Segno 247

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segno Spedizione in abbonamento postale Poste Italiane S.p.A. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 ROC · Registro degli operatori di comunicazione n. 18524 - ISSN 0391-3910 00 in libreria

€ 5.

Anno XXXIX

GEN/MAR 2014

247

Attualità Internazionali d’Arte Contemporanea

GETULLIO ALVIANI

MANUELA BEDESCHI

LUCIO FONTANA

CATERINA ARCURI

GIANCARLO LIMONI




miart 2014 - international modern and contemporary art fair 28-30 march 2014

fieramilanocity entrance viale scarampo gate 5 pav. 3 - milan www.miart.it Under the patronage of

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#247 sommario

segno Spedizione in abbonamento postale Poste Italiane S.p.A. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 ROC · Registro degli operatori di comunicazione n. 18524 - ISSN 0391-3910 00 in libreria

€ 5.

GEN/MAR 2014

gennaio/marzo 2014

247

Anno XXXIX

# 247 - Gennaio/Marzo 2014

Attualità Internazionali d’Arte Contemporanea

GETULLIO ALVIANI

LUCIO FONTANA

MANUELA BEDESCHI

CATERINA ARCURI

GIANCARLO LIMONI

Lucio Fontana Getulio Alviani Giancarlo Limoni Manuela Bedeschi Caterina Arcuri in particolari esposizioni

Bill Viola [15]

segno Attualità Internazionali d’Arte Contemporanea

in copertina

di evidenza culturale

6/14 News gallerie e istituzioni Enzo Cucchi [22]

Agenda Mostre & Musei in Italia e all’Estero a cura di Lisa D’Emidio e Lucia Spadano

Roberto Pietrosanti [38]

Arte propositiva a Londra (Luciano Marucci pag 15) Bill Viola in Italia (Gabriella Serusi pag. 16 -17) Quarant’anni d’artecontemporanea - Massimo Minini 1973-2013 (Simona Olivieri pag 17) La seduzione del monocromo (Simona Caramia pag. 18) Riflessioni su Mattia Preti (di Ghislain Mayaud pag.19) Sahej Rahal (Intervista acura di Ilaria Piccioni pag.20-21) Enzo Cucchi (a colloquio con Francesca Alix Nicoli pag.22-23) Occasione per un bilancio su Transavanguardia e Anni Ottanta (di Francesca Alix Nicoli pag. 22-25) Getulio Alviani e Anna Franceschini (Maria Letizia Paiato pag.26-29) Camere XIX (Paolo Balmas pag.28-30) - Anselm Kiefer (Stefano Taccone pag.31) Attersee - Nitsch “Duetto per Napoli” (Stefano Taccone pag.31) Lucio Fontana - Catalogo ragionato delle Opere su carta - intervista al curatore Luca Massimo Barbero (Ilaria Piccioni pag.32-33) - Steve Riedell (Stefano Taccone pag.34-35) Osmosis (Paolo Aita pag.34-35) - Moataz Nasr (Giuliana Benassi pag.36-37) Roberto Pietrosanti (Lucia Spadano pag.38) - Ubaldo Bartolini (Lucia Spadano pag.39) Pino Pinelli (Lucia Spadano pag.39) Giancarlo Limoni - Natura naturata, Un ripercorso di oltre vent’anni (Francesco Maggiore pag.40-43) Caterina Arcuri (Teodolinda Coltellaro pag.44-45) Ulrich Erben (dal testo di P.Weiermair pag.46-47)

Manuela Bedeschi (Maria Lucia Ferraguti pag.48-49) Ion Koman “Figure disperse” (E.Di Mauro pag.50) Omar e Michelangelo Galliani ( Raffaella Barbato pag.50-51) Antonio Paradiso (Maria Vinella pag.51) Arte Natura Poesia, Un museo a cielo aperto a Morterone (Daria Ghirardini pag.52-53) Le attrazioni del collezionismo (Giuliana Benassi pag.54-55) Gino Natoni (Intervista a cura di Giuliana Benassi pag.54-55) Stanze d’aria, Studio Visit (Maria Letizia Paiato pag.56-57) Fiorella Rizzo (Paolo Balmas pag.56-57) - Michele Zaza (Giuliana Benassi pag. 58) Rita Vitali Rosati (Linda Gezzi pag.59-61) - Paolo Bini (Maria Letizia Paiato pag.58-59) Annamaria Suppa (Antonella Marino pag.62) - Nelio Sonego (Simona Olivieri pag.62-63) Pistoletto in Edicola Notte (Giuliana Benassi pag.63) - “U panaru” (Paolo Aita pag.64)

Ulrich Erben [46]

news e tematiche espositive su www.rivistasegno.eu

& documentazione 15/64 attività espositive / recensioni

/ Concorsi 65/74 Osservatorio Editoriale/ Libri Memorie d’arte a cura di Lucia Spadano e Umberto Sala

Wang Guangyi [66]

Il bello, il buono e il cattivo - Il nuovo libro di Demetrio Paparoni (Elio Cappuccio pag.65) Stefano Taccone - La contestazione dell’arte (pag.65) Paolo Aita - Accanto al meno (pag.65) L’universo teologico e politico di Wang Guangyi nel nuovo libro di Huang Zhuan (Elio Cappuccio pag.66-67) PinTower - Concorso fotografico nelle intertpretazioni della nuova Milano (pag.68-69) Aperti per restauri (di Fabrizio Ronconi e Teresa Ianni pag.70-73) Je est un autre, L’Io espresso dall’arte non può riguardare solo il ciclo produttivo (di Gabriele Perretta pag.74)

segno

periodico internazionale di arte contemporanea

Direzione e redazione Corso Manthonè, 57 65127 Pescara Telefono 085/61712 Fax 085/9430467 www.rivistasegno.eu redazione@rivistasegno.eu

Direttore responsabile LUCIA SPADANO (Pescara) Condirettore e consulente scientifico PAOLO BALMAS (Roma) Direzione editoriale UMBERTO SALA

ABBONAMENTI ORDINARI E 25 (Italia) E 40 (in Europa CEE) E 50 (USA & Others)

Soci Collaboratori e Corrispondenti: Paolo Aita, Raffaella Barbato, Giuliana Benassi, Simona Caramia, Lia De Venere, Anna Saba Didonato, Marilena Di Tursi, Matteo Galbiati, Antonella Marino, Luciano Marucci, Francesca Nicoli, Cristina Olivieri, Rita Olivieri, Simona Olivieri, Maria Letizia Paiato, Ilaria Piccioni, Gabriele Perretta, Gabriella Serusi, Stefano Taccone, Antonello Tolve, Piero Tomassoni, Paola Ugolini, Stefano Verri, Maria Vinella.

ABBONAMENTO SPECIALE PER SOSTENITORI E SOCI da E 300 a E 500 L’importo può essere versato sul c/c postale n. 15521651 Rivista Segno - Pescara

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>news istituzioni e gallerie< Ettore Spalletti

MAXXI Roma, GAM Torino, MADRE Napoli alla collaborazione di tre importanti istituzioni pubbliche italiane. il MAXXI di Roma, D la GAM di Torino, e il MADRE di Napoli, nasce l’i-

niziativa di rendere omaggio ad Ettore Spalletti, uno dei protagonisti dell’arte italiana del nostro tempo. Le tre mostre, che prendono avvio il prossimo mese di marzo, costituiscono i capitoli di un ideale viaggio in Italia che toccherà Torino, Roma e Napoli e sono state tutte concepite dall’artista in stretto dialogo con la specificità di ciascun contesto museale. Prese nel loro insieme, le mostre racconteranno tutti gli aspetti dell’opera di Spalletti – dalla pittura alla scultura fino alle installazioni ambientali – all’interno di percorsi espositivi che prevedono opere storiche, recenti e inedite, annullando l’idea di approccio crono-

logico all’arte e al modo di raccontarla. Ciascuna mostra inaugurerà a poche settimane di distanza l’una dall’altra, in una scansione temporale che vede al MAXXI le grandi installazioni ambientali più recenti e altre concepite appositamente per questa occasione, alla GAM un’ampia selezione di opere provenienti dallo studio dell’artista e da importanti collezioni private e al MADRE un articolato excursus storico che ripercorre l’avventura creativa di Spalletti, dai suoi esordi alla metà degli anni Settanta fino ad oggi. La collaborazione tra GAM, MADRE e MAXXI è accompagnata da una pubblicazione edita da Electa che ripercorre l’intera carriera dell’artista, con testi critici inediti di Carlos Basualdo, Danilo Eccher, Gabriele Guercio, Anna Mattirolo, Gloria Moure Cao, Alessandro Rabottini, Andrea Viliani. Il catalogo include anche un’ampia antologia di testi che, pubblicati tra il 1991 e il 2006, ripercorrono alcuni tra i momenti più significativi della letteratura critica sull’opera di Spalletti. Ettore Spalletti, Installazione al MADRE di Napoli

Statue calde

Museo Marino Marini Firenze mostra Le statue calde. Scultura – corpo – 1945-2013, curata da Simone MeneLgoi aazione, e Barbara Meneghel, fa parte del ciclo Early

One Morning, una rassegna dedicata alla scultura ed alla sua interpretazione dagli anni Sessanta ad oggi, curata da Alberto Salvadori, direttore artistico del Museo Marino Marini. Gli artisti presentati: Alis/Filliol, Monica Bonvicini, Claudia Castellucci, Gianni Colombo, Gabriele Devecchi, Ugo La Pietra, Eva Marisaldi, Marcello Maloberti, Piero Manzoni, Giovanni Morbin, Bruno Munari, Gianni Pettena, Marinella Pirelli, Michelangelo Pistoletto, Franz Erhard Walther, Gilberto Zorio, Italo Zuffi Fino all’8 marzo 2014.

Luciano Fabro, Macchie di Rorschach, 1976 Acrilico su carta a mano, carta e inchiostro, assemblaggio, cm 56 x 76. Collezione privata Foto: Annalisa Guidetti e Giovanni Ricci, Milano

Luciano Fabro Diosegno in-Opera Foligno, CIAC

Gillo Dorfles, Ieri e oggi

Gillo Dorfles

Milano, Fondazione Marconi Fondazione Marconi propone, fino al 22 una mostra incentrata sulle opeLre diafebbraio Gillo Dorfles, poliedrica personalità del

panorama artistico e culturale contemporaneo. Si tratta di una rassegna incentrata sugli ultimi trent’anni della sua produzione, costituita nel suo complesso da una cospicua serie di tecniche miste su cartoncino (pennarello, acrilico, acquarello), ceramiche e sculture che l’artista esegue con rinnovata ispirazione e di cui la mostra offre una selezione attraverso trenta opere tra acrilici su tela, ceramiche e una scultura di grandi dimensioni, realizzata quest’anno con smalti policromi. In mostra si ritrovano le atmosfere inquiete e grottesche (Capovolgimento, 1993), le figure metamorfiche delineate dall’intensità del nero (L’orecchio di Dio e Simbiosi di esseri, 1996), i tipici personaggi emblematici, ora inquietanti e indagatori (Due simbionti, 2008), ora ironici e giocosi (Il giocoliere, 2006). Anche nei recentissimi acrilici su tela (Circonvoluzione, 2011; Strega marina, 2012; Letargo, 2013) riappare lo stesso mondo immaginario di Dorfles, popolato da forme pure e primitive.

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’intitola “Disegno In-Opera” la mostra che il Ciac di Foligno dedica, dal 15 febbraio al 13 S aprile a Luciano Fabro, tra i massimi esponenti

dell’Arte Povera. Realizzata in collaborazione con la GAMeC - Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, dove è stata aperta fino allo scorso 6 gennaio e curata da Giacinto Di Pietrantonio, Italo Tomassoni e Bruno Corà in collaborazione con Silvia Fabro e l’Archivio Fabro, l’esposizione accoglie per la prima volta in Italia un ricco nucleo di disegni dell’artista, lavori che godono di un’autonomia e di un grado di libertà particolari anche rispetto la stessa disciplina e che si confermano parte integrante e irrinunciabile del corpus dell’opera di Fabro. Il percorso espositivo accoglie oltre 100 disegni che, come suggerisce il titolo della mostra, presentano tipologie e funzioni differenti: essi, infatti, non sono strettamente “progettuali, ovvero preliminari alla realizzazione di opere, bensì disegni intesi come pratica alla base del processo creativo che conduce alla genesi di un’idea o come mezzo per trasmettere messaggi; disegni in cui è esplicito il riferimento alla scultura e disegni come campo di indagine e di sperimentazione. E ancora disegni come forme - aperture, buchi e fori - grazie alle quali Fabro indaga e attraversa lo spazio aperto da Lucio Fontana, che in quegli anni era punto di riferimento per gran parte dei giovani artisti. Lavori realizzati in più di quarant’anni che presentano segni autonomi, esercizi di segni che Fabro realizzava e regalava ad amici e parenti.

Gianni Pettena, Wearable Chairs Minneapolis, USA 1971-02. Courtesy l’artista

Ugo La Pietra, Il Commutatore 1970 Courtesy Archivio Ugo La Pietra Gabriele Devecchi, Scultura da prendere a calci


>news istituzioni e gallerie< Bologna

Artefiera e Art City

ltre 170 le gallerie che si propongono ad ArteFiera, in una rinnoO vata edizione in 5 sezioni proposta

The Glamour of Italian Fashion 1945-2014 Londra, Victoria and Albert Museum

a mostra di primavera del V&A, The Glamour of Italian Fashion 1945-2014, è il primo granLde evento museale ad esaminare il ricchissimo

e influente apporto dell’ Italia al mondo della moda a partire dalla fine della Seconda Guerra mondiale ad oggi . Il curatore della mostra - dal 5 aprile al 27 luglio 2014 - è Sonnet Stanfill, curatore del 20 ° secolo e della moda contemporanea del V&A, la cui collezione è designata come “collezione nazionale del Regno Unito” ed è una delle più grandi e complete del mondo. Nella rassegna si potranno ammirare circa 100 ensemble e accessori di importanti case di moda italiane tra cui Dolce & Gabbana, Giorgio Armani, Gucci, Missoni, Prada, Pucci, Valentino e Versace, per arrivare fino alle nuove generazioni di talenti, tra le quali troviamo couture di Giambattista Valli, audaci ready-to-wear di Fausto Puglisi ed il lavoro del nuovo duo di designer di Valentino, Maria Grazia Chiuri e Pier Paolo Piccioli. Sarà evidenziata inoltre la creatività di personaggi influenti, ma meno ricordati, come le sarte del dopoguerra le Sorelle Fontana e Mila Schön, assieme ad innovatori di design quali Walter Albini. Sponsor principale della mostra è Bulgari.

Emilio Vedova, De America ‘76 idropittura, carboncino, pastello, sabbia e tela su tela 206x196

Emilio Vedova De America. Pitture 1976-1977

Galleria dello Scudo, Verona esposizione documenta per la prima volta nella sua completezza il ciclo De America L’ realizzato da Vedova a Venezia tra il 1976 e il 1977 e viene accompagnata da una pubblicazione a cura di Germano Celant, Direttore artistico della Fondazione Emilio e Annabianca Vedova che collabora nella realizzazione del progetto. Nel volume, edito da Skira, viene condotta, con contributi di critici di rilievo internazionale e di specialisti di storia contemporanea, una attenta ricostruzione dell’esperienza “americana” di Vedova e una puntuale analisi della complessità del contesto politico-sociale e artistico negli Stati Uniti in rapporto a quello europeo dopo la seconda guerra mondiale.

dai direttori artistici Claudio Spadoni e Giorgio Verzotti. Sezioni confermate, quali Solo show (con piccole monografie di grandi artisti del contemporaneo), e Nuove Proposte (riservato a gallerie che presentano artisti nati dopo il 1979). Le nuove sezioni, articolate per un collezionismo più specifico, sono costituite da gallerie il cui mercato è orientato su artisti della seconda metà dell’800, mentre una intera sezione è dedicata alla fotografia d’autore con una selzione di gallerie specializzate segnalate dal direttore di MIA Milan Image, Fabio Castelli, con cui BolognaFiere ha concordato un accordo pluriennale. Una sezione particolare è quella dedicata all’arte dell’Est Europa e Cina. Una serie di eventi - spiegano i due direttori - gestiti con Bologna SH Shanghai Contemporary, quale inizio di collaborazione di un prossimo futuro. La sezione delle gallerie dell’Est Europa è un primo tentativo di portare a Bologna nuovi artisti non ancora riconosciuti in Italia, mentre all’esterno della Fiera, al Museo Civico Archeologico viene estesa una grande mostra dedicata agli artisti dell’Est europeo, a cura di Marco Scotini, proposta con il titolo Il Piedistallo vuoto. Fantasmi dall’Est Europa con opere di 40 artisti già presenti in alcune collezioni private italiane. “Ma non sarà una mostra sulla nostalgia del passato – sottolinea il curatore Marco Scotini che da anni segue con interesse i rappresentanti di questa congiuntura artistica con esposizioni di ricerca e di successo internazionale – sarà invece una mostra che già dal titolo racconta un mondo ancora vivente, una potenzialità”. Allo stesso tempo, spiega il curatore, allude a un momento di attesa e di passaggio, ai fantasmi che lo popolano, a qualcosa che ritorna ma ancora non c’è stato. Questi gli artisti: Marina Abramovic, Vyatscheslav Akhunov, Victor Alimpiev, Pawel Althamer, Evgeny Antufiev, Janis Avotins, Said Atabekov, Miroslav Balka, Mircea Cantor, Gintaras Didžiapetris, Thea Djordjadze, Petra Feriancova, Yona Friedman, Dmitry Gutov, Ion Grigorescu, Igor Grubic, Petrit Halilaj, Lukáš Jasanský e Martin Polák, Ilya e Emilia Kabakov, Július Koller, Jiri Kovanda, Elena Kovylina, Robert Kuśmirowski, Armando Lulaj, David Maljkovic, Vlado Martek, Yerbossyn Meldibekov, Ivan Mikhailov, MoAA (Dorothy Miller), Ciprian Muresan, Deimantas Narkevicius, Roman Ondak, Adrian Paci, Tobias Putrih, Anri Sala, Kateřina Šedá, Nedko Solakov, Monika Sosnowska, Tamas St. Auby, Miroslav Tichý, Jaan Toomik, Victor Man, David Ter-Oganian e Alexandra Galkina, Goran Trbuljak, Artur Zmjewski. In mostra opere da collezioni autorevoli, tra cui la Fondazione Sandretto, Fondazione Nicola Trussardi, Collezione Enea Righi, Collezione La Gaia di Torino, Collezione Maramotti, Collezione Unicredit, Collezione Gemma Testa, Collezione Consolandi, Collezione Agiverona, Fondazione Morra-Greco, Collezione Cotroneo, Collezione Vittorio Gaddi, Fondazione Videoinsight.

el weekend di Arte Fiera, ART CITY Bologna è il tradizionale N programma di mostre in numerose

gallerie private della città e iniziative culturali istituzionali che vede la collaborazione tra Comune di Bologna e BolognaFiere. Al MAMbo, La Grande Magia. Opere scelte dalla Collezione UniCredit a cura di Gianfranco Maraniello e Walter Guadagnini, in collaborazione con Bärbel Kopplin (curatrice della Collezione HypoVereinsbank – UniCredit Bank AG). Oltre 90 lavori in mostra raccontano la magia come “trama” ricorrente nella storia dell’arte, coprendo un arco di tempo che va dal Cinquecento ai giorni nostri. Magia quale trasformazione della materia vivificata in opera d’arte, come capacità di possedere la realtà in immagini, come forza simbolica di un sapere non scientifico che interviene sul mondo tangibile, magia quale forma di seduzione per lo sguardo. Il percorso parte dai lavori più antichi, tra cui Psiche abbandonata da Amore (1525) di Dosso Dossi e Aracne tesse la tela (meglio conosciuta come L’Indovina, 1660 ca.) di Antonio Carneo, posti in dialogo con una scelta di libri “magici” coevi, per arrivare a quelli di artisti contemporanei delle ultime generazioni – da Christian Marclay a Grazia Toderi, da Markus Schinwald a Clare Strand, fino a Elina Brotherus, Jeppe Hein, Beate Gütschow e Hans Op de Beeck - passando per maestri come Gustav Klimt, Giorgio de Chirico, Fernand Léger, Edward Weston, Kurt Schwitters, Yves Klein, Arnulf Reiner, Georg Baselitz, Gerhard Richter, Peter Blake, Christo, Günter Brus, Mimmo Jodice, Gilberto Zorio, Giulio Paolini, Richard Long, Candida Höfer, Giuseppe Penone, Fischli e Weiss e Shirin Neshat. L’omaggio a Morandi a cinquant’anni dalla scomparsa è affidato alle mostre di Tacita Dean e Rachel Whiteread. Nella sala video Collezioni Permanenti del MAMbo, Tacita Dean, con The Studio of Giorgio Morandi, propone due straordinari film , girati dall’artista britannica nello studio che fu di Giorgio Morandi: Still Life e Day for Night. In Still Life, girato in bianco e nero, appaiono linee che si intersecano fitte sui fogli di lavoro dell’artista, che tracciava a matita le esatte posizioni degli oggetti che avrebbe dipinto. Morandi studiava minuziosamente le possibili variazioni della composizione, annotandole con segni e lettere sui grandi fogli di carta che avvolgevano il suo tavolo di lavoro: i contorni si sovrappongono e incrociano dando vita a un disegno complessivo tanto straordinario quanto involontario. Attraverso tali tracce, trascurate e dimenticate, Tacita Dean racconta l’opera di Morandi, ricostruendone la costanza e il rigore delle fasi preparatorie. In Day for Night (2009), gli oggetti accumulati e conservati nello studio diventano i protagonisti: scatole, vasi, contenitori di forme diverse, fiori di stoffa, lattine, pentole, bottiglie. Tacita Dean decide di filmarli come Morandi non li avrebbe mai dipinti: non potendone cambiare la posizione, li inquadra al centro del fotogramma come all’interno di una cornice, affidandosi quasi al caso nel dare vita a composizioni arbitrarie e non studiate. Nelle immagini di Tacita Dean si ritrovano alcune qualità degli oggetti che caratterizzano i GEN/MAR 2014 | 247 segno - 7



>news istituzioni e gallerie< Bologna Art City

Setup, Brassesco & Passi - Fairy book-A

dipinti di Morandi, ad esempio la loro opacità, o la percezione della polvere che li ricopre. Ma si scopre anche come l’artista intervenisse sulle cose per renderle aderenti a ciò che avrebbe voluto vedere e, di conseguenza, dipingere.

Setup

opo il felice esordio della prima edizione, SetUp 2014 si ripropone D più ricca di novità. Capitanata da Si-

mona Gavioli e Alice Zannoni, affiancate da un comitato scientifico composto da Lorenzo Bruni, Daria Filardo ed Helga Marsala. La location della fiera (23-26 gennaio) è sempre l’Autostazione di Bologna con una metratura più ampia per accogliere nuove gallerie. Viene anche quest’anno riproposto Il Premio SetUp ed il programma culturale rimane una colonna portante della manifestazione (curato da Martina Cavallarin con l’assistenza al progetto di Matteo Rudolf Di Gregorio

ed il coordinamento di Alice Zannoni) con un focus che individua il tema della riqualificazione (sociale, urbana, collettiva, morale) indotta dalla cultura come motivo di stimolo. Rinnovato negli artisti ma non nel concept, Il Ricreatorio, spazio di interazione sociale attraverso l’arte con un’istallazione inedita di Nino Migliori, Andrea Bianconi e le carte da gioco degli Ori Editori. Il Gruppo di Giovani Imprenditori di Unindustria Bologna ha fortemente voluto affiancarsi alla seconda edizione di “SetUp Art Fair. Impresa e Arte”, due realtà affini per spirito innovativo e sensibilità, hanno deciso di stabilire una sinergia puntando sui giovani talenti: giovani con giovani, Young&Young è, infatti, il progetto comune che riunisce le due realtà. I Giovani Imprenditori col presidente Gian Guido Riva consegneranno il «Premio SetUp» il 25 gennaio ed organizzeranno il «Contemporary Party» nella Piazza coperta dell›Autostazione durante la White Night di ArteFiera.

> Art forum contemporary Via dei Bersaglieri 5 Federica Gonnelli Virginia Panichi ‘Il corpo che abito’ > Galleria Cinquantasei Via Mascarella 59b Virgilio Guidi / Bruno Saetti ‘Due vite parallele tra Bologna e Venezia’ > Galleria De’ Foscherari Via Castiglione 2b Nunzio, opere recenti > Galleria Di Paolo Arte Gall.Falcone Borsellino 4a/b Franco Tosi ‘Synaesthesis’ > Galleria Enrico Astuni Via Iacopo Barozzi 3 d/e/f Opere di Carla Accardi, Sandro Chia, Aldo Mondino, Luigi Ontani, Luca Pozzi. > Galleria Forni Via Farini 26 Nicola Nannini ‘Passaggio a Krumau. Omaggio a Schiele’

> L’ariete Artecontemporanea Via D’Azeglio 42 Beth Moon fotografa americana > Galleria d’arte Maggiore Via D’Azeglio 15 Paladino, Leoncillo, Matta, Chia > (Galleria +) Oltredimore Via del Porto 48 a/b Mattia Barbieri ‘Vedute. The New Fragrance’ > Otto Gallery Via D’Azeglio 55 Franco Guerzoni ‘Archeologie senza restauro’ > P420 Piazza dei martiri 5/2 Goran Trbuljak artista croato > Spazio Testoni La 2000+45 Via D’Azeglio 50 Caroline Le Méhauté ‘Silent’ > Galleria Stefano Forni Piazza Cavour 2 Gianriccardo Piccoli ‘Inside.Tracce da un filo’ > Galleria Studio G7 Via Val D’Aposa 4a Franco Guerzoni ‘Archeologie senza restauro’

Galleria Paola Verrengia Padiglione 25 Stand B/52

ARTISTI: Mrdjan Bajic - Emanuela Fiorelli - Michelangelo Galliani, Paolo Grassino - Luigi Mainolfi - Rebeca Menéndez - Paolo Radi Rosy Rox - Barbara Salvucci - Amparo Sard

Rebeca Menéndez, Senza Titolo, Lambda print su dibond, 2012, 130x110 cm GEN/MAR 2014 | 247 segno - 9


>news istituzioni e gallerie< BOLOGNA

• Museo Internazionale e Biblioteca della Musica, Grazia Toderi Luci per K.222 • Museo Magi 900, Pieve di Cento, Trentuno artisti cinesi: Ding Wei, Fan Bo, Gao Weigang, Guo Gong, Guo Yan, Guan Jingjing, He Duoling, Jia Zhenyao, Kang Jianfei, Li Gang, Li Hongbo, Li Songhua, Li Yongzheng, Liang Kegang, Liang Shaoji, Liu Chuanbao, Ma Liang, Ren Zhitian, Shao Fan, Shao Yinong, Shi Jinsong, Tan Xun, Shi Hengbo, Xiao Xiao, Xiao Yu, Wang Huangsheng, Wei Qingji, Yang Ming, You Liangcheng, Yu Fan, Zhang Fan.

BRESCIA

• Galleria Massimo Minini, John Isaacs

FIRENZE

• Base, Progetti per l’arte, Franco Vaccari • Patrizia Pepe, Capalle, Daniel Gonzàlez

GENOVA

• Fondazione Remotti, Camogli, Nam June Paik, The future is now. John Isaacs, Blocco di marmo di Carrara Galleria Massimo Minini, Brescia

Nam June Paik, Fondazione Remotti, Camogli (Ge)

Bologna, Studio Cloud. Mostra “Annunciatori. Il pensiero forte di Carlo Cattelani.” Nell’immagine la sua partecipazione all’azione di Hermann Nitsch.

MILANO

• Triennale Milano, 40 anni della Galleria Massimo Minini • Pirelli HangarBicocca, Micol Assael • Repetto Projects, Bonalumi, • Geometrie di luce / Progetti • Studio d’Arte Cannaviello, Sophia Schama • Fondazione Mudima, Daniel Spoerri / Andrea Oscar Braendli • Galleria Raffaella Cortese, Alejandro Cesarco • Galleria Giacomo Guidi, Maurizio Mochetti • Galleria Il milione, Christiane Beer / Elena Modorati • Galleria Milano, Carl Grossberg • Francesca Minini, Alice Ronchi • A.Colombo arte contemporanea Carlos Donjuan / Marta Sesana • Galleria Rubin, Alex Pinna • Jerome Zodo Contemporary, A Gentle collision

NAPOLI

• Castel dell’Ovo, C.Ludwig Attersee, Hermann Nitsch • Museo MADRE, Pàdraig Timoney

PALERMO

• Galleria Francesco Pantaleone, Stefania Galegati

PESCARA

• Museo d’Arte Moderna, Gigino Falconi, Antologica • Galleria Vistamare, Getulio Alviani / Anna Franceschini

PIACENZA

• Placentia Arte, Andrea Contin

PORDENONE

• Associazione la roggia, Silvia Lepore

REGGIO EMILIA

• Galleria Bonioni Arte, Collettiva.

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>news istituzioni e gallerie< BASILEA

Alejandro Cesarco, Galleria Cortese, Milano

• Museum fur gegenwartskunts, Charles Ray sculptures

BERLINO

Carl Grossberg, Composition mit grosse turbine copy Galleria Milano, Milano

• Buchmann Galerie, Richard Serra • Galerie EIGEN+ART Leipzig, Kai Schiemenz, Melora Kuhn, Mirjam Volker, Lada Nakanechna, Kristina Schuldt • Carlier/Gebauer, Mark Wallinger • Galerie Eigen+Art, Five young artists: Kai Schiemenz, Melora Kuhn, Mirjam Volker, Lada Nakonechna, Kristina Schuldt • Paolo Erbetta Gallery, Michele Giangrande • Alexander Ochs Galerie, Lu Song • Galerie Thomas Schulte, Robert Mapplethorpe

BERNA

• Zentrum Paul Klee, The trip to Tunis.
Klee, Macke, Moilliet, (14 march to 22 june)

BRATISLAVA

Andrea Contin, Flamechains. Placentia Arte, Piacenza

• Nadine Gandy Gallery, Ibro Hasanovic • Open Gallery, Amnesia: Viktor Kòtun, Navid Nuur, Monika Pavlechovà, Smetana, Ino Varvariti

• Galerie Albemrta Pane, Bruno Kladar & Joao Vilhena • Galerie Piece Unique, David Bowes

GINEVRA

• MoMA PS1, Mike Kelley • Leo Castelli Gallery, Robert Morris • David Zwirner Gallery, Yayoi Kusama, AD Reinhardt • Gagosian Gallery, Richard Serra, Willem De Kooning, Y.Z.Kami • Hauser & Wirth, Roni Horn, Martrin Creed • New Museum, Chris Burden • Jack Shainman Gallery, Brad Kahlhamer • Pace Gallery, Ilya & Emilia Kabakov, Raqib Shaw • Mike Weiss Gallery, Kaoruko • Monitor, Temporary Gallery, Francesco Arena e Claudio Verna • Rooster Gallery, Joseph Beuys Process 1971-1985

• Galerie Analix Forever, Jeanine Woollard • Galerie Bernard Ceysson, Jan Van Oost • Ribordy Contemporary, Anne Hilbrand

INNSBRUCK

• Dal 20 al 23 febbraio, Art Innsbruck 18ma Fiera Internazionale di arte contemporanea

LONDRA

Gerardo Dottori, Gialli-violetti 1923 Galleria Russo, Roma

LECCE

• PrimoPiano Gallery, Urban Storyteller, 15 artisti in mostra.

LECCO

Lin Tianmiao, The Proliferation of Thread Winding, 1995 Galerie Lelong, Parigi

• Daniel Blau Gallery, A talk by Anne Howeson • Alan Cristea Gallery, Michael Craig-Martin • Simon Lee Gallery, David Ostrowski • Lisson Gallery, Christian Jankowski • Gagosian Gallery, Victoire de Castellane • Pace Gallery, James Turrell • Anthony Reynolds Gallery, Lewis Klahr • Ronchini Gallery, Tameka Norris

NEW YORK

• Galleria Melesi, Simona Uberto

ROMA

• GNAM, Attraverso Rodin. Scultura italiana del primo novecento • MACRO, Sala Bianca, Giulio Paolini • Palazzo delle Esposizioni, Anni ‘70. Arte a Roma • Annamarra Contemporanea, Fabrizio Corneli • The Gallery Apart, Collettiva Subterfuge • Giacomo Guidi Arte Contemporanea, Maurizio Nannucci • Gagosian Gallery, Kathryn Andrews/Alex Israel • Galleria Marie-Laure Fleisch, Alain Huck • Studio Arte Fuori Centro, Marcello Rossetti • Pio Monti, Baldo Diodato • Galleria Russo, Gerardo Dottori

TORINO

• Fondazione Merz, Alfredo Jaar • GuidoCosta projects, Peter Friedl dénouement • Galleria In Arco, Crewdson - Wegman • Tucci Russo Studio, Torre Pellice, Giuseppe Penone / Jan Vercruysse

VENEZIA

• A plus A, Centro Espositivo Sloveno Collettiva di giovani designer sloveni del Gruppo Pop-un: Nina Mršnik, Nuša Jelenec, Mina Arko, Marko Marovt, Tilen Sepič, Jurij Lozić, Maša Ogrin, Tina Špat, il collettivo Grupa, Andraž Tarman, Gašper Premože, Jaka Verbič, Sergej Grabnar, Klemen Košir, Barbara Markež Ogrič, Zoran Purgerčar, Miha Artnak, Žiga Aljaž, Žiga Artnak, Studio Oblique, Ada Hamza, Luka Pirnat, Urška Petrič, Naja Lampe, Blaž Habjančič, Handmade in Moste, Trapez, Ondu e Vandalimorale. • Galleria Michela Rizzo, Sebastiano Mauri • Galleria Massimodeluca, Mestre, Gjusi Perrotta e Elisa Strinna

VERONA

• Studio La Città, Paolo Icaro

VICENZA

• Valmore Studio d’arte, Francesco Guerrieri

Chris Burden, Extreme measures. New Museum, New York. Photo: Benoit Pailley Christian Jankowski, Lisson Gallery, Londra

LOS ANGELES

• Aran Cravey Gallery, Guy Yanai • Leslie Sacks Fine Art, Shane Guffogg • Kopeikin Gallery, Kevin Cooley & Phillip Andrew Lewis

LUGANO

• Buchmann Galerie, Laurence Carroll, Back to the Cave

LUSSENBURGO

• Galerie Clairefontaine, Steve McCurry

MADRID

• Galeria Liebre, Bartozs Beda • Galeria Elba Benitez, Ignasi Aballì • Galeria Espacio Minimo, Susan Collis

MARTIGNY

ST.MORITZ

• Galerie Andrea Caratsch, De Chirico / Warhol, John Armleder

TOKYO

• Gallery Side 2, Michelangelo Consani

VIENNA

• ESSL MUSEUM, Deborah Sengl • Galerie Ernst Hilger, Andreas Leikauf • Mario Mauroner Contemporary Art, Salzburg, Alfred Haberpointner

ZURICH

• Galerie Andrea Caratsch, Dokoupil new foam paintings.

Michelangelo Consani, Gallery Side 2, Tokyo

• Fondation Gianadda, fotografie anni 50 di Léonard Gianadda

MUNCHEN

• Galerie Kluser, Jorinde Voigt

PARIGI

• Galerie Chantal Crousel, Mona Hatoum, José Maria Sicilia • Galerie Karsten Greve, Cy Twombly • Galerie Lelong, Lin Tianmiao GEN/MAR 2014 | 247 segno - 11


Marcello Pecchioli Tiziano Popoli


ACCARDI ALVIANI ASDRUBALI BONALUMI CASTELLANI CHIGGIO DORAZIO JORI LANDI MAINOLFI

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MarcH 6-9, 2014

piers 92 & 94 new york city

tHearMorysHow.coM

ella sua sedicesima edizione, The Armory Show di New York ospiterà N oltre 200 gallerie provenienti da 29 paesi che presentano una serie di importanti opere moderne e contemporanee. La fiera 2014, che si terrà dal 6 al 9 Marzo, coinciderà con l’apertura della Biennale del Whitney. In linea con la sua missione di fornire un intelligente piattaforma dinamica per le gallerie emergenti e affermate, The Armory Show dedicherà una sezione speciale del Pier 94, dal titolo Armory Focus: Cina. La fiera lancerà anche la prima edizione inaugurale di Presents Armory, una nuova sezione dedicata alle gallerie con meno di dieci anni di attività. Come ogni anno, la fiera è divisa in 2 grandi sezioni. The Armory Show – Contemporary, ospitata al Pier 94, conferma la presenza di espositori come David Zwirner (New York, Londra), Sprüth Magers (Berlino, Londra), Galerie Eva Presenhuber (Zurigo), Massimo De Carlo (Milano, Londra), Lisson Gallery (Londra, New York, Milano), GALLERIA CONTINUA (San Gimignano, Pechino, Le Moulin), Kerlin Gallery (Dublino), Marianne Boesky Gallery (New York), Luciana Brito Galeria (San Paolo), Sean Kelly (New York), Victoria Miro (Londra), Praz-Delavallade (Paris), and Sies + Höke (Dusseldorf). Eccellente anche la lista dei nuovi espositori Lehmann Maupin (New York, Hong Kong), Galerie Thaddaeus Ropac (Parigi, Salisburgo), Almine Rech Gal-

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lery (Parigi, Brussels), James Cohan Gallery (New York, Shanghai), Sikkema Jenkins & Co. (New York), Galería Elvira González (Madrid), Galerie Peter Kilchmann (Zurigo), Edwynn Houk Gallery (New York, Zurigo), 1301PE (Los Angeles), Aurel Scheibler (Berlin), Galeria Nara Roesler (San Paolo), Alison Jacques Gallery (Londra), Galleria Lia Rumma (Milano, Napoli), Ratio 3 (San Francisco), CRG Gallery (New York), and Zach Feuer Gallery (New York). The Armory Show – Modern al Pier 92 è dedicata alle gallerie internazionali specializzati in opere significative del ventesimo secolo. L’elenco include gallerie come Marlborough Gallery (New York), Galerie Thomas Modern (Monaco), Galleria d’Arte Maggiore G.A.M. (Bologna), Alan Cristea Gallery (Londra), Marc Selwyn Fine Art (Los Angeles), Simon Capstick-Dale Fine Arts (New York), James Goodman Gallery (New York), Pace Prints (New York), Michael Rosenfeld Gallery (New York), Moeller Fine Art (New York, Berlino), Kunsthandel Joerg Maass (Berlino), Allan Stone Gallery (New York), Valerie Carberry Gallery (Chicago), Galerie Bergamin (San Paolo), Maxwell Davidson Gallery (New York), e Mayoral Galeria d’Art (Barcelona). Curated booths Continuando la sua missione di migliorare la qualità delle presentazioni della galleria e l’esperienza del visitatore, olo-show e mostre tematiche saranno presenti in entrambi i Pier. Questi includono: Iñigo Manglano - Ovalle presentato congiuntamente dalla Galerie Thomas Schulte (Berlino) e Christopher Grimes Gallery ( Santa Monica), Fernanda Gomes a Allison Jacques Gallery (Londra); Serge Alain Nitegeka a Marianne Boesky Gallery (New York); Elena del Rivero alla Galería Elvira González (Madrid); Scoli Acosta a Laurent Godin (Parigi); Atsushi Kaga alla Mother’s tankstation (Dublino); Jurgen Drescher alla Mai 36 Galerie (Zurigo); Lyonel Feininger presso Moeller fine Art (New York, Berlino); Wayne Thiebaud da Allan Stone Gallery (New York); Whitestone (Tokyo) presenterà una selezione il gruppo Gutai, Mazzoleni Galleria d’Arte (Torino), REPETTO (Acqui Terme), Galleria d’Arte Maggiore GAM (Bologna) mostreranno opere in gran parte inedite, provenienti dai movimenti dell’Arte Povera e Transavanguardia; Galeria Bergamin (Sao Paulo) e Galeria Raquel Arnaud (Sao Paulo) mostrernno opere brasiliane che emergono dai movimenti costruttivisti e neoconcrete; rare opere di Sol LeWitt da James Barron Art LLC (Roma), e una

speciale selezione di disegni e studi ad olio precedentemente non disponibili di Josef Albers provenienti dalla Fondazione Josef e Anni Albers a Alan Cristea Gallery (Londra) . Armory Presents Da quest’anno assume un nuovo nome la sezione Solo Projects, una sezione della fiera dedicata alle presentazioni di singoli artisti di giovani gallerie. Armory Presents ha ampliato il campo della missione originale concedendo spazio espositivo aggiuntivo e maggior risalto alla sezione. Inoltre i progetti includeranno ora il lavoro di un massimo di due artisti così da riflettere la programmazione di queste gallerie internazionali d’avanguardia. I partecipanti includono Ani Molnár Gallery (Budapest) con le opere di Dénes Farkas e ATHR Gallery (Jeddah) con Ahmed Mater e Nasser Al Salem, che rappresentano i primi due gallerie al The Armory Show provenienti da Ungheria e Arabia Saudita, inseme a CLEARING (Brooklyn, Bruxelles) che propone Harald Ankart; mor.charpentier (Parigi) con Maria Jose Arjona e Teresa Margolles; Travess Smalley Pictures superiore (New York); Jessica Dickinson a James Fuentes (New York), di Grant Barnhart e Jeffry Mitchell a AMBACH & RICE (Los Angeles), Jessica Silverman Gallery (San Francisco) mostrerà Hayal Pozanti e Klaus Merkel e Nicolás Guagnini alla Galerie Max Mayer (Düsseldorf). Armory Focus La sezione curata di The Armory Show su Pier 94 evidenzia la galleria e il panorama artistico di una regione geografica prescelta. Per la quinta edizione Philip Tinari, direttore del Centro Ullens per l’Arte Contemporanea di Pechino, curerà Armory Focus: Cina, splendente di nuova luce sulla pratica culturale contemporanea del paese. In riconoscimento del dinamismo della scena artistica cinese, The Armory Show presenterà un’entusiasmante selezione di 17 gallerie, molte delle quali espongono al di fuori dell’Asia per la prima volta, tra cui Beijing Commune (Pechino) che mostra Zhao Yao, una presentazione collaborativa di Zhang Ding da Galerie Krinzinger (Vienna) e ShanghART (Shanghai, Pechino, Singapore), Egli Xiangyu a Spazio Bianco (Beijing); Chambers fine Art (Pechino, New York) presenta Zhao Zhao, Chen Shaoxiong, Wang Luyan, e Zhao Liang a Pekin Fine Arts (Pechino, Hong Kong); Madein (Shanghai) mostrando Lu Pingyuan e Nadim Abbas alla Galleria EXIT (Hong Kong).


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Londra

Arte propositiva a Londra di Luciano Marucci

li ultimi mesi dell’anno sono stati di notevole interesse per quanti partecipano agli appuntamenti della Serpentine GalG lery di Londra. Durante la Frieze week si poteva ancora apprezza-

re il padiglione temporaneo progettato dall’archistar giapponese Sou Fjimoto: una funzionale struttura aerea, trasparente, con moduli bianchi in metallo e in cristallo, che faceva pensare a una nuvola magicamente scesa dal cielo. Poco più in là, nella sede istituzionale della “Serpentine”, era allestita una consistente retrospettiva di Marisa Merz alla quale è stato riservato un doveroso omaggio dopo l’assegnazione del Leone d’Oro alla carriera nella scorsa Biennale di Venezia. Percorrendo un breve tratto nel verde di Hyde Park, si arrivava alla Serpentine Sackler Gallery, ex polveriera ottocentesca ormai abbandonata che, trasformata in spazio espositivo, inaugurata con una vasta installazione del giovane argentino Adrián Villar Rojas (Rosario 1980), salito alla ribalta dopo la partecipazione, nel padiglione del suo Paese, alla 54esima Biennale di Venezia e a dOCUMENTA (13) di Kassel. All’ingresso un grande elefante di argilla forzava una trave portante della costruzione, mentre l’interno totalmente modificato dall’artista, ridava vita a una sorta di deposito museale con scaffalature stipate di manufatti artistici in creta e componenti eterogenee; reperti archeologici del contemporaneo che davano corpo a misteriose ibridazioni tra organico e tecnologico. Il tutto su un pavimento di posticci mattoni rossi che al passaggio dei visitatori diffondevano un delicato tintinnio. Attaccata alla “Sackler” spiccava l’aerodinamica costruzione bianca, ideata da Zaha Hadid - dalle forme che armonizzavano con l’ambiente naturale - adibita a conferenze e a caffetteria. Lì si è tenuta, a cura di Simon Castets e Hans Ulrich Obrist, la “89plus Marathon” dell’arte, dedicata a Richard Hamilton (scomparso di recente). Era incentrata sui creativi della cosiddetta “Diamond Generation”, nati nell’anno della caduta del muro di Berlino (1989) e successivamente, che operano soprattutto con le nuove tecnologie. All’esplorativa manifestazione sono intervenuti famosi artisti e intellettuali di vari ambiti disciplinari: dalla Hadid agli artisti Gilbert & George, Olafur Eliasson, Carsten Höller; dal matematico dell’Università di Oxford Markus Du Sautoy allo scrittore canadese Douglas Coupland, al curatore americano Kevin McGarry e a tanti altri. La maratona questa volta non si esauriva nei due giorni degli incontri, giacché il progetto, a lungo termine, prevede la formazione della mappa di una generazione che solo ora comincia a far sentire la propria voce. Rientrava nel calendario delle iniziative la proclamazione dei vincitori del Premio Sandretto Re Rebaudengo Serpentine Grants alla prima edizione. Patrizia Sandretto, nella relazione, dopo aver ricordato che la sua passione per l’arte è nata una ventina di anni fa proprio a Londra, ha illustrato l’attività della Fondazione da lei presieduta a Torino con la direzione artistica di Francesco Bonami. Il riconoscimento è andato all’italo-tedesco Riccardo Paratore (1990) per il video “Belonging” e al duo americano Niko Karamyan (1992) e Tierney Finster (1991) per il video “Can We Talk”, i quali hanno ricevuto una consistente somma di denaro per la realizzazione di opere che verranno esposte nel 2014 presso la Fondazione stessa. Fino ai primi di febbraio nelle due “Serpentine” sono visitabili: la più grande esposizione londinese dell’artista egiziano Wael Shawky (tra i più interessanti del Medio Oriente), che analizza storia, cultura, effetti della globalizzazione nelle società contemporanee in un mix di realtà e finzione, e la mostra “Come and See” di Jake & Dinos Chapman, con opere che, spazian-

do dalla pittura al disegno, all’incisione, alla scultura e al cinema, mettono a fuoco la loro poetica fondata sull’espressione estrema post-human, provocatoria, a volte irriverente e non priva di humor nero. La “Serpentine”, che è certamente una delle istituzioni più dinamiche e propositive del panorama internazionale, riesce a presentare con continuità le più significative ricerche di artisti dalla forte identità. Ha già diramato il programma primavera-estate che comprende personali di Haim Steinbach (opere degli anni Settanta e altre provenienti da collezioni pubbliche e private inglesi) e del designer italo-londinese Martino Camper. A seguire Marina Abramovic, che attuerà una performance residenziale (la prima dopo quella del MoMA del 2010) ed esibirà, in forma inedita, rappresentativi lavori della sua carriera. Come se non bastasse, ci sarà pure il giovane artista multimediale britannico Ed Atkins (1982) con film in cui, grazie all’esperto uso di particolari tecnologie, mescola citazioni scultoree, letterarie e cinematografiche, come si è visto ne “Il Palazzo Enciclopedico” dove aveva documentato creativamente la collezione di libri antichi, dipinti e oggetti tribali di André Breton, prima che fosse smembrata in un’asta. Con il nuovo anno sarà annunciato il nome dell’architetto incaricato di edificare il quattordicesimo padiglione estivo che animerà l’ambiente naturale e culturale del Parco. Qui, da luglio a settembre (ogni venerdì), si terrà Park Night con originali operazioni performative e incontri. Nelle vicinanze sorgerà anche una fontana commissionata al francese Bertrand Lavier: altro esempio di arte fruibile dal grande pubblico. Un nome per tutti: il diciottenne Nick D’Aloisio, inventore di un app, Summly, acquistato da Yahoo per 30 mln di dollari. n

Jake e Dinos Chapman, Come and See, veduta dell’installazione, Serpentine Sackler Gallery, Londra(© 2013 Hugo Glendinning) Wael Shawky, Installation view / veduta dell’installazione, Serpentine Gallery, Londra (© 2013 Hugo Glendinning)

A sinistra, Marisa Merz, Pink and Yellow (Rosa e Giallo), non datato, materiali vari e supporto di ferro, 184 x 148 cm (© Marisa Merz; courtesy Serpentine Gallery, Londra). In basso, la nuova costruzione progettata da Zaha Hadid accanto alla Serpentine Sackler Gallery (courtesy Serpentine Gallery).

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Torino, Mantova, Firenze

Bill Viola in Italia

l pari delle pop-star musicali, gli artisti internazionali più conosciuti e amati vanno in tour. Succede anche a Bill VioA la che, nell’ambito di un’iniziativa tutta italiana, si è proposto

in dicembre scorso in tre esposizioni e tre incontri esclusivi: a Torino (alla Gam con The Encounter), a Mantova (a Palazzo Te con The Raft un video di circa 10 minuti che racconta con una inquadratura fissa e immagini rallentate, la caduta e la resistenza di un gruppo di 19 personae in abiti dei nostri giorni mentre vengono investite da un violento getto dìacqua) e Firenze (Galleria degli Uffizi, ex Chiesa di San Pier Scheraggio con l’opera Self portrait-Submerged, che l’artista americano ha donato al museo fiorentino), incontrando naturalmente un variegato e attentissimo pubblico di studenti, artisti, giornalisti, curatori e direttori di museo. Bill Viola, astro imperituro della video arte contemporanea, ha oggi sessantatre anni incarnati in un corpo esile e pacato, per certi aspetti schivo. Come la maggior parte degli americani è incline a guardare la vita con proverbiale ottimismo, ma dalle sue parole trapela una meditata curiosità per i fatti dell’esistenza umana: dai più banali e ripetitivi gesti della quotidianità a quelli più straordinari o eccezionali nei quali è racchiuso il senso della natura umana. Artista colto e raffinato, Bill Viola comprese sin dagli anni settanta il potenziale linguistico insito nelle nuove tecnologie da cui fu subito attratto già da studente, contribuendo insieme ad altri artisti tra cui vale la pena ricordare almeno il coetaneo Gary Hill, a traghettare questo mezzo espressivo verso una nuova maturità. La relazione con lo spazio e quindi l’architettura, i meccanismi della percezione legati all’immagine video e quindi la relazione con lo spettatore, diventano nodi concettuali del suo lavoro intorno ai quali costruire uno “spazio-immagine” totale, immenso e luminoso, solo apparentemente immediato, capace di trasformare sia la percezione dello spazio sia quella dello spettatore. Sono nate così negli anni grandi video-installazioni, proiezioni multi schermo immerse nell’oscurità di un ambiente, dotate di un tale magnetismo narrativo in grado di rivaleggiare con l’immagine cinematografica e di trasformare la semplice visione in un’esperienza percettiva particolarissima e coinvolgente. I racconti visivi di Viola – tanto quelli nati dalla riflessione sulla fenomenologia della gestualità rituale del quotidiano, quanto quelli più aulici e citazionisti in cui l’autore evoca i grandi caposaldi visivi della storia dell’arte italiana – sono caratterizzati da un’aura misteriosa, un nocciolo interno fondamentalmente impenetrabile, mai fino in fondo comprensibile. Questo aspetto di sfuggente tangenza fra il reale e l’irreale , fra il possibile e l’immaginario si incardina perfettamente con le tematiche che l’artista ha inteso trattare nel suo percorso artistico e che giustamente alcuni hanno definito come una lunga “meditazione sui temi epici dell’esistenza umana”. Il corpo come soggetto e chiave di comprensione dell’identità sociale, la relazione uomomondo, i concetti di morte e rinascita, il viaggio come metafora dell’esistenza, il Tempo letto nella sua duplice natura di tempo interiore e di processo storico, scandagliato fino a evidenziarne gli aspetti di ritualità e ripetitività, sono temi ricorrenti in tutti i progetti dell’artista newyorkese. Fra la curiosità del pubblico, Viola ha raccontato con dovizia di particolari, la gestazione e le

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Bill Viola,
Self Portrait, Submerged, 2013. Video a colori in alta definizione su monitor montato verticalmente sul muro; suono stereo, 121.2 x 72.4 x 9 cm Photo: Kira Perov.

Bill Viola, The Raft, Maggio 2004. Installazione video/suono. Dimensioni stanza 9 x 7 x 4 metri. Proiezione a colori in alta definizione su muro (396.2 x 223 cm) in spazio oscurato; sistema surround. Performers: Sheryl Arenson, Robin Bonaccorsi, Rocky Capella, Cathy Chang, Liisa Cohen, Tad Coughenour, Tom Ficke, James Ford, Michael Irby, Simon Karimian, John Kim, Tanya Little, Mike Martinez, Petro Martirosian, Jeff Mosley, Gladys Peters, Maria Victoria, Kaye Wade, Kim Weild, Ellis Williams. Photo: Kira Perov.


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

motivazioni di molti suoi video considerati autentici capolavori della video arte, sottolineando tra le righe sempre l’aspetto imprescindibile della poesia insita in tutta la sua ricerca. Anche in questo ultimo lavoro, The Encounter/l’incontro si viene magicamente rapiti dalla semplicità (quell’immediatezza di cui si parlava sopra) della sceneggiatura del filmato e dall’intensità dei gesti su cui si struttura la performance dei corpi, amplificata dalla cifra stilistica del ralenti, tecnica mutuata dal cinema con cui lo spettatore può gustare ogni minimo passaggio, ogni espressione dei volti dei protagonisti. Sullo sfondo di uno sconfinato e silenzioso deserto, si vedono avanzare lentamente due figure maschili, forse padre e figlio. I due uomini dai lati minori dello schermo procedono verso il centro della scena fino quasi a sfiorarsi in un epico incontro, un momento di breve durata, fissato nella memoria di entrambi e in quella dello spettatore attraverso un primo piano dei volti. L’incontro dura pochi istanti e subito dopo i due corpi si allontanano nuovamente, procedendo ciascuno verso direzioni parallele. Dietro una struttura narrativa di grande immediatezza, The Encounter colpisce non soltanto per la bellezza delle immagini e per la naturalezza dei protagonisti ma soprattutto per la profondità poetica del suo messaggio, per la capacità di immedesimazione provata dallo spettatore nei

riguardi dei personaggi, come se quella scena fosse in realtà la virtualizzazione di un’esperienza universale e condivisibile da parte di tutti noi. Gabriella Serusi Bill Viola, The Encounter, 2012. Video a colori in alta definizione su monitor montato su muro; 92.5 x 155.5 x 12.7 cm; 19:19 minuti. Performers: Genevieve Anderson, Joan Chodorow. Photo: Kira Perov.

Triennale, Milano

Quarantanni d’artecontemporanea Massimo Minini 1973–2013

la prima volta che la Triennale invita per un’esposizione d’arte un gallerista privato, Massimo Minini, inaugurando È una mostra per festeggiare i quarant’anni di attività della sua

galleria. Pensata come una grande scatola dei ricordi e dedicata all’amico Gabriele Basilico, da poco scomparso, la mostra segue la poetica di Minini, il suo modo di vedere e pensare l’arte. Non opere in ordine tematico o cronologico né tantomeno alfabetico ma sistemate negli spazi del museo seguendo associazioni, pensieri e idee, con salti temporali, con avanti e indietro, con una serie di flash back che raccontano di un’attività ricca di curiosità e di occasioni prese e di altre perse, di artisti famosi e di artisti esordienti. Il suo è il racconto di una passione e non un accumulo di opere avvenuto negli anni. Il filo rosso che le unisce è quello degli incontri, degli scambi e delle esperienze, della passione di Minini per l’arte e l’architettura, del suo modo di sentire e vivere lo spazio. È una mostra da visitare senza fretta, osservando con attenzione l’allestimento, le opere e soffermarsi sui brevi racconti e aneddoti che le accompagnano, i “pizzini”, come li chiama Massimo Minini, che si sostituiscono alle solite didascalie e che non spiegano l’opera ma narrano esperienze di vita, sensazioni, impressioni, parlano di incontri e relazioni in un gioco continuo di rimandi tra passato e presente. Minini e la sua galleria sono parte integrante della recente storia dell’arte contemporanea, grazie a mostre di molti fra i più importanti artisti degli ultimi decenni, italiani e internazionali. Un vero e proprio spaccato di storia dell’arte raccontata in modo molto speciale, ironico e talvolta dissacrante. Ci sono i Maestri dell’Arte Concettuale, del Minimal e dell’Arte Povera, che consacrano l’inizio dell’attività del gallerista nel 1973. La mostra comincia con l’immensa opera di Jan Fabre, blu, piccoli segni di ravvicinati, che fa venir voglia di leggere ogni singolo tratto di biro tracciato su metri e metri di seta bianca. Affianco c’è l’opera di pelliccia bianca di NedkoSolakov davanti alla quale il pubblico è dapprima disorientato per poi inginocchiarsi e divertirsi a cercare di vedere la luna nel suo interno. E poi ci sono Carla Accardi con le sue raffinate calligrafie, Vanessa Beecroft non con foto di performance ma con grandi acquerelli, Luciano Fabro, Sol LeWitt, Anish Kapoor, Letizia Cariello, Ryan Mendoza, Richard Long… ci sono le opere site-specific realizzate per la mostra e allora in fondo alla prima sala si vede la luce arrivare dal giardino della Triennale filtrata dalle vetrate colorate che Buren ha firmato per l’occasione, oppure, nella seconda sala la grande parete con l’opera di Giulio Paolini, che è un omaggio al lungo rapporto con il gallerista. Minini ha una curiosità intelligente che lo porta a non dividere questa o quella esperienza artistica a non decidere che un’Arte sia più importante delle altre, come con la fotografia: « Quella per la fotografia - spiega - è una passione tardiva. È entrata in galleria con il grimaldello di Elisabetta Catalano». Minini conosceva di nome la grande fotografa ma solo alla fine degli Anni 90 acquistò alcuni suoi scatti. Seguirono tanti fotografi: Francesca Woodman, Mario Dondero, Mario Cresci, Gianni Berengo Gardin, Nino Migliori, Luigi Ghirri, Ugo Mulas, Letizia Battaglia, Olivo Barbieri, Roger Ballen e Gabriele Basilico e così di fotografie è costellato il percorso che unisce i due grandi padiglioni, una lunga galleria fotografica. Le opere che si trovano negli spazi della Triennale sono solo una parte delle opere passate nella galleria, ma nelle parole e nei racconti di Massimo Minini si trasformano nei frammenti di una vita che non si è mai distinta

dall’arte. Questa mostra racconta ciò che è avvenuto dentro e attorno alla sua galleria d’arte, nata a Brescia con il nome di Banco – il luogo dove si scambia, si compra, si conta. Una storia senza capo né coda, come dice Minini, senza inizio e, speriamo, senza fine. Quindi, continua… La mostra è arricchita dal materiale dell’archivio della galleria, che svela il lato più intimo e inediti degli artisti incontrati in questi quarant’anni. arte contemporanea attraverso le opere che si vedono in mostra ma anche attraverso lettere, documenti, appunti, lettere, telegrammi, inviti e cartoline ricevute da Minini, una corrispondenza inedita e intensa. Simona Olivieri

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Alfredo Pirri, senza titolo 2010, vernici acriliche su legno, plexiglas e piume d’uccello, cm.70x40x15 (foto Daniela Pellegrini)

Sopra, Bizhan Bassiri. A centro pagina, Salvatore Anelli, Identity 2013 PVC su alluminio 119,5x88,7x5 cm

Museo dei Brettii e degli Enotri, Cosenza

La seduzione del monocromo

Hidetoshi Nagasawa, disegni con rame e acido cm.70x100

n collaborazione con il Comune di Cosenza, VertigoArte ha promosso e organizzato una originale collettiva ospitata negli Ispazi istituzionali del Museo dei Brettii e degli Enotri della città calabrese, ponendo l’accento sulla “Seduzione del monocromo, con riflessioni contemporanee su Mattia Preti” (titolo della mostra stessa) avvalendosi dei contributi critici di Paolo Aita e di Bruno Corà. Proprio come Monochrome Malerei, la storica esposizione del 1960 a cura di Udo Kultermann a Leverkusen, che riuniva - tra gli altri - opere di Lucio Fontana, Piero Manzoni, Enrico Castellani, Yves Klein, Arnulf Rainer, Ad Reinhardt e le loro espressioni di “arte monocromatica”, in cui la sperimentazione visiva del supporto era posta in relazione con i valori ottico-emotivi dell’opera e con le capacità percettive del fruitore. In La seduzione del monocromo, gli artisti proposti, Salvatore Anelli, Salvatore Astore, Bizhan Bassiri, Renata Boero, Nicola Carrino, Vittorio Corsini, Elvio Chiricozzi, Bruno Ceccobelli, Giulio De Mitri, Bruna Esposito, Franco Flaccavento, Giuseppe Gallo, Orazio Garofalo, Francesco Giuseppe Salvatori, Melanto 2013 tempera e acrilico su tavola cm 80x120

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Guerrieri, Jannis Kounnellis, Luigi Mainolfi, Albano Morandi, Hidetoshi Nagasawa, Luca Maria Patella, Tarcisio Pingitore, Alfredo Pirri, Oliviero Rainaldi, Alfredo Romano, Renato Rainaldi, Carlo Rea, Marco Nero Rotelli, Giuseppe Salvatore, Antonio Violetta, si confrontano con la tradizione seicentesca con il lavoro del cavalier calabrese Mattia Preti e su quegli aspetti condivisi da due secoli - il nostro ed il Seicento - distanti, ma simili per inquietudini, disordini sociali e per incertezze sul futuro. Sottratti ad ogni traccia di figurazione, tali lavori monocromi si pongono come liberazione della superficie, come pura traccia espressiva dell’artista che annulla, con la semplicità e l’immediatezza di un solo colore, la possibilità del vuoto, evidenziando di contro i valori oggettuale e materiale del supporto stesso, che a loro volta permettono all’opera di “emanciparsi” definitivamente: «non più oggetto da fecondare e possedere patriarcalmente ma entità autodeterminata (come ha scritto Germano Celant), campo autonomo di energia oggettuale e materica». Simona Caramia

Salvatore Astore, Cranio uomo 2013 smalto su carta da lucido cm.100x70

Giuseppe Gallo, senza titolo (MP) 2013 encausto e tecnica mista su tavola cm.31x41


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Vittorio Corsini, Man Hot, bronzo cm.34x30x23

Riflessioni su Mattia Preti di Ghislain Mayaud

Nella piena Seduzione del monocromo, riflessioni contemporanee su Mattia Preti (il titolo della mostra), lampi di richiami aggrediscono immaginari dialoghi nello storico Museo dei Brettii e degli Enotri di Cosenza. Per il IV Centenario della nascita del “Cavaliere Calabrese” Mattia Preti (Taverna 1613 - Valletta 1699), il Centro Vertigoarte di Cosenza azzarda 27 artisti per scavare la magistrale immortalità del Maestro. Il catalogo edito da Rubbettino nella collana d’arte diretta da Giorgio Bonomi, è corredato dai preziosi approfondimenti di Paolo Aita con “Disarmonie. Mattia Preti e il sentimento del moderno” e di Bruno Corà con “Chi ha paura di Mattia Preti?” Sopravvissuto alla spaventosa peste nera napoletana, come accennano le opere esposte di Marco Nereo Rotelli, Antonio Violetta, Alfredo Romano e Elvio Chiricozzi, che assorbiva la morte, apparecchiata in mostra da Albano Morandi e Giulio De Mitri su crani allestiti da Salvatore Astore, Preti realizzò una serie di sette affreschi per le porte della città campana al fine di commemorare l’identità della strage risvegliata da Bizhan Bassiri, Franco Flaccavento e Oliviero Rainaldi. Gli affreschi non esistono più, ma rimangono due disegni preparatori che ne testimoniano la potenza, come annota Jannis Kounellis. Se Tarcisio Pingitore e Carlo Rea conversano con le seicentesche tensioni materiche controriformiste o con il sangue asciutto del conflitto tra corpo e anima, reperibile nelle opere di Giuseppe Gallo e Renata Boero, Nicola Carrino, Francesco Guerrieri, Hidetoshi Nagasawa scelgono l’accostamento ai rigorosi spazi geometrici per introdurre future memorie. La storia spiega tele e tappeti lungo la “riflessione” avanzata da Renato Ranaldi e sbianca il presente svuotato da Bruna Esposito. Il tempo del vento si agita sulle opere di Alfredo Pirri e Giuseppe Salvatori, mentre si cammina tra le sillabe della scrittura con Luigi Mainolfi e Luca Maria Patella. Bruno Ceccobelli celebra il “Cavaliere” seminudo nell’isola di Malta dove soggiornò anche Caravaggio. Con il cappello di Vittorio Corsini, mentre Salvatore Anelli ribalta il pennello del monocromo.

Renata Boero, colori vegetali e carte cotone sovrapposte, cm.64x56x8

Marco Nereo Rotelli, Veritas 2012, catrame e tecnica mista su tela cm. 50x50 Antonio Violetta, Notturno 2012 terracotta e grafite

Francesco Guerrieri, Apparizione della Croce di Malta, 2013 Acrilico su tela cm.100x80

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Intervista a

Sahej Rahal

artista in residenza al MACRO di Roma per ZegnArt Public/India a cura d Ilaria Piccioni edere un artista al lavoro è sicuramente un’esperienza molto interessante e lo è ancor di più se si ha modo di osservarV lo in rapporto diretto con i bambini e la loro creatività. Questo è

avvenuto al MACRO di Roma, nel workshop tenuto a novembre dall’artista indiano Sahej Rahal, classe 1988, in occasione della sua residenza al museo d’arte contemporanea, sostenuta dalla piattaforma ZegnArt. Il Gruppo Ermenegildo Zegna ha promosso, ideato e organizzato un progetto a supporto dell’arte contemporanea internazionale, la cui prima edizione - ZegnArt Public/India - vede il finanziamento di una residenza per un giovane artista indiano, per un periodo di studio in Italia. Dopo il primo anno, in cui è appunto coinvolta l’India come paese emergente, saranno chiamati rispettivamente la

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Turchia e il Brasile. Il progetto curato da Cecilia Canziani e Simone Menegoi, è coordinato da Andrea Zegna. Il MACRO di Roma è l’istituzione partner che per ogni edizione sarà luogo ospite dell’artista selezionato. Sahej Rahal, in occasione del workshop che ha visto coinvolti bambini tra i 6 e i 9 anni, ha lasciato alla loro fantasia la possibilità di trovare una nuova lettura delle sue opere scultoree; realizzate durante la sua residenza romana, fatte da materiali di scarto e oggetti trovati in giro per la città. Il colore dorato che ricopre ogni piccola scultura e installazione di Rahal è il fulcro di ciascuna osservazione e rilettura di un mondo mitologico e sublime. Una breve conversazione con il giovane artista indiano consente la conoscenza di un fare arte che entra in rapporto con un’altra cultura, un’altra generazione, un altro luogo. Grazie alla residenza offerta da ZegnArt Public/India gli chiedo cosa pensa di questa opportunità di lavorare a stretto contatto con un luogo e un territorio completamente nuovi. - È stato per me un grande onore essere selezionato per la residenza ZegnArt Public India ed è stata un’esperienza meravigliosa lavorare a Roma, al MACRO! Io trovo che Roma sia una città non soltanto ricca del suo passato storico, ma anche il luogo dove questo coabita con il presen-


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te in modo tale che la storia è resa viva nei contorni stessi del paesaggio urbano. Ho trovato questa danza della storia evidente non soltanto nelle rovine romane, ma anche nella calma solitudine del cimitero del Verano o nei fantastici set di Cinecittà che, uno accanto all’altro, conducono attraverso un percorso tortuoso nella storia del cinema. Lavorare all’interno di questo contesto, usando oggetti trovati nel museo stesso nonché nei vicoli della città mi ha dato l’opportunità di reagire anche fisicamente alla cultura e alla storia di Roma. - Qual’è il valore simbolico dei tuoi lavori realizzati a Roma, composti da materiali di recupero, oggetti trovati, ricoperti da una omogenea vernice dorata? - Sì, le sculture che ho creato durante la residenza al MACRO sono composte da oggetti che ho trovato oltre che nel museo anche nei cassonetti, in giro per la città. Io vedo gli oggetti come reliquie e totem delle civiltà perdute ma anche gesti verso il fantascientifico. - Com’è stato lavorare al MACRO dove hai potuto produrre nuovi lavori composti da ciò che hai trovato nel tuo girovagare per Roma? - Penso che la residenza al MACRO non sia soltanto un’esperienza culminante ma mi offre anche una nuova sfida, ponendo nuovi interrogativi al mio processo creativo. Lavorare per la prima volta all’interno di uno spazio espositivo mi ha consentito di esplorare la mia pratica scultorea in situ, e anche sperimentare, in questa nuova serie di lavori, criteri e questioni con motivi ricorrenti. - Durante la residenza ZegnArt al MACRO hai fatto un workshop con bambini tra i 6 e i 9 anni, lavorando per donare una nuova vita e immagine ai loro giocattoli. Non è la prima volta che lavori con i bambini, che tipo di esperienza rappresenta nella tua attività artistica? - E’ stata un’esperienza sorprendente essere parte del workshop, aprire il mio studio ai bambini e agire e lavorare con loro. Ho effettivamente molto da imparare dai bambini, e molti di loro durante il workshop mi hanno ricordato perché amo fare il mio lavoro, perché è davvero molto divertente!

Sahej Rahal, Walker IV, legno, metallo, poliuretano, acrilico, 2.5 x1.5 x1.5 ft

Sahej Rahal, Walker V, legno, metallo, poliuretano, acrilico, 2 x1.5 x1.2 ft

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A colloquio con

Enzo Cucchi a cura di Francesca Alix Nicoli bbiamo incontrato in un bar romano Enzo Cucchi, protagonista di transavanguardia, forse il più visionario del moA vimento battezzato da Achille Bonito Oliva in occasione della

Biennale veneziana del 1980. Il lancio del gruppetto di Transavanguardia era avvenuto con la mostra ‘Aperto ‘80’ mentre la Biennale di Architettura veniva affidata a Paolo Portoghesi, il quale si era esplicitamente schierato in favore de ‘La presenza del passato’ intendendo dare risalto al movimento postmoderno con i suoi vari rappresentanti internazionali. Nelle parole di Cucchi una rievocazione di quegli anni e l’occasione per tirare le somme, prospettando un bilancio complessivo dell’avvicendamento di corsi e ricorsi nella storia. -Questi ‘arazzi’, con che tecnica sono fatti? - Sono tele, sono tessuti, sono tessuti naturalmente disegnati, dipinti; c’è il colore originale sotto, e poi c’è naturalmente quello che non chiamerei ricamo, perché non è proprio un ricamo. Ho lavorato con dei restauratori, in particolare con una ragazza bravissima, una restauratrice di tessuti, anche le mummie restaurano questi. Con lei io intendevo forzare alcune cose, che naturalmente indicavo io - non mi ci mettevo con l’ago io perché nessuno come lei conosce tutti i vari punti, e la sua bravura mi meravigliava molto-. Lei diceva: non si può, mi diceva, sei pazzo, ma che mi fai fare... e io dicevo: non ti preoccupare, va avanti..

Enzo Cucchi, Cosmogonia III, 2013,cm 190 Ø, arazzo,cuciture in cotone e lana, tasca in cotone, quadricromia su canvas hahnemuhle 340 gr. Courtesy Galleria Poggiali e Forconi Enzo Cucchi, Senza titolo (Cattedrale), 2009, bronzo/bronze, cm 18,5x32x27. Courtesy Galleria Poggiali e Forconi.

Occasione per un bilancio complessivo su Transavanguardia e sul decennio Anni Ottanta di Francesca Alix Nicoli

iepilogando con Enzo Cucchi, nel contesto di una generale messa in R discussione del Moderno, nelle arti vi-

sive l’italiano Achille Bonito Oliva aveva registrato nel 1980 anche nel bel paese una convergenza di stili e modi espressivi caratterizzati in maniera allarmante da un ritorno alla pittura, proprio mentre il paradigma ultramoderno concettuale sembrava attraversare un momento di stanchezza. Forse l’esaurimento di forze o di motivi fondanti nel concettuale era da leggersi come un endemico e salutare giro di boa, ed era comunque la conferma di un generale andamento di tipo progressivo nelle sorti della storia, nel senso che 22 - segno 247 | GEN/FEB 2014

si andava comunque avanti benché in questo andamento vi fossero fasi cicliche come le stagioni che si oppongono o come il movimento di un pendolo. Quindi si tratterebbe di progresso anche quando si prospetti un moto che a tutta prima appare rivolto all’indietro, col il che il critico di turno si affretta a parlare di una sorta di retroguardia di cui tocca fornire le ragioni, rifacendosi in taluni casi persino ad una cornice psicologica, ad una deriva repressiva, castrante o castrata, rispetto invece allo sviluppo cosiddetto ‘normale’ della personalità adulta. E lì le ragioni e gli argomenti dei detrattori non si risparmierebbero di certo in un quadretto son

troppo facile e di maniera. Ma chi l’ha detto che gli sviluppi debbano darsi in un solo senso di marcia? Chi l’ha detto che il diverso, l’anomalo siano sbagliati in riferimento ad un fantomatico paradigma canonico e giusto, per cui il concettuale sarebbe l’avanguardia, mentre le correnti opposte rappresenterebbero fasi di stallo, mancamenti, menomazioni nel cammino sicuro verso il progresso?Se ha senso parlare di un cammino, o per lo meno auspicarlo, vanno colte e spiegate senza pregiudizi di alcuna sorta tutte le correnti e tutti i fenomeni in divenire. Vi fu allora chi, per spiegare un così diffuso ritorno alla pittura, più semplicemente sottolineo’ che il mercato tornava ad imporsi facendo sentire le sue ragioni, richiedendo agli artisti di nuovo e ancora una volta oggetti, antichi feticci da immettere nel circuito mercantile rifocillando le casse di un giro che era rimasto asfissiato e privo di materia prima, per l’appunto le opere, a forza di una ‘smaterializzazione’ del fare artistico. Si era optato per una preponderanza del concetto o dell’azione mentre ora si ritornava all’oggetto in se’


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delle istallazioni, prima di avvicinarti a quest’avventura: son balle? - No, non sono balle, ma io non ho mai fatto delle istallazioni. - Parlo dei tuoi primissimi lavori - C’erano dei materiali che poi ho distrutto, e la pittura entrava dentro questi materiali. Nelle prime tele, ad esempio, c’era il problema di avere una tela e a fianco una ceramica, perciò bisognava creare un raccordo. - E della mostra ‘Aperto 80’, che cosa ricordi di più? - Mmh, sono queste mostre organizzate da un critico, lui invita tutti quanti... - Tu avevi già lavorato con Emilio Mazzoli, avevi già esposto con Chia. - Si, erano quelli i tempi, come no ! C’erano questi lavori che sono venuti a Roma, alla galleria sottoterra di Giuliana De Crescenzo, poi sono andati a Milano, poi dopo naturalmente Mazzoli, e poi è arrivato tutto. - Quando è arrivato Gian Enzo Spe-

Enzo Cucchi, Che ora è, 2012, Olio su tela/Oil on canvas, cm 50 x 70, courtesy Galleria Poggiali e Forconi

così e’ andata. E i materiali sono tessuti, è canvas. In un certo modo sono tele colorate, il colore non è fotografato, e’ proprio colore, anche se arriva attraverso una cosa sotto, ed è una tecnica, però è colore, è a spruzzo - Ma è graffiato per fare uscire il bianco, o il bianco è un›aggiunta di colore? - E’ tutta un’aggiunta di colore - Quindi e’ pittura, e invece i bronzi di cui il più piccolo e’ in vetrina, con quei chiodini... - Sono parte di una cattedrale che era quella di ‘Volume’, la mostra ‘Volume’, di 4 o 5 anni fa, una cattedrale di cui resta un video, formata da una trentina di piccoli bronzi che assolutamente segnavano ... - Anche nel 2007 avevi fatto al Gamec una mostra di sculture... - Quella era una specie di monografica a Bergamo, di cui c’è un catalogo. Bronzi, ceramiche, marmi anche, pochi marmi perché ne ho fatti pochi. - Ho letto che nel gruppetto di transavanguardia tu eri quello che muoveva da un’esperienza precedente più vicina al linguaggio sperimentale concluso, chiuso e definitivo, pronto per la valutazione e docile allo scambio, in risposta alle frustrazioni, quelle sì, reali e sentitissime, di collezionisti e gallerie. E se questa ci appare come una spiegazione più fondata della prima, comunque non e’ sufficiente. Bisogna guardare la questione da ancora più lontano, prenderla da un altro capo, romperla con le soluzioni di superficie. Facciamo ancora un passo indietro dunque, e tentiamo di riepilogare alcune delle ragioni del concettuale che possono servire, per contrasto, a spiegare l’affiorare di un fenomeno come transavanguardia negli anni ottanta ed il suo lascito ad oggi. Con la messa in atto di un processo, azioni, happening o performance, si trattava di disciogliere l’oggetto artistico nella dinamica, ben più interessante, della sua formazione. Per i più consapevoli, era questione di dischiudere i segreti della tradizione e della storia dell’arte attraverso un procedimento analitico, operando una chiarificazione preliminare del linguaggio artistico, attraverso la riduzione ai suoi elementi espressivi primi. Qui si osserva

rone? - Sperone è arrivato molto tardi

- Vi siete sentiti in qualche modo avvalorati dal fatto che ci fosse un clima internazionale condiviso? - Dove, a Milano? - Voglio dire che in quegli anni c’è stata una fioritura: penso a Basquiat, a Shnabel, i tedeschi, i pittori selvaggi. Cioè, transavanguardia è un movimento italiano, però in quegli anni c’è stata tutta una fioritura internazionale che andava nella stessa direzione - Beh, sai, quando c’è qualcosa nell’aria gli artisti stanno la’ per raccoglierlo. Non è importante chi l’abbia fatto per primo, è chiaro che l’abbiamo fatto prima noi, ma non conta proprio un cazzo, l’importante e’ acchiappare qualcosa e cercare di formalizzare con il migliore talento possibile quella cosa che c’era nell’aria. E naturalmente ci sono tanti artisti che arrivano molto tardi a questa cosa, ma questo non vuol dire che non sono bravi, anzi spesso sono proprio loro i più bravi... - Parliamo di Richter, o di questi qui, Baselitz, Kiefer - Richter non vuol dire che sia bravo. Sanno gestire molto meglio le cose, mille volte di più...

una straordinaria coincidenza del lavoro degli artisti concettuali con quanto i filosofi anglosassoni della scuola analitica andavano compiendo sin dal primo ventennio del Novecento, e su questa convergenza ci pare opportuno svolgere una riflessione approfondita. Dal lavoro dei filosofi prima e degli artisti poi, nasceva un metalinguaggio dominato da definizioni pure, tautologie o, all’inglese, Truisms. Gli uni e gli altri avevano capito l’importanza del livello semantico nel linguaggio, artistico o filosofico che fosse. Il livello semantico andava indagato squadernando come funzioni l’operazione cognitiva del rimando esterno, il riferimento ad un oggetto del mondo reale attraverso la creazione di un oggetto terzo fra la mente e il suo oggetto, e, semplificando molto e per sommissimi capi, quest’entità era per i filosofi un concetto. Per gli artisti era un’immagine, un segno linguistico avente la facoltà di determinare nella mente il rimando esterno, una descrizione fatta in modo assolutamente convenzionale, ossia, come si opti di dipingerlo: ecco affiorare la centralita’ del livello semantico in

un quadro di tipo rappresentativo, o in una fotografia, in un’icona qualunque; pensiamo al lavoro emblematico del primissimo Paolini fra gli italiani, o all’intervento magistrale di Joseph Kosuth nel 1965. Con l’opera ‘One and three chairs’, Kosuth entrava a gamba tesa nel dibattito e gareggiava da pari a pari con i filosofi analitici della scuola anglosassone. Mai fino ad allora la filosofia, e molto dopo l’arte, si era tanto disinteressata del reale, facendo a meno di creare visioni del mondo, costruire ideologie, insomma mai aveva tanto trascurato la metafisica, opponendosi dichiaratamente alle correnti ancora dominanti in Europa e nel vecchio mondo. Queste ancor si davano la pena di parlare del mondo, e, secondo gli analitici, lo facevano con un linguaggio caratterizzato da nebulosità insormontabili, e, in un periodare astruso e tutto sommato soltanto ideologico, nascondevano la radice prima delle loro Filosofie, che era fare politica, o moraleggiare. Rispetto ai filosofi europei e del vecchio continente, arrivava come una boccata d’aria fresca l’esigenza logica e neopoGEN/FEB 2014 | 247 segno - 23


- Rispetto a voi italiani? - Non c’è paragone. Questi sono dei grandi vetrinisti, in più hanno le banche, son tutti organizzatissimi, vanno a cercare i consensi. Non capisco cos’abbia a che fare con l’arte, ma quello dipende dal mondo. Però poi alla fine e’ l’arte che legge l’arte, quindi la selezione si fa da sè. Loro non la vogliono leggere, e ci vuole del tempo, molto tempo. Però non ti preoccupare. Non è per adesso, ecco. Se investi su una cosa, poi è chiaro che vedi solo dopo i risultati e quindi è un po’ dura... - E rispetto al postmoderno così come è stato teorizzato da Jean Francois Lyotard, cioè rispetto al crollo delle ideologie, la fine di tutte le grandi cornici, cioè di queste grandi narrazioni, per cui c’è un’esplosione di punti di vista diversi e alla fine ci si accorge che anche la cultura e’ una merce fra tante altre merci, insomma la crisi delle avanguardie e l’inizio del postmoderno come è stato teorizzato intorno a quegli anni lì, cioè intorno all’80 ? - Lyotard e’ un uomo molto intelligente, aveva fatto Materiali immateriali, è lui? - No. Intendo dire se consideri ancora attuali quelle teorizzazioni che risalgono a trent’anni fa, o se è cambiato qualcosa rispetto a quel clima postmoderno che poi ha avuto in Italia Gianni Vattimo e tutto il pensiero debole - Mah, se è cambiato qualcosa dovresti chiederlo a loro, sono loro che hanno il termometro del loro pensiero - E rispetto a te stesso? - Sai, io veramente non affronto mai questo tipo di pensieri o comunque non cerco di fare a pezzetti il reale per spiegarlo, perché non devo spiegare niente a nessuno, a differenza di un filosofo, che so, di un matematico, della scienza, che deve spiegare qualcosa e prima la fa a pezzi e poi te la fa vedere, e te la spiega. Io faccio esattamente il contrario quindi non è cosa o come la penso io. Cosa penso io, credo che non sia molto importante, tanto più per ragionare su un fenomeno del genere...

Enzo Cucchi, Trittico, particolare

- E dell’avanguardia cosa ne pensi. Ti senti un artista d’avanguardia? - Ma quale avanguardia? No, l’avanguardia non esiste oppure esiste, ma è solo questione di definizioni, etichette... - Ad esempio la fiaccola della modernità, chi la porta? - Cazzate... - Si, forse son concetti anche piuttosto romantici, chi porta la fiaccola, chi illumina sul domani, chi ha le migliori intuizioni sul futuro...però ... - L’arte non si occupa di futuro, mai. Quindi non può portare la fiaccola, non può fare un cazzo, non immagina il futuro. È l’unica disciplina super privilegiata nel nostro tipo di società consumista. Intanto e’ un handicap per il mondo, e poi è considerata obsoleta.

Enzo Cucchi, Quadro Politico Svizzero 3, 2010, olio su tela e ceramica/ oil on canvas and ceramic, cm 13 x 42. Courtesy Galleria Poggiali e Forconi.

sitivista dei filosofi analitici, preoccupati più che di impartire lezioni o ricette sul mondo, di chiarire il modo in cui un livello semantico opaco, poco trasparente nel linguaggio, possa condizionare l’uomo imponendogli scelte non consapevoli. I filosofi analitici, e dietro di loro gli artisti concettuali che si erano impegnati nella chiarificazione del linguaggio artistico, benché meno avvertitamente, intendevano metter via una volta per tutte la metafisica vista come malattia invalidante dell’uomo occidentale generata dalle oscurità del vocabolario filosofico tradizionale: il linguaggio era un laccio, un impedimento, e la stessa filosofia alla fin fine era stata ‘un crampo della mente’ generato dal linguaggio, secondo la celebre sintesi liquidatoria del primo Wittgenstein. Nel rivangare i fenomeni estetici degli Anni Ottanta va perciò sottolineata e compresa una convergenza di ricerche fra filosofi prima e artisti poi, cinquant’anni dopo, che hanno sentito l’importanza della svolta linguistica in filosofia, facendola propria e portandola al centro della sperimentazione artistica, a modo loro. Mentre la filosofia aveva smantellato e rasato a 24 - segno 247 | GEN/FEB 2014

zero tutti i sistemi metafisici, con circa cinquant’anni di ritardo in ambito artistico era avvenuta la ‘dematerializzazione’ dell’oggetto in favore delle pratiche artistiche, azioni o performance, o delle analisi chiarificatrici del linguaggio, solo l’altra faccia della stessa medaglia. Questo fenomeno era stato colto e subito segnalato da Lucy Lippard nel 1973, nell’articolo ormai storico, ‘The dematerializaton of the art object’, incentrato sulla produzione degli ultimi sei anni nella scena americana, dal ‘66 al ‘72. Venendo infine agli anni ottanta, la crisi del concettuale avvenne in un momento di pari e grande rinnovamento nella sfera alta del pensiero teoretico. Apprestandosi la fine del secolo, circa un ventennio prima del 2000, teorici del ‘pensiero debole’ in Italia come Gianni Vattimo e Pier Aldo Rovatti, corrispondevano per una strana coincidenza di intenti, a quanto andavano segnalando teorici del postmoderno internazionale come Fredrick Jameson o Jean Francois Lyotard. Nel contempo spuntavano quadri fatti a mano con talento da maestri, cose che nessuno ricordava più di aver visto prima, opere vere, subito

lette anche quelle come nuove merci da Lyotard. Oppure queste cose, le opere d’arte, come dice molto bene Enzo Cucchi nell’intervista, erano cose assolutamente obsolete e inutili, faccende non funzionali eppure erano emanazioni dell’umano sentire, vicine e intorno alle radici dell’umano, che lasciano alla fine trasparire quanto sia vano e assolutamente presuntuoso ogni tentativo messo in campo vuoi dai filosofi, vuoi dagli artisti concettuali, di cogliere il reale attraverso la chiarificazione degli usi linguistici. La ragione era sotto scacco, i filosofi rossi di vergogna, mentre a poeti e artisti spettava il compito di fabbricare nuove narrazioni, bisognava metter capo, con l’aiuto degli artisti, a ulteriori risorse simboliche nate dal crollo di tutte le grandi ideologie e visioni totalizzanti, e quindi precarie, parziali e limitate, sempre rivedibili. Ecco allora il senso storico e di rinnovamento di transavanguardia. Oggi forse più che mai il ritorno alla pittura e la ricomparsa dell’oggetto artistico sembrano cozzare ed essere del tutto superati dall’avvento dell’era elettronica: con le televisioni, con internet abbiamo una ubiquità impensabile per tutti i secoli


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- Non è funzionale. - Brava, è obsoleta addirittura, chiedilo a chiunque, chiedilo a Germano, lui lo scrive che è la cosa più obsoleta. E invece è la cosa più difficile assolutamente, la più sofisticata e quindi l’unico grande privilegio che uno possa avere è praticarla. Questo è il mio caso, ed è anche il caso di altri, comunque prendila così. Però è chiaro che chi pratica quello, cioè se fai un quadretto così e lo porti a un museo, quelli ti prendono per matto. Oggi vogliono un vetrinista, si mettono d’accordo con la direttrice del museo e fanno del vetrinismo puro. Perché: ora i direttori di museo sono sempre persone competenti che possono occuparsi d’arte? Non ho bisogno di fare un attacco personale a nessuno, ma è pazzesco, fa ridere le galline, se porto un quadretto a questi qua, loro non sanno neanche cosa farci, gli puoi portare un tramezzino, quello forse lo capiscono. È chiaro che non è colpa loro. In quella grande vetrina che è il museo, si espone che cosa? Si fa una grande vetrina. - Quando produci un nuovo lavoro conduce la mano o il cervello? - Il pisello...- ridiamo entrambi - dai, non si comincia mai con qualcosa in testa.. quindi sì, e’ chiaro che si comincia con la mano: che vuoi farlo coi piedi? Non sono mica handicappato. - Dai, ho capito basta così. Alla prossima. Enzo Cucchi, Prisca, 2012, litografia disegnata su pietra da Enzo Cucchi composta da 3 cubi di lato 10,5 cm su carta Litho (Cartiera Enrico Magnani, Pescia) da 350 gr. con inserti serigrafici. Contenitore serigrafato su cartone Canson e carta barriera. Tiratura in 30 esemplari più 3 A.P. Courtesy Galleria Poggiali e Forconi.

Enzo Cucchi, Prisca, 2012, litografia disegnata su pietra da Enzo Cucchi composta da 3 cubi di lato 10,5 cm su carta Litho (Cartiera Enrico Magnani, Pescia) da 350 gr. con inserti serigrafici. Contenitore serigrafato su cartone Canson e carta barriera. Tiratura in 30 esemplari più 3 A.P. Particolare/Detail. Courtesy Galleria Poggiali e Forconi.

precedenti. Niente di più lontano dunque dalla sensibilità contemporanea di un quadro, di una scultura. Ma proprio questa sensibilità contemporanea, priva di fedi, sganciata dagli oggetti fisici, causa una vertigine, un vacillamento nella coscienza, in questa svaporazione di tutte le fedi e dei credi politici o religiosi, nel venir meno della stessa produzione capitalistica e industriale in favore di una preponderanza dei servizi e dei beni del terziario. Nell’era postindustriale gli oggetti pesanti come i volumi o intere biblioteche vengono spazzati via in un lampo dalla comunicazione virtuale che passa attraverso la tecnologia digitale e balza all’istante da un capo all’altro del globo facendo a meno dei supporti materiali, e riducendo a zero tutti gli oggetti fisici pesanti. In questo orizzonte assolutamente liquido e instabile comincia farsi sentire, in maniera ormai innegabile, l’esigenza di un ancoraggio al suolo, come l’ansia, magari non elaborata o scelta per intero, di un ricongiungimento con le basi materiali dell’esistenza. E si scongiura il distacco siderale, un galleggiare senza senso ne’ principio, un vagare senza attrito nello spazio privo di atmosfe-

ra, uno spazio inospitale che era e resta, in definitiva, assolutamente inadatto alle esigenze della vita. Bisogna prendere atto di quello che sta succedendo incredibilmente nel 2014 e tentare di avanzare nuove soluzioni teoriche. A trent’anni dall’introduzione del paradigma postmoderno ci è parso interessante riepilogare la stagione aurea di transavanguardia con uno dei suoi maggiori esponenti, ancora attivo e convinto fautore di quella linea, non per rimetterla in auge ma perché non ci sembra capita se ancor oggi viene riportata esclusivamente a logiche mercantili sin troppo semplicistiche. Non solo. Ma va sottolineato che essa conserva una sua valenza positiva mentre sfocia in altro convergendo in maniera impensabile con le tendenze concettuali delle ultimissime generazioni, ossia mentre le une e le altre si sospingono verso una nuova e diversa sintesi delle contraddizioni. Se grandi performer internazionali come Vanessa Beecroft si rivolgono al più duro e nobile fra i materiali artistici accettando di produrre opere dotate di un loro peso ontologico, vero e reale, fisico, se un Cattelan finisce

col fare scultura in marmo, quanto meno e’ segno che la dicotomia fra dematerializzato e materiale ha perso un po’ del suo mordente, e’ segno che non fa più orrore la manualità, e viene superato quel distacco asettico da intervento chirurgico che aveva caratterizzato tanta parte del concettuale, di nuovo in auge per lo meno per tutto il decennio degli anni novanta, cioè dopo transavanguardia. E si superano contraddizioni ormai vecchie nella ricerca di ancora nuove sintesi, mentre ulteriori questioni sono destinate a lasciare queste sullo sfondo, ai margini del dibattito critico e filosofico, per l’affiorare di urgenze mutate, legate per esempio ad una maggiore comprensione dell’era elettronica e della globalizzazione. Ed in conclusione la lontananza dal corporeo, la distanza rispetto all’esperienza macroscopica in prima persona di tipo naturale, questo risucchio verso la speculazione pura alla fine non paga, ne’ i filosofi ne’ gli artisti, ma un fare artistico che non sia capace di sottrarsi alle logiche del mercato e della speculazione finanziaria appare per lo meno altrettanto fasullo, forzato e vuoto del primo. n GEN/FEB 2014 | 247 segno - 25


Vistamare, Pescara

Getulio Alviani Anna Franceschini ue artisti che insieme condividono lo spazio della Galleria Vistamare, per due personali, concepite solo in apparenza D come momenti separati. Una sola mostra, dunque, dove le opere

di Getulio Alviani conversano, qui per la prima volta, con quelle della giovane Anna Franceschini. Entrando in galleria si è subito rapiti da un gioco di suggestioni, impressioni e rimandi formali che, nonostante la sostanziale diversità dei mezzi espressivi usati dagli artisti, sottende la comune indagine rivolta ai temi del movimento e della dinamicità. Getulio Alviani, indiscusso maestro del ‘900, promotore dell’arte programmata e ghestaltica, espone quasi in forma antologica, una selezione di opere fino alle più recenti realizzate negli anni 2000. Si collocano tra la fine degli anni Sessanta e primi Settanta Triangolo di triangoli e Rilievo

Anna Franceschini, Let’s_fuuuck. In alto: A Siberian Girl. 16 mm film, colour - mute, 1’, 2012, still from video Getullio Alviani, installation view

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Getullio Alviani, installation view

speculare a elementi curvi. Lavori che si riferiscono allo studio delle forme geometriche adattate ai materiali e agli effetti di vibrazione luminosa che questi sono in grado di generare, sottoposti a modulazione. In Cerchi virtuali doppia rotazione, è invece più esplicito lo studio rivolto all’ambito della percezione visiva. Lo specchio, infatti, sul quale sono posti vari elementi curvilinei,

origina l’illusione ottica del cerchio, restituendo in questo modo all’opera, un forte senso di tridimensionalità. Completamente disinteressato al colore, agli inizi della sua carriera, in seguito esso entra dirompente nella sua produzione, quale parte integrante a forme matematiche sviluppate soprattutto nei lavori degli anni Settanta. Ne è un esempio ½ da 0 a 100, ½ 100%, sei varianti,

Getullio Alviani, installation view

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dove Alviani sviluppa una dinamica di tipo razionale, assegnando un valore numerico a ciascuna cromia della campitura. Infine si osserva: Quadrato + cerchio + volume, opera che trattiene un altro elemento imprescindibile della sua arcana ricerca di matrice razionale, in altre parole lo spazio. In esso si sviluppa questa particolare scultura, mostrando l’abilità di Alviani di spostarsi dalla

bidimensione alla tridimensione. Attraverso la compenetrazione di piani, l’artista forgia un nuovo elemento: crea nuove forme geometriche e rende manifeste inedite prospettive di visione. Dallo spazio di Alviani, passiamo a quello di Anna Franceschini, che per lei assume la valenza di ambientale. In tal senso i suoi video non sono semplicemente mostrati, ma modulano a tratti il

Getullio Alviani, Rilievo speculare a elementi curvi, 1967-1972 acciaio, cm. 80x80x10

Getullio Alviani, Cerchi virtuali “doppia rotazione”, 1967 acciaio. cm. 50x100x10

RAM radioartemobile, Roma

Camere Xix

rrabondare non è una colpa, questo il titolo di un breve racconto di Francesco Serrao che, investendole di una E medesima luce poetica, vale in qualche modo, pur nella sua

piena autonomia di espressione letteraria, quale introduzione alle opere che Marinus Boezem, il gruppo Erwin e Felice Levini hanno approntato per la mostra “Camere XIX” inauguratasi a Roma il 15 dicembre 2013 nei locali di via Conte Verde che l’Associazione Zerynthia ha messo a disposizione del RAM radioartemobile sin dalla sua costituzione, ( nel 2005), quale unità di ascolto preposta alla ricezione, elaborazione e trasmissione di materiali legati alla progettualità visiva. Come tutte le precedenti edizioni del ciclo espositivo, di cui rappresenta il diciannovesimo appuntamento, la mostra in questione si basa su di una formula curatoriale fissa ma tutt’altro che costrittiva: tre artisti , (o raggruppamenti artistici), tra i quali non esiste alcun legame pregresso, sono invitati a valersi ciascuno di uno spazio separato per intervenire su di uno stesso tema scelto in modo tale che ognuno possa ritrovarvi tensioni e suggestioni attive da sempre nella propria ricerca, il tutto tenendo conto del fatto che 28 - segno 247 | GEN/FEB 2014

Getullio Alviani, “1.2.3.4. - 1.2.3.4.5. - 1.2.3.4.5.6. - 1.2.3.4.5.6.7. poligoni inscritti nel cerchio, 1978 acrilico su tavola. cm. 50x50cad. 4 elementi

per l’intero periodo in cui la mostra rimarrà aperta, la risposta da essa suscitata presso un pubblico via via crescente sarà monitorata e resa accessibile via Web sotto forma di trasmissioni radio o di elaborazioni video che andranno poi a confluire in un archivio in progress ristrutturato in continuazione. Nel caso di Camere XIX il tema proposto è stato quello del viaggio e delle varie forme di documentazione che esso può suggerire o ha, di fatto, suggerito nel corso del tempo. Martinus Boezem, artista olandese formatosi nel contesto della Land Art e degli altri movimenti di ricognizione del territorio emersi , sia in Europa che Oltre-Oceano, negli anni 60-70 del 900, ha scelto di collegare per così dire “in parallelo” su due pareti opposte della camera assegnatagli lavori realizzati a distanza di quasi tre decenni l’uno dall’altro. Il primo, Piss Project, consiste nella documentazione fotografica di un’azione concepita e posta in essere nell’estate del 1969, quando egli stabilì di bere un certa quantità di acqua del Mare del Nord dalle spiagge della cittadina olandese di Bergen aan Zee per poi spostarsi in auto fino al lago di Jissel dove avrebbe rilasciato il liquido assorbito sotto forma di urina. Il secondo consta invece di 12 immagini nelle quali alla pianta urbana tardo cinquecentesca di altrettante città europee viene sovrapposta una mappa climatica della stessa zona ricavata dai dati del KNMI (Regio


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Getullio Alviani, installation view

luogo che gli accoglie. Fra tutti il più suggestivo è senza dubbio Splendid’s. Il filmato, in pellicola super8, girato nel 2013 nei saloni dell’Hotel de Galliffet a Parigi, riprende, in un frammento, il movimento di un antico chandelier settecentesco. A Vistamare il video è proiettato a soffitto, sul quale, come per magia, si resta incantati dal vortice di riflessi, trasparenze e giochi di luce impartiti dalla riproposizione dell’ondulazione originale del lampadario. Before they break, before they die e Before they break, before they die, Movement II (2013) sono i video entro i quali si fa più dichiarata la relazione di concetto che la Franceschini intrattiene sul piano ideologico con Alviani. Lo sguardo dell’artista, come una piuma, si posa su elementi che tradiscono un andamento lineare e geometrico. Un andamento che crea la sensazione dell’espandersi dell’immagine oltre il delimitarsi della proiezione, generando in chi osserva, uno stato d’illusione sospeso fra

spazio reale e spazio artificiale. In tal senso, i profili formali, a tratti geometrici, che si evidenziano nel susseguirsi di carte da parati, di finiture murarie e complementi d’arredo si fondono alle stanze della stessa galleria. Il coinvolgimento dello spettatore, avviene non solo a livello visivo, ma anche uditivo e percettivo. Un solo suono è diffuso sincronicamente fra i vari ambienti, restituendo la sensazione di essere immersi nella visione di un unico corpo video. Una raffinata sinfonia fra immagini, suoni e luogo che fanno di questo intervento un elegante modo di pensare all’arte in video. Due diverse narrazioni di un solo e affine dettato poetico, che avvicina e spezza le distanze generazionali, fra un grande dell’arte italiana del XX secolo, quale è Getulio Alviani e Anna Franceschini, giovane talento e brillante interprete della video-arte. Maria Letizia Paiato

Anna Franceschini, Before they break, before they die - Movement II, 2014 16mm film transferred to digital, color - mute, 1’ 45”. ED: 3 + 2 AP

Anna Franceschini, Before they break, before they die, 2014 16mm film transferred to digital, color - mute, 2’ 43”. ED: 3 + 2 AP

Istituto Meteorologico Olandese) relativi agli ultimi 10 anni. Nel primo caso il fattore tempo non ha a che fare esclusivamente con il compimento di un percorso lineare ma anche con il compiersi di un ciclo di trasformazione bio-chimica non riscontrabile in natura e tuttavia non per questo innaturale. Una sorta di forzatura morbitda aperta verso la dimensione del simbolico, che sottrae il viaggiatore alle limitazioni proprie del puro e semplice osservatore esterno e lo trasforma in elemento connettivo dell’evento ambientale innescato. Nel secondo, invece, il tempo cronologico si fonde attraverso uno schema grafico codificato con il tempo meteorologico e crea un inatteso gioco di rispondenze formali che inizialmente siamo portati a considerare del tutto casuali, ma che, sottoposte ad un’analisi più accurata della stratificazione di cause ed effetti attive nella formazione di ogni assetto urbano, ci si rivela assai più denso di significati di quanto non ci aspetteremmo. Meno sorprendente quanto ad impatto immaginale ma più direttamente legata all’idea di ascolto e discussione delle diverse esperienze creative oggi possibili ci appare la serie di videoregistrazioni proposte dal gruppo sloveno IRWIN, (Dusan Ä Marinus Boezem, Cartografia, 1572-1997. Piss Project, 1969 GEN/FEB 2014 | 247 segno - 29


Felice Levini, Antares, 2013 Ä Mandi. Milan Mohar, Andrej Savski, Roman Uranjek e Borut Vigelnik) nello spazio ad essi riservato. Transnacionala, questo il titolo del loro lavoro, infatti, altro non è che la documentazione serrata, confluita anche in volune cartaceo, di una serie di incontri avvenuti durante le varie tappe di un viagggio negli Stati Uniti che nel 1996 ha portato i nostri artisti dalla Costa Est a quella Ovest degli Stati Uniti toccando le città di Atlanta, Richmond, Chicago, San Francisco e Seattle. Convinti che con troppa superficialità oggi si dia per scontato che la globalizzazione consentirà in breve tempo all’arte dei paesi dell’Est, non più sottoposti al giogo comunista, di inserirsi in un più vasto sistema dell’arte fruibile secondo modalità e valori oramai stabilizzati e sempre meglio condivisi, i membri del gruppo stanno combattendo sin dal loro esordio una serrata battaglia per contrapporre alcuni principi base da loro individuati al prevalere di un’interpretazione dello sviluppo dell’arte moderna costruita senza riserve attorno ai modelli prevalsi nell’occidente liberista iperindustrializzato. L’idea di un viaggio in senso geograficamente inverso non poteva dunque che rappresentare ai loro occhi uno dei momenti più significativi di una strategia di controintervento, basata non solo sulla creazione di eventi installativi ad alto gradiente di trasgressività, ma anche sul confronto dialogico tra operatori di diverse nazioni circa i temi del condizionamento politico-ambientale, del ripensamento critico dell’influenza delle Avanguardie e della possibilità di trasformare in oggetto di elaborazione artistica immagini provenienti da qualsiasi fonte o circuito comunicativo. Il riferimento al viaggio che ci investe, infine, quando ci affacciamo sull’ambiente ideato da Felice Levini sembra, a prima vista, alieno da ogni insistenza toerico-analitica sul tema proposto e interamente ispirato a criteri di massima leggerezza e fluidità, criteri inscritti, tuttavia, nel nitore di una coinvolgente capacità di emblematizzazione in qualche modo sovrastorica. Di fronte alla soglia della sua camera, proiettata a tutto schermo sulla parete, ci accoglie una sequenza, tratta da uno dei capolavori di John Huston, in cui una bara viene come cullata dalle onde di un mare di cui non percepiamo i confini. Sulla parete laterale destra, invece, un piccolo foglio di lamiera, quasi la pagina di un libro su cui nulla può più essere scritto, proietta sul muro cui è ancorato una sorta di onda luminosa disegnata dalla luce di una lampada che attraversa lo scollamento tra i due margini di una stessa immagine ritagliata,una sorta di profilo che a ben guardare, risulta essere quella dello stesso artista. Spostando la fonte luminosa si potrebbero ottenere un’infinità di varianti anamorfiche della piccola bava di luce in questione che, in un certo senso, con il suo andamento sinuoso va a completare come una sorta di spuma sul bagnasciuga il moto delle insondabili onde che non sono riescono né ad affondare né a sollevare definitivamente la bara. Un’osservazione questa che quando riesce finalmente a prendere forma nella nostra mente ci fa comprendere come la dimensione analitico-strutturale nel diario di bordo così sottilmente evocato da Levini non sia stata affatto sfumata o trascurata, ma al contrario ricondotta ai suoi termini estremi ed ineluttabili: inizio e fine, stasi e movimento, individualità e appartenenza, attraversamento e radicamento, finitezza e infinità… in altre parole la mappatura di base su cui potranno poi andare ad immettersi tutte le tappe, i personaggi , gli eventi e le forze del racconto magico-mitologico così come lo incontriamo presso tutti i popoli 30 - segno 247 | GEN/FEB 2014

e le civiltà di un passato che ci ostiniamo a definre ancestrale ma che è sempre pronto a rimergere e farsi presente. In ultimo quanto al racconto di Francesco Serrao, che già aveva dimostrato a suo tempo una vena letteraria perfettamente in grado di accompagnare il lavoro degli artisti visivi più consapevoli del valore autointerrogativo di ogni autentica opera d’arte partecipando con tre suoi scritti alla mostra “Lo zingaro blu“, tenutasi presso la Galleria Pieroni nel 1990, non possiamo esimerci dal constatare come esso ci riproponga una ulteriore concezione del viaggio che è quella dell’esplorazione della Natura che ad un tempo ci circonda ed è dentro di noi, che ci attrae allo stesso modo e con gli stessi mezzi con cui ci spaventa e che, infine, ci lega ineluttabilmente ad un altro percorso cui non possiamo sottrarci, quello attraverso gli elementari della vita, la famiglia, la casa, gli animali domestici, l’apprendimento, gli oggetti d’affezione e tutta quella combinatoria di simli cose che col passare del tempo finiamo per identificare con la nostra stessa persona. Come a dire che non esistono vagabondi ma solo uomini più o meno attratti dall’idea di un arricchimento interiore capace di trovare in se stesso le proprie regole. Paolo Balmas foto di Gino Di Paolo

IRWIN, Transnacionala. A Journey from East to West, 1996


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Galleria Lia Rumma, Napoli

Anselm Kiefer

A

quasi sette anni di distanza dall’ultima personale presso la sede napoletana di Lia Rumma, Odi Navali, il celebre artista tedesco Anselm Kiefer (Donaueschingen, 1945) ritorna ad esporvi mettendo da parte la sua vena tragica - rimpiazzata da toni persino allegri e festosi -, ma non la sua fascinazioneossessione per la storia, in particolare quella del suo paese, e la sua modalità di attingervi facendola interagire col presente. Il proposito di celebrare un sodalizio ormai di lunga data, come quello che egli intrattiene con la gallerista – scelta che si pone peraltro in una certa continuità con la vocazione della mostra ospitata nei medesimi spazi immediatamente prima, ove tre artisti di generazione assai più giovane, come Domenico Antonio Mancini, Michele Guido e Luca Monterastelli, hanno cercato di instaurare un dialogo con la memoria del luogo, lambendo quindi la figura della stessa Lia Rumma – lo conduce infatti a risalire al poeta basso-medioevale di lingua tedesca Walther von der Vogelweide - tra gli innovatori dello spirito e delle forme della “lirica d’amor cortese”, grosso modo una sorta di parallelo di nostri poeti della Scuola Siciliana - e ad una delle sue più celebri ballate, Unter den Linden (All’ombra di un tiglio). Tanto i dipinti supportati dalle pagine del gruppo di libri custoditi in una grande teca che occupa la prima sala – ora popolati da figure leggere e diluite, ora improntate alla densa matericità tipica di Kiefer -, quanto le due monumentali tele a tecnica mista che campeggiano in quella successiva – ove una spessa ed accidentata superficie plastico-pittorica lascia riconoscere un tripudio di elementi vegetali soltanto in virtù dell’arresto ad un grado di astrazione non troppo lontano dalla dissoluzione della figuratività –, vanno così intesi come tentativo di entrare in dialogo con una pur così distante, remota temperie storica e morale. Nell’incontro “all’ombra di un tiglio” - l’albero più familiare e più caro all’animo germanico –, oggetto della ballata di von der Vogelweide, appare così adombrato quello fortunato e duraturo tra l’artista e la gallerista. Stefano Taccone Castel dell’Ovo, Napoli

Attersee - Nitsch “Duetto per Napoli”

A

lle soglie delle feste natalizie, Hermann Nitsch, arcinoto al pubblico napoletano in virtù dell’ormai quarantennale sodalizio con Giuseppe Morra - consolidato dall’apertura di un museo specificamente dedicato alla sua opera nel 2008 -, e Christian Ludwig, in arte Attersee, anch’egli legato da un rapporto antico con Napoli, ma per motivi differenti – in particolare nel 1960, in occasione delle Olimpiadi, vi giunse nelle vesti di velista – si incontrano, sia sul piano della produzione propriamente artistico-visiva, sia su quello musicale – l’inaugurazione di Castel dell’Ovo è preceduta dal concerto di Palazzo Reale in cui il primo si esibisce all’organo con il suo concretismo sonoro, mentre il secondo sfoggia le sue doti di pianista e cantante, capace di spaziare dal repertorio popola-

re al blues –, per un evento che, a cura di Achille Bonito Oliva, intende naturalmente configurarsi tanto come dialogo tra i due artisti quanto come dialogo di questi ultimi in rapporto al contesto locale. Quasi coetanei e conterranei – Nitsch nasce nel 1938 a Vienna; Attersee nasce nel 1940 a Bratislava in Slovacchia e si trasferisce in Austria nel 1944 –, ma provvisti di percorsi differenti, benché non incompatibili – esponente più

Hermann Nitsch, Schüttbild mit Malhemd, 1989,cm. 300x188

Cristian Ludwig Attersee, KNABENWASSER, 2003 186 x 186 cm / 200 x 200 cm acrilico e vernice su tela

rappresentativo dell’Azionismo viennese, e dunque di una pratica artistica improntata all’evento, l’uno; inizialmente influenzato dagli umori pop e quindi connotatosi come la figura fondante “nuova pittura austriaca” l’altro -, il terreno sul quale forse maggiormente si incontrano è quello dello spirito dionisiaco, della hýbris che trapela tanto dalle monumentali tele dalla dominante gialla o rossa di Nitsch, che, spesso e volentieri associate ad oggetti come paramenti liturgici, vanno sempre intesi quasi come episodi di quella che nei fatti è la sua unica, imponente e perpetua opera, il Teatro delle Orge e dei Misteri, quanto dalle violente, vivaci, espressionistiche accensioni cromatiche che pervadono i dipinti di Attersee. Uno spirito che è fin troppo facile far collimare con quello solitamente riconosciuto tipico della città partenopea. Stefano Taccone GEN/FEB 2014 | 247 segno - 31


Lucio Fontana Catalogo ragionato delle Opere su carta intervista al curatore Luca Massimo Barbero

catalogo ragionato delle opere carta di Lucio Fontana, curato da ILucalsuprimo Massimo Barbero con la collabora-

zione di Nini Ardemagni Laurini e Silvia Ardemagni (edito da Skira), è frutto di una lunga ricostruzione che ripercorre quasi quarant’anni di lavoro grafico dell’artista che ha segnato la storia dell’arte del 900. Il disegno, aspetto esclusivo di una creatività prorompente, attraverso questo catalogo viene svelato come tema caratterizzante di ciò che, a ben vedere, riporta coerentemente ogni aspetto fondante di una energica vita per l’arte. Enrico Crispolti, autore dei precedenti cataloghi ragionati delle opere di Fontana e qui autore della prefazione, scrive nel suo testo, “Riprendendo dunque un filo di un discorso storico-critico avviato quarant’anni fa: certamente disegnare, da sempre, è stato, per Lucio Fontana, essenzialmente progetto d’immagine.”, sottolineando come la centralità del disegno nella ricerca di Fontana sia chiara da subito: “Fontana ha sempre disegnato, e la sua storia creativa è infatti depositata più esaustivamente proprio nel disegno. La cui continuità di dimensione concettuale e di pratica di liberissimi modi grafici risulta eccezionale, offrendo un repertorio vastissimo di intuizioni immediatamente riscontrate sul foglio. Nel disegno è insomma la testimonianza più profonda e più ricca di un’attività creativa sviluppata lungo il quarantennio centrale del XX secolo, nel vivo di quella ‘tradizione puramente creazionistica’, tipicamente italiana.” Luca Massimo Barbero, nel suo lungo lavoro di analisi scientifica, per la storicizzazione sistematica dell’opera su carta, ha tracciato una chiara linea descrittiva di una personalità ricca di aspetti sorprendenti, che incontra e interagisce con il mondo nella più ampia modalità creativa. Alcune domande poste al curatore di questo catalogo ci restituiscono chiaramente questo percorso di ricerca. - L’esperienza fatta in un lavoro che l’ha vista impegnato molti anni nell’intensa attività di ricostruzione di un patrimonio grafico notevole, è stato un viaggio esclusivo di riscoperta della personalità del grande artista del Novecento; com’è andata? - Questo vero e proprio viaggio, come lei lo ha definito, dipanato per oltre sei anni, ha coinvolto molti individui in modi e 32 - segno 247 | GEN/FEB 2014

tempi diversi, ma tutti rapiti dal fatto che fosse possibile per la prima volta scoprire un nuovo Lucio Fontana: attraverso le opere su carta che si andavano ordinando e interpretando. Le opere su carta, primarie e fondamentali per l’intero suo lavoro, analizzate, datate, trascritte e non solo schedate, son riunite in un flusso ricostruito e costituiscono un vero tracciato. Sono circa 5700, un numero alto, quasi la conferma della ricchezza e del flusso ininterrotto del suo creare dal 1928 al 1968; quarant’anni esatti di percorso di Lucio Fontana. Un Fontana rivelato, narrato, un cammino percorso quasi giorno per giorno attraverso questo diario di pensiero, di ricerca, di inediti. È forse questo il senso di un viaggio che nei volumi del Catalogo è ricostruito nel dettaglio certo, per gli studiosi e anche per un pubblico che di Fontana conosce gli aspetti più noti e che qui invece, vibra di quella inesauribile inventiva, di quella stupefacente ricerca che ancora oggi è d’avanguardia, di grande varietà e straordinaria preveggenza. Prendere coscienza di queste qualità, che lo collocano tra i pochi veri maestri del secolo trascorso, e la sorpresa di al-

cune scoperte, progetti, pensieri, sono state le grandi costanti di questa avventura nel suo pensiero, nell’attraversare il suo mondo con l’ausilio dei suoi “fogli”, come mappe. Al termine necessario del viaggio, insomma, si vorrebbe ricominciare, rileggere, rivedere, mai consegnare all’editore, questo senso circolare di conoscenza, di quella che diviene una “frequentazione”. La corrispondenza con l’artista ed il suo pensiero diventano i punti indimenticabili di questi lavori, che superano il compito già di per sé ricchissimo della catalogazione. - La prefazione del catalogo è di Enrico Crispolti, che ha curato i precedenti cataloghi ragionati delle opere di Fontana, è stato per lei motivo di scambio e confronto intellettuale? - Enrico Crispolti è il responsabile di tutta la catalogazione dell’opera di Fontana, e questa pubblicazione rientra sotto la sua egida e guida. Direi che soprattutto egli è lo storico dell’arte che ne ha accompagnato, costruito, definito e ordinato il lavoro attraverso decenni di ricerche,

Lucio Fontana nel suo studio, 1965 ca. (Foto Studio Wolleh) pag. 8 Lucio Fontana, Concetto spaziale, 1954, buchi e gouache su carta incollata, successivamente, su tela, rosso, giallo e nero, cm 50x70 (54 DSP 11) pag. 105


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

affascina per la sua malleabilità, la capacità (amata da lui eminentemente scultore) di trattenere le tracce, i segni, i buchi. Si pensi poi all’importanza della scoperta della penna a sfera la cui malleabilità e risposta alla veloce sollecitazione la fanno divenire dagli anni 40 il suo strumento ideale. Sulla carta, o meglio nella carta, nascono i primi Buchi, i primi Tagli; tutta la sperimentazione della sua scultura nasce in questo materiale. Il disegnare è fondante ogni attività di Fontana. Il disegno poi è sempre progettuale, inventivo, indagatorio, potenziale di idea e progetto. Quindi, percorrendo queste migliaia di fogli si ripercorre e si scopre veramente il fluire del suo pensiero e la meraviglia delle sue ricerche, alcune delle quali rimaste alla stadio iniziale, nascoste sino ad oggi nei suoi fogli. - Fontana ha sempre tenuto alle dimensioni architettoniche e decorative che entrano organicamente nel suo lavoro scultoreo e spaziale, come vengono espresse attraverso il foglio di carta, da lei definito nel testo come il luogo del pensiero?

Lucio Fontana, Concetto spaziale, 1954 buchi e gouache su carta verde, rosso, giallo e nero, cm 33x25 (48 DCSA 1) pag. 136

saggi, esposizioni. Dell’universo Fontana, Crispolti ha in questo modo costruito un Atlante imprescindibile cui noi tutti facciamo riferimento, ed ogni volta che si affronta un viaggio in questo “Universo Fontana” le tracce di Crispolti risultano sempre indelebili e chiare. Anche in questa occasione tutto il materiale si è condiviso con lui, discusso e analizzato, così come la divisione dei capitoli, della classificazione. L’opera su carta è come una anticipazione lucidissima e rivelatoria di tutto ciò che sarà l’opera successiva dell’artista, ed essere stato chiamato a lavorare a fianco di Crispolti e della Fondazione Fontana è più di uno scambio, un completamento continuo di approfondimenti, ricerche, confronti fondamentali per una nuova lettura dell’artista.

tipologicamente, uno degli aspetti fondamentali della ricerca di Fontana e cioè quello di utilizzare il “Materiale Carta” come un materiale su cui agire in vari modi, partendo proprio dalla tipologia del materiale utilizzato. Così il suo fluire nervoso, lucidissimo ed al tempo stesso quasi automatico del suo segno, se nato dall’inchiostro e pennino, necessita di un certo tipo di foglio o viceversa. È la natura della carta assorbente che già dal 1950 lo

- Il rapporto di Fontana è con lo Spazio, con le dimensioni tutte pensate di Spazio, Tempo ch’egli utilizza come veri e propri materiali ponderati dell’opera. Il disegno e l’opera su carta sono quindi luoghi in cui il Concetto fontaniano di Spazio prende forma. Lo spazio in questi fogli è suggerito prospetticamente, architettonicamente e soprattutto espresso come un concetto: un luogo fisico e mentale in cui agire, costruire un’idea. Così i fogli che comprendono questa dimensione spaziale, ambientale sono stati divisi e presentati in ricche sezioni, quelle appunto degli Ambienti Spaziali (che confermano Fontana come uno dei pionieri dell’Environment), degli studi per l’Architettura (è costante e continuo il suo lavorare insieme ai grandi architetti) e quelli per la Decorazione in cui l’artista ridisegna con le sue invenzioni, sia figurative che spazialiste, alcuni spazi domestici, pubblici arrivando all’invenzione anche di grandi spazi d’architettura. L’universo Fontana è soprattutto visibile in questo catalogo ragionato, nella ricostruzione del fluire di idee, progetti, in una sorta di sincretismo tra la sua parte figurativa, quella astratta ed anche tra le parti di scultore e di intervento nello spazio. a cura di Ilaria Piccioni

Lucio Fontana, Concetto spaziale, 1962-63 buchi su carta assorbente bianca, cm 46x60 (62-63 DSP 71) pag. 130

- La carta è stato l’elemento centrale nella ricerca artistica di Lucio Fontana, il medium che ha dato infinite possibilità di espressione nella poliedricità delle tecniche e materiali da lui usati, sempre diversi e inconsueti. Sembra sia stato un mezzo anche essenzialmente emotivo, con il quale l’artista, a briglie sciolte, si sia concesso nell’espressione dell’essenza creativa. Può considerarsi elemento fondante di lavoro di ricerca artistica e allo stesso modo il più corrispondente della sua comunicazione intima? - Ho voluto titolare il catalogo “Opera su Carta” e non Catalogo dei disegni, proprio per sottolineare, non solo tecnicamente o GEN/FEB 2014 | 247 segno - 33


Studio Trisorio, Napoli

Steve Riedell

A

sei anni di distanza dalla sua prima mostra presso lo Studio Trisorio, (una doppia personale con il coetaneo artista australiano Lawrence Carroll dalla quale emergeva il loro stretto sodalizio – non a caso il titolo era A Conversation Between Friends - Steve Riedell (Inglewood – California, 1954) vi fa ritorno con Place and Memory, personale prettamente costituita da una serie di oggetti plastico-pittorici - Folded-Over Paintings - che echeggiano, per sua stessa ammissione, «canotti e materassini gonfi o sgonfi, palloni da spiaggia, sedie a sdraio sempre sul punto di collassare, un costume da bagno irrigidito dal sole (...)», tutti elementi insomma tipici del paesaggio californiano della sua infanzia. I FoldedOver Paintings sono tecnicamente dipinti ad olio su tela intrisa di cera e montati su di un supporto ligneo, ma Riedell è solito aggredirli quasi fossero materia da plasmare nello spazio tridimensionale: accade così che la tradizionale ortogonalità del quadro venga messa in crisi, che recto e verso si fondano e confondano, lasciando che la superficie dipinta non interessi un solo piano, ma sconfini in quelli ove solitamente non arriva a penetrare lo sguardo – per conoscerli pienamente sarebbe necessario staccarli dalla parete e ribaltarli davanti ai propri occhi -, che

Stazione Tiburtina di Roma

Osmosis

D

ecisamente ben scelto l’ambiente di una stazione per una mostra di arte contemporanea. Se un simbolo deve essere indicato per l’uomo contemporaneo, sicuramente il viaggiare può essere candidato. E col viaggiare il nomadismo, uno dei cardini della ricerca di Achille Bonito Oliva. Il critico si spinge oltre, nel breve testo di accompagnamento alla mostra, e afferma che il cambio di luogo, il fare di ogni stazione il proprio luogo, è l’unica forma di estetismo possibile oggi. Molto si può condividere di questo rilievo, come altrettanto occorre ammettere che il desiderio di offrire uno spaccato di tutta la Gea Casolaro, South#16 William Cobbing, Excavation

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ricerca contemporanea è raggiunto da Osmosis. Per le referenze minime di questa esposizione informo che ci troviamo nei lineari ambienti della nuova Stazione Tiburtina di Roma. Il secondo piano è ancora vuoto di attività, oggi certamente è uno spazio rarefatto, quindi sembra perfetto per organizzarvi una mostra, con ambienti piuttosto adatti a un’esposizione, con un singolare dialogo tra interno ed esterno, e una ripartizione degli spazi che ha addirittura qualcosa delle sublimi scenografie di Appia, con moderate scalinate, e fatti visivi diradati ed eleganti. Gli autori delle scelte artistiche sono gli studenti del Master per curatori della LUISS, che, a fronte di un corpo docente di prim’ordine, tentano il salto chiamando come testimonial Achille Bonito Oliva. Se dimesso appaiono il tema e l’intendimento (decisamente risaputo il primo: la crisi; uno specchio di tutta l’arte contemporanea il secondo, dalla più fisica, realizzata con figure mimetiche, alla più rarefatta, realizzata con i suoni) sicuramente si può


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Steve Riedell, veduta generale galleria. Nella pagina accanto, Seagull

assumano, in definitiva, una marcata connotazione scultorea, con tanto di peculiari sollecitazioni tattili che tale genere spesso e volentieri implica. I graziosi rigonfiamenti in cui si articolano le tele pongono

infatti al fruitore un’inquietante dilemma sulla loro autentica consistenza, avvalendosi del cortocircuito tra visione che suggerisce morbidezza - quella tipica di un involucro di gomma gonfiabile, come

appunto un canotto, un materassino etc. – e coscienza che allarma sul possibile inganno ottico, che sarà debellato solo ottenendo la possibilità di palpare. Stefano Taccone

leggere una grande passione e un grande lavoro di documentazione relativamente a una materia, l’arte contemporanea, che facile e lineare non è di certo. Nel video di Alis/Filliol sembra di perlustrare una caverna. Siamo di fronte all’ingresso di cunicolo, ci entriamo e abbiamo l’immaginabile sensazione di non-avanzamento, che danno tutte le gallerie, tra queste pareti marmoree. Al limite e del tutto fuori dall’ambiente principale le installazioni di Mircea Cantor e Fausto Delle Chiaie raccontano della difficoltà di organizzare in un sistema unitario tutti i dati che ci pervengono. Siamo di fronte a materiali eterogenei, che possono anche caricarsi di contenuti di denuncia. Altri due autori possono essere uniti per affinità di linguaggio: Margherita Morgantin e Donato Piccolo. Se lo strumento usato è una pittura apparentemente tradizionale, nel viluppo di corpi della prima e nella capacità mimetica del secondo occorre sicuramente ammettere una ricerca che

tiene conto di tutto ciò che è accaduto nell’arte. Fatti di mitologia quotidiana raccontano Gea Casolaro e Ludovica Cerbotta. Negli scatti della prima la perfetta leggibilità dei paesaggi è negata dalla ironica collocazione, infatti sono installati capovolti; un’ombra vagamente umana negli scatti della seconda ci dice dove siamo stati e quali alterazioni all’ambiente abbiamo prodotto con la nostra presenza. Opposta la consistenza della figura di William Cobbing. Nel suo video un personaggio munito di martello e scalpello cerca di distruggere la corazza di pietre e cemento che gli copre il volto. Altrettanto concrete le figure di Mark Jenkins. Se il riferimento a un certo realismo degli anni ’60 pare inevitabile, occorre ammettere che l’installazione di queste figure all’interno di ambienti comuni è conturbante. Solo a un secondo sguardo scopriamo che si tratta di sculture, non persone reali, e ciò è decisamente

inquietante. Sempre su un linguaggio realistico si intrattiene Ivan Navarro, che sembra raccontare, attraverso un “flusso di coscienza”, minimi fatti che avvengono accanto una ferrovia frammisti a ricordi di vita vissuta, con uno stile particolarmente accorato. Cesare Pietroiusti e Paul Griffith ingoiano del denaro dato loro da un banditore che lo prende dal pubblico. La denuncia attraverso l’uso irrazionale di elementi più che concreti è una costante di questa ricerca costantemente in opposizione. Del tutto differente il linguaggio di Domenico Romeo, che cerca di sintetizzare la figurazione occidentale e il decorativismo alfabetico dell’Oriente. Le vaghe figure di uccelli realizzate così hanno il piumaggio composto di segni arabi. Chiude la mostra una installazione sonora curata da RAM, con uguale volontà enciclopedica, infatti sono ospitate opere recenti e pionieristiche. Paolo Aita

Margherita Morgantin, Gaza

Pietroiusti Griffiths, Mangiare denaro

Domenico Romeo, Selezione Innaturale

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Galleria Continua, San Gimignano

Moataz Nasr

a un progetto di Toscanaincontemporanea 2012, l’artista D egiziano Moatz Nasr ha esposto in una doppia personale Moataz Nasr. Un ponte tra Pisa e Santa Croce sull’Arno - a

s ▼ Moataz Nasr, The Return of a Griffin, 2013 [struttura di poliuretano espanso, pelle; h cm 160 x 130,5 x 64,4 circa] L’opera è stata realizzata grazie al prezioso contributo di Renato Corti spa. Il modello 3D per la realizzazione della struttura è stato gentilmente concesso da Visual Computing Laboratory Istituto di Scienza e Tecnologie dell’Informazione (CNR-ISTI). Consiglio nazionale delle Ricerche Pisa. Photo Cesare Bonifazi Martinozzi

cura di Ilaria Mariotti e in collaborazione con Galleria Continua di San Gimignano - presentando delle opere di rara bellezza (molte site-specific) negli spazi del Centro Espositivo SMS San Michele degli Scalzi di Pisa e in quelli di Villa Pacchiani Centro Espositivo di Santa Croce sull’Arno. In dialogo con il territorio pisano, Nasr ha concepito il progetto come se fosse un intimo e significativo taccuino di viaggio nel quale sembra abbia voluto, per mezzo delle opere, appuntare le emozioni e gli stupori più significativi nati dall’incontro con una realtà mai vista prima. Un aspetto in particolare ha colpito l’artista durante le sue visite nell’antica Repubblica Marinara: il posizionamento del grifone di matrice islamica sul tetto della cattedrale pisana (attualmente sostituito da una copia in cemento; l’originale in bronzo è conservato nel Museo dell’Opera del Duomo). Spia di un rapporto secolare con la cultura islamica (il grifone fu collocato sulla cattedrale nel XIII secolo) il grifo si rivela agli occhi di Nasr come il simbolo più bello e sig▼ Moataz Nasr, Vacanze Romane, 2013 [8 Vespa Piaggio; lato cm 170 circa]. Il progetto, sviluppato con il supporto della Fondazione Piaggio, è stato seguito dall’artista in diretta collaborazione con la direzione tecnica Piaggio e Gruppo Argol Villanova. Photo Cesare Bonifazi Martinozzi

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attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

s Moataz Nasr, The Maze (bread, freedom, social justice), 2013 site specific project SMS Pisa; disegno sufi su prato, m 19x15. Photo Cesare Bonifazi Martinozzi ▼ Moataz Nasr, The Flower, 2013 [particolare] fiammiferi su legno, plexiglas; cm 150x150x10. GALLERIA CONTINUA, San Gimignano / Beijing / Le Moulin

nificativo e capace di raccontare la storia di un’antica commistione tra la cultura locale e quella araba. Così, l’opera The return of a Griffin che presenta a Villa Pacchiani di Santa Croce sull’Arno all’interno del progetto generale THE journey of a Griffin, non è altro che una raffinata copia del grifone

pisano, realizzata interamente in cuoio secondo la tradizione artigianale locale. Assieme alla riflessione sulle radici storicoculturali dell’area pisana, Nasr individua i punti d’eccellenza che caratterizzano il tessuto sociale e civile del luogo trasformandoli in opere d’arte: l’artigianato del cuoio per l’opera del grifone e la realtà industriale della Piaggio nell’installazione Vacanze Romane che presenta a Pisa. Harmonia è il titolo del progetto per il centro Espositivo SMS di Pisa; un’armonia che troviamo nelle forma ottagonale dell’opera Vacanze Romane costituita da otto Vespa Piaggio collegate le une alle altre attraverso la condivisione di una ruota o nel lavoro The Maze, un disegno sufi su prato che con la ridondante scritta “il popolo vuole la caduta del regime” in caratteri cufici, forma un tipico labirinto arabo. Dalle installazioni alle opere realizzate con i fiammiferi, dalle stampe alle pitture, Nasr conduce il filo del suo personale discorso, interrogando storia passata e vicende contemporanee sulle questioni di identità, tradizione e trasformazione, per riflettere sulla possibilità di un linguaggio universale dell’arte. Giuliana Benassi

▼ Moataz Nasr, Vacanze Romane, 2013 [8 Vespa Piaggio; lato cm 170 circa]. Il progetto, sviluppato con il supporto della Fondazione Piaggio, è stato seguito dall’artista in diretta collaborazione con la direzione tecnica Piaggio e Gruppo Argol Villanova. Photo Cesare Bonifazi Martinozzi

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Galleria Santo Ficara, Firenze

Roberto Pietrosanti

na rassegna di opere recenti di Roberto Pietrosanti, dal titolo “Atto e U Potenza” è allestita nei suggestivi spazi

della galleria Santo Ficara. La mostra è basata sul concetto filosofico e artistico - come spiega il curatore Marco Meneguzzo - di “azione in potenza” e “azione in atto”, dove la prima indica la tensione prima dell’azione e la seconda il rilascio della forza durante l’azione. Naturalmente i significati concettuali sono molteplici, ma questi due in particolare si attagliano perfettamente alla scelta artistica dell’artista, che, partendo dall’osservazione di due famosissime sculture con lo stesso soggetto - il David di Michelangelo e quello del Bernini - astrae dei particolari che poi elabora secondo linee di forza apparentemente astratte, ma di fatto correlate alla tensione del momento “in potenza” e all’esplosione dell’azione, della situazione “in atto”. I lavori - tre per ciascuna condizione energetica - si contrappongono, e trovano la loro sintesi di “potenza” e “atto”, appunto: filosoficamente e logicamente questo non è possi-

Roberto Pietrosanti, Senza titolo, 2013, cm 125x110, smalto acriluretanico su lastra PVC

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Installazione alla galleria Santo Ficara Firenze, foto: Nino Lo Duca

bile, ma artisticamente forse si, e questa è la sfida di Pietrosanti. Accompagnano questo grande ciclo una scultura ed una colonna, oltre a lavori di progetto, che mostrano come si possa arrivare all’astrazione, e fare dell’astrazione, a partire dalla concretezza storica e dall’analisi dei linguaggi artistici più tradizionali. (a cura di Lucia Spadano)

Roberto Pietrosanti, Senza titolo, 2013, 60x50, smalto acriluretanico su lastra PVC


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Galleria permariemonti, Civitanova Marche

Ubaldo Bartolini

na serie di opere, tutte dello stesso formato (cm 30x40), si dispiega sulle U pareti della galleria in un continuum che

sembra ripetere all’infinito la stessa immagine. Ad un’osservazione più attenta si percepiscono forme “inafferrabili”, come dissolte in un alone luminoso. In queste recenti opere, che chiama Atti, Bartolini rinuncia al colore ed alla figurazione per giocare con grande raffinatezza con impalpabili rimandi ad una natura che ognuno può ricostruire nel suo immaginario. Nel puntuale testo che introduce la mostra lo spiega molto bene Mario Savini: “Negli Atti di Ubaldo Bartolini la violenza della luce si esprime in tutta la sua grandezza, è invadente e travolge ogni minimo dettaglio. L’artista utilizza soltanto due tinte, bianco e terra di Cassel, ma le infinite variazioni danno corpo alla complessità della percezione e alla difficoltà di relazione con il contesto. La luce pertanto diventa “segno” che conferisce agli spazi una qualità immateriale, è vortice che trascina e sopprime qualsiasi richiamo ad altri suggerimenti cromatici, accentuando l’effetto di profondità. Chi Galleria progettoarte-elm, Milano

Pino Pinelli

uando si parla del lavoro e di di Pino Pinelli non si può fare a meno di ciQ tare la pittura analitica e la “frattura del

quadro”, ridotto in frammenti geometricamente definiti ed armonicamente disseminati sulle pareti. Ogni “frammento” o “gruppo di frammenti” è titolato dall’artista “Pittura” e definito con l’iniziale del colore che lo ricopre: R per rosso, B per blu ecc. La recente mostra allestita a Milano con l’attenzione di Ernesto Gisondi e curata da Marco Meneguzzo, ha un titolo un po’ spiazzante o quanto meno curioso: “La pelle del daino”, la cui interpretazione sarebbe stata impossibile se non ci fosse venuto in soccorso il curatore, che, nel testo in catalogo svolge una vera e propria indagine e finalmente scopre l’indizio che ci aiuta a capire: “Così, una volta scoperto - è il caso di dirlo: quasi non lo ricordava neppure lo stesso artista! - che uno dei pri-

osserva, infatti, non riesce a distinguere immediatamente ciò che è stato rappresentato: soltanto la calma dello sguardo può liberarsi dal magma indistinto della luce per far emergere le superfici di un

panorama velato. È un passaggio che si completa anche mentalmente, pronto ad accostarsi ai colori di un bosco o alle parti silenziose di un mondo rurale”. L.S.

Ubaldo Bartolini, Atto, tecnica mista su cartoncino, cm30x40, 2013

mi lavori di “uscita dal quadro”, da allora così tipici della sua produzione, è stato un piccolo dittico di cui una delle due parti, di dimensioni fortemente differenziate, non era costituito da una superficie dipinta, come l’altra, ma da una pelle di daino stesa sul telaio la coscienza critica - o se volete, più maliziosamente, l’intuizione di un possibile, gratificante “esercizio di stile” alla Raymond Queneau… - si è risvegliata e ha provato a mettere in discussione tutto l’apparato esegetico che quella stessa coscienza - nella fattispecie, la mia - ha contribuito a creare nel corso degli anni. Stiamo parlando di Pino Pinelli, della Pittura Analitica e di una pelle di daino. (...) Per questo, forzando un po’ l’interpretazione perché, per affermarsi, la scoperta di una piccola novità deve essere sostenuta come se fosse una grossa novità, si può provare a considerare l’opera di Pinelli, da quel momento fatidico di metà decennio, da quella piccola pelle di daino, addirittura sotto la categoria del “valore tattile”. (a cura di Lucia Spadano)

Nella immagini, due “ambienti” di Pino Pinelli allestito in galleria

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A.A.M. Architettura Arte Moderna Extramoenia

Giancarlo Limoni Natura naturata Un ripercorso di oltre vent’anni di Francesco Maggiore

L

a mostra “Paesaggi”, legittima il sodalizio che, da oltre vent’anni, lega l’artista Giancarlo Limoni alla A.A.M. Architettura Arte Moderna. La mostra si configura in due momenti espositivi che, in successione, presentano opere appartenenti al medesimo ciclo tematico rivolto al paesaggio; questo campo d’indagine, che ha segnato la produzione più recente di Limoni, è in realtà presente nell’opera dell’autore fin dagli anni ’80, ponendosi come riferimento ideale per i suoi lavori naturalistici. Nelle due occasioni espositive sono complessivamente esposte oltre quaranta opere (olii su tela di grande formato) che, assieme a un corpus di grandi acquarelli e piccoli bozzetti preparatori, restituiscono l’intera produzione del ciclo. “Paesaggi” prende avvio, non casualmente, con una serie di lavori che si pongono come “limite” e “soglia”, in cui lo sguardo dall’alto dell’artista trasforma “Nel blu il paesaggio” o “Sentinelle” in vere e proprie ouvertures, in cui la pittura si fa più rarefatta, in favore di un processo di sottrazione cromatica e materica. La frontalità e la visione dall’alto sono l’antecedente di quel cospicuo numero di opere “A perdita d’occhio”, come “Paesaggio con terra rossa” 2010 o “Paesaggio viola” 2011, che sul tema del “frastagliamento” e della “mineralizzazione” dei luoghi e dei suoli, tendono a dare corpo e sostanza allo Sturm und Drang (Tempesta e impeto) dei turbinii turneriani di “Marina verde” 2009 e “Marina del nord” 2010. Solo dopo essersi confrontato con la diversità degli sguardi e avere sondato i limiti della visione stessa, Giancarlo Limoni approda cosi all’apparente sospensione di opere come “Marina con cielo giallo” 2013, e di altre declinate sullo stesso tema. Ma sembra poi ritrarsi immediatamente, quasi rifuggendone, nella ritrovata “atarassia” democritea, per rimettersi in discussione con il ritrovato piacere della vertigine e dell’instabilità, come in “Cieli gialli” e in “Cieli rossi” 2013. Sarà proprio da queste allusioni allo sprofondamento negli abissi che l’artista, con nuove ritrovate energie, con rinnovati colpi d’ala e d’azzardo, potrà di nuovo librarsi in volo “a riveder le stelle”. Questa sorta di “punto e a capo” nell’itinerario artistico di Giancarlo Limoni è preannunciato nel 2007 da alcune straordinarie opere, tra cui: “Lacrimae rerum. Le lacrime di Krishna. Paesaggio con giardino indiano”, “Paesaggio sommerso” e “Tentativo di paesaggio”, rimaste in “ombra” nello studio dell’artista, concentrato in quegli anni nella preparazione del ciclo “Non ho tempo (Je n’ai pas le temp)” / “Lezione di tenebre: opere dal nero”, presentato alla A.A.M. Architettura Arte Moderna nell’ottobre 2009. Questi lavori “segreti” di Giancarlo Limoni, lasciano affiorare alcuni elementi di paesaggio, attraverso una cortina di petali-lacrime o al di sopra di una naturalistica eccitazione cromatica, esibita in primo piano, come vera e propria ribalta, messa in scena di una scompigliata siepe, scossa da una sorta di “vento barocco”, protesa a occultare e, nello stesso tempo, rivelare l’orizzonte oltre se stessa. Sicuramente quelle opere rappresentano

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Giancarlo Limoni, Paesaggio sommerso, 2007, olio su tela, 90x120 cm Giancarlo Limoni, Marina con cielo giallo, 2010, olio su tela, 170x200 cm


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Giancarlo Limoni, Nel blu il paesaggio, 2008, olio su tela, 210x230 cm

la volontà dell’artista di liberarsi dal rigore ascetico del ciclo “opere dal nero”, dalle costrizioni di fare del suo lavoro una pura apparizione che riemerge dai fondi bituminosi di quel preciso momento del suo percorso artistico. È proprio a partire da questi elementi che si è individuato quello che sarebbe diventato il nucleo tematico e il nodo problematico da affrontare come successivo impegno artistico per la mostra attuale. È da queste osservazioni che A.A.M. Architettura Arte Moderna ha rinnovato il suo legame con l’artista coinvolgendolo in un nuovo progetto espositivo. In questo modus operandi è possibile rinvenire la specificità della vocazione di A.A.M. Architettura Arte Moderna, che con la sua intenzionalità progettuale, fa del lavoro maieutico con gli artisti, della condivisione e della individuazione dei percorsi, all’interno dell’intero Sistema dell’Arte, dall’Architettura al Design, dall’Arte Contemporanea alla Fotografia, un punto di forza e di riferimento, senza rischi o pretese di sovrapposizioni autoriali rispetto all’autonomia dei singoli artisti e, tanto meno, senza la pretesa di essere riconosciuti come “suggeritori” di repentine e provvidenziali “folgorazioni” sulla via di Damasco. Sono nati cosi i sei piccoli “studi” del 2008 realizzati da Giancarlo Limoni come incipit della nuova “storia”. In questi bozzetti l’artista, rinunciando alla sontuosità materica che lo ha sempre caratterizzato, sembra concentrarsi su una circoscritta messa a fuoco di dettagli, di frammenti di paesaggio, di grumi materici, tra esplosioni magmatiche, liquide dispersioni-diluizioni e improvvise apparizioni di orizzonti, prima instabili e poi sempre più definiti. Il percorso artistico di Giancarlo Limoni - scrive Francesco Moschini - “è segnato da una

stringente continuità nel suo modo di far pittura, nelle tecniche adottate, nelle atmosfere da lui evocate; la sua aderente attenzione al reale riesce a trasfigurarsi da pura rappresentazione in una più allusiva folgorazione che allude soltanto al reale,

che rimane così in filigrana, quasi memoria sotterranea, come pura intuizione e intenzionalità attraverso i rimandi dei suoi colori, delle sue tonalità, delle sue linee forza. Il suo vitalistico rapporto con la pittura è sotteso dal tentativo di portare alla luce e

Giancarlo Limoni, Paesaggio con cielo rosso, 2013, olio e acrilico su tela, 80x70 cm

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dare sostanza corporea all’invisibile ed in questo corpo a corpo non si limita all’epifania della natura ma, attraverso la scomposizione degli elementi e della luce che li investe, tende a sondare la loro stessa struttura più intima. Ma l’apparente attenzione scientifica ai dati reali è contraddetta dalla sua costante capacità di “alterare” il tutto per perseguire ciò che più lo attrae, ovvero l’affermazione di quell’universo fantastico che lui si è precostituito, dove la realtà è piegata a restituire emozioni ma anche a ribadire la propria sopravvivenza, sia pur come semplice parte di realtà”. Giancarlo Limoni è tra i protagonisti della Nuova Scuola Romana degli anni ’80, assieme a Domenico Bianchi, Bruno Ceccobelli, Gianni Dessì, Giuseppe Gallo, Enrico Luzzi, Nunzio, Claudio Palmieri, Piero Pizzi Cannella, Sergio Ragalzi, Marco Tirelli; molti dei quali legati alla Galleria l’Attico di Fabio Sargentini. Da sempre nei suoi lavori, come scrive Francesco Moschini “la natura-innaturale dell’artista è uno sviluppo di tratti fibrosi, irrequieti che si distendono sulle tele e che spesso si rendono meno addensati verso il nucleo dell’opera, verso il centro del quadro, quasi per trattenerci lì, in quel preciso luogo abbandonandoci all’illusione di poter passare attraverso il filtro di giardini segreti. Le tele sembrano essere pervase da un’inquietudine che è divenuta un manto di colore addensato e sfarzoso, quasi sempre sazio di colmare un horror vacui intransitabile il cui oltre pare inammissibile. I floreali limiti dell’artista passano trasversalmente attraverso le antiche corposità della pittura romana da quella pompeiana, a quella seicentesca, a quella più vicina a noi della scuola romana degli anni Trenta, sino al Mario Mafai estremo, posizionandosi all’interno di un una scelta cromatica intensa e profonda che diventa anche un tentativo costante di “spostamento” con l’intento di trovare in maniera persona-

lissima una condizione “romana” alla sua pittura senza certo cadute localistiche”. Il suo modo di intendere il mestiere è contraddistinto da procedimenti veloci, segnati da vertiginosi accenni di pennellate ma anche interventi diretti sulla tela senza ricorrere al pennello, diluizioni e sfilacciamenti del suo tocco ma nello stesso tempo “ferite”, sgocciolature, e distese velature disponibili ad accogliere un brulicante turbinio di segni. La luce è impiegata dall’artista per corrompere e snaturare il colore o per concentrarsi in filamenti e farsi essa stessa soggetto visionario per restituire l’idea di un universo frantumato, ridotto a puro brulichio di segni che si intrecciano, si sovrappongono e si allontanano in un campo gravitazionale, attratti e respinti da sotterranee forze magnetiche. Un estenuante dialogo con la natura sembra aver ingaggiato per oltre trent’anni Giancarlo Limoni: con alterni momenti di sfibrante tensione e di più pacate e ampie stesure, che l’hanno comunque sempre consacrato come superbo dominatore

Giancarlo Limoni,Vortice, 2013, olio su tela, 100x120 cm

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della stessa, velato pur sempre da più intimisti e pacati sentimenti cosmici; ha inferto veri e propri colpi di fioretto, tra gestualità, segno e scrittura, infine, tra corpo e mente, tra ragione e sentimento. La materia rimane per l’artista l’universo di riferimento primario, proprio per la sua capacità d’imprimervi quelle folgoranti trasmutazioni alchemiche, sia quando l’artista, lavorando sui minimi spessori, sulla quasi assenza di materia, approda ad aspri sudari fatti di pure striature luministiche, inquietanti nel loro cinereo cangiantismo, nella loro stringata asciuttezza, nella loro laconica esattezza montaliana, sia quando, l’artista, con orgiastica esuberanza giunge a magmatiche accensioni, vere e proprie esplosioni che si sedimentavano soltanto rapprendendosi come acquietate colate laviche. La mostra “Paesaggi” è accompagnata da un consistente catalogo che dà conto della storia e del sodalizio tra l’artista e la A.A.M. Il volume riassume e riprende i cicli realizzati dall’artista nelle quattro


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

mostre personali a lui dedicate da A.A.M. nel corso degli anni. Il volume, curato da Francesco Moschini con il coordinamento di Gabriel Vaduva, è teso a ricostruire (in oltre 300 pagine) il senso di un percorso condiviso. In questo parallelismo di intenti non si evidenzia nessuna “intromissione” nel lavoro dell’artista, ma solo le reciproche “sollecitazioni” e i “rimandi” tra l’arti-

sta e la committenza. Un viaggio che vede, artista e galleria, uniti nel passaggio dalle tracce, dai lacerti di pittura deflagrata in cui le memorie di “Scuola romana” si sono sapientemente intrecciate con le “diluizioni” e le “espansioni” di Emil Nolde, via via alla scoperta dell’Oriente, agli inabissamenti e ai riaffioramenti delle “opere dal nero”, agli attuali approdi su spiagge e paesaggi

scarnificati da “Terra desolata” (The Waste Land) di Thomas Stearns Eliot. La mostra e il volume rendono inoltre “pubblici”, per la prima volta, il controcanto privato di Giancarlo Limoni rappresentato dai diversi “taccuini di viaggio”, luoghi privilegiati di riflessione sul delicato passaggio, dal particolare all’universale, dal microcosmo al macrocosmo. n

Giancarlo Limoni, Paesaggio del sud, 2010, Tecnica mista su carta Arches, 56x76 cm

Giancarlo Limoni, Paesaggio su fondo viola, 2011-2012, olio su tela, 203x245 cm

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Galleria TRAleVOLTE, Roma

Caterina Arcuri o attraversato con lo sguardo la recente Opera-installazione di CaH terina Arcuri intitolata “Fonti,” realizzata

site specific per la galleria TRAleVOLTE di Roma. Con un carico di curiosità analitica, l’ho percorsa in tutte le direzioni; ho sfiorato le sue superfici lisce e lucide, ho assorbito la morbida luce dei suoi riflessi metallici; presa, quindi, nel fascino della visione, ne ho indagato ogni singolo elemento costitutivo per poi ricostruire negli occhi l’unitarietà compositiva di ogni dettaglio formale: tutto in un unico, lungo momento, scandito solo dal ritmo

silente del mio respiro. Senza soluzione di continuità, usando gli occhi come canale privilegiato attraverso cui cogliere la profondità concettuale da cui è germinato il processo creativo, ho letto il tutto e la parte più volte, ritrovando, smarrita, il mio sguardo che, nella superficie specchiante delle strutture modulari, incrociava, per un istante, se stesso e, in tal atto fugace, anche la verità multipla dell’opera. È un’opera complessa e coinvolgente quest’ultimo lavoro di Caterina Arcuri, poiché in esso l’artista affonda l’indagine nella sostanzialità del suo stesso essere, nella sua dimensione creativa, a individuare e svelare le pieghe segrete dell’anima, a dare forma e sostanza visiva alle tensioni dello spirito. Come

spiega la stessa artista, l’opera “è una sovrapposizione di elementi geometrici modulari (parallelepipedi a base quadrata o multiplo di un lato); una sovrapposizione di elementi fisici, psichici, geometrici, in un viaggio verso la conoscenza del Sé e dell’Altro”. Un viaggio, dunque, a dissodare dalle asperità umane il proprio cammino, a riconoscere nell’Altro quella dualità che ci scinde, in un percorso graduale di ascesi attraverso cui conquistare faticosamente le vette più elevate dello spirito. Nella struttura rastremata, a elementi degradanti sovrapposti, ciascun elemento rappresenta un tassello del proprio sofferto itinerario di ascesi e purificazione dalle scorie del mondo, dalle negati-

Caterina Arcuri, Fonti, 2013. Multistrato di legno, smalto, vernice, acciaio inox lucido, ceramica al terzo fuoco. Installazione ambientale. Photo Antonio Renda.

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attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

vità esistenziali, una tappa fondamentale nel tentativo quotidiano di raccordarsi al divino. Essa, in una fertile metafora visiva, riporta alla memoria la struttura delle ziqqurat mesopotamiche, le quali, all’ultimo gradone − quello più vicino al cielo − ospitavano i sacerdoti del tempio che, sapienti astronomi, cercavano, nell’infinito estendersi del cosmo, insieme alle stelle e ai pianeti, anche le tracce del divino a cui rapportare le umane necessità spirituali. I diversi elementi dell’opera, le sue forme specchianti si rincorrono nei loro baluginii che ammaliano lo sguardo; con il loro corpo pesante di materia occupano lo spazio, lo disegnano, lo moltiplicano, lo risucchiano. D’altra parte, lo specchio è possibilità di esplorare le infinite virtualità dell’essere, di viaggiare nelle sue dimensioni più insondate e sconosciute, di alienarsi all’Altro in un continuo, solipsistico, moto di ripiegamento su se stessi, ma anche di relazionarsi con la realtà del mondo, in un continuo passaggio dal virtuale al reale. Caterina Arcuri, usa le possibilità offerte dallo specchio non già o non solo nelle sue peculiarità di duplicazione o deformazione del reale, ma, piuttosto, come strumento per giungere ad intuire l’invisibilità profonda che costituisce il reale stesso; per mettere in rapporto lo spazio geometrico e visivo con quello più propriamente esistenziale, interiore; per creare una costante interazione tra la virtualità del singolo e la realtà collettiva, tra le spazialità cangianti che si riflettono in esso. La funzione specchiante della sua installazione, in fondo, restituisce ad ogni sguardo la possibilità d’accesso all’universo immaginario individuale; restituisce a ciascuno la possibilità di riappropriarsi di se stesso, della propria dinamica esistenziale, pur nel costante tentativo di superare quell’invisibilità, quell’intangibilità che lo costituisce e in cui costruisce una continua equazione simbolica con l’Altro, scoprendolo nelle infinite verità dello specchio, persino nella sua vorace fagocitazione della realtà. Ma il viaggio introspettivo, tra ritorni ai suoi lavori passati (la semisfera che svuotata diventa contenitore specchiante), tra citazioni del suo stesso cammino creativo, per Caterina, non si ferma alle volumetrie modulari, continua e si arricchisce di altre forme e di altri richiami concettuali. Sulla sommità degli elementi sovrapposti, trovano posto, infatti, delle forme levigate, simili a sassi: frammenti di dura materia sopravvissuti alla trascorrente deriva del tempo e che del tempo sono “algidi“ testimoni, rilucenti dell’accecante chiarore del primo tra tutti i mattini, quello senza tempo e senza storia da cui tutto ha avuto origine e attraverso cui riscoprire, risalendolo a ritroso, la nostra stessa origine. É il tentativo di fuoriuscire dalla precarietà del tempo storico per raccordarsi ad un tempo indefinito in cui zampillano, ancora limpide e pure, le fonti del nostro destino. Nel graduale processo di appropriazione percettiva, l’opera si espande nello spazio, si allargano i confini della visione; allo stesso modo, lo spazio, il mondo stesso, entrano nell’opera, in un continuo flusso d’immagini e di eventi visivi; in un continuo gioco di rimandi, di narrazione della realtà, della vita stessa. “Fonti”, nel suo libero strutturarsi spaziale, diventa sospensione del tempo cronologico, nuova realtà, dimensione immaginativa quasi magica, luogo metafisico in cui si condensa un’attesa feconda di eventi che potranno rispondere a più alti disegni ancora da compiersi. Teodolinda Coltellaro GEN/FEB 2014 | 247 segno - 45


Studio G7, Bologna

Ulrich Erben distanza di tre anni dall’ultima mostra, lo Studio G7 ha dedicato una nuova personale all’artista tedesco Ulrich ErA ben, riconosciuto tra i maggiori esponenti della pittura aniconica europea. Con l’intento di soffermarsi su un aspetto specifico del suo lavoro, il cui fascino è da sempre legato al connubio tra intuito e precisione geometrica, il tema che pone in dialogo reciproco le opere esposte è quello che riguarda lo studio della percezione spaziale e la ricerca di profondità sulla superficie pittorica. La mostra, Luci e ombre (costruzione-decostruzione), avvalendosi di un testo critico di Peter Weiermair, mette in risalto il legame esistente tra un grande intervento ambientale, eseguito per la prima volta nel 1972 al Kunstverein di Colonia e allestito in galleria per questa occasione, e diverse opere pittoriche.

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Queste ultime appartengono a cicli differenti: due di essi sono collocabili tra il 1976 il 1978, gli altri lavori sono stati realizzati nel 2012 e nel 2013. La grande installazione, intitolata Licht objekt, assume caratteristiche site specific poiché muta il suo aspetto in relazione allo spazio dove viene esposta. Il lavoro scrive Peter Weiermair - si inserisce nella produzione artistica cominciata da Ulrich Erben alla fine degli anni ‘60 quando esegue i primi quadri dipinti di bianco. In quel periodo Ulrich Erben mostrava sulla tela differenti “livelli” attraverso la rappresentazione di una o più “superfici” sovrapposte. Queste ultime potevano essere rappresentate ad esempio: dalla tela grezza, da una parte della tela dove era stato steso il colore o addirittura dalla parete di fondo. La profondità era dunque riportata sul supporto, escludendo la prospettiva, proprio attraverso l’utilizzo dei metodi sopra indicati: veniva cioé isolata sulla tela un’area rettangolare tramite l’uso del colore bianco, la tela veniva suddivisa in due aree differenti oppure varie linee e segmenti erano posti in rapporto spaziale con aree dipinte. Questa ricerca è stata por-


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

tata avanti per tutto il decennio prevalentemente attraverso la pittura monocroma ma è rimasta, anche dopo il ritorno all’uso del colore, uno degli elementi principali su cui si fonda il lavoro di questo artista. Con Licht objekt Ulrich Erben cercava, nel 1972, di superare il limite della tela per inserire le sue “superfici” in una dimensione spaziale giungendo alla tridimensionalità attraverso l’uso della luce. L’opera è realizzata con una grandissima tela bianca investita, su ciascun lato, da un differente fascio luminoso. L’illusione di profondità generata agli occhi dello spettatore coinvolge la struttura della sala espositiva che sembra, nello specifico angolo dove ha luogo l’installazione, cambiare la sua forma. Le opere più recenti dell’artista presentate in mostra sono eseguite a colori e riportano l’uso della prospettiva, anche se solo accennata ed evocativa di superfici immaginarie. Questi lavori, in cui è temporaneamente accantonato l’uso della forma geometrica, si rapportano a superfici presenti nel paesaggio che ci circonda, visibili all’occhio umano ma inesistenti nella realtà, come le nuvole o la volta celeste. (dal testo di P.W.)

Ulrich Erben, Untitled, 2013 [matita e gouache su carta / pencil and gouache on paper, cm 55x75]

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Palazzo Fogazzaro, Schio (Vicenza)

Manuela Bedeschi

espressiva presenza delle opere luminose di Manuela Bedeschi inL’ serite nella pregnante mostra collettiva

dal titolo “Di carta/Papermade” a SchioVicenza, a cura di Valeria Bertesina, potenzia il valore dell’esposizione ed incide sensibilmente nel progressivo percorso espositivo. A seguito dell’invito della curatrice ad interpretare Palazzo Fogazzaro, pubblica sede espositiva, l’intervento di carta velina riflettente luce-colore nelle finestre della facciata altro non è se non l’ultima manifestazione di saper percepire l’intesa della luce-colore tra interno ed esterno, pieni e vuoti degli elementi architettonici di una splendida dimora ottocentesca dal linguaggio palladiano posta nel centro cittadino. La luce, variata nel cromatismo grazie al neon in unità alle diverse carte, interpreta la vocazione di Bedeschi, che rivela la sua identità nel modulare spazi e superfici attraverso le lievitazioni generate da luci filtrate. E’ un allestimento di rinnovo per il settore centrale della facciata, che solenne avanza sulle pareti laterali. Finestre e finestrelle rettangolari fiancheggiano l’atrio centinato sormontato dall’ariosa loggia dalle colonne corinzie, dove si aprono con le porte, finestrelle del piano nobile, sulla cui trabeazione s’imposta il frontone triangolare con l’apertura di un «occhio» centrale. Così Bedeschi inscrive superfici di colore nella pietra, la carta nell’architettura, il contemporaneo nel passato, la lievità nella radicalità accordando gli opposti. Il colore muta per certi sfavillii, certe morbidezze, certe vibrazioni entro contorni lineari precisi, mentre transita dal giallo al rosso, poi al fucsia per conquistare, nell’ascesa, l’oculo centrale, plissettato da un elettrico blu. La carta-luce, che rinuncia alla propria essenza per essere un’epidermide serica di sostanza luminosa, penetra e scorre fluida nell’architettura verso i cuscinetti cromatici fucsia delle

Manuela Bedeschi, cartavelina retroilluminata, veduta parziale dell’installazione. Palazzo Fogazzaro Schio

finestrelle rettangolari dell’atrio, quindi scivola all’interno verso il centro dell’articolato sviluppo delle rampe di scale, fino all’incontro con la policromia del grande lampadario di carta velina. Schegge arancio, gialle, viola, rosse, fucsia si diffondono nell’ambiente fra luminosità naturali e volumi d’ombra, nell’armonico mutare del salire dello spettatore. Nella notte l’intervento luminoso evolve in altro materiale costruttivo, nel lento dissolversi nell’o-

Manuela Bedeschi, cartavelina retroilluminata particolare, 2013

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scurità delle forme architettoniche, per essere fascino certo nell’emozione di una pittura effimera, in reale trasformazione. Manuela Bedeschi, dalla mobile mentalità, consegna alla luce di una materia industriale percettivamente solida, già conosciuta e sperimentata, le installazioni, che hanno caratterizzato gli interventi in chiese e palazzi antichi con un intenso coinvolgimento della sensibilità dei cittadini; luce neon più recentemente


attivitĂ espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Manuela Bedeschi, particolare dell’installazione, 2013. Palazzo Fogazzaro Schio

accolta nella grafia personale, risolta in immagine e nei risalti plastici e pittorici, nella personale alla galleria Paola Bicego di Padova. In Palazzo Fogazzaro a Schio la luce naturale e quella industriale sono filtrate da una carta diversamente pieghettata, goffrata, sostenuta da rinforzi e tessiture, che illumina perimetri e volumi creando sincretismo tra armonia classica e dinamismo cromatico. Maria Lucia Ferraguti

Manuela Bedeschi, cartavelina, particolare, 2013 Manuela Bedeschi, cartavelina retroilluminata, 2013. Palazzo Fogazzaro Manuela Bedeschi, Doppia Casa, neon e plexi, 2013, Galleria Paola Bicego

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Galleria Maria Cilena, Milano

Ion Koman “Figure disperse”

a personale di Ion Koman alla Galleria Maria Cilena è curata da Edoardo Di L Mauro, critico che da anni segue il per-

corso artistico di questo autore. Koman è originario della Moldavia (Garaghish 1954), dove è iniziata la sua formazione di pittore e disegnatore. Si trasferisce in seguito a Mosca dove entra in contatto con gli ambienti artistici ed accademici della capitale, per poi approdare in Italia, a Novara, senza tuttavia perdere in alcun modo i legami, non solo ideali ma concreti, con la sua terra natia, dove spesso si reca. “Lo stile di Koman - scrive Edoardo Di Mauro - riprende alcune tematiche fondanti la poetica del Novecento, in particolare la linea del cubismo orfico, quella dotata di maggiore carica spirituale tra le avanguardie storiche, ma anche qualche eco del poetico espressionismo di Chagall e alcune tracce, più sfumate, dell’astrazione di Kandisky. Il tutto adeguatamente contestualizzato nel “qui ed ora” della contemporaneità. (...) L’immaginario di Koman coniuga la poesia dei paesaggi moldavi, con l’immanenza dei monumenti e delle architetture di una metropoli come Mosca. La sua cultura approfondita anche dell’arte occidentale è testimoniata da una serie importante da lui concepita come quella delle “Finestre”, una serie vicina alla tradizione occidentale, in particolare italiana, in sintonia con la teorizzazione di Leon Battista Alberti sulla prospettiva. Con queste opere Koman sviluppa una interessante dialettica tra “interno” ed “esterno”. Il tema della mostra “Figure disperse”, è da collegarsi al tema dell’ itineranza e del viaggio, di un’esistenza nomade ed irrequieta, tipica delle genti dell’est, ed in parte sintonica con la stessa esperienza esistenziale del nostro autore”. (dal testo EdM) Ion Koman, Figure disperse, 2 acquarelli su tela

Galleria Verrengia, Salerno

Omar e Michelangelo Galliani ue artisti di generazioni, formazione ed espressioni diverse, che hanno in D comune però lo stesso cognome – Omar Galliani e Michelangelo Galliani, padre e figlio – si confrontano in un vis-à-vis, creando un intrigante corto circuito espositivo tra le reciproche opere di disegno e scultura. Ed è infatti vis-à-vis il titolo della mostra dei due Galliani proposto dalla Galleria Paola Verrengia.
Un poetico faccia a faccia – “Di padre in figlio … germinazioni Omar Galliani, Mantra, 2013, 140x140 cm

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Omar Galliani, I Nuovi Santi e I Nuovi Fiori, 2013, 100x100 cm

e mutazioni … di segno in segno … di sogno in sogno” scrive Omar Galliani – in cui l’uno guarda e si riflette nel lavoro dell’altro. Così Omar Galliani, uno dei protagonisti dell’arte italiana attuale e noto a livello internazionale, espone una serie di disegni

a matita e carboncino, di medie e grandi dimensioni, tra cui alcuni appartenenti al noto ciclo dei “disegni siamesi”, dove figurazioni doppie generano nuove identità. “Un disegno assoluto, puro, – così lo definisce il critico Lóránd Hegyi – puristico, con-

Omar Galliani, In Blu, 2013, 50x50 cm Michelangelo Galliani, Matrice, 2013, marmo di Carrara e acciao, 42x50x36 cm

Omar Galliani, Nuovi Fiori, 2013, 50x50 cm Michelangelo Galliani, Ogni notte Mercurio in sogno, 2013, cm 40hx18x18cm


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Fondazione Studio Carrieri Noesi, Martina Franca, Taranto

Antonio Paradiso

n grande “Volo” del 1982 di Antonio Paradiso, con trenta pezzi in pietra U di Trani, fronteggia la foto in bianco-nero

“Natura e Usura” del ’76. Siamo nella prima sala di Palazzo Barnaba, sede della Fondazione Noesi a Martina Franca, che attualmente ospita la mostra dello scultore pugliese intitolata “Arte + Antropologia /Antropologia + Arte”. La saletta successiva accoglie “Sculture”, in pietra di carparo del ’65. Nelle sale dell’ala destra al primo piano del palazzo, Lidia Carrieri e Antonella Marino, curatrici, propongono un percorso suggestivo, impostato su un teorema intrigante affidato a fotografie, video, sculture, documenti del ventennio sessanta/ottanta. Qui, Natura e Cultura si intrecciano, organico e artificiale si integrano, sguardo retrospettivo e sguardo prospettico si fondono, consentendo all’ar-

tista di compiere il proprio compito: ricordare il dimenticato e pre-vedere l’inedito, l’inatteso, quello che ancora non è. “L’arte – scrive Paradiso – è destinata a risolversi e a diventare pensiero solo col progresso di autocoscienza, a discapito di tesi filosofiche, può essere coinonìa e cioè le cose sono in comune con le idee”. Costruendo relazioni tra arte e antropologia, lo scultore scruta e interroga la realtà, e, in particolare, fa propria la convinzione che – come ricorda la Marino in catalogo – tutti i popoli sono creatori di arte e che in ogni cultura c’è un impulso all’espressione creativa. E, forse, tutti sono artisti. Le operazioni estetiche di recupero della cultura materiale, intesa come manifestazione del lavoro umano, avviate da Paradiso, sono basate sulla dialettica tra paesaggio naturale e paesaggio culturale.

Antonio Paradiso, Installazione, 1985, Pietra di Trani

Antonio Paradiso, Scrittura Tifinagh, Rilievi di una Carovaniera Neolitica, 1975, inchiostro di China su Pietra di Trani

Antonio Paradiso, Scultura, 1965, Pietra di carparo

Antonio Paradiso, Scultura, 1966, Pietra di carparo

cettuale, incentrato sulla definizione della forma e dei chiari rapporti tra le posizioni spaziali” (2010). Gli risponde, Michelangelo Galliani, con sculture dal motivo classico – di varie dimensioni e periodi – che però negano la loro stessa classicità e dove il marmo bianco di Carrara incontra spesso l’acciaio, il piombo e anche il mercurio. Si passa così da “Ogni notte Mercurio in sogno” (2010-‘11), una piccolissima testa

femminile di marmo (solo 18 cm) chiusa in una teca che si specchia su un sottile strato di mercurio, a quella appoggiata su di un “morbido” cuscino di piombo dal titolo “Sogni d’oro” (2010-‘11) o ancora all’impronta di un teschio – “Principio e destino” (2012) – ricavato da un blocco di marmo statuario Bardiglio di Carrara. “Il riflesso, la luce, il rispecchiamento, il contatto sono condizioni essenziali dell’opera. Nel levi-

Doppi i percorsi di ricerca: la regressione spazio-temporale verso l’autentico e il primordiale, alle radici della civiltà, lì dove il passato si riallinea al presente; il recupero simbolico della cultura agraria contadina del Meridione d’Italia, cultura filtrata dai riti, dalle credenze, dalle tradizioni, dalle feste popolari (documentate con le “sculture filmate”, ovvero riprese video e fotografiche). Dunque, da un lato le sequenze di foto dei deserti del Sahara e dell’Africa Tropicale, la catalogazione dei “fossili culturali” (arnesi di epoca paleolitica o neolitica, amigdale, punte di freccia), dei frammenti di alfabeti arcaici ecc. Dall’altro, le indagini sulle luminarie delle feste popolari, le serie delle foto di ulivi, le ricerche video sui rituali dei tarantati, i muretti a secco citati nelle installazioni scultoree (in mostra, “Muro” del 1983, in pietra di Trani, misurante cm 5 x 15 x 122 di lunghezza), le esperienze del “Teatro antropologico” che, come spiega l’artista, non è spettacolo né musica né danza, ma è tutto questo insieme. “E’ un procedere per sottrazioni, per toglimenti, arrivando così a documento: il pianto funebre, il concerto, il rito, la vestizione e l’amore per gli animali” (nella mostra troviamo numerose testimonianze di questa fase di ricerca, come ad esempio, nell’ultima sala della Fondazione di Palazzo Barnaba, le foto di Enrico Cattaneo del “Teatro Antropologio” realizzato per gli Incontri di Martina Franca del ’79). Il progetto di fusione di Arte e Vita di Antonio Paradiso si è concretizzato pienamente, agli inizi del 2000, nella realizzazione di una grande scultura antropologica: uno spazio di sei ettari a Matera (già sito paleolitico, insieme di caverne, villaggio neolitico e trincea fortificata e fondo di capanna, pozzo e muro megalitico) trasformato agli inizi del Novecento in cava di tufo. Una antica cava che l’artista ha trasformato in opera antropologica e parco-sculture all’aperto. Maria Vinella

gare un bronzo, un marmo, nel disegnare un foglio o una tavola rendendone sublime la materia originaria compiamo un atto di congiunzione e trasformazione. La vita produce se stessa ma sempre in divenire e in modo differente. Mutazione lenta e costante del codice originario, evoluzione e trasformazione dell’uno nel molteplice” aggiungono i due artisti. Raffaella Barbato

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Arte Natura Poesia Un museo a cielo aperto a Morterone lle pendici del monte Resegone, immerso nell’incontaminato paesaggio montano di Morterone, si è formato un A museo d’arte contemporanea en plein air. Questa collezione

permanente, costituita da oltre trenta installazioni di artisti italiani ed internazionali, è il risultato dell’attività svolta sin dagli anni Ottanta dall’Associazione Culturale Amici di Morterone. L’associazione si impegna costantemente per far sì che uno dei più piccoli comuni d’Italia possa divenire un luogo di incontro e dialogo tra arte, natura e poesia in accordo con la concezione poetico-filosofica della Natura Naturans, originata proprio a Morterone dalle riflessioni del poeta Carlo Invernizzi, che vede nell’arte uno strumento conoscitivo essenziale e non prevaricante. Il progetto espositivo pluriennale Arte Natura Poesia ha infatti arricchito nel corso degli anni, e continua ad arricchire, Morterone di nuove opere ed ha portato alla creazione di un percorso che, snodandosi attraverso le diverse località del territorio, guida il visitatore all’incontro con i lavori di Gianni Asdrubali, Francesco Candeloro, Nicola Carrino, Lucilla Catania, Carlo Ciussi, Gianni Colombo, Igino Legnaghi, François Morellet, Pino Pinelli, Bruno Querci, Ulrich Rückriem, Nelio Sonego, Mauro Staccioli, Niele Toroni, David Tremlett, Grazia Varisco, Michel Verjux e Rudi Wach. La più recente di queste iniziative, Arte Natura Poesia. Interventi a Morterone 2013, inaugurata lo scorso luglio, ha visto l’installazione di cinque nuove opere, incrementando ulteriormente questo itinerario espositivo così peculiare, per propria indole aperto alla condivisione ed accessibile a tutti. Lo scultore Mauro Staccioli ha installato in Località Bosco tre lavori di grandi dimensioni a base circolare, i cui corpi, risultanti dall’intersezione di archi a sesto acuto, creano strutture coniche: Forme perdute che riportano alla memoria l’immagine originaria dei “covoni”. Nel centro del paese sono state poste quattro sculture di Carlo Ciussi definite da una concatenazione ritmicamente misurata di segni primari ed essenziali quali cubi, triangoli e linee, che si snodano nell’ambiente circostante. Queste recenti installazioni, come tutte le opere presenti a Morterone, lasciano affiorare oltre la propria superficie tutta la forza della materia plasmata, che entra in relazione con lo spazio naturale e con esso instaura un legame profondo, fino quasi a fondervisi. Il continuo dialogo con la natura circostante ed il rispetto incondizionato per la sua incontaminatezza, donano ai lavori, che gli artisti hanno realizzato per questo contesto unico e straordinario, un valore quasi simbolico e fanno sì che essi divengano

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espressione specifica e peculiare della vita stessa, aprendosi all’esperienza del visitatore e guidandolo al tempo stesso verso una profonda riflessione conoscitiva. Lo spettatore ha la possibilità di percepire un legame intimo con il mondo naturale in divenire e di condividere l’esperienza personale dell’arte con quanto lo circonda. Questo desiderio di riflessione, condivisione ed apertura, a Morterone non si limita solo all’installazione delle opere “a cielo aperto”; esso si esprime anche attraverso le mostre che vengono presentate nella sala municipale. La più recente Marines – Morterone: Même combat, che si è conclusa lo scorso novembre, presentava una selezione di opere di Carl Andre, Robert Barry, Stanley Brouwn, Peter Downsbourgh, Sol LeWitt, Lawrence Weiner, Donald Judd, Claude Rutault e Fred Sandback appartenenti ai collezionisti Françoise e Jean-Philippe Billarant. Questa coppia di collezionisti parigini, spinta dal


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

desiderio di poter condividere la propria passione per l’arte, nel 2011 ha inaugurato il museo privato Le Silo a Marines, un sito costruito negli anni Sessanta e completamente ristrutturato dai Billarant, che hanno coinvolto nel progetto gli artisti stessi con l’intenzione di poter mostrare la propria collezione e di renderla accessibile ad un pubblico più vasto. L’affinità delle scelte dei Billarant con il progetto Arte Natura Poesia si disvela nella mostra, il cui titolo, derivato da un’opera di Niele Toroni esposta in permanenza a Morterone raffigurante una piantina della metropolitana di Parigi, sottolinea proprio la “lotta” simbolica che si combatte per l’arte e per far si che questa sia sempre più accessibile e condivisa. Morterone e Marines sembrano proprio le due simboliche pietre che generano le scintille, citate nell’opera di Lawrence Weiner, esposta all’ingresso de Le Silo - “Two stones tossed into the wind (causing sparks)” - e presentata in mostra anche nella sala municipale. Due simboliche pietre che generano scintille, stimoli atti a creare un dialogo profondo e duraturo, che non si esaurisca nel tempo ma che tragga sempre nuova forza nell’apertura, nella possibilità della condivisione umana e nella percezione della capacità di ampliare la propria conoscenza attraverso l’arte, la natura e la poesia. Daria Ghirardini In basso: (parete, da sinistra a destra), Fred Sandback, Wall sculpture, 1985. Fili di lana dimensioni variabili; Claude Rutault, d/m 59, Éléments en ligne, 1976. Tele rettangolari dimensioni variabili; (a terra) Carl Andre, Entablature, 1988. Pino orientale 91,5x213,4x61cm Veduta parziale dell’esposizione Marines - Morterone: même combat. Opere dalla collezione Billarant, Palazzo Municipale, Morterone. Courtesy Associazione Culturale Amici di Morterone. Foto Bruno Bani, Milano

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L’ARCA, Laboratorio per le Arti Contemporanee, Teramo

Le attrazioni del collezionismo n Abruzzo le “attrazioni” non finiscono mai. Ne è una prova Idicembre la mostra Attrazioni. Sul collezionismo inaugurata lo scorso presso L’ARCA-Laboratorio per le arti contemporanee

di Teramo. Immaginiamo di percorrere le vie del centro storico di Teramo passando per l’area archeologica del quartiere sant’Anna, di attraversare la piazza con l’imponente cattedrale romanica e di risalire il corso principale fino agli spazi de L’ARCA. Dall’arte del passato a quella del presente, la meta del nostro iter artistico ideale, ci conduce dritti nel cuore pulsante della cultura contemporanea in uno spazio (L’ARCA) dove l’attenzione al territorio circostante vive in presa diretta con il mondo internazionale dell’arte. Per questa mostra il curatore e direttore de L’ARCA Umberto Palestini, ha invitato alcuni collezionisti a consegnare al pubblico alcune opere delle loro collezioni private, contribuendo a far svolgere alla mostra una duplice operazione: di riflessione sullo stato del collezionismo locale e di godimento estetico. Scopriamo così, attraverso le opere di grandi artisti naPresidente Fondazione Fortezza D’Abruzzo

Gino Natoni

Intervista a cura di Giuliana Benassi

Ciao Gino, da anni sei attivo in Abruzzo per l’arte contemporanea con l’Associazione Naca Arte e dall’anno scorso con una nuova Fondazione. Puoi svelarci qualcosa di questa tua plurima identità? La prima identità creata nel territorio come strumento per coltivare una pas54 - segno 247 | GEN/FEB 2014

zionali e internazionali, i ritratti dei vari collezionisti che, seppur indicati in anonimato nei cartellini, sembrano presenti ciascuno con il loro particolare gusto estetico, con la loro personale attenzione alla bellezza o (perché no?) ciascuno con l’intimo racconto di una vicenda fatta di rapporti d’amicizia con artisti o galleristi. Il passaggio dal privato al pubblico ci fa percepire la mostra come un dono continuo. E, non a caso, Dono è anche il titolo di un’opera scultorea di Mimmo Paladino posta a conclusione del percorso espositivo; del grande artista è presente un altro lavoro Simie del 1997, opera pittorica inserita quale oggetto prezioso all’interno di una teca di rame con anta. Come in un capitolo di storia dell’arte dall’ampio arco temporale, incontriamo i lavori di ARMAN, Domenico Bianchi, Loris Cecchini, Sandro Chia, Gianluigi Colin, Gino De Dominicis, Nicola De Maria, Tano Festa, Giosetta Fioroni, Luigi Ghirri, Piero Gilardi, Leslie Krims, Antonio Marchetti, Fabio Mauri, Aldo Mondino, Shirin Neshat, ORLAN, Giulio Paolini, Michelangelo Pistoletto, Piero Pizzi Cannella, Luigi Presicce, Salvo, Mario Schifano, Santiago Sierra, Sandy Skoglund, Ettore Spalletti, Giuseppe Stampone: tutti artisti di varie generazioni e ricerche che sono stati accostati per questa esposizione in virtù del loro particolare potere “d’attrazione” sulle scelte dei nostri collezionisti. Dalla fotografia alla scultura, dalla pittura all’installazione: in

sione personale per l’arte contemporanea, per organizzare momenti d’incontro e dare un contributo artistico-culturale all’Abruzzo è l’Associazione culturale Naca Arte. Una parte significativa del progetto culturale di questa Associazione si sviluppa in sinergia con altre realtà culturali e artistiche del territorio, quali L’ARCA-Laboratorio per le arti contemporanee di Teramo, diretto da Umberto Palestini, che si sta configurando, anche grazie al fondamentale contributo della Fondazione Tercas, come uno degli spazi più attrattivi del territorio e che da quest’anno si arricchirà con l’importante appuntamento di Visioni. Altro settore con cui Naca Arte lavora è quello del sociale, assieme all’associazione ONLUS AGAVE per un’esperienza dell’arte intesa come terapia e forma di integrazione e condivisione, rivolta al recupero e allo sviluppo cognitivo della disabilità attraverso i linguaggi dell’arte contemporanea come la musica, la pittura, il cinema etc. Se Naca Arte rimarrà come nucleo che opera in questi particolari settori, continuando a mantenere un dialogo tra l’arte e situazioni sociali di bisogno, l’altra identità, quella della Fondazione Fortezza

Abruzzo, subentra costituendo una realtà più definita e capace di essere il punto saldo per un network tra varie realtà territoriali. In questo senso la Fondazione Fortezza si affiancherà da quest’anno a Naca Arte ampliando la rete di rapporti, soprattutto per la realizzazione della serie di mostre Visioni iniziata nel 2011 a Civitella del Tronto con l’evento Civitella/ Castelbasso- cultura contemporanea nei borghi, assieme alla Fondazione Menegaz. Quali sono gli eventi in programma per il 2014 e quali le realtà coinvolte? Il programma per il 2014 di Naca Arte si concentrerà ancora su L’ARCA con un programma ambizioso, sviluppato in sinergia con l’Assessorato alla Cultura della Città di Teramo, che incrementerà le prestigiose collaborazioni - oltre a quella già consolidata con l’Accademia Raffaello di Urbino - mentre per la Fondazione Fortezza Abruzzo riguarderà soprattutto il periodo estivo. Infatti, uno degli obiettivi della Fondazione è di creare un polo per l’arte contemporanea d’eccellenza nei mesi giugno-settembre. Le realtà coinvolte saranno molteplici ed estese su tutto


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

s Orlan, White Virgin with Two Crosses and a Sidelong Look, 1983 [c-print, 160x120 cm] Collezione privata, courtesy Prometeogallery, Milano s Mimmo Paladino, Simie, 1997 [olio su tela in teca di rame, 30x40 cm, insieme 60x50x7] Collezione privata < Sandy Skoglund, A Breeze at Work, 1987 c[olor photograph, 95x135 cm] Collezione privata, courtesy Paci contemporary gallery, Brescia ▼ Attrazioni sul collezionismo, L'ARCA, Teramo; Veduta della mostra / Installation view

questa mostra viene offerto almeno uno scorcio del complesso panorama dell’arte contemporanea che, con le sue plurime forme di linguaggi, da sempre è intrecciato con le dinamiche del collezionismo privato. Non c’è la pretesa di voler descrivere le diverse anime che costituiscono il collezionismo, né tanto meno di farne un discorso analitico; piuttosto emerge l’elemento “collezionismo” come presenza territoriale altamente significativa perché specchio di una fisionomia culturale capace di riflettere i variegati aspetti dell’arte contemporanea. L’ARCA è ormai dal 2011 centro propulsore e sperimentale d’attualità contemporanea. Attraverso le mostre, come quella personale dell’artista di origine locale Giuseppe Stampone (2011) o del regista Marco Chiarini (2012), per citarne alcune, e attraverso le fruttifere collaborazioni con la Fondazione Fortezza Abruzzo e l’Associazione Naca Arte, è ormai bacino nel quale convogliano progetti di respiro internazionale. Quale laboratorio per l’arte contemporanea, L’ARCA ha dato avvio, a partire da questa mostra, alla nuova collana editoriale “I quaderni de L’Arca”, progetto edito dalla casa editrice Bart-Baskervilleartbooks, che includerà delle edizioni speciali, come quella del “libro d’artista” per la mostra personale di Enzo Cucchi in programma per la prossima estate nell’ambito del progetto Visioni 2014. Giuliana Benassi il territorio: ciò rispecchia anche la struttura della Fondazione che ha un respiro regionale. L’edizione 2014 di Visioni a Civitella del Tronto sarà gestita dalla Fondazione con un notevole ampliamento del circuito, coinvolgendo L’ARCA di Teramo, la fondazione ARIA di Pescara e l’Associazione Arte Contemporanea Picena di Ascoli. La mostra Visioni presso la Fortezza di Civitella del Tronto quest’anno prevede una collettiva di artisti internazionali chiamati a lavorare con la ceramica, in stretto contatto con la tradizione dei ceramisti di Castelli, e una personale di Gianluigi Colin, art director del supplemento culturale “La Lettura” del Corriere della Sera. A Teramo, presso L’ARCA-Laboratorio per le arti contemporanee, è in programma una importante mostra personale di Enzo Cucchi. Per la prima volta si sconfina nel territorio marchigiano di Ascoli dove nel Forte Malatesta e nel Museo Licini, si terrà una collettiva di giovani artisti emergenti organizzata assieme all’Associazione Arte Contemporanea Picena. Infine, a Pescara grazie alla collaborazione con la Fondazione Aria è in partenza un progetto

sulle residenze d’artista che si concluderà con un lavoro espositivo presso lo spazio MATTA. Per tutte le mostre continua il felice connubio con la coppia di curatori Giacinto Di Pietrantonio e Umberto Palestini, assieme al variegato palinsesto di incontri culturali, arricchito quest’anno da laboratori didattici e formativi per la lavorazione della ceramica di Castelli. Ci sono degli sponsor che sono d’aiuto in questa avventura? Vista l’attuale difficoltà a far intervenire finanze pubbliche in questo particolare momento storico, il lavoro culturale della Fondazione Fortezza Abruzzo diventa di fondamentale importanza e strategia per mettere insieme imprenditori, illuminati e appassionati del territorio, tutti accomunati dalla consapevolezza dell’esistenza di un forte legame che c’è tra l’economia e la cultura, in un contesto come quello italiano che sa di avere nell’arte e nella cultura il proprio punto d’eccellenza. Anche a favore di ciò, sono in programma molteplici incontri e momenti di formazione che si terranno durante l’arco temporale degli eventi estivi, nei quali verranno coinvolte personalità provenienti dai vari

settori: artisti, imprenditori, curatori, galleristi, economisti e collezionisti. Dall’incontro tra diverse realtà si vuole creare un dialogo fruttifero e uno scambio di informazioni capace di conferire unità e reciprocità a favore della cultura. D’altro canto, un altro obiettivo della Fondazione è di attivare un’operazione di marketing territoriale per far sì che l’Abruzzo diventi sempre più un’attrattiva, una meta turistica e si caratterizzi particolarmente per essere una destinazione turisticoculturale, facendone conoscere i borghi, le realtà enogastronomiche e le bellezze naturalistiche e paesaggistiche. n Umberto Palestini e Giacinto Di Pietrantonio

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Spazio Via Tiburtina 75-77, Pescara

Stanze d’aria Studio Visit

iamo andati anche noi a suonare il campanello ai civici 75 e 77 di Via Tiburtina a Pescara. Li abbiamo scoperto una realtà S fresca e vitale: 8 studi d’artista in un solo condominio. E’ così che

un gruppo di giovani ha recentemente spalancato le porte dei propri luoghi di lavoro, per alcuni anche abitazioni, e svelato le quinte del loro essere artisti in modo più vero e concreto. Certo non si tratta di un’operazione mai vista, non è la prima volta nel corso della storia dell’arte che si raggruppano sotto il medesimo tetto nuclei di artisti sollecitati dall’affinità di ricerche comuni. Tuttavia l’operazione funziona e non smette di essere attuale. Galeotto fu Matteo Fato, quando circa tre anni fa stabilisce casa e studio in Via Tiburtina, coinvolgendo poi nel tempo altri suoi colleghi che spontaneamente si sono stanziati qui. Progressivamente si sono aggiunti Gianmaria De Lisio, che vi risiede anche, Paola Angelini, Luca De Angelis, Paolo Angelucci, Paride Petrei e Lorenzo Aceto. Per l’occasione è tornata anche Daniela D’Arielli, la prima in verità ad avervi avuto lo studio e che, quasi un omaggio a questo luogo carico per lei di significato, ha realizzato un’istallazione occupante tutto lo spazio di quello che fu il suo appartamento. Qui troviamo, collocati a guisa d’icona fra le stanze, alcuni piccoli quadri, parte significativa della sua produzione pittorica. Si aggiungono le grandi reti che occupano quasi l’intera superfice Luca De Angelis

Museo Bilotti, Roma

Fiorella Rizzo l di là dell’oggetto”, il titolo con cui ci viene incontro la bella “A antologica che il Museo Bilotti di Roma

ha voluto dedicare al tenace e più che trentennale lavoro di Fiorella Rizzo, non vuole alludere all’ennesima speculazione concettuale sulla possibilità di fare arte senza lasciarsi conivolgere dalle cose o dai materiali usati. Allude semmai ad una attitudine opposta che da sempre ha mosso la ricerca dell’artista pugliese, ormai di casa nelle più vive e stimolanti metropoli internazionali: l’attitudine ad usare lo sguardo non per ricondurre ciò che ci capita sotto gli occhi ad un mondo precostituito di valori formali e linguistici, ma piuttosto per ascoltarne la vocazione segreta anche laddove essa possa apparirci bizzarra o inattesa. La vecchia via dell’inconscio così cara al Surrealismo, naturalmente c’entra solo per quel tanto di simbolicamente universale che non poteva fare a meno di contenere, mentre a rivelarsi secondo una logica superiore che solo la disciplina dell’ascolto può insegnarci a riconoscere è la forza primaria dell’essere, misteriosa, insiondabile e pure infinitamente disponibile, quasi gioiosa e invitante nei confronti di chi si sforzi di sgombrare il proprio animo da ogni presunzione per accoglierne i mes56 - segno 247 | GEN/FEB 2014

Paolo Angelucci

del pavimento, rendendo estremamente disagevole il passaggio da un ambiente all’altro. Una difficoltà fisica ma anche psicologica; come se la D’Arielli avesse voluto comunicarci la pressione e la fatica del suo divenire d’artista vissute nelle notti trascorse in quel luogo. Il nostro tour condominiale continua visitando lo studio di Paola Angelini. Artista di origini marchigiane e già nota al grande pubblico per una fortunata partecipazione alla 54° Biennale veneziana insieme al pittore norvegese Bjarne Melgaard e vincitrice nel 2013 del Premio Celeste nella sezione di Pittura e Grafica. Il suo modo di dipingere l’accosta a un fare di matrice espressionista; libera e disinvolta nell’uso del colore, albergano nelle sue tele forme e figure dall’intenso valore simbolico, convinta senza timori del potere persuasorio delle immagini. Un piglio che si ravvisa anche nelle opere del giovanissimo Lorenzo Aceto, anch’egli già vincitore di numerosi premi Lorenzo-Aceto, Pianta con teste, olio su carta 2013 per artisti emergenti. Le sue ultime ricerche si focalizzano sull’indagine di forme ed elementi della natura concernenti l’era paleolitica. Una ricerca della primordialità che prende corpo in strane e quasi irriconoscibili piante e animali preistorici dalle cromie cupe e pastose. Un colore materico che inspessisce la superfice del quadro e che rimanda all’asperità di quel mondo perduto. Su tutt’altro piano tematico è l’opera di Luca De Angelis, vincitore nel 2013 del premio Fabbri. Il suo punto di osservazione è fissato verso la realtà, ma non quella che ci circonda bensì quella filtrata attraverso il web. I suoi soggetti, prelevati dalla rete, vivono una seconda esistenza. A essi, attraverso l’interpretazione pittorica, è restituito un grado di espressione, enfatizzato nella rivisitazione delle pose e nel segno. Scendiamo successivamente all’appartamento di Matteo Fato. Quadri ovunque, taluni appartenenti a periodi


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Paola Angelini, La tentazione di sant’antonio, 2013

Matteo Fato, Senza titolo con quattro esercizi equestri, 2013

precedenti come quello delle cosiddette rondini, studio intorno ai linguaggi orientali, e altri di recentissima produzione. Fra questi spicca Senza titolo con Quattro esercizi Equestri, risultato di un progetto condotto insieme a Alberto Zanchetta. Il grande olio su lino, raffigurante un cavaliere a cavallo, è il frutto di una riflessione circa le stratificazioni pittoriche delle diverse iconografie di tale soggetto, createsi nel tempo. Una sorta di natura morta della storia e del tempo che Fato ci restituisce come fosse un unico corpo, somma di una tradizione variegata arrivata fino a noi e che nella sua visione continua e si rinnova. Unico fotografo del gruppo è Paolo Angelucci. Come un neo-surrealista l’artista utilizza la macchina fotografica in termini emozionali. Angelucci distorce il mezzo e lascia che l’errore e la casualità diventino il motivo principale e soggetto prediletto nei suoi scatti. È così che quello che sembra un graffio bianco sulla pellicola nera è invece la traccia visibile del suo respiro. Ci spostiamo all’altra scala e scopriamo il lavoro di Paride Petrei. Sono perlopiù disegni, modelli e simulazioni. Veri e propri progetti colossali e pressoché utopici, entro i quali si snodano ragionamenti intorno a questioni filosofiche, antropologiche e religiose concernenti l’essenza dell’uomo, del suo stare sulla terra e condividerla con i suoi simili. Chiude il nostro saggi. E i messaggi, sembra volerci dire Fiorella Rizzo, possono nascondersi (o rivelarcisi) dietro mille segnali: l’ omologia formale tra prodotti o manufatti con funzionalità d’uso assolutamente diverse, la disponibilità di determinati ambienti in determinati momenti ad accogliere scene effimere ma ricorrenti, la fisicità stessa degli elementi primari, quelli della grande tradizione mediterranea e presocratica, a darcisi non più come entità astratte da classificare e confrontare, ma come flussi di energia fattasi materia, moti dell’universo ai quali unirsi attraverso la nostra stessa vita organica, presupposto della confluenza ineluttabile e liberatoria tra la forza dell’amore e le attrattive della conoscenza. Paolo Balmas

Paride Petrei

Studio Visit, l’incontro fra le stanze occupate da Gianmaria De Lisio. Formatosi come storico dell’arte, peculiarità che si percepisce vibrante nell’eclettismo delle sue opere; De Lisio svolge la propria ricerca intorno ai temi del tempo e dello spazio. Li rivisita in chiave attuale e allo stesso tempo strizza l’occhio al secolo passato. Studio Visit è un evento curato da Simone Ciglia e promosso dalla Fondazione Aria in collaborazione con l’associazione EsSENZAmateria, secondo appuntamento del ciclo d’incontri Stanze d’Aria, pensati e organizzati per stimolare il dibattito intorno all’opera dei giovani artisti. Al prossimo Studio Visit dunque, curiosi di vedere gli sviluppi di questi giovani talenti italiani. Maria Letizia Paiato

Nelle immagini, Fiorella Rizzo, InOltre, 2013. Allestimento al Museo Bilotti

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Zoo Zone Art Forum, Roma

Michele Zaza

C

on una mostra personale dal titolo Sentiero Magico, Michele Zaza progetta per lo spazio romano Zoo Zone Art Forum due opere inedite e pensate appositamente per la galleria. Posti uno di fronte all’altro, i lavori di Zaza dialogano tra loro, trasformando lo spazio di via del Viminale in un luogo carico di suggestioni e rimandi sensoriali che accompagnano lo spettatore attraverso i “sentieri” dell’immaginazione. Ricorrono gli elementi da sempre protagonisti nel lavoro di Zaza: il volto, le mani e il corpo; questa volta però presentati attraverso due installazioni che fondono la fotogra-

fia, la scultura e il video. L’opera Sentiero Magico indica il percorso narrativo della poetica dell’artista attraverso una linea di luci poste sul pavimento, dove le immagini fotografiche e i cenni scultorei diventano paradigmi dell’essere. Mentre, nell’altra opera-video inedita Risveglio Magico, due volti, maschile e femminile vis a vis, si cercano con il tatto lento e fluido delle mani fino a conoscersi e riconoscersi. La presenza del corpo è solo un mezzo per i due esseri che si sfiorano nell’essenza, superando la carnalità in un dialogo spirituale. Le immagini del video sembrano respirare e, allo stesso tempo, suggerire pensieri che toccano l’infinito, evocando l’essenza di una dimensione universale. Giuliana Benassi

Michele Zaza, Sentiero Magico, Zooz Zone Art Forum, Roma 2013

Art De Sade Gallery, Cape Town

Paolo Bini

Paolo Bini, Nuvole di Stellenbosch, 2013 Acrilico su carta gommata su tela 35,5x25,5 Photo Caludio Farinelli. A destra, Paolo Bini, Senza Titolo, 2013 Acrilico su carta gommata su tela tonda 50 cm Photo Caludio Farinelli

anno appena trascorso sarà certamente annoverato tra i più interesL’ santi per Paolo Bini, classe 1984, artista

di origini campane, brillante e giovane promessa della pittura italiana, che non ha tardato a farsi notare sia in ambito nazionale sia all’estero. L’ultimo riconosci58 - segno 247 | GEN/FEB 2014

mento arriva dall’Africa, dove lo scorso autunno alla Provenance Auction House, Art De Sade Gallery di Cape Town si è svolta una sua personale curata da Alessandra Atti Di Sarro. Un’esposizione che è da considerarsi l’inizio di un progetto di scambio fra Roma e la capitale sudafricana, nato dalla selezione dell’opera di Paolo Bini da parte del Centro Luigi Di Sarro, sotto il patrocinato del Consolato d’Italia a Cape Town, in collaborazione con Smac Art Gallery per la divulgazione dell’opera di artisti italiani emergenti nel mondo. Brink of the ocean / Dinanzi all’oceano è il trasognato titolo che ha accompagnato la mostra, dal quale si percepisce il significativo impulso creativo che Bini ha tratto dalla permanenza e nel contatto con la terra d’Africa e che ne ha determinato una rinnovata visione della sua produzione pittorica. Un rinnovamento che riflette le esperienze più importanti del suo percorso formativo iniziato in Campania. È l’unicità del paesaggio mediterraneo, nei contrasti fra la sua solarità, i suoi colori vividi e lucenti e la sua asprezza, che è anche la sua forza, a educare l’artista a trattare la materia pittorica, specialmente il colore, con impeto appassionato ed energico. Una mediterraneità che si rintraccia enfatizzata

Porta degli angeli, Ferrara

Rita Vitali Rosati

olete lasciare un messaggio?” Una tra le frasi più apparen“V temente banali del vivere quotidiano,

sentita in diverse, ma in fondo fra loro molto simili, circostanze: quando il telefono squilla a vuoto e la voce metallica ed anaffettiva della segreteria ci invita a lasciar detto qualcosa, oppure quando l’aiutante di un qualsivoglia studio si offe di farsi portavoce. Siamo sempre più spesso invitati a lasciare messaggi a persone che in quel preciso momento non possono o non vogliono ascoltare. Siamo sempre più spesso impossibilitati a comunicare in un’epoca dove, per ironia della sorte, grazie alle nuove tecnologie la comunicazione dovrebbe essere il motore delle relazioni sociali. E proprio attraverso un nuovo medium, freddo e asettico come il video, Rita Vitali Rosati racconta la difficoltà che svariate persone oggi hanno nel rapportarsi. Invertendo i ruoli – ma poi neanche tanto – e chiedendo a noi di lasciare un messaggio l’artista diventa il vero mittente. A Vitali Rosati, milanese di nascita ma fabrianese d’adozione, è dedi-

nelle opere realizzate nel 2010 durante un viaggio a Cuba dove i toni cromatici della sua tavolozza subiscono un riscaldamento ancora più intenso e dove la materia appare a tratti molto più concreta e tattile. Successivamente, la permanenza per un breve periodo a Belgrado e sul Danubio, conducono Bini a stemperare l’impetuosità delle cromie portandosi su tutt’altro terreno. Sperimenta effetti di trasparenza e dissolvenza del colore creando in tal senso opere molto più atmosferiche e ariose. Un dettato che predilige le linee, siano esse verticali o orizzontali, e che rappresentano un modo di vedere, di porzionare e riorganizzare il circostante. Entro tali strisce si scorgono ideali e informi profili di paesaggi che assumono la valenza di trascrizioni espressive dei suoi stati d’animo. Sono paesaggi di concetto, risolti nella sola dimensione del colore, rappresentativi del particolare dialogo che l’artista intrattiene da sempre con la natura, e capaci di stimolare, in chi osserva, continue sollecitazioni immaginative. Un discorso che Bini, giunto in Sudafrica riscopre e reinventa, un territorio che ha traghettato la sua produzione verso nuovi lidi. Bini non interviene più direttamente sulla tela, ma realizza le strisce su carta gommata, dipin-


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

cata la personale “La Passiflora non è una passeggiata en plein air” ospitata presso la Porta degli Angeli di Ferrara curata dall’associazione Yoruba diffusione arte contemporanea. Oltre al video sono esposti una serie di scatti fotografici accomunati dalla ricorrente presenza della passiflora. Fiore come metafora, come monito, come riflessione sui mali del vivere tra cui forse anche la problematicità nel relazionarsi con gli altri. Ecco allora la presenza di mani fasciate le cui bende nascondo una ferita, alludono a quella “passione” da cui c’è la possibilità di riscatto come nel caso della natura morta che “prende vita” nell’installazione, posta nella torretta del cinquecentesco edificio, conclusivo atto dell’esposizione, costituita da vere e proprie foglie avvizzite di passiflora dove l’essere appassite rende manifesto la radice pàssio insita nel nome stesso del fiore ma per contro il profumo che da esso ancora si sprigiona è sinonimo di vita. Passione dunque come dolore, come tormento, come martirio ma anche come desiderio, amore, dedizione. Esperienza, quest’ultima, che nel coinvolgimento del senso visivo, tattile ed olfattivo ci pone al cospetto di gioie e dolori nel cui labirinto senza via d’uscita l’uomo contemporaneo è, giorno dopo giorno, imprigionato. Accompagna la mostra un catalogo corredato da immagini fotografiche dell’artista e da poesie dovute alla penna di grandi interpreti della poesia odierna. Linda Gezzi

Rita Vitali Rosati. 3 immagini della mostra a Ferrara, 2013. Photo Francesca Susca

gendole separatamente e rigorosamente una a una, applicandole poi al supporto. La scelta della combinazione di queste fasce è un processo che avviene a posteriori. Il loro accostamento non è casuale ma rispecchia il sovrapporsi di emozioni e sensazioni che assumono il significato di uno spazio teso alla rivelazione della sua interiorità. Non a caso l’artista vi ha assegnato il titolo di cromatismi emozio-

nali, partendo dall’assunto che i colori riflettano direttamente le sue emozioni. Una carica passionale e ipersensibile che non si ferma alla superfice del quadro. A Cape Town, infatti, per la prima volta Bini riesce con grande disinvoltura a passare dalla dimensione bidimensionale a quella ambientale dello spazio che accoglie i suoi lavori, espandendo il colore lungo la superfice delle pareti, che finalmente

avvolge calorosamente chi osserva. Da questa esperienza ne è nata una monografia dell’artista, in pubblicazione per le edizioni Gutenberg e a cura di Massimo Bignardi: Brink of the Ocean raccoglie e documenta la maturità artistica raggiunta da Bini durante il soggiorno sudafricano e apre una riflessione critica sul rinnovato interesse per la pittura in Italia. Maria Letizia Paiato

Paolo Bini, Brink of the Ocean, 15-25 Ottobre 2013. Provenance House. Gardens, Cape Town, Sud Africa Photo Caludio Farinelli.jpg

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Italian Trade Commission, New York

Annamaria Suppa ellini on my mind”. S’ispirano ai film del registra riminese, in occasione di un festival a lui dedicato, i dipinti che “F Annamaria Suppa ha esposto in una personale all’ Italian Trade

Conmission di New York. L’ artista barese sfugge qui ad un semplice approccio documentativo. Procede piuttosto per tracce, segni, spunti visivi o tematici, secondo un metodo che contrassegna da sempre la sua pittura contaminata. Una pittura che parte da stimoli interni ed esterni, da esigenze autobiografiche che incontrano spesso umori collettivi, e si dà per complesse ma sobrie stratificazioni. Attraverso cioè associazioni visive e textures cromatiche dove si alternano gestualità astratta e lacerti di figurazione, con pennellate ora più liquide e sgocciolanti ora più dense fra cui affiorano disegni, graffi o aggregazioni materiche, inserti a collage e scritte che traducono in immagini emozioni e ricordi personali ma anche un progetto preciso di indagine su aspetti del reale. In questo senso più di un elemento sembra accomunare il processo creativo della Suppa a quello di Fellini: a partire dalla capacità di sintetizzare visivamente un forte gradiente immaginifico. Troppo spesso si è codificato infatti come “felliniana” un’ esuberanza barocca che dimentica invece il fondamentale valore della sobrietà e l’importanza dell’assenza nel suo cinema. I lavori di Annamaria Suppa accentuano questo carattere di leggerezza onirica, con una parallela attitudine a condensare un sostrato narrativo sospeso tra realtà e finzione. Su queste superfici in gran parte di grandi dimensioni,dalle dominanti chiare di bianchi e beige, s’intrecciano così riferimenti e personaggi di opere memorabili come “I clowns”, “La strada”, La dolce vita”, “Le Notti di Cabiria”, “La città delle donne”, “Otto e” mezzo”… Filtrati però “dalla mente” dell’artista, e restituiti in forma di fragili frammenti carichi di malinconia, tra accenti erotici, lieve ironia, memoria e sogno. Antonella Marino

Annamaria Suppa, Marcellooo, cm.100x100 Annamaria Suppa, Balla Saraghina

Annamaria Suppa,Vergogna!!!

A arte Invernizzi, Milano

Nelio Sonego

Orizzontaleverticale esto, segno, spazio. Un campo omogeneo monocromo, bianco o nero, G segni colorati che invadono questo spa-

zio, lo occupano e poi ne fuoriescono con traiettorie misteriose, che si perdono al di là della tela. Sono questi gli elementi che caratterizzano Orizzontaleverticale le opere di Nelio Sonego ospitate a A arte Invernizzi a Milano. Una serie di opere cominciata nel 2003 con la sperimentazione di diversi materiali, dalla bomboletta spray al pastello fino ad arrivare, in queste ultime, al pennello e all’acrilico. Sonego si concentra sul segno e sul gesto che lo crea e, sullo spazio che questi segni costruiscono. Uno spazio verticale, quello della tela, con segni orizzontali che la attraversano. Segni che proseguono anche oltre lo spazio percepibile dell’opera, si piegano e continuano sul retro del quadro come a 62 - segno 247 | GEN/FEB 2014

indicare che il gesto non è concluso e che lo spazio non ha ne limiti ne confini ma va oltre la faccia visibile della tela. Sono linee continue, un segno orizzontale, un cambio di direzione verticale nel movimento del pennello per poi, di nuovo, correre orizzontalmente verso (e oltre) l’estremità destra della tela. Sono tracciati con gesti che non hanno tentennamenti, indecisioni, ripensamenti, senza tornare sui propri passi, i segni non sono mai ripassati o rinforzati. Le tele diventano così spazi tridimensionali, luoghi con lati in evidenza e lati nascosti ma comunque presenti e immaginati, intuiti da chi osserva. Il punto d’arrivo di questi gesti è il margine, è la soglia da superare, da oltrepassare per renderla così parte dell’opera come a indicare l’assenza di limiti. Sonego non si arresta ai confini della superficie ma li attraversa, mettendo in comunicazione l’interno con l’esterno, il mondo fuori con lo spazio interno, tra equilibrio e movimento. C’è molto della cultura orientale, delle calligrafie giapponesi in questi gesti di Sonego, perché il suo segno nasce da un gesto unitario, deciso, pensato

ma determinato del braccio, mai un segno scaturito dalla casualità ma la manifestazione della concentrazione dell’artista sul gesto. Un modo di dipingere che richiede un lungo e continuo esercizio, la padronanza del tratto, l’immediatezza del gesto, la continuità del ritmo, il controllo della forza impressa sul pennello senza accenno a ritocchi o correzioni. Il segno diventa allora inconfondibile, diventa il suo gesto e dove il segno che ne segue si armonizza e dialoga con lo spazio. Segni essenziali, connessione tra mente e corpo, un vuoto, una stimolante attesa che prende consistenza nei segni della pittura. Segno e colore poi s’identificano. Sonego usa una grande varietà di tinte, sempre cariche, sature quasi elettriche, acide. In questa serie di Orizzontaleverticale infine, Nelio Sonego, indaga il contrasto, sfondi neri sui quali si stagliano segni bianchi, dove alla decisione e alla precisione del gesto si unisce alla pulizia e al rigore nell’utilizzo di soli due colori ma, non per questo, meno efficaci dei segni colorati su sfondo bianco. Simona Olivieri


attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE

Edicola Notte,Roma

Michelangelo Pistoletto

n tappeto di fiori colorati: la strada per il Terzo Paradiso: due occhi scuri U di donna più profondi dell’oceano buio

e quel punto rosso bindi in mezzo alla fronte, circondati come in un abbraccio circolare dal nuovo simbolo d’infinito di Michelangelo Pistoletto. Terzo ParadisoTerzo Occhio è l’opera con la quale Pistoletto ha voluto aprire i festeggiamenti del Rebirth-Day il 21 dicembre 2013, una data ormai da segnare in rosso nel calendario dell’arte. Lo spazio scelto quest’anno dal maestro è lo storico project-space Edicola Notte dell’artista H.H. Lim. Quale luogo più adatto? Incastonato nei vicoli del quartiere popolare di Trastevere, Edicola Notte è da ormai ventiquattro anni vetrina dell’arte nazionale e internazionale. “Edicola” come le edicole sacre nei crocicchi delle vie di Roma e come quelle di quartiere dei quotidiani; “Notte” come l’altra vita vissuta dal popolo di Trasteve-

re e come luogo per l’arte vivo h24. Così, l’opera di Pistoletto trova la sua giusta dimensione come presenza sacrale e notizia per tutti e di tutte le ore. Nell’opera di Pistoletto è infatti contenuto un messaggio rivolto all’intera umanità per una rinascita basata sulla possibilità di creare una grande realtà sostenibile, di cui tutti siamo chiamati ad esserne fautori. Se il simbolo del Terzo Paradiso è un’evoluzione in positivo del segno matematico d’infinito con l’aggiunta di un terzo cerchio centrale: “i due cerchi opposti significano natura e artificio, quello centrale è la congiunzione dei due e rappresenta il grembo generativo del Terzo Paradiso” (M. Pistoletto), Edicola Notte è un “utero che il più delle volte riesce a partorire un capolavoro” (H.H. Lim). Ricorre doppiamente la tematica di una nuova nascita che, attraverso l’arte, non smette mai di essere feconda.

La mostra di Michelangelo Pistoletto a Edicola Notte -realizzata in collaborazione con Cittadellarte- Fondazione Pistoletto e RAM radioartemobile- durerà fino alla fine di febbraio 2014. Giuliana Benassi Michelangelo Pistoletto, Terzo Paradiso-Terzo Occhio, Edicola Notte, Roma 2013

Maria e Michelangelo Pistoletto, work in progress, Edicola Notte, Roma 2013

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VertigoArte, Cosenza

“U panaru” on l’irriverenza dei grandi francesi, in piena società multiculturale GhiC slain Mayaud lancia l’idea di una mostra

per Natale con un titolo in dialetto, e trova pure VertigoArte che lo sostiene… In effetti l’idea della mostra si esprime facilmente: rilanciare il super-locale, ovvero ciò che è pertinente a una tradizione culturale integralmente radicata a un territorio, contro il falso buonismo della cultura internazionalista. Ma quanto grande è questo territorio? Probabilmente quanto il Mediterraneo, nel quale la cesta di vimini intrecciati (ovvero u panaru, il paniere) è estremamente diffuso e utilizzato. Con le più varie forme, e con le più differenti utilizzazioni, u panaru ci accompagna tutta la vita, con l’umiltà delle buste da supermarket e con la loro adattabilità a tutti gli usi. Al contrario di queste però, dura, ed è intrecciato da mani umane, che così fanno rivivere una fibra vegetale, consentendole una longevità praticamente infinita. Naturalmente fogge e dimensioni sono decisamente variabili, e su questo scartamento dimensionale lavorano Caterina Arcuri e Dario Carmentano. Altri lavorano sul rovesciamento, ovvero realizzano dei panieri che non si potrebbero mai utilizzare, come Giovanni Leto, Max Marra, Cloti Ricciardi e Gianfranco Sergio. Altri ancora, come è tipico dell’arte, lavorano sulla sua forma o sul suo colore, come Mariaelena Diaco Mayer, Albano Morandi, Emiliano Sacco e Fiorenzo Zaffina. La maggior parte degli artisti lo ha ri-funzionalizzato, ovvero ha pensato al contenuto maggiormente atto ad essere ospitato dal paniere, inserendovi tracce personali, costruzioni o simboli, come Salvatore Anelli, Angela Barbera, Renata Boero, Lucilla Catania, Bruno Ceccobelli, Giulio De Mitri, Teo De Palma, Franco Flaccavento, Oronzo Liuzzi, Ruggero Maggi, Alfredo Maiorino, Gianfranco Neri, Antonio Noia, Tarcisio Pingitore, Antonio Puja Veneziano, Giuseppe Salvatori e Vincenzo Trapasso. Non manca però la pittura, con un importante lavoro di Leonardo Santoli, che riprende l’atmosfera di attesa e sorpresa sul contenuto del paniere. Paolo Aita

Teo De Pelna

Max Marra

Gianfranco Sergio

Giuseppe Salvatori Tarcisio Pingitore Caterina Arcuri

Lucilla Catania

Cloti Ricciardi Franco Flaccavento

Fiorenzo Zaffina

Giulio De Mitri

Salvatore Anelli

Renata Boero

Dario Carmentano

Oronzo Liuzzi

Giovanni Leto

Bruno Ceccobelli

Leonardo Santoli

Gianfranco Neri

Antonio Noia

Antonio Pujia Veneziano Emiliano Sacco Ruggero Maggi

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osservatorio critico LIBRI E CATALOGHI

Il bello il buono e il cattivo.

Il nuovo libro di Demetrio Paparoni he il lavoro degli artisti non si possa capire appieno se non si rapporC ta al proprio contesto storico, sociale e

politico lo sanno tutti. Non tutti sanno però spiegare perché e come contesto storico, sociale e politico abbia inciso, fino a determinarne la natura, sull’opera di Beuys, Kiefer, Richter, Hirst, Cattelan o Ai Weiwei. Questi artisti sono solo alcuni tra i protagonisti de Il bello, il buono e il cattivo, il nuovo libro di Demetrio Paparoni, edito da Ponte alle Grazie. Per consentire al lettore di cogliere i nodi essenziali del rapporto tra arte e potere politico dal Novecento ai nostri giorni Paparoni parte da lontano, dal neoclassicismo napoleonico e dai totalitarismi, che hanno cercato di asservire l’arte all’ideologia. L’arte degli ultimi decenni è lontana dal sostenere – si chiede l’autore – le esigenze del potere politico e finanziario? Con lucidità questo libro si muove tra le pieghe della Storia e della cronaca dei nostri giorni per sollevare questioni che toccano più di un nervo scoperto.

Stefano Taccone

La contestazione dell’arte l sottotilo del nuovo libro di Stefano Taccone è: La pratica artistica verso la vita in area campana - da Giuseppe Desiato agli esordi dell’arte nel sociale. Dalla fine degli anni Sessanta all’inizio dei Settanta si registrano, a Napoli e in centri limitrofi, esperienze artistiche che trovano il loro “motore concettuale” nella contestazione e tendono, di conseguenza, ad eccedere per invadere la vita ed identificarsi con essa riprendendo il progetto delle avanguardie di fine secolo. L’arte diviene così strumento di contestazione della società, della politica, dell’economia, ma anche di se stessa, del suo sta­tuto mercantile, della sua stessa fondazione come disciplina finalizzata alla separazione. Prendendo le mosse dall’attività assolutamente pionieristica di Giuseppe Desiato, l’autore ricostruisce le varie tappe della vicenda - i gruppi legati a Luigi Castellano (Luca), come il Gruppo

I

Nel fascismo, scrive Paparoni, si ebbe una forma di tolleranza nei confronti delle avanguardie, a patto però che gli artisti si riconoscessero nel partito fascista. Ecco perché, sottolinea ancora Paparoni, l’atteggiamento di Bottai è ambivalente: se da un lato si aprì al modernismo, dall’altro chiese agli artisti di dichiararsi fascisti. Il rapporto ambiguo fra arte e politica assume sicuramente una dimensione tragica nel corso della prima metà del Novecento e Paparoni si sofferma sui casi esemplari degli espressionisti tedeschi, di Nolde, ma anche di Arno Breker e di Leni Riefensthal, mettendo in luce come la fama di quest’ultima sia legata alla tecnica più che al talento. Particolarmente incisive sono le pagine dedicate a Renato Guttuso, del quale l’autore segue la vicenda artistica nelle sue pieghe politiche, evidenziando come il suo successo sia stato spesso legato all’impegno, dal dopoguerra in avanti, nelle file del partito comunista italiano. Questa sezione del libro risulterà spigolosa a quanti preferiscono far passare sotto silenzio la grande influenza che l’egemonia culturale marxista ha svolto in Italia per lunghi anni, favorendo modelli culturali ed estetici che avrebbero richiesto più attente valutazioni critiche. Il libro non si limita, ovviamente, a ricostruire storicamente le vicende politico-culturali del Novecento, ma passando per gli anni della Guerra fredda si spinge fino ai giorni nostri. Se nel secondo dopoguerra gli Stati Uniti hanno cercato di legittimare la loro leadership politica affermando il primato dell’espressionismo astratto sulle avanguardie europee, oggi un problema analogo si pone per la Cina, che cerca di esprimere, su un piano culturale, quella egemonia che ha conquistato in questi anni in ambito politico ed economico. Il panorama si estende così all’arte cinese contemporanea cui Paparoni ha dedicato di recente delle monografie di grande interesse. Questo libro è una sorta di Storia sociale dell’arte contemporanea che mette in discussione molti mostri sacri e fornisce elementi di riflessione che aiutano a mettere a fuoco la ricerca degli artisti dell’ultima generazione. Elio Cappuccio

Studio Proposta 66 o la Prop-Art; il Teatro Comunitario di Toni Ferro; la Gal­leria Inesistente; Riccardo Dalisi con le sue pratiche animatorie al Rione Traiano, ma anche esperienze casertane come il Gruppo Studio Proposta 66 Terra di Lavoro, la Comune 2 e lo Junk Culture – resti­tuendo un quadro generale che ribalta finalmente le tradizionali accuse di provincialismo e proietta l’area campana entro una temperie assolutamente internazionale. Il volume, edito da Phoebus di Calalnuovo di Napoli e inserito nella collana “Aisthesis” diretta da Salvatore Manzi, è stato presentato presso Arterrima contemporary a Caserta da Enzo Battarra e Salvatore Manzi.

Paolo Aita Accanto al meno

aolo Aita è l’autore di Accanto al meno, un libro edito da Rubbettino P Edizioni, che analizza i risultati della

ricerca artistica utlizzando tutti gli strumenti della critica. Passi del libro si accostano alla filosofia contemporanea, altri alla psicanalisi, altri intrattengono un dialogo con la letteratura. Viene prediletta dunque una metodologia aperta, che salvi quanto di sperimentale ci sia nell’arte

Demetrio Paparoni

Fofo Giovanni Rabuffetti

Demetrio Paparoni e Arthur C. Danto, 2012, New York Demeterio Paparoni e Zhang Xiaogang, 2011, Pechino

contemporanea, non dimenticando una ormai inevitabile necessità di approfondimento. Il testo, dopo una ricca introduzione che presenta l’evoluzione più recente della ricerca tra purismo dell’opera e spessore concettuale, disegna il profilo di otto artisti (Claudio Adami, Cesare Berlingeri, Gregorio Botta, Lucilla Catania, Elvio Chiricozzi, Giulio De Mitri, Giulia Napoleone, Roberto Pietrosanti) di cui esamina l’attività non solo sotto un profilo estetico, ma più generalmente filosofico. Questi artisti, infatti, recuperano totalmente l’estetica nella loro produzione, contro la crisi dell’arte degli ultimi anni, e realizzano opere di particolare spessore, al contrario di altre che declinano la dispersione contemporanea. Nel testo è continuo il ripensamento dei concetti di opera e di forma, che a fine lettura ricevono un nuovo approfondimento, proponendo una riunione della dimensione estetica con la responsabilità del nuovo. L’autore persegue un deciso allargamento della lettura dell’opera, in modo da ottenere una maggiore comprensione e un maggiore assorbimento dei valori in essa contenuti. Il libro è stato recentemente presentato alla Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte a Roma da Paolo Balmas, Guglielmo Gigliotti, Adriana Polveroni. GEN/MAR 2014 | 247 segno - 65


ho pere, do, do tto tà».

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Huang Zhuan Politica e teologia nell’arte cinese contemporanea

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Huang Zhuan

Politica e teologia nell’arte cinese contemporanea Riflessioni sull’opera di Wang Guanyi Introduzione di Demetrio Paparoni

Il miglior modo per comprendere una civiltà è attraverso la sua arte, e il miglior modo per comprendere l’arte è attraverso i suoi artisti migliori. Per qualsiasi lettore interessato ad avvicinarsi all’arte e alla cultura cinesi contemporanee questo libro offre una prospettiva unica: presenta l’opera di un artista cinese contemporaneo privilegiando la storia delle idee e dell’arte, anziché la cronaca e la politica, servendosi di metodi e concetti facilmente comprensibili al lettore occidentale. La storia dell’arte contemporanea cinese copre tre decadi, e Wang Guangyi è indubitabilmente una figura centrale di questo periodo storico. La sua arte riflette tutte le complesse dinamiche che sono emerse nel passaggio dalla Guerra fredda alla globalizzazione ed è permeata dalla sua riflessione sul mondo teologico e sul mondo materiale. L’arte di Wang Guangyi è significativa non solo in Cina ma nel mondo intero.

Wang Guangyi a Napoli. Foto Pasquale Palmeri

L’universo teologico e politico di Wang Guangyi nel nuovo libro di Huang Zhuan

n questo saggio la riflessione teoretica di Huang Zhuan e l’opera di Wang IGuangyi si confrontano e svelano la ten-

sione metafisica alla base della ricerca estetica e teologica dello stesso Wang Guangyi. Politica e Teologia nell’arte cinese contemporanea / Riflessioni sull’opera di Wang Guangyi, pubblicato adesso in Italia da Ponte alle Grazie e per il mercato angloamericano da Skira Intenational, mette in risalto il peso che il pensiero filosofico occidentale ha avuto nella cultura cinese dalla seconda metà degli anni ottanta. Huang Zhuan fa dialogare i classici dell’Occidente con la tradizione confuciana, la religiosità buddhista e le icone del marxismo e del maoismo. L’autore delinea inoltre i contorni di un vasto territorio che include tanto la tradizione platonico-aristotelica quanto il pensiero heideggeriano. È su questo terreno, in cui le differenze si confrontano dialetticamente, che emergre quel quid misterioso che si riscontra nell’opera Wang Guagyi e che alimenta l’inesauribilità delle sue interpretazioni. L’approccio utilizzato da Huang Zhuan ricorda in tal senso l’ermeneutica di Hans Georg Gadamer, secondo il quale quando ci si accosta a un testo la distanza tra il soggetto che interpreta e l’oggetto da interpretare

svanisce, rendendo l’interpretazione sempre aperta e mai conclusa. Tale approccio appare il più adatto per cogliere l’inesauribile complessità del presente. Dice in tal senso bene Aldo Nove quando afferma che «questo libro dipana la complessissima matassa della più sorprendente rivoluzione culturale degli ultimi dieci anni» e ha ragione Arturo Schwarz nell’affermare che «è grazie a uomini come Wang Guangyi e Huang Zhuan che la cultura contemporanea cinese ha dato l’avvio nella seconda metà degli anni ottanta al nuovo corso artistico, gettando le basi per il lavoro delle nuove generazioni.» Le immagini che caratterizzano la scena artistica della Cina contemporanea sono state sovente considerate, in Occidente, in riferimento alla Pop Art americana e a Warhol in particolare. Si è parlato di “pop politico”, per esempio, per i dipinti di Wang Guangyi della serie Great Criticism (1990-2007), nei quali l’artista fa interagire icone della cultura e della politica cinese con i loghi più rinomati del consumismo occidentale. Sin dalle prime pagine di questo libro Huang Zhuan mette in evidenza le differenze dell’arte Pop cinese rispetto al modello americano spiegando che Wang Guangyi si accosta all’iconografia politica

Wang Guangyi, Mao Zedong AO, trittico, 1988. Olio su tela, 150 x 360 cm. Courtesy dell’artista, Pechino.

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con un atteggiamento analitico capace di rimuovere ogni coinvolgimento emotivo. Nel caso di Mao Zedong AO, per esempio, un triplo ritratto di Mao del 1988, nel quale alla figura del leader politico è sovrapposta una griglia rossa, Wang Guangyi ha inteso dimostrare che l’arte attuale può desacralizzare e restituire l’immagine di Mao alla vita reale nello stesso modo in cui l’arte maoista l’aveva sacralizzata. Per desacralizzare l’immagine di Mao, Wang Guangui ha portato in primo piano la stessa griglia utilizzata nelle accademie per copiare un’immagine fotografica su tele di grandi dimensioni. Il tema dominante di questo libro è il rapporto tra la politica e la teologia. Demetrio Paparoni ha fatto notare nella prefazione del libro che, come Arthur C. Danto, Huang Zhuan, legge l’opera d’arte con lo sguardo del filosofo, collocandola in una terra di mezzo tra immagine e pensiero, ponendo in primo piano la contrapposizione tra il mondo fenomenico e la trascendenza. Un elemento che segna marcatamente tutta la produzione artistica di Wang Guangyi è il rapporto tra politica e teologia. La griglia sovrapposta alla figura di Mao, per esempio, rileva Huang Zhuan, mette tra parentesi le passioni che tale immagine,


osservatorio critico LIBRI E CATALOGHI

Wang Guangyi e Huang Zhuan nello studio dell’artista, Pechino, 2005. Foto Wang Junyi Wang Guangyi, Great Criticism - Country and DNA , 2007. Olio su tela, 600×300cm.

ricca di riferimenti ideologici, ma anche personali, può suscitare in ciascuno. Il simbolo viene così trattato in modo più razionale che emotivo. Huang Zhuan sottolinea come, in questa scelta, sia presente la lezione di Ernst Gombrich. Si tratta, in particolare, della distinzione tracciata da Gombrich tra due stili di pensiero rispetto all’immagine: il misticismo neoplatonico e il razionalismo aristotelico. La sovrapposizione della griglia all’immagine realistica indica un orientamento razionalistico di matrice aristotelica. In altre parole Wang Guangyi sceglie di porsi dinnanzi all’immagine in modo analitico e oggettivo, piuttosto che empatico. L’attitudine analitica che si riscontra nell’opera di Wang Guangyi, mette ancora in luce Huang Zhuan, coesiste però con la convinzione che la dimensione della fede debba prevalere rispetto alla conoscenza empirica. Wang Guangyi, sempre secondo l’autore, contrappone immagini divergenti producendo un paradosso che genera un significato inedito: non si propone di desemantizzare le immagini, ma di rivestirle di significati. I loghi occidentali o i simboli del marxismo non sono cioè mostrati come immagini vuote, ma come icone di modelli politici e teologici diversi. L’arte di Wang Guangyi dimostra che la dimensione teologica e quella materialistica possano convivere all’interno dello stesso lavoro. In altre parole egli sottolinea che queste immagini svolgono la stessa funzione dell’iconografia religiosa: rendere visibili i principi a fondamento di una determinata concezione del mondo. Il loghi commerciali rappresentano il consumismo che sta a fondamento delle società capitalistiche come le immagini della propaganda rappresentano le conquiste del materialismo storico che sta a fondamento delle società socialiste. Si tratta in entrambi i casi, spiega Huan Zunan, di legittimazioni metafisiche del reale, che costituiscono una forma di teologia secolarizzata. L’interesse di Wang Guangyi per la teologia emerge in modo evidente anche in opere come Infiammabile-Esplosivo, in cui Huang Zhuan coglie il concetto di “spirito materiale”, riconducibile all’influenza del De anima di Aristotele. Aristotele ci ha insegnato che l’anima è la forma di un corpo vivente. Alla luce di questi concetti aristotelici, di cui Huang Zhuan si appro-

pria, il corpo possiede una dimensione spirituale e l’anima non è separabile dalla materialità del corpo. Questo porta inoltre Huang Zhuan a vedere opere come Infiammabile-Esplosivo vicine alla filosofia della natura di Beuys e distanti dalle immagini glamour della Pop Art di Warhol. Il critico rileva così che l’artista attribuisce alla realtà quotidiana una sacralità che non appartiene alla cultura Pop ma rimanda alla spiritualità di Beuys, sulla quale l’autore si sofferma nel libro. Muovendosi in questa direzione Wang Guangyi è approdato all’installazione del 2012 Thing-In-Itself, costituita da sacchi di juta contenenti cereali che rivestivano le pareti di una grande sala del Today Art Museum di Pechino. In quest’opera la presenza dei cereali non è dichiarata ma si manifesta attraverso l’odore percepito dallo spettatore, evocando una realtà nascosta. Il riferimento è alla Cosa in sé di Kant,

che, come è noto, rappresenta qualcosa di cui non possiamo dare una definizione in quanto si colloca al di là delle nostre possibilità cognitive. Come dire che l’uomo non si accontenta della spiegazione meccanicistica della natura e tende cercare un principio che, proprio in quanto sfugge alla ragione scientifica, alimenta il pensiero metafisico. È proprio in questa inconoscibilità della Cosa in sé, scrive Huang Zhuan, che si colloca il conflitto spirituale tra mondo empirico e trascendente, classico e contemporaneo. Questo libro è utile a quanti vogliono oggi comprendere in Occidente la complessità di una cultura che si apre al confronto con esperienze culturali lontane, senza per questo mettere in ombra la ricchezza della propria tradizione. Elio Cappuccio

Wang Guangyi, Cold War Aesthetics – People Living in Fear, 2007-08. Fibra di vetro dipinta, video, ciascuna scultura 30 sculpture 215 x 60 x 30 cm. Veduta parziale della mostra Visual Polity, Another Wang Guangyi, OCT Contemporary Art Terminal, He Xiangning Art Museum, Shenzhen. Photo Xiao Quan. Wang Guangyi, East Wind – Golden Dragon, 2006-07. Fibra di vetri, fotografia, 500 x 190 x 165 cm. Courtesy Institute for Research and Innovation in Art and Design, Manchester, Gran Bretagna.

Wang Guangyi, Great-Criticism-Malboro, 1992. Olio su tela, cm 175 x 175. Courtesy Guggenheim Museum, Abu Dhabi, Uniter Arab Emirates

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PinTower

Concorso fotografico nelle intertpretazioni della nuova Milano entiquattro scatti fotografici, scelti tra oltre 1400 inviati da 500 appasV sionati, raccontano i cambiamenti archi-

tettonici in atto a Milano grazie al nuovo quartiere di Porta Nuova, la più grande riqualificazione urbana mai realizzata nel centro della città e tra le maggiori in Europa. Si tratta delle immagini vincitrici del concorso fotografico promosso da UniCredit, che meglio hanno interpretato i concetti di città che sale: vita reale, innovazione, fiducia nel futuro, riqualificazione e modernità, protagoniste della mostra all’aperto in Piazza Gae Aulenti, proprio al centro di questa grande trasformazione. Grattacieli, torri e piazze, specchi, vetri e giardini stanno infatti rimodellando lo skyline della città e sono già diventati simbolo di innovazione e dinamicità. I nomi dei 24 vincitori (in ordine alfabetico): Dominico Claudio Acquafresca, Adriano Airoldi, Giusy Baffi, Fabio Bartalena, Frabrizio Bellanca, Aurelio Bonadonna, Luigi Borgonovo, Maurizio Corti, Andrea Dell’Aquila, Andrea Favero, Federico Gatto, Veronica Giossi, Nicoletta Granai, Sergio Giuseppe Lorizio, Francesco Luppi, Federico Morgantini, Alessandro Muiesan, Riccardo Nesa, Franco Ricci, Maurizio Luigi Mario Sala, Alessandro Nicola Silvestri, Luca Sironi, Giorgio Sitta, Massimo Spotti.

Adriano Airoldi, Backlight, Leggiuno (Varese)

Alessandro Muiesan, Alba a Milano, Milano

Fabrizio Bellanca, 8 per Uni fa otto, Como Alessandro Nicola Silvestri, Showroom Porta Nuova Milano, Cernusco SN

Andrea Favero, Specchio specchio delle mie brame, Milano

Nicoletta Granai, Guglie, Milano

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osservatorio critico DOCUMENTAZIONE PREMI & CONCORSI

Maurizio Corti, A toccar le stelle, Milano

Sergio Giuseppe Lorizio, Contrasti, Milano

Francesco Luppi, New Factory, Cusago

Aurelio Bonadonna, Skyline dal Duomo, Milano

Riccardo Nesa, night in porta nuova Veronica Giossi, Piazza Gae Aulenti, Milano Dominico Claudio Acquafresca, Il vecchio e il nuovo ci sarĂ , Grezzago

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Lavori in corso all’Accademia Nazionale di San Luca

Aperti per restauri di Fabrizio Ronconi e Teresa Ianni

P

ur rimanendo coerente con il suo tradizionale compito di conservazione del proprio patrimonio culturale, l’Accademia Nazionale di San Luca continua la sua attività di valorizzazione promuovendo una serie di iniziative mirate non solo alla riscoperta delle proprie collezioni, ma soprattutto a un’opera di divulgazione, cercando di coinvolgere anche i non addetti ai lavori, attraverso un intenso programma di attività culturali, contrassegnate, oggi più che mai, da uno spirito innovativo che la porta ad essere un’istituzione storica a cavallo tra passato e futuro, tra tradizione e innovazione. Dopo aver concluso i lavori che hanno riportato all’originale splendore alcune importanti opere della collezione, l’iniziativa “Aperti per Restauri” offre una modalità di fruizione innovativa e singolare, mettendo a disposizione del pubblico non solo le opere presenti negli spazi espositivi dell’accademia, recentemente riorganizzati, ma anche rendendo accessibili al pubblico i restauri attualmente in corso su opere che non erano mai state esposte precedentemente, come il contadino di Balla o la scultura il Leone che si abbevera di Bernini. Sarà quindi possibile per i visitatori accedere, liberamente o attraverso visite guidate, ai vari cantieri di restauro all’interno della sede di Palazzo Carpegna e nella chiesa accademica dei Santi Luca e Martina ai Fori Imperiali, ammirando le opere durante le varie fasi di restauro, con la possibilità di osservarle dal punto di vista particolare e privilegiato dei restauratori, in un momento di riflessione e di studio sull’opera stessa. Se infatti, seguendo il noto assioma di Cesare Brandi il “restauro Giambologna, Allegoria di un fiume, durante la pulitura laser (foto Iscr, A. Rubino)

Il Guercino, Venere e Amore in un paesaggio

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memorie d’arte RESTAURI

Gian Lorenzo Bernini, Leone che si abbevera, dopo il restauro (foto Iscr, A. Rubino).

è il momento metodologico del riconoscimento dell’opera d’arte come tale” nella sua “duplice polarità storica ed estetica”, assistere alle operazioni di restauro non rappresenta solo un un’esperienza dal piacere quasi voyeristico per gli amanti dell’arte, quanto una preziosa opportunità di conoscenza, che attraverso l’osservazione del restauro e delle operazioni che vengono compiute sulla materia dell’opera, per riportarla alla sua immagine unitaria e originaria, costituisce una sorta di disvelamento dell’opera stessa, rivelando proprio attraverso la processualità del restauro, molto di più di quanto sarebbe possibile scoprire in una normale esposizione. Di particolare interesse è la collezione di oltre novanta opere in terracotta, collocabili in un arco temporale che va dal XVI al XX secolo, nelle quali è possibile sentire ancora l’immediatezza dello studio iniziale, come ad esempio il modello in terracotta

per il Leone della Fontana dei Quattro Fiumi, 1649-50 ca., di Gian Lorenzo Bernini esposto lo scorso anno per la mostra “Bernini: Sculpting in Clay” al Metropolitan Museum of Art di New York e al Kimbell Art Museum di Forth Worth, diventando l’opera simbolo della mostra. Durante il restauro l’opera è stata sottoposta ad analisi non distruttive dalle quali si è potuto scoprire che i collanti delle numerose fratture dell’opera sono compatibili con l’epoca della realizzazione del manufatto, facendo ipotizzare che queste fossero avvenute durante la cottura. Affianco alle opere recentemente restaurate, come l’Allegoria di un fiume, altro modello in terracotta di Jean de Boulogne detto il Giambologna, dono di Bartolomeo Cavaceppi e visibile all’interno della biblioteca accademica A. Sarti, entrambe restaurate a cura dell’Iscr, Istituto Superiore per la conservazione ed il Restauro, si aggiunge un gruppo scultoreo

Gian Lorenzo Bernini, Leone che si abbevera, prima del restauro, ripresa fotografica della fluorescenza indotta UV (foto Iscr, A. Rubino)

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Giulio Aristide Sartorio, Monte Circello, prima del restauro

di Alessandro Algardi, raffigurante i Santi Martiri Concordio, Epifanio e Papia, conservata nella cripta della chiesa dei Santi Luca e Martina, che sta per essere trasferito all’interno dell’accademia dove inizierà il delicato processo di restauro. Sono invece già avviati i lavori su Venere e Amore in un paesaggio (1632) di Giovanni Francesco Barbieri, detto il Guercino, un dipinto murale montato su tela e sull’ Allegoria della Fortuna con la corona in mano (1637 ca.), un olio su tela di Guido Reni entrambi esposti nel Gabinetto Riservato della Galleria accademica e restaurati a cura di Laura Cibrario e Fabiola Jatta. La prima opera, nata come un dipinto murale probabilmente realizzato ad affresco, verrà analizzata con tecniche non distruttive che aiuteranno a capire la natura della superficie aiutando a restituire l’immagine del dipinto fortemente compromessa dalle ridipinture. La Fortuna reniana conservata in accademia si trova invece in un discreto stato di conservazione, offuscata prevalentemente dallo strato alterato di vernice che ne altera l’originale cromia. Tra le opere moderne si possono ammirare i lavori su una splendida tela prefuturista di Giacomo Balla, il contadino (1902), nella quale la tecnica ancora di matrice divisionista, contiene già in nuce i primi accenni delle successive ricerche dell’avanguardia futurista, nella scomposizione quasi geometrica della vegetazione, tendente all’astrattismo e nell’idea quasi impercettibile del movimento, suggerita dalla tecnica pittorica che porta la figura, altrimenti statica, del contadino a fondersi con l’ambiente circostante, attraverso un gioco di luci e di riflessi. Di poco successivo e particolarmente suggestivo, non solo per le dimensioni imponenti, è il grande dipinto posto sullo scalone di Palazzo Carpegna, Monte Circello, opera di Giulio Aristide Sartorio del 1909. Il restauro della mastodontica tela (m 2,48 x 5,50) ad opera di Antonio Rava, ha permesso di studiare la particolare tecnica artistica dell’autore, per il quale “la pittura di paesaggio esclude per necessità la tradizionale condotta del quadro”, ed è impossibile usare solo pittura ad olio senza contaminazioni di altre tecniche. La modernità dell’opera, raffigurante i butteri sulla spiaggia ancora oggi detta ‘la 72 - segno 247 | GEN/MAR 2014

Alessandro Algardi, I Santi Martiri Concordio, Epifanio e Papia, il gruppo scultoreo in situ (foto Iscr, A. Rubino)


memorie d’arte RESTAURI

bufalara’, dalla quale si intravede in lontananza il Monte Circeo, un soggetto bucolico ma quasi trasfigurato in una dimensione eroica e senza tempo, è nel grandioso realismo visivo, ottenuto attraverso un uso sapiente fotografia, usata in una prima fase di studio, e soprattutto da una tecnica pittorica capace di rendere straordinari effetti di luce, di eccezionale vivacità, attraverso un gioco sapiente nel quale si alterna l’uso della tempera, per le superfici opache, alla pittura ad olio, con bianchi brillanti, strati materici e grumosi di colore che travalicano la superficie pittorica. Sempre ad opera di Antonio Rava è il restauro de La Vergine Assunta e San Sebastiano (1740 ca.), pala d’altare di Sebastiano Conca posta nel braccio sinistro della Chiesa dei Santi Luca e Martina. La straordinaria opera, anch’essa di notevoli dimensioni, risultava offuscata da uno strato di nerofumo misto a vernici alterate. Sono state realizzare indagini non invasive per analizzare lo strato pittorico che si presentava senza verniciatura, probabilmente per eliminare i possibili riflessi di luce dovuti al posizionamento dell’opera all’interno della luminosa chiesa cortoniana. Il restauro, effettuato sul posto tramite un ponteggio di servizio atto a visionare la tela agevolmente e a restaurarla puntualmente, ha ridato profondità all’immagine, giocata sui contrasti e i riverberi dei colori, il rosso di San Sebastiano e l’azzurro della Vergine. All’interno della chiesa è attivo anche il cantiere di restauro del portone ligneo e della bussola lignea a cura di Capitolium. Gli interventi riguardano opere di risanamento strutturale e la realizzazione di un capitello ligneo mancante. A palazzo Carpegna prosegue inoltre, dopo la Summer School dello scorso anno, l’attività didattica dell’ISCR sul Restauro dei manufatti lapidei artificiali (Discipline Tecniche del Restauro PFP1_ICAR/19 DTR II anno) che si concluderà nel marzo 2014. L’attività, articolata nelle tre sezioni di teoria, pratica e cantieri, riguarderà lezioni teoriche e pratiche sulla Storia e la tecnologia dei materiali costitutivi, dei calchi e delle sculture in gesso, affrontando tematiche relative al degrado e la metodologia degli interventi conservativi, per concludersi con l’attività di laboratorio e nel successivo cantiere estivo su alcune sculture in gesso dell’Accademia. n

Giacomo Balla, Contadino

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Je est un autre,

L’Io espresso dall’arte non può riguardare solo il ciclo produttivo di Gabriele Perretta

“Io è un altro. […] io assisto allo schiudersi del mio pensiero: lo osservo, lo ascolto: lancio un colpo d’archetto: la sinfonia suona il suo movimento nel profondo, oppure balza sulla scena. […] Dico che bisogna essere veggente, rendersi veggente”. … (Arthur Rimbaud, Lettre à Paul Demeny, 15 maggio 1871)

ella famosa lettera a Demeny, nota come Lettre du Voyant (scritta a sedici anni), Rimbaud dichiara guerra all’arte che N l’ha preceduto, proponendo il superamento dei limiti imposti,

attraverso un rinnovamento totale. Il singolo artista diventa per Rimbaud il rappresentante dell’intera specie artistica, pertanto egli deve vivere ogni esperienza con una materialità esasperata e in completa correlazione con la “dissidenza”. Je est un autre, l’Io espresso dall’arte non può riguardare unicamente l’individuo, ma deve sdoppiarsi, allargarsi, estendersi ad una realtà ben più vasta, ad un Io collettivo. Il veggente si separa dunque dal sé per vedersi dall’esterno, compie un’azione capillare che abbatte le barriere sensoriali e usa se stesso come cavia per gli esperimenti che gli permettono di raggiungere l’essenza, ma sempre attraverso il metro della ragione, perché la veggenza non è un dono, ma il frutto di una grande fatica, di una severa ricerca artistica. E quale altra voce può contenere l’eco di una dissidenza universale, in grado di comunicare tutte le sensazioni possibili, se non quella del “fare artistico stesso”? La lingua artistica, che il capitale con questa crisi ha continuato a erodere, è la parola stessa della conoscenza, che qui di seguito rivendichiamo: Se c’è qualcosa che caratterizza drammaticamente questi tempi di “crisi”, è il paradosso per cui ad un dilagare di povertà, all’emergere di nuovi (o al riemergere di vecchi) problemi culturali ed artistici, si accompagna una immane capacità creativa e di ricerca, giacente tra macchinari e laboratori inutilizzabili perché non profittevoli o in difficoltà finanziarie, ed intelligenze lasciate a riempire le fila dell’esercito di disoccupati. Tecnocrati di mezzo mondo ci assicurano che tanto l’origine quanto la soluzione del problema sia a sua volta tecnica. La loro scienza economica, che promette di rimediare agli “errori” che ha finora giustificato, ci vorrebbe assicurare il modo in cui far ripartire la crescita. Con questa si riassorbirebbe la manodopera in eccesso, i mezzi di produzione tornerebbero in funzione e, soprattutto, ripartirebbe il ciclo di innovazioni che può salvarci dalle catastrofi, anche questa volta promettendo di non ripetere gli errori del passato. Perché degli effetti controproducenti del sapere e delle applicazioni economicistiche ne è piena la storia, anche quella recente: dalla disorganizzazione dei musei che, colpendo tanto i propri bersagli dichiarati quanto i loro predatori, son finiti per far proliferare agenti devastanti, ai mercati truccati che hanno eroso la fertilità del territorio inventivo; dalle strategie di manipolazione del successo, che hanno contribuito all’evoluzione di nuove, pericolose e resistenti, epidemie ciniche, ai modelli di implementazione in provetta dell’autore di successo, che incorporati in complessi strumenti finanziari, anziché dosare il rischio hanno finito per amplificarlo, ecc. Sembra quasi che per ogni estensione del nostro dominio su un aspetto particolare del sistema dell’arte che ci circonda, ci ritorni addosso ciò che di esso abbiamo trascurato, come fosse la vendetta cieca dell’antropologia artistica. A guardar bene, però, questa vendetta non pare poi così cieca: anche la catastrofe della più grave entità ha un impatto ben diverso per quell’1% che ha straordinari mezzi materiali per far fronte ad ogni imprevisto, rispetto a quel 99% che è praticamente in balia delle raffiche minacciose di “morte a credito”. Ben diverso è, ad esempio, l’impatto di un agente epidemico per chi ha il proprio jet privato con cui spostarsi in giro per il mondo ed ha a disposizione le più avanzate cure mediche, cibo sano e “biologico”, rispetto a chi ha il sistema immunitario già stressato da un lavoro estenuante, un ambiente vitale inquinato e ben poche possibilità di spostarsi senza perdere il poco che ha. Nelle pur innegabili differenze, in quanto “critici” e ricercatori/ ici noi siamo tra questi. Noi che passiamo la vita sbattuti tra uno studio e l’altro, con incentivi sempre più carenti, magari costretti a dividerci tra mille lavoretti; noi che spesso spendiamo intere nottate in studi improvvisati o a scrivere articoli che poi non potremo neanche firmare, magari neanche pagati; noi che veniamo valutati secondo i “crediti” ottenuti, da test

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a risposta multipla, o da sommari bibliografici, al di là di cosa effettivamente staremmo producendo. Anche a noi vien detto che la nostra abnegazione ed il nostro sacrificio è al servizio di un benessere generale, che l’avanzamento culturale porta inevitabilmente con sé. Quando però questo ha significato accettare ulteriori tagli ai servizi di appetibilità del sistema, peggioramenti nelle condizioni contrattuali, inasprimento della selezione e dei concorsi, quella stessa realtà che saremmo chiamati a conoscere sempre più dettagliatamente nel nostro potenzialmente infinito lavoro di ricerca e di impiego con le gallerie d’arte e le vecchie e nuove istituzioni espositive . Anziché a fornirne un’“espressione” siamo stati chiamati ad intervenire dentro di essa, consapevoli che spesso non “esporsi” in fretta significa farsi “esporre” per sempre all’emarginazione. Purtroppo non è sempre una buona consigliera quella pazienza che pretendono di insegnarci nelle Fiere, nei Master e nel pullulare dei “soggiorni d’artista”, e che nei fatti ci costringono in ogni ricorrenza a violare imponendoci tempi sempre più stretti. Con le nostre dissidenze niente abbiamo ottenuto, altro abbiamo perso, molto rischiamo di perdere nel futuro, se non teniamo alta la guardia. Per farlo, oltre all’inevitabile e necessaria resistenza quotidiana, c’è bisogno di iniziare a guardare più in là, cominciando chiedendoci come e per cosa facciamo opere e produciamo cultura simbolica. Perché l’illusione di esser padroni del frammento intuitivo su cui si concentrano ingordamente le nostre ricerche, nasconde il fatto che siamo in realtà impadroniti dalla divisione del lavoro, che ce lo pone davanti e che ci consegna i mezzi tecnici per indagarlo e per riprodurre “general intellect”. Questo sta alla base della nostra fungibilità, che ci rende facilmente sostituibili da altri uguali a noi, sempre più addestrati ad una risoluzione via via più meccanizzata degli enigmi che si propone di risolvere la “normalità dell’arte”. Anzi, essa, costituisce quindi anche la base reale di quella che chiamiamo precarietà. Al contempo, proprio la ricerca ossessiva della rappresentazione più minuziosa ed oggettiva di un frammento del mondo che ci circonda – che lascia ad altri gruppi di ricerca e “carrozzoni” l’indagine sugli altri frammenti a cui questo si lega – e la deresponsabilizzazione rispetto agli effetti che questi investimenti possono avere, costituisce la base per cui apparenti conquiste (forse per alcuni reali) possono tradursi in devastanti Nemesi (tali soltanto per gli altri): nuove catastrofi decretate ancora una volta come culturalmente intrinseche, così da richiedere ulteriori investimenti nella ricerca per essere risolte e contemporaneamente giustificare l’ulteriore spremuta di artisti emergenti e ricercatori per farlo. Lasciarsi rapire dalle specificità delle singole pianificazioni mercantili, allora, può al massimo produrre soluzioni parziali, foriere di nuovi problemi, nell’immediato invisibili. L’inesauribilità delle problematiche da affrontare, garantisce l’illimitatezza di principio tanto del carico di lavoro che ci è imposto quanto dell’uso dei mezzi di cui questo si serve. Fino a quando è giusto costringerci a nottate in studi fantasma? Fino a quando è giusto torturare cavie? Fino a quando è giusto investire in strategie costose e velenose? Sempre. La ricerca artistica non lo dice, ma lo fa: ponendoci di fronte a continui nuovi problemi da indagare, sempre più dettagliatamente con strumenti sempre più complessi a loro volta in grado di aprire nuove strade, che possono portare poi alla costruzione di nuovi strumenti. Fino a quando? Per cosa? Per chi? Questi sono limiti che dobbiamo saper porre noi. Noi che l’arte la subiamo facendola – in quanto lavoratori e lavoratrici della conoscenza persi tra turni infiniti e ripetitivi – mischiandoci a quelli che la fanno subendola, cioè tutti quei lavoratori e lavoratrici manuali che rendono materialmente possibile l’apparato tecnico-scientifico, che a sua volta li schiaccia. Affrontando artisticamente i limiti e gli scopi della produzione materiale ed intellettuale, bisogna innanzitutto indagare i limiti dell’arte per come attualmente la conosciamo, quindi operare una critica dell’attuale produzione artistico-culturale e che obblighi ad una pratica con strumenti diversi in grado di superarli. In che modo farlo concretamente, dipende solo da noi.


ALBERTO DI FABIO

La pittura del tempo e dello spazio

Luciano Marucci

La “D’Auria Media Group”, consapevole che la Cultura ha le potenzialità per far sviluppare pure l’economia, continua a pubblicare il Calendario d’Autore. Per il 2014 è stato coinvolto Alberto Di Fabio che pratica una pittura di indubbia qualità, riconducibile alla tradizione classica. A un’attenta lettura le sue opere, oltre a sorprendere per l’aspetto seducente, sono sostanziate da erudite motivazioni di fondo. Così l’unicità e gli esiti dell’appassionata attività di ricerca conferiscono all’artista l’autorevolezza per competere con altre esperienze del contemporaneo considerate più innovative. Il Calendario ancora una volta ha le caratteristiche di una mostra monografi ca site-specifi c della durata di un anno solare e di un catalogo con la riproduzione dei dipinti realizzati appositamente per l’edizione, questa essenziale presentazione, un ampio dialogo che analizza il percorso operativo dal lato strutturale, la biografi a che focalizza i momenti signifi cativi della carriera. Tra l’altro potrebbe essere conservato come multiplo, anche perché i 250 esemplari sono numerati e fi rmati dall’Autore.

Alberto Di Fabio, dicembre 2014

Alberto Di Fabio, giugno 2014

Alberto Di Fabio, marzo 2014

Alberto Di Fabio, settembre 2014

Diversifi candosi da altri, basati su ill ustrazioni stereotipate e retoriche che fi niscono per consolidare il cattivo gusto, assume valenza propositiva e pedagogica. Non a caso il testo della conversazione e il commento sui lavori hanno un carattere critico-esplicativo per consentire di valutare meglio la produzione in rapporto all’eterogeneo scenario artistico di oggi. Di Fabio evidenzia in essi la consueta abilità manuale supportata da cognizioni scientifi che. Séguita a investigare e a interpretare liberamente i fenomeni extraterrestri, cercando perfi no di oltrepassare il visibile. Dal punto di vista linguistico coniuga astrazione informale e geometrica, gestualità e pensiero razionale-emotivo. Concepisce l’opera come luogo di aggregazione di entità visive e mentali; campo di osservazione estetica, di sperimentazionerappresentazione e di ipotetica partecipazione al divenire del mondo. Con il sistema dei colori, densi o diafani, e dei di-segni, automatici o costruttivi, svela pure la sua sfera intima e l’irrefrenabile tensione verso un altrove inconoscibile. Coglie possibili attimi di un processo astronomico performativo eccitato dalla fantasia; fonde l’atto creativo con quello cosmico, entrambi in-controllabili, e trasforma l’azione evolutiva laica della sostanza primordiale in immagine suggestiva che irradia luce-energia vitale. Dunque, attiva una espansione-levitazione alchemica della materiaforma e con i raffi nati cromatismi favorisce percezione lirica e trascendenza. Attraverso l’associazione armonica delle diverse componenti stimola sensazioni che attraggono lo sguardo producendo incanto instabile e straniamento. Nella sequenza delle 12 composizioni, che costituiscono una sorta di installazione bidimensionale, l’accurata combinazione tonale o timbrica dei pigmenti puri e la loro luminosità evocano la transitorietà dei giorni e l’avvicendarsi dei mesi da sempre nell’immaginario collettivo. Ma è Tempo di dare Spazio alla metafora del Cosmo che vuole insinuarsi nelle abitazioni per esibire valori immateriali.


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