesaggio, sulle periferie urbane, spesso degradate, e sull’umanità che le vivono. Le opere di Barbara Nati mostrano improbabili navi create per salvare una civiltà che tenta di perpetuarsi in un eterno riproporsi, in un addio che altro non è che un costante ritornare sui propri errori. La luce e il buio sono alla base delle opere di Serena Scopini, la luce mostra e nasconde, racconta e fa fraintendere, crea idee e ipotesi. Niba


attività espositive

RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Giorgio Dursi

Giovanni Presutti

Mădălin Ciucă

Tiziana Contino

Alessandra Baldoni Lidia Tropea

Federica Amichetti

Alice Grassi Hernan Chavar

Niba

Silvia Mariotti

Attinia

Francesca Tilio Giovanni Scotti

Barbara Nati

Ping Li

Catia Panciera

Karmil Cardone

Elena Giustozzi Giuseppe Biguzzi Serena Scopini

Giuseppe Lana

presenta un frammento di museo naturale, un’archeologia dell’esistente, un’installazione che racconta la vita, le interrelazioni, la lotta e le strategie per la sopravvivenza. La pittura di Federica Amichetti invece riflette sulla visione e sul paesaggio andando a toccare le corde dell’illusione e della trasformazione della natura. L’installazione di Giuseppe Lana è costituita invece da una sfera fatta di materiale tricotico, quasi un racconto del tempo che passa attraverso la raccolta e la conservazione dei capelli. Giovanni Presutti propone una serie di 20 scatti fatti ad opere architettoniche nelle principali città europee, raccontate con prospettive e angolazioni singolari che danno loro una veste nuova. L’opera di Tiziana Contino è la testimonianza di una performance realizzata come riflessione sulla futilità del denaro e della ricchezza. Le foto di Catia Panciera sono invece scatti realizzati al termine di gare podistiche e vanno a catturare la fatica e la soddisfazione dei volti ritratti. Le opere di Alessandra Baldoni sono come delle piccole storie che si muovono tra sogno, memoria, favola e amore, dando forma a delle messe in scena sospese tra metafisico e incantato. Le ragazze ritratte da Giuseppe Biguzzi ci appaiono chiuse, distanti, defilate, non affermano la propria presenza nello spazio ma sembrano quasi volersi defilare da esso. Differentemente le tele di Ping Li riflettono sullo spazio, vi si inseriscono, lo influenzano e lo modificano, creando effetti visivi di grande energia che cambiano a seconda della distanza e dell’angolazione da cui li osserviamo. Dario Ciferri OTT/DIC 2013 | 246 segno - 69


Frnacesco Moschini

A.A.M. Architettura Arte Moderna Extramoenia

Venticinque anni di didattica sperimentale promossa da Francesco Moschini al Politecnico di Bari

a venticinque anni in Puglia si succedono con incessante frequenza i più D grandi nomi dell’architettura, dell’arte,

della filosofia, della letteratura, del cinema e della fotografia italiana e internazionale. Polo di aggregazione di questa costante misura della cultura architettonica è la straordinaria capacità catalizzatrice della figura di Francesco Moschini, professore ordinario di storia dell’Architettura al Politecnico di Bari, che attraverso il Fondo Francesco Moschini Archivio A.A.M. Architettura Arte Moderna per le Arti, le Scienze e l’Architettura è sempre impegnato a tracciare una dialettica permanente, spesso fuori dalle convenzioni accademiche, attorno all’operato degli architetti. Attraverso una puntuale analisi della storia, della critica, dei progetti, del disegno dell’architettura e della fotografia, F. Moschini definisce un percorso di ricerca rigoroso e complesso allo scopo di creare una opportunità critica e didattica fondata sulla “continuità” del percorso formativo universitario.

In parallelo con la parte istituzionale dei corsi di Storia dell’Architettura e dei corsi di Storia dell’Arte Contemporanea per le Facoltà di Ingegneria e di Architettura, Moschini promuove una costante attività sperimentale attraverso l’apporto di qualificati “contributi esterni”. Si tratta di cicli di incontri tematici, articolati all’interno del complesso “Sistema dell’Arte”: fotografico, letterario, cinematografico, teatrale, artistico e musicale. Con precisi programmi critici si è inteso evidenziarne le “pluralità” formando parallelismi e intrecci disciplinari, allo scopo di sollecitare “sguardi incrociati”, contaminazioni e attraversamenti del e nel contemporaneo. Sempre nell’intenzione di istituire e definire un più ampio spazio di ricerca, Francesco Moschini ha strutturato i suoi corsi secondo un’ottica di “Didattica Permanente” e “Continuativa”, non limitata al corso di un anno accademico, bensì prolungata all’intero arco degli studi. Questo permette non solo costanti aggiornamenti e integrazioni dei materiali didattici ma an-

Fotografia degli architetti invitati al Laboratorio di Progettazione di Cerreto Sannita, 1988. Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna

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che un coinvolgimento degli studenti aldilà della durata del singolo anno accademico. Pertanto i “contributi esterni”, diversi di anno in anno, rappresentano l’occasione per un’ideale prosecuzione del percorso formativo avviato all’interno dei corsi di Storia. La scelta di costruire la didattica a partire dalle testimonianze delle personalità invitate pone l’attenzione sul valore pragmatico ed esperenziale dell’istruzione: gli ospiti rappresentano le figure identitarie del panorama non solo architettonico contemporaneo e gli incontri tra essi mirano a intercettare nei singoli percorsi le affinità linguistiche che permettono di ricostruire percorsi e poetiche comuni interne alle opere. La scelta di creare momenti di riflessione sui temi legati alla progettazione costituisce il comune denominatore di tutti gli incontri: gli architetti sono invitati a presentare una testimonianza della propria produzione professionale raccontando l’uso personale degli strumenti di ricerca


memorie d’arte ATTIVITà DIDATTICHE

e progettazione. Il dibattito architettonico contemporaneo appare nella sua complessità e nel suo dipanarsi nel tempo, considerate le diverse generazioni di architetti che hanno contribuito, con lezioni e seminari, ad arricchire tanto l’attività didattica del Politecnico di Bari, nel quale F. Moschini opera dal 1988, quanto il difficile dialogo con le realtà locali dove spesso, sui temi dell’architettura contemporanea, pesa un forte pregiudizio. A partire dal 1992, ovvero dallo storico incontro con Carlo Aymonino, Guido Canella e Aldo Rossi chiamati da F. Moschini a presentare le proprie proposte progettuali per il complesso residenziale BariAlto, continuano in Puglia, grazie all’appassionato impegno di Moschini, a tenersi lezioni e conferenze, dislocate in più sedi. Queste hanno luogo con un comune approccio che tende a incanalare “teoria, storia e progetto” all’interno di determinate tematiche progettuali svelando e rivelando le complessità disciplinari interne ad esse, attraverso gli “sguardi incrociati”, ovvero gli apporti diversificati e trasversali che orchestrati insieme restituiscono il quadro dell’intero e complesso “Sistema dell’Arte”. A dimostrazione di ciò basti pensare ai titoli lapidariamente narrativi dei cicli che fanno da sfondo alle singole lezioni: “Il progetto raccontato”, che ha visto la presenza di Massimo Carmassi, Danilo Guerri, Aimaro Isola, Paolo Portoghesi, Franz Prati, Umberto Riva, Massimo Scolari; “I Maestri raccontati”, da ricordare Manlio Brusatin su Carlo Scarpa, Pippo Ciorra su Ludovico Quaroni e Giancarlo Priori su Carlo Aymonino e Paolo Portoghesi; “Le nuove generazioni”, con gli interventi del gruppo A.B.D.R. (Arlotti, Beccu, Desideri, Raimondo), di Nicola Di Battista, di Mauro Galantino e di Efisio Pitzalis; “Racconti di città” come Berlino, descritta da L. Marcus Andresen. A questi si aggiungono importanti occasioni di dialogo, avvenute oltre che a Bari, a Lecce e Brindisi, tra cui il ciclo “Conversazioni”, tenute da Francesco Cellini, Leon Krier, Vittorio Gregotti, Alessandro Mendini, Antonio Monestiroli; la serie “Itinerari attraverso l’architettura europea” con Francisco Barata, Augusto Romano Burelli, Boris Podrecca, Luigi Snozzi, Alcino Soutinho, Edoardo Souto de Moura, Fernando Tavora, Livio Vacchini, fino alle recenti lectiones magistrales che hanno visto protagonisti Dante Bini, Massimiliano Fuksas, Steven Holl, Antonio Ortiz, Franco Purini, Alvaro Siza e Guillermo Vazquez Consuegra, tutti architetti per i quali il portato teorico definisce un imprescindibile fondale semantico dell’opera costruita. F. Moschini dedica inoltre particolare attenzione alla fotografia: in più occasioni essa è protagonista di seminari e cicli di lezioni secondo una continuità teorica e fisica, in grado di descrivere lo spazio delle città e delle architetture. Le lezioni sulla fotografia sono promosse all’interno del ciclo di incontri “Fotografia e Architettura.

Manifesto realizzato da Franco Purini in occasione del Laboratorio di Progettazione nel 1983. Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna

Francesco Moschini e Gabriele Basilico in occasione della Lezione “Milano: lavori in corso” tenuta nell’aula magna del Politecnico di Bari il 7 maggio 1997

Incontro con gli autori. Per la formazione di un archivio fotografico dedicato a “Puglia: luoghi e memorie. Atlante del paesaggio e archivi dello spazio”. Nell’ambito di questo ciclo si sono susseguiti dal 1997: Olivio Barbieri, Gabriele Basilico, Berardo Celati, Alessandro Cirillo, Carlo Garzia, Cosmo Laera, Gianni Leone, Agnese Purgatorio, Gianni Zanni. Significativo e rilevante è anche il ciclo “Arte e Architettura / Il Sistema dell’Arte”, che ha visto la partecipazione di Marilena Bonomo, Angelo Baldassarre, degli artisti Stefano Di Stasio, Paola Gandolfi, Marco Tirelli, e di critici come Miriam Mirolla, Vincenzo Trione. Sono da segnalare, inoltre, i seminari tenuti periodicamente sulle componenti espressive della disciplina architettonica, tra cui: le lezioni di Michele Beccu dedicate ai “croquis de voyage, skizzenbuch, appunti di viaggio” e quelle di Ariella Zattera sui “modelli di architettura”. A questi appuntamenti si affiancano i “Seminari intensivi” e le “Maratone didattiche” di storia dell’architettura, come quelle tenute da Giuseppe Bonaccorso, Emilio Del Gesso, Alessandra Fassio, Giorgio Ortolani. A supporto delle didattica, infine, sono frequentemente programmate le “Rassegne Cinematografiche” con la proiezione di film come “Metropolis”, “Il ventre dell’Architetto”, “Mamma Roma”, “My Architect” dedicati al rapporto tra cinema, architettura, Puglia e città. In continuità con una vocazione progettuale tesa all’esaltazione del processo e all’autorialità dell’opera si trovano i “Progetti interminabili”. In questa ideazione si riconosce il desiderio di costituire un corpus organico di lavori eseguiti in tempi e in luoghi differenti ma legati da un medesimo tema. Questo permette una storicizzazione essenziale per guardare criticamente opere e autori. La serie dei workshop organizzati attorno ai temi dell’architettura in diverse città da conto di una coerenza ideologica e metodologica di organizzazione del sapere a partire dalle singole esperienze progettuali. Il recente Workshop “Architettura per lo Sport. Un polo sportivo a Gallipoli per il Salento” si pone in continuità con i “Laboratori di Progettazione” ideati da A.A.M. Architettura Arte Moderna, già avviati e sperimentati in passato per il Comune di

Roma e successivamente per altri centri minori come Cerreto Sannita e Cassino. L’idea del Laboratorio mira a creare un meccanismo attraverso cui ottenere contributi di alto livello mediante un lavoro progettuale attento alla dimensione teorica e alla fattibilità dell’opera. Queste occasioni di confronto si pongono come una verifica di compatibilità e di indicazioni di metodo per la costruzione di proficui rapporti tra gli architetti rilevanti nel panorama dell’architettura italiana e le forze locali chiamate a supportarli. Un recente lavoro che si situa all’interno dei “Progetti interminabili” riguarda il Codice Atlantico di Leonardo da Vinci. Ventuno volumi contenenti i disegni tratti dai taccuini di Leonardo, sono stati assegnati a ventuno artisti e architetti italiani con il compito di rileggere e contaminare autorialmente ciascun volume. Il risultato è una raccolta di libri d’artista che, seppur costituiti da una matrice comune, restituiscono una raccolta singolare di libri d’arte che, oltre a rendere omaggio e a riconoscere il debito nei confronti di Leonardo da Vinci, rappresentano uno sguardo sui temi dell’arte, dell’architettura e più in generale della cultura italiana. In ogni singolo volume le ultime pagine sono dedicate ad altrettanti ventuno scrittori associati ai rispettivi artisti con il compito di accompagnare l’opera grafica contenuta in ogni singolo libro con un intervento letterario affine ai disegni che lo precedono. Oltre alle iniziative citate, da cinque anni si susseguono, per iniziativa di A.A.M. Architettura Arte Moderna, estemporanei ma puntuali incontri tra artisti e architetti, di differenti generazioni, accomunati da una grande passione per il disegno. Ad ogni incontro corrisponde per l’appunto un disegno frutto del confronto sul medesimo foglio di due autori. L’iniziativa, ideata da Francesco Moschini e Francesco Maggiore, ha lo scopo di riscoprire e rivalutare l’eredità grafica del disegno che tanto in architettura quanto nell’arte è stata più che sostituita, confusa da mezzi di comunicazione spesso intesi con faciloneria come mezzi espressivi. L’A.A.M. Architettura Arte Moderna ha perciò istituito all’interno della sua collezione di disegni una serie dedicata a questo specifico tema dal titolo “Duetti/Duelli. Partite a scacchi sul disegno”: fino ad oggi

Sequenza di ritratti, di Francesco Moschini con i relatori delle varie Lezioni magistrali promosse, a cura di Vincenzo D’Alba e Francesco Maggiore, nell’ambito del Progetto T.E.S.I. al Politecnico di Bari

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un corpus di venti opere costituisce l’avvio di questa iniziativa che continuerà ad avere in futuro nuovi incontri tra architetti, pittori e scultori. In ogni duetto può riconoscersi, seppure in forme del tutto spontanee e per certi versi irrazionali, il tentativo degli autori di dialogare attraverso le immagini tratte dai propri repertori culturali o formali che in molti casi costituiscono un linguaggio fatto di segni riconoscibili e indipendenti. Il Progetto “Duetti/Duelli. Partite a scacchi sul disegno” è stato inaugurato nel 2008 con Alvaro Siza, invitato a tenere la prima estemporanea grafica, improvvisando un disegno a quattro mani con l’architetto Vincenzo D’Alba. A questo primo duetto sono seguiti altri (tutti consultabili sul sito www.aamgaleria.it), che hanno visto D’Alba confrontarsi con: Carlo Aymonino, Antonio Annicchiarico, Alessandro Anselmi, Michele Beccu (A.B.D.R.), Mario Botta, Guido Canella, Alberto Cecchetto, Stefano Cordeschi, Nicola Di Battista, Alfonso Femia (5+1AA), Dario Fo, Mauro Galantino, Michele De Lucchi, Aimaro Oreglia D’Isola, Rafael Moneo, Antonio Ortiz, Luigi Ontani, Paolo Portoghesi, Franz Prati, Franco Purini, Filippo Raimondo (A.B.D.R.), Renato Rizzi, Luciano Semerani, Beniamino Servino, Ettore Sordini. Quest’ultima iniziativa, che sperimenta e ferma in una collezione di opere a quattro mani la cogenza del tendere all’innesto interdisciplinare della didattica di F. Moschini, affonda le sue radici nella prima stagione dei Duetti che all’inizio degli anni Ottanta ha portato di volta in volta un artista e un architetto, con poetiche affini, a esporre insieme. Gli incontri tra Cucchi e Passi, Paolini e Dardi, Cantafora e Mariani, Montessori e Gregotti, Barni e Natalini, Uncini e Purini, Echaurren e Raggi, Alighiero & Boetti e Sottsass, Mendini e Ontani, solo per citarne alcuni, hanno rivelato un mondo di tangenze e assonanze, talvolta determinate da comuni peculiarità espressive, altre volte da contiguità poetiche in un rimando di echi tali da rendere coeso, denso e intellegibile il binomio arte-architettura. La trattazione fin qui condotta dice solo di alcuni dei temi e protagonisti che in questi venticinque anni hanno composto il caleidoscopio teorico storico e progettuale complesso e sedimentato che costituisce l’unicità della didattica promossa da F. Moschini. Questa tradizione “didattica” dal 2007 prosegue con il Progetto T.E.S.I. Tesi Europee Sperimentali Interuniversitarie, iniziativa promossa dal Fondo Francesco Moschini Archivio A.A.M. Architettura Arte Moderna per le Arti, le Scienze e l’Architettura, che vede il coinvolgimento su medesimi temi di studenti appartenenti a diverse discipline e città europee. Lo scopo è quello di promuovere lo studio interdisciplinare e la partecipazione interuniversitaria come fondamentale principio formativo. In via sperimentale il progetto è stato avviato con il tema: Il Palazzo delle Biblioteche: teoria, storia e progetto. Ipotesi per il Campus Universitario di Bari. In linea con questo tema scelto è stato avviato un ciclo di lectiones magistrales dedicate al Libro e alla Biblioteca declinato in diversi ambiti disciplinari: la serie di incontri, suddivisa in filoni tematici, è stata inaugurata per la sezione “Nel Segno della Storia” da Luciano Canfora (“Per la storia delle Biblioteche”) ed è proseguita, per la sezione “Nel Segno della Letteratura” con Gianfranco Dioguardi (“Il piacere del testo”) e con Ruggero Pierantoni (“E, se scomparissero i Libri?”), per la sezione “Nel Segno del Progetto” con Franco Purini (“Le parole dello spazio”) e Massimiliano Fuksas (“Sublimi Scribi del 72 - segno 246 | OTT/DIC 2013

Caos”), con Antonella Agnoli e con Marco Muscogiuri (“La Biblioteca e l’Architettura”), per la sezione “Nel Segno della Filosofia” con Massimo Cacciari (“Idea di Progetto”), per la sezione “Nel Segno della Fotografia” con Mario Cresci (“Raccogliere con lo sguardo”) e infine “Nel Segno dell’Economia” con Mario Resca (“Per la gestione dei Beni culturali”). In continuità con il filone di ricerca e progettazione del “Palazzo delle Biblioteche” il Progetto T.E.S.I. ha inaugurato, con una Lectio Magistralis di Sergio Rubini dal titolo “La forma scenografica”, una nuova sezione disciplinare dedicata al tema della cinematografia dal titolo “Territori del Cinema: Stanze, Luoghi, Paesaggi. Un Sistema per la Puglia. Letture e Interpretazioni”. La “didattica permanente” si impone come metodo che, con l’insieme dei suoi frammenti, compone una visione imprevedibile, ricca di apporti, che si sostanzia come unica forma di apprendimento di una cultura elevata e poliedrica, ben lontana dal consumismo universitario. Ester Bonsante

Allestimento della mostra “Come si fa una Tesi di Laurea in Architettura e Ingegneria” presentata presso la Sala Alta Tensione del Politecnico di Bari Fotografie di Michele Cera e Domenico Rinaldi Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna Alessandro Mendini – Luigi Ontani, Duetto, 1982 Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna

In basso: Vincenzo D’Alba con Luigi Ontani, “partita a scacchi” sul disegno: improvvisazioni a quattro mani, (n.24), 21 giugno 2013, Roma. Tecnica mista su cartoncino, 64x88 cm. Ideazione Francesco Moschini e Francesco Maggiore. Realizzazione Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna. Fotografia di Francesco Maggiore. Copyright: Vincenzo D’Alba, Luigi Ontani. Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna. Francesco Moschini e Franco Purini durante la Lezione “Le parole dello spazio” tenuta nell’aula magna del Politecnico di Bari il 26 settembre 2008 promossa, a cura di Vincenzo D’Alba e Francesco Maggiore, nell’ambito del Progetto T.E.S.I. Sotto: Francesco Moschini e Massimiliano Fuksas al termine della Lezione “Massimiliano Fuksas: Sublimi Scribi del Caos” tenuta nell’aula magna del Politecnico di Bari. Fotografia di Gaetano Albino Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna


memorie d’arte ATTIVITà DIDATTICHE

Sopra: Sequenza delle locandine realizzate in occasione delle Lectiones Magistrales promosse nell’ambito del Progetto T.E.S.I. al Politecnico di Bari.

In basso, da sinistra a destra: Vincenzo D’Alba con Michele De Lucchi, “partita a scacchi” sul disegno: improvvisazioni a quattro mani, (n.10), 10.09.2012, Tecnica mista su cartoncino, 64x88 cm. Ideazione Francesco Moschini e Francesco Maggiore. Realizzazione Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna. Fotografia di Valentina Ieva. Note: Incontro in occasione della “Lectio Magistralis” che Michele De Lucchi, ha tenuto a Bari (Fiera del Levante) Copyright: Vincenzo D’Alba, Michele De Lucchi. Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna. Vincenzo D’Alba con Alvaro Siza, “partita a scacchi” sul disegno: improvvisazioni a quattro mani, 28.10.2008, china su carta, 45x25 cm. Ideazione Francesco Moschini e Francesco Maggiore. Realizzazione Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna. Note: in occasione della “Lectio Magistralis”, tenuta al Teatro Politeama Greco, a Lecce, il 28 ottobre 2008, a conclusione della mostra antologica dedicata ad Alvaro Siza, allestita in due sedi, al Castello di Acaya e al Museo Provinciale Sigismondo Castromediano di Lecce. Copyright: Vincenzo D’Alba, Alvaro Siza. Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna. Vincenzo D’Alba con Rafael Moneo, “partita a scacchi” sul disegno: improvvisazioni a quattro mani, (n.23), 29 maggio 2013, Roma. Tecnica mista su cartoncino, 64x88 cm. Ideazione Francesco Moschini e Francesco Maggiore. Realizzazione Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna. Fotografia di Francesco Maggiore. Copyright: Vincenzo D’Alba, Rafael Moneo. Courtesy: Collezione Francesco Moschini e Gabriel Vaduva A.A.M. Architettura Arte Moderna.

OTT/DIC 2013 | 246 segno - 73


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attività espositive DOCUMENTAZIONE

Libro in giallo e Libri in giallo sono le due sculture di Lucilla Catania, sistemate anch’esse nella parte superiore del giardino. Le sculture suggeriscono un senso di immaterialità e di assenza di gravità. Le striature del marmo somigliano ad una scrittura che si srotola verticalmente con moto ascensionale. Presumibilmente è questo il senso che Lucilla Catania ha voluto trasmettere e che il titolo non smentisce, dato che l’opera rappresenta libri il cui contenuto è la scrittura, qualcosa di astratto e immateriale che sembra virtuosamente fuoriuscire dalla solidità del marmo per tradursi in messaggio spirituale.

Inaugurazione Giardino delle fontane, Galleria nazionale d’arte moderna, Roma

Lucilla Catania Cloti Ricciradi

n occasione della risistemazione degli Imoderna spazi verdi della Galleria nazionale d’arte sono stati presentati al pubblico

tre progetti inediti di altrettante artiste romane che sono state coinvolte nella regia del Giardino delle fontane che viene riaperto con la collocazione di due sculture di Lucilla Catania e di un’installazione di Cloti Ricciradi. I lavori trovano posto nell’area esterna che si affaccia su via Aldrovandi. Due di questi sono stati già portati a termine: Ipotesi grafica (2013), l’’installazione di Cloti Ricciardi e Libri in giallo (2012) e Libro in giallo (2008) , le sculture in travertino giallo di Persia di Lucilla Catania. Il terzo progetto verrà inaugurato successivamente, nella prossima primavera, e interesserà la zona inferiore dove è situato il bacino d’acqua più grande, al cui interno galleggeranno le stupende ninfee rose che rimandano a quelle del dipinto di Monet esposto all’interno della Galleria. Quest’ultimo progetto, firmato da Maria Dompé, si

The Gallery Apart, Roma

Gea Casolaro he Gallery Apart ha inaugurato la staT gione espositiva 2013-14 con la mostra Still here di Gea Casolaro, il lavoro

sviluppato dall’artista durante il periodo di residenza nell’atelier degli Incontri Internazionali d’Arte presso La Cité Internationale des Arts di Parigi. Still here è un progetto legato a tal punto con la vita di Gea Casolaro da spingerla a trasformare la Capitale transalpina in sua città di elezione, in una sorta di esilio volontario causato dalla sua incapacità ad adattarsi al contesto socio-politico italiano dell’ultimo ventennio. L’essere straniera in una città che non conosceva, se non da turista, e la realtà dello sradicamento in un nuovo paese hanno spinto sin dall’inizio Gea Casolaro a fare i conti con l’assenza di un’esperienza vissuta e dunque di una memoria che l’ancorasse alla nuova realtà dei luoghi in cui si trovava a vivere. L›artista ha dedicato al progetto Still here oltre due anni di lavoro, non solo per la mole enorme di film da visionare e di luoghi da scoprire, ma anche perché la memoria Ferrara - Palazzina Marfisa D’este

What is the story?

la magia suggerita dalla parola favola, È è l’idea di inscenare un possibile racconto l’ispirazione da cui prende le mosse la mostra che vede coinvolti gli artisti: Giulia Bonora, Eva Frapiccini, Federico Lanaro, Roberto Pugliese e The Bounty Killart. Animali fantastici, curiose sculture e oggetti bizzarri su un sottofondo di suoni stranian-

Federico Lanaro, Home sweet Home.

Cloti Ricciardi

Lucilla Catania

caratterizza come luogo di meditazione e contemplazione di ispirazione orientale. Ipotesi grafica è un’installazione permanente che Cloti Ricciardi ha realizzata e collocata nella vasca superiore del Giardino delle fontane, progettato da Paolo Pejrone nel 2003. Protagonista del progetto è l’acqua, che scendendo dall’alto crea un velo che separa porzioni di spazio ma al contempo le mette in comunicazione, sorta di zona cuscinetto neutra, impalpabile e riflettente. individuale e la conoscenza del mondo, non finiscono mai di alimentarsi grazie alle esperienze degli altri, da quelle dei personaggi dei film seguiti passo passo per le strade, a quelle delle persone reali che via via l’artista ha conosciuto e che a loro volta le indicavano i loro film di affezione da inserire nel progetto. Come in altri lavori di Gea Casolaro, anche in Still here emerge quindi l’idea della vita come puzzle, come perenne incontro e innesto tra esistenze, nonché l’idea della fotografia come mezzo per raccontare il mondo in modo plurale e sfaccettato. Le opere in mostra, sono una selezione delle oltre cento fotografie che compongono Still here e che sono riunite in uno slideshow che consente di godere dell’intero corpus del lavoro ad oggi realizzato. L’artista ha inoltre riprodotto in modo parziale il suo studio parigino, a sottolineare l’importanza di tale luogo di decantazione in cui la grande mappa fisica e quella mentale di Parigi, con le immagini di volta in volta raccolte nei nove mesi di residenza e di vita, venivano sovrapponendosi in un processo di fusione tra realtà e immaginario, esistenza e sogni, territorio e memorie. ti, prendono così posto all’interno della rinascimentale dimora estense. Evento parte del progetto “Dentro le Mura”, realizzato nell’ambito di Creatività Giovanile, promosso e sostenuto dal Dipartimento della Gioventù - Presidenza del Consiglio dei Ministri e dall’Anci - Associazione Nazionale Comuni Italiani. La mostra a cura di Yoruba diffusione arte contemporanea, è aperta al pubblico da domenica 13 ottobre fino al 31 dicembre 2013.

Gea Casolaro, Still here Funny face Quai de Tuileries fotografia digitale stampata su alluminio Gea Casolaro, Still here L’air de Paris Quai d’Orleans fotografia digitale stampata su alluminio

nia Zuliani con il coordinamento di Angelo Trimarco). La mostra è un’installazione di contenuto visionario, composta di opere realizzate con materiali vari come la bachelite, il plexiglas, il pvc e il silicone.

Galleria Paola Verrengia, Salerno

Maurizio Elettrico iorema è stato un evento multimeB diale ispirato ad una serie di racconti scritti da Maurizio Elettrico dal titolo He-

aven ed altri racconti, presentato in occasione della giornata del contemporaneo. Si tratta di un progetto complesso, promosso dalla Fondazione Morra di Napoli, la Galleria Paola Verrengia di Salerno, la Fondazione Salerno Contemporanea presso Teatro Ghirelli (ove l’artista è stato protagonista di un Dialogo d’Artista a cura della Fondazione Filiberto Menna, in un confronto con Antonello Tolve e StefaOTT/DIC 2013 | 246 segno - 75


BUENOS AIRES Arte Programmata e cinetica italiana

Al MACBA Museo de Arte Contemporáneo de Buenos Aires presentata la mostra Percezione e Illusione: Arte Programmata e cinetica italiana. La mostra è curata da Giovanni Granzotto e Micol Di Veroli ed organizzata da Glocal Project Consulting, in collaborazione con Altaroma e con il patrocinio del Ministero Affari Esteri, dell’Ambasciata Italiana a Buenos Aires, dell’Istituto di Cultura Italiano di Buenos Aires e della Camera di Commercio Italo Argentina. Secondo i curatori, negli ultimi anni il panorama artistico internazionale ha iniziato a prendere atto che l’ultima grande avanguardia, è identificabile con il fenomeno dell’Arte Programmata e cinetica. Pop Art, Arte Povera ed altri importanti movimenti hanno quindi fatto spazio alla nascita di una nuova concezione dell’arte, non più sottostante alla estemporanea creatività del singolo ma generata da anime diverse con l’aspirazione comune di costituire un nuovo modello di realtà. Tra i centri di irradiazione di questo movimento, in cui convivono un’anima scientifica

Lia Drei, Operazione Modulare, 1963 Francesco Guerrieri Ritmostruttura BNR1, 1964

AVIGNONE

e razionalista con il sentimento e la religione del dinamismo, figura in special modo l’Italia a partire dalla fine degli anni ‘50. La mostra Percezione e Illusione: Arte Programmata e cinetica italiana vede l’esposizione di oltre quaranta opere di arte italiana create dalle figure chiave del periodo, partendo dalle sperimentazioni di Gianni Colombo e degli altri membri del Gruppo T (Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gabriele De Vecchi, Grazia Varisco),di Alberto Biasi e degli altri componenti del Gruppo N (Ennio Chiggio, Toni Costa, Edoardo Landi, Manfredo Massironi), di Lucia Di Luciano, Lia Drei, Francesco Guerrieri e Giovanni Pizzo (componenti del Gruppo 63 e, poi, di Sperimentale P.e Operativo R.). Sono inoltre esposte un nutrito gruppo di opere di Bruno Munari.

KLAIPÈDA Trip and Traveling

Klaipéda Culture Communication Center in Lituania presenta un progetto annuale a cura di Lorenzo Bruni, la cui prima tappa è la mostra collettiva dal titolo “Trip and Traveling – Introduction”, aperta in ottobre 2013. Il progetto nasce dall›esigenza di riflettere attorno alla pratica del viaggio e sulle sue implicazioni concettuali, simboliche ed esperienziali nell›era del “villaggio globale”. La mostra, per evidenziare gli aspetti del “viaggiare” come pratica e del “viaggio” come concetto, si sviluppa negli spazi del museo in due sezioni autonome: “journey stories”, composta da diciassette video e immagini di artisti di differenti nazionalità (Maria Teresa Alves, John Bock, Johanna Billing, Deniz Buga, Jordi Colomer, François Curlet, Stefania Galegati, Domenico Mangano, Ahmet Ogut, Uriel Orlow, Paolo Parisi, Agne Raceviciute, Anri Sala, Hans Schabus, Emilija Skarnulyte, Guido van der Werve, Raphaël Zarka) e “postcard from here”, costituita da interventi nello spazio espositivo di artisti di differenti generazioni, (Jose Dávila, Nico Dockx, Carlos Garaicoa, Rainer Ganahl, Thomas Gillespie,

La Collezione Lambert ad Avignone, in collaborazione con Avignone Turismo, hanno proposto una grande mostra dal titolo Le Papesse, una rassegna dalle dimensioni eccezionali, realizzata da Eric Mezil, direttore della Collezione Lambert insieme ai suoi collaboratori. Il titolo rinvia alla storia di Jeanne la Papesse e la incredibile leggenda medievale anteriore alla venuta dei Papi ad Avignone. Un personaggio Berlinde de Bruyckere erudito e carismatico, venuto dall’altra parte del Reno, fu eletto Papa e regnò nel IX secolo fino a quando non si scoprì che, questo rappresentate di Dio, sulla terra era incinta. Durante una processione il bambino nacque prematuramente ed in seguito madre e figlio sono morti in Piazza San Pietro a Roma. L’immaginario medievale riprese questa storia diffusa sul Decamerone di Boccaccio ed ancora oggi questa figura emblematica ha ispirato questa mostra con cinque artiste metaforicamente divenute cinque Papesse dell’arte contemporanea: Camille Claudel, Louise Bourgeois, Kiki Smith, Jana Strebak e Berlinde de Bruyckere. Le loro opere riprendono la tradizione della scultura, ritenuta, per lo più, la più difficile delle pratiche per una donna. In un 76 - segno 246 | OTT/DIC 2013

Maurizio Nannucci, Bag Book Back, 1995

Darius Mikšys, Jonathan Monk, Maurizio Nannucci, Matteo Rubbi, Marinella Senatore, Shimabuku, Kamen Stoyanov, Rirkrit Tiravanija, Driant Zeneli, Lawrence Weiner), che convivono con il materiale d’archivio della città di Klaipeda. Il display, assieme alle opere che lo costituiscono, mette in evidenza lo scorrere del tempo della mostra stessa, permettendo così una discussione attorno all’esperienza del viaggio, dei moventi e dei possibili risultati ipotetici e oggettivi, collettivi e personali. La seconda parte di questo progetto è prevista da Aprile a Settembre 2014.

LUGANO Collezione Olgiati

Riaperto lo spazio -1 ospitato in riva Caccia 1 a Lugano, nei sotterranei dello stabile Central Park donato da Eligio Boni, Erica Boni, Giuseppina Filippini, Marco Boni, Immobiliare Park Lugano SA, e ristrutturati grazie alla Fondazione Caccia. Dedicato alla Collezione d’arte contemporanea di Giancarlo e Danna Olgiati, -1 propone 30 nuove opere che sostituiscono parte di quelle già esposte nel 2012 in mostra durante il primo anno di attività, in previsione dell’apertura del LAC (Lugano Arte e Cultura), futuro centro culturale cittadino. Le nuove opere depositate sono di artisti di valore internazionale quali Massimo Bartolini, Huma Bhabha, Domenico Bianchi, Pierpaolo Calzolari, Anne Collier, Gino De Dominicis, Francesco Gennari, Antony Gormley, Roni Horn, Urs Lüthi, Jonathan Monk, Damian Ortega, R.H. Quaytman, Walid Raad, Martial Raysse, Tim Rollins and K.O.S., Pamela Rosenkranz, Salvatore Scarpitta, Markus Schinwald, Rudolf Stingel, Emilio Vedova,

Danh Vo e Kelley Walker. La concezione dello spazio -1, diviso in pareti mobili che scandiscono le aree espositive in varie sezioni, si presta a trasformazioni parziali pur mantenendo fede all’identità originaria della collezione. Nel percorso espositivo, le opere sono avvicinate tra loro nel tentativo di individuare consonanze tra linguaggi affini. Nella sezione “i muri” l’imponente doppio muro di mattoni rossi di Kelley Walker dialoga con la parete di Giuseppe Uncini e con gli strappi di Jean Willeglè e Raymond Hains. Nella sezione volta a indagare il linguaggio declinato sotto forma di scritture e segni, l’opera di Roni Horn è accostata a opere di Tim Rollins and K.O.S., Danh Vo e Carla Accardi. Nella sezione dedicata all’autoritratto, Gino De Dominicis, Francesco Gennari e Urs Lüthi esplorano con sguardi differenti, ma con analoga tendenza allo smaterializzarsi, la rappresentazione del sé. I capitoli espositivi dedicati ai nuclei fondanti della collezione rimangono invece intatti: la sala dedicata al Futurismo, che ospita i dipinti e la straordinaria raccolta di 1.200 libri originali, quella dedicata all’Arte povera o quella dedicata al Nouveau Réalisme.

Yves Klein, Esponge bleu (Collezione Olgiati, Lugano)

dialogo da un luogo all’altro, le opere monumentali sono state allestite nella grande Cappella del Palazzo dei Papi, mentre le piccole sculture alla Collezione Lambert in Avignone.

MARSIGLIA

Al Mucem (Musée des civilisations de l’Europe et de la Mediterranée), il Museo sul Porto di Marsiglia progettato da Rudy Ricciotti - un gigantesco parallelepipedo realizzato con una speciale vetroresina, utilizzata per le centrali nucleari, avvolto in un reticolo di cemento armato, costato 167 milioni di euro! - ospita la rassegna, intitolata Au bazar du genre, Féminin-masculin en Mediterranée (visibile fino al 6 gennaio 2014), con riuniti oggetti ed immagini di varia provenienza e testimonianza dei cambiamenti negli ultimi cinquant’anni nelle relazioni fra uomini e donne ma anche su come si vive e si manifesta la propria sessualità nelle zone del Mediterraneo. L’allestimento è costituito da una serie di celle esagonali disposte in modo da formare un mega alveare, all’interno del quale si snodano le cinque sezioni in cui è divisa la mostra: “Il mio ventre mi appartiene”, “In marcia verso l’uguaglianza”, “Vivere la propria differenza”, “Il mio principe arriverà...”, “A ciascuno il suo genere”. A partire dalle rivendicazioni del movimento femminista per l’uguaglianza dei diritti (il ventaglio delle suffragette del 1914 con sopra scritto “Io desidero votare”, si affronta il percorso culturale delle minoranze Lgbt attraverso alcuni video dei Gay Pride e di meeting queer, evidenziando le difficoltà organizzative delle comunità Gay a sud del Mediterraneo (Kifkif in Marocco, l’algerina Abu Nawas, la palestinese alQaws ed Helem in Libano), fino ai riferimenti alla quotidianità francese più attuale (il grande quadro del 1992 di Pierre et Gilles Les Mariés e le sorprendenti fotografie di Alex Majoli che ritraggono la comunità albanese delle “vergini giurate”, donne balcaniche riconosciute come uomini. sino al ritratto realizzato da Régine Mahaux di Thomas Beatie, il celbre transessuale incinto), oltre ai manifesti di varie associazioni di tutto


attività espositive DOCUMENTAZIONE

AGRIGENTO Gianfranco Anastasio

Alla FAM di Agrigento, Gianfranco Anastasio, ha proposto i suoi ultimi lavori di pittura di ampio e articolato cromatismo dal carattere fortemente costruttivo, esito di una riflessione sui motivi e sui temi intorno a cui si è sviluppata la sua attività artistica: la superficie, il colore, la materia, lo spazio, il concetto di misura, la dinamica del rapporto interno/esterno. In presentazione il curatore Marco Meneguzzo spiega: “Gianfranco Anastasio sprofonda nella superficie della sua pittura. Non è un controsenso: pochi tipi di pittura sono così profondi negli intenti, nel processo di lavoro, nel risultato come la cosiddetta “pittura di superficie”, e pochi tipi di pittura chiedono allo sguardo un’attenzione così completa. Si guarda la superficie dell’opera perché sembra non ci sia altro da guardare: queste opere di Anastasio non concedono infatti nessun appiglio di tipo narrativo, o psicologico, ma rientrano invece in quella difficile categoria di lavori che traggono la propria linfa dagli elementi basilari, primi, originari della visività”.

BIELLA Mauro Ghiglione Matthew Attard

Alla Galleria Silvy Bassanese, mostra di installazioni fotografiche e scultoree di Mauro Ghiglione (1959 Genova) e del giovane Matthew Attard (1987 Malta). Una mostra a cura di Viana Conti nella quale i due artisti instaurano un dialogo visivo e mentale di estrema incisività. Sugli effetti della pervasività dell’immagine in una società di massa occidentale, Mauro Ghiglione arriva alle estreme conseguenze, realizzando opere come Baci spezzati-custodire il gesto, 2013, in cui letteralmente strappa a mano la fotografia. Ne comunica, in tal modo, la fragilità, insieme allo shock emotivo. Nell’opera, tanto seducente quanto radicale, Sale della Vita, l’artista progetta la sparizione progressiva e irrevocabile dell’immagine.

Matthew Attard Mauro Ghiglione

È a partire dalla posa di un soggetto, maschile o femminile, che Matthew Attard costruisce, decostruendola, una figura nello spazio. Nel suo processo operativo, un disegno bidimensionale su carta si trasforma in una scultura aerea tridimensionale. La traccia del carboncino, dell’inchiostro o dell’acrilico sulla carta diventa, nella scelta dei materiali da parte dell’artista, un fil di ferro dipinto di nero che, duttile tra le sue mani, si modella in ampie curve, riccioli, contorsioni, attraversando una lastra di plexiglass trasparente, forata in alcuni specifici punti, fino ad assumere, per l’occhio e per la mente, sembianze umane. L’immaginario di questo artista ritrova un significativo stimolo nei modelli in posa degli anni degli studi accademici.

BRESCIA Monica Bonvicini

Alla Galleria Massimo Minini prima mostra personale di Monica Bonvicini, che ha ideato un ricco percorso espositivo, mettendo a confronto diverse opere scultoree, installazioni e opere su carta di notevole intensità. Il lavoro di Monica Bonvicini unisce una forte precisione formale a un altrettanto stringente discorso sulla dimensione sociale dell’architettura e degli spazi pubblici. Le sue sculture, installazioni, fotografie e video mettono in discussione la neutralità dell’architettura, della creazione artistica, e delle strutture

il mondo come quello del Centro Femminista Separatista romano del 1985 che presenta una serie di vignette “Noi lesbiche - 40 fumetti quasi tutti sul tema”. In una curiosa installazione sonora è possibile ascoltare insulti contro gay e lesbiche in tutte le lingue del mondo, che dimostra quanto “l’omofobia sia potente e disturbante anche solo quando le si dà voce”. Pierre Gilles, Les Maries

di potere. La purezza della forma, contrapposta o unita a significati spesso irriverenti, dà vita ad un’estetica di fredda eleganza e grande impatto. Per questa sua prima personale da Minini, l’artista propone sculture dalla serie 7:30 hrs. Simili a strutture in muratura o modelli di architettura, sono in realtà oggetti costruiti seguendo compiti prestabiliti per gli esami obbligatori in Germania al fine di esercitare il mestiere di muratore. L’estetica minimalista che ne risulta è accompagnata e destabilizzata da 200 ricami rossi su carta. Le installazioni Black You e Straps & Mirror appartengono a un altro tema centrale nel lavoro di Bonvicini degli ultimi anni: il ruolo dell’arte come prodotto feticista, seguendo il concetto marxista di alienazione, e di narcisistico spettacolo. La scultura in neon Blind Protection (2013), acceca l’ambiente circostante, proponendo una luminosità abbagliante che quasi cancella i limiti dello spazio nel quale è appesa. Di più intimista matrice i lavori su carta, i disegni originali di 7:30 hrs., i disegni di preparazione all’installazione della Biennale di Venezia del 2011 15 Steps To The Vergin o i nuovi collage LegscutsOut.

spengono aritmicamente, occupano interamente lo spazio con una forza innovativa e sonora di grande suggestione.

FIRENZE Roland Deval

Alla Galleria Alessandro Bagnai personale di Rolando Deval dal titolo Continuum. Si tratta di una selezione dei recenti lavori dell’artista: Grounds, realizzati dallo strappo della carta gialla, una carta impermeabile conosciuta come “carta da macellaio”; Still, che nascono dal contorno delle fibre che l’artista estrae dal feltro e le più recenti opere in ferro: Grounds, Butterfly e Fall.

Rolando Deval, Grounds, carta gialla 2013

LATINA Luigi Menichelli

Monica Bonvicini

CIVITAVECCHIA Lucia Romualdi

Al Forte Michelangelo, in occasione della notte bianca indetta dal Comune di Civitavecchia, è stata proposta l’opera di Lucia Romualdi “Platea - variazione op.K42°-06’ - partitura di luce per macchinari ottici e suono meccanico”, in collaborazione con lo Studio Trisorio di Napoli. L’artista - scrive Matilde Amaturo - con il susseguirsi di luci per macchinari ottici, in modo matematico, con una modalità di memoria umanistica, costruisce spazi che illumina a cadenza di musica, proiettando immagini minimali in animazione digitale riprese da vecchi filmati, descrive così la vita del porto e della città che lei stessa vede animarsi e splendere, soprattutto di notte. È un altrove mentale, una partenza d’acqua, un acquario che si affaccia alla città, accompagnato dal suono e dal ritmo dei proiettori in movimento, e dalla musica composta da Franco Donatoni in dialogo con l’opera della Romualdi Black & White n° 2. Le installazioni di Lucia Romualdi, - scrive Lydia Pribisova - sono partiture di luce (cifre, diagrammi numerici, tabulati di maree e di stelle) che si accendono e si Lucia Romualdi, Platea dimensione ambientale

La Galleria Romberg ha inaugurato la stagione espositiva con la mostra, a cura di Italo Bergantini, Leaves of Grass di Luigi Menichelli. Per l’occasione è stato edito un catalogo, Romberg Edizioni, con testi di Valerio Dehò e Daniele Fiacco, che tra l’altro, scrive: “Decifrando lo svolgimento sia pittorico che scultoreo di questi ultimi lavori di Luigi Menichelli si arriva a un’insofferenza verso i confini compositivi: le foglie si dispongono liberamente nelle loro teche trasparenti smosse da riflessi, come se l’immobilità di ogni singola parte si avvicinasse a una caduta imminente, a uno spostamento irreversibile, bloccando nell’attimo un ordine prossimo a scomporsi.”

Luigi Menichelli, Leaves of grass 4

MILANO Nuova Pittura Italiana

Lo Studio d’Arte Cannaviello ha organizzato nella sua sede e in quelle “associate” una collettiva, intitolata “Nuova pittura italiana”, di undici giovani artisti emergenti che, pur provenendo da differenti percorsi formativi, trovano espressione comune nel mezzo pittorico. Gli artisti scelti sono: Giuseppe Abate, Elena Ascari, Irene Balia, Anna Caruso, Enej Gala, Riccardo Giacomini, Matteo Giagnacovo, Silvia Mei, Chiara Sorgato, Elena Vavaro.
Le mostre, oltre che nella Galleria Cannaviello, sono state state allestite alla Galleria Spazio Aquadro di Roma, alla Galleria Opere Scelte di Torino, alla Galleria Spazio Aquadro di Genova, alla Associazione Culturale Luidig di Benevento, e prossimamente alla Galleria Interno 18 di Cremona. OTT/DIC 2013 | 246 segno - 77


MILANO Marco Cordero

Alla Galleria Maria Cilena, mostra personale del piemontese Marco Cordero (1969), con un testo critico di Roberto Borghi. “Cordero scolpisce libri. Ma non nel senso che le sue sculture hanno le forme di volumi rilegati: i libri sono invece la materia prima che l’artista intaglia con precisione e delicatezza, ricavandone impronte di corpi, profili di paesaggi, sagome di oggetti emblematici della nostra tradizione culturale. Dalle opere affiorano a volte frammenti di testi, brevi sequenze verbali che in alcuni casi hanno la parvenza del verso poetico o dell’aforisma, in altri il sapore dell’enigma. Il libro inteso come strumento-cardine della trasmissione del pensiero, come oggetto sacralizzato (la letteratura può essere ritenuta un culto che, come ha scritto Martin Amis, «rispetto alle fedi convenzionali, offre qualcosa di tangibile da venerare»), nel lavoro di Cordero è omaggiato nella stessa misura in cui viene profanato, o perlomeno ricondotto nell’alveo del suo rapporto basilare, fisico, tattile con la vita.
Aria è un’installazione formata da più di trecento libri poggiati a terra a formare un blocco compatto, sul quale l’artista è meticolosamente intervenuto fino a intagliare la sagoma di una persona che legge. Aria è a tutti gli effetti una scultura da leggere. I libri, messi a disposizione dalle Edizioni Marcos Y Marcos e dalla Instar Libri, sono semplicemente accostati l’uno all’altro quasi a caso. La loro gravità fa da contrasto con la leggerezza evocata dal titolo, mentre la somma di colori data dalle diverse copertine fa risaltare maggiormente la sagoma bianca del lettore assorto, rendendola irreale come una visione della mente che emerge dal buio.”

Marco Cordero, Aria, 2007. Libri scolpiti

NAPOLI Thomas Ruff

Legato da molto tempo alla galleria di Lia Rumma, che già nel 1991 presentava nel suo spazio napoletano i silenziosi ritratti di grandi dimensioni e le sue costellazioni, l’artista tedesco ha riunito per questa mostra un nutrito numero di lavori tratti dalle serie jpegs, ma.r.s., sterne, substrat, zycles (j_m_s_s_z), che testimoniano la varietà e l’ampiezza di una ricerca intrapresa alla fine degli anni Settanta alla Kunstakademie di Düsseldorf sotto la guida di Bernd e Hilla Becher. L’interesse per l’astronomia, più volte manifestato dall’artista, è alla base anche dei lavori esposti al primo piano che appartengono alla recente serie ma.r.s. Per essi Ruff ha utilizzato immagini digitali del pianeta Marte scaricate dalle pagine web Thomas Ruff, ma.r.s.09

Michael van Ofen

Beatrice Pediconi

della NASA, trattate ingrandendo particolari e modificando il colore con violente saturazioni.

REGGIO EMILIA Beatrice Pediconi | Michael van Ofen

Per la Collezione Maramotti, nuovo lavoro realizzato da Beatrice Pedicone dal titolo 9’/ Unlimited in cui l’artista si misura non soltanto con l’uso della polaroid o con scatti di grande formato realizzati con banco ottico durante un vero e proprio processo performativo di sapore alchemico e il suo potenziale congelamento fotografico, ma realizza un ambiente, un luogo che diviene una sorta di navicella che accoglie il visitatore.
La mostra include anche una selezione di polaroid e si accompagna ad un libro d’artista che accoglie il flusso di immagini (polaroid e still del video) dell’artista in dialogo con tre preziosi interventi: un Haiku della poetessa giapponese Momoko Kuroda, un musical score del compositore romano Lucio Gregoretti e una misterica formula chimica di Andrew Lerwill, ingegnere inglese in scienze della conservazione. 
 Già col titolo della mostra Germania und Italia, l’artista tedesco Michael van Ofen annuncia che egli ha finalizzato il suo viaggio artistico in Italia per proporre in termini di indagine formale il rapporto che il suo lavoro ha costantemente intrattenuto con la storia. La storia che van Ofen evoca in questi nuovi quadri è quella dei legami e delle analogie che hanno accomunato Germania e Italia; o meglio, del parallelismo che ha accompagnato i due paesi durante la seconda metà dell’Ottocento nel loro processo di formazione nazionale.
Nelle opere proposte, l’artista si rifà a quadri dell’Ottocento tedeschi e italiani o a riproduzioni d’epoca di tali quadri, per fondare concettualmente la propria iconografia su referenti che convertono in rovine la memoria di eventi che hanno segnato il destino di due società, rovine la cui immagine si deposita e si disintegra sulla tela.

Luca Moscariello

Alla Galleria Bonioni Arte, personale di Luca Moscariello, a cura di Ivan Quaroni. Il titolo dell’esposizione “Sotto i cardi” fa riferimento ad una scena del romanzo “Così parlò Zarathustra” di Nietzsche, in cui il protagonista prende commiato dal mondo degli adulti per rifugiarsi sotto i cardi, dove giocano i bambini. Per Moscariello i cardi sono, infatti, metafora di una condizione interiore di grande creatività, lontana da valori precostituiti e false morali. In mostra, una ventina di opere inedite, parte della serie “La grammatica della polvere”, realizzata dal 2011 al 2013. Luca Moscariello, Margine quotidiano, 2013 cm.80x120 tm su tavola (foto Dario Lasagni)

78 - segno 246 | OTT/DIC 2013

Dall’alto verso il basso: Etienne De France, Celia Eslamieh Shomal, Negar Farajiani

RAGUSA

Chi controlla i controllori > Alla Galleria Clou “Chi controlla i controllori” è una mostra corale composta da artisti provenienti da nazioni dove il tema del “controllo” è centrale e continua ad essere argomento scottante e strategico: Etienne De France, Elisabetta Di Sopra (in collaborazione con Lisa Dies), Celia Eslamieh Shomal, Negar Farajiani, Errands, Neda Zarfsaz, con le loro opere ricompongono negli spazi della galleria un parlamento informale che discute, informa e dibatte sul concetto di controllo sino ad arrivare all’assioma che se esiste un “controllore” a maggior ragione esiste un “controllato”. Obiettivo primario di “Chi controlla i controllori” per Francesco Lucifora,

curatore della mostra, è quello di strutturare “una riunione di voci artistiche affidabili e salde” che ha la forza e l’efficacia di un dispositivo basato sull’opera video e su manifesti “politici” o meno incentrati su differenti modalità di comunicazione ai popoli o che trattano messaggi poco chiari con finalità di controllo.” In parallelo, il progetto espositivo appropriandosi temporaneamente di una modalità di comunicazione urbana ha esteso il progetto all’intera città di Ragusa collocando alcuni dei manifesti in mostra su pannelli pubblicitari dislocati nel tessuto della città, intervento che, da una parte ricalca la linea curatoriale del progetto e dall’altra intende conferire visibilità alle opere al di fuori dello spazio della galleria.

San Michele Arcangelo, Torino

Il tempo macchia e smacchia n una piccola chiesa dove si osserva ancora Irocca, il rito bizantino, nel cuore della Torino baè stata allestita una bella collettiva a

cui hanno partecipato un gruppo ristretto di artisti, alcuni già noti e affermati come i torinesi Maura Banfo e Paolo Leonardo e altri più giovani come Enrico Tealdi (1976) e la rumena Corina Cohal (1980). Chiude il cerchio Maura Banfo Marina Buratti (1960), fotografa alessandrina sensibile che in mostra ha proposto alcuni delicati lavori sviluppati a partire dalla tecnica dell’autoritratto. Lo spunto tematico – non proprio originale – intorno a cui è stata costruita la collettiva, a cura di cfr arte contemporanea, è il concetto di Tempo, nelle differenti accezioni di tempo storico, quotidianità, tempo interiore, memoria personale e collettiva. Ciascuno a suo modo, questi artisti hanno voluto interpretare le diverse azioni svolte dallo scorrere del tempo su luoghi, cose e persone, lasciando emergere l’aspetto emozionale,nostalgico e rassicurante legato all’atto del ricordare. Ciò non sorprende, anzi, conferma un’attitudine propria dell’arte del nostro tempo più a suo agio con la verticalizzazione del pensiero che con la lettura in prospettiva degli eventi. Maura Banfo reinterpreta liberamente i significati nascosti del mazzo dei tarocchi appartenuto alla sua famiglia, svelando in una serie di raffinati disegni a grafite su carta carbone, il senso del destino e la sua incidenza sul piano delle vicende quotidiane. Si sviluppano storie che sono persone, percorsi onirici e indefiniti che funzionano nella realtà come veicoli emozionali. Anche Marina Buratti, si appella alla storia della sua famiglia rivissuta attraverso fotografie su cui poi l’artista interviene con il disegno o con la tecnica del collage per sottolineare momenti salienti di quel periodo. Decisamente più pittorico e solo apparentemente distaccato, il lavoro su carta di Paolo Leonardo è la sommatoria di interventi su vecchie foto o cartoline d’epoca da cui prendono vita paesaggi liquidi in b/n dai contorni indefiniti, luoghi della suggestione più che della realtà, riprese in soggettiva dello spazio. Corina Cohal si rivolge allo spazio interiore per trarne immagini forti che, nella scomposizione irrazionale del corpo femminile, mettono a fuoco i momenti traumatici dell’appropriazione dell’identità personale. Infine Enrico Tealdi, per il quale la natura , il paesaggio e le cose sono sempre filtrati dal passaggio del tempo in un’azione di continua trasformazione che rende quegli stessi elementi “senza tempo”. (Gabriella Serusi)


attività espositive DOCUMENTAZIONE

Fiorella Rizzo, Naulo, 1991-93 dimensione ambientale

ROMA Fiorella Rizzo

Al Museo Carlo Bilotti, “In Oltre - Aldilà dell’oggetto” - è la realtà poetica di Fiorella Rizzo. La mostra, curata da Amnon Barzel, è un percorso espositivo che comprende sia le principali opere storiche sia i lavori più recenti dell’artista leccese, ma romana di adozione, e si configura come un vero e proprio viaggio alla scoperta dell’Io e al suo realizzarsi attraverso l’atto creativo che coincide con il processo “auto-creativo”. La sua ricerca, portata avanti da un trentennio, integra profondi concetti e idee alla conoscenza di materie e mezzi: terra, semi, vetri, plexiglas, fino a fotografie e video. L’arte, la vita e la storia sono per Fiorella Rizzo un territorio senza confini. Un’opera dell’artista del 1980, “Campana”, è esposta alla GNAM, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, nella sala 39/40 e già appartenente alla collezione del Museo.

Julian Opie

Da Valentina Bonomo, Julian Opie (Londra, 1958) propone la sua recente predilezione per i mosaici Julian Opie, Woman with a pony tail wearing dark glasses on top of her head, with a shoulder bag and stripes on her shoes, 2013. Man with dark glasses carrying a young boy with a Gap t-shirt, 2013.

insieme alle nuove opere “Walking Studios . I recenti ritratti, realizzati dal mosaicista Costantino Buccolieri a Roma, trasferiscono e traducono una immagine elaborata al computer in una antica tecnica per tradizione romana che in questa occasione ritorna al luogo d’origine. Nella serie di opere ‘Walking Studios’ Julian Opie esplora il mondo del quotidiano, cogliendo nelle azioni più banali delle persone in strada gli elementi significativi dei suoi lavori, arrivando all’essenza della forma attraverso un processo di minimalizzazione del segno. Ne scaturiscono opere che, seppure stilizzate, non perdono né in espressività né in peculiarità e la cui freschezza è esaltata anche dall’estrema immediatezza con cui si offrono allo spettatore. Definite “icone moderne” di una realtà generica e generalizzata, le opere dell’artista pongono alla ribalta problemi legati alla “psicologia della percezione e alla pratica della conoscenza” approfondendo l’ambiguo rapporto tra la realtà e il suo corrispettivo feticcio. Reso con la tecnologia digitale, il mondo di Opie è, di fatto, una meditazione sul gioco complesso fra la natura e l’artificio, tra il segno e la realtà osservata e sperimentata.

TORINO Quixote

Alla Galleria in Arco, è proposta una mostra a cura di Elio Cappuccio e Demetrio Paparoni, quale riflessione sulla figura di Don Chisciotte, con opere su carta espressamente realizzate da Wang Guangyi, Edward Hopper, John Lurie, Yue Minjum, Tony Oursler, Mimmo Paladino. I lavori esposti si inseriscono nel solco della vasta tradizione e testimonianza per un personaggio del ‘900 e il suo messaggio sperimentale.

TRENTO Jan Knap

Allo Studio d’Arte Raffaelli mostra personale dell’artista Jan Knap. Nelle opere in mostra si riflette il vissuto di Jan Knap, mentre il rigore formale e la presenza volumetrica provengono dalla sua formazione come scultore, così come l’iconografia peculiare dell’artista rimanda ai suoi studi di filosofia e teologia a Roma. Le opere in mostra confer-

mano una volta di più l’originalità e l’unicità della sua figura all’interno del panorama artistico contemporaneo. Con i colori crea un mondo che è reale e fantastico al contempo e le sue opere apparentemente ingenue e accattivanti, sottendono un duro lavoro di preparazione e una lunga ricerca che lo hanno portato a sviluppare nel tempo una nuova figurazione volutamente primitiva, fatta di scene di vita quotidiana e campestre, in cui alla semplicità e alla ricercata essenzialità si accompagna uno straniamento, che nasce dalla consapevolezza che tali ambientazioni e personaggi non appartengono al nostro orizzonte quotidiano. Catalogo con testo critico di Marina Mojana.

VARESE

Alla Galleria il Chiostro di Saronno, ciclo caratterizzato da tre personali per la nuova stagione, dove ad un artista storico, viene affiancato un artista contemporaneo e un artista che lavora con la fotografia. La serie di mostre intende evidenziare la natura del lavoro della galleria che ai primi di ottobre ha celebrato i venticinque anni di attività. Angela Madesani presenta questa prima triade di artisti accomunabili per coraggio sperimentale e visione formale. La serie di circa trenta disegni di Lucio Fontana e le fotografie di Arrigo Orsi sembrano corrispondersi nella similitudine dei segni grafici e nell’environnement spaziale. Volute e sagome si muovono libere sulla carta quando tracciate dalla matita del grande spazialista oppure giocate dall’occhio e dall’utilizzo della luce di Orsi, un dilettante dell’obiettivo nel senso saviniano del termine. Salvatore Astore traccia quindi il profilo di un forma assoluta, primordiale, senza tempo che prende le sembianze di una calotta cranica e di una volta celeste a richiamare l’ampiezza di queste tre ricerche da lui sintetizzate in una scultura umile e forte. Questa mostra è solo la prima di un percorso che già ha calendarizzato le future tappe: a dicembre Angelo Del Bon, Alfredo Casali e Mario Giacomelli formeranno un trittico affiancabile per corrispondenze iconografiche già notate da Chiara Gatti tra le singole opere scelte; le tre figure di spicco per l’appuntamento di primavera

saranno Mario Sironi, Elisabeth Scherfigg e Gabriele Basilico in un momento curato sempre da Angela Madesani quindi la futura stagione sarà aperta da una triade silenzionsa e potente con Giorgio Morandi, Luigi Ghirri e Andrea Facco.

VENEZIA

Bestiario contemporaneo Al Museo di Storia Naturale, la mostra Bestiario contemporaneo. Fra arte e scienze, a cura di Gemma De Angelis Testa e Giorgio Verzotti, con la direzione scientifica di Gabriella Belli ha riunito 30 lavori di 15 artisti contemporanei italiani, che dialogano con la collezione permanente di reperti di scienze naturali. Mario Airò, Rosa Barba, Vanessa Beecroft, Gianni Caravaggio, Maurizio Cattelan, Roberto Cuoghi, Lara Favaretto, Francesco Gennari, Sabrina Mezzaqui, Marzia Migliora, Adrian Paci, Paola Pivi, Luca Trevisani, Nico Vascellari e Francesco Vezzoli, sono accomunati dall’amore e dalla curiosità per la natura e dai suoi processi, in una tensione che conduce alla riflessione, alla provocazione, all’ironia. Nel lavoro di Vanessa Beecroft è evidente il richiamo alla forza generatrice della maternità e dell’origine africana della specie umana, mentre nell’opera di Paola Pivi, che ritrae due zebre su una montagna innevata e le espone nella “Galleria dei cetacei”, c’è una forte carica ironica. Sono “bestie” anche i protagonisti del lavoro di Maurizio Cattelan Love saves lifes (I musicanti di Brema), che ben si integra nella Collezione De Reali, dove s’incontrano animali impagliati: l’opera allude a un atto di rivolta, alla possibilità di salvezza grazie all’amore. Paola Pivi

L’Italia al contrario (o capovolta) nel blitz di Iginio de Luca

otte tra l’8 e il 9 settembre 1943. In seguito all’annuncio dell’armiN stizio tra Italia e forze alleate anglo-americane, il generale Badoglio, la famiglia reale e alcuni membri del Governo abbandonano Roma,

mettendosi in fuga. La stessa notte, nel 2013, Iginio de Luca affigge due manifesti giganti nella città capitolina. Si tratta della famosa foto dell’impiccagione di Piazzale Loreto, ma capovolta. “L’Italia al contrario (o capovolta)” proposta dall’artista – apposta simbolicamente a Piazzale Aldo Moro e nel quartiere “rosso” di San Lorenzo, davanti al palazzetto diroccato che avrebbe dovuto essere la sede della Casa della Memoria – nasce da una riflessione critica rispetto all’essenza stessa del Bel Paese. I volti di Mussolini, di Claretta e dei gerarchi, storpiati dalla morte, sembrano incassati nei corpi impegnati in un salto nel vuoto. Si tratta di uno stravolgimento che, seppur finzione, esprime in sé la raffigurazione della realtà di un Paese in preda a continui rimescolamenti, a storpiature del vero che conducono a situazioni comunque – ahinoi – verosimili. Il lavoro è un ritratto del Paese dai mille ribaltoni, ogni volta legittimati o legittimabili, dettati da un’indole umana che trova la sua origine lontano nel tempo, di certo più indietro del Ventennio, qui ripreso come momento di massima espressione di quell’attitudine morale che, oggi come allora, sembra farci cadere in un abisso invisibile. La denuncia – o meglio l’attacco sdegnoso – è nell’azione, nella scelta del giorno e del luogo, nella formula del blitz che è elemento costitutivo del progetto, la cui prima ragion d’essere è proprio la “guerriglia performativa”. Nel suo titolo rovesciato, il lavoro richiama L’Italia capovolta di Luciano Fabro, sebbene più che concentrarsi sul concetto di nazione, sembri riprendere la famosa discrasia di cui parlava Cavour, lasciando emergere l’impossibilità di coesione tra Italia e italiani. Il capovolgimento di Fabro è una riflessione sulla necessità di ridiscutere e rileggere l’identità nazionale attraverso un ribaltamento di prospettive; l’Italia capovolta di Iginio de Luca appare come l’amara denuncia di una partita persa, il ribaltamento è il nodo nel quale l’Italia (per colpa dei suoi figli) resta impigliata. Le molte “Italia”

del maestro dell’Arte Povera, appese, impiccate, ribaltate, raccontano uno sbandamento attraverso lo svuotamento di senso del simbolo, che sicuramente ha segnato la memoria di Iginio de Luca già da quando, ad esempio, ha modificato i manifesti elettorali di Monti, trasformando lo slogan “L’Italia che sale” in “L’Italia FOR sale” (si pensi a Italia all’asta di Fabro). Il passare del tempo e le ultime traversie del Paese lasciano però emergere nell’artista il desiderio di superare l’emblema nazionale – per lui inno e bandiera nei video Iailat e Manica a vento – per spingersi a sondare il pensiero umano che muove la società e la politica. (Federica La Paglia)

OTT/DIC 2013 | 246 segno - 79


Premio Vasto elle Scuderie di Palazzo Aragona a Vasto,

N la XLVI Mostra del Premio vasto d’arte contemporanea, raccolta nel titolo Oltre l’im-

magine. Le molte anime dell’astrazione nell’arte italiana a cura di Silvia Pegoraro. L’astrazione, come processo mentale caratterizzante il XX secolo in tutte le sue manifestazioni, dall’arte alla filosofia alle scienze, incarna la tensione della mente umana verso una visione sintetica e globale. Con l’astrazione, in arte, - scrive la Pegoraro in catalogo - si attua una rottura radicale nei confronti del codice naturalistico plurisecolare della tradizione figurativa occidentale: ciò che conta, qui, non è tanto la caduta dei riferimenti al mondo esterno, quanto il fatto che le regole del linguaggio visivo si fondino su elementi interni alla forma. Le vie per arrivare a questo sono molteplici, anche se possono forse ricondursi a due direzioni fondamentali: una espressivo-simbolica, che presta la massima attenzione agli aspetti emotivo-psicologici del colore e al ritmo prodotto dai rapporti di forze Licia Galizia, Onde

Teodosio Magnoni

in atto nel campo visivo, e che nasce con Kandinskij e Klee, ed una matematico-razionale, tendente alla massima rarefazione della forma individuata nella pura astrazione geometrica, che trova la sua prima espressione nell’arte moderna con Mondrian e Malevic. L’avanguardia si è però vista trasformare dai suoi epigoni in un mero riflesso dei propri valori più contingenti, entrando a pieno titolo nei territori della moda. L’arte è diventata spesso aggressione isterica ai sensi, tempo e forma sono diventati orpelli di un inconscio mediatico, che scorre in flussi indistinti d’immagini anestetizzate. Sembra quindi importante, oggi, ri-plasmare un’identità corporea, mentale e spirituale dell’arte, sia dal punto di vista degli artisti, sia da quello dei critici, i quali, data la radice essenzialmente filosofica della loro disciplina, sarebbero chiamati a mettere in luce i legami tra l’operare artistico e le ragioni più profonde del pensiero e dell’essere. In questa prospettiva - cocnlude la curatrice - cerca di collocarsi la mostra, assumendo un profilo insieme storico e attuale, e focalizzando l’attenzione dell’osservatore

su alcuni artisti - tutti viventi e operativi - del contesto italiano contemporaneo - dagli anni ’50 ad oggi - che, percorrendo la via articolata e plurivoca dell’astrazione, abbiano valorizzato l’opera nello stesso tempo come dominio della materia e dei sensi e come inedito mezzo visivo per approdare ai misteri dell’emozione e della cognizione umane. Gli artisti proposti: Carla Accardi, Marco Appicciafuoco, Gianni Asdrubali, Nanni Balestrini, Luigi Boille, Agostino Bonalumi, Nicola Carrino, Alfredo Celli, Ennio Ludovico Chiggio, Luciano de Liberato, Alberto Di Fabio, Emanuele Diliberto, Sidival fila, Licia Galizia, Giorgio Galli, Edoardo Landi, Sergio Lombardo, Carlo Lorenzetti, Teodosio Magnoni, Renato Mambor, Achille Perilli, Mauro Staccioli, Marco Tirelli, Claudio Verna, Antonella Zazzera, Gianfranco Zazzeroni. Claudio Verna

Ambasciata italiana, Bruxelles

BlummPrize

Art in progress | U40

siste un linguaggio capace di anticipare E l’agire umano. Quel linguaggio è l’arte che con la sua sensibilità è capace di capire,

interpretare ed esprimere quei bisogni di cambiamento apparentemente sopiti, ma destinati in realtà a pervadere le dinamiche sociali disperatamente alla ricerca di un nuovo equilibrio. Lo scopo del Blumm Prize, il premio d’arte contemporanea ideato dall’agenzia Pomilio Blumm che ha spento la sua prima candelina il 26 settembre nella splendida cornice dell’Ambasciata italiana di Bruxelles, è proprio questo: affidarsi all’arte perché armonizzi nuovamente il dialogo sempre più sordo e stonato tra cittadini e istituzioni. Un concetto che quest’anno è riuscita ad esprimere al meglio l’artista veneziana Maria Elisabetta Novello che con i suoi “Vasi Comunicanti” si è aggiudicata il primo premio, 9 mila euro in denaro, attraverso un’opera che, si legge nella motivazione, “ci ricorda dell’incessante circolo di decadimento e rigenerazione che pervade l’azione umana dando così un nuovo senso etico alla vita”, mentre a Michele Spanghero è andato il premio di 1000 euro come artista più votato dal web. A scegliere la Novello, tra i quaranta artisti under 40 di tutto il mondo invitati a partecipare, è stato il Comitato Scientifico composto dal presidente della Pomilio Blumm e chairman Franco Pomilio, dalla curatrice del Blumm Prize Martina Cavallarin, dalla curatrice aggiunta Simona Gavioli, dalla direttrice di DROME magazine Rosanna Gangemi, da Vania Gransnighi (Conservatore dei Musei di Udine e Casa Cavazzin), dalla giornalista esperta in comunicazione applicata della Arti Contemporanee Paola Marino e dal gallerista Rizziero Di Sabatino. Tutti gli artisti hanno esposto le Maria Elisabetta Novello, particolare opera vicitrice

80 - segno 246 | OTT/DIC 2013

Michele Spaghero premiato da Jung Chang e Martina Cavallarin

Ad libitum render

loro opere in Ambasciata alla presenza, oltre che dell’ambasciatore italiano in Belgio Alfredo Bastianelli, della scrittrice dissidente cinese Jung Chang. “Quello che cerchiamo di sviluppare è una nuova teoria del ‘cittadino consumatore’”, ha spiegato Franco Pomilio. “Per farlo – ha aggiunto - abbiamo scelto l’arte perché interpreta la realtà e la anticipa”. Il Blumm Prize non vuole dunque essere un semplice premio, ma un vero e proprio laboratorio in cui creare nuove forme di comunicazione istituzionale attraverso quella sensibilità propria dell’artista capace, come dimostra la Pop Art, di percepire gli umori sociali prima di tutti

gli altri. E mentre Bruxelles si prepara già alla seconda edizione del Blumm Prize a Bruxelles, riparte l’Art Award under 20 rivolto, questa volta, agli studenti dell’intero bacino mediterraneo e non solo a quelli italiani. Un’ulteriore testimonianza, questa, dell’attenzione che la Pomilo Blumm rivolge all’arte e alla sua capacità di tenere viva un’etica senza la quale non sarebbe possibile costruire il vivere civile. n Maria Elisabetta Novello e Martina Cavallarin


attività espositive DOCUMENTAZIONE

Premio Francesca Alinovi e Roberto Daolio li Amici di Francesca Alinovi (Renato

G Barilli, Alessandro Mendini, Loredana Parmesani, Jacopo Quadri), mentre si appreLe cinque finaliste del premio Max Mara, in alto Beatrice Gibson e Corin Sworn (Photo Alan Dimmick), in basso, da sinistra, Philomene Pireck, Melanie Gilligan, e Judith Goddard

Max mara art prize for women a giuria della quinta edizione del Premio in-

L detto dalla Collezione Maramotti di Reggio Emilia in collaborazione con Whitechapel Gal-

lery di Londra, presieduta da Iwona Blazwick e formata da Pillar Corrias (Pilar Corrias Gallery), Candida Gertler (Outset Contemporary Art Fund), Runa Islam (artista) e Lisa Le Feuvre (Henry Moore Institute) ha individuato la rosa delle cinque finaliste.
Si tratta delle artiste Beatrice Gibson, Melanie Gilligan, Judith Goddard, Philomene Pirecki e Corin Sworn.

Beatrice
Gibson è un’artista e cineasta che vive a Londra. Il suo lavoro esplora la relazione tra la composizione musicale e il cinema, in particolare la notazione musicale sperimentale.

Melanie Gilligan lavora a Londra e New York. Nelle sue opere video e performance, l’artista crea narrazioni drammatiche che esplorano i cambiamenti culturali, politici ed economici che trasformano le nostre vite.

Judith Goddard
vive e lavora a Londra. È una pioniera delle potenzialità del video e dell’immagine in movimento con una pratica trentennale. 

Philomene Pirecki
opera a Londra e lavora con svariati mezzi espressivi, quali la pittura, la fotografia, il disegno, la scultura, l’immagine proiettata e il linguaggio. Il suo lavoro esplora i concetti di memoria, tempo, percezione e le loro rappresentazioni.

 Corin Sworn
artista di Glasgow crea film e installazioni che esplorano il modo in cui gli oggetti possono veicolare racconti e storie. Spesso le sue opere sono create attraverso un reticolo complesso di riferimenti frammentati e memorie presunte. Il nome della vincitrice sarà annunciato a gennaio 2014.

ADDII

Il Carnet degli assenti nel mondo dell’Arte e della Cultura si è dolorosamente infittito, da inizio estate ad oggi, di nomi che qui vogliamo ricordare e salutare nella speranza che “chi vive nel cuore di chi resta non muore mai”! Rossana Bossaglia, professore di Storia dell’Arte Moderna all’Università di Pavia, ha legato il proprio nome allo Studio del Liberty (il primo libro “Liberty in Italia” è del 1968, cui seguirono molte altre prestigiose pubblicazioni d’arte fino a “La nave di Ulisse” del 2005) ed alla curatela di diverse mostre sul Liberty Italiano, osservato specialmente sotto il profilo architettonico. La sua scomparsa è una grave perdita per il mondo della cultura. Noi la ricordiamo con stima e gratitudine per i suoi preziosi contributi, e in particolare sul “Libery a Milano”. pubblicato su Segno negli anni Ottanta. Sul finire degli anni ‘70 Bologna era un crogiuolo di giovani intellettuali (critici, curatori, scrittori) tra cui spiccavano Roberto Daolio e Francesca Alinovi, entrambi operanti al fianco di Renato Barilli. Dopo la tragica scomparsa della Alinovi (nel 1983), Daolio (insieme a Barilli, Parmesani ed altri) istituì nel 1986 il “Premio Alinovi” riservato ai giovani artisti di allora. Lo rimpiangono gli amici e soprattutto gli allievi dell’Accademia di Belle Arti da lui sostenuti ed amati. Improvvisa e inaspettata la scomparsa di Paolo Rosa, leader del collettivo Studio Azzurro e pioniere assoluto in Italia dell’arte multimediale e interattiva. Per il Padiglione del Vaticano alla Biennnale di Venezia 2013, lo Studio Azzurro ha proposto un’opera sensoriale ispirata ai racconti della Genesi. Tra gli ultimi scomparsi, sono da ricordare Ronnie Cutrone straordinario protagonista della New Pop Art americana, e Giannetto Bravi un artista che tutti ricordiamo per la sua attenzione verso il mondo mediato dalla rappresentazione

stavano mestamente a ricordare il trentennale dalla scomparsa di Francesca dedicandole la 27ma edizione del Premio a lei intestato, sono stati dolorosamente colpiti dalla scomparsa di Roberto Daolio, stretto compagno d’arte di Francesca e per questa ragione membro fin dall’inizio di questa ristretta giuria. Hanno pertanto deciso concordi di aggiungere il suo nome a quello di lei e dunque di assegnare il Premio nel nome di entrambi, dando luogo a una nuova serie. Hanno pure deciso di integrare il quintetto cooptando Claudio Marra, amico di entrambi e attualmente il maggior rappresentante della storia dell’arte contemporanea all’Università di Bologna. Hanno pure deciso unanimi che, per solennizzare la pur triste occasione, il Premio dovesse andare a una personalità di alto e indiscusso prestigio, nel quadro dei valori della ricerca più avanzata in cui Francesca e Roberto hanno sempre creduto, pertanto la scelta è caduta su Maurizio Cattelan, il quale ha accettato, commosso anche lui da queste gravi perdite, e profondamente legato alla loro memoria. Per Cattelan vale più che mai la formula, poichè un nome così in vista non richiede commenti, egli costituisce oggi forse la personalità più internazionalmente affermata dell’arte italiana, in cui ha raccolto la preziosa eredità che fu già di Piero Manzoni e di Gino De Dominicis, come loro adottando il precetto di base dell’arte concettuale, che invita a inventare le occasioni nella mente, come brillanti, provocanti, sconvolgenti pensieri, quasi rinnovando la illustre tradizione barocca dell’arte dell’ingegno. All’idea segue poi la realizzazione, magari affidata all’intervento di abili maestranze capaci di dare corpo e materia alle invenzioni. Cattelan, quasi agli esordi, fu presente alla rassegna Anninovanta, tenutasi a Bologna e in alti centri emiliani, sistemando in uno spazio della allora Galleria d’Arte Moderna un calcetto gigante, con due squadre a manovrarne i comandi. Poi sono venuti i cavalli che sfondano le pareti, gli uccelli che hanno popolato le stanze di una Biennale, dove in alternativa delle volgari biciclette ordinaria e comune con uno spiccato senso dell’affezione per le storie ed i racconti del mondo della celluloide e di quelle figurazioni che hanno dato senso all’immaginario collettivo: dai collages delle cartoline illustrate (degli anni 70) alle grandi quadrerie di un “museo domestico”, fino alle tele fotografiche di “Cinema amore mio” (degli anni 90). Negli ultimi lavori si era cimentato con la scultura, producendo oggetti in metallo dorato come la “valigetta incatenata” che ci donò, dove sicuramente ha imprigionato per sempre i suoi sogni! È mancato lo scorso 1 agosto Antonio Marchetti nato a Pescara, città alla cui crescita culturale ha contribuito assieme ad un gruppo di intellettuali, artisti ed architetti della sua generazione. Ha vissuto ed operato a Fermo, poi a Ravenna (ove ha fondato la rivista “Stilo”, album d’arte con prestigiosi contributi) e quindi a Rimini. “Egli ancorava saldamente alla sua prima formazione di architetto - ha scritto di lui Virginia Cardi - le molteplici esperienze artistiche. Il progetto dell’opera, insieme alla necessità di testimoniare la storia del nostro tempo, furono i fondamenti della sua ricerca”. Con la più recente morte di Agostino Bonalumi il mondo dell’arte perde una delle figure più grandi. Compagno di Enrico Baj, Piero Manzoni, e soprattutto di Enrico Castellani, insieme al quale iniziò il percorso che lo ha reso celebre in tutto il mondo: la possibilità di estroflettere la tela, facendo diventare la bidimensionalità della pittura un oggetto scultoreo. Ci addolora la più recente scomparsa di Antonio Di Fabrizio (nato a Penne 79 anni fa e vissuto a Pescara), artista caro agli abruzzesi per la sua sensibilità artistica ed umana. Pittore da sempre legato ad una figurazione elegante e lieve, che, per dirla con Renato Barilli “ha sempre mantenuto i contatti con un certo realismo, ma ben deciso a non sottostare a volgari rigurgiti di naturalismo”. Infine ricordiamo un nostro amabile sostenitore, Veniero

sono state appoggiate a preziosi dipinti di Enzo Cucchi. E si dovrebbero menzionare pure tanti interventi sul corpo, quello vero di un gallerista appeso alla parete con lo scotch, quello di fanciulli virtuali impiccati a un albero, e lui stesso, Maurizio, che in formato lillipuziano si aggira in un museo, o vi appare sfondando il pavimento, in fuga da qualche carcere. Oppure ha proteso un dito monumentale in gesto di sfida e di sprezzo contro il Tempio di ogni rito attuale, la Borsa. E così via, sempre ideando, giocando, spiazzando, e forse pure per questa pur devota celebrazione che gli si dedica sta apprestando soluzioni argute e imprevedibili. Il Premio, anche se raddoppia di intestatari, resta ugualmente povero, affidato al karaoke dei doni che il vincitore di un anno rivolge al suo successore, questa volta toccherà a Davide Bertocchi, vincitore dell’anno scorso, adempiere a questo rito, semplice ma significativo.

Premio Terna uinta edizione del Premio Terna per l’ar-

Q te contemporanea. Un Premio… che “premia” con pubblicità diversi quotidiani e

decine di Riviste (ma non più la nostra, forse per criteri di… emarginazione sociale, cui è propriamente ispirato quest’anno il Premio…), sciupando oltretutto diverse risorse economiche per i soliti curatori e giurati, sia pure molto noti e prestigiosi, ma lasciando pochi spiccioli di premio ai 15 artisti finalisti, in mostra come di consuetudine al Tempio di Adriano a Roma dal 19 dicembre a metà gennaio 2014.

de Giorgi personaggio poliedrico eclettico ed eccentrico (editore, gallerista, fotografo e mecenate d’arte) pescarese. Appassionato delle tradizioni abruzzesi, ha curato, tra l’altro, raffinate monografie e “ridato vita” all’Illustrazione Abruzzese, mettendo insieme un archivio fotografico di rare e preziose testimoninaze.

Ronnie Cutrone (corrtesy Galleria Lorenzelli) Paolo Rosa

OTT/DIC 2013 | 246 segno - 81


Eugenio Maccagni - Rope Quoit

La scoperta della superficie I cantieri di restauro dell’ Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro presso l’Accademia Nazionale di San Luca di Roma i sono da poco conclusi, presso Palazzo Carpegna, sede dell’Accademia Nazionale di San Luca, i due cantieri diS dattici del Percorso Formativo Professionalizzante 1, Materiali

lapidei naturali e derivati; Superfici decorate dell’architettura e del Percorso Formativo Professionalizzante 4, Materiali e manufatti ceramici, vitrei, organici; Materiali e manufatti in metallo e leghe della Scuola di Alta Formazione dell’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro, diretta da Gisella Capponi. L’iniziativa è stata resa possibile grazie ad una convenzione siglata tra l’Accademia Nazionale di San Luca e l’ISCR, che ha permesso l’inserimento nei programmi didattici dell’Istituto, per l’attività pratica degli studenti della Scuola di Alta Formazione,

di sei sculture lapidee, tra cui due busti togati di epoca romana, e tre bronzee, opere della collezione dell’Accademia, che sono state restaurate dagli studenti dell’ISCR negli spazi borrominiani del chiostro di Palazzo Carpegna tra luglio e settembre. Le opere scelte, oltre ad una ampia documentazione storica e ad un’alta valenza estetica (molte di esse sono vincitrici di premi), presentavano tipi di degrado e alterazioni particolarmente interessanti ai fini didattici, come nel caso dell’ “Achille morente” di Filippo Albacini del 1854, che mostrava fatturazioni dovute ad una erronea movimentazione della statua, oltre ai danni dovuti dall’esposizione della statua agli agenti atmosferici, problema comune anche ad altre opere inserite nel programma di restauro, come ad esempio il “Ritratto di Filippo Albacini”, di Alberto Galli, del 1858, posizionato nel cortile di Palazzo Carpegna fin dallo spostamento dell’Accademia in questa sede nel 1934, che esibiva i segni di erosione dovuti al dilavamento dell’acqua, alterazioni cromatiche e la presenza di croste nere sulla superficie. L’interesse didattico di questo progetto non è legato semplicemente alle fasi operative del restauro, ma anche alla predisposizione del cantiere a cui hanno contribuito attivamente gli studenti, occupandosi sia degli aspetti logistici, come la

Eugenio Maccagni - Rope Quoit

Alberto Galli -Ritratto di Filippo Albacini

di Teresa Ianni e Fabrizio Ronconi

82 - segno 246 | OTT/DIC 2013


memorie d’arte RESTAURI

Sopra: Edoardo Muller - Ecco il Moccolo A destra: Eugenio Maccagni - Rope Quoit

gestione delle attrezzature e dei dispositivi di sicurezza, sia di quelli organizzativi, come la formazione del gruppo di lavoro, che vede la collaborazione di più figure, ognuna con le sue competenze specifiche, composto da uno storico dell’arte, dagli esperti scientifici, da un fotografo e dai docenti che seguono gli studenti anche nella fase di documentazione grafica del restauro. Il cantiere ha inoltre dato la possibilità agli studenti di mettere a punto le loro conoscenze e le loro capacità diagnostiche e risolutive, mettendosi a confronto, spesso per la prima volta, con opere di grande scala, interessate da molteplici problematiche, potendo riportare alla luce e studiare da vicino i segni delle tecniche di esecuzione delle sculture. Da un punto di vista teorico, il tema centrale delle operazioni di restauro è stato quello dell’individuazione dell’oggetto del restauro stesso, e nello specifico, del trattamento delle superfici e delle patine. Seguendo il noto assioma di Cesare Brandi, fondatore dell’Istituto Centrale per il Restauro, oggi ISCR, per il quale “si restaura solo la materia dell’opera d’arte”1, si pone il problema della definizione di tale materia, dal momento che questa “rappresenta contemporaneamente il tempo e il luogo dell’intervento di restauro”2. Se la patina rappresenta infatti il sedimentarsi del tempo sull’opera, il problema della sua eventuale rimozione è legato non soltanto alla possibilità di mantenere la “storicità” dell’immagine, ma anche al carattere della patina stessa, se questa costituisca un tutt’uno con l’opera, come nel caso delle patine dei bronzi, nei quali il processo di ossidazione e di “assestamento” è spesso previsto dallo stesso artista, o se questa sia costituita dal sedimentarsi fisico di materiale organico o inorganico sulla superficie, che non solo ne ostacola la percezione dell’immagine, ma ne danneggia la sostanza e la durata. La ricerca è stata quindi finalizzata non tanto a riportare l’opera al suo antico splendore, ma nell’individuare quello strato tra il supporto e i sedimenti del tempo, la patina, che merita di essere conservato per tutelare la natura dell’opera d’arte, dotata sempre in questa visione brandiana, di una “duplice polarità tra l’istanza storica e l’istanza estetica”. L’individuazione della superficie da preservare è particolarmente difficile nei bronzi, dato che la patina costituisce uno strato limite, “una struttura policristallina, spesso stratificata, interallacciata con la struttura microcristallina del metallo sottostante e costituita prevalentemente dai prodotti di corrosione degli elementi di lega, in equilibrio dinamico con il metallo e con l’ambiente circostante, contenente talvolta importanti informazioni tecnologiche, residui di antichi protettivi e strati originali di qualificazione superficiale”3. Le operazioni di restauro e l’individuazione della superficie originariamente “voluta” sono infatti rese difficili dai prodotti della corrosione che si formano a contatto con l’ambiente, che variano in base al tipo di leghe, all’esposizione delle superfici alle intemperie, e ai vari trattamenti di pulitura, ripatinatura e protezione susseguitisi nel tempo. Particolarmente significativi di tali problematiche sono stati i restauri dei bronzi presenti nel cortile dell’Accademia: “Il Fauno” di Michele La Spina, del 1899, “Rope quoit” di Eugenio Maccagnini del 1906, ed “Ecco il Moccolo” di Edoardo Müller del 1895. Le 1 C. Brandi, “Teoria del restauro”, Roma 1963. 2 C. Brandi, op. cit. 3 M. Marabelli, V. Basilissi, “Le patine dei metalli: implicazioni tecniche, pratiche, conservative”, in S. Rinaldi (a cura di), L’arte fuori dal museo. Problemi di conservazione dell’arte contemporanea, Roma 2008.

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dal blocco di marmo grezzo, alla prima sbozzatura dell’immagine, fino alla sua conclusione, rappresentata dal nudo della scultrice, perfettamente compiuto e levigato, che incarna appunto “La Scultura”. Le “Summer Schools” dell’ISCR, oltre ad aver riportato al loro splendore le opere restaurate, hanno permesso una supervisione da parte dell’Accademia nell’opera di conservazione e salvaguardia del proprio patrimonio storico-artistico, contribuendo contemporaneamente a rimarcare la ripresa da parte di questa antica istituzione della propria vocazione didattica, cessata nel 1873, a seguito dell’annessione di Roma al Regno d’Italia. Infatti, fin dalla sua fondazione nel 1593 da parte di Federico Zuccari, l’Accademia di San Luca si pose come obiettivo l’istruzione artistica dei giovani, italiani e stranieri, che intendevano perfezionarsi a Roma nello studio delle arti, con l’istituzione dell’insegnamento del disegno presso l’antica sede, accanto alla chiesa di San Luca e Martina, reso ufficiale durante il periodo del governo francese nel 1810. Negli ultimi anni si sta assistendo, da parte dell’Accademia, ad un recupero del suo originario ruolo di guida culturale, con una maggiore attenzione per la didattica, sempre alla ricerca di un equilibrio tra l’approccio teorico e quello operativo. Ripercorrendo il variegato programma didattico dell’accademia degli ultimi due anni, si può notare come dall’anno accademico 2011-2012 sia iniziato un percorso sul tema “Segnare/Disegnare”. Segnare, riferito non solo all’ambito specifico del disegno dell’arte e dell’architettura, ma anche in rapporto alla parola, alla musica e alla scienza, analizzando le problematiche della comunicazione da un punto di vista prettamente semiotico, fino ad arrivare ad una vera e propria ermeneutica. Particolarmente interessante e significativo di un nuovo approccio, volto alla ricerca di un equilibrio tra tradizione e innovazione, tra teoria e pratica, questa nuovo ciclo di didattica si è articolato in quattro corsi: da “Primo Segnare”, a cura di Guido Strazza, con incontri sul tema del disegno e dell’espressione “segnica”, attraverso delle lezioni sull’arte dell’incisione ad acquaforte nei quali gli allievi hanno potuto cimentarsi con questa antica tecnica; passando per il disegno come strumento co-

Filippo Albacini - Amore filiale

Filippo Albacini - Achille morente

tre opere risentivano dell’esposizione agli agenti atmosferici e presentavano forti fenomeni di ossidazione superficiale, la cui rimozione ed il successivo ritocco cromatico ha permesso il riaffiorare dell’immagine nuovamente integra dell’opera. Nel caso del “Il moccolo”, il restauro ha inoltre permesso di scoprire una inusuale funzione della scultura, raffigurante una donna, in abiti di foggia ottocentesca, che tiene in mano una torcia. All’interno della statua, che veniva esposta durante i festeggiamenti in occasione del carnevale, è stata trovata una conduttura che probabilmente portava del gas dalla base all’estremità superiore della fiaccola, dalla quale fuoriusciva del fuoco. Per quanto riguarda il restauro delle opere lapidee, si è proceduto alla rimozione delle croste nere e dei sedimenti. Particolare è il caso dell’opera “La Scultura” di Adolfo Apolloni, il cui degrado era dovuto principalmente ad un attacco biologico che, oltre ad alterare il colore della superficie, ne comprometteva la conservazione. La sua rimozione ha permesso il riaffiorare delle tracce lasciate dagli strumenti usati nelle varie fasi di lavorazione del marmo, particolarmente interessanti se messe in relazione con il carattere didattico oltre che allegorico dell’opera, raffigurante una donna intenta nell’atto di scolpire una figura, che si intravede fuoriuscire da un blocco di marmo appena sbozzato. Oltre a riprendere il tema michelangiolesco del non finito e della scultura come “arte in levare”, l’opera ripropone il tema della creazione dell’opera come rivelazione, liberazione dell’immagine dal marmo che la contiene, quasi fosse intrappolata al suo interno, ma già esistente in potenza, solo in attesa di una sua epifania. Quest’opera descrive efficacemente tutte le fasi della scultura, 84 - segno 246 | OTT/DIC 2013


memorie d’arte RESTAURI

noscitivo, critico e interpretativo dell’opera d’arte nella storia, tema del corso “Segnare disegnare interpretare. Un itinerario nella storia”, a cura di Marisa Dalai Emiliani, con una lezione del filosofo Giorgio Agamben; proseguendo con “Segnare il Paesaggio”, a cura di Paolo Portoghesi, dove la nozione di paesaggio è stata indagata in diversi ambiti disciplinari, dalla letteratura alla storia, dalla filosofia all’agricoltura, dal paesaggio urbano al restauro, alla fotografia e alla politica con interventi di Piero Citati, Fausto Bertinotti, Franco Purini, Aimaro Oreglia d’Isola, Laura Thermes, Giacomo Marramao; fino ad arrivare a “Memoria/Progetto di Memoria Musei, città, paesaggio”, a cura di Francesco Moschini, incentrato sul tema delle relazioni tra le “memorie” e le forme di comunicazione e di conservazio-

ne nella contemporaneità, con interventi, tra gli altri, di Paolo Rosa e Franco Farinelli. Tutti i corsi si sono articolati in due fasi, la prima, più teorica, con lezioni e dibattiti aperti al pubblico, la seconda, dal carattere più operativo, con laboratori didattici e sopralluoghi, cercando di coinvolgere non solo gli addetti ai lavori, quanto piuttosto un pubblico sempre più vasto e giovane, provando ad abbandonare quel carattere di segretezza dell’accademia, come algido tempio della cultura, a favore di una maggiore apertura verso il territorio e la contemporaneità. Apertura questa, che non rappresenta tanto una sovversione della storica istituzione, quanto piuttosto un ritorno alle origini, al vero carattere dell’Accademia che è stata sempre innovativa e propositiva nei confronti delle arti. n

Michele La Spina - Fauno

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