segno Spedizione in abbonamento postale Poste Italiane S.p.A. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 00 in libreria ROC · Registro degli operatori di comunicazione n. 18524 - ISSN 0391-3910
5.
Anno XLIII - SET/NOV 2018
Attualità Internazionali d’Arte Contemporanea
HANS OP DE BEECK PAOLO BINI HIDETOSHI NAGASAWA
All’interno ANTEPRIMA/NEWS - LE MOSTRE NEI MUSEI, NELLE ISTITUZIONI GALLERIE PRIVATE – DOCUMENTAZIONE GRANDI MOSTRE ARTISTI IN MOSTRA – RECENSIONI, IMMAGINI – LIBRI E CATALOGHI
segnosettembre/novembre 2018
#269
Spedizione in abbonamento postale Poste Italiane S.p.A. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 ROC · Registro degli operatori di comunicazione n. 18524 - ISSN 0391-3910 00 in libreria
€ 5.
Anno XLIII - SET/NOV 2018
Attualità Internazionali d’Arte Contemporanea
segno Attualità Internazionali d’Arte Contemporanea
sommario
Artisti in copertina Hans Op de Beeck Timo
# 269 - Settembre/Novembre 2018
Poliestere, metallo, legno, rivestimento, gesso 80x50x150 cm courtesy Galleria Continua, San Gimignano HANS OP DE BEECK PAOLO BINI
HIDETOSHI NAGASAWA
Paolo Bini
Nuovamente Estate, 2018 All’interno ANTEPRIMA/NEWS - LE MOSTRE NEI MUSEI, NELLE ISTITUZIONI GALLERIE PRIVATE – DOCUMENTAZIONE GRANDI MOSTRE ARTISTI IN MOSTRA – RECENSIONI, IMMAGINI – LIBRI E CATALOGHI
Matilde Cassani - Manifesta 12 Palermo [28]
Acrilico e pigmenti su carta fabriano 140x98 cm. courtesy Galleria Nicola Pedana, Caserta
Omaggio a Nagasawa Verona sedi varie
4/27 News Istituzioni e Gallerie Anteprima Mostre Istituzioni e Gallerie in Italia ed estero ArtVerona e omaggio a Nagasawa Artissima, Oval e OGR,Torino (a cura di Umberto Sala e Paolo Spadano)
Keith Sonnier [40]
Eliseo Mattiacci [39]
Manifesta 12, Palermo, Sedi Varie (Serena Ribaudo pp 28/31) That’s IT ! MAMbo, Bologna (Francesca Cammarata pp.32/33) BRIC-à-BRAC, Galleria Nazionale, Roma (Ilaria Piccioni, pp.34/35) Buren & Kapoor, Galleria Continua, San Gimignano (Rita Olivieri, pp.36/38) Eliseo Mattiacci, Forte di Belvedere, Firenze (Luca Sposato, p.39) Keith Sonnier, Galleria Fumagalli, Milano (Stefano Taccone, pp.40/41) Alan Charlton, Arte Invernizzi, Milano (Duccio Nobili p.42) Lesley Foxcroft, Grazia Varisco, Villa Pisani, Lonigo (Angela Faravelli, p.43) Alik Cavaliere, Palazzo Reale, Milano (Angela Faravelli, p.44) Mauro Staccioli, Terme di Caracalla, Roma (Duccio Nobili, p.44) Pino Pinelli, Palazzo Reale e sedi varie, Milano (Angela Faravelli, p.45) Agostino Bonalumi, Palazzo Reale e sedi varie, Milano (Angela Faravelli pag 46) Herman de Vries, Cortesi Gallery, Milano (Angela Faravelli pag 46) Bianco – Valente Palazzo Branciforte, Palermo (Serena Ribaudo pag.47) Gong Hao – Ierimonti Gallery, New York (Mila Tenaglia pag 47) Paolo Bini, Museo Riso, Palermo (M. Letizia Paiato, pp.48/49) Starting from the Desert, Biennale d’Arte di Yichuan (Antonella Marino, pag.50) Cotani, Marchegiani, Mazzucconi, Zappettini, Galleria Marella Lugano (L.S. Pag 51) La Sfinge Nera, Galleria Primae Noctis, Lugano (L.S. Pag 51) Collezione Cattelani, Fondazione Campori , Soliera (Mo) (M. Letizia Paiato pp.52/53) Tomas Rajlich, ABC Arte, Genova (M.Letizia Paiato p.54) Francesco Lauretta, Galleria Bonelli, Milano (Serena Ribaudo, p.54) Mimmo Germanà, Fondazione La Malfa, Catania (Maila Buglioni, p.55) La Città provvisoria, Spazio Murat, Bari (Pietro Marino, p.55) Body of Light, Luca Tommasi, Milano (Alice Ioffrida, p.56) Francesco De Grandi, Rizzuto Gallery, Palermo (Serena Ribaudo, p.56) Steven Pippin, Galleria Astuni, Bologna (Lucia Lamberti, p.57) Gaetano Pesce, Palazzo della Ragione, Padova (Cecilia Paccaniello, p.57) Giulio De Mitri, Museo Archeologico, Bari (Maria Vinella, pp.58/59) Premio Vasto, Palazzo Aragona, Vasto Omaggio a Palizzi, Palazzo d’Avalos , Vasto (Lucia Spadano p.60) Premio Michetti, MuMi Francavilla al Mare (M .Letizia Paiato p.60) Fabio Mauri/Matteo Fato, Fondazione Menegaz, Castelbasso (Te) (M.Letizia Paiato p.61) Goldschmied & Chiari, Galleria Doppelganger, Bari (Maria Vinella p.62) Alessandro Giampaoli, Museo Archeologico di Genga (An), M.Letizia Paiato p.62 Enzo Cannaviello, 50 anni di attività (M.Letizia Paiato p.63)
Ivan Barlafante [67]
news e calendario eventi su www.rivistasegno.eu
o documentazioni 28/63 Attività espositive/ Recensioni
Franco Summa [68]
libri 64/73 Arte & Letteratura/ Installazioni, e cataloghi Alvin Curran, Intervista per installazione sonora (Paolo Balmas pp.64/65) Ivan Barlafante, Opera per Villa Novella, Rapallo (Ge), (Paolo Balmas p.67) Franco Summa, Installazioni opere a Pescara (Sibilla Panerai pp.68/69) Salvatore Giunta, Libro d’artista (Francesca Tuscano pp-70/71) Wopart, Lugano. Opere storiche in carta e fotografia (Luca Sposato p.72) Libri e cataloghi, a cura di M.Letizia Paiato p.72/73)
segno
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Collaboratori e Corrispondenti dell’associazione culturale Segno: Raffaella Barbato, Milena Becci, Francesca Cammarata, Simona Caramia, Viana Conti, Marilena Di Tursi, Angela Faravelli, Antonella Marino, Duccio Nobili, Rita Olivieri, Dario Orfée La Mendola, Ilaria Piccioni, Gabriele Perretta, Serena Ribaudo, Carla Rossetti, Gabriella Serusi, Luca Sposato, Stefano Taccone, Maria Vinella.
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periodico internazionale di arte contemporanea Direzione e redazione Corso Manthonè, 57 65127 Pescara
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>anteprima< BOLOGNA
FONDAZIONE MAST
Pendulum occasione dei 5 anni di apertura del Centro culturale multiquesta esposizione presenta una selezione di opere Idallanfunzionale, collezione della Fondazione, fotografie e immagini in movimento sui temi dell’industria e del lavoro. La mostra, a cura di Urs Sthael, è allestita negli spazi espositivi della PhotoGallery e si compone di oltre 250 immagini storiche e contemporanee, realizzate da 65 artisti internazionali, a mostrare la genialità e l’energia che negli ultimi due secoli hanno spinto gli uomini a progettare mezzi e infrastrutture per muovere merci, persone e dati. Una riflessione, a più voci, sul tema della velocità che caratterizza l’attuale società globale dove il pendolo simboleggia il moto perenne del mondo e dei suoi abitanti nello spazio e nel tempo. Spiega il curatore: “Da decenni si continua ad aumentare il ritmo e la velocità, [...] Il solo fenomeno che ci spinge a rallentare il passo è quello delle migrazioni. Le uniche barriere esistenti sono quelle che frenano i perdenti locali e globali della modernità”. Tra gli artisti presenti: Rémy Markowitsch, Robert Doisneau, Edgar Martins, Ugo Mulas, Luciano Rigolini, Ulrich Gebert, Xavier Ribas, Sonja Braas, Annica Karlsson Rixon, Yto Barrada, Helen Levitt, David Goldblatt, Jacqueline Hassink, Richard Mosse. Fino al 13 gennaio 2019.
Mimmo Jodice, Napoli, Manifestazione a Piazza Garibaldi, 1967 stampa ai sali d’argento, cm.19,3x29, courtesy l’artista Rudolf Holtappel, Condotto di gas d’altoforno (Regione della Ruhr), 1958-1962 stampa ai sali d’argento, cm.34,5x34, courtesy Estate of Rudolf Holtappel
Mario Merz, Igloos, 2018, Pirelli Hangar Bicocca, Milano
MILANO
PIRELLI HANGAR BICOCCA
Mario Merz gloos è il titolo del progetto espositivo curato da Vicente Todolí in collaborazione con la Fondazione Merz, dedicaItoearealizzato tutto tondo alla figura di Merz (1925-2003), artista tra i più
rilevanti e riconoscibili del secondo Novecento. In mostra il corpus delle sue opere più iconiche, gli igloo. Tra le navate di Pirelli HangarBicocca, il visitatore si trova proiettato al centro di una costellazione di queste oltre trenta opere di grandi dimensioni, un paesaggio inedito dal forte impatto visivo. Gli igloo, visivamente riconducibili alle primordiali abitazioni, diventano l’archetipo dei luoghi abitati, del mondo, e la metafora delle diverse relazioni tra interno ed esterno, tra spazio fisico e spazio concettuale, tra individualità e collettività. Grande la varietà materica, dall’argilla al vetro, alle pietre, iuta, acciaio, spesso appoggiati o incastrati tra loro in modo instabile, ma anche dall’uso di elementi e scritte al neon. Dal 25 ottobre al 24 febbraio 2019.
ROMA
SPAZIO EXTRA MAXXI
Work in progress econda tappa della mostra itinerante La collezione San Patrignano. WORK IN PROGRESS, raccolta di opere contempoS ranee donate alla Comunità di recupero nel 40° anno dalla sua
fondazione da collezionisti, gallerie e artisti. Partita lo scorso marzo dalla Triennale di Milano, la collezione giunge ora a Roma e approderà definitivamente nel nascente museo di Rimini nel 2019. In mostra un’ampia selezione dell’intera raccolta, con opere di Vanessa Beecroft, Alessandro Busci, Giorgio Griffa, Agnes Martin, Davide Monaldi, Yan Pei Ming, Michelangelo Pistoletto, Julian Schnabel, Sandro Chia, Enzo Cucchi, con alcuni lavori non precedentemente esposti in Triennale, tra cui una nuova opera prestata da Silvio Wolf. Accompagna l’evento un catalogo che raccoglie testi di Letizia Moratti, Andrea Gnassi, Giovanna Melandri e una breve introduzione del critico d’arte, pittore e filosofo Gillo Dorfles. Yan Pei Ming, Vincenzo Muccioli, collezione San Patrignano
ROMA
CHIOSTRO DEL BRAMANTE
Dream ltimo capitolo di una trilogia espositiva sull’uomo, curata da Danilo Eccher, dopo Love ed Enjoy è il momento di DreU am, collettiva in cui magia, utopia, essenza, incanto e desideri
prendono forma e sostanza di una mostra. Sogno come chiave di lettura per accedere ai “vasti e profondi territori dell’anima”, per usare le parole del curatore. Si parla di sogno, ma con la specifica declinazione del viaggio, attraverso le opere di 20 grandi artisti: Jaume Plensa, Anselm Kiefer, Mario Merz, Giovanni Anselmo, Christian Boltanski, Doris Salcedo, Henrik Håkansson, Wolfgang Laib, Claudio Costa, Kate MccGwire, Anish Kapoor, Tsuyoshi Tane, Ryoji Ikeda, Bill Viola, Alexandra Kehayoglou, Peter Kogler, Luigi Ontani, Ettore Spalletti, Tatsuo Miyajima, James Turrell. Fino al 5 maggio 2019. 4 - segno 269 | SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018
>news istituzioni e gallerie< BOLZANO
LIVORNO
Nasce la Fondazione Antonio Dalle Nogare, nuova istituzione privata nella geografia internazionale dell¹arte, voluta dal collezionista e fondatore Antonio Dalle Nogare come spazio per leggere i cambiamenti della società attraverso i linguaggi del contemporaneo. Mostra inaugurale è una personale dell’artista libanese Rayyane Tabet dal titolo Fault line, a cura di Vincenzo de Bellis.
La Galleria Peccolo presenta l’opera del pittore, poeta, saggista, traduttore di poeti francesi di avanguardia, scomparso nel 1999. Firmatario del manifesto della Nuova Scrittura, nel 1975, attivo presso lo spazio milanese Mercato del Sale, Accame incentra il proprio rapporto con l’arte tra vari tipi di segno, dando vita a originali connessioni tra immagini e parole. Dal 2017 è costituito il Fondo Vincenzo Accame presso l’Università Cattolica di Milano, attivo non solo a preservarne la memoria, ma anche a valorizzarne la ricerca, di cui questa stessa mostra rappresenta un parziale spaccato. In catalogo un significativo saggio di Flavio Ermini; un riepilogo sull’opera e la vita a cura di Sandro Ricaldone e una cronistoria degli eventi e dei protagonisti della Nuova Scrittura redatto da Giorgio Zanchetti.
Rayyane Tabet
BOLOGNA
Eldi Veizaj
Nell’ambito delle proposte di L’Ariete Lab, prima personale dell’artista albanese con la Galleria L’Ariete dal titolo Una visione olistica dell’arte, a cura di Eleonora Frattarolo. Impegnato anche come street artist, Veizaj utilizza per la sua ricerca tecniche diverse: acquerelli su grandi tele, carte, video. Nelle sue opere, dice la curatrice, “sistemi di nessi ecologici, idee immaginali naturalmente olistiche, per cui il tutto è la somma delle parti e ogni parte contiene la memoria del tutto“. Fino al 24 ottobre.
Eldi Veizaj, Hotel Supramonte acquerello su tela, cm.190x190 courtesy galleria L’Ariete, Bologna Park Chan-Kyong, Senitel Rock at Mountain Inwang, 2009 Stampa digitale, cm.35x70, Ed. 1/3 courtesy Galleria Poggiali, Firenze
CATANZARO
Giuseppe Lo Schiavo
Il Museo MARCA propone Génesis, personale dell’artista fotografo Lo Schiavo a cura di Roberto Sottile. L’evento, che rientra nel progetto GLOCAL nell’ambito della sezione Attraversare il territorio, promosso dalla Fondazione Rocco Guglielmo, è costruito attorno a una complessa ricerca che attraverso la fotografia si pone l’obiettivo di raccontare il rapporto-legame tra uomo e natura. “Una ricerca, una connessione - scrive Sottile nel testo del catalogo edito da Silvana Editoriale - in cui l’uomo sta alla natura come la natura sta all’uomo; entità che vivono simultaneamente, nello stesso tempo e nello stesso momento perché fanno parte di quell’insieme, di quel ciclo della vita che genera creazione e diventa realizzazione e correlazione; interdipendenza che ‘procrea’ e si trasforma nell’opera della vita che determina tutti gli insiemi di quello che possiamo definire ecosistema, [...] che interagiscono e costituiscono un sistema autosufficiente e funzionale”. Fino al 17 novembre.
Vincenzo Accame
Vincenzo Accame, Il fatto, 1987 china e collage su tela, cm.80x100 courtesy Galleria Peccolo, Livorno
FIRENZE
Bradley - Chan-kyong Toderi
La Galleria Poggiali presenta la mostra Making Time a cura di Lorenzo Bruni, un inedito ma convincente trio formato dagli artisti: Slater Bradley (San Francisco, 1975), Park Chan-kyong (Seul, 1965) e Grazia Toderi (Padova, 1963). Si tratta di un progetto suddiviso in tre mostre autonome che si sviluppano nei tre differenti ambienti della galleria fiorentina, ciascuna delle quali rappresentativa di media eterogenei come fotografie, video, collage, video installazioni, disegni e interventi pittorici, peculiari degli artisti. Making Time è un dialogo inaspettato e capace di mostrare il fulcro delle indagini di ognuno di questi tre artisti internazionali, abile allo stesso tempo alla creazione di stratificazioni differenti di significato, comunque e sempre connesse alla realtà dell’opera. Specificità, realtà, senso estemporaneo della sua fruizione, osservazione, relazione, attualità, presente, mondo digitale e post-ideologico, movimento, pubblico, ma anche superficialità dell’immagine sono solo alcuni dei temi toccati in questa mostra capace di sorprendere anche i più scettici. Fino al 15 dicembre 2018.
GENOVA - CUNEO - SAVONA
Agenore Fabbri
Tripla esposizione dedicata alla personalità e all’opera di un Fabbri, organizzata in sinergia dagli spazi espositivi Art Gallery La Luna, a Borgo San Dalmazzo (cn), Galleria Entr’Act, a Genova, e Centro Cultura Arte Contemporanea Balestrini, ad Albissola Marina (sv). La passione della materia analizza l’intero corpus della sua opera, dalle prime realizzazioni degli anni ‘40, fino alle testimonianze degli anni ‘90. Spiega il curatore Riccardo Zelatore, “il progetto vuole illustrare le differenti tematiche affrontate dall’artista, dagli emblemi indiscussi della sua poetica e della sua ricerca figurativa agli esiti aniconici e ai soggetti più originali del suo repertorio espressivo, rivelando anche quegli aspetti nascosti che non coincidono necessariamente con i suoi motivi più celebri”. Fino al 13 gennaio 2019.
MILANO
Da Boccioni a Rotella ai Contemporanei
La Fondazione Stelline in occasione di Novecento Italiano promosso dal Comune di Milano, presenta la mostra Contributi al Novecento. Da Boccioni a Rotella ai contemporanei, a cura di Bruno Corà e Tonino Sicoli, per presentare al pubblico la collezione del XX secolo del MAON - Museo dell’arte dell’Otto e Novecento di Rende (cs). Il percorso espositivo segue un serrato e puntuale ordine cronologico: 35 le opere selezionate per il loro valoro documentativo e rappresentativo del periodo. Pezzo di punta della raccolta è un dipinto prefuturista di Umberto Boccioni: Paesaggio marino con alberi, scoperto in una collezione romana, e in seguito collegato a diversi lavori della collezione Chiattone di Lugano, tutti eseguiti attorno al 1908. Spicca poi Mimmo Rotella, figura di collegamento fra il Dadaismo e la Pop Art, iconico artista degli “strappi”. Due le sezioni temporali: 1900-1945 / Le Avanguardie Storiche e il Novecento Italiano; e 1945-2000 / Il Dopoguerra e le Nuove Tendenze, a puntare l’attenzione sui collegamenti con il clima generale, con le linee della ricerca e i riferimenti storico-linguistici di ampia portata.
Claudio Verna
La Cardi Gallery presenta una mostra con opere storiche e recenti di Verna a cura di Piero Tomassoni. L’artista, figura di riferimento della “Pittura analitica” o “PitturaPittura”, approda a Milano dopo la grande retrospettiva tenutasi a Londra all’inizio di quest’anno. 11 i dipinti esposti, inerenti un arco temporale che va dal 1967 al 2016, che illustrano il magistrale uso del bianco da parte del “maestro del colore”: bianco non come pigmento neutro o simbolo di spazio vuoto, ma colore che raccoglie in sé tutte le altre tonalità, così il nero dei suoi ‘quadri neri’, lascia che il colore riemerga da feritoie che si aprono sulle stratificazioni cromatiche dello spazio profondo della tela scura. Fino al 20 dicembre 2018. Claudio Verna, courtesy Cardi Gallery Milano
SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018 | 269 segno - 5
>anteprima< Manfredi Beninati
Nella sede milanese della Galleria Poggiali, Se questo è un sabato, prima personale dell’artista palermitano noto per le sue opere pittoriche. Il progetto site-specific, oltre ai lavori bidimensionali su tela e su carta, è connotato dalla presenza di un’istallazione ambientale. Questo progetto prende le mosse dal secondo dei due film che l’artista ha girato all’interno di un appartamento Liberty a Palermo durante Manifesta. La project room di Foro Buonaparte 52 ospita dunque un lavoro legato a tutta la produzione precedente di Beninati: un’istallazione non praticabile, visibile dalla strada o da un corridoio sottile dentro la galleria. L’interfaccia della vetrina permette all’artista di associare bidimensionalità e tridimensionalità così da poter costruire punti di vista variabili e via via sempre più sorprendenti al tempo stesso per sé e per lo spettatore. Fino al 14 dicembre 2018.
Manfredi Beninati, Senza titolo, 2018, olio su tela courtesy Galleria Poggiali, Milano Wolfram Ullrich, Lage im Raum, 2018 acrilico su acciaio, cm.170x348x8 courtesy Galleria Dep Art, Milano
De Marchi - Magrin
Nella cornice di Villa Brentano, a Busto Garolfo, doppia personale dal titolo Coincidenze. Protagonisti Cristiana De Marchi e Alberto Magrin, la cui doppia visuale intende sviluppare punti di vista convergenti su tematiche attuali. Un focus che spazia su culture differenti, guidandoci in un dialogo continuo, quasi un filo sottile che indica una via da seguire. “Interculturalità” e “dialogo” sono le parole d’ordine, che pongono una sfida, e vengono affrontate direttamente nella performance Eterne Sincronie. Fino al 21 ottobre.
ROMA
Catania-Palmieri-Sanna
Al Mattatoio la mostra La luce diversa, vede protagonisti gli artisti Lucilla Catania, Claudio Palmieri, Sandro Sanna, a cura di Anna Imponente. Si tratta di progetto espositivo nato dalla riflessione, condivisa dai tre artisti romani, sull’elemento “luce” e sul rapporto che quest’ultimo intrattiene con la materia. dell’universo naturale. Il trinomio Luce-materia-natura è quindi la chiave di lettura e il fondamento del progetto espositivo che in Catania è la sintesi tra forma-materia, in Palmieri il mutuare del suo linguaggio dall’universo vegetale in forme fitomorfe e antropomorfe, in Sanna la potente struttura architettonica che domina la materia. La mostra La luce diversa è corredata da un catalogo, Campisano Editore.
La luce diversa, Mattatoio, Roma, 2018 Simone Marini, Nuove direzioni, 2018 courtesy Galleria Piomonti Artecontemporanea, Roma
Simone Marini Wolfram Ullrich
Puro colore, pura forma è il tiolo della mostra, curata da Matteo Galbiati, allestita negli spazi della Galleria Dep Art, prima monografica in Italia dedicata all’artista tedesco. Una ventina i lavori esposti in acrilico su acciaio, appositamente realizzati per l’occasione. Ullrich svela il proprio muoversi intorno a un fare astratto-geometrico dove, le opere tridimensionali sono il frutto di un assemblaggio di segmenti in acciaio preparati in modo che l’acrilico, che viene applicato per velature successive, vi si possa fissare. Il lavoro, caratterizzato dall’uso piatto del colore, entra in relazione sia con l’occhio dello spettatore, sia con lo spazio, dando origine ad inediti movimenti tanto reali quanto mentali. A Novembre la mostra è ospitata al Museo MARCA di Catanzaro. 6 - segno 269 | SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018
La galleria Piomonti Artecontemporanea presenta una personale di Marini dal titolo Nuove direzioni, arricchita da un testo di Achille Bonito Oliva, uno scritto di Miltos Manetas e pensieri liberi di Simone Marini e Pio Monti. In mostra nuove opere dell’artista il cui intento non è quello di inneggiare ai social, ma prendere coscienza del grande potere che internet esercita nell’odierna società. Conoscere e non sottovalutare il mezzo aiuta a (eventualmente) dominarlo. 10 sculture, targhe e cartelli stradali pensati come possibili nuove intestazioni di strade delle città metropolitane, da Via Facebook a Piazza Twitter, passando magari per Via Instagram. “L’uso scultoreo di tale segnaletica evidenzia una tradizione duchampiana, con la differenza che nel nostro caso non c’è alcun object trouvée, piuttosto la costruzione e messa in evidenza di una realtà probabilmente e cinicamente rimossa”, Achille Bonito Oliva.
Toru Hamada, T-17-32, 2017 tecnica mista su carta su tela, cm.150x150 courtesy Romberg Arte Contemporanea, Latina
SPOLETO
Toru Hamada
A Palazzo Collicola Arti Visive è di scena la mostra La disciplina del dubbio costante di Toru Hamada, a cura di Gianluca Marziani e Italo Bergantini, realizzata in collaborazione con Romberg Contemporanea. L’artista giapponese porta in Italia la propria ricerca, ascrivibile ad uno stato dell’essere tipicamente nipponico, che privilegia il silenzio atmosferico, la fermezza dello sguardo, la disciplina tra corpo e spirito. Al contempo, si avverte la seconda patria dell’artista, l’Europa, prima a Pietrasanta e poi nella campagna francese di Saint-Lubin-de-la-Haye, luoghi di solida cultura che hanno accolto l’uomo e l’artista. Un incontro, pertanto, nel cuore di una Spoleto che da sempre concepisce l’armonia tra mondi lontani. Hamada, durante l’estate 2018, ha posizionato una scultura davanti al Teatro Nuovo, di fronte al primo palcoscenico nella città del Festival dei Due Mondi; collocazione simbolica che esalta l’anima stessa dell’opera. Oggi dentro Palazzo Collicola Arti Visive, si distendono le opere pittoriche di un viaggio umano e artistico, verso le direzioni del possibile e del plausibile, nel cuore armonico di un’orchestra cromatica. Fino al 24 febbraio 2019.
TORINO
Gotico Industriale
Al Castello di Rivara, a cura di Fabio Vito Lacertosa, è di scena una mostra che mette in evidenza due generazioni di artisti che hanno lavorato a Torino dagli anni ‘80 ad oggi, secondo una doppia e originale dicitura, quella del Gotico da una parte, che evidenzia una sorta di stato di ebbrezza e orrore di essere altro dal progresso, e quella dell’Industriale dall’altra, da intendersi nel senso di “nativo industriale”, ovvero una vita mediata (se non immersa) dai “ritmi” operai. Una vita, tuttavia, cui si accompagna anche l’idea di “post” industriale secondo la percezione di un futuro sempre meno strutturato intorno nel quale le opere degli artisti in mostra sono inevitabilmente immersi. La riflessione prende le mosse dalla dismissione del cosiddetto modello fordista e dalla perdita di centralità della catena produttiva, che per la città di Torino significa assenza della Fiat. Teoricamente inattuali gli artisti di questo Gotico Industriale, essi rappresentano una sorta di “crudele” riappropriazione della figurazione, mettendosi così al centro di una ribellione in cui la figura umana e le sue deviazioni, assumono i connotati di umanesimo dolente e contrariato. In mostra fino al 2 dicembre 2018 opere di: Paolo Grassino, Enrico Iuliano, Adriano Campisi, Salvatore Astore, Sergio Ragalzi, Carlo D’Oria, Francesco Sena, Domenico Borrelli, Ferdi Giardini, Paolo Leonardo, Nicus Lucà, Maura Banfo, Luigi Stoisa.
>news istituzioni e gallerie< 100% ITALIA
Il Museo Ettore Fico promuove, tra Torino, Biella e Vercelli, una ricognizione sull’ultimo secolo di arte italiana attraverso capisaldi della cultura internazionale. 100%Italia ha collaborato con collezionisti, musei, fondazioni, gallerie pubbliche e private, sotto la curatela di Andrea Busto e la collaborazione di importanti studiosi. A occuparsi di Primo al Secondo Futurismo è Luigi Sansone, a parlare di Realismo Magico e di Novecento è Elena Pontiggia. Sull’Informale, Pittura Analitica e Astrazione c’è lo sguardo di Claudio Cerritelli, sulla Pop quello di Lorenzo Canova, sull’Arte Povera, Optical, Concettuale e Minimalismo quello di Marco Meneguzzo, infine su Transavanguardia e Nuova figurazione quello di Luca Beatrice, con un capitolo dedicato all’Internazionalità a cura di Giorgio Verzotti. Fino al 10 febbraio 2019.
Plartwo
Il Plart raddoppia, annunciata la nascita della sede torinese della fondazione partenopea di design della plastica. L’ubicazione è accanto al Museo Fico, per creare un nuovo forte polo culturale. L’apertura è attesa tra un anno, nel frattempo lo spazio, che è un work in progress a cura dell’architetto Alex Cepernich, ha ospitato la quarta edizione del TOdays festival.
TREVISO
RE.USE
Al Museo Santa Caterina - Sala Ipogea e Ala Foffano, Museo Casa Robegan, Ca’ dei Ricchi - Piano Nobile, RE.USE. Scarti, oggetti, ecologia nell’arte contemporanea, a cura di Valerio Dehò. Composta da 87 opere di 58 artisti internazionali, la mostra è dislocata in tre spazi espositivi. Opere di Marcel Duchamp, Manzoni, Pistoletto, Burri, Rotella, Cragg, Christo e Hirst, tra gli altri, documentano il rapporto che l’arte ha con gli oggetti d’uso comune e con gli scarti. Un vero viaggio per ammirare nascita, evoluzione e lo stato attuale del concetto di riutilizzo con finalità etica ed estetica nel mondo dell’arte. Le mostre, concepite con un ordine diacronico e sincronico, partono da un capitolo intitolato Duchamp, Man Ray, Alberto Burri, Piero Manzoni e altri; prosegue con Gli Anni Sessanta: Il Nuovo Realismo Francese e si chiude con Dagli anni ’80 ad oggi. Fino al 10 febbraio 2019. Giovanni Albanese, Professionista, 2012 ferro legno e luce stroboscopica, cm.165x167x61 foto Simon D’exèa
NEWS IN BREVE *Thomas Schütte Tucci Russo Studio, Torino
*Irina Razumovskaya, Inner Geometry Officine Saffi, Milano *Allison Katz, Period Giò Marconi, Milano *John Armleder Più le cose cambiano, più rimangono le stesse Museion, Bolzano *Vadim Fishkin, A little big bang Loom Gallery, Milano *Stephen Rosenthal Works on canvas and paper Galleria P420 Bologna *Paolo Masi, Qui A cura di Valentina Gensini Le Murate e Frittelli Arte, Firenze *Nanni Valentini, La terra, il luogo A cura di Flaminio Gualdoni Galleria Monopoli, Milano *Siegfried Anzinger, Works on paper A cura di S.Castelli Galleria Interno 18, Cremona *Mimmo Germanà, retrospettiva Fondazione Lo Verde La Malfa San Giovanni La Punta (ct) *Irene Balla, Nicola Caredda, Roberto Fanari, Paolo Pibi, collettiva Museo d’arte Ortiz Echague, Atzaro (nu)
>news istituzioni e gallerie< AMSTERDAM
Stedelijk Museum
Mentre si avvia a conclusione Fragile Beauty, grande ricognizione sull'opera di Günther Förg (1952-2013), si profila un ricco programma autunnale che parte dalla mostra Earth di Metahaven, prima occasione museale per il duo olandese composto da Vinca Kruk e Daniel van der Velden, occasione per presentare la nuova installazione video Eurasia (Questions on Happiness). Dal 6 ottobre al 24 febbraio 2019. Prima retrospettiva museale per Lily van der Stokker, dal titolo Friendly Good, che raccoglie tele e dipinti murali a partire dalla fine degli anni ‘80. Il linguaggio visivo dell’artista, fatto di fiori, nuvole e svolazzi, solleva la questione di cosa consideriamo tipicamente femminile. Dal 27 ottobre al 24 febbraio 2019. Sei gallerie dedicate a Spirits of the Soil, di Raquel van Haver che presenta dipinti monumentali creati per l’occasione. Le opere, “chiassose” per definizione dell’artista stessa, restituiscono colori e sensazioni della gente ai margini della società. Dal 25 novembre al 7 aprile 2019.
Balthus
La Fondation Beyeler di Riehen/Basel dedica una grande retrospettiva a Balthasar Klossowski de Rola (1908-2001), noto al mondo dell’arte come Balthus. In mostra circa 50 dipinti creati nell’arco dell’intera carriera. Fino al 1 gennaio 2019.
Bellini / Buri
LONDRA
BERLINO
Rae / Pousttchi
Alla Buchmann Galerie esposizione dei lavori recenti di Jason Martin, dal titolo Vertigo. Lo spazio Buchmann Box ospita, invece, Drawings di Tatsuo Miyajima Entrambe le mostre fino al 3 novembre.
Guggenheim Kunstmuseum Basel
Tra gli eventi in corso troviamo Fokus Andreas Gursky, dedicato a uno dei fotografi contemporanei di maggior richiamo, membro della “Scuola di Düsseldorf”. In mostra un significativo corpus di opere in possesso del Museo. Fino al 31 marzo 2019. War Games, dialogo e confronto tra Martha Rosler e Hito Steyerl sui comuni interessi nelle questioni socio-politiche. Operazione archivistica che si fa esposizione, col titolo Bestandsaufnahme (Archivio) il Museo scava nella propria videoteca alla ricerca dei più interessanti lavori video che venivano settimanalmente proiettati nei suoi spazi, tra cui lavori di Lynda Benglis, Jonathan Borofsky, Nam June Paik, Lawrence Weiner, per tracciare rotte e tendenze, dalla videoarte pura alle documentazioni di performance o di opere di Land Art. Fino al 14 aprile 2019. Molto ricca la mostra Innen Welten, che espone gli esiti più interessanti della donazione (oltre 300 opere) di Betty and Hartmut Raguse-Stauffer, collezionisti concentrati in particolare sugli espressionisti e i contemporanei impegnati nella figurazione. Opere, tra gli altri, di Nolde, Penck, Borofsky, Dumas, Trockel. Fino al 6 gennaio 2019. 8 - segno 269 | SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018
Si avvia a chiusura Heavy Metal Honey del georgiano Vajiko Chachkhiani, mentre prosegue fino al 28 ottobre The Playground Project, ricerca su come la progettazione dei parco giochi rifletta l’idea che una società ha di se stessa. Princely Painters esplora le meteoriche carriere di un gruppo di artisti che sul finire dell’800 furono chiamati “principi della pittura” per cadere rapidamente quasi nell’oblio: Frederic Lord Leighton, Hans Makart, Jan Matejko, Mihály von Munkácsy, Franz von Lenbach, Friedrich August von Kaulbach, Franz von Stuck. Fino al 27 gennaio 2019.
Christian Marclay, The Clock, 2010, video, 24 ore courtesy l’artista, White Cube, Londra Paula Cooper Gallery, New York
BILBAO
BASILEA
Bundeskunsthalle
Balthus, Therese, 1938 olio su cartone su legno, cm.100,3x81,3 The Metropolitan Museum of Art, New York
La Galerie Carzaniga propone una doppia personale. Alle sculture di Paolo Bellini, derivate in questa occasione da suggestioni derivate da paesaggi urbani, si contrappongono le vivaci tele (oli e acquerelli) di Samuel Buri, con un immaginario ristretto all’essenziale: fiori, frutta, giardini, la vista dallo studio. Fino al 20 ottobre. Lily van der Stokker, I am an artwork and I am 3 years old, 2004, courtesy Feature Inc., New York Raquel van Haver, Straat (dittico), 2015 courtesy Jack Bell Gallery, Londra
BONN
La mostra di Joana Vasconcelos, I’m Your Mirror, propone una selezione di 30 opere prodotte dal 1997. L’artista ha creato per l’occasione una nuova serie di tele e una installazione site-specific per l’atrio del Museo. Fino all’11 novembre. L’esposizione Van Gogh to Picasso: The Thannhauser Legacy propone 50 opere impressioniste, post-impressioniste e moderne tratte dalla Thannhauser Collection, di maestri come Cézanne, Degas, Manet, Picasso, van Gogh. È la prima esposizione di tali opere al di fuori di New York da quando nel ‘65 la collezione fu acquisita dal Guggenheim. Fino al 24 marzo 2019. Inaugura il 19 ottobre Alberto Giacometti. A Retrospective, che si compone di oltre 200 tra sculture, dipinti e disegni di Alberto Giacometti (1901-1966). Cuore dell’esposizione, la collezione di opere e materiali d’archivio conservati dalla Fondation Giacometti di Parigi. Dal 19 ottobre al 24 febbraio 2019. Alberto Giacometti, Il gatto (Le Chat), 1951 gesso pitturato, cm.32,8x81,3x13,5 courtesy Fondation Giacometti, París, VEGAP, Bilbao
Tate
La mostra Shape of Light. 100 years of photography and abstract art esplora la relazione tra la nascita dell’arte astratta e l’invenzione del mezzo fotografico, in un arco temporale dal primo ‘900 ai nostri giorni, dai lavori di Man Ray e Alfred Stieglitz, ai recenti esiti di Barbara Kasten e Thomas Ruff, ai lavori creati da Antony Cairns, Maya Rochat e Daisuke Yokota. Fino al 14 ottobre. Christian Marclay presenta, fino al 20 gennaio 2019, The Clock. Con la sua durata di 24 ore, l’opera è un montaggio di disparate narrative, da vivere rigorosamente in tempo reale. Sono previste 3 proiezioni complete (con apertura notturna), il 6 ottobre, il 3 novembre e il 1 dicembre. Una ricca mostra dedicata al fondamentale contributo alla ricerca d’arte e design di Anni Albers. Fin da quando, da studentessa alla scuola Bauhaus, venne scoraggiata dal seguire certi corsi, l’artista si tuffò nel laboratorio tessile e fece dell’arte tessile la sua principale forma d’espressione. Il cuore tematico ruota attorno alla pubblicazione On Weaving del 1965. Dall’11 ottobre al 27 gennaio 2019. L’annuale appuntamento con la Hyundai Commission vede questa volta protagonista, nella Turbine Hall, l’artista cubana Tania Bruguera. Fino al 24 febbraio 2019.
Eliseo Mattiacci
Alla Richard Saltoun Gallery, prima esposizione nel Regno Unito per Mattiacci. Il focus della mostra è sulla scultura Roma, realizzata nel 1980/’81 e consistente in 58 volute in alluminio che invadono l’intero spazio espositivo. Fino al 10 novembre.
Yun / Mrozowski
Simon Lee Gallery presenta una ricognizione delle opere su carta di Yun Hyongkeun. L’artista coreano esamina la connessione tra pittura e disegno attraverso una pratica profondamente connessa storia e cultura del paese natio. Nella Viewing Room, personale di Ryan Mrozowski. L’artista newyorkese espone i suoi lavori più recenti, dipinti in acrilico su lino ricchi di motivi botanici, a esplorare il tema della ripetizione e della nostra percezione dei motivi decorativi. Entrambe le mostre dal 25 ottobre al 24 novembre.
>estero< Pierre Huyghe
Grande esposizione alla Serpentine. La galleria si trasforma in un ambiente “poroso”, ospitando le forme più varie di cognizione, intelligenza emergente, riproduzione biologica e comportamento istintivo. Grandi schermi a led danno vita alle immagini che nascono nella mente umana; ogni pensiero viene materializzato, analizzato e modificato da mille fattori esterni. Fino al 10 febbraio 2019. In galleria anche Passer-by, esposizione di Atelier E.B, collaborazione tra la designer Beca Lipscombe e l’artista Lucy McKenzie. Attorno al tema centrale del “manichino” ruotano lo showroom dell’ultima collezione dell’atelier, un allestimento di materiali storici (foto e oggetti) e una serie di lavori commissionati per l’occasione agli artisti Tauba Auerbach, Anna Blessmann, Marc Camille Chaimowicz, Steff Norwood, Elizabeth Radcliffe, Bernie Reid, Markus Selg. Fino al 6 gennaio 2019.
LUGANO
Magritte How evil is Pop Art?
Al Masi, la mostra Magritte. La Ligne de vie, in collaborazione con la Fondazione Magritte, propone al pubblico 70 opere dell’artista belga, in prestito da musei internazionali e collezionisti privati. Nello Spazio 1, How Evil Is Pop Art? New European Realism 1959-1966, a cura di Tobia Bezzola, rilegge il fenomeno Pop europeo con 42 opere eseguite tra il ‘59 e il ‘66. Entrambe fino al 6 gennaio 2019.
MONACO DI BAVIERA
Pinakothek der Moderne
Tra le proposte espositive va segnalata Around Us The City, mostra fotografica con opere dalla collezione della Ann and Jürgen Wilde Foundation. Scatti che vanno dagli anni ‘20 agli anni ‘40 di Aenne Biermann, Florence Henri, Germaine Krull, Man Ray, Albert RengerPatzsch, Friedrich Seidenstücker. Fino al 27 gennaio 2019. La mostra PI, di Roni Horn, prosegue fino al 2 dicembre, mentre fino al 31 dicembre troviamo le esposizioni di Olaf Metzel, Anselm Kiefer e Himalaya Goldsteins Stube di Pipilotti Rist.
René Magritte, La Chambre d’écoute, 1958 olio su tela, courtesy Kunsthaus Zürich, Donazione Walter Haefner, 1995, Pro Litteris 2018 Max Beckmann, Siesta, 1924-1931 olio su tela, cm.35x95, collezione privata
MENDRISIO Pierre Huyghe courtesy l’artista e Serpentine Gallerie Kamitani Lab / Kyoto University e ATR Michelangelo Pistoletto, L’uomo nero, 1959 olio su tela, cm.120x120 courtesy Galleria Galatea, Torino, collezione privata
Max Beckmann
Il Museo d’arte Mendrisio dedica una antologica a una figura chiave del ‘900. La ricerca di Beckmann (1884-1950) è narrata attraverso un percorso articolato in 30 dipinti, 15 acquarelli, 80 grafiche e 3 sculture. Rara occasione di ammirare buona parte della produzione grafica, elaborata tra il 1917 e il 1925. A cura di Siegfried Gohr. Dal 28 ottobre al 27 gennaio 2019.
MADRID
Museo Reina Sofia
Michelangelo Pistoletto
Mazzoleni propone Michelangelo Pistoletto: Origins and Consequences, esauriente esposizione a cura di Alberto Fiz che ripercorre le tappe più significative, dalle figurazioni giovanili alla produzione scultorea, dalla ricca ricerca materica ai celebri specchi, di Pistoletto, in un arco temporale che spazia dal 1958 al 2012. Fino al 15 dicembre.
Common Third
La galleria Copperfield presenta Common Third, esposizione collettiva che esplora i punti di contatto tra persone che per nascita si trovano connesse, o intrappolate, all’interno di più sistemi culturali, partendal concetto di “terza cultura” e dal “terzo spazio” di Homi K. Bhabha. In mostra opere di Pio Abad, Larry Achiampong, Simeon Barclay, Shiraz Bayjoo, TingTong Chang, Holly Graham, Jasleen Kaur, Hardeep Pandhal, Hetain Patel, Alice Rekab, Susan Pui San Lok, Erika Tan, Kentaro Yamada. Fino al 26 ottobre.
Ad AFAL, collettivo fotografico operante tra il 1956 e il 1963, è dedicata la mostra An Approach to Afal con opere della donazione Autric-Tamayo. Oltre 200 scatti testimoniano la continua ricerca dei membri tra Formalismo e Documentalismo, Umanismo e sperimentazione. Fino al 7 gennaio. The Map and the Territory è la prima importante retrospettiva dell’opera di Luigi Ghirri fuori dall’Italia. Il focus è sugli anni ‘70, tra l’emergente arte concettuale e la consolidata posizione della Pop Art, da cui l’artista esce con il fondamentale libro fotografico Kodachrome (1978). A cura di James Lingwood. Fino al 7 gennaio 2019. Altre occasioni espositive: Behind the Door, Another Invisible Door dedicata a Dorothea Tanning (fino al 7 gennaio); Guilt and Debts, su alcuni dei progetti più ambiziosi dell’artista tedesco Dierk Schmidt (fino al 10 marzo); Hospice of Failed Utopias, retrospettiva sui 60 anni di carriera di Luis Camnitzer (fino al 4 marzo).
Friedrich Seidenstücker, Eisenbahnspiel, Berlin, 1949 courtesy The Ann and Jürgen Wilde Foundation, Pinakothek der Moderne, Monaco di Baviera
Il Mondo Botanico
Entrambi gli spazi della Galerie Klüser ospitano una ricca collettiva, realizzata in cooperazione con la galleria fotografica Kicken Berlin. Nella galleria principale, opere di Baechler, Beuys, Blossfeldt, Brown, Cézanne, dr. Wolff + Tritschler, Fuhrmann / Folkwang-Auriga-Verlag, Giacometti, Haramoto, Katz, Keetman, Klee, Kühn, Léger, Matisse, Metzel, Moholy-Nagy, Niiyama, Picasso, Rainer, Renger-Patzsch, Runge, Sudek. Nel secondo spazio, opere di Fuhrmann / Folkwang-Auriga-Verlag, Hanzlová, Kühn, Picasso & Villers, Schink, Twombly, Warhol. Fino al 10 novembre.
Il Mondo Botanico, veduta dell’allestimento visibile Pablo Picasso e André Villers, Diurnes, 1962 courtesy Galerie Klüser
PRINCIPATO DI MONACO
Latifa Echakhch
Luigi Ghirri, Paris, 1972, courtesy Archivio Luigi Ghirri
Negli spazi di Villa Sauber, prima della chiusura per lavori di ristrutturazione, il Nouveau Musée National de Monaco propone Le jardin mécanique della marocchina Latifa Echakhch. Ricordi dello sviluppo ottocentesco di Monte Carlo rivivono accanto alle sensazioni infantili dell’artista. Fino al 28 ottobre. SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018 | 269 segno - 9
>news istituzioni e gallerie< NEW YORK
PARIGI
Tra le proposte in programma, The Long Run rilegge i cambiamenti nella storia dell’arte concentrandosi sulla lunga serie di sperimentazioni che hanno portato alle rivoluzioni. Opere di nomi come Bourgeois, Johns, Levitt, O’Keeffe, Richter, Stella. Fino al 4 novembre. City Dreams è la prima retrospettiva negli USA dell’opera di Bodys Isek Kingelez. Dalle prime sculture con un singolo edificio fino alle spettacolari e futuristiche città della maturità. Fino al 1 gennaio 2019. Basandosi interamente su lavori della collezione del MoMA, la carriera di Costantin Brancusi è compendiata in 11 sculture, una selezione di disegni, fotografie e un ricco apparato di materiale d’archivio. Fino a febbraio 2019. Projects 195 è la prima museale newyorkese per Park McArthur, che comprende lavori su carta, un’audio guida e una struttura metallica modulare che viene riassemblata e riconfigurata nel corso dell’esposizione. Dal 27 ottobre al 16 dicembre. A oltre 3 decenni dall’ultima occasione, il MoMA dedica A Retrospective all’opera di Charles White. 100 lavori compendiano l’intera carriera di White; dipinti, disegni e stampe realizzati nei tre grandi centri in cui l’artista operò: New York, Chicago e Los Angeles. Fino al 13 gennaio 2019, in seguito la mostra muoverà al LACMA di Los Angeles fino al 9 giugno. Molto attesa la prima retrospettiva completa dei 25 anni di ricerca di Bruce Nauman: la mostra Disappearing Acts occupa l’intero sesto piano e lo spazio MoMA PS1, con disegni, stampe, fotografie, sculture al neon, performance, video e ambienti architettonici. Dal 21 ottobre al 25 febbraio.
Tra le occasioni espositive in corso al Centre Pompidou ricordiamo Histoire(s) d’une collection, rivisitazione in 120 opere della storia della collezione del Musée National d’Art Moderne, nel bicentenario del Musée des Artistes Vivants, di cui è stato erede. Fino al 7 gennaio 2019. Sempre in corso, la più completa retrospettiva di sempre su Franz West (19472012), organizzata in collaborazione con la Tate Modern di Londra, che include 200 opere tra cui disegni degli anni ‘70 raramente esibiti, le prime sculture della serie Passstücke (1973/’74), una selezione di sculture in cartapesta degli anni ‘80, nonché le Lemurenköpfe (teste di lemure), collage e disegni degli ultimi anni. Fino al 10 dicembre. Le inaugurazioni autunnali partono da The Challenge, grande retrospettiva dedicata all’architetto giapponese Tadao Ando, figura chiave nel panorama contemporaneo analizzata nei suoi principi creativi, dall’uso del cemento liscio alla predilezione per la semplicità volumetrica e l’integrazione di componenti naturali (come luce o acqua). Dal 10 ottobre al 31 dicembre. Il Centro ha deciso di celebrare e analizzare uno dei movimenti più importanti del ‘900 con la mostra Cubism (1907-1917), come non accadeva in Francia dal 1953. L’idea di base del progetto risiede nel non focalizzarsi sulle due figure chiave, Georges Braque e Pablo Picasso, fondatori del movimento, ma ampliare lo sguardo sulla nutrita schiera di seguaci che nei modi più vari hanno presto arricchito il movimento, come Fernand Léger, Juan Gris, Daniel-Henry Kahnweiler, Albert Gleizes, Jean Metzinger, Francis Picabia, Marcel Duchamp, Robert e Sonia Delaunay. 300 le opere in mostra organizzate cronologicamente in 14 sezioni. Dal 17 ottobre al 25 febbraio 2019. Per l’annuale appuntamento con il Prix Marcel Duchamp, i quattro finalisti sono stati invitati a esporre le opere presentate. A cura di Marcella Lista, i lavori di Mohamed Bourouissa, Clément Cogitore, Thu Van Tran e Marie Voignier sono in mostra dal 10 ottobre al 31 dicembre.
MoMA
Charles White, Sound of Silence, 1978 stampa di David Panosh, pubblicata da Hand Graphics, Ltd., litografia a colori su carta, cm.63,8×89,7 The Art Institute of Chicago. Margaret Fisher Fund courtesy 1978 The Charles White Archives Wong Ping, Dear, can you lend me a hand dettaglio, Solomon R. Guggenheim, New York
Guggenheim
L’istituzione newyorkese propone un interessante trittico di esposizioni. Partiamo da One Hand Clapping, mostra organizzata dalla The Robert H. N. Ho Family Foundation Chinese Art Initiative in cui Cao Fei, Duan Jianyu, Lin Yilin, Wong Ping e Samson Young esplorano le modalità in cui la globalizzazione condiziona la nostra percezione del futuro. Troviamo, poi, due mostre interlacciate tra loro: le più recenti tele di R. H. Quaytman sono proposte in + x, Chapter 34, il cui cuore tematico risiede in un confronto con il linguaggio estetico della svedese Hilma af Klint (1862-1944), protagonista a sua volta della seconda mostra dal titolo Paintings for the Future. 10 - segno 269 | SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018
Centre Pompidou
Bruce Nauman, Human Nature/Life Death/Knows Doesn’t Know, 1983, neon, cm.273,1×271,8×14,6 LACMA, Modern and Contemporary Art Council Fund. courtesy Bruce Nauman/Artists Rights Society (ARS), New York, foto Museum Associates/LACM
New Museum
Particolarmente ricca la programmazione. Già in corso troviamo The Architect, con disegni, sculture e performance di Dan Herschlein (fino al 6 gennaio); Birth Canal, prima museale per l’artista francese Marguerite Humeau (fino al 6 gennaio); Blood In My Milk, installazione audio-video della britannica Marianna Simnett, anch’ella alla prima esperienza museale (fino al 6 gennaio); The Place Of Stone è la prima negli USA del turco Aslı Çavusoglu, che propone opere realizzate appositamente (fino al 13 gennaio). Fresca di inaugurazione Au Naturel, la prima ricognizione americana dell’opera della britannica Sarah Lucas, dedicata al corpus di lavori provocatorio realizzato nell’arco di 3 decenni, che sovverte le tradizionali nozioni di genere, sessualità e identità. Fino al 20 gennaio 2019.
Marianna Simnett veduta dell’allestimento al New Museum, New York Sarah Lucas, Self-portrait with Fried Eggs, 1996 C-print, cm.152,4×121 courtesy l’artista, Sadie Coles HQ, London Gladstone Gallery, New York/Bruxelles
Ugo Rondinone
Gladstone Gallery presenta Drifting clouds, esposizione di tre distinti corpus di opere di Rondinone strettamente correlati. I suoi lavori di ampia scala rimandano direttamente alla continua esplorazione dell’artista sul romanticismo tedesco e, in particolar modo alla figura chiave di Caspar David Friedrich. Fino al 3 novembre. Ugo Rondinone, The Sun courtesy l’artista e Gladstone Gallery, New York
Franz West, Rrose (DRAMA), 2001 Collection Norvegian Telecom Renato Ranaldi, Contenzioso, 2018 tele e colore a olio, cm.187x243 courtesy Pièce unique, Parigi
Renato Ranaldi
La galleria Pièce unique presenta FUORIQUADRO, personale in cui Ranaldi ribadisce la costante attenzione all’accostamento di differenti stilemi stilistici e alla sperimentazione di tecniche e materiali, discorso che porta avanti fin dagli anni ‘60. Fino al 20 novembre.
>estero< NEWS IN BREVE *M. Harrison, It hasn’t changed: and babies? adn galeria, Barcellona *T. Senn, P. Munoz, S. Gudgeon Licht Feld Gallery, Basilea Jean-Michel Basquiat courtesy Estate of Jean-Michel Basquiat Licensed by Artestar, New York courtesy Fondation Louis Vuitton / Marc Domage
Per la sua 45a edizione, che apre al pubblico tra il 18 e il 21 ottobre, la fiera parigina torna ad animare gli spazi del Grand Palais proponendo una selezione di espositori provenienti da 25 paesi, tra cui 2 esordienti (Grecia e Perù) e importanti conferme come Hauser & Wirth (Londra, Somerset, New York, Los Angeles, Hong Kong, Zurich); Gmurzynska (Zurigo, St. Moritz); Canada (New York); Ghebaly Gallery (Los Angeles); High Art (Paris); Rodolphe Janssen (Bruxelles); Paul Kasmin (New York); Modern Art (Londra); Salon 94 (New York); Tim Van Laere (Anversa); Tucci Russo (Torino); Anne de Villepoix (Parigi). La partecipazione italiana è affidata a Alfonso Artiaco (Napoli), Cardi (Milano, Londra), Continua (San Gimignano, Beijing, Boissy-le-Châtel, Habana), Raffaella Cortese (Milano), Massimo De Carlo (Milano, Londra, Hong Kong), kaufmann repetto (Milano, New York), Magazzino (Roma), Giò Marconi (Milano), Mazzoleni (Torino, Londra), Francesca Minini (Milano), Massimo Minini (Brescia), P420 (Bologna), SpazioA (Pistoia), Tornabuoni Art (Firenze, Paris, Milano, Londra), Tucci Russo (Torino), Vistamare/ Vistamarestudio (Pescara, Milano), ZERO... (Milano). La direzione è affidata a Jennifer Flay e il comitato curatoriale comprende nomi come Olivier Antoine, Cristophe Van de Weghe, Paolo Zani, Daniel Buchholz. Per il Lafayette Sector, che dal 2009 promuove i giovani artisti con la partnership del Galeries Lafayette group, troviamo quest’anno opere di Kamilla Bischof, Paul Mpagi Sepuya, Julien Creuzet, Min Yoon, Jean-Marie Appriou, Robert Bittenbender, Maggie Lee, Riccardo Paratore, FPBJPC (collettivo), David Rappeneau, Puppies Puppies, Liz Craft. FIAC Projects presenta sculture e installazioni in situ, dislocate tra il Petit Palais, i dintorni del Grand Palais e Avenue Winston Churchill. Tra gli altri troviamo Dieter Appelt, Salvatore Arancio, Johan Creten, Bruno Gironcoli, Wolfgang Laib, Olivier Mosset, Ugo Rondinone, Thu Van Tran, Felice Varini, Haegue Yang, Rosa Barba, Gregor Hildebrandt, Pablo Reinoso, Raphaël Zarka. Altri settori in fiera sono Design e Edition. In programma il festival Parades for FIAC, dedicato alle pratiche performative, che presenta 20 performance in varie location parigine come il Palais de la découverte, il Petit Palais, il Centre Pompidou e il Grand Palais. Torna per la nona edizione il Cinéphémère che, con la curatela di Nataša Petrešin-Bachelez, propone film di artisti come Lawrence Abu Hamdan, Sophia Al Maria, Marwa Arsanios, Sammy Baloji, Ali Cherri, Emre Hüner, Kapwani Kiwanga, Vik Muniz, Uriel Orlow, Xu Tan, Koki Tanaka, Charwei Tsai, Robin Vanbesienc. Hors les Murs, infine, è un percorso che invita il pubblico a scoprire installazioni pubbliche disseminate nel tessuto urbano parigino, in alcune delle location più prestigiose, dal Jardin des Tuileries a Place Vendôme, dal musée Delacroix a Place de la Concorde.
Jean-Michel Basquiat
La Fondation Louis Vuitton dedica l’intero edificio di Frank Gehry al lavoro di Basquiat, pittore tra i più significativi del XX secolo. L’esposizione copre l’intera carriera dell’artista newyorkese, dal 1980 al 1988, focalizzandosi su 120 opere fondamentali: dalle Heads (1981/’82) riunite qui per la prima volta in assoluto, alla collaborazione con Warhol, dalle essenziali Liberals (1982), In Italian (1983), Riding with Death (1988), ai dipinti esposti raramente come Offensive Orange (1982), Untitled (Boxer) (1982), Untitled (Yellow Tar and Feathers) (1982). Fino al 14 gennaio.
Denis / Lamothe
La Galleria Alberta Pane propone, fino al 6 ottobre, Nature des profondeurs, personale di Marie Denis, artista che lavora sul tema della metamorfosi con riguardo al mondo naturale. In mostra lavori basati su un approccio “storico”, affidando l’interpretazione della natura alla... fotocopia. L’estetica di Luciana Lamothe, basata sul rapporto vitale tra corpo e architettura, tesa all’utilizzo di materiali al contempo resistenti e duttili, è progonista di Mutation, personale che raccoglie una nuova scultura e una serie di disegni che riflettono l’intenzione di trasformare la natura dei materiali di partenza. Fino al 22 dicembre.
*Ali Banisadr, The World Upside Down Blain | Southern, Berlino *Georg Baselitz, Ernst L. Kirchner Arbeiten auf Papier Galerie Henze & Ketterer, Berna *Gabriele Münter Museum Ludwig, Colonia *Caroline Achaintre, Dissolver Kunstverein, Dortmund *William Glackens, Auguste Renoir Affinities and Distinctions NSU Art Museum, Fort Lauderdale *France-Lise McGurn, 0141 Frutta, Glasgow *Collettiva, Artificial Paradise KM-Künstlerhaus, Graz *Takashi Murakami, Change the Rule! Gagosian, Hong Kong *Erika Hock, Hotel Atlantik *G. Gardner Gray, Lingener Kunstpreis Kunstverein Lingen Kunsthalle *Céline Condorelli, Zanzibar Galeria Vera Cortês, Lisbona *Sean Scully, Uninsideout Blain | Southern, Londra *Kaari Upson Massimo De Carlo, Londra *Urs Fischer, Dasha Gagosian (Davies Street), Londra *Joe Bradley, Day World Gagosian (Grosvenor Hill), Londra *Andrea Galvani, The Universal One The Ryder, Londra *Vincenzo De Cotiis, En Plein Air Carpenters Workshop Gallery, Londra
Luciana Lamothe, senza titolo (dettaglio), 2018 acciaio inossidabile, cm.180x90x280 courtesy Alberta Pane, Parigi Michelangelo Pistoletto, Metamorfosi (For Vienna), 2018 courtesy MAM, Vienna
*Mairead O’hEocha, Irises in the Well mother’s tankstation London, Londra *L. Abu Hamdan, Earwitness Theatre Chisenhale Gallery, Londra *Filip Markiewicz, Celebration Factory Casino Luxembourg, Lussemburgo *F. Meisenberg, In Flames Leaving Las Vegas Simone Subal Gallery, New York *P. Pancho, M. Perry, Y. Nagao, CB Hoyo Fantastic Planet GR Gallery, New York *Gina Proenza Centre culturel suisse, Parigi *Albert Oehlen, Sexe, Religion, Politique Gagosian, Parigi
VIENNA
*Robert Mapplethorpe, Pictures Serralves Museum, Porto
Nell’ambito della serie curated_by, quest’anno Mario Mauroner Contemporary Art propone viennaline, collettiva a cura di Lóránd Hegyi che riflette sul ruolo di Vienna sulla scena artistica europea. Opere di Kendell Geers, Michelangelo Pistoletto, Bernardí Roig, Ugo Giletta, Marien Joatton, Barthélémy Toguo, Sandra Vásquez De La Horra, Fabien Verschaere. Fino al 13 ottobre.
*M. Agureeva, It will always be not enough Galerie Isabelle Lesmeister, Regensburg
viennaline
*Valentina Stieger, Indoor Life *Renato Leotta, Eine Sandsammlung Kunst Halle Sankt Gallen, San Gallo *Alex Weinstein a few singles and one greatest hit Leslie Sacks Gallery, Santa Monica SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018 | 269 segno - 11
>news istituzioni e gallerie<
La 23ª edizione di Artecinema, Festival Internazionale di Film sull’Arte Contemporanea, a cura di Laura Trisorio, sarà inaugurata giovedì 11 ottobre 2018, alle ore 20.00, presso il Teatro San Carlo e proseguirà nei giorni 12-13-14 ottobre presso il Teatro Augusteo di Napoli, dalle ore 16 alle 24 con ingresso gratuito. Attraverso la proiezione di 25 documentari sui maggiori artisti, architetti e fotografi della scena internazionale, sarà offerta al pubblico una preziosa occasione per comprendere la poetica degli artisti, per vederli al lavoro nei loro atelier e per mostrare l’evoluzione dei linguaggi dell’arte contemporanea. Artecinema è riconosciuto in ambito internazionale come una delle manifestazioni più significative del settore e anno dopo anno continua a richiamare un pubblico sempre più numeroso. Focus di questa edizione sarà la fervente atmosfera artistica della New York degli anni Ottanta attraverso film dedicati a Jean-Michel Basquiat, Julian Schnabel, Robert Mapplethorpe e alla scena artistica di due metropoli come Berlino e Johannesburg.
PROGRAMMA E SINOSSI DEI FILM
Il programma completo della manifestazione disponibile su artecinema.com.
arte e dintorni
SOUNDINGS 2018 LUCIA ROMUALDI & FRANCESCO DE GREGORI
Paolo Pittoni, Lucia Romualdi, Italia, 2018, 8’ (anteprima mondiale) Soundings 2018 è un lavoro sul concetto di lontananza che indica percorsi visivi e sonori sulle note di Cardiologia, la canzone che Francesco De Gregori rivisita e ritrascrive in dialogo con le “partiture di luce” dell’artista Lucia Romualdi. arte e dintorni
BASQUIAT: RAGE TO RICHES
David Shulman, Stati Uniti, Svizzera, 2017, 89’, inglese (anteprima italiana) Il film racconta la storia di Jean-Michel Basquiat attraverso interviste esclusive alle sue sorelle Lisane e Jeanine, ai suoi amici più intimi, ai suoi amanti, e agli artisti e galleristi che lo hanno frequentato, introducendoci nella fervente atmosfera artistica newyorkese degli anni Ottanta.
Soundings 2018, Lucia Romualdi e Francesco De Gregori Basquiat, Rage to Riches. CREDIT BBC & Yutaka Sakano
ART21 - Barbara Kruger ART21 - Julie Mehretu
12 - segno 269 | SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018
>news istituzioni e gallerie<
Le Louvre Abu Dhabi
ART21 Berlin - Nathalie Djurberg ART21 - Berlin - Olafur Eliasson
architettura
LE LOUVRE ABU DHABI, CRÉATION D’UN MUSÉE UNIVERSEL
Patrick Ladoucette, Francia, 2017, 53’, francese (anteprima italiana) All’incrocio tra Occidente e Medioriente, la costruzione del Louvre di Abu Dhabi, progettata da Jean Nouvel per un clima desertico, è un’avventura architettonica tra tradizione e modernità. arte e dintorni
FRIDA KAHLO, DIEGO RIVERA UNE PASSION DÉVORANTE
Catherine Aventurier, Francia, 2017, 53’, francese (anteprima italiana) Il documentario esplora l’affascinante storia di Frida Kahlo e Diego Rivera e ci mostra come questo incontro passionale e professionale, abbia rivoluzionato un intero paese. arte e dintorni
LAWRENCE CARROLL FINDING A PLACE
Simona Ostinelli, Svizzera, 2018, 53’, italiano, inglese (anteprima mondiale) Lawrence Carroll, grande interprete del monocromo, da oltre trent’anni porta avanti la sua ricerca con profonda coerenza e dedizione. Il film lo segue a New York, nel suo studio di Bolsena e in Svizzera mentre prepara una retrospettiva al Museo Vincenzo Vela di Ligornetto. arte e dintorni
CASTING
Maurizio Finotto, Italia, 2012, 10’, animazione Le opere dell’artista bolognese Sissi prendono vita in questa ani-
mazione stop motion di Maurizio Finotto. Il video narra la nascita di una famiglia di dieci Aspiranti Aspiratori: dieci potenziali personaggi creati dall’artista Sissi che aspirano a diventare purificatori. arte e dintorni
ART21 BARBARA KRUGER, JULIE MEHRETU
Ian Forster, Stati Uniti, 2018, 17’, inglese (anteprima europea) Barbara Kruger utilizza immagini prese dalla pubblicità a cui aggiunge testi per farci riflettere su temi politici e sociali. Julie Mehretu sovverte la storia della pittura paesaggistica americana rappresentando realtà immaginarie nelle quali riconosciamo i tratti di paesaggi urbani contemporanei. arte e dintorni
THE HIDDEN FACE OF AMERICAN ART
François Lévy-Kuentz, Francia, 2017, 54’, inglese (anteprima italiana) Alla fine della Seconda guerra mondiale centinaia di artisti europei in fuga dal nazismo si rifugiarono a New York. In questo contesto una nuova generazione di artisti, fra cui Pollock, Rothko, de Kooning, emerse sotto la bandiera comune dell’Espressionismo astratto. arte e dintorni
The Hidden Face ofAmerica Art
ART21 - BERLIN: NATHALIE DJURBERG & HANS BERG, OLAFUR ELIASSON, HIWA K, SUSAN PHILIPSZ
Rafael Salazar, Ava Wiland, Stati Uniti, 2018, 56’, inglese (anteprima europea) Fin dagli anni Novanta Berlino ha accolto artisti provenienti da ogni parte del mondo. Questo film esplora il lavoro di alcuni dei più noti artisti stabilitisi nella città tedesca: Nathalie Djurberg & Hans Berg, Olafur Eliasson, Hiwa K, Susan Philipsz. fotografia
MAPPLETHORPE LOOK AT THE PICTURES
Frida Kahlo, Diego Rivera, une passion dévorante Lawrence Carroll, Finding a Place
Fenton Bailey, Randy Barbato, Stati Uniti, Germania, 2016, 108’, inglese, sottotitoli in italiano Le testimonianze di amici, modelle, familiari, collaboratori e quella speciale di Patti Smith, si intrecciano a interviste nelle quali Robert Mapplethorpe racconta la sua vita.
Mapplethorpe - Look at the Pictures. CREDIT (C) Robert Mapplethorpe Foundation. Used by permission.
SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018 | 269 segno - 13
>news istituzioni e gallerie< arte e dintorni
JAAR LAMENT OF THE IMAGES
Paula Rodríguez Sickert, Cile, 2017, 77’, spagnolo, inglese (anteprima italiana) Il film mostra il processo creativo di Alfredo Jaar e ripercorre alcune delle sue principali mostre in Finlandia, a Venezia, a Buenos Aires, a Santiago del Cile e a New York. La colonna sonora del film è opera di suo figlio Nicolas Jaar, uno dei musicisti più influenti nel mondo dell’elettronica.
Jaar, Lament of the Images.
arte e dintorni
TERRES BARCELÓ
Christian Tran, Francia, 2017, 75’, francese (anteprima italiana) Due grandi mostre di Miquel Barceló alla Biblioteca Nazionale di Francia e al Museo Picasso di Parigi, ci offrono l’opportunità di approfondire il suo lavoro. Le sue opere imponenti ed effimere sono realizzate con la terra in tutte le sue forme. arte e dintorni
THE TRIUMPHS AND LAMENTS OF WILLIAM KENTRIDGE
Terres Barcelò. The Triumphs and Laments of William Kentridge.
Adam Low, Regno Unito, 2017, 63’, inglese (anteprima europea) Seguiamo l’artista sudafricano William Kentridge a Roma mentre prepara il grande fregio lungo le sponde del Tevere e a Johannesburg, sua città natale e fonte di ispirazione. Cresciuto durante l’apartheid, la sua arte riflette la turbolenta storia politica del Sudafrica. arte e dintorni
MAURIZIO CATTELAN BE RIGHT BACK
Maura Axelrod, Stati Uniti, 2016, 90’, inglese, sottotitoli in italiano A partire dalla fine degli anni Ottanta e nel corso della sua ventennale produzione, Maurizio Cattelan ha sconvolto il mondo dell’arte contemporanea e ha continuato a provocare e ispirare fino alla sua ultima mostra al Guggenheim Museum di New York nel 2011. arte e dintorni
L’ARTE VIVA DI JULIAN SCHNABEL
Pappi Corsicato, Italia, 2017, 84’, inglese, sottotitoli in italiano Il documentario ci racconta la storia personale e la carriera del celebre artista e regista Julian Schnabel, dagli esordi della sua vita professionale, nella New York City di fine anni Settanta fino al raggiungimento dello status di superstar.
architettura
MÉDIACITÉ, LA GALERIE MARCHANDE D’UN DESIGNER
Juliette Garcias, Francia, 2016, 26’, francese (anteprima italiana) La Médiacité è un enorme centro commerciale con una copertura lunga oltre 350 metri, costruito nel 2009 a Liegi per rivitalizzare una vecchia zona industriale in dismissione. Progettato dal designer israeliano Ron Arad, l’edificio rivoluziona le tipologie stereotipate dell’architettura commerciale. arte e dintorni
ONE MINUTE ART HISTORY
Cao Shu, Cina, 2015, 1’ 27’’, animazione In questa animazione il regista Cao Shu ha rappresentato l’intera storia dell’arte in un minuto. arte e dintorni
LE FAUSSAIRE DE VERMEER
Frédéric Tonolli, Francia, 2017, 53’, francese (anteprima italiana) Han Van Meegeren è stato uno dei più grandi contraffattori di tutti i tempi. Durante la Seconda guerra mondiale riuscì a vendere per cifre altissime i suoi falsi Vermeer. Raggirò numerosi direttori di musei e collezionisti privati, compreso il Maresciallo del Reich Hermann Goering. arte e dintorni
Maurizio Cattelan - Be Right Back L’arte viva di Julian Schnabel
LUNE GIANCARLO NERI
Duccio Brunetti, Italia, 2018, 7’ (anteprima mondiale) Lune è il racconto dell’installazione luminosa composta da sessanta lune disseminate nel centro storico di Spoleto realizzate da Giancarlo Neri nel 2017 per celebrare i sessant’anni del Festival dei Due Mondi.
Francesco Arena, Linea di 18,53 Km.
14 - segno 269 | SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018
>news istituzioni e gallerie<
One Minute Art History
Renato Mambor Civilisations - The Vital Spark.
fotografia
ART21 - JOHANNESBURG ROBIN RHODE, ZANELE MUHOLI
Ian Forster, Stati Uniti, 2018, 30’, inglese (anteprima europea) Il film è girato a Johannesburg e dedicato agli artisti africani Robin Rhode e Zanele Muholi. Rhode crea murales che fungono da sfondo per i suoi lavori fotografici; Muholi fotografa gay, bisessuali, transgender per denunciare la violenza subita dalle comunità Queer in Sudafrica. arte e dintorni
CIVILISATIONS - THE VITAL SPARK
Tim Niel, Regno Unito, 2017, 60’, inglese (anteprima italiana) Il film esplora il destino dell’arte in un mondo tecnologico e materialista attraverso le opere di grandi artisti come Ai Weiwei, Kara Walker, Andy Warhol, Anselm Kiefer, Michal Rovner. arte e dintorni
FRANCESCO ARENA LINEA DI 18,53 KM
arte e dintorni
ANDY GOLDSWORTHY LEANING INTO THE WIND
Thomas Riedelsheimer, Germania, Scozia, 2016, 93’, inglese, portoghese (anteprima italiana) Il documentario segue Andy Goldsworthy durante la realizzazione di alcuni dei suoi progetti più recenti di Land art mostrandoci la sua arte e il suo vivere in simbiosi con la natura.
Domenico Palma, Italia, 2018, 6’ (anteprima mondiale) Il film segue la realizzazione dell’opera di Francesco Arena Linea di 18,53 km. Un cuneo di bronzo bianco, alto 3 metri, è piantato per quasi tutta la sua altezza nel terreno del giardino di una casa napoletana. Un angolo del cuneo è stato “strappato” e gettato nel cratere del Vesuvio. La distanza tra le due parti della scultura è esattamente di 18,53 km. arte e dintorni
RENATO MAMBOR
Gianna Mazzini, Italia, 2017, 47’, italiano (anteprima mondiale) Uno sguardo intimo e inedito sulle opere e la vita di Renato Mambor (1936-2014), artista della Scuola romana di Piazza del Popolo. La regista ha instaurato con l’artista un rapporto di amicizia profonda, seguendolo per quindici anni fino al giorno della sua scomparsa.
Rachel Whiteread - Ghost in the Room.
arte e dintorni
RACHEL WHITEREAD GHOST IN THE ROOM
Morag Tinto, Scozia, 2017, 63’, inglese (anteprima italiana) In questo film vediamo la scultrice britannica Rachel Whiteread mentre prepara una grande retrospettiva alla Tate Britain di Londra. Rivisitiamo anche il controverso lavoro intitolato House, una replica in scala reale dell’interno di una casa nell’East End di Londra. Le faussaire de Vermeer
ART21 - Zanele Muholi. Andy Goldsworthy, Leaning Into The Wind.
SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018 | 269 segno - 15
ArtVerona #backtoitaly 14 edizione 12—15.10.2018 a
Utopia “La nostra vita è un’opera d’arte. Per viverla come esige l’arte della vita dobbiamo – come ogni artista, quale che sia la sua arte – porci delle sfide difficili. Dobbiamo tentare l’impossibile”. Zygmunt Bauman L’arte della vita, 2009
www.artverona.it @artverona
>fiere d’arte<
ARTVERONA 2018 #BACKTOITALY
I
n linea con la tendenza di varie fiere, ArtVerona assume sempre più un profilo curatoriale sia nel taglio delle proposte presentate dalle gallerie che sotto il profilo degli eventi collaterali. La fiera, diretta da Adriana Polveroni, cresce in termini di numeri, di qualità e di fiducia da parte delle gallerie e dei collezionisti, questi ultimi al centro di un programma che si estende durante tutto l’arco dell’anno attraverso diverse iniziative, tra cui un roadshow, realizzato in collaborazione con il Consorzio Collezionisti delle Pianure, guidato da Antonio Grulli, che ha aperto le porte di alcune delle più belle collezioni italiane di arte moderna e contemporanea, come quelle bolognesi di Gaia Rossi a Palazzo Bentivoglio, di Annamaria e Antonio Maccaferri e a Napoli quella di Paolo e Francesco Taurisano e la collezione di Fabio Agovino. L’edizione 2018 di ArtVerona vede l’ingresso di 35 nuove gallerie, per un totale di 145 espositori, tra moderno e contemporaneo, 14 spazi indipendenti e 18 realtà editoriali, con un’area rinnovata per ospitare anche le proposte più di ricerca. Oltre alle consolidate Main Section, Grand Tour, Raw Zone e Scouting, nasce un focus di approfondimento su un Paese straniero: la nuova sezione Focus on è dedicata quest’anno alla Lituania e alla sua giovane e vivace scena artistica, grazie alla collaborazione di Julija Reklaitè, addetto culturale della Repubblica Lituana in Italia. Ad ArtVerona ci sono anche artisti che ad oggi non sono rappresentati da una galleria, una scommessa che il mercato deve ancora giocare, ma con una grande garanzia alle spalle: tutor e mentore della seconda edizione di Free Stage è Adrian Paci. A lui il compito di “tenere a battesimo” le ricerche di Leonardo Pellicanò (1994) e del duo composto da Chiaralice Rizzi (1982) e Alessandro Laita (1979). Molti i galleristi sempre più attratti da ArtVerona non solo per il contesto di una fiera curata dal punto di vista espositivo e delle relazioni con i collezionisti e gli operatori del settore, ma anche per i premi che costituiscono spesso un trampolino di lancio per artisti emergenti. Tra le novità intramoenia, infatti, l’istituzione di un nuovo fondo di acquisizioni di Veronafiere per l’arte A disposizione e WiDiCollect (Wise Dialog Collecting), riconoscimento dedicato all’arte multimediale, ideato dal collezionista e consulente finanziario Fabio Agovino, e promosso da Banca Widiba che vanno ad arricchire il valore dei premi degli anni precedenti. Il tema che sottende sia la fiera che l’evento principale del programma Art&TheCity è l’Utopia, rappresentativo delle tante sfide e imprese possibili del sistema dell’arte italiano che la fiera vuole accogliere e rappresentare. La mostra Chi Utopia mangia le mele. Dal sogno al progetto in quattro tempi, nata da un’idea di Adriana Polveroni e curata dalla stessa con Gabriele Tosi, si pone l’obiettivo di indagare la natura controversa, ricorrente e mutevole dell’utopia e le sfide che questa idea pone come superamento del dato e di un presente convenzionali. Le opere proposte si articolano in dialoghi transgenerazionali opponendo l’intento di ripensare la società con la provocazione celata nella rappresentazione di una fuga solitaria e di un gesto ribelle. La rassegna è stata pensata per i suggestivi spazi del palazzo dell’ex Dogana di terra (dal 12 ottobre al 2 dicembre), in consegna alla Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza che collabora al progetto con il Comune di Verona. Le opere proposte sono quelle di Nanni Balestrini, Maurizio Cattelan, Cristian Chironi, Danilo Correale, Vittorio Corsini, Cuoghi Corsello, Gino De Dominicis, Ceal Floyer, Claire Fontaine, Cyprien Gaillard, Andrea Galvani, Carlos Garaicoa, Christian Jankowsky, Thomas Kuijpers, Ugo La Pietra, Maria Lai, Lisa Dalfino e Sacha Kanah, Robin Hewlett e Ben Kinsley, Glenn Ligon, Davide Mancini Zanchi, Masbedo, Elena Mazzi, Adrián Melis Sosa, Luciano Ori, Adrian Paci, Gina Pane, Pino Pascali, Beatrice Pediconi, Diego Perrone, Gianni Pettena, Paola Pivi, Andrea Santarlasci, Tomás Saraceno, Marinella Senatore, Stefano Serretta, Caterina Erica Shanta, Mauro Staccioli, Kyle Thompson, Piotr Urlansky, Ben Vautrier, Vedovamazzei. Poetico l’Omaggio a Hidetoshi Nagasawa il grande artista giapponese scomparso di recente che aveva scelto l’Italia per vivere e lavorare. L’opera potente, carica di energia, di Nagasawa si sposa con alcune caratteristiche qualitative di Verona: la forza delle sue installazioni e la creazione di ambienti severi e virtuosi al tempo stesso si confrontano con la bellezza antica e solenne della città, Vedovamazzei, Milonga, 2005, Collezione Privata
Davide Mancini Zanchi, Igor il cavallo del cavalier Guttuari, 2017 courtesy A+B Contemporary Art, Brescia, foto Matteo Cirenei Kyle Thompson, Tides, 2016, ed. 1/3 stampa fotografica su fine art paper, cm.80x125, Collezione privata
Sandro Chia, Der Hund und sein Meister, Galleria Bagnai, Foiano della Chiana (Ar) Ivan Barlafante, Un giorno qualunque, 2016 courtesy Galleria Michela Rizzo, Venezia
dove in alcuni luoghi al chiuso e in altri all’aperto alcune installazioni di Nagasawa si inseriscono perfettamente. ArtVerona ha saputo negli anni coinvolgere, oltre alle sedi già istituzionalmente riconosciute, anche quelle zone della città fuori dai percorsi più tradizionali: torna il Festival Veronetta, un evento diffuso, un progetto d’arte partecipativa in un contesto urbano ricco di storia e fortemente caratterizzato dal punto di vista identitario, con il coinvolgimento di Università di Verona, ESU e Accademia di Belle Arti di Verona. All’interno del Festival una “mostra-non mostra” in cui le opere vivono e crescono in un ecosistema “precario”, effimero, transitorio quale quello di librerie, bar e negozi di generi alimentari. Questa edizione è stata configurata come un dialogo tra artisti che già lavorano autonomamente da anni e gli allievi delle Accademie. Catalizzatore di tendenze culturali, con lo spirito dell’attività di talent scouting ArtVerona ha fatto incontrare i direttori dei più importanti musei italiani con nuovi artisti: da qui sono nati workshop, mostre e approfondimenti, come la performance di Discipula e Nicola Ratti alla Galleria Civica di SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018 | 269 segno - 17
Dario Ghibaudo, Ibis Recti Rostri, 2018 cemento, polvere di marmo, resina e ferro, 160 x 75 x 210h cm. Photo-credits: Angelo Marinelli
12-15 ottobre 2018 Stand I9 - Pad 12
>news istituzioni e gallerie< Modena, la performance di Luigi Prevedello al Pecci di Prato, la mostra di Anna di Prospero a Palazzo Ducale di Mantova e l’installazione site specific di Ivan Barlafante ai Musei Civici di Bassano del Grappa. Alla base di queste forti sinergie c’è Level 0, un format, sostenuto da AGSM, attraverso cui viene scelto dai direttori dei musei un artista in fiera da esporre nei propri spazi. Quest’anno sono 14 i direttori presenti ad ArtVerona, anche grazie ai nuovi ingressi di Elisabetta Barisoni, responsabile di Ca’ Pesaro; Andrea Bruciati, direttore di Villa Adriana e Villa d’Este a Tivoli; Mauro Felicori, direttore generale della Reggia di Caserta e Lorenzo Giusti, direttore della GAMeC di Bergamo. Lucia Spadano Marinella Senatore, How Do U Kill The Chemist, 2009 Collezione Agovino, Napoli
Malick Sidibé, Mariage, 1966/2004, stampa fotografica vintage alla gelatina ai sali d’argento, cornice in vetro dipinta a mano, scotch di carta, cordino, cm.9x13,3 courtesy Galleria Astuni, Bologna Pino Pinelli, Pittura N.B., tecnica mista, 70x80 cm, 1991 courtesy Paola Verrengia, Salerno
Omaggio a Hidetoshi Nagasawa rtVerona dedica un omaggio al grande artista giapponese, nell’anno della scomparsa. Un percorso, parte del programA ma di Art&TheCity, in alcuni luoghi significativi di Verona, ideato
da Adriana Polveroni con il supporto di Ryoma e Tae Alice Nagasawa, figlia dell’artista e la partecipazione del Mart, Museo d’arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto.. Nagasawa, arrivato a Milano all’età di ventisette anni, aveva scelto l’Italia per vivere e lavorare: capace come pochi di intervenire nello spazio con forza e leggerezza allo stesso tempo, sfidando la legge di gravità con equilibri apparentemente impossibili; unire la potenza geometrica delle installazioni con la bellezza naturale del paesaggio; dialogare sapientemente con il passato.
Di seguito l’ubicazione delle opere nel contesto cittadino veronese: • Giardino del Museo di Castelvecchio, Corso Castelvecchio 2 Tre cubi (2015) • Giardino Giusti, Via Giardino Giusti 2 Triangolo nel pentagono (2010) • Chiostro - Museo degli Affreschi “G.B. Cavalcaselle”, Via Luigi Da Porto 5 Panca (2002) • Chiesa di San Francesco al Corso – Museo degli Affreschi “G.B. Cavalcaselle”, Via Luigi Da Porto 5 Sette Anelli (2015) • Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza, Piazza San Fermo 3 Caos vacilla (2010) • Università di Verona, Polo Santa Marta, Corte Ovest Via Cantarane 24 Aquila (1989) • Veronafiere, Ingresso re Teodorico, Viale dell’Industria Axis Mundi (2014) A Rovereto, infine, dal 12 ottobre al 6 gennaio 2019, nella sede del Mart, Museo d’arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, troviamo l’installazione Andromeda (2014).
SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018 | 269 segno - 19
12-15 ottobre 2018 Pad 12 Stand L9
Mutaz Elemam - Rocco Dubbini - Giacomo Montanaro
Shazar Gallery
Via Pasquale Scura 8 - 80134 Napoli - info@shazargallery.com - www.shazargallery.com
Galleria Paola Verrengia Pad.12 Stand L4
Michele Chiossi Maria Elisabetta Novello Claudio Olivieri Lucio Perone Pino Pinelli Claudia Rogge Martin y Sicilia
Galleria Paola Verrengia Via Fieravecchia, 34 - 84122 Salerno tel e fax: 089 241925 www.galleriaverrengia.it | galleriaverrengia@gmail.com
Lucio Perone, Senza Titolo, 2018 legno, PVC, resina e vernice IND, 58x25x12cm
SANTO FICARA
ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA
PADIGLIONE 11 - STAND D9
Carla Accardi, Si smagliarono i punti, 2000 Vinilico su tela, 120x160cm
Artisti Carla Accardi Getulio Alviani Gianni Asdrubali Agostino Bonalumi Enzo Cacciola Giuseppe Chiari Ennio Chiggio Domenico D’Oora Edoardo Landi Giorgio Laveri
Luigi Mainolfi Manfredo Massironi Aldo Mondino Matteo Montani Paola Pezzi Pino Pinelli Shigeru Saito Giulio Turcato Gianfranco Zappettini Antonella Zazzera
Via Arnolfo 6L - 50121 Firenze info@santoficara.it - www.santoficara.it Tel: +39 055.234.0239 - Fax: +39 055.226.9190
>news istituzioni e gallerie< Segno Remember
Hidetoshi NAGASAWA
C
he Hidetoshi Nagasawa sia uno degli artisti che più si sono adoperati per creare un incontro non effimero trala cultura orientale e quella occidentale è un dato di fatto incontrovertibile. Tutto il lavoro da lui portato avanti da quando nel 1967 si è stabilito in Italia ne è testimonianza, così come lo sono i suoi rapporti con i protagonisti indiscussi della sua generazione, le sue mostre, la riflessione critica che ha suscitato. Più difficile è semmai cercare di inquadrare la sua personalità autoriale attenendosi ai parametri consueti del nostro modo di guardare all’arte e alla figura dell’artista: disciplina di riferimento, tipologia di intervento, tecniche e materiali preferiti, snodi lnguistici più frequentati, tono e intensità degli investimenti libidici posti in essere, e via dicendo. Ogni opera di Nagasawa, non è semplicemente una sua creazione storicamente contingente e psicologicamente irripetibile ma la materializzazione di una immagine impostasi grazie alla propria stessa imponderabile forza interna entro uno spazio di riflessione che non appartiene a nessuno in particolare e che si apre soltanto a chi si metta in quella particolare condizione di ascolto che il pensiero Zen ha stabilito di chiamare “Ma”, le cui visioni influiscono sulla evoluzione del linguaggio: appare e si impone senza generare conflitti, senza distruggere, ma aggiungendo forza a forza, energia ad energia. Poter vedere tutte in una volta cinque nuove grandi sculture di Nagasawa in uno spazio ampio e tecnicamente adeguato come quello del Camusac di Cassino è una occasione irripetibile non solo per chi da anni va riflettendo su quanto fin qui prospettato, ma anche per chiunque si stia avvicinando all’universo dell’arte contemporanea con le ansie e le speranze del neofita (…dal testo di Lucia Spadano, Segno 249). Da ricordare qui la memorabile opera Barca del 1989 realizzata per il Middelheim Museum, il museo di scultura all’aperto di Antwerpen, in Belgio dove il costrutto artistico di Nagasawa si rintraccia nei metaforici elementi della terra e del mare, immaginati secondo una mentalità tipicamente Zen. Le mostre non si contano, tante che sono, ma lo ricordiamo non solo come amante dell’Italia ma come vero e proprio nostro concittadino, avendo fatto dell’italianità e della mediterraneità la propria cifra stilistica. Nell’amata Sicilia sono patrimonio collettivo l’intervento realizzato nel 1989 con la Stanza di barca d’oro per la Fiumara d’arte di Tusa di Antonio Presti e la camera d’arte del Paravento S, 2014 marmo 280x500x400 (Museo d’arte contemporanea, Cassino)
22 - segno 269 | SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018
Andromeda, legno e ferro 300x1000x1000
suo Atelier sul mare. Spesso Nagasawa nelle sue opere fa levitare differenti materiali dal marmo al ferro, dal legno al rame e all’ottone. Lo fa tramite un funzionamento di leve, di spinte reciproche e incastri. Aumentando la massa, e caricando il peso, riduce la gravità della materia in modo da far percepire qualcosa che galleggia. La forza di gravità agisce a tal punto che travi di legno ed elementi in ferro librano nell’aria. Una leggerezza cara ai testi indù e a quelli di ChuangTzu, portatrice di distacco dalle manifestazioni formali e dal peso del corpo. Uno stato di sospensione che favorisce la contemplazione e l’equazione massa-peso-vuoto. Nagasawa annulla il peso della massa scultorea senza rinunciare all’impatto dei materiali, e genera con volumi, a volte imponenti, un’atmosfera di sospensione spazio-temporale, un effetto di equilibrio instabile costretto a possibili oscillazioni. Tale instabilità rimanda all’universo imprevedibile in cui si iscrive la parabola della vita umana. A volte vedendo le sue opere si ha la sensazione che queste galleggino nell’aria, quasi esposte ad una possibile oscillazione. Tuttavia ciò esprime una dimensione spaziale totale, che riflette i rapporti tra polarità opposte, l’interazione di forze, metafore dell’equilibrio cosmico. All’interno di questa area in tensione si scoprono odori,
>news istituzioni e gallerie<
Nastro, particolare dell’allestimento alla Galleria G7, Bologna 2014
bagliori, fantasie di valore estetico ed estatico, caratteristiche fisiche di una visione non obiettiva, ma quasi astratta. Spesso la presenza diffusa dell’oro o del rame contribuisce a raggiungere una dimensione aurea che fa rinascere la sensibilità dell’essere, l’essenza mitica del mondo. In Nagasawa prevale l’incorporeo e il carattere enigmatico. Le creazioni plastiche raggiungono un versante imperscrutabile, una dimensione di “dormiveglia”. In esse ha inizio una esperienza sensibile prossima sia alla materia che allo spirito, in complicità con l’invisibile. L’opera diventa un “dispositivo” per l’esercizio del pensiero e della contemplazione metafisica….. Per il fruitore la sensazione è quella di un guardare obliquo, indiretto, un’osservazione “yin”, che scivola in uno spazio sospeso, sottratto alle accelerazioni della cultura metropolitana, dove il tempo risulta pausato da una dimensione di “dormiveglia”, una dimensione in bilico tra il sonno e la veglia. Da qui ha inizio il viaggio nella profondità del “tempo zero”, una profondità intrisa di percezioni consce e inconsce, calibrate dal proprio spirito e dal proprio soffio: «quando il tempo si muove più adagio, un profumo attraversa lo spazio. Quando il profumo aumenta d’intensità si avvicina il tempo zero. Il tempo zero è la via che congiunge i due mondi» (Nagasawa). (...da un testo di Giacomo Zaza)
Biografia Hidetoshi Nagasawa nasce nel 1940 a Tonei, in Manciuria, dove il padre prestava servizio come ufficiale medico dell’esercito imperiale. Nel 1945 a seguito dell’invasione da parte dell’Unione Sovietica, la famiglia, costretta a lasciare il paese assieme a tutti i civili giapponesi residenti, intraprende un difficile viaggio di un anno e mezzo verso il Giappone appena uscito sconfitto dalla guerra e in profonda crisi economica e sociale. Stabilitosi nel villaggio rurale di Kawashima, poco distante dalla capitale Tokyo, Nagasawa prosegue i suoi studi avvicinadosi con passione già all’età di quindici anni, all’arte e alle tendenze d’avanguardia. Laureato nel 1963 in Architettura e Design, trova lavoro in uno studio di architettura, ma vorrebbe potersi dedicare esclusivamente all’attività artistica. Nel 1966 sposa Kimiko Ezaki e a distanza di sei mesi dal matrimonio parte dal Giappone in bicicletta dirigendosi verso Ovest: attraversa Thailandia, Malesia, India, Pakistan, Afghanistan, Persia, Iraq, Giordania, Libano, Siria e Turchia, passa dalla Grecia e giunge a Brindisi e risale l’Italia visitando Napoli, Roma e Firenze. Nell’agosto del 1967 arriva a Milano, dove si conclude il suo viaggio a causa del furto della bicicletta. Trova uno studio nel quartiere operaio di Sesto San Giovanni ed entra in contatto con un gruppo di artisti tra cui Castellani, Fabro, Nigro, Trotta e Ongaro; attratto dai numerosi stimoli che gli offre l’ambiente milanese, decide di rimanervi e si fa raggiungere da Kimiko. È nel 1968 che l’attività artistica di Nagasawa acquisisce continuità e consapevolezza; nel 1968 partecipa al Festival di Anfo, sul lago d’Idro, e nel febbraio dell’anno successivo espone per la prima volta a Brescia presso la Galleria Sincron. Dal 1970 il suo lavoro concettuale si divide tra giochi verbali incisi su lastre metalliche, “azioni” e video; in quest’anno presenta la sua prima mostra personale alla galleria milanese Françoise Lambert e partecipa ad una mostra collettiva sull’arte contemporanea giapponese presso il Solomon R. Guggenheim di New York. Nel 1971 espone presso la galleria Toselli di Milano e all’Attico di Roma, ed avvia la sua produzione di sculture. Nel 1972 partecipa per la prima volta alla Biennale di Venezia e instaura un proficuo rapporto lavorativo con il gallerista Ardemagni che gli consetirà di realizzare importanti opere scultoree impiegando materiali come oro, bronzo e marmo. Nel 1976 espone assieme a Luciano Fabro e Antonio Trotta nella mostra Aptico. Il senso della scultura a cura di Jole De Sanna a Verbania-Pallanza. Negli anni Ottanta il lavoro di Nagasawa subisce un apliamento di scala che lo porta a creare ambienti al confine tra scultura e architettura; le sue opere diventano antigravitazionali, capaci di sfidare le leggi della fisica e la forza di gravità. Nel 1988 espone presso il PAC di Milano. Negli anni Novanta Nagasawa è presente in tutto il mondo in importanti appuntamenti nazionali ed internazionali: a Kassel, per la IX edizione di Documenta nel 1992, alla Biennale di Venezia nel 1993 con una sala personale nel Padiglione Italiano e a Bologna nei locali di Villa delle Rose della Galleria d’Arte Moderna. Nello stesso anno, in Giappone, inaugura una mostra antologica presso il Museo Mito e nel 1996 espone in una personale alla Fondazione Mirò di Palma de Malloca. Milano ospita nuovamente il lavoro di Nagasawa nel 2001 presso il Palazzo della Triennale. Numerose le altre mostre in Italia fino al 2017. Il suo lavoro è oggi presente in importanti collezioni pubbliche e private in Europa, Asia e America, tra cui: FRAC, Fontevraud; Solomon R Guggenheim Museum, New York; Middelheim Museum, Anversa; The National Museum of Modern Art, Osaka; Museum of Contemporary Art, Hiroshima; Municipio Adachi-ku, Tokyo; Art Tower, Mito; Contemporary Art center, Mito.
Gomitolo ‘02, Firenze. Marmo, 75 x 95 x 85 cm.
SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018 | 269 segno - 23
>news istituzioni e gallerie< dall’interpretazione contemporanea e innovativa forma di pensiero. È il tempo della convivenza e della co-progettazione sonica e visiva della nostra “Experimental Academy” per trasformare la fiera in uno spazio per la creazione e la formazione di giovani artisti.
Vistamare. Jodice, Stromboli, Opera II, 1999
Artissima 2018
A
rtissima nel 2018 celebra il suo venticinquesimo anniversario. Riconosciuta a livello internazionale per l’attenzione alle pratiche sperimentali e come trampolino di lancio per artisti emergenti e gallerie di ricerca, Artissima è un appuntamento unico, che attrae ogni anno un nume rosopubblico di collezionisti, professionisti del settore e appassionati. Il fil rouge della venticinquesima edizione è “il tempo” (Time is on our side – Il tempo è dalla nostra parte) inteso non come statica cristallizzazione del ricordo e della celebrazione, ma proposto come flusso dinamico, in grado di imprimere il ritmo del cambiamento, preservando la sospensione temporale dell’emozione dell’opera d’arte. Il “tempo” di Artissima assume quindi una duplice valenza: un passato eloquente e un futuro aperto all’indagine creativa. Nelle parole di Ilaria Bonacossa direttrice, la fiera parte sempre dalla propria storia e dalla propria identità – segnata dalla coerenza di un percorso volto al rinnovamento e alla sperimentazione costante ma sempre capace di mantenere viva la propria riconoscibilità – per partecipare alla costruzione della futura storia dell’arte. La vitalità di Artissima e la sua forza innovatrice si riverberano su tutta la città, grazie alla collaborazione attiva con numerose istituzioni pubbliche, musei, fondazioni, gallerie e, di riflesso, con i progetti culturali del territorio. Ma è anche il tempo dedicato dalle gallerie a scoprire e riscoprire gli artisti, a produrre i loro lavori e a sostenere la ricerca creativa, il tempo delle immagini capaci di attivare pensieri ed emozioni e non essere passivamente consumate. È Il tempo dell’ascolto della nuova sezione Sound, un percorso sorprendente attraverso 16 installazioni sonore. È il tempo accelerato dell’approfondimento delle opportunità che il digitale ci offre. È il tempo del disegno che è insieme progetto e opera finita, materia classica trasformata Primo Marella Gallery. Manlanbien, Histoires de Tripes 026, 2018
Galleria Raffaella Cortese. Bonvicini, No, 2013
Le sezioni di Artissima 2018 sono otto. Main Section, raccoglie le gallerie più rappresentative del panorama artistico mondiale.Quest’anno ne sono state selezionate 94 di cui 44 straniere. New Entries, sezione riservata alle gallerie emergenti sulla scena internazionale, quest’anno con 14 gallerie di cui 10 straniere. Dialogue, è la sezione dedicata a progetti specifici in cui le opere di due o tre artisti vengono messe in stretta relazione tra loro, con 19 gallerie di cui 12 straniere. Art Spaces & Editions, ospita gallerie specializzate in edizioni e multipli di artisti e dall’edizione 2018 si apre ai project space e agli spazi no profit, con 9 espositori. Present Future è la sezione dedicata ai talenti emergenti. con lavori di 18 artisti presentati da 19 gallerie (14 straniere, 5 italiane). Partecipano a Back to the Future 21 artisti, presentati da 23 gallerie (17 straniere, 6 italiane). Alla sua seconda edizione, Disegni è la sezione dedicata alle peculiarità del disegno, una pratica artistica in grado di catturare l’immediatezza processuale e di pensiero del gesto creativo, in uno spazio sospeso tra idea e opera finita: un mezzo espressivo che sta conoscendo una rinnovata popolarità e che si sta progressivamente affermando nel mercato, particolarmente fra i nuovi collezionisti. Disegni porta all’attenzione del pubblico i lavori di 23 artisti, rappresentati da 24 gallerie (16 straniere, 8 italiane). Tra le novità, Sound è la nuova sezione dedicata alle indagini sonore contemporanee e parte integrante della fiera, ma allestita fuori dagli spazi istituzionali di Artissima, presso le OGR – Officine Grandi Riparazioni di Torino e presenta 16 progetti monografici dedicati al suono, selezionati da un duo internazionale di curatori: Yann Chateigné Tytelman, curatore e critico d’arte a Berlino e Nicola Ricciardi, direttore artistico, OGR – Officine Grandi Riparazioni, Torino. La sezione nasce in risposta alla recente attenzione rivolta al suono da parte di artisti di diverse generazioni, per mettere in discussione le logiche dell’arte visiva. Il suono, nei suoi aspetti intimi e performativi, è usato per trasformare lo spazio e la sua percezione, per riattivare ricordi, per liberare l’immaginazione, ed è oggi protagonista di numerose ricerche in ambiti eterogenei proprio per la sua capacità di evocare e svelare una realtà intangibile, sempre mutevole. Galeria Elba Benitez. Aballí, Plata sobre oro [Silver on Gold], 1990
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>news istituzioni e gallerie< ARTISSIMA STORIES. Per creare nuovi momenti di approfondimento e animare 365 giorni l’anno un racconto vivo della fiera, quest’anno sarà implementata ulteriormente la produzione di video per la piattaforma digitale e i canali social. In particolare, per celebrare il suo venticinquesimo anniversario, Artissima lancia Artissima Stories. 25 years of Art, un programma integrato
fra blog e video, a cura di Edoardo Bonaspetti e Stefano Cernuschi, con Anna Bergamasco. Un palinsesto di 25 interviste a personaggi rilevanti della storia di Artissima: 5 direttori, 5 curatori, 5 collezionisti e 10 galleristi. 25 punti di vista su Artissima e il mondo dell’arte contemporanea, in onda tutte le settimane sul sito e i social media della fiera, da inizio settembre fino a novembre.
Giorgio Persano. De Maria, La libertà, 2016
MAIN SECTION A-LOUNGE(A-L) Seoul – AB/ANBAR Tehran – ACB Budapest – LUIS ADELANTADO Valencia, Mexico City – SABRINA AMRANI Madrid – ROLANDO ANSELMI Berlin, Roma – APALAZZO Brescia – ARTERICAMBI Verona – ALFONSO ARTIACO Napoli – ENRICO ASTUNI Bologna – PIERO ATCHUGARRY Pueblo Garzón, Miami – AURAL Alicante – ISABELLA BORTOLOZZI Berlin – THOMAS BRAMBILLA Bergamo – BRAVERMAN Tel Aviv – CABINET London – CARDELLI & FONTANA Sarzana, S. Stefano di Magra – GALLERIA DEL CEMBALO Roma – CHERTLÜDDE Berlin – CLIMA Milano – COLLICALIGREGGI Catania – ANTONIO COLOMBO Milano – CONTINUA San Gimignano, Beijing, Les Moulins, Havana – RAFFAELLA CORTESE Milano – GUIDO COSTA Torino – MONICA DE CARDENAS Milano, Zuoz, Lugano – DE’ FOSCHERARI Bologna – UMBERTO DI MARINO Napoli – EX ELETTROFONICA Roma – FRANCISCO FINO Lisbon – FL Milano – FRITTELLI Firenze – CHRISTOPHE GAILLARD Paris – GANDY Bratislava, Prague – ENRIQUE GUERRERO Mexico City – KISTEREM Budapest – KOW Berlin, Madrid – LAST RESORT Copenhagen – EMANUEL LAYR Vienna, Roma – LOEVENBRUCK Paris – LOOM Milano – EDOUARD MALINGUE Hong Kong, Shanghai – NORMA MANGIONE Torino – PRIMO MARELLA Milano – MASSIMODELUCA Mestre-Venezia – MAZZOLENI Torino, London – MAZZOLI Berlin, Modena – EVA MEYER Paris – FRANCESCA MININI Milano – MASSIMO MININI Brescia – VICTORIA MIRO London, Venezia – ANI MOLNÁR Budapest – MONITOR Roma, Lisbon – FRANCO NOERO Torino – LORCAN O’NEILL Roma – OSART Milano – OTTO Bologna – P420 Bologna – ALBERTA PANE Paris, Venezia – FRANCESCO PANTALEONE Palermo, Milano – ALBERTO PEOLA Torino – GIORGIO PERSANO Torino – PHOTO&CONTEMPORARY Torino – PI ARTWORKS London, Istanbul – PINKSUMMER Genova – PODBIELSKI CONTEMPORARY Milano – GREGOR PODNAR Berlin – ANCA POTERASU Bucharest – PROMETEOGALLERY Milano, Lucca – REPETTO London – ANTHONY REYNOLDS London – MICHELA RIZZO Venezia – ROSSI & ROSSI London, Hong Kong – LIA RUMMA Milano, Napoli – RICHARD SALTOUN London – FEDERICA SCHIAVO Milano, Roma – THOMAS SCHULTE Berlin – SILVERLENS Makati City-Metro Manila – SMAC Cape Town, Johannesburg, Stellenbosch – SPAZIOA Pistoia – SPROVIERI London – STEINEK Vienna – STUDIO SALES Roma – TAIK PERSONS Berlin, Helsinki – TEGA Milano – THE GALLERY APART Roma – TUCCI RUSSO Torre Pellice, Torino – UNIMEDIAMODERN Genova – VEDA Firenze – VIASATERNA Milano – VISTAMARE / VISTAMARESTUDIO Pescara, Milano – HUBERT WINTER Vienna – JOCELYN WOLFF Paris – ŻAK | BRANICKA Berlin NEW ENTRIES 50 GOLBORNE London – A PLUS A
Venezia – ADA Roma – CECILIA BRUNSON London, Santiago – DAUWENS & BEERNAERT Brussels – GALLLERIAPIÙ Bologna – GLASSYARD Budapest – GILDA LAVIA Roma – NARRATIVE PROJECTS London – CARLYE PACKER Los Angeles – PROJECT ARTBEAT Tbilisi – RODRÍGUEZ Poznań – CATINCA TABACARU New York, Harare – THIS IS NOT A WHITE CUBE Luanda
DIALOGUE 22,48 M2 Paris – FRANCESCA ANTONINI Roma – BENDANA | PINEL Paris – BOCCANERA Trento, Milano –
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Massimo De Carlo Milano. Massimo Bartolini, Flowerbed (Oporto), 2007 Galleria Enrico Astuni. Aasan, Heaven n° 2, 2015-2016
BWA WARSZAWA Warsaw – FUORICAMPO Siena – DORIS GHETTA Ortisei – LAVERONICA Modica – LAWRIE SHABIBI Dubai – FLORENCE LOEWY Paris – MA2 Tokyo – MADRAGOA Lisbon – DANIEL MARZONA Berlin – OPERATIVA Roma – RIBOT Milano – SARIEV Plovdiv – SEMIOSE Paris – SERVANDO Havana – ISABELLE VAN DEN EYNDE Dubai ART SPACES & EDITIONS ARTHUB ASIA Hong Kong, Shanghai + READING ROOM Milano – ÁNGELES BAÑOS Badajoz – CASTELLO DI RIVOLI MUSEO D’ARTE CONTEMPORANEA Rivoli – ELISABETTA CIPRIANI WEARABLE ART London – COLOPHONARTE Belluno – EDITALIA Roma – LITTLE NEMO Torino – UQ EDITIONS Rio de Janeiro, Lisbon PRESENT FUTURE ELENA AITZKOA, ROSA SANTOS Valencia – VIVIAN CACCURI, A GENTIL CARIOCA Rio de Janeiro – LUDOVICA CARBOTTA, MARTA CERVERA Madrid –– GABRIELE DE SANTIS, FRUTTA Roma, Glasgow – NARIMAN FARROKHI, Richard Saltoun. Bettineschi, Piumario, 1981
>news istituzioni e gallerie< DASTAN’S BASEMENT Tehran – PRISCILA FERNANDES, CINNNAMON Rotterdam + DIVISION OF LABOUR Manchester – DORIAN GAUDIN, PACT Paris – ALEJANDRA HERNÁNDEZ, LAVERONICA Modica – CLARA IANNI, VERMELHO São Paulo – MARLENA KUDLICKA, REVOLVER Lima – DIEGO MARCON, ERMES-ERMES Vienna – AD MINOLITI, PERES PROJECTS Berlin – PEDRO NEVES MARQUES, UMBERTO DI MARINO Napoli – ANDRÉS PEREIRA PAZ, CRISIS Lima – AURÉLIE PÉTREL, CEYSSON & BÉNÉTIÈRE Luxembourg, Paris, Saint-Étienne, New York – FLORENCIA RODRIGUEZ GILES, BENDANA | PINEL Paris – THE COOL COUPLE, MLZ ART DEP Trieste – MARTHA TUTTLE, LUCE Torino BACK TO THE FUTURE IGNASI ABALLÍ, ELBA BENÍTEZ Madrid + ESTRANY-DE LA MOTA Barcelona – ALEXANDER BRODSKY, RICHARD SALTOUN London – CLAUDIO COSTA, CANEPANERI Milano, Genova – MESTRE DIDI, ALMEIDA E DALE São Paulo – ERIK DIETMAN, PAPILLON Paris – JORGE EIELSON, IL CHIOSTRO Saronno – HAMISH FULTON, HÄUSLER Munich, Zurich, Lustenau + MICHELA RIZZO Venezia – GUIDO GUIDI, VIASATERNA Milano – MARGARET HARRISON, ADN Barcelona – GARY HILL, IN SITU - FABIENNE LECLERC Paris – ROLF JULIUS, THOMAS BERNARD - CORTEX ATHLETICO Paris – TERESA LANCETA, ESPACIO MÍNIMO Madrid – CESARE LEONARDI, ANTONIO VEROLINO Modena – TANIA MOURAUD, EASTWARDS PROSPECTUS Bucharest – MARIE ORENSANZ, SICARDI|AYERS|BACINO Houston – EDUARDO RUBÉN, HOUSE OF EGORN Berlin – ALLEN RUPPERSBERG, AIR DE PARIS Paris – ALGIRDAS ŠEŠKUS, PM8 Vigo – FAUSTA SQUATRITI, ARTESILVA Seregno – RUTH WOLF-REHFELDT, CHERTLÜDDE Berlin – B. WURTZ, GREGOR PODNAR Berlin DISEGNI NIKITA ALEXEEV, IRAGUI Moscow – ALICE ATTIE, NÄCHST ST. STEPHAN ROSEMARIE SCHWARZWÄLDER Vienna – SILVIA BÄCHLI, RAFFAELLA CORTESE Milano – JAN BAJTLIK, SZYDŁOWSKI Warsaw – MARC BAUER, PETER KILCHMANN Zurich – TONY CRAGG, TUCCI RUSSO Torre Pellice, Torino – ENZO CUCCHI, ZERO… Milano – JOANA ESCOVAL, ACAPPELLA Napoli + VERA CORTÊS Lisbon – KOAK, WALDEN Buenos Aires – CLAIRE MILBRATH, STEVE TURNER Los Angeles – VICTOR CIATO + CIPRIAN MUREȘAN, PLAN B Berlin – CARLOS NOGUEIRA, 3+1 Lisbon – BRUNO PACHECO, HOLLYBUSH GARDENS London – DIEGO PERRONE, MASSIMO DE CARLO Milano, London, Hong Kong – RAYMOND PETTIBON, IN ARCO Torino – WALTER ROBINSON, SÉBASTIEN BERTRAND Geneva – FRANCESC RUIZ, GARCÍA|GALERÍA Madrid – THOMAS SCHÜTTE, PRODUZENTENGALERIE HAMBURG Hamburg – MASSINISSA SELMANI, ANNESARAH BÉNICHOU Paris – ALEXANDRE SINGH, MONITOR Roma, Lisbon – IGNACIO URIARTE, GENTILI Firenze + PHILIPP VON ROSEN Cologne – MARCEL VAN EEDEN, IN SITU FABIENNE LECLERC Paris SOUND DANIEL GUSTAV CRAMER, VERA CORTÊS Lisbon – CHRISTINA KUBISCH + ROBERTO PUGLIESE, MAZZOLI Berlin, Modena – UGO LA PIETRA, STUDIO DABBENI Lugano – CHARLEMAGNE PALESTINE, LEVY.DELVAL Brussels – SUSAN PHILIPSZ, ELLEN DE BRUIJNE Amsterdam – LILI REYNAUDTucci Russo Studio, Paolini, ULTIMO ATTO, 1996
Alberto Peola Arte Contemporanea. Vistamare. Romano, Paolo Bini, Eden, 2017. Martina Eyes (1), 2017
DEWAR, EMANUEL LAYR Vienna, Roma – JAMES RICHARDS, ISABELLA BORTOLOZZI Berlin – ANRI SALA, ALFONSO ARTIACO Napoli – TOMÁS SARACENO, PINKSUMMER Genova – MICHELE SPANGHERO, ALBERTA PANE Paris, Venezia + MAZZOLI Berlin, Modena – CHARLES STANKIEVECH, UNIQUE MULTIPLES Madrid – VOID, MASSIMODELUCA Mestre-Venezia – TRIS VONNA-MICHELL, FRANCISCO FINO Lisbon – FRANZ ERHARD WALTHER, JOCELYN WOLFF Paris – MARZIO ZORIO, RAFFAELLA DE CHIRICO Torino LIBRERIE ARTIKA Barcelona – DANILO MONTANARI Ravenna – EL ASTILLERO Cantabria – L’ARENGARIO S.B. Gussago, Brescia – MARTINCIGH Udine – S.T. FOTO LIBRERIA GALLERIA Roma – STUDIO MONTESPECCHIO Montespecchio
MAGAZINE ARCHIVIO Torino – ARTE CAIRO Milano – ARTE E CRITICA Roma – ARTFORUM INTERNATIONAL New York – ARTREVIEW London – ARTRIBUNE Roma – CONTEMPORARY LYNX London – CURA. Roma – ESPOARTE Albissola Marina – EXIBART Roma – FLASH ART Milano – FLASH ART INTERNATIONAL Milano – FRIEZE MAGAZINE London – IL GIORNALE DELL’ARTE Torino – MOUSSE Milano – LA STAMPA Torino – L’OFFICIEL ART Milano – SEGNO Pescara – UNTITLED ASSOCIATION Roma – VELLUM Brooklyn N.Y. Galleria Continua, Hans Op de Beeck
Lorcan ONeill. Ruffo, Migration Italy, 2018
Umberto Di Marino. Cucullu, Walking Under Cover in the Rain, 2017
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Bo Zheng. Foto Wolfgang Traeger
eilo scorso giugno si è dato avvio a “Manifesta 12” (fino al 4 novembre) in quella stessa Palermo che è anche Capitale Italiana della Cultura 2018. Palermo è stata prescelta dal comitato di Manifesta per la sua vocazione storica a farsi interprete di temi attualissimi in Europa: la migrazione e le condizioni climatiche altresì l’impatto che queste hanno sulle nostre città. Sostiene Hedwig Fijen, direttrice di Manifesta, che ”Manifesta 12 a Palermo è una grande sfida per ripensare a come gli interventi culturali possano avere un forte ruolo nell’aiutare a ridefinire uno dei più iconici crocevia del Mediterraneo della storia, all’interno di un lungo processo di trasformazione“. Come già scrissi, Palermo è da sempre coacervo umano, linguistico, culturale: un seducente diapason di accenti, espressioni, epidermidi! Nel nome Panormos-tutta porto-, che le diedero gli antichi Greci, c’è la disposizione materna all’accoglienza, c’è la conferma ad una cromosomica attitudine ad intessere relazioni con chi giunge da altrove. Il tema di Mani-
festa 12, Il Giardino Planetario. Coltivare la coesistenza ritrova la sua pertinente ispirazione nel dipinto Veduta di Palermo realizzato da Francesco Lo Jacono nel 1875 e custodito alla Gam di Palermo. Nell’opera del pittore evocativamente denominato “ladro del sole“ si enuncia la stupefacente rivelazione che nessuno degli elementi che compone il paesaggio naturale sia indigeno: in una indagine, intessuta di ardente materia pittorica Lo Jacono cataloga una compilazione doviziosa fatta di ulivi provenienti dall’Asia, pioppi tremuli giunti dal Medio Oriente, eucalipti australiani, nespoli giapponesi, fichi d’India messicani, infine agrumi arabi. Un fascinoso parallelismo Uomo-Pianta confermato teoreticamente da Gilles Clement , botanico francese che raffronta il mondo ad un giardino planetario di cui abbiamo la responsabilità di essere custodi. Questi i moventi, densi di malia ma che a priori rischiavano di prestare il fianco ad interpretazioni scivolose, ingenue, poco sapide per i palati più esigenti. Ma come si è dunque presentata Manifesta 12 ai suoi fruitori? Se già Bernard Berenson definiva Palermo città di “così grandiosa e impareggiabile bellezza“, il capoluogo siciliano riconferma l’esclamazione berensiana e garrisce in tutto il suo irradiante splendore. Palermo non possiede una bellezza solamente grandiosa e impareggiabile ma finanche sfacciata, sontuosa. Selvaggia e dolcissima al contempo, ti invade la mente, gli occhi, il cuore e ti lascia la sensazione di una febbre
MASBEDO all’Archivio di Stato. Foto Francesco Bellina
Jelili Atiku, Performance. Foto Francesco Bellina
Palermo
MANIFESTA 12 Il Giardino Planetario. Coltivare la coesistenza
N
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attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE
Leone Contini. Foto Wolfgang Traeger
Khalil Rabah, Sapienza.
Melanie Bonajo. Foto Wolfgang Traeger
Alberto Baraya. Foto Wolfgang Traeger
estatica. L’operazione della scelta dei luoghi, che ad un primo livello di lettura appare fortunata, si rivela per paradosso un meccanismo ingannevole e persino controproducente. Nel rapporto contenitore-contenuto, il primo palesa la sua preminenza estetica, risulta soffocante sul secondo; l’impegno comunicativo dell’artista si infrange ingenuamente contro lo scoglio di oratori, palazzi, ex chiese dal fascino struggente (si pensi ad esempio agli esotismi moreschi di Palazzo Forcella De Seta o alle forme catalane di Palazzo Ajutamicristo). Di rado si percepisce una autentica alchimia tra l’opera e il luogo che la ospita, ci si congeda spesso dalle molteplici sezioni con la sensazione di interventi calati dall’esterno senza una autentica vocazione ad intrecciare la sostanza dell’opera con il topos. Ecco allora una rapida (e sicuramente non esaustiva) promenade per Manifesta 12 tra esiti più e meno riusciti con un’apertura anche ai Collateral Events che concretano alcuni dei risultati più convincenti. Se Il Giardino Planetario è la già annunciata giustificazione a
Manifesta, non possiamo che dipartire dall’Orto Botanico dove incontriamo le interferenze biologiche di Leone Contini, la straniante disambiguazione di Khalil Rabah ed il tanto discusso video di Zheng Bo che pur afferrando la componente erotica e panica del meraviglioso giardino, non restituisce l’interessante intuizione in una traslazione poietica totalmente efficace. Il complesso di Palazzo Butera, luogo privilegiato anche dalla famiglia Valsecchi per ospitare la propria rinomata collezione, accoglie tra gli altri le vertiginose commistioni di Maria Thereza Alves e le note luminose dei Fallen Fruit che si impongono con una delle opere che ha riscosso maggiore apprezzamento da parte del pubblico. Pregevolissima l’installazione video all’Archivio di Stato dei Masbedo: essi, come veri demiurghi, si innestano senza sforzo tra le capriate lignee e gli antichi scaffali con protocollo no. 90/6 che è un hommage al regista Vittorio De Seta, alla libertà d’espressione ma anche al magister dei pupari siciliani Mim-
Maria Teresa Alves. Foto Wolfgang Traeger
Malin Franzén. Foto Wolfgang Traeger
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Marinella Senatore, Performance. Foto Francesco Bellina
mo Cuticchio. Il duo è presente anche nel fatiscente cortile di Palazzo Costantino con Videomobile. Quella di Palermo è anche la Manifesta delle processioni: a tal proposito non possiamo non citare Marinella Senatore, una delle artiste italiane di maggiore prestigio in campo internazionale che con la sua parata di 300 artisti, la sua banda, i suoi danzatori, le sue Carmen e le sue majorettes, avvolge il fruitore in uno spettacolo di impareggiabile energia. Tra gli eventi collaterali meritano di certo menzione: le fluttuanti architetture sonore dei Soundwalk con La sindrome di Ulisse nell’oratorio di Santa Maria del Sabato; i cortocircuiti fascinosi di Evgeny Antufiev con Quando l’arte diventa parte del paesaggio. Capitolo I al Mu-
Filipo Minelli. Foto Wolfgang Traeger
Manifesta 12 Palermo
20 luoghi inediti
seo Archeologico Regionale Antonino Salinas in collaborazione con Fondazione Maramotti in cui il russo dispiega un filo d’arte dove tutto è intimamente connesso con tutto rinnovando alcuni nuclei ontologici essenziali; le superfici specchianti e impastate di nigredo del norvegese Per Barclay a Palazzo Mazzarino coordinato logisticamente da FPAC Francesco Pantaleone Arte Contemporanea; i rovesciamenti estetici, percettivi e semantici di Massimo Bartolini con Caudu e Fridu a Palazzo Oneto di Sperlinga in collaborazione con Fondazione Volume; ed infine COME CREATURA mostra personale di Francesco De Grandi presso RizzutoGallery. Serena Ribaudo
Roberto Collovà, Palazzo Costantino Cooking Sections, installazione a Volpe Astuta
I nomi dei 50 artisti e collettivi coinvolti
M
anifesta 12, la biennale nomade di arte e cultura contemporanea, aperta al pubblico dal 16 giugno al 4 novembre a Palermo, in venti sedi della città, propone i lavori di circa50 artisti e collettivi. Il sistema diffuso di mostre, tra installazioni, video, performance, interventi urbani e progetti letterari compone Il Giardino Planetario. Coltivare la Coesistenza, messo a punto dai Creative Mediator di Manifesta 12 Bregtje van der Haak, giornalista e film maker olandese, Andrés Jaque, architetto e ricercatore spagnolo, Ippolito Pestellini Laparelli, architetto nato in Sicilia partner dello studio OMA di Rotterdam e Mirjam Varadinis, curatrice svizzera di arti visive. Fondata nel 1993 dalla storica dell’arte Hedwig Fijen, che ancora oggi la dirige, la biennale nomade europea, promossa dal Comune di Palermo nell’anno di Palermo Capitale Italiana della Cultura, presenta circa 50 progetti artistici di cui 35 nuove opere appositamente commissionate, non soltanto ad artisti nel senso tradizionale del termine, ma scrittori, architetti e registi, invitati nei mesi scorsi a condurre ricerche sul campo e a sviluppare nuovi progetti lavorando a stretto contatto con art producer, operatori locali e associazioni del territorio. I progetti artistici sono pensati come risposta critica alle più urgenti problematiche della contemporaneità, con una particolare attenzione alle tematiche legate alla mobilità internazionale e ai flussi migratori. 30 - segno 269 | SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018
Tanja Bruguera. Foto Wolfgang Traeger
attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE
Il Giardino Planetario si compone di tre sezioni: ‘Garden of Flows’ esplora il concetto di tossicità, la vita delle piante e la botanica in relazione alle risorse del pianeta e al bene comune globale; ‘Out of Control Room’ ha come obiettivo quello di restituire tangibilità alle reti invisibili nel regime dei flussi digitali; infine, ‘City on Stage’ punta ad abbracciare la natura stratificata di Palermo e incoraggiare una comprensione critica di diversi aspetti della vita contemporanea in città. Le tre sezioni si articolano non in sedi artistiche convenzionali o istituzionali, come gallerie o musei, ma in luoghi iconici, e in parte inediti come spazi espositivi: l’Orto Botanico, Palazzo Butera, Volpe Astuta, la Chiesa di Santa Maria dello Spasimo e Giardino dei Giusti per ‘Garden of Flows’; Palazzo Ajutamicristo, Palazzo Forcella De Seta, Casa del Mutilato, Palazzo Trinacria per ‘Out of Control Room’; Palazzo Costantino, Oratorio della Madonna dei Peccatori Pentiti, Oratorio di San Lorenzo, Teatro Garibaldi, Chiesa SS. Euno e Giuliano, Fondazione “Casa Lavoro e Preghiera” Istituto Padre Messina, Costa Sud, Zen 2, e Pizzo Sella per ‘City on Stage’. L’Orto Botanico ospita l’erbario siciliano ideale del colombiano Alberto Baraya, l’orto sperimentale del toscano Leone Contini, la collezione di disegni della nigeriana Toyin Ojin Odutola, la rappresentazione della svedese Malin Franzén, che accosta il metodo seicentesco di stampa naturale del botanico siciliano Paolo Boccone a moderni sistemi di visualizzazione scientifica. Ancora, la creazione di un mercato eterogeneo di Khalil Rabah, le installazioni ambientali di Michael Wang nelle vasche circolari intorno l’area dell’Aquarium, l’installazione dell’artista sudafricana Lungiswa Gqunta che si propone di leggere il giardino come spazio stratificato, dotato di storie, rituali sacri, memoria. A Palazzo Butera sono esposte l’installazione dedicata al sincretismo floreale proprio della Sicilia della brasiliana Maria Thereza Alves, l’installazione immersiva con carta da parati e la Public Fruit Map di Palermo del duo di Los Angeles Fallen Fruit, l’opera ambientale e il film in 16 mm dell’artista torinese Renato Leotta, la video installazione incentrata sul valore della memoria e sul potere evocativo della botanica dello svizzero Uriel Orlow e la serie fotografica di piccole polaroid del russo Sergey Sapozhnikov. La ricerca sugli antichi sistemi agricoli siciliani di irrigazione a secco del collettivo londinese Cooking Sections dà invece la sua raffigurazione a Volpe Astuta, allo Spasimo e al Giardino dei Giusti. Palazzo Ajutamicristo presenta le documentazioni audio, video e fotografiche tratti gli archivi degli attivisti No Muos elaborati dalla cubana Tania Brughera, il progetto partecipato sui temi della migrazione e dell’identità nell’epoca dei big data del bresciano Filippo Minelli, la visualizzazione di dati in una proiezione del cielo di Palermo tra segnali wireless, satelliti, aerei, condizioni dell’aria e correnti dell’olandese Richard Vijgen. Palazzo Forcella De Seta accoglie un video e una scultura dedicati al corpo sociale post-coloniale contemporaneo dell’artista franco-algerino Kader Attia, l’installazione video dei Forensic Oceanography, che si propone di documentare le violazioni dei
Jordi Colomer, New Palermo Felicissima, 2018 Gilles Clément & Coloco, Workshop al lo Zen2. Copyright Manifesta. Foto Cave Studio.
diritti dei migranti che avvengono ai confini marittimi dell’Unione Europea, l’installazione video dell’artista irlandese di computer grafica John Gerrard, la serie di ritratti ispirati alla Carta di Palermo, siglata nel 2015, che affronta i temi dell’integrazione e della cittadinanza dell’olandese Patricia Kaersenhout, l’inchiesta dedicata alle donne rifugiate in Europa fuggite da zone di guerra in Iraq del turco Erkan Özgen, il viaggio narrativo nel paesaggio siciliano della regista Premio Oscar Laura Poitras, che sottolinea la forte presenza delle basi militari statunitensi sull’Isola. Se Casa del Mutilato ospita la video installazione della spagnola Cristina Lucas, una video installazione a tre canali che mostra tutti i bombardamenti aerei sulle aree civili negli ultimi cinque anni, Palazzo Trinacria quella della russa Taus Makhacheva, che propone il video di una performance sviluppata per la 57° Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia. A Palazzo Costantino sono restituite le rappresentazioni visive dei progetti urbani sviluppati allo Zen, a Pizzo Sella e nella Costa Sud. Rispettivamente l’ideazione di un giardino urbano nel quartiere Zen, a cura del paesaggista e filosofo Gilles Clément, che ha ispirato l’intera biennale con il suo libro “Il Giardino Planetario”, in collaborazione con lo studio di progettazione multidisciplinare Coloco; l’intervento urbano nell’area di Pizzo Sella, a nord di Palermo, del collettivo belga di architetti Rotor; l’intervento ideale nella Costa Sud dell’architetto palermitano Roberto Collovà. Palazzo Costantino ospita anche la raffigurazione preparatoria e partecipativa delle performance di Jelili Atiku, pioniere della performance art contemporanea in Nigeria, e dell’italiana Matilde Cassani ai Quattro Canti di Palermo. L’atrio di Palazzo Costantino ospita infine l’installazione multimediale del duo artistico Masbedo, un “video-carro” itinerante che presenta attraverso i suoi schermi i luoghi che hanno accolto set cinematografici a Palermo. All’Oratorio della Madonna dei Peccatori Pentiti, video installazione dell’artista italiano Yuri Ancarani, tra cui il lavoro Lapidi, dedicato al ricordo dei magistrati, civili, giornalisti, agenti vittime della mafia a Palermo, mentre l’Oratorio di San Lorenzo offre il lavoro dell’artista performativa olandese di origini croate Nora Turato, la quale descrive la tradizione delle cosiddette donas de fuera siciliane, ovvero le “donne dell’altrove” che ai tempi dell’Inquisizione spagnola venivano additate come reiette a causa dei comportamenti fuori dagli schemi. La Chiesa SS.Euno e Giuliano accoglie la mostra descrittiva del processo preparatorio e partecipativo alla processione di Marinella Senatore, un vero e proprio movimento collettivo in danza per le strade del centro storico di Palermo; la Fondazione “Casa Lavoro e Preghiera” Istituto Padre Messina ospita il film di Jordi Colomer, che ricompone una processione laica su alcune barche in mare che parte dalla Caletta Sant’Erasmo e si muove lungo la Costa Sud di Palermo. Il Teatro Garibaldi, quartier generale di Manifesta 12, presenta la raffigurazione visiva dei progetti di Giorgio Vasta e di Wu Ming 2. Il primo, scrittore e sceneggiatore palermitano, propone un podcast digitale dedicato alla narrazione della città, mentre Wu Ming 2 un percorso narrativo, interattivo e urbano, legato al periodo del colonialismo italiano. Il Teatro Garibaldi ospita anche parte del Public Programme, la redazione di Chimurenga, progetto editoriale realizzato da una pluralità di redattori provenienti dall’Africa, al lavoro sulla realizzazione di un numero speciale di “The Chronic” in uscita a fine ottobre 2018 e incentrato sui temi del movimento e dell’assenza di confini e le conferenze, eventi live, interventi sonori e le iniziative sul tema del Black Mediterranean a cura di Invernomuto, duo artistico che predilige l’immagine in movimento e il suono come mezzi di ricerca privilegiati. Completano la lista degli artisti di Manifesta 12 il cinese Zheng Bo, esperto in tematiche sociali ed ecologiche, il quale esplora il tema eco-queer e le sue potenzialità; l’olandese Melanie Bonajo, che propone un documentario sperimentale in tre parti dedicato allo straniamento diffuso in Occidente nei confronti della natura; l’inglese James Bridle, con il suo concetto di “cittadinanza algoritmica”; l’algerina Lydia Ourahmane, la quale espone a Palermo un’installazione sonora, la prima opera a essere legalmente esportata dall’Algeria dal 1962; l’americano Trevor Paglen, con un progetto incentrato sulle tecniche di riconoscimento facciale; il libanese Rayyane Tabet, con un provocatorio progetto dedicato alla Trans-Arabian Pipeline; infine il collettivo tedesco Peng! Collective, con due progetti tra cui un’installazione che consente di telefonare in modo diretto e anonimo a dei funzionari di agenzie di servizi segreti. Parallelamente al programma principale, Manifesta 12 propone un programma parallelo di eventi collaterali realizzati in collaborazione con artisti locali, musei, istituzioni e professionisti del settore culturale. n SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018 | 269 segno - 31
MAMbo, Museo d’Arte Moderna Bologna
That’s IT!
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l significato di “confine” possiamo facilmente giustapporlo a quello di “limite” oppure di “conclusione”, termini fra loro vicini, tutti alla base del concetto di “forma”. Quest’ultima a sua volta, nel ricordare un famoso saggio del filosofo György Lukács, la descriviamo come quella condizione nella quale la vita è sottratta al suo fluire per acquistare senso e universalità. Allontanandoci dal pensiero dello studioso ungherese e concentrandoci sul nostro modello di esistenza civile possiamo soffermarci sugli ideali comuni, quelle idee condivise sulle quali uomini e intellettuali fondano le loro scelte, oppure formulano i loro giudizi. Possiamo così osservare come l’affermarsi di un rinnovato senso delle cose ha inevitabilmente luogo dalla modifica o dal crollo di numerosi limiti o “confini”. Interprete di una delle questioni più accese del recente dibattito socioculturale, la riflessione sui confini è al centro della collettiva That’s IT! Sull’ultima generazione di artisti in Italia e a un metro e ottanta dal confine, a cura di Lorenzo Balbi, allestita al MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna fino all’11 novembre. La mostra si pone come osservatorio sulla ricerca visiva nel nostro paese da parte degli artisti più giovani e l’ultima parte del titolo lascia intendere la novità che si vuole introdurre al metodo consueto di applicare i limiti e le demarcazioni. Il tema del confine, alla mostra del museo bolognese, è indagato innanzi tutto a partire dal suo significato geografico e medita sulla funzione delle barriere in un mondo regolato dal mercato globale, dove l’identità sociale tende ad essere fluida e la mobilità degli individui frequente. Un mondo, tuttavia, nei fatti ancora diviso in macro aree segnate da rilevanti diversità nell’ambito della cultura, dei diritti sociali e, soprattutto, da una profonda disuguaglianza nella distribuzione delle risorse. Con la questione del limite geografico ha fatto i conti la curatela al momento di attribuire la cittadinanza artistica ai giovani partecipanti. La riflessione in questo campo si è svolta innanzi tutto attorno al tema della territorialità dell’arte e dei criteri per attribuirla. Il luogo del confine tradizionale quindi, al termine della ricerca, appare modificato all’insegna di un principio che il curatore definisce “Ius soli culturale”. Questo criterio fa annoverare tra gli artisti del nostro paese non soltanto coloro che vi sono nati e vi risiedono ma anche i cittadini italiani residenti all’estero, gli artisti di nazionalità straniera che operano in Italia e coloro che, nati e residenti all’estero, hanno svolto un periodo di studio o di lavoro nel nostro paese. Il secondo confine attorno al quale la mostra propone una riflessione riguarda i limiti anagrafici degli artisti invitati e in questo caso la soluzione al problema mantiene orientativamente saldo il limite
Ruth Beraha, Us (self-portrait), 2018 (acquario, 31 pesci piranha, scultura in terracotta / fish tank, 31 piranha fishes, terracotta sculpture) courtesy l’artista / of the artist. veduta dell’allestimento presso / installation view at MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna. photo E&B
tradizionale, l’arco temporale considerato comprende gli artisti nati tra il 1980 e il 1992. L’altra modalità di intendere i confini proposta dalla collettiva al MAMbo riguarda da un lato i medium usati dagli artisti da invitare, se considerarli cioè più o meno rappresentativi di una ricerca generazionale, dall’altro i limiti fisici della struttura museale. Questa volta tuttavia scelta finale è coincisa in entrambi i casi con la volontà di rimuovere ogni barriera. A ciascun artista è stata lasciata la possibilità
Benni Bosetto, Allegro ma non troppo, 2018 (PVC, tessuto, acrilico / PVC, fabric, acrylic) courtesy l’artista e / of the artist and ADA, Roma / Rome. veduta dell’allestimento presso / installation view at MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna. photo E&B Photo Petrit Halilaj, Moth # 11, 12, 13, 14, 15, 2017 (cornice di legno realizzata dall’artista, tappeto Kilim del Kosovo, inchiostro nero su carta e puntine metalliche.) Courtesy l’artista e / of the artist and ChertLüdde, Berlino; collezione privata, Firenze / Collezione Nicoletta Rusconi. Veduta dell’allestimento presso MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna. Photo E&B
That’s IT! Sull’ultima generazione di artisti in Italia e a un metro e ottanta dal confine / On the newest generation of artists in Italy and one meter eighty from the border (veduta dell’allestimento presso / installation view at MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna). photo E&B Photo
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attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE
di utilizzare il mezzo espressivo più congeniale e la sala espositiva è entrata in corrispondenza osmotica con gli spazi adiacenti, interni ed esterni al museo. Le opere esposte dunque testimoniano l’uso molteplici strumenti, da quelli più tradizionali come pittura e scultura, a quelli introdotti nel secolo scorso come fotografia, video o installazioni. A colpire maggiormente è il chiaro rifiuto da parte di questi artisti di collegare l’originalità di una ricerca artistica alla novità del mezzo espressivo. In alcuni casi è lasciata persino intuire una generale disponibilità a ricorrere a linguaggi molto diversi tra loro da parte di un singolo artista, che rinuncia così a sceglierne uno di elezione. Per quel che concerne lo spazio espositivo la collettiva al MAMbo inaugura il nuovo assetto della sala espositiva, nella quale sono stati rimossi i pannelli che delimitavano gli spazi interni. Sono stati soprattutto rimossi però i pannelli che occultavano lo spazio espositivo ai passanti della strada adiacente. Superando così il principio del “white cube” viene a instaurarsi un dialogo tra dentro e fuori, allo stesso tempo si valorizza la struttura originale dell’edificio con la quale gli artisti d’ora in poi sono invitati a misurarsi. L’allestimento è inoltre realizzato con l’intento di effettuare contaminazioni tra aree interne generalmente destinate a diverse funzioni. Sono presenti dunque installazioni nell’atrio d’ingresso, lungo il precorso della collezione permanente e nell’area destinata alla didattica. Sono state inoltre rimosse le coperture alle finestre che dal corridoio del primo piano si affacciano sulla sala espositiva. L’ultimo confine scardinato infine durante la realizzazione della mo-
straa cura di Lorenzo Balbi è quello che rigidamente separa il fare artistico dalla pratica curatoriale. La scelta delle opere infatti, come riferito dallo stesso direttore artistico, è avvenuta nel corso di un dialogo paritario tra quest’ultimo e gli artisti invitati, ai quali è stato chiesto di suggerire in modo autonomo l’opera più rappresentativa della loro poetica. Il profilo della nuova generazione, così come appare in questa collettiva mostra la volontà da parte di quest’utlima di comprendere il presente, nella coscienza che la possibilità concreta di innescarvi dei mutamenti è assai limitata. Gli argomenti di riflessione più frequenti nelle proposte degli artisti partecipanti sono quelli al centro del dibattito che anima la nostra società. Ricorrono infatti i temi sociologici o economici, quelli legati all’emigrazione oppure all’impatto sociale delle tecnologie. L’approccio poetico adottato da questi giovani autori mostra la conoscenza di quanto realizzato dalla generazione degli artisti nati negli anni ‘40, i protagonisti cioè delle neoavanguardie. Il riconoscimento dei movimenti che hanno animato la seconda metà dello scorso secolo tuttavia si associa tuttavia anche all’elaborazione dei loro insegnamenti. L’abbattimento di vecchi confini e il rinnovamento delle forme del nostro pensiero si accompagna quindi alla necessità di abbandonare “tradizionali” atteggiamenti di rottura, la cui efficacia innovativa tuttavia risulta ormai consumata. Nello sguardo della nuova generazione infatti non si legge più nostalgia, né aneliti a riportare alla luce il passato, soltanto la necessità di essere nel proprio tempo meditandovi con lucido disincanto. Francesca Cammarata
Michele Sibiloni, Fuck it, 2016 (stampa su dybond / dybond print) courtesy l’artista / of the artist. Veduta dell’allestimento presso / installation view at CorrainiMAMbo artbookshop, Bologna. photo E&B Photo
That’s IT! Sull’ultima generazione di artisti in Italia e a un metro e ottanta dal confine / On the newest generation of artists in Italy and one meter eighty from the border (veduta dell’allestimento presso / installation view at MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna). photo E&B Photo
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Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma
en vengano le collaborazioni tra istituzioni culturali diverse e distanti geograficamente, come tra la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma e il Today Art Museum di Pechino, museo privato no-profit, per la mostra BRIC-à-brac | The Jumble of Growth alla Galleria Nazionale. Il progetto è a cura di Gerardo Mosquera e Huang Du, l’uno cubano e l’altro cinese, che hanno dato una personale lettura del contesto artistico di paesi e culture differenti nella dimensione globale. Dal gioco di parole francese bric-à-brac si fa riferimento sia all’insieme di cose alquanto eterogenee e scompagnate, messe insieme in uno stesso contesto, sia a BRIC - termine economico internazionale - che sta a indicare il
Brasile, la Russia, l’India e la Cina, paesi attualmente in forte ascesa economica. Come nel compulsivo percorso di crescita di PIL, avvenuto per questi paesi in tempi molto brevi e con conseguenze globali decisive, anche nell’ambito dell’arte la dinamicità si è registrata nei momenti di cambiamento degli assetti internazionali. Quante possibilità di lettura ci possono essere di realtà così diverse, ma caratterizzate da una simile trasformazione economica. Nella crescita repentina si sono raggiunti mutamenti sostanziali e diseguaglianze sociali, espresse in evidenti rimandi artistici e culturali, ben visibili nelle opere in mostra. Il ruolo svolto dai quattro paesi, accomunati dal boom di mercato, è sempre più sentito e a volte subito dalle consolidate potenze economiche che per decenni hanno dominato i mercati globali, condizionando politiche e scelte culturali. L’elemento fortemente riconoscibile e caratterizzante della mostra è A…O ! / A…O ! di Tian Langyu, l’elefante tigre che domina il Salone Centrale del Museo, concretizzazione di quei contrasti, ibridazioni e contraddizioni che l’insieme dei capovolgimenti economici hanno portato a risonanze internazionali. I 34 artisti originari di diverse parti del mondo, dall’Oriente
Fernando Sánchez Castillo, Terracotta Army, 2016 (Collezione dell’artista, Spagna)
Lu Lei, Pretending Egomania – 2015 Today Art Museum, Pechino
BRIC-à-BRAC The Jumble of Growth
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Wang Guangyi, Study for Putianzhixia Mofeiwangtu, 2016
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attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE
all’Occidente, danno letture eterogenee di contesti ipertrofici, come Consume di Gao Weigang, il preludio espositivo, che sembra rappresentare come siamo costretti e ingabbiati in una condizione di abbuffata indistinta ma dorata: di stimoli esterni, prodotti di consumo, rapporti. I fotomontaggi di Du Zhenjun o Terracotta Army di Fernando Sánchez Castillo, ma anche Cloaca Travel Kit di Wim Delvoye sono esempi di opere provenienti da contesti geograficamente lontani, ma espressione di una lingua comune, della visione del cambiamento di cui si subiscono le forzature globali, di massificazione e stravolgimento culturale; di alienazione. Non solo quindi, artisti provenienti dai paesi BRIC ma anche dal Belgio, la Corea del Sud, Cuba, Kurdistan, Iraq, Italia, Marocco, Messico, Panama, Repubblica Ceca, Spagna, Sud Africa e Svizzera; tutti accomunati dall’esigenza di esprimere una visione delle trasformazioni in atto. Reazione e/o partecipazione, l’arte da il suo contributo al cambiamento, in distinte lingue e culture, ma in una comunicazione quasi “comunitaria”, veloce e diretta. Il corpo della società in trasformazione prende forme diverse e, nel “guazzabuglio di crescita”, esprime la complessità del reale in uno sconfinato post-moderno. Ilaria Piccioni
Bric-à-Brac, The Jumble of Growth, veduta delle installazioni; Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma; (nella foto a destra) Tian Longyu, A...O ! / A...O ! , 2014 - 2015 courtesy Today Art Museum, Pechino. Nella pagina precedente: Gao Weigang, Consume, 2014, Today Art Museum, Pechino
Gli artisti: Wim Delvoye (Belgio); Anna Maria Maiolino, Cinthia Marcelle (Brasile); Wang Guofeng, Wang Guangyi, Ni Haifeng, Wang Lijun, Tian Longyu, Lei Lu, Weng Fen, Gao Weigang, Yang Xinguang, Lu Zhengyuan, Du Zhenjun (Cina); Young-Hae Chang Heavy Industries (Corea del Sud); Wilfredo Prieto (Cuba); Shilpa Gupta (India); Jamal Penjweny (Kurdistan, Iraq); Carla Accardi, Enzo Cucchi, Francesco Clemente, Mimmo Rotella (Italia); Damián Ortega (Messico); Mounir Fatmi (Marocco); Donna Conlon/Jonathan Harker (Panama); Jirì Kolár (Repubblica Ceca); AES+F (Russia); Cristina Lucas, Fernando Sánchez Castillo (Spagna); Kendell Geers (Sudafrica); Thomas Hirschhorn (Svizzera).
Du Zhenjun, The Nap Carnavale, 2010 Today Art Museum, Pechino
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Daniel Buren & Anish Kapoor A sei mani 2018 (lavoro in situ vinile adesivo bianco largo 8,7 cm, pvc nero, ferro dimensioni site specific) Courtesy: the artist and Galleria Continua, San Gimignano / Beijing / Les Moulins / Habana. Photo by: Ela Bialkowska, OKNO Studio
Galleria Continua San Gimignano
Daniel BUREN & Anish KAPOOR Eventi collaterali Carlos
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Garaicoa Ornaghi & Prestinari
caturita da un progetto ispirato da Lorenzo Fiaschi, condirettore assieme a Maurizio Rigillo e a Mario Cristiani di Galleria Continua, la mostra Daniel Buren & Anish Kapoor allestita nella sede di San Gimignano ha rappresentato un evento di notevole rilievo. Di generazioni diverse, universalmente riconosciuti come Maestri a livello mondiale per le soluzioni radicalmente innovative nell’arte fra il XX e XXI sec., gli artisti hanno realizzato un avvincente itinerario espositivo che ha come motivi dominanti il
colore, lo spazio e la loro percezione e che armonizzando i due diversi linguaggi costruisce un’unica visione a livello concettuale ed estetico. Nella prima sala in un’essenziale presentazione sono esposte alcune opere risalenti agli esordi dell’attività di entrambi gli artisti. I quadri di Daniel Buren del 1964-1965 pongono l’accento sulla spazialità e sulla luce, sia nelle composizioni a collage che nelle ampie tele dalle campiture monocrome a contornare irregolari strisce, dipinte di vario colore. Le opere di Anish Kapoor
Anish Kapoor, 1000 Names, 1982 (resina, pigmento rosso 180 x 60 x 45 cm) Courtesy: the artist and Galleria Continua, San Gimignano / Beijing / Les Moulins / Habana. Photo by: Ela Bialkowska, OKNO Studio
Anish Kapoor, Invisible object, 2015 (resina - 143 x 80 x 80 cm) Courtesy: the artist and Galleria Continua, San Gimignano / Beijing / Les Moulins / Habana. Photo by: Ela Bialkowska, OKNO Studio
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attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE
Daniel Buren & Anish Kapoor A sei mani 2018 (lavoro in situ vinile adesivo bianco largo 8,7 cm, pvc nero, ferro dimensioni site specific) Courtesy: the artist and Galleria Continua, San Gimignano / Beijing / Les Moulins / Habana. Photo by: Ela Bialkowska, OKNO Studio
del 1982, realizzate dopo un viaggio in India, suo paese natale, e in ricordo dei variopinti mercati di spezie, sono forme scultoree aggettanti o con fenditure, caratterizzate da cumuli di pigmento puro, nei toni caldi dell’ arancio, del giallo e del rosso o in un profondo blu, in una voluta e progressiva rarefazione della materia cromatica che dall’opera deborda sulla parete fino a terra. Buren nella seconda metà degli anni Sessanta abbandona la ricerca precedente per tornare al grado zero della pittura, costituito d’ora in poi da semplici bande bianche e colorate, forme verticali, non più segno pittorico ma “utensile visivo” regolare e immutabile, della larghezza standard di 8,7 cm. Con questo strumento nascono opere realizzate in situ, allestite al di fuori dei tradizionali spazi espositivi. Da bidimensionali ed effimere, da scampolo di tessuto a prodotto industriale, le installazioni dell’artista si trasformano in veri e propri spazi in terza dimensione, fatti di materie nobili o plastiche, collocati in contesti urbani e paesaggistici. È del 1975 la prima Cabane Eclatée che “ fissa, indica e sottolinea” l’esistenza del reale in inusitate prospettive,
come del resto i molteplici interventi in luoghi pubblici. Kapoor artista di confine fra due culture, quella occidentale e orientale, porta nella sua opera l’eco di forme arcaiche, apparizioni epifaniche che coniugano l’azione ‘pittorica’ con quella ‘plastica’: installazioni fortemente vibranti a livello cromatico o per le forme essenziali,costituite da varie materie, tra cui pietra, alabastro o metallo. La dialettica di elementi opposti e di motivi dicotomici, quali interno ed esterno, fluido e solido, liscio e opaco, pieno e vuoto, lieve e pesante, lucente e oscuro, finito e infinito connotano il suo lavoro, inducendo a riflessioni che toccano vari ambiti, dalla filosofia alla spiritualità. La colossale opera “A sei mani” nella platea dell’ex cinema, nata dalla progettazione congiunta dei due artisti, con il coordinamento di Lorenzo Fiaschi, mostra nel pavimento strisce bianche e nere da cui partono vele in fitta rete metallica fissate su rombi collocati al suolo in un caratterizzante rapporto di diagonali; sono estese fino al soffitto e occupano il volume dell’intera sala, che diventa percorribile solo lateralmente. Le cinque campate, la loro scan-
Daniel Buren & Anish Kapoor, veduta della mostra Galleria Continua, San Gimignano 2018. Courtesy: the artist and Galleria Continua, San Gimignano / Beijing / Les Moulins / Habana. Photo by: Ela Bialkowska, OKNO Studio
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Anish Kapoor, veduta della mostra Galleria Continua, San Gimignano 1970. Courtesy: the artist and Galleria Continua, San Gimignano / Beijing / Les Moulins / Habana. Photo by: Ela Bialkowska, OKNO Studio
sione ritmica, nonché la reiterazione della figura del rombo che interseca gli smisurati ‘fogli’ di rete anch’essi formati dalla medesima geometria ma a livello infinitesimale, creano un effetto di spaesamento ottico, dovuto anche alla luminosità proveniente dall’alto che determina, assieme alla diversa concentrazione della rete, intensi contrasti di luce e oscurità. Le interferenze visive, la destrutturazione dello spazio, la riflessione dell’ambiente e dello spettatore negli oggetti in forme specchianti, in dialogo con le distintive strisce, nonché il contrasto fra stasi e dinamismo connotano tutto il percorso espositivo e sorprendono il visitatore che si lascia coinvolgere nel gioco percettivo di colore, spazio e materia. La personale “Abismo” dell’artista cubano Carlos Garaicoa allestita all’Arco dei Becci induce con il suo video, tra l’altro premiato e riconosciuto internazionalmente, a riflettere su tematiche storico-politiche. Due mani, disegnate a sanguigna, si muovono su uno sfondo monocromo, accompagnate dalla musica di Olivier Messiaen che la compose ed eseguì nel 1941 in campo di concentramento. Il soggetto, secondo quanto afferma l’artista, si
basa sulla “ rappresentazione teatrale dei discorsi di Hitler e sulla sua ossessione per la musica classica”. Nella trasformazione che Garaicoa compie con la sua opera, modificando la memoria di eventi di terrore e morte in “danza della vita” , vi è l’implicita certezza che la musica e l’arte possano mutare l’orrore in bellezza. “Keeping Things Whole”, la personale di Ornaghi & Prestinari, propone installazioni di “cose tenute insieme”, essendo queste “aspetti, parti, di una stessa complessità”, come loro stessi dichiarano. È proprio intorno agli oggetti più banali dell’esistenza umana nonché a sculture di materiali vari, connotate dalla sapienza del “fare”, che si concentra il progetto espositivo, con opere anche recentissime. Cultura dei materiali, rievocazioni attualizzate dell’arte del passato e attenzione alle cose ispirano il lavoro di Valentina Ornaghi e di Claudio Prestinari. I loro “micro racconti” suggeriscono equilibri, polisemie, intimità domestiche, relazioni e contaminazioni, in cui la realtà più ordinaria emerge, secondo quanto affermano, “concreta e paradossale, tesa tra il quotidiano e il vuoto”. Rita Olivieri
Anish Kapoor, veduta della mostra Galleria Continua, San Gimignano 1990. Courtesy: the artist and Galleria Continua, San Gimignano / Beijing / Les Moulins / Habana. Photo by: Ela Bialkowska, OKNO Studio
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attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE
Forte di Belvedere, Firenze
Eliseo MATTIACCI
L
a meditazione cosmica suscitata dalla caduta d’una meteora è l’inevitabile e progressiva conseguenza giunta dall’esperienza estatica iniziale: la bellezza del cielo provoca sorpresa e appagamento come altrettanto sgomento e diniego per la condizione individuale. Così nasce la poesia. Osservare il cielo per Eliseo Mattiacci non consiste nel mero esercizio poetico, ma ricercare, anzi, ripristinare in senso panteistico quell’armonia con il cosmo propria di un sapere antico, senza privarsi di quella rivelante tensione romantica trasmigrata nell’arte del Novecento, piuttosto addolcendola nella razionalità della scienza fisica. Tocca all’artista marchigiano, originario di Cagli, dunque, calcare quest’estate il palcoscenico del Forte Belvedere fiorentino, sempre più collaudato alle proposte in grande stile di arte contemporanea. Dopo le monografiche esposizioni, invero alquanto sperimentali, di Giuseppe Penone, Antony Gormely e Jan Fabre e la barocca e convincente Ytalia, la retrospettiva di Mattiacci acquista una maturazione strutturale e narrativa dovuta, in primo luogo, alla conciliazione dell’artista con la carica mistica e storica del luogo; fa notare Sergio Risaliti, curatore della mostra e direttore artistico del Museo Novecento, la continuità dell’autore con figure dallo spessore di Lucrezio, Galileo e Leopardi, tutte accomunate dalla sete di infinito, la stessa emergente dal panorama del Forte, indirettamente costringente a forme monumentali nell’offerta espositiva, cui il Mattiacci non si è mai sottratto. A distinguere Gong, si diceva, contribuisce anche un percorso narrativo più compiuto e fruibile integrando maggiormente il rapporto tra gli spazi interni ed esterni del Forte, esaltando la matrice romantica dell’allestimento: se in Ytalia fluiva una pienezza stabile, lacustre, che portava al pensiero leopardiano che “Tutto è nulla”, in Gong prende corpo la figura retorica del climax (o anticlimax, a seconda della direzione scelta) resa sintetica nell’oscillazione funzionale dell’opera-titolo Colpo di Gong (1993), baluardo prezioso in tutte le declinazioni della mostra. Appare quindi basilare, matura, ai limiti del “classico” l’offerta esterna delle opere, quanto ricercata, arcaica e vibrante la mostra degli spazi interni al Forte, ricca di disegni e di echi sciamanici, cattura il pensiero, per non dire lo spirito, dell’indagine del Mattiacci cogliendo il suo principio cosmografico. Chiara e forte l’estrazione letteraria, ma non meno persistente la riflessione filosofica
di questa operazione sofisticata pregna delle idee di un Cusano sulla coincidenza degli opposti, dove la mostra interna ed esterna si identificano in medesimo valore, e soprattutto di Giordano Bruno sull’universalità vivente della materia, in particolare nel magnetismo valido tanto per minuti oggetti statici quanto per le orbite spaziali, con una piacevole vena mistica altrimenti magica. Così in totale simbiosi con il paesaggio e la storia diventano le venti sculture allocate tra i bastioni, doverosamente citabile per l’estrema grazia Fulmine-Saetta (1987), non meno energiche le proposte parietali ed installative delle stanze, di caratura fortemente esperienziale come ben (di)mostrato in Recupero di un mito (1975); siderale e onnisciente, il linguaggio di Mattiacci
Eliseo Mattiacci, Veduta delle installazioni, Forte di Belvedere, Firenze, 2018
porta tutt’ora freschezza e spunti di riflessione, una lettura affatto scontata e riemergente anche nelle proposte più recenti (pensate all’installazione Pars pro Toto di Alicja Kwade presso l’Arsenale alla Biennale di Venezia 2017) con la capacità di non risentire affatto dei castighi del tempo ma vivere in un continuo e costante divenire, come pioggia sottile o un giorno incerto di nuvole e sole. Luca Sposato
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Galleria Fumagalli, Milano
Keith SONNIER
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e il 1966 è l’anno in Kynaston McShine cura Primary Structure presso il Jewish Museum di New York, consacrando così sulla scena dell’arte ufficiale il minimalismo ed i suoi protagonisti, una sorta di risposta agli assunti di tale movimento arriva entro il medesimo anno – e nella medesima città - con Eccentric Abstraction, curata da Lucy Lippard presso la Fischbach Gallery. Alla rigida serialità minimalista, l’astrazione eccentrica risponde con una non figuratività che però rilancia la morbidezza e l’imperfezione dell’organico; alla celebrazione spersonalizzata del minimalismo, l’astrazione eccentrica oppone il registro anti-celebrativo dell’incongruo, dell’incoerente, dell’incompiuto, dell’asimmetrico, del non razionale; tanto il minimalismo è asessuato quanto l’astrazione eccentrica è emersione di pulsione libidica. Certe sequenze tipiche di quest’ultima, quelle della compianta Eva Hesse, ad esempio, sono del resto pressoché una caricatura, una irrisione delle impeccabili - quasi militaresche ai suoi occhi - sequenze minimaliste di un Donald Judd. Oltre alla Hesse, protagonista – e in un certo qual modo precorritrice della tendenza - di Eccentric Abstraction è Louise Bourgeois – la presenza in prima fila di donne è un altro tratto significativo e caratteristico di questa tendenza, nonché distintivo rispetto al minimalismo -, ma anche l’oggi celeberrimo Bruce Nauman, nonché Keith Sonnier (Mamou, Louisiana, 1941), il quale probabilmente in Italia e non solo è quello ad avere per ora minore fortuna degli altri esponenti citati, benché anch’egli ormai capace di vantare un percorso di tutto rispetto, oltre che parimenti pioniere di questo movimento di critica del minimalismo che, assolutamente parallelo a quest’ultimo, lo confuta nello stesso momento in cui intende schiudere diversi, più ampi e meno univoci orizzonti, non espellendo peraltro dal quadro della ricerca la tensione all’ironia ed additando conseguentemente al suo antagonista una certa quale seriosità di fondo come punto debole. Se il minimalismo è l’apoteosi del progetto, recuperando in ciò il costruttivismo russo, l’astrazione eccentrica – anche detta antiform o più genericamente post-minimalista -, si rifà al caso, re-
cuperando una linea che dal dada e da Marcel Duchamp arriva fino a Fluxus. Già in tal senso sono inquadrabili opere eseguite da Sonnier alla fine degli anni sessanta come i Cloth series e i Files series. Non è ancora giunto il decennio successivo, tuttavia, che l’artista statunitense introduce i tubi al neon nella sua ricerca, una scelta che lo conduce inevitabilmente ad un dialogo-confronto, anche indiretto, con un esponente minimalista in particolare, Dan Flavin. Se i due sono accomunati da una concezione del colore-luce che non è più colore trattato in maniera tale da assomigliare alla luce - come ancora avviene in colui che potrebbe considerarsi il precursore loro più prossimo in tal senso, Mark Rotko -, bensì luce che genera colore, la divergenza avviene sul piano del significato che questo colore-luce assume. In Flavin c’è ancora un aggancio più saldo non solo e non tanto alla tradizione dell’informale americano alla Barnett Newman o allo stesso Rotko, ma anche all’astrazione suprematista russa di Maleviç – ancora una volta le avanguardie russe degli anni dieci irrompono negli apparentemente distantissimi, su di un piano politico, sociale ed economico, Stati Uniti della seconda metà degli anni sessanta – e quindi, tramite Maleviç, alla stessa tradizione dell’icona russa e bizantina. Certo già in Flavin sussiste una forte critica di questa tradizione, giacché si rievoca il sacro - e quindi l’aura - attraverso la luce, nello stesso momento in cui si evidenzia la sua riproducibilità tecnica – e quindi si determi-
Keith Sonnier, Motordom (2004). Neon, argon, aluminum housing. Permanent Exterior courtyard installation for Caltrans District 7 Headquarters. 100 S Main St, Los Angeles, CA 90012, Commissioned by the State of California, Department of General Services. Architect: Morphosis - Thom Mayne. Photographs: Roland Halbe. Courtesy of Keith Sonnier Studio © 2018 Keith Sonnier/ Artist’s Rights Society (ARS), New York.
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attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE
na la perdita dell’aura – attraverso l’indispensabilità dei tubi al neon, per non parlare delle prese di corrente e dei rispettivi fili. Il sacro del XX secolo si scopre così nel suo carattere posticcio: se il sacro tradizionalmente è impronta dell’assoluto e quindi irrelato, qui il sacro è tutto tranne che irrelato, in quanto strettamente dipendente dalla razionalità scientifica rappresentata dalla presa di corrente e potenzialmente persino dal capriccio dell’uomo che può attaccare e staccare la spina a suo piacimento. Il sacro si rivela infine una ossimorica intermittenza. L’uso condotto da Sonnier del neon va invece ben oltre fin dall’inizio, come si evince dalla mostra in esame, Light Works, 1968 to 2017, la quale, secondo quanto suggerisce il titolo stesso, attraversa sia pure in estrema sintesi un cinquantennio di produzione in tal senso. I suoi neon sono sempre infatti linee che si fanno profili di forme organiche ed irregolari, in perfetta sintonia con l’astrazione eccentrica. Non vi è dunque spazio per il sacro, o almeno non per il sacro che discende dal paradigma dell’icona bizantina, con la sua fissità ed il suo silenzio. Le sculture di Sonnier sono trasfigurazioni con mezzi tecnologici non dunque del mistero dell’assoluto, bensì del mistero del contingente. Gli elementi di una tecnologia peraltro ormai non particolarmente avanzata per quell’epoca divengono, in altre parole, strumenti che plasmano le forme del vitale pur facendole slittare su di un piano differente, un piano in cui la tecnica non si sostituisce alla natura come facilitatore di certi processi necessari all’uomo per dominarla e così sopravvivere, ma la rimpiazza sul piano della mera funzione estetica, tentando anche un suo superamentomiglioramento – i colori dei neon non esistono in natura, tali colori non si riflettono in natura sui muri, ampliando il raggio coloristico della superficie delle sculture. Col tempo i tubi al neon non si accontentano del piano ma aggrediscono la terza dimensione, si aggrovigliano su se stessi determinando una composizione innaturalmente prossima al biologico. Se Pollock ha bisogno di un rituale basato sullo scavo nell’inconscio ove tra impulso e scrittura non c’è soluzione di continuità, recuperando il primigenio nell’ambito dell’arte di lì a poco considerata “più avanzata del momento”, Sonnier necessita – è vero - di un intervallo tra ideazione e materializzazione, eppure la prima non possiede nulla di razionalista, ma come nell’artista del Wyoming – riferimento privilegiato peraltro anche di altri artisti antiform, da Richard Serra a Robert Morris – l’irriducibilità della natura, sia pure rivestita dei materiali della tecnologia, si manifesta. Stefano Taccone Keith Sonnier, Lichtweg (1990-1992). 1000 meter long neon corridor. Permanent neon installation in the corridor with moving walkway at Munich International Airport, Germany. Commissioned by the City of Munich. Architect: Busso von Busse. Photographs: Uwe Seyl. Courtesy of Keith Sonnier Studio. © 2018 Keith Sonnier/ Artist’s Rights Society (ARS), New York.
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A Arte Invernizzi, Milano
Alan CHARLTON Grey paintings
Q
uando, nell’autunno del 1972, la galleria Konrad Fischer di Düsseldorf esponeva per la prima volta le opere di Alan Charlton, per gli spettatori dovette essere un’esperienza piuttosto complessa. I quadri dell’artista inglese respingevano gli spettatori con la loro implacabile monocromia grigia, ottenuta con una stesura piatta e impersonale, e dall’altro con delle forme primarie che sembravano non lasciare adito a ulteriori osservazioni. Cosa dire di questi quadri? Sono definibili come quadri? Qual’è il merito di un artista che dipinge, usando le parole dello stesso Charlton, come un «carpentiere che lavora ad una sedia»? Le opere dell’inglese continuarono tuttavia a venire esposte e progressivamente guadagnarono una notorietà sempre maggiore, travalicando i confini europei. Questo avvenne perché, nonostante la loro opacità visiva, queste grandi tele monocrome esercitavano un’attrazione fortissima sui visitatori. Gli scritti di Robert Morris e Donald Judd ci spiegano molto bene come “funzionano” opere di questo tipo. Eliminando gli elementi da cui deriva la complessità visiva del quadro (la stesura del colore e i suoi passaggi di tono, la composizione delle forme etc.) se ne elimina qualsiasi interesse non solo narrativo e contenutistico, ma anche visivo, poiché si impedisce allo spettatore anche solo di ripercorrere la direzione delle pennellate di un Robert Ryman o di lasciarsi catturare dalla vibrante monocromia di un Ad Reinhardt. Conseguenza di questo azzeramento è la creazione di un quadro-oggetto compatto, che non può essere scomposto dallo sguardo del visitatore, al quale non rimane quindi che prendere atto dell’esistenza di questa presenza nello stesso spazio da lui percorso. Ci si trovava costretti a fare i conti con questi oggetti, con il loro modo di occupare lo spazio e di modificarne la percezione, per non parlare della forza con cui i dipinti di Alan Charlton dichiaravano la loro fisicità, prima attraverso delle aperture nella struttura planare del quadro e in seguito con la trasformazione dei dipinti in elementi da comporre sulla parete, sfruttando ritmicamente i vuoti creati questa volta dallo spazio che separa le singole unità pittoriche. La mostra allestita nelle sale della galleria A arte Invernizzi si rivela essere un omaggio alla freschezza e alla forza che l’opera di Charlton ha conservato in più di quarant’anni di metodo e coerenza formale. La mostra si snoda si apre con una serie di opere che vanno dagli anni novanta ai primi duemila, un assaggio della varietà di cui è stato capace il pittore inglese. Un intero piano della galleria è invece dedicato alla sua più recente produzione, una variazione delle Triangle painting nelle quali l’elemento culminante del triangolo viene rimosso, trasformando quel gruppo di tele dalla forte tensione ascensionale in un solido e compatto dialogo a due tra forme trapezoidali statiche e compatte. La mostra è accompagnata da una monografia riccamente
Alan Charlton, Veduta parziale dell’esposizione A arte Invernizzi, Milano, 2018 6 Horizontal Parts, 1999 (acrilico su tela, 279x72 cm) Courtesy A arte Invernizzi, Milano Foto Bruno Bani, Milano. In basso Border painting, 1994 (acrilico su tela, 171x288 cm); Broad Cross, 1992-2017 (acrilico su tela, 121,5x121,5 cm) Courtesy A arte Invernizzi, Milano Foto Bruno Bani, Milano
illustrata che riporta un testo di Barry Barker, un profondo contributo del figlio Emile Charlton e un testo di Antonella Soldaini che, nella sua stringatezza, riesce a fornire alcune importanti informazioni di contesto per comprendere la collocazione storica dell’esperienza di Alan Charlton. Duccio Nobili
Alan Charlton, Veduta parziale dell’esposizione A arte Invernizzi, Milano, 2018 (da sinistra a destra). Dark Grey Trapezium, 2018 (acrilico su tela, 166,5x225 cm); Dark + Light Grey Trapezium in 2 Parts, 2018 (acrilico su tela, 166,5x225 cm); Light + Dark Grey Trapezium in 2 Parts, 2018 (acrilico su tela, 166,5x225 cm); Courtesy A arte Invernizzi, Milano Foto Bruno Bani, Milano
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attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE
Lesley Foxcroft, Veduta parziale dell’esposizione. Villa Pisani Bonetti, Bagnolo di Lonigo, 2018. Courtesy Associazione Culturale Villa Pisani Contemporary Art, Bagnolo di Lonigo Courtesy A arte Invernizzi, Milano. Foto Bruno Bani,
Villa Pisani Bonetti, Bagnolo di Lonigo
Lesley FOXCROFT Grazia VARISCO
esplorare con curiosità la dimensione spaziale; così Antiscivolo, opera composta da due lastre di acciaio inox lucidato a specchio collocate sui corpi laterali della scalinata posteriore di accesso alla villa, diventa un momento al contempo leggero e serio per sottolineare e amplificare la soglia che accompagna il momento del passaggio dallo spazio interno a quello esterno. Allo stesso modo la scultura permanente nel parco e la serie di Gnomoni temporaneamente allestiti internamente accompagnano prima lo sguardo e poi il movimento del visitatore, il quale può servirsi di queste installazioni come dei punti di riferimento nel piano delle coordinate cartesiane. L’identità morfologica del luogo guida i sapienti interventi artistici i quali si integrano con la storica villa palladiana senza però rinunciare alla propria forza e connotazione, è così che tempo e spazio si incontrano generando un momento di fruizione attivo e vitale nell’incontro con la contemporaneità. Angela Faravelli Grazia Varisco, Gnom-one, two, three, 1984-86 Ferro, 3 elementi, dimensioni variabili. Veduta parziale dell’esposizione. Villa Pisani Bonetti, Bagnolo di Lonigo, 2018. Courtesy Associazione Culturale Villa Pisani Contemporary Art, Bagnolo di Lonigo Courtesy A arte Invernizzi, Milano. Foto Bruno Bani, Milano
E
ntrare a Villa Pisani è come essere risucchiati da un tunnel spazio-temporale in cui le dimensioni di passato, presente e futuro coesistono e al contempo si annullano in favore della percezione del genius loci insito nella villa palladiana. Così, per la nona edizione di “Arte Contemporanea a Villa Pisani”, progetto coordinato da Luca Massimo Barbero e curato da Francesca Pola, sono state chiamate a confrontarsi con la sacralità di questo luogo Lesley Foxcroft (Sheffield, 1949) e Grazia Varisco (Milano, 1937). Ciascuna delle due artiste ha concepito un intervento scultoreo permanente destinato agli spazi esterni nel parco, mentre per quanto riguarda le sale interne della villa sono state allestite due doppie personali i cui interventi temporanei culminano nel dialogo e confronto attivo e rispettoso che si viene a creare nel salone centrale. L’essenzialità e il rigore propri della poetica di Lesley Foxcroft sono perfettamente leggibili sia nelle opere in M.D.F. concepite per gli spazi seminterrati e il salone al piano padronale come forme armoniche e flessuose, volutamente non invasive e in continuità con l’architettura, quanto per la scultura esterna in acciaio galvanizzato – un unicum nella produzione dell’artista inglese – composta da quattro profili a “L” che vanno a formare un cubo dalla geometria aperta e attraversabile. L’autoironia, la determinazione e l’invito all’interazione connotano gli interventi di Grazia Varisco i quali esortano il visitatore ad
Grazia Varisco, Il passante. Progetto 1980 (realizzazione per Villa Pisani Bonetti, 2018 Ferro, 286x290x290 cm; risonanza al tocco, 2018 acciaio inox, 200x50 cm). Villa Pisani Bonetti, Bagnolo di Lonigo, 2018. Courtesy Associazione Culturale Villa Pisani Contemporary Art, Bagnolo di Lonigo Courtesy A arte Invernizzi, Milano. Foto Bruno Bani, Milano
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“artigianale” e tecnico-compositiva che caratterizza ogni scultura, in cui la sperimentazione di diversi materiali quali cemento, bronzo, ottone e acciaio restituisce visivamente una differente convivenza degli elementi, manifestando a tutto tondo “l’universo verde” dell’artista. Angela Faravelli Terme di Caracalla, Roma
Mauro STACCIOLI Sensibile Ambientale
A Alik Cavaliere, Apollo e Dafne, Courtesy Palazzo Reale, Milano
Palazzo Reale e sedi varie, Milano
Alik CAVALIERE
A
cura di Elena Pontiggia è l’omaggio che la città di Milano ha offerto al ricordo dello scultore (Roma, 1926 - Milano, 1998) nel ventennale dalla sua scomparsa, una mostra antologica diffusa sul territorio che ha coinvolto più sedi – Palazzo Reale, il Centro Artistico Alik Cavaliere, il Museo del Novecento, Palazzo Litta, le Gallerie d’Italia e l’Università Bocconi – al fine di illustrare nella maniera più completa ed esaustiva possibile il suo percorso creativo. Immergendosi nella poetica che ha guidato il criterio alla base dell’operare di Cavaliere risulta evidente come il tema della natura sia stato particolarmente a cuore all’artista; infatti le sue opere emanano echi provenienti dalla mitologia, dalla letteratura latina – con particolari riferimenti a Lucrezio – e dalla filosofia, mostrando il duplice aspetto di “natura benigna” e “natura maligna” che caratterizza questa componente. Vengono così a crearsi una serie di binomi e opposti che, di volta in volta, le sculture comunicano all’osservatore: elementi floreali rigogliosi si alternano ad altri che manifestano sofferenza, forme in espansione che si oppongono a composizioni “costrette”, fronde lussureggianti che risultano in contrasto con rami avvizziti e spogli. Il limite, le costrizioni e i vincoli sono tematiche ricorrenti per lo scultore, infatti numerose opere esposte nella storica Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale trasmettono questo senso di incombenza il quale sfocia quasi in uno stato di angoscia restituito visivamente grazie all’utilizzo di spazi delimitati da sbarre che intrappolano e sovrastano le composizioni e gli assemblaggi dell’artista. Così una gabbia soffoca un albero timido e secco le cui radici opprimono e inglobano un piccolo triciclo. Nella poetica di Cavaliere si può riscontrare inoltre l’allusione alla simbiosi tra l’uomo e la natura, la quale prende corpo in installazioni come Grande pianta. Dafne (1991), mostrando così come la sfera di ciò che è vivente sia soggiogata alla potenza inarrestabile e incontrollabile dei fenomeni naturali, proprio perché tutto ciò che è composto da atomi è un unicum interdipendente. Questa articolata antologica pone in evidenza non solo la sottile ed elaborata ricerca concettuale perseguita da Alik Cavaliere ma parallelamente sottolinea anche la parte più prettamente
pochi mesi dalla sua scomparsa, Mauro Staccioli viene ricordato da una monumentale mostra all’interno del complesso archeologico romano delle Terme di Caracalla. Una celebrazione di questo tipo è il giusto riconoscimento per un artista che, a partire dai primi Settanta, ha contribuito con forza a svecchiare e a mantenere critica una disciplina che in quegli anni in Italia stava attraversando una fase molto problematica, la scultura. Cosa significasse essere scultore e fare scultura sono stati alcuni tra i principali interrogativi attorno a cui si è snodata tutta l’attività e la riflessione critica dell’artista, che per più di quarant’anni ha lavorato con coerenza e messo a fuoco una solida metodologia progettuale che dalla semplice idea, espressa sul foglio di carta, attraversava tutte le fasi di elaborazione del lavoro, fino a sfociare in quella che sarà considerata la più naturale sede delle sue opere, il paesaggio. Che si trattasse di un’affollata piazza cittadina o delle suggestive colline del volterrano, Staccioli ha sempre ricercato un contatto e un’interazione con il pubblico che fosse occasione di una presa di coscienza prima dei problemi, prevalentemente politici e sociali, e poi delle bellezze e del valore di un luogo, e su questi propositi ha costruito e modellato il proprio linguaggio, dialogando con le più recenti novità del panorama artistico internazionale. Le opere esposte in questi mesi alle Terme di Caracalla offrono una serie di esempi di questo atteggiamento, con una ricca selezione di opere che testimonia l’evolversi del lavoro dell’artista nel corso degli anni. Si passa dalle ricostruzioni delle storiche Sculture-Intervento e delle Barriere degli anni settanta (quasi tutte distrutte una volta conclusasi l’esposizione per cui erano state pensate), che portano con sé un clima di disagio e di guerriglia urbana, all’ordine del giorno negli anni di piombo. Il cemento e le lame metalliche che ne fuoriescono instaurano un legame intenso e disturbante con l’ambiente, dando vita a strutture chiuse e compatte che respingono lo spettatore con le loro superfici respingenti e aggressive. Dopo queste opere, vestigia delle famose esposizioni tenutesi a Volterra nel ’72, nel ’73 e del celebre Muro realizzato in occasione della Biennale di Venezia del 1978, ci si imbatte nelle suggestive creazioni realizzate a partire dagli anni ottanta ad oggi. Il legame problematico con l’ambiente si è trasformato in un raffinato dialogo formale tra elementi che hanno perso la matericità del cemento per assumere il valore di segni grafici nello spazio. Basterebbe guardare opere recenti come Portale per capire l’eleganza e la monumentalità con cui Staccioli è stato capace di usare la scultura per sottolinare le caratteristiche di un luogo, dando vita a un rapporto simbiontico che, come in Diagonale Palatina, va ben oltre il semplice aspetto di collocazione site-specific, per diventare parte di un linguaggio tanto elegante quanto fortemente monumentale, capace di adattarsi e agire in modo diverso con qualsiasi ambiente si trovi a dialogare. Duccio Nobili
Mauro Staccioli, Veduta dell’installazione alle Terme di Caracalla, Roma
44 - segno 269 | SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018
attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE
Palazzo Reale, Gallerie d’Italia, Milano
Pino PINELLI Pittura oltre il limite
L
’antologica dedicata a Pino Pinelli, Pittura oltre il limite – a cura di Francesco Tedeschi – è una esplosione di forme e colori i quali rigenerano e ridefiniscono la percezione dell’opera e degli spazi espositivi di Palazzo Reale e delle Gallerie d’Italia. Quello di Pinelli è un linguaggio che attiva una riflessione profonda sul “fare pittura” che prende avvio dalla metà degli anni Sessanta a Milano e si consolida nel decennio successivo,
Pino Pinelli, Disseminazione di 21 elementi, 2003 (95 x 355 cm) Courtesy Palazzo Reale, Milano e l’artista
quando diviene uno dei protagonisti della cosiddetta Pittura analitica italiana. Il percorso della mostra illustra in maniera cronologicamente ordinata l’evoluzione stilistica che ha portato l’artista a superare il limite del supporto della tela; infatti, se nel 1973 l’attore principale delle sue opere è il colore, attraverso la realizzazione di monocromi, si può però già avvertire in nuce a questi lavori una pulsione inquieta che movimenta e sollecita la superficie pittorica. Bisognerà quindi aspettare la seconda metà degli anni Settanta per vedere realizzato il vero e proprio punto di svolta in cui Pinelli va oltre il limite del supporto, quando in Pittura GR. (1976) con un gesto di taglio e rottura asporta il rettangolo interno del quadro, lasciando evidenti solamente le sagome che ne delimitano i contorni dei quattro angoli coinvolgendo in maniera attiva la parete, la quale diviene in continuum spaziale con l’opera. Inizia così un fiorente periodo di sperimentazione che pone le basi per lo sviluppo del successivo ciclo delle “disseminazioni” il quale prosegue l’indagine relativa al supporto e allo spazio circostante, al colore e al concetto di pittura stessa: le superfici dei singoli elementi che vanno a comporre l’opera hanno un loro ritmo interno dato da corrugamenti e avvallamenti della materia, allo stesso tempo l’insieme dei frammenti acquisisce forme libere che sinuose invadono la parete dando origine a effetti plastici e giochi di luce di chiaroscuro. “L’arte è seduzione e fascinazione”. Pino Pinelli plasma la materia lasciando che si propaghi energeticamente nell’ambiente in una sorta di danza, un’espansione armonica della sostanza atomica in cui l’aggregazione delle forme dà vita a costellazioni, “corpi inquieti di pittura proiettati nello spazio”, grazie a cui è possibile varcare la vertiginosa soglia del limite per andare oltre e raggiungere l’essenza profonda del fare pittorico. Angela Faravelli
Pino Pinelli, Pittura 1994, 3 elementi (120 x 200 cm) . Pino Pinelli, I cinque movimenti. Courtesy Palazzo Reale, Milano)
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Palazzo Reale, Museo del Novecento, Milano
Agostino, BONALUMI
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orme monocrome dai colori intensi e sgargianti catturano magneticamente lo sguardo dell’osservatore che lascia l’occhio libero di correre lungo la superficie estroflessa della tela seguendo traiettorie sinuose e armoniche; così si apre l’antologica Agostino Bonalumi 1958-2013 a cura di Marco Meneguzzo allestita presso le sale di Palazzo Reale di Milano. La mostra propone secondo una successione cronologica una nutrita serie di opere al fine di illustrare in maniera completa l’iter creativo seguito da Agostino Bonalumi (1935-2013): vi sono i primi lavori legati all’informale in cui prevale una Agostino Bonalumi, Verde, 1988 (cm.114x146, tela estroflessa, inchiostri e vinavil colorato). Courtesy Palazzo Reale, Museo del Novecento, Milano
Cortesi Gallery, Milano
Herman de VRIES
U
n’esperienza sensoriale del reale. Questo il leitmotiv della personale di Herman De Vries (Alkmaar, 1931) presentata per la prima volta in Italia da Cardi Gallery a Milano, curata da Francesca Pola, in cui l’artista coinvolge lo spettatore in un viaggio immersivo a cavallo tra scientificità ed emotività, determinazione e indeterminazione. Lo spazio espositivo è pervaso da un delicato profumo proveniente dall’installazione Rosa damascena (2017) costituita da decine di boccioli di rosa disposti a terra secondo una forma circolare dal diametro di 280 centimetri: un richiamo simbolico alla perfezione evocata dal cerchio e alla circolarità della vita, eternata attraverso l’arte.
Herman de Vries, journal essaouira entre essauoria et ait amira – el khemis – avec excursions à immouzzer des ida outanane et tifnite et un séjour à agadir, 2012 dettaglio (mixed techniques, 45 parts, 36.3 x 26.4 cm each framed). Ph. Bruno Bani. Courtesy of the artist
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pittura gestuale e materica dove però in nuce compaiono già elementi aggettanti prelevati direttamente dal contesto del reale quali paglia, canne, tubi e tessuti; evolvendo poi negli anni successivi verso quella che diverrà la cifra stilistica propria dell’artista con gli esordi delle prime superfici estroflesse datate 1959 declinate in seguito – dagli anni Sessanta fino alle opere più recenti – in modelli di sperimentazione materica e formale differenti. L’artista invade e ridisegna lo spazio e la percezione che se ne ha proseguendo concettualmente la via intrapresa da Lucio Fontana con la serie dei “tagli”; la tela e l’ambiente circostante sono legati da una relazione di interdipendenza all’interno della quale lo spettatore si muove alternando sensazioni di inclusione ed estrusione, sperimentando “l’essere dentro” e “l’essere fuori”. Il quadro grazie alla superficie estroflessa si trasforma, Gillo Dorfles la definì “pittura oggetto”, così se nei primi anni Sessanta forme regolari sono combinate secondo composizioni equilibrate, proporzionate e centrali, successivamente la sagoma acquisisce morbide qualità tattili, modificandosi ulteriormente in un segno libero e più istintivo per poi concretizzare un vero e proprio ritorno all’ordine attraverso scansioni geometriche rigorose. Lo spazio di Agostino Bonalumi è da vivere come un campo attivo in cui la modularità e la linearità del gesto sulla superficie pittorica reiterato nell’ambiente si espandono scandendo un ritmo che va ad intercettare la sensorialità dell’individuo fino ad assumere dimensioni ambientali come in installazioni quali Blu abitabile (opera ambiente) (1967) e Struttura modulare bianca presentata nella sala personale dell’artista alla XXXV Biennale d’Arte di Venezia del 1970. La mostra è dunque una testimonianza della poliedrica e al contempo disciplinata attività dell’artista, il quale per oltre cinquant’anni ha sviscerato e sviluppato il concetto legato all’ampliamento della superficie pittorica ripensata come “spazio di azione artistica”. Angela Faravelli
Oltre all’olfatto, il secondo senso che viene sollecitato è la vista: una serie di opere è offerta allo sguardo del visitatore secondo una sequenza classificata e ordinata in cui ogni singolo lavoro, costituito a sua volta da più elementi ripetuti, va a comporre un rigoroso microcosmo rispondente alle leggi della natura e del caso e viene riletto in maniera sia scientifica che personale dall’artista olandese. Così delle cornici in legno naturale presentano da una parte la risultante casuale del movimento delle foglie mentre cadono leggere e si posano sulla superficie – in questo caso cartacea – e dall’altra vi è una disposizione per classificazione dell’elemento naturale; An afternoon under a cherry tree (1979) accidentalità della vita versus rigore di “laboratorio”. Approfondendo la poetica che ha guidato Herman De Vries sin dai primi anni Settanta, successivamente agli esordi nei decenni precedenti legati al movimento internazionale di ZERO, ciò che realmente emerge è l’emotività sottilmente celata nelle composizioni di elementi organici e naturali – quali terra, foglie, fiori, piante, pietre e legno – in cui la componente del viaggio e la presenza dell’uomo risultano fortemente caratterizzanti. From earth: vergleichende landschaftsstudien (1994-1996), installazione che prende forma dal gesto ripetuto – quasi tantrico – dell’artista di riportare con le dita, come se fossero un pennello, una chiazza rettangolare e omogenea delle varie colorazioni di terre raccolte in diverse parti del mondo seguendo una griglia precisa e ordinata, la quale va a costituire una “palette emotiva”: una raccolta di “colori del cuore” legati ad esperienze di viaggi fisici ed interiori, strettamente personali ma allo stesso tempo empaticamente condivisibili. Analogamente la serie dei “Journal” diventa un reportage del percorso seguito dall’artista nell’esplorazione del territorio ma in questo caso agli elementi naturali si alternano quelli umani, di scarto; così una i rifiuti divengono parte del paesaggio analizzato, una sorta di denuncia basata sulla documentazione oggettiva. L’invito di Herman De Vries è la sperimentazione autentica del reale in tutte le sue forme, dalle componenti organiche a quelle artificiali, dalle relazioni tra natura e cultura e come esse si influenzino a vicenda, divenendo potenzialmente parte di un tutto che ciclicamente si rigenera…“All All All”. Angela Faravelli.
attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE
Palazzo Branciforte, Palermo
BIANCO - VALENTE
P
rogetto espositivo di Bianco-Valente con “Terra di me”. Un bisturi emozionale, una metodologia poietica che pone al centro il punto d’osservazione degli artisti sul confine sottile tra sé e l’altro, su quanto sia possibile decifrare e condividere il vissuto altrui. Da sempre il lavoro del duo Bianco-Valente investiga con vocazione di grazia e di humanitas le connessioni tra persone e luoghi e le trasfigura in universi in cui lo struggimento si commette ad una danza segnica di singolare unicità. La mostra si genera dalla fondamentale meditazione sul Mare Nostrum: depauperato della sua identità di respiro alchemico, di medium liquido di una operosa diffusione economica, di grembo culturale in epoca classica, il Mediterraneo viene oggi considerato come una sorta di barriera che si vorrebbe invalicabile. A fare da movente a Terra di me è il prezioso fondo cartografico esposto a Villa Zito e costituito da mappe risalenti al ‘500, al ‘600, al ‘700: rotte di navi, rotte di anime. Scrive Agata Polizzi a cui si deve il contributo critico della mostra: “BiancoValente provano come atto dovuto a riconsiderare il concetto di limes decidendo di oltrepassarlo e lo fanno attivando quello che si rivelerà un emozionante scambio di esperienze con un gruppo di uomini e donne, cittadini come loro del Sud del mondo, che spontaneamente e generosamente accettano di condividere le proprie storie di vita, i dubbi e le speranze per il futuro. Nascono dialoghi intensi, struggenti, veri, privi di artificio, come scaturiti dalla paura di dimenticare o dall’impossibilità di dimenticare, dal desiderio di capire.” Torna dunque l’abiura di un limes accanitamente inflitto dal rasoio umano e che già era stata precedentemente affrontata dagli artisti napoletani con esiti di pregevolezza in particolar modo nel video Illimite (2014) in cui una mano taumaturgica trapunge e unisce con un filo rosso brandelli slabbrati di terre e di collettività. Il mare perde pertanto la stranezza d’accezione di fenomeno di confine per riappropriarsi del suo ruolo di psychè comune. Mossi dal convincimento che i flussi migratori tanto contribuiscano al concretarsi degli edifici sociali e culturali, Bianco-Valente hanno dato vita già durante i primi mesi del 2018 ad una serie di incontri avvenuti a Palermo con un gruppo eterogeneo di uomini e donne giunti qui dalle terre che si affacciano sul Mediterraneo. Viandanti, profughi, peregrini, migranti anelano alla difficile ma non impossibile non-disintegrazione della propria identità, metaforicamente affermando un paradigmatico ego eimi. Elemento individuale ed elemento collettivo si intrecciano in una visione che ha come principi essenziali il rapporto dialogico, l’evocazione narrativa: è un impegno urgente quello degli artisti tesi allo stra-ordinario superamento del recinto dell’Io e all’assolutizzazione di un senso universale. Serena Ribaudo
Bianco-Valente, Breviario del Mediterraneo, 2018 (collage 90 x 90 cm)
Gong Hao, Courtesy Ierimonti Gallery, New York
Ierimonti Gallery, New-York
GONG Hao
S
anxia, meglio conosciuta come la diga delle Tre Gole, è uno degli impianti energetici più potenti al mondo situata al sud della Cina e completata nel 2009. Un gigantesco complesso che ha portato conseguenze politiche, disagi e proteste per il notevole impatto ambientale e per l’alto numero di persone sfollate. Del resto, la forza di madre natura e la tendenza distruttrice dell’uomo fanno parte di un conflitto più grande, antico e mai risolto dove molto spesso è l’arte a essere portavoce di valutazioni esterne. E’ il caso dell’installazione dell’artista cinese Gong Hao, Chinese Medicine, in mostra a New York alla Ierimonti Gallery, che approfondisce con grande forza il vincolo tra due culture che si specchiano e dialogano tra loro: l’arte e la scienza. Tra le strade del Lower East Side la Ierimonti ospita il lavoro di Gong Hao nell’oscurità. Questa volta sono le ombre delicate e il silenzio a inglobare lo spettatore. Chinese Medicine è un site specific che occupa tutto lo spazio della galleria, un itinerario espositivo che amplifica e coinvolge i sensi: una grande base in plexiglas nera sorregge una diga composta da delle erbe medicinali che inebriano l’olfatto con il loro aroma balsamico. L’unica fonte di luce è proiettata con impeto sul muro. L’energia e il vigore dei moti ondosi del mare si riflettono violenti sulla diga, quasi a volerla trascinare via. Le onde si tramutano virtuosamente in parole, numeri e ideogrammi cinesi: body, move, capacity, dream, China, forbidden, sites, reduce, project… Tutti concetti e cifre che rimandando alle problematiche della diga delle Tre Gole. Ogni numero riporta un dato ambientale: Quanta energia è stata usata? Quanta acqua è passata per la diga? Quanti soldi sono stati investiti per la costruzione? Quante persone sono state costrette a lasciare la propria casa? In questi video Gong Hao alterna l’intensità delle immagini del mare e del suono con quelle dell parole, nel loro significato più intrinseco e intimo. Granello dopo granello Gong Hao ha realizzato un delicato lavoro di labor limae creando una diga maestosa, emblema della tecnologia e della conquista della natura da parte dell’uomo. Allo stesso tempo, di riflesso la diga appare anche nella sua imponenza come un luogo di culto, specchio di rigenerazione dell’anima inabissata tra il sacro e il profano. L’artista vuole spiegare proprio questo binomio tra buono e malvagio, positivo e negativo, i due aghi della bilancia che una costruzione come quella di Sanxia ha portato: se da una parte sono state evacuate persone e sono stati sommersi moltissimi siti archeologici, dall’altra si sta risparmiando la produzione di carburante e polveri inquinanti. Gong Hao ha sempre lavorato nel campo del business e dell’energia verde insieme alla famiglia, coltivando parallelamente una forte vena creativa. Il suo bisogno di esprimersi era tale che ha cominciato a realizzare installazioni e lavori legati ai temi filosofici ed esistenziali come l’ambiente e l’interazione umana. Ha fatto mostre a Pechino e in Italia, partecipando con Chinese Medicine alla collettiva di Modus, evento collaterale della Biennale di Venezia del 2017. Questo è il suo primo solo show a New York. Mila Tenaglia SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018 | 269 segno - 47
Museo Riso, Palermo
Paolo BINI
N
on saprei descrivere con parole la luminosità vaporosa che fluttuava intorno alle coste quando arrivammo a Palermo in un pomeriggio stupendo. La purezza dei contorni, la soavità dell’insieme, il degradare dei toni, l’armonia del cielo, del mare, della terra… chi li ha visti una volta non li dimentica per tutta la vita». Era Johann Wolfgang von Goethe a scrivere queste parole, testimonianza e insieme resoconto dell’ultima tappa del noto Viaggio in Italia compiuto fra il 1786 e il 1788, in seguito pubblicato nel 1816. Un viaggio dove Palermo, storico crocevia fra Oriente e Occidente, si mostra ai suoi occhi per l’intensità della sua luce e quell’armonia di cromie, dove i confini fra cielo e terra si confondono e fondono, divenendo un tutt’uno con i segni che delineano la città. È lo stesso Goethe che qualche anno prima, nel 1810, scrive La teoria dei colori, sostenendo quanto questi non possano trovare spiegazione nel mero esercizio meccanico, ma necessitino sostegno nella poetica, nell’estetica e nella psicologia. Ed è a Goethe che va inevitabilmente il pensiero, quale privilegiata suggestione culturale, nell’immergersi in questa nuova personale del giovane Paolo Bini che del tema del viaggio, fisico e concettuale, ne ha fatta la propria bandiera, e del colore il cuore della propria poetica. Dopo la mostra alla Reggia di Caserta nel 2017, proseguendo un ideale progetto dedicato ai Musei del Sud d’Italia, Bini approda negli spazi della Cappella dell’Incoronata del Museo Riso con una mostra, curata da Valentino Catricalà, fortemente legata al concetto di esterno. Sebbene le opere esposte siano concepite in assoluto dialogo con lo spazio che le accoglie, com’è consuetudine nella pratica dell’artista, esse dialogano tanto con i fermenti della città (in questo momento palcoscenico di Manifesta12),
Paolo Bini, Riflessi nel Mediterraneo 2018 (acrilico su carta montata su tela_41x64cm)
Paolo Bini, Mediterraneo oro, 2018 (acrilico su carta montata su tela_41x64cm)
quanto con i temi caldi di ciò che avviene intorno all’isola. Un’isola che guarda l’Africa, stando al centro di quel mare, quel Mediterraneus che in latino non significa altro che in mezzo alle terre e che, ieri come oggi ne ridisegna i confini geopolitici, o tragicamente l’impossibilità di definirli. Mediterraneo non a caso è la prima parola che incontriamo nel titolo che introduce la mostra, è un luogo, o meglio uno spazio, è la prova che i confini non esistono, è il terreno sul quale Bini si muove offrendo come risposta la bellezza e l’estetica che accompagnano la sua opera. Entriamo dunque nella Cappella dell’Incoronata, sormontata da una grande navata mono abside. Non uno spazio
bianco ma ricco di segni e simboli rappresentativi di antiche memorie sedimentate nel tempo, un luogo dove padrona è la penombra che avvolge ogni cosa e dove trovano casa i primi dipinti di Bini. Qui, secondo una diagonale visiva immaginaria, spiega Catricalà: «[…] L’occhio naviga tra le onde di un mare simbolico composto di sfumature di colore tra il rosso e l’oro. Sfumature di rosso, di oro, di giallo, che si fanno di volta in volta più o meno rosee. Sfumature, come sfumato è il nostro tentativo di coglierle in una rappresentazione. Un mare, un cielo, la terra? Non sappiamo. Sappiamo solo che esse sono in movimento, vibrano sui nostri occhi proprio come l’acqua riflessa dalla luce
Paolo Bini, Sogno il mare che scavalca il cielo, 2018 (acrilico e polvere di ferro su carta montata su tela, 120x190cm)
48 - segno 269 | SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018
attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE
Paolo Bini, Mediterraneo rosso, 2018 (acrilico e polvere di ferro su carta su tela 120x230cm)
Paolo Bini, Spiraglio#1; Luce_e_Spiraglio#2; Paesaggio de frammentato, 2018 (acrilico e pigmenti su rotoli in carta_altezza_220 cm)
quando guardiamo il mare». In questo navigare, dove le sensazioni provate da Goethe più di 200 anni fa sembrano essere divenute eterne, ci sono i colori: il rosso e l’oro. Un rosso vivo, acceso e inquieto,
espressione di pura energia vitale, così come la intendeva Kandinskij nello Spirituale dell’Arte, cui Bini guarda e s’ispira, collocando tuttavia il proprio agire, oltre che nel solco della tradizione astrattista,
Paolo Bini, Mediterraneo con riflessi oro, 2018 (acrilico su nastro carta su tela_120x120 cm)
nell’assoluta contemporaneità dell’oggi. È Mediterraneo rosso. Un oro che, nella sua lunga e ambivalente storia legata a quella dell’uomo, trova la propria massima espressione nella filosofia. È Mediterraneo oro. Un rosso e un oro insieme che, nel suggestionarsi a vicenda, finiscono con l’identificare idealmente una sorta di “tratta”…un cammino che diventa nell’arte di Bini trasposizione concettuale del cammino che all’esterno e intorno a lui, gli uomini in quel grande mare per attraversarlo, compiono quotidianamente. La mostra, infine, continua ancora verso lo spazio della cripta. Qui incontriamo due pitture installative, due grandi rotoli in posizione verticale di cartone, schierati di fronte allo spettatore come due ipotetiche quinte all’Italiana, al cui interno Bini è intervenuto con acrilici e pigmenti su carta, il primo policromatico, il secondo con i soli toni del giallo e del rosso. Spiraglio#1Luce e Spiraglio#2Paesaggio deframmentato appaiono come dei veri e propri corpi che emanano luce, trasformandosi in una memoria visiva che diventa quadro ma anche e soprattutto sogno. Sogno il mare che scavalca il cielo è l’ultima opera del viaggio di Bini. Il sogno è un buon auspicio, è un desiderio, è quell’elevazione spirituale cui l’uomo, nonostante il dramma che fuori da queste mura si consuma, non deve rinunciare mai. Così scottante, come il rosso, è la contemporaneità, così infinito è il valore del sogno, come l’oro e il giallo caldo, simbolo del sole e della spiritualità lo sono per l’animo umano. La bellezza, così anche il semplice dato contemplativo che possiamo esperire nel lavoro di Bini può rappresentare, come ultima riflessione, un sostegno o un atto di resilienza in una Palermo, in un Mediterraneo e in un periodo storico così pieno di ferite. Ultima e intensa suggestione per il pensiero di Bini è il celebre dipinto di Thèodore Gèricault La zattera della Medusa del 1819, un quadro, dove il paesaggio contemporaneo si specchia inesorabilmente nel tema stesso della mostra. Mediterraneo rosso e oro, è promossa dal Polo Museale Regionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Palermo in collaborazione con la Galleria Nicola Pedana di Caserta. Maria Letizia Paiato SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018 | 269 segno - 49
Massimo Bartolini, Desert Dance, installation view, courtesy of 2nd Yinchuan Biennale and MOCA Yinchuan
Biennale d’arte di Yinchuan
Starting from the Desert Ecologies on the Edge
I
l senso di un grandioso senza tempo, di una immutabilità che contraddice la sua condizione di perenne mutevolezza. Chiunque abbia fatto esperienza del deserto conosce la potenza percettiva ed emozionale di questo luogo. Capace, come e più del mare, di imprimere il proprio marchio ad un territorio. Non a caso invita a partire proprio dal deserto, “Starting from the Desert. Ecologies on the Edge”, la seconda Biennale d’arte di Yinchuan curata da Marco Scotini (affiancato da Andris Beinkmanis, Paolo Caffon, Zasja Colah e Lu Xinghua). Qui nella Ningxia, sul fronte nord occidentale della Cina, il deserto del Gobi asseconda il confine con la Mongolia. Ponendosi come storico filtro geopolitico di incontri e ibridazioni tra culture, lingue e religioni diverse: sciamanismo, buddismo, taoismo, islam, che convivono tutt’oggi. Ma anche cerniera tra cultura contadina e tradizione nomade. E cornice per gli scambi tra Oriente e Occidente, avviati in epoche precoci per il passaggio proprio in quest’area dell’originaria “Via della seta”. Questi dualismi però si ricompongono nell’ottica di Scotini, che al deserto si rivolge anche come spunto metodologico dichiaratamente ispirato dalla “Nomadologia” di Deleuze e Guattari. La vita nomade diviene così metafora di un percorso fluido, rizomatico, che supera rigidità categoriali. È una costante nel suo rigoroso metodo
Majetica Potr, Yinchuan: Rural House, 2018, installation, new commission courtesy of 2nd Yinchuan Biennale and MOCA Yinchuan
curatoriale: operare a più strati sulle orme di una “archeologia del sapere” alla Foucault, protesa “alla ricerca di un nuovo paradigma di pensiero trasversale” che interroga in profondità il contesto e lo stesso format espositivo. La visita alla mostra riflette questa modalità immersiva, costruita su continue interazioni di linguaggi, discipline, storie e geografie. Con opere in molti casi commissionate ad hoc e dislocate dentro e fuori il MOCA, avveniristico Museo d’arte contemporanea di 15.000 mq. sorto quattro anni fa in una zona rurale a quasi un’ora dal centro cittadino. Dove il progetto governativo di rilancio di una “Nuova Via della seta” sta attirando grossi investimenti privati, col fine di avviare un processo di sviluppo della regione di cui il museo ambisce a divenire il fulcro. L’ approccio stratigrafico, quasi archivistico, di Scotini si spinge indietro nel tempo. Ingloba figure storiche come Giuseppe Castiglione, gesuita italiano alla corte 700sca della dinastia Qing, che per primo introdusse in Cina i canoni prospettici della pittura occidentale. O Felice Beato, fotografo della spedizione militare anglo – francese del 1860 in queste terre e testimone del conflitto coloniale. E ancora, rende parte dell’esposizione alcuni reperti del vicino Ningxia National Museum e della collezione permanente. E arriva ad annettere l‘intero “ecopark” su cui sorge la struttura museale, laghetto e specie faunistiche comprese. Le quattro sezioni in cui è suddivisa la Biennale sconfinano tra loro, in un gioco anche intercambiabile di rimbalzi tematici e concettuali. Novanta sono gli artisti scelti, provenienti da una trentina di paesi che costeggiano il bordo occidentale della
Li Binyuan, The Bridge, 2018, performance, new commission, courtesy of 2nd Yinchuan Biennale and MOCA Yinchuan
50 - segno 269 | SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018
Cina e dal Centro Asia fino all’Europa (tra gli italiani, Alighiero Boetti, Piero Gilardi, Angela Ricci Lucchi, Massimo Bartolini, Gianni Pettena, Francesco Iodice). La dialettica tra “Spazio Nomade e Spazio Rurale”, “Lavoro e Natura”, “La Voce e il Libro”, “Minoranze e Molteplicità” fa da sfondo ad alcuni temi ricorrenti, urgenze critiche talvolta mascherate per sfuggire al rischio di censura. Come il problema delle minoranze linguistiche, per lo stesso governo cinese ancora un tabù, che l’americana a Kabul Mariam Ghan visualizza su un’enorme mappa della Cina disegnata sul muro con effimeri gessetti colorati. O di una convivenza multiculturale, cui alludono le coperte asiatiche trasformate in bandiere occidentali dall’uzbeko Said Atabekov; l’installazione di stendardi fatti con tessuti dell’Asia centrale di Kimsooja; la raccolta di vasi di Moataz Nasr. Nomadismo e attraversamento, con lo scenario prevalente del deserto, accomunano d’altro canto la vecchia canoa usata dal mongolo Baatarzorig Batjargal, la gerla portatile del conterraneo Enkhbold Togmidshiirev, le tracce di camminamenti in Arizona di Helen Mirren. Altrove è il corpo a darsi come forma di resistenza, strumento anche rivoluzionario. Ad esempio nelle battaglie femministe in India con cui s’intersecano le ricerche di Sheba Chhachhi. O nei collettivi di donne zapatiste in Messico con cui entra in contatto Emory Douglas, già leader del Black Panther Party in USA. Ma anche col rilancio dell’oralità, evidente nella vocalità contaminata dai canti mongoli e tibetani del cantante italo-greco Demetrio Stratos. Centrale è poi l’interesse per il mondo rurale (condensato nella fedele ricostruzione di una casa contadina di Majetica Potrc), che spesso fa tutt’uno con l’attivismo politico: dal capitolo messicano, con le foto che documentano l’incontro di Tina Modotti col rivoluzionario e agronomo indiano Pandurang Khankoje, le indagini identitarie sul granoturco del Grupo Suma o i legami tra coltivazioni e pensiero anarchico di Juan Pablo Macias. Passando per il movimento dei pittori contadini di Huxian durante la Rivoluzione culturale cinese. Fino alle cooperative agricole di Raphael Grisey e Bouba Tourè in Senegal e le recenti sociobotaniche di Xu Tan e Zhemg Bo. Sono micro-esperienze di impegno sul campo, alternative al modello unico del capitalismo globale. Espressione di un pensiero ecologico, incentrato sulle interrelazioni e la difesa della biodiversità, che Scotini declina al plurale. In senso cioè non solo ambientale, ma anche mentale e sociale, quale possibile chiave di approccio alla complessità del nostro presente. Antonella Marino
attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE
Galleria Primo Marella, Lugano
Paolo COTANI, Elio MARCHEGIANI, Marco MAZZUCCONI, Gianfranco ZAPPETTINI
M
Ifeoma U. Anyaeji, Wele Oche (Take a seat), 2017 2018 (mixed media, 304 x 89 x 91 cm.)
Ghizlane Sahli, Histoires de Tripes 024, 2018 (silk embroideries on plastic and wood panel, 120 x 183 cm.) Troy Makaza, Camo (Division of labour) Part 6, 2018 (silicone infused with paint, 260 x 195 cm.)
ostra inaugurale del nuovo spazio di Primo Marella Gallery a Lugano, con una collettiva di opere di quattro artisti italiani, storicamente noti ed affermati: l’artista romano Paolo Cotani libera la materia con le sue bende/ cinghie e barre di acciaio, in funzione di una spazialità totale di un moderno bassorilievo, in tensione e dialogo con la parete, imponendo il proprio segno rarefatto. L’aspetto peculiare di Elio Marchegiani è di essere in grado di mettersi sempre in discussione lavorando e reinterpretando quello che è il suo segno più noto, le grammature, il peso della pittura. Una capacità nel saper giocare, ribaltare il senso di questo segno, utilizzarlo come logo che diventa una sorta di nuovo logos, un modo per riflettere sul senso dell’arte, sul suo paradosso e sul suo ribaltamento, che è la caratteristica intrinseca del suo pensiero in un percorso dove l’arte non è mai nostalgica, scontata e consolatoria. Per le opere di Marco Mazzucconi Il critico
Elio Grazioli sottolinea che “potremmo descrivere questo artista come una personalità decisa, squadrata, sicura, determinato a dare un’immagine chiara di sé e senza nodi, che si traduce nell’apertura alla molteplicità di temi e tecniche, dei media e dei modi con cui può e vuole esprimersi, dell’apparenza degli “oggetti” che crea”. In oltre 40 anni di attività artistica, Gianfranco Zappettini ha contribuito a rifondare la disciplina pittorica e a dare una lettura nuova e alta del processo di lavoro che orbita intorno all›astrazione analitica. Attraverso le sue opere egli scandaglia il significato ancestrale della prassi pittorica, della natura stessa della disciplina e degli elementi che l›artista ha a sua disposizione. Per Zappettini, la superficie pittorica in particolar modo, ritorna ad essere quello che era in origine, uno spazio “opaco”, che non riflette altri mondi - esteriori o interiori - e rimanda a nient’altro che a sé stesso ed alla sua stessa intrinseca essenza. (LS.)
Galleria Primae Noctis, Lugano
La Sfinge Nera
S
econdo capitolo di un viaggio, intrapreso (lo scorso anno) per una mostra con lo scopo di proporre una selezione di giovani artisti che provengono o vivono in Africa: Ghizlane Sahli (Marocco), Ifeoma U. Anyaeji (Nigeria), Marie-Claire Messouma Manlanbien (Costa d’Avorio), Houda Terjuman (Marocco), Januario Jano (Angola), Amina Zoubir (Algeria), Troy Makaza (Zimbabwe), Joël Andrianomearisoa (Madagascar), Yassine Balbzioui (Marocco). Il titolo della mostra prende spunto dal libro omonimo di Mario Appelius scritto nel 1925, che descrive un’Africa all’epoca sconosciuta, in cui un gruppo di esploratori europei cercava nuove opportunità di commercio osservando tutti gli aspetti politici e culturali del “continente nero” descritto meticolosamente dall’autore, che esalta i suoi magici paesaggi e le coinvolgenti atmosfere. come rivela il titolo, il progetto vuole attirare l’attenzione sul continente africano contemporaneo come vera espressione di un grande dinamismo culturale ed artistico ed una ancora più forte autoconsapevolezza. L’instabilità politica di certe regioni è solo un inevitabile sfondo alle storie che si sviluppano parallelamente ad essa e che vanno oltre le questioni locali. Se nel suo libro Mario Appelius identifica la sfinge nera come metafora di un misterioso - se non mistificato – territorio, qui il significato di una creatura così mitica è radicalmente rovesciato personificando il vivido sviluppo artistico e lo straordinario contributo di questi nove artisti al dibattito artistico internazionale. (L.S.)
Marco Mazzucconi, Informale visto dall’uomo e visto dal cane, 2018 (olio su alluminio e riproduzione B_N fotografica, 125 x 125 cm (ognuno).
Gianfranco Zappettini, La trama e l’ordito n.66, (tecnica mista, 2017, 80x80 cm.)
Elio Marchegiani, Grammature d’oro K24 supporto lavagna n.1, 1979 (tecnica mista, 54,5 x 54,5 cm)
Paolo Cotani, Bende 4, 1975 (acrilico e bende elastiche, 100 x 100 cm)
SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018 | 269 segno - 51
Famiglia Cattelani: Fabio, Annalisa, Afra, Laura e Tiberio Cattelani. Foto Barbara Giorgis
Fondazione Campori, Soliera (Mo)
INTRA MOENIA Collezioni Cattelani
L
a passione, l’impegno e la dedizione profusa per il contemporaneo della famiglia Cattelani è ampiamente noto al mondo dell’arte. Un amore che Tiberio Cattelani e i fratelli Fabio, Laura, Annalisa e Annarita e la madre Afra, hanno ereditato dal padre Carlo seguendone le orme, contribuendo al contempo tanto alla crescita della collezione di famiglia quanto a preservare la memoria di uomo considerato fra i più importanti amatori d’arte del contesto modenese e non solo. Carlo, oltre che acuto intenditore, spesso anticipatore di gusti e tendenze nella scelta degli artisti era anche, com’è risaputo, una persona dal profondo credo Mario Ceroli Sedia alta 1972 (legno di abete massello grezzo 188x60x50 cm) Foto Fabio Fantini. Courtesy Fondazione Campori, Soliera, Modena
52 - segno 269 | SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018
religioso. Potrebbe essere proprio questo insolito nesso, quello fra sacro e profano, spesso etichettato più come uno scontro che un incontro, a rappresentare proprio lo spunto sul quale si fonda la mostra Intra moenia, locuzione latina utilizzata propriamente per definire ciò che avviene all’interno di una comunità. Proprio di questo stimo parlando. Di una comunità, quella della famiglia Cattelani, dove il cultuale e il culturale hanno sempre convissuto serenamente e quella della città di Modena e il suo circondario, che in questo specifico caso interessa il piccolo comune di Soliera, dove, come in ogni altro luogo, sono presenti e convivono istituzioni religiose
e laiche. Sembra quasi che lo sguardo illuminato di Carlo, che non vedeva né sentiva contraddizioni in questa dualità, si sia ripresentato naturalmente nell’occasione di questa esposizione che vede coinvolte la comunità cattolica di Soliera e il Comune al contempo, dove a facilitare il dialogo sono le opere delle collezioni Cattelani. Succede allora che, il giovane parroco di Soliera, Don Antonio Dotti, con il benestare del Vescovo di Carpi, con una sorprendente apertura di spirito intuisce il valore dell’arte contemporanea quale mezzo potentissimo di comunicazione, immaginando insieme ai Cattelani di dare avvio a un ciclo di esposizioni all’interno della Chiesa di San Pietro in Vincoli a Limidi di Soliera. Sicché, è in questo luogo che va in scena la prima parte di questo evento espositivo: per tutta la prossima stagione autunnale e invernale, a domeniche alternate la comunità di Soliera potrà godere durante la liturgia della visione di opere che solo in contesti museali sarebbero godibili, le quali diventeranno anche la traccia per una serie di omelie e riflessioni che riguardano la contemporaneità. Si comincia con l’esposizione di una delle note tuniche di Hermann Nitsch, opere intrise di gesti, calate nelle azioni, modellate dal corpo dell’artista e dai suoi movimenti; reliquie misteriose che diventano messaggi dell’attualità. Una tunica che per questa occasione diventa un simbolico omaggio a Óscar Arnulfo Romero y Galdámez tragicamente ucciso a El Salvador dalla dittatura militare del suo Paese. La seconda parte della mostra trova casa, invece, nel
Hermann Nitsch Omaggio a Don Giuseppe Puglisi 1993 (casula e sangue ca. 190x70 cm ) Foto Paolo Pugnaghi. Courtesy Fondazione Campori, Soliera, Modena
attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE
Gian Marco Montesano Giovanni Paolo II 1986 olio su tela 205x220 cm Foto Paolo Pugnaghi
Luigi Ontani Ecce homo 1972 (stampa su carta fotografica 44,5x69 cm) Foto Paolo Pugnaghi. Courtesy Fondazione Campori, Soliera, Modena
Salvo 1976 olio su tavola 11x13,5 cm Foto Fabio Fantini. Courtesy Fondazione Campori, Soliera, Modena
Joseph Beuys Manresa 1966 (inchiostro su carta 300x210 mm) Foto Paolo Pugnaghi .Courtesy Fondazione Campori, Soliera, Mo
castello di Soliera che, dichiarato inagibile dopo il terremoto del 2012, grazie a questa operazione torna ad essere al centro delle attività culturali della comunità. Qui trovano spazio i nomi di ben 66 artisti italiani e internazionali, che documentano per la prima volta il passaggio di testimone da Carlo Cattelani ai suoi eredi. Curata da Lorenzo Respi, la mostra si compone di dipinti, sculture installazioni, grafiche, fotografie e disegni – particolari quelli di Mattiacci, Boetti, Ontani, e Calzolari – rispondenti a vari nomi del panorama dell’arte, fra i quali: Eric Andersen, Karin Andersen, Francis Bacon, Joseph Beuys, Alighiero Boetti, Lorenzo Bonechi, Günter Brus, Mark Brusse, Pier Paolo Calzolari,
Ronnie Cutrone, Heart of hearts 1992 olio su bandiera italiana 162x93 cm Foto Fabio Fantini. Courtesy Fondazione Campori, Soliera, Modena
Mario Ceroli, Giuseppe Chiari, Philip Corner, Cuoghi Corsello, Andrea Cusumano, Ronnie Cutrone, Gino De Dominicis, Santolo De Luca, Wim Delvoye, Jean Dupuy, Lucio Fontana, Dario Ghibaudo, Massimo Giacon, Gilbert & George, Barbara Giorgis, Franco Guerzoni, Carsten Höller, Jan Knap, Jiri Kolar, Paolo Lasagni, Sol Lewitt, Adolfo Lugli, Claudio Maccari, Renato Mambor, Enrico Manelli, Javier Martín, Eliseo Mattiacci, Fabio Mauri, Mario Merz, Richard Meyer, Larry Miller, Gian Marco Montesano, Hermann Nitsch, Morgan O’Hara, Yoko Ono, Luigi Ontani, Nam June Paik, Stefano W. Pasquini, Ben Patterson, Gianni Piacentino, Vettor Pisani, Victor Pivovarov, Bern Porter, Emilio Prini, Man Ray, Luciano
Ricchi, Fiorella Rizzo, Milo Sacchi, Salvo, Leonardo Santoli, Mario Schifano, Daniel Spoerri, Maurizio Taioli, Franco Vaccari, Ben Vautier, Wolf Vostell, Gilberto Zorio. Intra moenia, promossa dal Comune di Soliera e dalla Fondazione Campori, prodotta da All Around Art con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Carpi e il supporto della Diocesi di Carpi, precisa infine il giusto riconoscimento che questa dinastia di collezionisti merita. Si parla, infatti, di Collezioni Cattelani al plurale e non più soltanto di Collezione Cattelani, intendendo così sottolineare la continuità per l’amore per l’arte che certamente Carlo si attendeva dai propri eredi. Maria Letizia Paiato SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018 | 269 segno - 53
ABC ARTE, Genova
Tomas RAJLICH
È
dedicata a Tomas Rajlich, indiscusso maestro della Pittura Fondamentale Olandese e a tutt’oggi nome di punta per quel che attiene l’indagine intorno al colore, l’antologica proposta dalla galleria ABC-ARTE di Genova. Un’indagine tutt’altro che superata, sempre viva e generatrice di continue sorprese e che, nel caso di Rajlich rappresenta anche la via cui guardano con interesse le nuove generazioni che hanno scelto la pittura come mezzo prediletto di espressione. La mostra offre l’opportunità di osservare l’evoluzione stilistica dell’artista, i punti di partenza e le movenze inziali di una ricerca che trova un chiaro riferimento nel generale contesto di quella che in Italia è stata definita Pittura Analitica, o in Europa Astrazione Lirica o Radicale. Moventi che si esplicitano in Rajlich nel particolare rapporto che egli intrattiene con il colore e che, come vuole la tradizione europea, a differenza delle similari ricerche d’oltreoceano, non recide mai quel dato soggettivo in cui l’elemento cromatico diventa veicolo di poesia, medium in cui la profondità della coscienza cerca di esprimere la propria voce. Fondamentali nella carriera di Rajlich sono la consapevolezza delle ricerche di Piero Manzoni e di Yves Klein, l’uno per l’acromia, l’altro per la monocromia, che si rintracciano in Rajlich nella rielaborazione di superfici uniformi sulle quali, tuttavia, interviene con la razionalizzazione di tracciati, trame, grafiche essenziali, solo apparentemente fredde ed esplicitamente mentali. Sebbene il dato geometrico sia evidente, questi segni sono rappresentativi di una fisicità e una corporeità, segni che passano attraverso l’analisi ma essenziali a Rajlich a comprendere le radici stesse della pittura e dunque del suo stesso agire. Cos’è dunque la pittura? È Flaminio Guadaloni, curatore della mostra a rispondere: «è ragionamento critico sulla pittura nell’atto stesso del fare pittura. È contemporaneamente, però, anche il tentativo di liberarsi della zavorra storica della disciplina per mantenerne e affermarne ben salda l’identità sorgiva: per molti è la rivendicazione della necessità ineludibile del pittorico – e con quanta filigrana metafisica si può intravvedere in genealogie che si richiamano a Malevich, a Mondrian, a Reinhardt, allo stesso Klein – e dunque l’ipotesi più probante della continuità d’una identità storica, quella della pittura, che, attraverso fortune e crisi infine estreme, non dismette tuttavia dal porsi come lo snodo disciplinare centrale, per tradizione secolare, dell’artistico». Per Tomas Rajlich, la strada della pittura, in altri termini è, e nell’iterazione con quella griglia geometrica sua cifra distintiva, la battaglia dell’uomo fra natura e artificio, quella battaglia in cui il profondo della coscienza tenta di liberarsi nell’oggetto, nella superfice del quadro che metaforicamente diventa superfice di esperienza. Maria Letizia Paiato
54 - segno 269 | SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018
Tomas Rajlich, veduta delle installazioni, ABC-ARTE Genova 2018
Galleria Giovanni Bonelli, Milano
Francesco LAURETTA
L
a Galleria Giovanni Bonelli ospita nei suoi spazi milanesi “Due volte”, personale di Francesco Lauretta a cura di Marco Senaldi. La mostra che vede protagonista circa venti opere pittoriche ed una quarantina di disegni invera un percorso appositamente studiato dall’artista teso ad esplorare il proprio cromosomico rapporto con la pittura. Lauretta, nato ad Ispica in provincia di Ragusa, è artista polimorfo che spazia dalla pittura per l’appunto alla performance all’istallazione, utilizzando spesso materiali eterogenei e di recupero nell’anelito di un Progetto che sfidi sempre con audacia i limiti imposti dalla tela. Il fatto poietico è dunque in-
teso come guidato da forze intrinseche che metamorfizzano in una dilatazione formale-filosofica-animica. Spiega Lauretta : “(…) Ho raccolto alcune opere pittoriche o presunte tali, e le ho rifatte differentemente (…). Avevo timore di incontrarmi e non mi sono incontrato perché tutto è sorto nuovo”. Due volte è un processo concreto di ripensamento e di analisi del proprio trascorso ma anche una meditazione sulla Pittura (sia essa intesa nei suoi aspetti esperienziali, sia essa intesa nei suoi aspetti concettuali) che costantemente si rinnova. Le ragioni del fare pittorico s’involano in una mostra che è un lavoro sul Tempo, un racconto talmente lontano ed al contempo talmente nuovo, un esordio fatto e rifatto. Lauretta pone il fruitore dinanzi ad un cortocircuito meta-temporale e meta-pittorico che rivela come la substantia della Pittura si rinnovi, fermenti. La mostra è una riflessione
Francesco Lauretta Munchen (remix) 2018 (olio su tela_140 x 198 cm - con cornice 142 x 200 cm) Courtesy Galleria Giovanni Bonelli, Milano
attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE
sul fare e sul farsi della Pittura, che da secoli si ripropone imponendo i propri arcani ad artisti e poeti, ma anche sulla fenomenizzazione di una energia prometeica che mai si risolve nelle forme di un eterno ritorno. A proposito di tale palingenesi messa in atto da Lauretta, scrive Senaldi: “Ma con questa mostra il suo obiettivo si fa decisamente più ambizioso: qui si è inventato un dispositivo di attivazione dell’originale che dà un senso del tutto diverso non a questa o quella opera del catalogo mentale a cui tutti più o meno facciamo riferimento, ma alla sua stessa pratica artistica. Ciò che qui vediamo, dato che in molti casi (o almeno, questo è il caso mio) non abbiamo mai visto l’originale del pittore, è una seconda volta di quadri che vediamo per la prima volta. E non è una seconda volta qualunque – ma un rifacimento in piena regola, che comporta le stesse promesse, le stesse difficoltà e le stesse aspettative dell’originale”. Se nell’opera di Francesco Lauretta la Pittura è Axis Mundi, ad essa si affianca il di lei Padre: il disegno che è input, movente, illuminazione primigenia. Accompagnano difatti lo sviluppo della mostra alcuni schizzi-disegni realizzati dall’artista durante l’esperienza creativa denominata Scuola di Santa Rosa. Nella città di Firenze, Lauretta insieme con Luigi
Mimmo Germanà, senza titolo, 1991 (olio su tela-90x70 cm) Courtesy Fondazione La Verde La Malfa, Catania
Spazio Murat, Bari
La Città provvisoria
É
un titolo significativo, con sentori calviniani, “La Città provvisoria” per una mostra nello Spazio Murat patrocinata dal Comune, con le sue involontarie allusioni a tempi della cronaca italiana d’oggi. La giovane curatrice Melissa Destino – barese attiva a Vienna – ha inteso proporre un paesaggio urbano incerto che si rivela nelle pieghe, negli interstizi, negli scarti dell’esperienza. La chiave della rassegna sta nelle immagini di Aglaia Konrad, la celebre fotografa viennese attiva proprio a Bruxelles. Autrice dai ’90 di ricognizioni quasi ossessive sulla città moderna, condotte con sistematicità memore della lezione dei Becher, ma
Presicce ha dato vita alla sopra citata Scuola di Santa Rosa, un movimento spontaneo, un omaggio alla bellezza del capoluogo toscano, un omaggio all’arte. La Scuola trova il suo principio primo in un’urgenza, una necessità direi, che è dell’artista di oggi e dell’artista di sempre: ritagliarsi quei momenti in cui protagonista è la pazienza di catturare con l’occhio e con il rapido gesto grafico la fragilità di ciò che è sempre in transizione, il segreto fluire delle cose di tutti i giorni. Ne nascono dunque i disegni in pieno stile Santa Rosa: guizzi, visioni mentali, accumulazioni di forme e di momenti simultanei che catturano il prodigioso lievito che trepida sotto l’epidermide delle cose e che paiono quasi ricordarci le evocazioni di Rimbaud “i fiori di sogno cullano, illuminano, scoppiano”. Serena Ribaudo
ennellate dense, colme di colori vivaci, contraddistinte da un tratto morbido ma deciso che ricordano la pittura espressionista di matrice nordica di Kirchner, Kokoshka e del Der Blaue Reiter. Peculiarità ravvisabili nella selezione di opere di Mimmo Germanà presenti nella mostra Mimmo Germanà. Intimismo mitico ubicata presso La Fondazione La Verde La Malfa di Catania, istituzione nata nel 2008 e fortemente voluta dall’artista Elena La Verde. L’esposizione nasce con l’obiettivo di celebrare il decimo anno di attività dell’ente catanese, impegnato nella valorizzazione dei suoi quattro fondi patrimoniali – il parco dell’arte (che è parte del circuito di Grandi Giardini Italiani), le opere di arte moderna e contemporanea, la collezione di abiti d’epoca e i libri antichi – nonché nella promozione artistica attraverso eventi ed iniziative culturali. Mimmo Germanà (Catania, 1944 – Busto Arsizio, 1992), dopo un inizio da autodidatta, frequenta studi accademici a Roma, dove conosce Alessandro Chia e Francesco Clemente con cui diede vita
– insieme a Enzo Cucchi, Mimmo Paladino e Nicola De Maria – al movimento della Transavanguardia. Il suo personalissimo stile definito “Espressionismo Mediterraneo” fonde il primitivismo della pittura di Gauguin, ai colori intensi della sua Sicilia, in lavori che mescolano l’onirico con il mitologico. Il titolo della mostra Intimismo mitico rimanda a due aspetti fortemente presenti nella ricerca del siculo, il mondo interiore e la simbologia mitologica, osservabili nei dipinti esibiti che ripercorrono il decennio che va dal 1980 al 1991. In essi troviamo quella sensibilità psicologica e spirituale ravvisabile nelle sue composizioni intimiste, sensuali e a tratti fiabeschi in cui i soggetti rappresentati sembrano quasi galleggiare in un ductus materico denso e vivace. Figure mitologiche dai volti intimoriti riprese in momenti privati e descritte con pochi tocchi, decisi ma al contempo delicati. Nonostante l’impiego di tonalità che richiamano le citate correnti del passato – afferma Giorgio Agnisola nel testo critico – «quella vocazione di favole mitiche, di mari mediterranei in cui la superficie è totalmente e impenetrabilmente carica è propriamente sua, più che un colore è un simbolo. Interamente simbolica in definitiva più che metaforica è l’arte di Germanà. Simbolica in uno spazio che potremmo dire d’intimismo mediterraneo, in cui passato e presente si congiungono in un orizzonte di colta e solitaria classicità.». L’allestimento, dislocato in due spazi della fondazione, dà luogo a distinti percorsi di fruizione: uno interno alla mostra e l’altro in dialogo con il sito che la ospita. L’osservatore, svincolato da tragitti obbligati, focalizza la sua attenzione verso melanconiche immagini pittoriche di varie dimensioni collocate lungo le pareti delle sale ed intervallate dal tavolo da lavoro del pittore. L’esibizione, incentrata sugli anni della maturità creativa dell’artista, è realizzata grazie alla collaborazione con la Collezione Mimmo Germanà – realtà che svolge attività di ricerca, studio e divulgazione delle opere del pittore in Italia e all’estero – con lo scopo di favorire una ricostruzione documentaria, filologica e storica del suo percorso artistico. Maila Buglioni
con diversa mobilità di sguardi. Erano riassunte da una fremente parata di frames in bianconero dei suoi lavori, da due video, e da ritagli di stampe di foto aeree volanti sulle finestre del Murat. Le faceva da contrappunto l’esperienza di senso opposto (sulla scia lunga da Warhol a Jeff Koons) sottilmente proposta dall’americana Ann Agee, emersa per l’uso ironico della ceramica dai tempi delle bad girls femministe: l’interior space, lo spazio domestico e individuale in cui anche i tempi della cultura si confondono, così come i mezzi tradizionali di evocazione. Arte che finge, anzi ostenta piaceri decorativi con pittura acrilica e stencil su carta da parati raffinata e precaria al contempo. Fra i due poli, un eclettico campo di variazioni e divagazioni. L’automobile parcheggiata all’esterno dello Spazio da Stefano Faoro, adibita a ricettacolo di chiacchiericci
ad alta densità fonetica. Lo scheletro e i nervi della comunicazione evocati con geometriche strutture di ferro e con serpenti di cavi e prese da Judith Fergerl. L’ironica riduzione dell’architettura dinamica di Zaha Hadid a simulazioni di scarpe totemiche erette su basi industriali da Marusa Sagadin. Le sovrapposizioni di memorie e misteri nelle fotografie della scandinava Inga Meldere. Ormai storicizzate, e di sensibilità intimista, le prove di Roxane Hullmand che danza per le vie di Bruxelles in un film 1987 di Wolfgang Kob e le ombre umane proiettate da Birgit Jurgenssen (artista scomparsa nel 2003) su fotografie d’interni nel 1997. L’eterotopia di cui parlava Foucault, la città come luogo “altro”, fantasmatico e ibrido. Ma luogo, ancora, di ultima resilienza al dissolvimento nel virtuale. Pietro Marino
Fondazione La Verde La Malfa, Catania
Mimmo GERMANÀ
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SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018 | 269 segno - 55
Body of Light, Luca Tommasi Arte Contemporanea - Milano, 2018
Luca Tommasi Arte Contemporanea, Milano
Body of Light
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uca Tommasi presenta una doppia personale nello spazio di Milano, in cui la luce è il comune denominatore delle ricerche di Anne Blanchet e Sean Shanahan. La mostra Body of light indaga le ricerche di due artisti distanti nel tipo di produzione ma strettamente connessi nella loro base concettuale. L’analisi formale estremamente sintetica di geometria e colore, lo sviluppo delle forme in senso architettonico, insieme ad un approfondito studio sulla luce, sono i punti di contatto delle loro poetiche; le opere bidimensionali sono poste a confronto, affisse alle pareti di un unico white cube. Rizzuto Gallery, Palermo
Francesco DE GRANDI
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ersonale di Francesco De Grandi in un itinerario fascinoso dal potente crescendo sinfonico in cui si sussumono le meditazioni sull’Idea del Sacro, da sempre componente determinante dell’opera tutta dell’artista palermitano. La mostra trae ispirazione dal saggio di Rudolf Otto Il Sacro. L’irrazionale nell’idea del divino e la sua relazione col razionale, edito nel 1917: nelle sue dense pagine Otto individua un netto momento nell’evoluzione della coscienza, il disvelamento di un sentimento che egli definisce Creaturale, in cui all’uomo si rende manifesta la consapevolezza di non essere altro che “terra e cenere”, di non avere alcuna possibilità di autodeterminarsi in vita e in morte. E’ da qui che nasce in maniera assolutamente causale il convincimento di essere entità Creata da volontà superiore e si produce l’Idea di Dio. Così “Come Creatura” è non solamente il titolo della mostra ma anche di un grande quadro, movente da cui si dispiega l’intero percorso allestitivo e teoretico degrandiano: mirabilissimo il carattere descrittivo di un Paradiso Terrestre, carico di significati simbolici, che richiama alla mente i paesaggi di Tobias Verhaecht o del più tardo Arnold Bocklin. La natura qui s’impone ed è una natura tellurica, primitiva, oltrapossente: in essa vi è una luminosità ed al contempo una terribilità che sono di certo quelle sensazioni dominanti con cui venne percepita dal primo uomo e dalla prima donna alle origini dei tempi. Ed ecco che a fissare per la prima volta il loro sguardo mortale su questo Eden
56 - segno 269 | SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018
Body of Light: Anne Blanchet, Luca Tommasi Arte Contemporanea, Mi, 2018
I light drawings di Anne Blanchet, nella loro essenzialità di linee e cromia, celano uno dinamismo visivo in cui il materiale industriale - il plexiglas - adoperato per la creazione dei pannelli, interagisce con la luce circostante. Gli acromi quadrilateri contengono un segno grafico, una curva, un taglio ‘radicale’ - come lo definisce il curatore Stefano Castelli - dall’effetto tridimensionale. Questa lontana eco delle estroflessioni della tela, in realtà diviene il soggetto principale dell’equilibrio giocato tra opacità e trasparenza del supporto, un bilanciamento tale da permettere al segno di manifestarsi solo in alcune ore del giorno. La capacità di assorbimento della luce da parte del materiale plastico gli permette di nascondere il taglio di forma organica, contenuto tra i quattro lati dell’opera, un segno continuo che si estende idealmente su ogni lavoro, cre-
ando un collegamento. Di origine industriale è altresì il materiale utilizzato per i supporti dei vivaci monocromi di Sean Shanahan, dove un derivato del legno, l’MDF, reagisce al pigmento ad olio nel momento della sua stesura con un assorbimento parziale. Pur avendo un supporto artificiale, l’opera non acquisisce freddezza ma riesce a conferire matericità e intensità al colore che viene steso molto lentamente, tramite l’accostamento di pennellate irregolari. Ne deriva un tipo di tessitura pittorica che permette al colore di vibrare, ma che resta visibile solo da vicino. Per rendere ulteriormente dinamici e oggettuali i pannelli, l’artista sagoma i bordi seguendo delle direttrici che li proiettano nello spazio, essi divengono solidi geometrici attraverso giochi della nostra percezione. Alice Ioffrida
brulicante sono Adamo ed Eva, effigiati come silhouette allungate, immote, dalle muscolature nervose e dalla resa pittorica ultra-realista. La figura umana, che Berenson definì “elemento essenziale, vitale della rappresentazione”, qui in tutta la sua bellezza assoluta vibra di una propulsione panica, ancestrale. Essa è sottoposta all’implacabile spinta indagatrice che d’altronde investe anche lo spettacolare brano paesistico dall’intonazione metallica. L’intavolazione abbandona il metodo prospettico tradizionale per adottare una visione estremamente contemporanea che è quella del drone: in volo, l’artista plana su questo giardino veterotestamentario di cui assimiliamo come da una telecamera tutti i dati che ci vengono restituiti con scientifica esattezza. Da questa ouverture De Grandi dispiega la mostra nelle sale della galleria come se questa fosse un racconto: un racconto fatto di carte dalla malìa narcotizzante, di crepitanti Entrate a Palermo, di pregevolissimi disegni che costituiscono un vero diaframma sulla mente dell’artista; un racconto dall’andamento musicale che vede alternarsi movimenti di grande pathos ad altri che fungono da onirica e visionaria camera di decompressione. Inseguendo una dialettica che mai si paca tra regnum natu-
rae e regnum hominis, Francesco De Grandi si muove come un alchimista che distilla preziosi succhi cromatici. Nel suo corpo a corpo con la materia pittorica e con la tela si visibilizza l’incessante ricerca della sostanza delle cose traslitterata attraverso un’encomiabile sintesi di logos e praxis che echeggia l’adagio jaspersiano per cui niente di tutto ciò che esiste nello spirito grazie alla contemplazione può giungere, senza operazione manuale, al suo compimento. Serena Ribaudo Francesco De Grandi Bocca dell’Inferno, 2018, Olio su tela, 50x35 cm.
attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE
Galleria Enrico Astuni, Bologna
Steven Pippin, Sinar 50-50, 2013. courtesy Galleria Astuni, Bologna
Steven PIPPIN
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a prima mostra autunnale della galleria Astuni ci invita a ragionare a mente fresca sulla trentennale ricerca di Steven Pippin. Artista e ingegnere, opera attraverso congegni meccanici sorprendenti traslati psicologici, creando dispositivi materiali che inscenano situazioni narcisistiche, ironiche, umane. È il caso, ad esempio, dell’opera Carbon Copiers del 2004, in cui due fotocopiatrici posizionate una sull’altra “si riproducono” in un loop continuo. Finalista al Turner Prize nel 1999, in mostra si possono vedere molte sue produzioni che spaziano dall’installazione alla fotografia, dal video alla scultura, in ognuna delle quali l’idea e l’esecuzione reggono ampiamente il confronto con il tempo. Affascinante il processo che porta allo
sviluppo di Launderama Ipso Facto del 1989: in effetti si tratta proprio dello sviluppo di una pellicola 16mm della durata di 9 minuti, ottenuto nel cesto di una lavatrice a gettoni della quale ha filmato il funzionamento subito prima di venire trattata al suo interno. A cavallo del millennio si colloca una delle più ironiche e godibili opere dell’autore, New Consternation, la cui essenza si estende per un pezzetto anche nella didascalia del foglio di sala. Si arriva fino al 2018 attraverso le 21 opere esposte nella mostra personale di Steven Pippin dal titolo WORK (WITHIN A WORK); quando si esce si può rimanere per qualche minuto con l’impressione di essere finiti dentro uno dei suoi ingranaggi. Lucia Lamberti
Palazzo della Ragione, Padova
tematica del tempo, analizzata sotto molteplici punti di vista: mytime (2018), un orologio con un’unica lancetta che segna, idealmente, la durata della vita; una poltrona – UP 5&6 (1969) – di 4 metri di altezza rivestita con abiti da donna provenienti da diversi luoghi ed epoche, circondata dalle teste di sei belve feroci; due progetti – Passeggiata per Padova (2015) e Padova onora Galileo (2015) – che vorrebbero riportare in auge la gloria di due personalità del passato, le quali hanno uno stretto legame con la città, Giotto e Galileo. Il tempo, inoltre, è sentito anche nell’atmosfera che aleggia nel Salone, sia attraverso i rimandi medievali dell’edificio stesso, sia tramite la metafora del gioco, percepibile se si osservano i sostegni colorati di varie dimensioni che popolano l’aula, i quali contengono al loro interno altre opere che il visitatore è invitato a scoprire avvicinandosi e aguzzando la vista, spinto dalla curiosità del bambino che è in lui, indicate con titolo e anno(anche quella soprastante principale) utilizzando matite colorate. Un’altra opera da leggere mantenendo questo background è Italia in croce (1978), installazione di fronte a Palazzo Moroni e al Bo, la quale è attuale oggi tanto quanto lo era allora, pensata per esprimere le sofferenze che gli italiani vivevano durante il periodo delle Brigate Rosse. L’opera ha diviso il pubblico a metà, suscitando reazioni contrastanti (apprezzate dall’artista stesso in quanto,
Gaetano PESCE
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no degli esponenti del Gruppo N, formatosi a Padova negli anni ’60, ritorna in città con una grande retrospettiva, allestita all’interno del Salone di Palazzo della Ragione. La mostra presenta 200 opere dell’artista eclettico, presentate appositamente in modo non convenzionale, per permettere al visitatore di scegliere autonomamente il percorso da compiere alla scoperta degli elementi che trova “sparsi” nello spazio. Questa modalità espositiva rispecchia, da un lato la ricercata unicità dei lavori di Pesce, in quanto la libertà che egli concede allo spettatore celebra l’individualità del singolo; dall’altro la fluidità temporale, non legata alla canonica cronologia impostata delle istituzioni museali. Le opere esposte appartengono ad ambiti artistici vari, a partire dall’architettura, dal design, fino ad installazioni e disegni. I sostegni, di conseguenza, sono anch’essi diversificati: alcuni bozzetti sono appesi in una struttura verticale esattamente al centro dell’esposizione, dividendola, mentre altre installazioni poggiano a terra o su/dentro piedistalli. Il tempo multidisciplinare si pone quindi in primis come una riflessione sulla
Gaetano Pesce, Il Tempo Multidisciplinare, Palazzo della Ragione, Padova 2018
secondo lui, l’arte deve creare dialoghi ed essere discussa): alcuni non l’apprezzano affatto e talvolta si dichiarano indignati; altri percepiscono il dolore che essa trasmette e riconoscono le difficoltà che il nostro paese sta vivendo ancora adesso. Essa è fiancheggiata da un’altra scultura, Maestà tradita (2016), la quale denuncia la condizione femminile e ricorda la sofferenza della donna “martire”. Il gentil sesso è un’altra tematica cara a Pesce. Egli ritrae volti e parti del corpo femminili in molte sue opere: esemplificativo è il disegno della Donna Vitruviana 3D (2013), opponendosi a Leonardo. La donna è posta dall’artista in primo piano, elogiandola e cercando di difenderla e compatirla, portandola spesso a paragone con la Madonna. Un altro filo conduttore che risuona nel lavoro di Pesce è la religione, non esclusivamente quella cristiana, poiché egli prende spunti anche da altri credo. La sua personalità multidisciplinare viene celebrata in questa mostra antologica su altrettanti piani diversi, che risultano percepibili sia a livello superficiale, da coloro che non sono intenzionati a scavare a fondo, ma anche a livello intellettivo, dove chi invece vuole conoscere meglio ciò che sottostà all’apparenza estetica, entra in contatto con la mentalità aperta e perennemente in cerca di stimoli di un uomo che, dopo 60 anni di carriera, è ancora attuale. Cecilia Paccagnella
Gaetano Pesce, Il Tempo Multidisciplinare, Palazzo della Ragione, Padova 2018
SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018 | 269 segno - 57
Giulio De Mitri, THEOREMA, 2018, installazione ambientale (particolari). Foto di G. Ciardo. Courtesy Museo Archeologico di Santa Scolastica, Bari
Bastione Aragonese Museo Archeologico di Santa Scolastica, Bari
Giulio DE MITRI THEOREMA di Maria Vinella
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a sostanza immateriale della luce, la sua essenza artificiale, il suo corpo imprendibile – analizzati nel loro valore fisico e culturale – sono per Giulio De Mitri mezzo simbolico di rilettura e rivisitazione di una visione eccentrica delle cose del mondo. È testimonianza austera di questa pluridecennale ricerca l’elegante mostra Theorema, curata da Clara Gelao e Antonella Marino e ospitata nel bastione del Museo Archeologico di Santa Scolastica di Bari.
Seguendo il fil rouge dei propri interessi, l’artista – che in passato si è misurato con diversi approcci formali: dalla pittura alla performance, dalla scultura alla fotografia, dal video all’installazione e all’ambientazione – assecondando l’intima esigenza di rinnovamento linguistico e rapportandosi allo spazio architettonico ricco di stratificazioni storiche, ha scelto di ideare ad hoc un suggestivo intervento basato su installazioni luminose. Negli spazi ombrosi della possente archi-
tettura aragonese, De Mitri ha realizzato un’ambientazione composta da nove strutture di geometria minimal ricoperte da un manto pittorico dal biancore lattescente. Le strutture site specific sono costituite da teche luminose in forma di figure geometriche primarie (triangoli, cerchi, quadrati, questi ultimi anche nella variante modulare del rettangolo) sorrette da basamenti neutri; nei candidi light box misteriosamente appaiono imprigionate mutevoli immagini cariche di ipnotica ambiguità. Tra riverberi azzurrati, vapori di luce calda, tracce e punti più luminosi, galleggiamenti morbidamente alonati, arcane costellazioni pulsanti, l’artista mette in atto le metafore di un processo di rigenerazione formale che – pur apparentemente rifiutandosi d’assumere perimetri
Giulio De Mitri, Spazi sacrali III, 2018. Foto di D. De Mitri. Courtesy Museo Archeologico di Santa Scolastica, Bari
58 - segno 269 | SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018
attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE
Giulio De Mitri, Paesaggi dell’anima I, II, III, 2018. Foto di G. Ciardo. Courtesy Museo Archeologico di Santa Scolastica, Bari
certi e ragionevoli volumetrie – fronteggia la rarefazione fluttuante del caos indistinto, cercando di porvi rimedio. Classificare e nominare il Chaos: questo il tentativo eroico dell’artista-alchimista che sfida le possibilità di trasmutazione della materia. In opere come le quattro forme circolari di Genesi, in Paesaggi dell’anima I, II e III nelle versioni triangolare, quadrangolare e circolare, in Percezioni cosmiche I e in Percezioni cosmiche II (con tre sagome circolari), in Spazi sacrali I (un sole nero o una gigante pupilla umana?), II (un lembo rettangolare di spazio stellato) e III (con l’astro sferico bianco adagiato nel triangolo luminoso), tra impenetrabilità iperuranica e prevedibile variabilità della realtà terrena, De Mitri sceglie la strada del pensiero avventuroso capace di sconfinare verso l’infinito eppure di custodire nella memoria la strada del mitico ritorno a Itaca, di sfidare i confini del mondo pur conservando le mappe di sicuri approdi. In questa tensione emblematica tra fughe e ritorni, l’artista snoda negli spazi delle antiche mura le proprie opere che moltiplicano l’atmosfera sospesa del luogo. Alle troppe storie stratificate oppone il tempo astorico delle installazioni animate dal
ricorso fisico e mentale all’energia luminosa. In tal modo perviene a un’astrazione cristallizzata, quasi metafisica, dove la luce assume valore sia come medium specifico sia come esito finale dell’opera. Esito che si sostanzia in un repertorio cosmogonico denso di visioni auratiche. Da anni l’ibridazione reale-virtuale della luce denaturata alimenta le ricerche di Light Art dell’artista, protagonista di un’indagine multiforme che sperimenta la leggerezza, l’evanescenza, la graduale perdita di consistenza visiva dell’opera stessa. Come sappiamo, la Light Art ormai non è più un territorio inesplorato e arduo; lo hanno dimostrato le forme luminose di Dan Flavin, le installazioni dove la luce è in rapporto osmotico con l’ambiente di Olafur Eliasson, le ambientazioni paesaggistiche di Robert Irwin ecc.; neppure in Italia (ricordiamo di Lucio Fontana Ambiente spaziale con forme spaziali e illuminazione a luce nera, del ’49 alla Galleria del Naviglio di Milano, oppure l’opera di tubi al neon Arabesco Fluorescente del 1951 installata durante la IX Triennale) dove se ne sono occupati artisti come Piero Fogliati, Massimo Bartolini e numerosi altri. Oggi, grazie anche alle ricerche di questi
autori, l’ultima frontiera della Light Art propone innovazioni tecnologiche che prevedono l’utilizzo dei Light Emitting Diode e di specifici software che ne gestiscono il “comportamento”. Oltre i LED, altri tipi di fonti luminose consentono agli artisti contemporanei di definire opere non più vincolate alla oscurità degli interni ma visibili in ambienti esterni, rendendo in tal modo possibile un coinvolgimento efficace e condiviso del pubblico. Questo è quello che accade in questa mostra. Difatti, analizzando le caratteristiche immersive del Minimalismo mediterraneo fulcro delle passioni estetiche dell’artista – per il quale la cultura meridiana è fatta di “orizzonti circolari e sconfinati, pervasi dalla materia liquida, dalla dissolvenza tra i diversi valori del blu marino e di quello aereo e tra gli sfolgorii e i riverberi di luce solare e dei suoi riflessi sugli specchi acquatici” (G. Gellini) – troviamo la conferma di un percorso coerente che intreccia lirismo, tecnologia, sensorialità, emozione, percezione, tensione concettuale all’insegna del Theorema che invita a contemplare, osservare, guardare. Pur nella certezza dell’incomprensibilità umana del Kosmòs. n
Giulio De Mitri, Genesi, 2018. Foto di G. Ciardo. Courtesy Museo Archeologico di Santa Scolastica, Bari
SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018 | 269 segno - 59
Scuderie di Palazzo Aragona, Palazzo d’Avalos, Vasto
51° Premio Vasto
Paesaggi oltre il paesaggio Omaggio a Filippo Palizzi
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a oltre mezzo secolo il Premio Vasto continua ad affrontare temi sempre diversi e a mettere in luce l’opera di artisti appartenenti a diverse generazioni. In questa edizione 2018, a cura di Silvia Pegoraro, sono 47 gli artisti selezionati a rappresentare il dialogo fra epoche, secondo una rilettura del tradizionale tema del ‘paesaggio’ scelto per raccontare il Novecento, a partire in occasione del bicentenario della nascita del pittore vastese Filippo Palizzi, autore di alcuni dei più pregevoli esempi di pittura paesaggistica dell’Ottocento italiano. In mostra opere che vanno da Michetti e Carena a Matta, da Galante e Guccione a Boille, Moreni e Titina Maselli, da Festa e Schifano a Wenjun Fu e Gjokaj, tutte esposte secondo un ideale confronto e dialogo con quelle di Palizzi, capaci al contempo di mettere in luce come le visioni intorno al paesaggio, per l’appunto, si sono modificate nel tempo, tanto per quel che attiene lo spazio quanto nel rapporto con la presenza o assenza dell’uomo. La mostra, organizzata dal Comitato Premio Vasto d’arte contemporanea, presieduto sin dal 1959 da Roberto Bontempo, fondatore dello storico Premio, è stata allestita presso gli spazi delle Scuderie di Palazzo Aragona, luogo che bene si accorda a quella ricerca del Sublime sottesa, così come esplicitamente dichiarato nel sottotitolo Per un ‘Sublime’ contemporaneo, all’idea stessa di paesaggio. A Palazzo d’Avalos omaggio del Comune di Vasto a Filippo Palizzi con la mostra dal titolo Filippo Palizzi, la Natura e le Arti, che racconta, attraverso circa seicento opere, la vicenda artistica e culturale di un artista “mettendo in luce – come afferma la curatrice Lucia Arbace, – una nuova dimensione di questo artista, moderna, non scontata e non esclusivamente legata alla sua attività di pittore dell’800, che è stato capace di aprirsi al 900 sperimentando i progressi anche in ambito tecnologico. Si è inteso così celebrare ll’intera vicenda artistica di Palizzi, dei suoi viaggi, dei contatti con la cultura Europea, dei carteggi con dettagliate analisi della sua pittura. L’itinerario della rassegna va dagli anni della formazione, dal precoce interesse per i costumi popolari agli studi dal vero a Vasto, Napoli e Cava, con particolare risalto a temi molto amati quali i cani, i cavalli, gli interni, le donne che guardano oltre, la vegetazione e le mutevolezze atmosferiche. Per concludere si pensi alle parole di un suo caro amico, Domenico Morelli: “La sua era un’arte modesta, di piccole proporzioni; ma vi era dentro tutto un mondo di colore, di luce, di una verità, di un rilievo palpabile. Non pensava né concepiva grandi effetti pittoreschi: trovava sul posto i suoi quadri, vacche, vitelli, capre, asinelli, erba, sassi, interni affumicati, e rendeva interessante tutto quello che ritraeva dal vero!”. La mostra si è avvalsa di un prestigioso volu60 - segno 269 | SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018
me “Filippo Palizzi, la Natura e le Arti”, a cura di Lucia Arbace, con documenti, immagini e testimonianze di Mariantonietta Picone Petruso, Maria Tamajo Contarini, Alessandra Giancola, Franco Maria Battistella, Silvia Bosco e Sara Pizzi, Stefano Menna, Chiara Stefani, Andrea Zanella, Patrizia Piscitelli, Maria Grazia Gargiulo e Giorgio Napolitano, Silvia Bosco e Sara Pizzi , Rossella Napoli, edito da Rocco Carabba Lanciano. Lucia Spadano MuMI, Francavilla al Mare
69° Premio Michetti
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he Arte fa oggi in Italia? A porsi questo interrogativo è stato Renato Barilli che, per l’edizione 2018 del Premio Michetti ha proposto una selezione di opere di artisti rappresentativi delle ultime generazioni. Una affermazione più che una domanda, forse leggermente pretenziosa, non fosse altro che i 32 nomi presenti in mostra sono apparsi troppo pochi per rispondere ad un così arduo quesito. Tuttavia, vero è che si è trattato di una selezione avvenuta su una ricognizione molto più ampia, ma forse non sufficiente a chiarire lo stato della ricerca nel nostro Paese, ad oggi certamente più articolata, frazionata, parcellizzata e variegata di un tempo. Tuttavia Barilli non ha mancato, in merito al Premio Michetti, di rilevare, proprio intorno a questo tema che: quello “spostarsi dell’attenzione dall’oggettivo al soggettivo”, ha portato gli artisti ad elaborare “un nuovo senso del mito che affiora dal profondo sino alle soglie della coscienza, e che è identificabile con la genesi stessa delle immagini, cioè col determinarsi di una realtà linguistica e simbolica”. Una tendenza artistica che potremmo definire, con espressione ossimorica, ma proprio per questo carica di promesse e contraddizioni, slanci imprevedibili e spunti dialettici, realismo visionario […].Promesse e contraddizioni sono apparse, in effetti, come le parole chiave che meglio hanno espresso il senso di questa esposizione delle opere di: Marilla Boffito, Cristina Treppo, Cristiano Focacci Menchini, Alex Bellan, Giorgio Guidi, Antonio Guiotto, Lorenzo di Lucido, T-Yong Chung, Alberto Tadiello, Alessandro Roma, Kensuke Koike, Elisabetta di Maggio, Lucilla Candeloro, Lisa Lazza-
Matteo Montani davanti all’opera premiata
retti, Chiara Pergola, Diego Soldà, Lucia Veronesi, To / Let, Adriano Valeri, Nicola Gobbetto, Paolo Gonzato, Elena Brazzale, Matteo Montani, Federico Lanaro, Giorgia Severi, The Bounty Killart, Andrea Grotto, Anna Galtarossa, Alvise Bittente, Eloise Ghioni, Renzo Borella, Laurina Paperina, Emmanuele Panzarini. Vincono il 69°Premio Michetti, quest’anno e per la prima volta modificato nell’acquisto opere da parte del Museo, due artisti molto distanti fra loro sia per il linguaggio espressivo sia per i temi di loro interesse. Sono entrati in collezione Lucia Veronesi con il ciclo La Stanza Addosso, ovvero scatti fotografici di scatole di cartone “abitabili”, vere e proprie metapicture in cui si annidano anche le presenze/assenze dell’essere umano e Matteo Montani con Grande Accordo. Il suo dipinto, opera del 2017, può considerarsi un puro esempio di semplice lirismo. Una pittura, al contempo, moderna e originale sostenuta da una particolare tecnica che lo contraddistingue nel panorama nazionale della pittura, dove la ricerca intorno al colore lo ha condotto a risultati di grande sensibilità e romanticismo. Maria Letizia Paiato
Lucilla Candeloro, To / Let, Che cosa sono, 2018
attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE
Fondazione Menegaz, Castelbasso (Te)
Fabio MAURI Matteo FATO
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ono due le mostre che hanno animato l’edizione 2018 di Castelbasso, la storica manifestazione che grazie al lavoro della “Fondazione Malvina Menegaz per le arti e la cultura”, è impegnata annualmente nella promozione dell’arte contemporanea. Rispettivamente a Palazzo De Sanctis e Palazzo Clemente, quella più storica dedicata alla fondamentale figura di Fabio Mauri e quella più attinente al presente che ha visto protagonista Matteo Fato in dialogo con le opere della fondazione. “Fabio Mauri 1968-1978”, come già si evince dal titolo, ha proposto nel percorso studiato da Laura Cherubini, curatrice del progetto, uno spaccato concentrato su un decennio di profondi mutamenti culturali, nell’arco del quale Mauri ha cominciato una personale riflessione sul concetto e sul senso dell’ideologia. Fabio Mauri – lo ricordiamo – nato nel 1926 e scomparso nel 2009, presente in tantissime Biennali di Venezia e profondamente legato all’Abruzzo per via della sua attività di docente presso l’Accademia di Belle Arti dell’Aquila, è stato uno fra gli artisti più intensi e profondi che il nostro Paese abbia conosciuto. Anticipatore sui tempi, visionario e sensibile, già dalla fine degli anni Cinquanta Mauri proponeva il concetto di “schermo” come proiezione contemporanea dell’umanità, riaffrontando in seguito i dolori del passato della società, non tanto per esorcizzarli quanto per stimolarne l’esercizio critico, all’interno del quale, come insegnavano gli antichi greci, si costruisce una memoria capace di sconfiggere il tempo. Memorabili, ancora oggi, sono performance come Che cosa è il fascismo ed Ebrea, realizzate negli anni Settanta, proprio quelli in cui si è concentra la proposta curatoriale della Cherubini che ha ripercorso questo tempo speciale di Mauri, il cui tema generale, se vogliamo, è stato proprio il tempo stesso. Sicché nelle stanze di Palazzo De Sanctis si sono alternate immagini, espressione del complesso linguaggio dell’artista romano fra tracce video, scatti di performance, installazioni e fotografie che narrano il costruirsi e lo spezzarsi del pensiero umano, in sostanza l’espressività dell’individuo e della società, troppo spesso subissata di tensione. Magnetiche e intrise di pathos sono la foto in studio della performance realizzata a Roma nel 1973 con Elisabetta Catalano, ma anche e soprattutto quella, Fabio Mauri e Pier Paolo Pasolini alle prove di Che Cosa è il Fascismo 1971, 2005, senza contare l’installazione Intellettuale – Pasolini del 1975. L’esposizione è stata anche ricca di disegni, carboncini su carta, tecniche miste, stampe serigrafiche e collage che hanno mostrato la dedizione di Mauri all’esercizio dell’abbozzo di idee e pensieri che, tuttavia, si palesano in una forma finita e definita, ovvero di vera e propria opera. Dalla mostra dedicata a un artista storicizzato a quella più di ricerca impaginata da Matteo Fato che, tuttavia, con la storia ha avuto molto a che fare, nella fattispecie quella della collezione della Fondazione Malvina Menegaz. Il curioso titolo che ac-
Fabio Mauri, Intellettuale – Pasolini, 1975 – Installazione dimensioni variabili – Courtesy the Estate of Fabio Mauri and Hauser & Wirth
Fabio Mauri, Insonnia per due forme contrarie di universo, 1978. Installazione, dimensioni variabili. Courtesy the Estate of Fabio Mauri and Hauser & Wirth
compagnava questo spaccato recita: Sarà presente l’artista, ovvero una frase che, scelta in collaborazione con il curatore Simone Ciglia, faceva volutamente il verso a una nota dicitura che in passato spesso accompagnava gli inviti alle inaugurazioni. Se questo titolo lo avesse usato Emilio Prini forse all’apertura della mostra l’artista non lo avremmo mai visto (alla quale, tuttavia, c’era), ma ironia e gioco a parte, in questo caso esso si riferiva alla presenza dell’artista trasfigurata nell’essenza delle proprie opere. Abbiamo in questo modo visto un Matteo Fato misurarsi e mettersi in dialogo con la storia della Fondazione e la sua raccolta, analizzando e scegliendo alcuni pezzi che raccontano innanzi tutto la storia del gusto della famiglia Menegaz. Fra questi ha spiccato l’intrigante ritratto di un astronomo non datato preso a pretesto da Fato quale ideale punto di partenza dell’intero percorso espositivo. Da qui è iniziata infatti una riflessione sul concetto di osservazione, dunque e di conseguenza sulla percezione della realtà, cui Fato ha risposto con una selezione di proprie opere affatto scontata, ma soprattutto con l’invito a recuperare il senso del vedere senza filtri. A proposito di questo ritratto e in re-
lazione ad esso, ha spiccato un’interessante opera giovanile di Fato, poco vista, un neon modellato nella forma di un asterisco aperto che riconduce intellettualmente a quella di una stella, dove l’associazione al tema dell’osservare si consumava non solo nell’intuitiva relazione ma anche nella “visione” di un evidente celato cui faceva da sponda un piccolo Spalletti azzurro. È un ossimoro, questo, che ha funzionato altrettanto bene anche fra il meraviglioso bozzetto pittorico di Michetti cui si accompagnava un piccolo quadro in cassa – peculiare in Fato – di matrice pseudo astratta, oltre che per quasi tutti gli interventi presenti nelle sale successive dove fra un Boille, un Festa e un Turcato, Matteo Fato ci ha regalato piacevoli connessioni con la propria opera. Fra queste, di grande impatto quella allocata nella terza sala di Palazzo Clemente dove, il grande dipinto Senza Titolo (Somersault) dai toni verdi e pastosità tattili, anche questo incorniciato in una cassa, dialogava con un lavoro del grande Mario Ceroli – dove è proprio la cassa a risultare centrale – lasciando intuire agli “osservatori” la stringente relazione che intercorre con il mondo della natura. Maria Letizia Paiato
Matteo Fato, Senza titolo (oggetto scomposto), 2012 / 2016 oggetto scomposto, colla di coniglio e pigmento su legno e lino; materiali vari, dimensioni variabili Courtesy dell’Artista
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Galleria Doppelgaenger, Bari
GOLDSCHMIED & CHIARI
L
a democrazia è illusione”. La grande scritta sagomata con caratteri a specchio installata sulla parete principale della Galleria Doppelgaenger rivela immediatamente il focus di ricerca del duo Goldschmied & Chiari: la relazione pericolosa tra “realtà vera” e “realtà simulata”, verità e finzione, documentazione storica e alterazione illusionistica di fatti e misfatti umani. Questa “Secret Eyes Only” della coppia milanese Eleonora Chiari e Sara Goldschmied costituisce la prima edizione del progetto pluriennale “Il tesoro della città delle donne”, promosso dalla galleria come omaggio annuale destinato ogni volta ad artisti diversi e dedicato a Chiara Fumai, prematuramente scomparsa lo scorso anno. Goldschmied&Chiari, duo che nasce nel 2001 come goldiechiari e dopo 13 anni assume il nuovo nome, dal 2014 si ispira per le proprie opere a fatti storici accaduti nel XX secolo, soprattutto a partire dalla II Guerra Mondiale. L’indagine da loro condotta coinvolge la molteplicità delle connessioni politiche e ideologiche internazionali, con tutte le ricadute sociali ed economiche sulla vita di migliaia di persone. In particolare, le artiste hanno concentrato l’attenzione sulle illecite strategie manipolatorie messe in scena dai servizi segreti dei vari Stati pronti a travestire di democrazia discutibili posizioni ideologiche. “Secret Eyes Only” corrisponde alla scritta sul timbro con cui venivano bollati dalla
Goldschmied & Chiari, La democrazia è illusione, Galleria Doppelganger, Bari
CIA i documenti redatti dopo lo scandalo del Watergate, ed è anche il titolo della prima opera in mostra, un video dove mani femminili (quelle della ballerina Henriette Wallberg) si muovono agilmente al ritmo del codice morse ripetendo ossessivamente “stay behind” (star dietro/rimanere indietro/resta nascosti) alludendo a messaggi secretati. Sulla differenza tra credere, vedere e credere di vedere giocano anche altre opere in mostra, ad esempio due boîtes magiques in legno di noce che le artiste rivisitano nel rispetto delle peculiarità delle scatole magiche adoperate dagli illusionisti per i loro spettacoli; ancora una volta l’attenzione è puntata sui dispositivi fittizi dell’apparire e dello scomparire, del manipolare e dell’alterare i dati del reale. Artifici mendaci sono altresì celati nelle bizzarre immagini che compongono i numerosi collage e fotomontaggi dedicati all’universo dell’illusionismo o a quello altrettanto fittizio della manipolazione mediale d’epoca bellica. Estremamente seducenti, infine, appaiono i lavori con gli specchi stampati con fotografie di fumogeni colorati. Nelle sperimentazioni in studio le artiste usano fumogeni che esplodendo producono lie-
vi nubi di varie combinazioni cromatiche; rapidamente fotografate prima che si dissolvano in indistinti vapori, le nubi lasciano chimeriche tracce di vedute fantasmagoriche tinte d’arancio, blu, rosa, violetto … Ancora una strategia da effetto speciale per raggirare con l’inganno il reale e tenere in scacco ogni credibile verità. Spiegano Goldschmied & Chiari: “Ci interessa la similitudine nella pratica dell’inganno e dell’illusione nella rappresentazione della realtà da parte della magia scenica e della politica dei servizi segreti. Attraverso l’illusione, la velocità e l’abilità il mago concentra l’attenzione dello spettatore su alcuni elementi e ne nasconde altri; rendendo il trucco realistico, inganna lo spettatore e lo rende cieco di fronte al palco, restituendo una sensazione di stupore infantile e incredulità. La relazione tra la magia e le pratiche dei servizi segreti sta nel fatto che il pubblico in qualche modo vuole essere eterodiretto, non vuole scoprire il trucco”. A un pubblico privo di autonomia visiva, a un osservatore che lascia il proprio sguardo in balia degli altri, le artiste rispondono provocatoriamente con le narrazioni del “verosimile” aprendo a sempre nuove possibilità interpretative. Maria Vinella
Museo Speleopaleontologico e Archeologico, Genga (An)
Alessandro GIAMPAOLI
D
opo una formazione in studi classici e una ricerca trasversale fra disegno e pittura, maturata presso l’Accademia di Belle Arti di Urbino, è nel mezzo fotografico che Giampaoli trova la propria strada espressiva prediletta. Un percorso in salita che lo vede impegnato come fotografo ufficiale, ad esempio, a metà degli anni duemila del Centro Ricerca Arti Sceniche Contemporanee di Pesaro, sua città natale, fino a editare nel 2007 il suo primo libro fotografico Le radici del cielo. Giampaoli a Genga, tuttavia, in questa mostra curata da Maria Savarese e con la partecipazione e collaborazione di Casa Sponge, propone con Symbolum L’impenetrabile semplicità di ciò che è, un particolarissimo progetto dove, la magistrale padronanza della fotografia, che lega al duplice linguaggio del video, si rimette in gioco enfatizzando immagini che simulano l’effetto pittorico. Suddivisa in due sedi, entrambe caratterizzate da un forte senso di sacralità e quiete, le opere di Giampaoli trovano qui il giusto senso della compostezza che si addice al significato di simbolo, voluto e ricercato in questa personale esperienza. A San Vittorio delle Chiuse, incontriamo un video allocato nello spazio di una grande grotta immaginata 62 - segno 269 | SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018
Alessandro Giampaoli, SYMBOLUM – L’impenetrabile semplicità di ciò che è, Genga (An) 2018
propriamente quale ambiente ove meditare ma anche concettualmente pensato come punto d’incontro fra artificio e natura. Nello spazio di Palazzo Sermattei c’è, invece, la seconda parte della mostra, dove incontriamo opere dalla grande forza suggestiva ed evocativa che rimandano ai temi della fecondità, del femminile, dell’ancestrale incarnazione del divino dove, tuttavia, l’elemento umano si mostra sempre e comunque presente. Particolarmente suggestiva è l’immagine di una farfalla nera che, contrapposta a una
lightbox, suggerisce quel senso di metamorfosi e trasformazione sottesa alla vita di ogni cosa. Chiude la mostra una grande installazione posta nell’ultima sala del percorso dove, il pavimento completamente ricoperto di pulviscolo vulcanico, si contrappone al soffitto dove appesa si trova una piuma d’aquila. A incrementare questo senso di sospensione, di Symbolum, è il sound di Mario Mariani che completa il senso di sinestesia che attraversa tutta l’opera di Giampaoli. Maria Letizia Paiato
attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE
Hermann Nitsch, Dalla 104° azione 2000 (cm 148x302, mista su tela).
Studio d’arte Cannaviello, Milano
Cinquant’anni di attività
I
n occasione del 50° anniversario dello Studio d’arte Cannaviello, la storica galleria ha inaugurato una corposa mostra accompagnata da un prestigioso volume fotografico che raccoglie, in forma di diario, la propria ricca ed intensa esperienza dal 1968 ad oggi. L’esposizione, così il catalogo mostra, infatti, un carattere documentativo e affettivo al contempo, caratterizzato dal ritmarsi di una serie di scatti fotografici narranti gli incontri e le amicizie con artisti e critici di Ezio Cannaviello stesso, e uno spaccato con le opere degli artisti che hanno collaborato nel corso del tempo con lo Studio. La mostra rappresenta naturalmente una sola parte della lunga e ricca carriera del gallerista che, tuttavia descrive, in una sintesi in cui è quasi impossibile riassumere cinquant’anni di passione per l’arte, l’articolato percorso dello Studio, dove emergono i rapporti con i più grandi protagonisti dell’arte internazionale ma anche l’autenticità e la quotidianità che ha ritmato, e ancora oggi caratterizza, il lavoro di Cannaviello. Nel breve saggio introduttivo al catalogo se ne ripercorre la carriera, iniziata nel 1968 quando organizza per il comune di Capua una mostra
presentata all’epoca da un giovanissimo Achille Bonito Oliva. Parliamo di Ricognizione ’68, cui segue nello stesso anno la vicinanza al gallerista Lucio Amelio (grazie alla moglie Maria Teresa Corvino all’epoca artista di quella scuderia) che, come sempre Cannaviello ha tenuto a sottolineare, deve l’avere imparato l’arte del mestiere. Da questo magico momento in poi, la carriera di Cannaviello è tutta in salita. Ha rapporti e organizza mostre con artisti, allora giovani e oggi affermati, come Mario Ceroli, Giosetta Fioroni, Piero Gilardi, Fabio Mauri tanto per citarne alcuni, per poi proseguire il proprio percorso nella Roma dei primi anni Settanta dove conosce la Narrative Art, Fluxus e l’Iperrealismo. Sul finire del decennio arriva la decisione di stabilirsi a Milano, indirizzando il gusto della galleria prevalentemente verso la pittura, in particolare su quella di matrice tedesca, ovvero dei neoespressionisti, anticipando così i tempi su artisti in quel momento non conosciuti nel panorama nazionale. Parliamo di Baseliz, Penk, Disler, Polke e molti altri, successivamente entrati con pieno diritto fra le pagine che meglio rappresentano il decennio Ottanta dell’arte. Segue per Cannaviello l’avventura in Europa, dove apre alcuni spazi espositivi e dove promuove l’opera di Rainetr, Nitsch e Brus, principali attori dell’Azionismo Viennese, senza mai tuttavia abbandonare
Walter Dahn, Beuys und die lebte Eicke, 1985 (cm 65x50, acrilico su tela di lino)
Ettore Tripodi, storie, 2016 (cm 33x35, mista su tavola)
la passione per il neoespressionismo, ma anche uno sguardo sull’Italia, indirizzato in particolare verso gli artisti della cosiddetta Nuova Scuola Romana, come Pizzi Cannella o Nunzio. Con l’inizio del nuovo millennio, Cannaviello testimonia l’impegno verso artisti storicizzati ed emergenti, un impegno, una passione e un amore per l’arte che continua ancora oggi e che, indubbiamente, rappresenta un notevole contributo alla storia culturale del nostro Paese. Buon Compleanno pertanto allo Studio d’arte Cannaviello. Maria Letizia Paiato
Salvo, Senza titolo, anni ‘80 (cm 51x73, olio su tela)
1995 - Lucio Dalla ed Enzo Cannaviello alla fiera di Bologna
1998 - Enzo Cannaviello Mimmo Rotella e Pierre Restany in galleria
1997 - Enzo Cannaviello e Lucia Spadano nella galleria di Via Cusani
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Terme di Caracalla, Roma Intervista con
Alvin CURRAN
Omnia flumina Romam ducunt Tutti i fiumi portano a Roma
È
il titolo dell’ installazione sonora di Alvin Curran prodotta da RAM radioartemobile e dalla direttrice delle Terme di Caracalla Marina Piranomonte che apre i suoi battenti al pubblico dal 22 ottobre negli spazi del celebre sito archeologico. Stanti l’eccezionalità dell’evento e la fama dell’autore, una vera e propria icona della sperimentazione musicale avviatasi negli anni ’60 del secolo scorso, abbiamo provato a parlarne con lo stesso Curran. Paolo BALMAS: Il titolo dell’evento che hai preparato per le Terme di Caracalla parla non di strade ma di fiumi che portano tutti a Roma. Riflettevo su questo quando ho letto un’ intervista in cui ti si domanda cosa realizzeresti avendo fondi illimitati e tu rispondi che creeresti un pozzo dal quale faresti uscire suoni di ogni tipo, popolo ed epoca, scommettendo sul fatto che l’insieme apparirebbe coerente. Si direbbe che per te il nostro pianeta, abbia in sé, una specie di memoria che mantiene viva una rete di rapporti tra tutte le espressioni sonore di tutte culture. Una rete sulla quale tu sai come intervenire per farle vivere come musica. In quest’occasione hai a disposizione un luogo assolutamente centrale da cui parte sia la strada che va verso il Tirreno sia quella che va verso la Grecia, l’Africa, il Levante. Così ho pensato che l’acqua, che nelle terme aleggia ovunque, rappresenti per te un flusso capace di creare unione tra i popoli al di la di qualsiasi distanza, dando corpo a quella rete viva e disponibile su cui si basa la tua ricerca .Sono fuori strada o si può sviluppare questo discorso? Alvin CURRAN: No, sei perfettamente sulla strada giusta, anche se io ho dietro di me alcuni anni di lavoro che nascono del tutto intuitivamente per quanto riguarda la mia analisi, anzi, meglio, la mia autoanalisi. Come artista condivido, effettivamente un certo clima culturale, faccio parte di una storia molto recente e ancora in atto, la storia del cosiddetto “Sperimentalismo” in senso generale e più in particolare di quello Americano che a volte è molto rozzo, a volte è molto sofisticato, a volte sorprendentemente, quasi mistico, come nel caso di John Cage, per esempio, che andava verso fonti di ispirazione di natura trascendentale. In questo contesto la mia storia personale è quella di uno che per più di 50 anni è vissuto tranquillamente con grande senso di appartenenza alla città, a Roma stessa. Certamente il mio italiano così lontano dalle norme dalla lingua, sembrerebbe smentirmi, ma in realtà esso conferma un’altra cosa, conferma che sono un improvvisatore e improvviso anche l’ italiano. In ogni caso volevo dire che le considerazioni che tu facevi, il tuo suggerimento secondo cui mi sarei appropriato di un detto già esistente spostandolo dalle strade ai fiumi, sono senz’altro considerazioni valide, sempre però che si tenga conto del fatto che si tratta di un pensiero puramente poetico che si collega all’idea dell’importanza di questa città nella storia, non solo quella antica su cui non ci sono dubbi, ma anche quella attuale. Oggi c’è ancora fermento, un gran fermento a Roma in particolare, e in Italia più in generale. Un fermento che però non viene sempre riconosciuto. Sempre più, purtroppo, i giovani con cui sono molto in contatto, come gran parte del mondo intellettuale ed artistico, cercano luoghi fuori d’Italia per vivere, per portare avanti il loro lavoro e questa è tutta un’altra storia piuttosto triste, però non vuol dire che non succeda più niente qui, succedono molte cose. Per quanto riguarda il mio lavoro in particolare ci sono tuttora le musiche scritte che continuo a fare, esercitando una vita puramente compositiva con brani musicali per strumenti normali, e questa è una parte del mio cervello, l’altra parte, l’altra metà è in un mondo completamente sperimentale dove ho sempre trovato ispirazione da ogni immaginabile luogo, memoria storica e particolarmente siti come rovine archeologiche. Un semplice giardino, una spiaggia o altre cose che in se non suggeriscono molto, a parte una possibile scena per un pittore della domenica, per me sono fonti, in continuo sviluppo per quanto riguarda la loro potenzialità, il loro potenziale sonoro. E questo anche se tu vedi solo una rovina, delle steli, dei sassi, dei mattoni, degli archi, delle cose che non dicono niente, un insieme che non si può descrivere come un lavoro d’arte, perché ormai è solo una accumulazione di resti accidentali, distribuiti puramente a 64 - segno 269 | SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018
caso, rovine nel senso letterale del termine che sono venute giù e sono rimaste tali e quali. L’evento ora della mia installation alle Terme di Caracalla è un evento per me di sogno. La mia musica, a parte l’uso degli strumenti tradizionali, consiste anche di una forte presenza del suono ambientale di diverse parti del mondo. Un suono che potrebbe essere, per dare un esempio, quello prodotto da tutti i muezzin di Istanbul, e sono tanti, quando è l’ora della preghiera, cinque volte al giorno. Tutti questi muezzin – non so se li hai mai sentiti, a Istanbul o altrove – rappresentano un esperienza incredibile, cantano completamente a caso, non c’è nessuna coordinazione e tuttavia creano delle sinfonie corali ogni giorno, cinque volte al giorno. Sinfonie sempre diverse, grazie alle quali ogni volta abbiamo un’ altra densità, altri contrappunti, altre cose sorprendenti che sono li per tutti. Per me la musica, appunto, esiste dovunque tu ti trovi, se ti fermi e ascolti, stai ascoltando la musica naturale, anche se non c’è niente quel niente fa parte di questa musica. Le terme di Caracalla sono un luogo estremamente suggestivo già solo per la loro storia che ne fa uno dei più importanti centri culturali di Roma antica, un centro dove la gente andava non solo per fare i bagni, ma per leggere, per discutere, dibattere, meditare cioè trovarsi assolutamente staccati dal mondo, e questo in se è già un potentissimo suggeritore, tuttavia il luogo io lo vedo soprattutto dal punto di vista di un esperto che vive quotidianamente nell’acustica, nell’esperienza udibile, nell’esperienza vera e anche immaginaria che mi circonda acusticamente. Così io vedo muri, mezzi muri, cose cadute, buchi già esistenti all’origine ma anche buchi fatti dopo da chissà quanti corvi, uccelli, aquile… e mi chiedo chissà chi ha abitato e abita tuttora questi luoghi, ma non vorrei essere frainteso, la mia fantasia, il mio sogno non è quello di ripopolare immaginativamente quel mondo, di farlo tornare come era. Il mio desiderio non è quello di fare confluire veramente lì tutti i fiumi di cui parlavamo, farei solo acqua, acqua, acqua, sarebbe troppo facile. Io voglio fare piuttosto un disegno sonoro, una specie di soundscape, un paesaggio sonoro, così come come un paesaggista, un disegnatore di giardini o di altri luoghi architettonici, crea un suo mondo, con la differenza che alle terme c’è già un mondo che si esprime 24 ore su 24 attraverso questi potentissimi resti dell’antichità. Resti che definisco “potentissimi” perché sembra che parlino in continuazione di qualcosa che magari noi non possiamo neanche comprendere fino in fondo. Tutto questo mi porta ad assumere un altro punto di vista, quello di chi riparte dal mero sito, cioè da un sito puro che offre la possibilità di essere utilizzato come un trasmettitore di impulsi udibili. Non voglio però soffermarmi su gli altoparlanti che farò sistemare in alto, in basso, sotto il suolo, sotto le antiche condutture, o sull’acustica che già è a nostra disposizione grazie alla riflessione, alle distanze, alle vicinanze. Quello che conta è il disegno acustico che sarà possibile realizzare grazie a queste emittenti nascoste che di volta in volta emettono un suono. Quale suono emettono? Emettono suoni, in parte, della vita sonora che io posso verificare attraverso i dipinti romani in cui si vedono uccelli. leoni, elefanti, tutti animali che, per un motivo o per l’altro erano sempre presenti a Roma, ma anche suoni relativi a muli, cavalli, cani, gatti, ecc. che possiamo trovare anche nel presente. Circa il presente va detta anche un’altra cosa, va detto che stranamente alle Terme quando rimani dentro la sera o anche all’ora di punta, le auto che passano, cioè il rumore della nostra città moderna, quasi non si sentono. Tutto è molto silenzioso là dentro, è molto protetto dai muri esterni e ha il vantaggio di dar vita quasi ad un luogo vergine, per l’acustica immaginaria da cui nasce quello che io sto per comporre. La mia composizione comunque avrà diverse qualità, una delle quali sarà l’uso continuo di lunghi silenzi per cui dove prima non c’era niente poi d’improvviso c’è un suono. Suoni che però magari non riguardano il visitatore nel momento in cui si sofferma sui percorsi di collegamento come i due lunghi corridoi che vanno da una metà all’altra del sito., ma ricompaiono lungo il passaggio centrale dove ci sono le aperture che vanno direttamente alle antiche tubature e ai pozzi che si aprono tra di loro. Pozzi dai quali usciranno vari tipi di suoni particolarmente intensi. E qui mi fermerei nel tentare di descrivere qualcosa che è ancora in costruzione, anche se ci tengo a consigliare sin da adesso al visitatore di rinunciare all’orologio e ad altri aggeggi contemporanei come l I-Phone o l’I-Pad, di lasciarli fuori ed entrare liberamente come in un qualsiasi museo. Il mio, infatti, è un progetto che richiede più di dieci minuti di collaborazione, di partecipazione, almeno quindici se cammini lentamente. Dal mio punto di vista poi è un luogo dove io personalmente posso andare e restare per delle ore in quanto sarà presentata una composizione che è un continuo flusso quasi casuale, fatto con dei mezzi assolutamente imprevedibili coman-
arte e letteratura INTERVISTE
dati da un computer che fa scattare questo o quel momento o quell’altro ancora. Da un punto di vista sonoro è qualcosa di molto complesso e anche se riappaiono alcuni momenti che hai già memorizzato non ritornano con gli stessi suoni di prima. Quello che viene proposto è cioè un tipo di ascolto non come al cinema, non come in un sala da concerto, non come in un jazz club e neppure come a casa, è un ascolto dell’architettonica stessa, di distanze enormi. La natura vi regna pura ed io non posso neanche prevedere se un suono che metto a trecento metri ti arriva chiaramente, dipende dove sei, perché lo spazio è enorme. Non ricordo bene, nella disposizione originale delle Terme il nome di questo spazio, ma si tratta di uno spazio centrale tra i più vistosi dell’intero complesso. Più o meno lo stesso spazio di fronte al quale l’opera di Roma pone il palcoscenico in occasione dei suoi concerti, con la differenza però che nel nostro caso le rovine sono il palcoscenico, dovunque esse siano e non sai mai da dove può uscire un suono, sia esso di natura, elettronico o generato in qualche altro modo. Per farti un esempio potrebbe accadere che da sotto i tuoi piedi cominci ad agire il suono di un migliaio di fenicotteri che può essere seguito da qualcosa di altrettanto esteso ma opposto come quella delle cicale, non quelle mediterranee, ma quelle dell’Indonesia che hanno una frequenza così acuta che è quasi intollerabile per l’orecchio umano. Altri suoni difficili da riconoscere potrebbero provenire dai venti, ma non da lampi e tuoni divenuti troppo banali. Oppure potrei usare strumenti quasi sconosciuti come il corno di un Kudu africano, magari moltiplicato mille volte. Un suono primitivo che nessuno di noi ha mai sentito, neppure gli stessi antichi romani che semmai preferivano usare la tuba che era pur sempre corno sia pure più elaborato. Quello che mi interessa dire in ogni caso è che userò uso delle cose molto primitive, molto semplici, molto naturali, che possono provenire da qualsiasi parte del mondo non per produrre l’ennesima immagine di Roma antica o moderna. Io sto dipingendo qui con la mia immaginazione sonora e con il materiale che ho già in mano e con altre cose che devo ricercare. Quello che voglio realizzare è un paesaggio in continua evoluzione che non è fatto di colore ad olio su una superficie né di materiali come il metallo, il legno o il marmo che usano gli scultori, ma è fatto semplicemente di aria in movimento, aria che è assolutamente fluida e invisibile e perciò da luogo ad un dipinto sonoro assolutamente invisibile.... Paolo BALMAS: È noto che tu, rispetto ad altri tuoi amici americani con i quali hai cominciato le tue esperienze, hai scelto di rimanere a Roma dove hai continuato a fare una sperimentazione avanzatissima Vorrei capire se anche i suoni di questa città li hai registrati, nel tuo sentire, oppure non ne troveremo nessuna traccia nella tua installazione sonora. Alvin CURRAN: No, assolutamente, sono entrati nel mio lavoro e anche nella mia anima come una cosa molto naturale. Quando sono arrivato qui alla metà degli anni ’60 era un momento magico per Roma, per molti motivi, in particolare, la città stava uscendo da diverse storie simultanee e vivendo un presente molto promettente. Era una città, almeno per quanto riguarda le mie conoscenze, che era guidata da una grande euforia per il cinema dell’epoca, ma anche per quello che succedeva in particolare a cinecittà, e soprattutto nei teatri di Roma, in quei cosiddetti “buchi pestiferi” che erano dappertutto, pieni di giovani che cercavano di saltare nel presente. Era veramente il momento di buttarti nel presente, nell’attuale e sulla scia di ciò che accadeva con grande intensità mi son trovato a far parte di questo luogo con persone, come Memé Perlini, Mario Ricci, Alberto Grifi, e tanti altri protagonisti. Il mondo dell’arte poi era incredibile, era un propulsore dell’intera città che stava diventando una sorta di montagna sacra. Per non parlare poi del ‘68, del suo fermento utopico e dei nuovi mondi che andava prefigurando un’ondata giovanile molto seria e molto bella, un’onda globale, che montava simultaneamente in tutto il mondo. Per me come americano senza una vera conoscenza sia della storia antica che di quella recente dei luoghi in cui mi trovavo, c’ erano delle difficoltà, ci voleva tempo per capire ciò che succedeva, ma non tardai ad adeguarmi. Per la musica c’era una vita molto attiva a Roma, con personaggi come Franco Evangelisti, Nuova Consonanza e tanti altri che sperimentavano in continuazione in ogni direzione immaginabile. C’era molta ispirazione per me personalmente nei quartieri più attivi, pieni di speranza che qualcosa sarebbe accaduto, doveva accadere. Dappertutto c’era un gran da fare in questa direzione, anche se politicamente c’era molta confusione alla fine si stava andando verso quegli anni ’70 nei quali molte cose si sono parzialmente codificate, con l’Estate Romana con Nicolini e molte altre iniziative. La situazio-
ne era cambiata, ma l’ottica era sempre sul contemporaneo. Ora tutto questo è passato e il contemporaneo italiano non si manifesta più a Roma, appare a Berlino, a New York, a Tokio e altrove. Non appare più qui e questo è molto triste ed è impossibile non osservarlo avendo sulle spalle cinquant’anni di partecipazione e attaccamento personale al ai fatti che nascevano a Roma. Oggi non dico che i fatti non nascano più è, semmai, il loro riconoscimento e la loro attualizzazione politico-economica che non c’è. Paolo BALMAS: È senz’altro così anche per me, ma debbo aggiungere che da un certo momento in poi gli artisti stessi hanno cominciato a togliere l’indirizzo di casa dal loro biglietto da visita ideale. Io faccio il critico d’arte e posso assicurarti che almeno a partire dagli anni ‘80 quando chiedevi ad un giovane artista di fare la sua scheda tendeva regolarmente a scrivere cose come “vive tra New York e il Madagascar” e via dicendo, cioè sceglieva due sedi delle quali una molto prestigiosa, una metropoli, l’altra molto esotica. Naturalmente nella maggior parte dei casi non era vero, era solo il frutto di un’idea di Globalizzazione mediatica e festosa che oggi non avrebbe più ragione di esistere. Ora però ripensando agli anni in cui tu sei voluto rimanere a Roma, e hai fatto sperimentazione prima sulla musica elettronica, poi con il Minimalismo, non posso fare a meno di ricordare che anch’io, pur essendovi nato, sono a Roma in pianta stabile solo dal 1966, ragion per cui ho dovuto vivere anch’io un mio adattamento che non somiglia neanche un po’ alla descrizione per decenni della storia recente che oggi si fa, quella secondo i ‘60 sono gli anni del boom, della gioia di vivere, della liberazione sessuale, i ‘70 sono gli anni della sovversione politica irresponsabile, gli anni di piombo, gli ‘80 e i ‘90 infine sono gli anni dello spreco, della finanza allegra dove tutti truccavano i conti e spendevano senza problemi. Per quanto mi riguarda io ricordo molto più un percorso continuo della mia generazione toccato appena da questo presunto succedersi di compartimenti stagni. Un percorso umano dove le iniziative coraggiose e l’incontro con la persona giusta erano ancora importanti. Tu cosa ricordi? Alvin CURRAN: Si… tornando indietro negli anni mi hai fatto ricordare anche la generosità di Fabio Sargentini, la sua capacità di importare un’intera cultura Newyorkese e farla rivivere qui a Roma, una cosa straordinaria, particolarmente per me perché quei newyorkesi erano tutti miei amici e alla fine sono andato poi a collaborare con personaggi come John Jones e Trisha Brown e anche con Steve Reich, con il quale ho suonato in giro e poi La Monte Joung, e così via. Effettivamente ho lasciato fuori menzione tutto questo che era molto importante non solo per gli eventi musicali che ha prodotto ma anche per l’affermazione della danza contemporanea. Allo stesso modo va ricordato anche il Sargentini gallerista che andava avanti con una forza tutta sua, così come tanti altri che in quell’epoca creavano una Roma artistica in fermento continuo e straordinario. E non posso fare a meno di ricordare anche il Film Studio, un altro centro culturale nato da sé, un altro fenomeno che ha avuto la sua storia e ora non c’è più, purtroppo. Esso ha dato il via a un una cultura cinematografica alternativa come nessun altro. Naturalmente non posso tornare indietro a tutte le mie esperienze ma posso parlare di un percorso che va ancora avanti anche nel presente. Anche ora che ho quasi ottant’anni lavoro in continuazione per via delle esperienze del passato che ho rivissuto, rivisitato e ricucito in una prassi Alvin Curran con la sua opera Pian de artistica molto personale e pian piano, per No Man’s Land 2017 questo mi fa molto piacere, in particolare a proposito di questo lavoro delle Terme che è in se un simbolo di Roma, un simbolo che forse non sono riuscito a spiegare qui con tutta la dovuta chiarezza, ma che sicuramente più di qualsiasi altro intervento su di un sito naturale è per me un lavoro di Land Art. Un immenso pezzo di scultura naturale che, accettando un’enorme sfida, ho cercato di ricondurre ad un mio disegno sonoro musicale, un lavoro che mi ha consentito di concludere che il luogo è esattamente quello che avevo sognato per cinquant’anni. SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018 | 269 segno - 65
PAOLO SCIRPA
Ludoscopio G8 - Espansione curva + traslazione, 2007 cm. 107x107x48 + base
… chiunque collochi in un proprio spazio – sul muro, su un piedistallo, sul pavimento – un’opera di Scirpa, “sfonda” quello spazio, lo trasforma in un’apertura, in un ponte metaforico, addirittura in un passaggio indefinito e infinito verso un mondo che ora è ignoto… Marco Meneguzzo
Aprile 2017
www.paoloscirpa.it
attività espositive RECENSIONI E DOCUMENTAZIONE
Villa Novella, Rapallo (Ge)
Ivan BARLAFANTE
S
abato 7 luglio a Rapallo l’imprenditore genovese Marco Novella ha aperto i cancelli della sua villa, affacciata sulla splendida baia di San Michele di Pagana, per consentire ad un folto pubblico di estimatori di ammirare l’ultima opera entrata a far parte della sua nutrita collezione d’arte contemporanea, una scultura ambientale di Ivan Barlafante ricavata da una quercia secolare, già in loco, che nel mese di dicembre dello scorso anno aveva definitivamente ceduto alla furia degli elementi schiantandosi al suolo. Chi conosce il lavoro di Barlafante abruzzese di nascita , ma operante a Roma, non può che approvare la scelta di Novella di affidare a lui l’impresa di sottrarre l’albero in questione ad un prevedibile, e un po’ malinconico, destino di riutilizzazione come mera fonte di legname, non certo per farne un monumento fine a se stesso, ma per offrire una nuova testimonianza della vitalità dell’arte dei nostri giorni. Barlafante, infatti, deve la sua fama e l’apprezzamento internazionale che lo circonda proprio alla originalità e fecondità della sua ricerca sul rapporto arte-natura che lo ha portato ad includere assai spesso all’interno delle sue installazioni concreti prelievi dall’ ambiente naturale, prelievi tra i quali, negli ultimi anni, quelli ricavati dagli alberi hanno assunto un particolare rilievo . Diversi critici e commentatori, in qualche modo indirizzati da frammentarie dichiarazioni dello stesso artista, hanno proposto come spunto d’interpretazione del suo lavoro un possibile riferimento all’antico principio aristotelico dell’arte come mimesis naturale, ma nessuno mi sembra abbia fin qui tentato di sviluppare un discorso organico su un terreno storico-critico ed estetico-filosofico così intricato e sdrucciolevole, al di la dell’apparente semplicità della formula che tradizionalmente lo esprime.
Ivan Barlafante, Veduta delle installazioni / site-specific / installation view; Villa Novella, Rapallo 2018 (quercia secolare, tronchi, specchi - dimensioni variabili). Courtesy l’artista e Marco Novella
L’opera in questione tuttavia, la nostra quercia, con la sua articolazione ben più estesa del consueto, se riferita ai principali momenti della storia dell’arte in cui l’imitazione della natura fu ripresa in esame sotto nuovi e fecondi punti di vista può aiutarci ad immaginare le linee guida dell’impresa. Rispetto alla prospettiva rinascimentale che immette nello spazio cartesiano qualunque oggetto ma poi ne congela l’indagine entro un scena metricamente bloccata, il nostro artista continua ad utilizzare lo spazio euclideo, ma ne riapre continuamente le potenzialità tagliando secondo piani diversi i suoi
tronchi e rami e trasformando in una superfice riflettente la porzione in cui essi si incontrano con rami e tronco. La natura resta geometricamente e visivamente individuata ma si riflette continuamente in se stessa ed allarga all’infinito la propria immagine. Rispetto all’Art Nouveau che si servì della “linea forza” e, più in generale, del principio dell’empatia per imitare non più le sagome esterne dei corpi ma la loro energia interna, salvo poi non riuscire a frenare la tentazione verso l’indistinzione degli stessi all’interno di un unico flusso universale, il tronco e i rami tagliati e ritmicamente traslati della nuova opera di Barlafante ci vengono incontro ad un tempo individuati dagli accidenti della loro effettiva crescita storica e rappresentativi delle varie ed interconnesse leggi della natura che noi possiamo individuarvi. Quanto infine alle varie forme di astrazione costruttiva che della natura volevano restituirci solo i fondamenti operativi sotto forma di elementari geometrici e cromatici di volta in volta arbitrariamente normalizzati ed incapaci di approdare alla vera resa di una forma esperenziale autonomamente complessa, l’opera qui esaminata corteggia tutte le varie possibili forme di minimalismo ma ce le fa percepire solo come luogo estremo della scomposizione senza dimenticare il dato percettivo di partenza che tuttavia non viene arbitrariamente elevato al di sopra della condizione di puro evento storico-ambientale, di specie di un genere più comprensivo. Paolo Balmas SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018 | 269 segno - 67
Complesso residenziale Mario Botta, Pescara
Franco SUMMA
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a natura diventa cultura, l’albero diventa colore” nella nuova installazione di Franco Summa, realizzata a Pescara su commissione di Caldora Immobi-
68 - segno 269 | SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018
liare Costruzioni, per il complesso residenziale “OperA”, progettato dall’archistar Mario Botta nei pressi dell’Università “D’Annunzio”. Il Giardino Incantato è un’installa-
Franco Summa, Il Giardino Incantato, 2018 Allestimento di16 elementi metallici resinati alti 6 metri, disposti su un’area di 8 metri x 8 Pescara, Area Universitaria di Portanuova
zione dall’alto impatto percettivo e poetico in cui, l’artista abruzzese coniuga pittura, architettura e scultura, con un pensiero speciale al territorio urbano. L’inconfondibile
arte e letteratura INSTALLAZIONI
prive di recinzioni, secondo un concetto di “abitabilità culturale” caro all’artista, che ama sorprendere lo sguardo e stimolare la percezione. In questa visione, Il Giardino diviene il pretesto di un cammino anche interiore, nel quale contare la corrispondenza tra i propri passi e i colori dell’arcobaleno per ritrovare, nel grigiore della periferia urbana, un luogo di raccoglimento estatico. Franco Summa ha inoltre vinto, con I Giorni e le Opere, il concorso bandito dalla Regione Abruzzo per una vetrata artistica del Palazzo dell’Emiciclo de L’Aquila, sede del Consiglio Regionale: “Le forme della mia vetrata sono strutturate da una valenza estetica ma anche simbolica, mi riferisco agli effetti sociali del confronto democratico e alla necessaria ascesa dagli interessi materiali verso l’intelligenza e la sensibilità spirituale. Giorno e notte, luce e ombra trovano rappresentazione nei colori. Ogni parte trova un suo significato”. Sibilla Panerai
Franco Summa, I Giorni e le Opere, 2018 Vetrata artistica di 8 metri in altezza e 4 metri di base L’Aquila, Palazzo dell’Emiciclo del Consiglio Regionale d’Abruzzo
scala timbrica di Summa si staglia nitida tra l’azzurro del cielo e il rosso di Verona, donando alla città un’opera da vivere e da attraversare, e aggiungendo valore al complesso quasi ultimato. Alle forme curvilinee dell’edificio, progettate da Botta ad ispirazione dell’elemento floreale, Summa accosta un’armonica serie di filari di colore, sono le fronde di un giardino ideale, costituito da sedici elementi plastici alti 6 metri. “Costruisco ambienti per la vita seguendo l’armonia della composizione, perché l’ambiente deve rispondere a certi requisiti anche psicologici e sociali”, spiega l’artista, da sempre interessato alle necessità abitative dell’uomo e promotore dell’Arte Urbana. Il Giardino incanta per la sua capacità di trasformazione dello spazio e la sensazione di accoglienza, quasi fosse l’ingresso magico a una dimensione altra, in cui potersi abbandonare alla luce e al colore. Del resto, spiega Summa, “Il titolo scelto costituisce, come nella maggior parte dei miei lavori, la parte letteraria dell’opera e si pone già come introduzione allo spirito che anima il luogo”. Il complesso residenziale conferma così il ruolo di promozione culturale e sociale svolto da Caldora in città e troverà compimento con la futura realizzazione di una piazza alberata, ideale prosecuzione dell’opera di Summa, che ha voluto aggiungere un prato verde e delle siepi d’alloro. Il piazzale e l’installazione sono completamente accessibili al pubblico e SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018 | 269 segno - 69
Galleria La Roggia, Pordenone
Salvatore GIUNTA
I
n un convegno del 2004 si definiva il libro d’artista come “il modo di esprimere qualcosa che non si può esprimere in altro modo”. Ed in effetti da Marinetti a Depero e ancora nelle più vicine sperimentazioni degli anni Sessanta, il libro d’artista si configura come un genere a sé, un oggetto d’arte a tutto tondo in cui la forma-libro diviene uno “spazio da agire”, diretta espressione di quell’arbitrarietà del fare artistico cui si legano molte delle esperienze linguistiche del secolo scorso. Il libro inteso come spazio è anche uno dei concetti di fondo dei libri d’artista di Salvatore Giunta, cui è dedicata la mostra “Voli pindarici” presso la Galleria La Roggia di Pordenone, a cura di Bruna Condoleo. Principalmente scultore, ma dedito anche alla grafica, alla pittura, all’istallazione, Giunta inizia a realizzare libri d’artista negli anni Ottanta, per diverse edizioni. Sovente ispirati a testi letterari e poetici o corredati da scritti o riflessioni dell’artista stesso, i suoi libri d’artista sono come “scritture-compendio” che attraversano, talvolta anticipandole, le tendenze che si esprimeranno pienamente nel suo lavoro pittorico o plastico-istallativo. Per le edizioni “Arte in” realizza nel 1981 El Gabal, un’opera libro collettiva in cui il ricorso a materiali poveri, principalmente sabbie, corde, spaghi, riconduce lo stile alla fase di ricerca informale che Giunta affronta proprio in quegli anni in pittura. Ispirato all’Eliogabalo di Antonin Artaud,
El Gabal riporta la prospettiva anarchica, offerta dall’autore francese come complementare teoretico necessario al concetto di “crudeltà”, entro la sfera di una “intima carnalità”, di una pelle ricostituitasi quasi sulla pagina con elementi poveri, primari, statura primordiale dell’identità che si fa corpo e carne senza alcune mediazione rappresentativa. Di poco precedente è invece “Rotazioni”, del 1980. Appartenente alle stesse edizioni, “Rotazioni” annuncia i nuclei fondamentali del linguaggio di Salvatore Giunta, oscillante tra un’indagine costante sui materiali e sullo studio formale, sempre caratterizzato da proiezioni e scorci, da una dinamica permanentemente in colloquio con lo spazio. L’aspetto filiforme della canapa, memoria quasi di una femminilità anelante ad una libertà soltanto contemplata – la Lilith del testo che introduce lo sviluppo formale -, incarnazione quasi di una nostalgia poetica, si fonde con il ritmico viaggiare di forme-lune rotanti, nella cui occasionale specularità ritorna il tema del doppio, del perenne corteggiarsi di nascondimento e luce, motivo che Giunta non abbandonerà mai e che anzi diviene centrale in molta parte della sua produzione successiva. Ad anticipare un altro settore della ricerca di Giunta, dedicato all’esplorazione del segno, che giungerà fino ai recenti “segni vaganti”, è “Linfa” del 1982. Nelle pagine di quest’opera libro è in effetti tutto un colloquio tra segni minimi, ora
posti in formazioni speculari ora in cerchi di solitudini celesti in cui immergersi e viaggiare, come tra vedute aeree, binomi all’unisono in voli condivisi nell’azzurro mare di uno sguardo, mondi-cieli, percorsi dell’immaginario. La carta dalle fattezze cangianti e porose, di una ruvidezza appena accennata, è preludio di scenari sognanti e sognati di evanescenze figlie di una leggerezza ariosa che dolcemente si sottrae alla gravità della terra. Tra le sperimentazioni successive più interessanti, sempre nell’ambito del libro d’artista, rientra la serie dei “libri d’acqua”. Da “Acqua Fluvialis”, che apre il ciclo nel 2003, al “Trittico dell’acquario erotico” dello stesso periodo, sino al più recente “Disseminazioni”, l’elemento dell’acqua, racchiusa in pagine plastificate è il magma fluido, la sostanza mobile entro cui si muovono lettere libere di “parole potenziali” od oggetti prelevati dalla realtà, con un sottile rimando ironico; tra le trasparenze delle pagine, in cui il vagare dell’oggetto è dato ricorrente, quasi ludico, della composizione, l’acqua altro non è che pretesto per svincolarsi dalla forma affidando il contenuto ad “oggetti parlanti”, perno dello sviluppo narrativo. A recuperare invece la prospettiva di una forma intesa nella sua accezione più costruttiva, sono invece i libri d’arte degli ultimi vent’anni, realizzati spesso in collaborazione con poeti contemporanei. Da un haiku di Carla Vasio, “Il tempo in bilico”, del 2010, utilizza piani che come
Salvatore Giunta, Il tempo... in bilico, 2010. Contiene haiku di Carla Vasio. Tecnica mista. Cm 25x21x2,5. Otto esemplari. (Foto: Riccardo PIeroni)
70 - segno 269 | SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018
arte e letteratura LIBRI D’ARTISTA
Salvarore Giunta, Rotazioni, 1981. Carta da pacchi, tela smeriglio, canapa, pastello. Cm. 27x19 chiuso, 27x45 aperto. 27 esemplari Ed.Artein, Collana Estremo Sfogliabile. (Foto: Archivio Giunta)
quinte teatrali si aprono in successione, soprapponendo alla naturale geometria della pagina una “geometria altra” nata da rotazioni e proiezioni, la cui dinamica crea la narrazione. L’idea di libro come teatro-pagina in cui segni aperti come fenditure, asole sul vuoto scenico, su un oltre insondato, unitamente al binomio
del bianco e nero, riduzione essenziale del dato cromatico, caratterizzano anche i libri “Infuturarsi” del 2015, e “Quinte di libro” del 2017. Tra gli ultimi lavori è invece “Sulla soglia dell’ombra” del 2018, contenente un haiku di Francesco Tarquini. Completamente incentrato sul rapporto tra oscurità e luce, “Sulla soglia
dell’ombra” si muove sul limite ultimo di questa relazione, tra il buio-origine, azione in potenza della forma, e la linea che fende, come bianco-raggio, il vuoto da cui essa stessa proviene, in una vicendevole compenetrazione, eterno gioco di orizzonti nuovi. Francesca Tuscano
Salvarore Giunta, Sulla soglia dell’ombra, 2018. Contiene haiku di Francesco Tarquini. Acrilico e pastello. Cm 26x16,5 chiuso, 24,7x63 aperto. Quattro esemplari. (Foto: Riccardo PIeroni)
SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018 | 269 segno - 71
Centro Esposizioni, Lugano
Wopart 2018 “Carte scoperte”
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erza edizione ricca e importante, la fiera internazionale WopArt. Work on Paper Art Fair ha rinnovato il suo appuntamento annuale di settembre, con la direzione di Luigi Belluzzi, consolidando la sua forza attrattiva e facendo di tutto per diventare una classica nel panorama fieristico dell’arte. Squadra che vince non si cambia e anche quest’anno la kermesse svizzera si è affidata al critico Giandomenico di Marzio e al giornalistapittore Paolo Manazza, presidianti il comitato scientifico selettore di ben 85 gallerie provenienti da 16 paesi, di cui 14 Emergents, aumentando di buon grado i numeri delle scorse edizioni per un mercato in vertiginosa crescita: la giusta intuizione maturata nel 2016 si è confermata a livello globale, tra le aperture nelle fiere storiche (Artissima, Arco) e il rilancio di alcune proposte artistiche, opere incisorie in primis, da sempre iniquamente lasciate ai margini del commercio contemporaneo. Non solo collezionismo di nicchia, in sostanza, alla ricerca della rarità di qualche maestro del secolo scorso, da Klimt a Picasso a Wharol (tanto per citare), ma si registra positivamente l’aumento di stima delle opere di contemporanei, segno di una crescente domanda. Per quanto riguarda il contenuto della manifestazione, il maggior numero di gallerie ha portato una varietà significativa anche se innegabile l’ effetto horror-vacui d’insieme, non sempre costruttivo per la fluidità di fruizione. Tuttavia si coglie una tenera intenzione di far risaltare il binomio Carta-Natura, soffusa nelle sporadiche installazioni vegetative sparse per il Centro Esposizioni e marcata nella mostra fotografica di Lucrezia De Domizio Durini documentante la Difesa della Natura di Joseph Beuys; volendo aggiungere un pretesto concettuale, anche le meravigliose xilografie (sempre fresco il maestro Lorenzo Viani), esposte in omaggio all’omonima e rimpianta rivista, richiamano l’idea naturalistica dedotta dalla matrice lignea. Spicca in questa generosa giungla artistica, per contrasto, una certa diffusione di opere Pop, dovuta con ogni probabilità al cinquantennale sessantottino, capeggiate da preziosi Andy Wharol ma ben sostenuta da splendidi e nostalgici Mimmo Rotella. Pur nella folta offerta, incide la raffinata scelta allestitiva della Galleria Studio G7 di Bologna, come la freschezza pungente della fiorentina Cartavetra; piacevolissime note d’autore si riscontrano nel promettente Stefano Mario Zatti promosso da Atipografia di Arzignano (VI), dai cinematografici e favolosi William Kentridge portati dalla Galleria Lia Rumma e dal notevole Basquiat su carta visto da Artrust di Melano (CH). Luca Sposato
Giulio Paolini, Senza titolo, 2017 matita e collage su carta, 2 elementi, cm.48x33 ognuno courtesy Studio G7, Bologna
72 - segno 269 | SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018
William Kentridge, Deportation of Jews, 1943 I, 2015 carboncino e matita rossa su pagine di libro mastro ritrovate, cm.83x63x4 courtesy Lia Rumma, Napoli/Milano
citano ad esempio Walter Benjamin e il suo Parigi, Capitale del XIX secolo. I “passages” di Parigi o Michael D. Levin The Modern Museum. Temple Showroom ) ci ricordano come il Museo fosse sin da subito al centro della coeva critica, si passa all’analisi del caso Beabourg, in quanto essenziale alle idee di Museo Totale e Globale, che introduce il secondo capito del libro incentrato sul museo nell’epoca postmoderna. Questa parte centrale, filologicamente trattata come ci si attende, affronta il tema della nuova museologia dalla storica data del 1977 in cui si formalizza l’International Commitee for Museology (ICOFOM), approdando poi al tema dell’Ipermuseismo e alla presa in considerazione di casi fallimentari come il noto Global Guggenheim, concludendo con un essenziale paragrafo sul Marketing di sistema e l’educazione. Ultimo capitolo del volume, nonché quello più innovativo, è: Il futuro dei musei d’arte contemporanea. Verso una prospettiva critica e dialogica. Qui l’autore, tenendo il Museo al centro fra artista e pubblico, incalza sulla diffusione, in questi ultimi trent’anni, di “una nuova cultura dell’orientamento al visitatore, inteso come individuo consapevole, con il quale instaurare un dialogo e condividere il valore del patrimonio culturale che rappresenta un’evoluzione positiva, che sta trasformando il pubblico da semplice spettatore ad interlocutore critico, da destinatario di un messaggio precostituito a soggetto attivo di un processo di formazione e comunicazione”. Si parla allora di più pubblici, di relazione, e sorprendentemente si non-pubblico. Si discute quindi di “museo relazionale” e di spazio pubblico, un tema estremamente caldo e contemporaneo, ma soprattutto “aperto” e in continuo divenire, così come la penna dell’autore in questo libro. Maria Letizia Paiato
Postmedia Books, Milano
Il Museo come spazio Critico
Edizioni Peccolo, Livorno
I
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“artista - museo - pubblico”
nteressante spaccato saggistico intorno ad uno degli argomenti più controversi e affascinanti della storia dell’arte e dell’umanità: il Museo. Un luogo dove “conservare”, “proteggere”, “preservare” il passato. Un luogo immaginato come “universale” (pensiamo al Louvre o al titanico progetto di Bode a Berlino) dove la memoria di tutto il mondo si concentra in un unico punto. In contenitore che, dipendente e logica evoluzione della storia del collezionismo, sin dalla sua nascita non ha mai smesso di innescare discussioni sulla sua stessa natura di organismo defunto e vivo simultaneamente, o se proteso a una mission anziché un’altra. In sostanza, la questione è sempre aperta, così come dimostra Demma, confermando che i quesiti posti in introduzione al volume come: Che cos’è il museo? Quali sono le sue funzioni e le sue strategie? E, soprattutto, quali relazioni stabilisce il museo con il pubblico e con gli artisti? non sono affatto superati. Dopo una doverosa ricostruzione storica sulle origini del museo moderno, dove riguardo l’aggettivo “moderno” all’inizio del Novecento, l’autore correttamente specifica: “accostato al termine museo qualifica un’idea di trasformazione genetica che presenta il formarsi e l’affermarsi di una ‘nuova natura’ dell’istituzione museale”, e dove interessanti puntualizzazioni e riferimenti bibliografici (si
Pino Pascali
“L’uomo che cammina nudo”
dizioni Peccolo presenta per il cinquantenario della morte di Pino Pascali, all’interno della Collana Teorie d’Arte, il libro di Anna D’Elia che con acribia e grande sentimento al contempo, ne ricostruisce la vicenda umana e artistica. Si comincia con il narrare l’adolescenza dell’artista trascorsa a Polignano a Mare, dove il mare e i colori di un paesaggio peculiare gli resteranno per sempre nel cuore, per poi raccontare il soggiorno di studi a Napoli e a Roma, quella capitale che gli sarà fatale, prima sul versante della carriera, adulandolo e omaggiandolo, poi su quello della vita, scenario della sua prematura morte nel 1968, a soli 33 anni. Una carriera breve e folgorante, riletta da Anna D’Elia con uno sguardo nuovo e lontano nel tempo dell’agire di Pascali, che gli ha permesso di gettare luce su alcuni aspetti ancora poco esplorati della sua ricerca e della sua vita. È lui “l’Uomo che cammina nudo” come lo erano gli indigeni delle remote tribù africane - scrive D’Elia - e impiegherà tutta la sua energia per ricongiungere il tempo umano a quello cosmico. Per la storica dell’arte, Pino Pascali ha vissuto il fare arte come pratica magico-alchemica di trasformazione totale di sé e dello spettatore: dello spazio espositivo, dei linguaggi, dei materiali, delle funzioni dell’arte assimilando il suo fare artistico ad una pratica rituale e sciamanica.
arte e letteratura LIBRI E CATALOGHI
dimensioni) e che sarebbe erroneo disgiungere: “In queste tele riconosco le infinite storie di una umanità invisibile. Una memoria sospesa in un tempo che ogni giorno si rinnova: volti di uomini e donne, cronache di dolori sovrapposte a fragili racconti di felicità. Ma poi, il presente improvvisamente si dissolve: diventa sostanza informe, stratificazione di colori, pura astrazione. Ce lo ricorda Karl Kraus: ‘Dove la vita non ha trovato parole, rimane solo il silenzio’”. M.Letizia Paiato
Mondadori Electa, Milano
Gianluigi Colin “SUDARI”
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Gillo Dorfles “La mia America”
l volume pubblicato da Skira Rizzoli è l’ultima fatica di Gillo, un libro che avrebbe dovuto essere presentato il 12 aprile 2018 in occasione del suo 108° compleanno alla Triennale di Milano, ma che purtroppo, come è ben noto, l’uomo che si pensava immortale non ci ha potuto raccontare, lasciando così La mia America nella condizione di opera postuma. Il libro, curato da Dorfles nei minimi dettagli, narra dal secondo dopoguerra in poi, i ripetuti viaggi compiuti in quella terra emblema per molti del cosiddetto “sogno americano”, dove incontra personalità, fra artisti, architetti, studiosi e critici, conosciuti e ammirati dalla comunità internazionale. Tanto per citarne alcuni, diventano amici e compagni d’intense conversazioni figure del calibro di: Clement Greenberg, Alfred Barr e Frank Lloyd Wright, i cui pensieri diventano la base di riflessioni in seguito apparse sulle più importanti riviste di settore come: «Domus», «Casabella», «Aut Aut», «La Lettura» con le quali Gillo ha sempre collaborato con costanza. Il volume, curato da Luigi Sansone, già autore del catalogo ragionato dell’opera, si apre con un primo focus su quel coast to coast avvenuto nell’autunno-inverno del 1953, cruciale per la formazione intellettuale. Cruciale tanto da fargli vedere letteralmente un «nuovo mondo», cruciale per noi perché per la prima volta assistiamo ad un paritetico e fecondo dialogo con personalità che all’epoca, in ambito accademico, andavano codificando una serie di sperimentazioni critiche intorno a nuove discipline. Un dato, questo, affatto secondario, che dimostra come Dorfles, che con la propria lunga esistenza ha vissuto sulla propria pelle tutti gli incredibili cambiamenti del Secolo Breve, abbia sempre mantenuto un’apertura mentale senza pari e una trasversalità d’interessi oscillanti fra l’arte moderna e le ultime tendenze dell’epoca di cui esemplai sono figure come Rothko, De Kooning, Calder, Newman e tutta la nuova energia creativa della Pop Art. La mia America, più che un resoconto dei viaggi intellettuali di Gillo, appare, in ultima analisi, come una vera e propria forza propulsiva per il futuro. Si potrebbe affermare quindi, che rappresenti soprattutto l’eredità di Dorfles al presente, dove sottesa resta la fiducia e la curiosità nell’avvenire e nel cambiamento. Maria Letizia Paiato
ANTONIO PATRINO RISCHIO MAGICO
RISCHIO MAGICO
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ANTONIO PATRINO
Skira, Milano
arole e immagini, memoria e attualità, il tempo visto e vissuto come stratificazione dello sguardo, sono queste le peculiarità della ricerca condotta dall’eclettico Gianluigi Colin, vero e proprio militante della creatività, impegnato com’è noto tanto sul fronte delle arti visive quanto in quello della divulgazione e critica culturale, prima come art director del «Corriere della Sera», oggi cover editor del supplemento culturale «La Lettura». Il foglio è dunque il medium prediletto da Colin, veicolo del suo pensiero e del suo messaggio, tanto quando esso ne accoglie e trasmette la parola, quanto ciò diventa la superfice di “impronte autentiche di una parte del mondo”, così come scrive Aldo Colonetti, raccontando Sudari, ciclo d’inchiostri offset su poliestere intelaiato, realizzati perlopiù dal 2011 a oggi. E Sudari è anche il titolo che ha accompagnato la mostra, curata da Bruno Corà e Aldo Colinetti, che la scorsa primavera La Triennale di Milano gli ha dedicato, omaggiando così un artista, sottolinea Stefano Boero: “la cui identità visiva da oltre un trentennio è abituata a cimentarsi e confrontarsi con le immagini come negativo delle parole e viceversa e con macchine e strumenti che scorrono nel tempo come la carta sulla rotativa”. “Sono quei contenitori dimenticati a lato dell’argine - continua Boero - degli scarti di parole quotidiane, trasfigurate su pezze in poliestere policrome […] ineludibile genesi del readymade, a diventare l’opera di Colin che, veri e propri “stracci di post-parole”, bellissimi nella loro involontaria estetica, acquisiscono il nome di Sudari”. Quei tessuti adoperati per assorbire i residui d’inchiostri restanti sui cilindri della rotativa, condensano il proprio esistere e significato in una parola iconica che rimanda inevitabilmente al mondo religioso ma che al contempo suggerisce, scrive Corà: la forte qualificazione concettuale e poetica che induce l’esercizio ermeneutico sull’opera a riconoscere fonti generative e metodologiche, contesti di provenienza strumentale, ambiti disciplinari differenti e, a tutto campo, una ricognizione di alcuni precedenti conseguimenti linguistici. Tessuti che, infine, traslati in un nuovo contesto diventano una sequenza di opere astratte, cariche di sedimentazioni cromatiche, di striature ripetute, di campiture dilatate nello spazio. Nel catalogo (edito da Mondadori Electa S.p.A 2018) , con testi di Boero, Corà e Colonetti, diventa essenziale la stessa dichiarazione di Colin, le cui parole precedono le immagini delle opere che seguono (16 grandi tele più un dittico di piccole
Archivio Patrino, Frisa (ch)
Antonio Patrino “Rischio Magico”
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l volume raccoglie e ordina un cospicuo gruppo di opere significative della produzione di Antonio Patrino, realizzate perlopiù a partire dagli anni Settanta fino ad oggi, accompagnate dai testi critici di Massimo Bignardi, Giuseppina Fazio, Paola Magi e Jürgen Waibel, attraverso i quali si evidenzia la poetica e la ricerca di Patrino. Diplomatosi in scultura con Pericle Fazzini nel 1968, immerso e partecipe del clima febbricitante della Roma degli anni della ricostruzione, Patrino forte di una formazione, se vogliamo più tradizionale, si cimenta in una pittura accattivante, sensuale e dal forte valore narrativo. Una pittura che, soprattutto negli anni Ottanta emerge per i propri tratti esplicitamente espressivi, in linea con quanto avviene nello stesso periodo, tanto in Europa quanto oltreoceano, attraversata da un immaginario iconico particolarmente legato alle proprie origini mediterranee, dove figure, miti e memorie diventano rappresentative di un mondo arcaico e fortemente simbolico. Sul finire degli anni Ottanta, grazie all’esperienza nel gruppo Artemedia, Patrino tenta con le proprie immagini di fuoriuscire dall’utopia della modernità, proponendo pertanto costruzioni, veri e propri assemblages che, recuperano tanto la figura quanto una pseudo tradizione dada che vuole l’opera attraversata da un forte senso di ironia. Pittura, scultura o installazione, qualsiasi sia il mezzo scelto da Patrino resta innegabile e indelebile in variegato contributo che il maestro ha apportato all’arte, inserendosi perfettamente in quell’atmosfera frammentata che ha caratterizzato il Novecento e puntualmente ricostruita nel volume Rischio Magico. Lucia Spadano SETTEMBRE/NOVEMBRE 2018 | 269 segno - 73
December 6 – 9, 2018 The Wolfsonian–FIU, Miami Beach