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Anno XXXV - N° 228 - GENNAIO/MARZO 2010 € 8.00
in libreria
Attualità Internazionali d’Arte Contemporanea
GIANNI DESSÌ
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A KUNSTART 2010 TORNA IL PREMIO PER EMERGENTI UNDER 35 comparsi alla fine degli anni Sessanta, i premi artistici, sono ricomparsi con grande slancio negli ultimi dieci anni e l’accentuarsi del felice trend dei premi ad artisti (soprattutto) giovani, è anche la dimostrazione di come solo una rigorosa selezione possa aiutare gli artisti ad emergere. Più merito e meno sociologia, si potrebbe dire. (…) In particolare gli esordienti non avendo molte occasioni di conferma del proprio talento, hanno necessità di venire “giudicati” dagli esperti, da coloro che fanno parte integrante di quello che si chiama il “sistema dell’arte”. Il premio “THE GLOCAL ROOKIE OF THE YEAR” è particolarmente esemplificativo di una volontà istituzionale, della Fondazione Cassa di Risparmio di Bolzano, di dare ai giovani artisti delle conferme importanti sulla strada intrapresa. Nello stesso tempo il collegamento con “kunStart”, quindi con la fiera dell’arte contemporanea di Bolzano e unica in tutta la regione, ha un significato certamente augurale, anche rispetto al riconoscimento economico. Ma quali sono le particolarità del premio? Quali le sue differenze rispetto agli altri del panorama internazionale? Si tratta certamente di un premio agli esordienti, riservato appunto ad artisti under 35: il termine inglese “rookie” viene utilizzato in genere negli sport americani per indicare i giocatori che militano nelle varie leghe per il primo anno. Alla fine di ogni anno viene di solito scelto il “Rookie of the Year”, ossia la migliore matricola, in base al giudizio popolare. La disponibilità delle gallerie e dei giovani artisti è stata notevole e sicuramente il premio è diventato un punto di richiamo e di interesse della fiera dell’arte di Bolzano. E questo nella consapevolezza che cultura e mercato hanno necessità di sostenersi a vicenda.” (Valerio Dehò – critico d’arte e curatore del premio)
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l binomio “Centro/Periferia” fa parte dei sogni e degli incubi di molti giovani artisti. Perché se oggi non se la spassano più neppure quelli che stanno al Centro (New York, Londra, Tokyo o Berlino), per un aspirante artista vivere in periferia coincide con l’assoluta impossibilità di emergere a qualsiasi livello. Il che stride, apparentemente, con lo sgangherato ma azzeccato neologismo che ispira questo concorso (“glocale”), e che parte dalla presa d’atto di come anche nell’arte non si possa più parlare di contesti “locali” o “globali”. Il fascino dell’artista contemporaneo non si ce-
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3 PREMIO - Leander Schwazer, Lalian, 2008 Südtiroler Künstlerbund - Bolzano Riconoscimento speciale fuori concorso
la più nella sua capacità di offrirci una qualche sintesi formale di questo mondo, ma nel suo avvertirne la complessità e tutte quelle sfumature che, benché globalmente connesse, non sono riducibili all’unità. L’arte è un progetto della mente. E come tale sempre ricerca. Se valido, si trasforma in economia. Ecco perché anche un premio inserito nel contesto di una fiera può aiutare, forse, a fornire uno slancio in più a chi sa fissare lo sguardo sui traguardi del nostro tempo.” (Giuseppe Salghetti Drioli – direttore di KunStart) Sono aperte le iscrizioni riservate alle gallerie partecipanti alla 7a Fiera Internazionale d'Arte di Bolzano KUNSTART 10 che si svolgerà dal 5 al 7 marzo 2010 presso la fiera di Bolzano. Per maggiori informazioni: www.kunstart.it; www.glocalrookie.it
1 PREMIO - Sabine Delafon, 1, 2009 - NOTFAIR Gallery - Milano Acquisto dell’opera da parte della Fondazione Cassa di Risparmio di Bolzano diventata immagine guida di kunStart 2010 La celebre affermazione di Albert Einstein, “Dio non gioca a dadi con il mondo”, è la base concettuale e progettuale di questo lavoro con cui l’artista rielabora l’immagine della devozione popolare attraverso una statua votiva (…) seguendo un tipo forma già acquisita e familiare al pubblico. Alla sommità della teca in vetro vi sono due dadi appoggiati su un piccolo piatto, che possono essere usati o meno dagli spettatori, i quali si sentono di rispettare l’idea dello scienziato o pensano di contraddirla. Vi è quasi una richiesta d’interattività verso lo spettatore (…). Un modo intelligente di provocare ma anche di parlare di spiritualità in un modo diretto e semplice, a cui l’ironia sottile contribuisce nel creare una piacevolezza della fruizione che è alla base di ogni giudizio estetico.
2 PREMIO - Nicola Vinci, Ricordi di Gesso, 2009 Galleria GOETHE - Bolzano Borsa di studio di 2.000 euro “artist in residence” presso kunst merano arte Die Jury | La giuria | The jury Presidente: Gerhard Brandstätter (Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Bolzano) Coordinatore: Valerio Dehò (Curatore – indicato dalla Fondazione Cassa di Risparmio) Commissari: Hans Oberrauch (Membro della Fondazione Cassa di Risparmio), Maria Letizia Ragaglia (Direttrice ad interim del Museion - Museo d’arte moderna e contemporanea di Bolzano), Cristiana Collu (Direttrice MAN, Nuoro), Giuseppe Salghetti Drioli (Direttore Kunstart), Giorgio Moroder (esponente della Comunità locale, indicato dalla Fondazione Cassa di Risparmio) Sono aperte le iscrizioni riservate alle gallerie partecipanti alla 7a Fiera Internazionale dell’Arte Moderna e Contemporanea di Bolzano KUNSTART 10 che si svolgerà dal 4 al 7 marzo 2010 presso la fiera di Bolzano. Per maggiori informazioni: www.kunstart.it A gennaio 2010 saranno presentate al pubblico il catalogo e il portale dedicato www.glocalrookie.it a cura della Fondazione Cassa di Risparmio di Bolzano.
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Galleria Continua ,Arte Fiera - Art First
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Gianni Dessì Tutto in un fiato di Veronica Caciolli Foto di Claudio Abate
Gianni Dessì Confini 2 2009 Tempera e smalto su gesso e legno dimensioni ambiente (courtesy Galleria dello Scudo, Verona)
2/33 Anteprima Mostre & Musei CIAC, Foligno
news/worldart - news italia-estero a cura di Lucia Spadano e Lisa D’Emidio
Grandi mostre • Spazio, Tempo, Immagine nel Nuovo Centro Italiano d’Arte Contemporanea Intervista a Italo Tomassoni a cura di Stefano Verri • I Maestri di Terrae Motus: Ernesto Tatafiore di Ferdinando Creta • Sandro Chia di Paolo Balmas • William Kentridge di Stefano Taccone • Ernesto Iannini di Stefano Taccone • Gerard Garouste di Ilaria Piccioni • Giuseppe Penone di Antonello Tolve
Gilbert & George
Gerard Garouste
Le mostre nei Musei, Istituzioni, Fondazioni e Gallerie Carsten Nicolaj (Fuani Marino), Espana – America (Laura Lodico), Costas Varotsos (Charis Kanellopoulou), Nurit David (Ida Parlavecchio), BarbaraGurreri/Group, Adelita Husny-Bey (LS), Urs Luthi (Luca Morosi), Charles Moody (Gabriele Sassone), Zhang Huan, Malcom McLaren, Milton Manetas (Rebecca Delmenico), Mario Nigro (Lucia Spadano), Thomas Bayrle (Rebecca Delmenico), Paolo Chiasera (Nicola Cecchelli), Mona Hatoum, J. Macchi, M. Morgantini (Stefano Taccone), Massimo Bartolini (LS), Iginio Jurilli (Anna D’Elia), Carlo Schirinzi (Antonella Marino), Costabile Guariglia (Stefano Taccone), Mischer’Traxler (Antonella Marino), Mesa Para quatro (Antonella Marino), Rebeca Menendez (Antonello Tolve), Giancarlo Limoni (Valentina Ricciuti), Tobia Ravà (L.S.), Acqua, Aria, Terra, Fuoco (Mara De Falco), Francesco Insinga (Stefano Verri), Lucilla Catania e Cloti Ricciardi (L.S.), David Bowes (Veronica Caciolli), Julia Bornefeld (Veronica Caciolli), Francesco Guerrieri (Agnese Miralli), Filippo Berta (Alessandra Pioselli), Margherita Morgantini, Diego Zuelli (Francesca Alix Nicoli), David Tremlett (Cesare Galluzzo), Nature morte (c.s.), Anna Seccia (LS), Gallo, Ceccobelli, Dessì (PaoloAita), Paolo Consorti (G.G.), Carlo Bernardini (Valentina Pinto), Nino Migliori (Stefano Verri), Nascor, tra Arte e Natura (Maria Vinella), Raimondo Galeano (Simona Gavioli), Enzo Guaricci (Carlo Berardi), Alba Savoi (Donato Di Poce), Elisabetta Catalano (Ignazio Licata), Eulalia Valldosera (Stefania Russo), Gilbert & George (Stefania Russo), Jan Kiar (Barbara Goretti), Luigi Ontani (Valentina Moncada), Marcello Cinque (Paolo Balmas).
Stefano Cagol, Premio Terna
news e tematiche espositive anche su www.rivistasegno.eu
/ interviste 34/91 attività espositive /recensioni e documentazioni
Premi e Concorsi Premio Terna Speciale Album della memoria 92/97 Le mostre in sezione dell’A.A.M. di Roma (Valentina Ricciuti)
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Anteprima/News ARTEFIERA ARTFIRST Intervista alla Direttrice Silvia Evangelisti - Da quando lei è stata nominata direttore artistico nel 2003 è innegabile che vi sia stata una svolta importante in questa storia trentennale di ArteFiera e, in primo luogo, sotto il profilo internazionale si può dire che è stato fatto un e vero e proprio salto di qualità. Quali sono stati gli imput decisivi, la strategia di lunga durata nel determinare la crescita? - Credo che l’unica ricetta per costruire una fiera d’arte contemporanea di qualità sia quella di operare una severa selezione delle gallerie partecipanti, assicurando così un alto livello della proposta espositiva. Questo è quello che abbiamo cercato di fare in questi anni e, se non abbiamo ancora raggiunto il risultato ottimale, credo che si possa dire che ci stiamo avvicinando… - Le fiere sono mercati ma negli anni, grazie anche all’importanza della sua università, Bologna ha potenziato anche aspetti di approfondimento culturale, si è arricchita di appuntamenti importanti come il progetto “Bologna Art First” che quest’anno è affidato alla curatela di Julia Draganovic. Come descrivere il coinvolgimento, così capillare, della città? - Questo è uno dei risultati di cui andiamo più orgogliosi. Il coinvolgimento della città di Bologna è diventata la grande atout di Arte Fiera.Il tutto è cominciato cinque anni fa, un po’ in sordina: fino ad allora la città si era accorta appena di Arte Fiera, vissuta come un evento un po’ di elite. Poi, con il progetto delle installazioni in luoghi storici della città, anno dopo anno Arte Fiera è diventata sempre più patrimonio di Bologna ed oggi l’intero centro storico diviene, alla fine di gennaio, una grande e vivacissima venus per l’arte contemporanea. Giunti a questi risultati, abbiamo pensato che fosse necessario affidare il progetto ad un curatore e la scelta
è stata rivolta a Julia Draganovic che, oltre ad essere un’ottima curatrice di eventi d’arte contemporanea, ha anche lo spirito giusto per questo compito, davvero impegnativo. D’altra parte, Julia ha caratteristiche anche personali davvero perfette: metà tedesca e metà italiana, dunque ottima organizzatrice ma anche capace di duttilità (non per niente è stata direttrice del Pan di Napoli!). Questa quinta edizione di Bologna Art First sarà davvero molto bella, anche perché per la prima volta avremo molte installazioni side specific, seguite direttamente da Julia. - Fin dagli anni settanta la fiera bolognese prestava un’attenzione particolare a filoni di ricerca di particolare attualità, penso alla “Settimana della Performance” del 1977. Come convivono questi due aspetti, di ricerca e mercato, apparentemente così lontani? - Fatta la premessa che a mio parere la ricerca e il mercato non sono poi così distanti tra loro (il mercato paga la ricerca, la ricerca alimenta il mercato), come lei stessa diceva è tradizione di Arte Fiera, sin dalle prime edizioni negli anni ’70, coniugare mercato e cultura dell’arte contemporanea. D’altra parte, in un Paese come l’Italia, che ha dedicato così poca attenzione all’arte contemporanea, è stata quasi una necessità naturale fare della prima e più importante fiera d’arte italiana un palcoscenico internazionale per gli eventi che ruotano intorno all’arte contemporanea: mostre, presentazioni di libri, incontri con artisti, critici, curatori, direttori di musei. Quale altro appuntamento annuale ha potuto offrire un programma di questa ampiezza se non Arte Fiera? - Nella giungla delle fiere internazionali fiorite un po’ovunque da quelle più piccole e neonate a quelle ormai istituzionalizzate come la nostra, che sono imprescindibili punti di incontro di gallerie e collezionisti da un po’ tutto il mondo, quale potrebbe essere, in breve, e se c’è, la peculiarità, l’identità specifica della fiera bolognese? - Arte Fiera ha una specificità importante: quella di essere l’unico “luogo”al mondo dove è possibile vedere esposto il meglio della ricerca artistica italiana, sia moderna che contemporanea,che è altissima ma poco diffusa fuori d’Italia. Dunque, Arte Fiera offre ai collezionisti ed ai visitatori una rassegna di opere d’arte moderna e contemporanea unica al mondo. Ma se Arte Fiera è una fiera di madrelingua italiana, non può e non deve sfuggire al confronto con le ricerche artistiche più interessanti del panorama mondiale, ed è per questo che cerchiamo di migliorare continuamente la presenza di gallerie internazionali che affianchino le migliori gallerie italiane, per offrire così un quadro il più ampio e qualitativamente alto possibile dello stato dell’arte attuale. - Nella sua attività di docente di arte contemporanea e metodologia della critica d’arte il suo via via maggiore impegno con la Fiera ha trovato un’applicazione concreta? Come trasmettere alle giovani generazioni di studiosi
BOLOGNA IN MOSTRA Bologna Art First 2010 - 5° edizione iunge alla quinta edizione Bologna Art First: un itinerario esclusivo in città che diventa per il primo anno un progetto curatoriale affidato a Julia Draganovic. Il progetto nato dalla collaborazione tra la città di Bologna e Arte Fiera Art First, presenta dal 29 Gennaio a fine Febbraio 2010 una serie di installazioni site specific di artisti che lavorano con le gallerie partecipanti. Alcune delle opere sono appositamente realizzate in situ, nel rispetto della struttura degli edifici storici che le ospitano. Un’unica grande mostra collettiva per creare un dialogo tra l’arte contemporanea e location inusuali del centro storico della città e dei suoi dintorni. Il titolo “Here and Now” richiama in chiave ironica il concetto molto popolare della filosofia buddista, che solo a prima vista sembra presentare una verità facile: la sfida di ogni giorno consiste, infatti, nell’affrontare il presente. Le sedi che ospitano le installazioni e gli artisti coinvolti per l’edizione 2010, sono: Palazzo Re Enzo (Stefano Cagol, Fabrizio Passarella); Palazzo del Podestà / Emporio della Cultura (Sophie Whettnall); Cortile di Palazzo d’Accursio (Giuseppe Maraniello, Vedovamazzei); Sala Borsa (David Lindberg); Museo della Sanità e dell’Assistenza/Oratorio della Vita (Luca Pozzi); Archiginnasio (Francesco Simeti); Museo Archeologico (Barry x Ball, Michael Bevilacqua, Lizbeth Marano, Rita McBride, Damir Ocko, TooMattos (Roxy in the Box e Carlo Rossi); Galleria Cavour (Angela Glajcar); Piazza de’Calderini (Kaarina Kaikkonen); Musei Universitari di Palazzo Poggi (Nicola Bolla, Luca Francesconi); Cortile tra Accademia di Belle Arti e Pinacoteca Nazionale (Daniel Knorr); Museo Civico Medievale (Nicola Evangelisti); Marconi Business Lounge (Andrea Mastrovito). In concomitanza della fiera dell’arte, Bologna si accende in una miriade di piccole e grandi mostre, eventi, incontri, dibattiti, concerti. Immancabile ormai, l’Art white night del 30 di gennaio, notte per la quale val la pena riservare una buona dose di energie essendo musei, gallerie e istituzioni culturali, tutti coinvolti in una eccitante serata all’insegna dell’arte e della cultura. Una iniziativa particolarmente rilevante è quella legata al progetto di Philippe Daverio per Bologna si rivela 2010 (finanziata dalla Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna) nel quale vengono aperti al pubblico i primi luoghi del percorso Genus Bononiae. Musei nella Città a Palazzo Pepoli. Altre aperture sono quelle di Palazzo Fava (mostra di poesia visiva), San Colombano (collezione di antichi strumenti musicali), San Giorgio in Poggiale (installazione e performance di Alessandro Bergonzoni), Santa Cristina (la parola e il suono ), Casa Saraceni (Pittura emiliana tra ‘800 e ‘900). Passando in rassegna alcune mostre in galleria, ci piace segnalare all’Ariete
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Ulrich Erben, Senza titolo, 2008 acrilico su tela, 180x140 (Studio G7) Bologna si rivela 2010
Franco Fontana, Ibiza - Spagna, 1992 (Galleria Stefano Forni)
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>anteprima e news gallerie e istituzioni su www.rivistasegno.eu< tutta l’effervescenza del mercato, la continua innovazione artistica internazionale e il senso del grande sistema dell’arte? - La mia esperienza nella direzione di Arte Fiera mi ha consentito di entrare in contatto diretto con il sistema dell’arte e di capirne alcune delle direttrici principali. Ho naturalmente portato queste nuove conoscenze nei miei corsi all’Accademia di Belle Arti e ciò credo sia utile per i miei studenti, sia per capire cosa li aspetta quando finiranno gli studi e dovranno misurarsi con la realtà del mondo dell’arte, sia per cominciare a toccare con mano le qualità e le difficoltà di un “sistema” sempre più globale e non sempre rispettoso dei reali valori in campo. - A proposito di mercati globali, quali sono dall’interno di una grande macchina come Arte Fiera i maggiori effetti della crisi finanziaria mondiale sulle vendite e sulle quotazioni delle opere? Quali sono le prospettive per questa edizione 2010 che dovrebbe segnare timidi segnali di ripresa, anche in relazione ai risultati della appena trascorsa Art Basel di Miami che chiude il nero 2009? - Come è evidente, nessuno è rimasto esente dalla congiuntura economica globale sfavorevole che ha segnato gli ultimi due anni, ed anche Arte Fiera ha avuto le sue difficoltà, seppure, forse, in tono un po’ minore rispetto ad esempio, al Nord America. In Italia, per quel che riguarda specificatamente il mercato dell’arte, abbiamo infatti avuto una situazione per certi aspetti favorevole rispetto ad altre realtà e ciò perché l’Italia è stata sostanzialmente estranea alle situazioni speculative che hanno contribuito a gonfiare i prezzi delle opere d’arte, e dunque abbiamo risentito meno del successivo “sgonfiamento”. Inoltre, le quotazioni dell’arte italiana sono ancora piuttosto basse rispetto a quelle dell’arte del circuito internazionale, e ciò è sicuramente un dato favorevole per le prospettive di vendite ad Arte Fiera, che, come dicevo, è la massima vetrina al mondo per l’arte italiana. A gennaio 2009, quando si aprì la scorsa edizione di Arte Fiera, il mercato internazionale dell’arte era già immerso nel profondo della crisi, e noi avevamo una terribile paura che la fiera si concludesse in un bagno di sangue! Invece, inaspettatamente, i collezionisti non disertarono la fiera e neppure gli acquisti, seppure con un certo (inevitabile) rallentamento. Ad Arte Fiera 2009, insomma, il mercato ha tenuto e, se non si è venduto come nelle edizioni precedenti, complessivamente le gallerie partecipanti sono riuscite a rientrare delle spese e a volte, a fare anche qualche guadagno. Certo, all’apertura di Arte Fiera 2010 ci troviamo in una situazione ancora difficile, ma non manca la speranza di cominciare a vedere un po’ di luce dopo un anno molto duro. Personalmente sono moderatamente ottimista, soprattutto in considerazione del fatto che, come è noto, il collezionismo italiano è molto più raffinato, attento
e competente della maggior parte del collezionismo internazionale. Chi conosce e ama l’arte, la cerca e la acquista anche in periodo di difficoltà economica, perché vive quell’acquisto come passione necessaria e non solo come status simbol o investimento finanziario. - Dobbiamo considerare che le quotazioni stellari raggiunte negli anni precrisi da artisti come Hirst o Koons si siano sgonfiate quasi come vere e proprie bolle speculative ormai non più ripetibili? E’ vero che i tempi meno accaldati sono favorevoli all’emersione dei valori di più lunga tenuta? - Pur non possedendo la sfera di cristallo, penso che non siano più tempi per quotazioni strampalate, anche se ritengo che non ci saranno riduzioni eclatanti per i valori già acquisiti. Assisteremo, credo, ad un certo assestamento delle quotazioni, e ad un consolidamento dei prezzi per le opere importanti di artisti storici o in via di storicizzazione. Anche in questo caso, l’arte italiana potrebbe trovarsi in una posizione più favorevole di altre realtà. - Il mercato dei giovani artisti italiani riesce a sfondare la barriera delle Alpi? Quali opportunità può costituire per loro la partecipazione ad una fiera, a differenza delle mostre anche importanti, organizzate in galleria? - Il problema della giovane arte italiana è quello della scarsa conoscenza che se ne ha all’estero, a causa della mancanza di promozione e valorizzazione delle ricerche dei giovani artisti italiani da parte delle istituzioni. Ma questo è un nostro male antico: non esiste in Italia un programma di valorizzazione all’estero della cultura contemporanea, non solo visiva. In questo contesto, le fiere diventano occasioni preziose e, a mio parere, imprescindibili per mostrare la qualità è la originalità della giovane ricerca artistica italiana. (a cura di Francesca Alix Nicòli) di ieri in cui l’artista si relaziona al paesaggio, alla città e anche a se stesso. La nuovissima e grande sede bolognese della galleria Astuni nei pressi della Stazione Centrale ha ospitato quel grande sondaggio d’ispirazione nazionale che è stata la molto discussa mostra Viva l’Italia voluta da Fabio Cavallucci, che dava inizio ad un periodo di forte impegno in direzione della ricerca. Astuni Public Studio è progetto ambizioso per un ciclo di mostre che osano prendere le distanze dalle logiche opprimenti e alle volte anche un po’trite del mercato. Va avanti la mostra di Giuseppe Maraniello allestita alla Otto Gallery. L’artista è approdato in galleria con il suo armamentario di sculture d’impatto esile e lineare, pitture, opere a mosaico o in legno a dare insieme il senso di quello che, mitologicamente, potrebbe essere interpretato come L’occhio di Narciso, ipotesi che dà anche il titolo alla mostra. Alla Neon/Campobase si conclude la mostra ORGANICinorganic a cura di Andrea Lerda, con le opere di Francesca Pasquali, Laura Renna, Davide Rivalta che tentano di simulare l’organicità e la vitalità dell’esistenza. Sempre alla Neon è prevista un’asta di autofinanziamento, preceduta da cocktail e seguita da performance e party fino a tarda notte: fra gli oggetti del desiderio lavori di geni assoluti come Cattelan, maestri come Airò o giovani come Marisaldi, Moscardini. Alla Car Project, sono proposti i disegni di Marc Bauer, nelle tonalità del nero e le sue sfumature, con costruzioni di immagini e scritture figurate che ruotano in sempre nuove variazioni intorno agli abissi dell’esistenza, come scrive nel testo Christine Abbt. Tra le tante altre esposizioni è da evidenziare la personale di Alfredo Pirri alla Galleria dè Foscherari, dove viene esposta, in maniera scomposta, una grande opera realizzata dall’artista nella Cappella dello Scompiglio a Vorno di Lucca nello scorso maggio, in occasione del seminario Incontri d’armonia dell’Accademia dello Scompiglio. Marc Bauer (Car Project)
Alfredo Pirri, Installazione Tenuta dello Scompiglio, Vorno 2009
la personale di Pirro Cuniberti intitolata Volti. Si tratta dell’opera grafica ricercata e sensibilissima di un maestro attivo nel bolognese che si è formato alla scuola di Giorgio Morandi. Allo Studio G7 terza mostra personale di un maestro della pittura aniconica europea, Ulrich Erben. L’artista espone un lavoro site specific realizzato per lo spazio Ex- Falegnameria di Via Val D’Aposa 4, un wall drawing effettuato sulle pareti della galleria. Nello storico e glorioso palazzo della Stefano Forni in Piazza Cavour c’è la mostra del grande fotografo modenese Franco Fontana, con una trentina di lavori di oggi e GENNAIO-MARZO 2010 | 228
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Ilya & Emilia Kabakov The Blue Carpet
Valentino Diego e Pietro Ruffo, Roommates
Enzo Cucchi, Studio per costume interiore
MACRO / ROMA attività espositiva al Macro, dal 23 gennaio al 5 aprile, propone nella hall, una visionaria torre di Enzo Cucchi composta da tre forme cilindriche sovrapposte in metallo, praticabili dal visitatore, il quale è invitato ad entrarvi per scoprire l’universo di immagini in esse racchiuso. Nella Sala panoramica al primo piano, a cura di Luca Massimo Barbero e Francesca Pola omaggio a “Vitalità del negativo” nell’arte italiana 1960/70 e “Contemporanea” alla scoperta di un racconto per immagini di una Roma d’avanguardia, dedicato all’attività di Graziella Lonardi Buontempo, alla sua
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Joseph Beuys e Graziella Lonardi Buontempo
passione per l’arte e la vivacità di una nuova visione del contemporaneo. Nella Sala Panoramica di sinistra, secondo appuntamento del ciclo di mostre roommates/coinquilini, grazie al quale il MACRO si apre al lavoro di giovani curatori e artisti della città. A Valentino Diego e Pietro Ruffo (proposti dalle curatrici Sabrina Vedovotto e Ilaria Marotta) il compito di far convivere in un provvisorio appartamento le proprie diverse identità artistiche. Al secondo piano, nell’ambito della presentazione di un nuovo allestimento della collezione del Museo, è esposta l’opera di Ilya & Emilia Kabakov The Blue Carpet in una grande sala occupata da un enorme tappeto blu, sul cui perimetro gli artisti hanno scelto di collocare una serie di piccoli quadri.
ARTE POVERA NEL 2011 onferenza stampa alla Triennale di Milano del progetto “Arte povera”, a cura di Germano Celant, che si svolgerà, contemporaneamente, nell’autunno - inverno 2011, in diverse istituzioni museali e culturali italiane nelle città di Bologna, Milano, Napoli, Roma e Torino. L’iniziativa, che ha come fulcro il movimento nato nel 1967 con gli artisti Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Pier Paolo Calzolari, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Mario Merz, Marisa Merz, Giulio Paolini, Pino Pascali, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini e Gilberto Zorio, ha lo scopo di presentare su scala nazionale e internazionale gli sviluppi storici e contemporanei di questa ricerca, distribuendo le varie fasi e i singoli momenti linguistici in differenti spazi, dal MAXXI di Roma alla Venaria Reale a Torino, dal MaDRE di Napoli al MAMbo di Bo-
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logna e alla Triennale di Milano. Insieme ai singoli responsabili museali, quali Pio Baldi e Anna Mattirolo per il MAXXI, Alberto Vanelli per La Venaria Reale, Eduardo Cicelyn per il MaDRE, Gianfranco Maraniello per il MAMbo e Davide Rampello, per la Triennale, il curatore Germano Celant ha concepito un progetto di mostra che, riunendo un alto numero di opere storiche e recenti, possa funzionare come un viaggio nel tempo dal 1967 a oggi, in diverse situazioni architettoniche e ambientali, attraverso gli avvenimenti ed i protagonisti dell’Arte povera. L’iniziativa, coordinata dalla Triennale di Milano e dal presidente Davide Rampello, si avvarrà dei prestiti dei maggiori musei e delle più importanti fondazioni, anche dedicate ai singoli artisti, in Europa, Giappone, Stati Uniti e America Latina.
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>anteprima e news gallerie e istituzioni su www.rivistasegno.eu< FIRENZE
Polo Museale Fiorentino l Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato presenta, dal 3 febbraio all’11 aprile 2010, Alla maniera d’oggi. Base a Firenze una mostra, a cura di Marco Bazzini, che mette in dialogo alcuni tra i luoghi più importanti del Polo Museale Fiorentino con l’attuale produzione artistica espressa negli ultimi decenni in Toscana. Gli artisti invitati - Mario Airò, Marco Bagnoli, Massimo Bartolini, Paolo Masi, Massimo Nannucci, Maurizio Nannucci, Paolo Parisi, Remo Salvadori – interpretano attraverso il linguaggio della contemporaneità celebri spazi storici e museali, dando vita a un percorso che annulla le distanze temporali tra il luogo ospitante e il loro intervento e include nello stesso orizzonte visivo l’“antico” e il “nuovo”. La mostra è promossa dalla Regione Toscana e realizzata in collaborazione con Milano / Cento anni di la Soprintendenza Speciale per il Patrion l’intento di onorare la poliedrica fimonio Artistico e Etgura di Gillo Dorfles (nato a Trieste nel noantropologico e 1910), il Comune di Milano e la Fondaper il Polo Museale della città di Firenze, zione Mazzotta presentano a Palazzo Reale e coinvolge alcune (dal 26 febbraio al 23 maggio) la prima grandelle più prestigiose de mostra dedicata alla sua vastissima produsedi storico-museali zione di artista e intellettuale. Oltre che critico quali: Galleria degli d’arte ed estetologo con numerose pubblicaUffizi, Galleria del- zioni, Dorfles si è distinto per i suoi dipinti, dil’Accademia, Museo segni, sculture, grafiche, ceramiche e gioielli, di San Marco, Cena- dagli esordi metafisico-surreali all’adesione al colo di Sant’Apollo- Movimento Arte Concreta nel decennio 1948nia, Chiostro dello 1958, fino alle recenti composizioni e creazioScalzo, Piazza Duo- ni di inediti personaggi. Oltre al catalogo ramo, Battistero, Pa- gionato delle opere di prossima pubblicazione presso le edizioni Mazzotta (a cura di Luigi lazzo Sacrati Strozzi. Sansone con testi del curatore e di Claudio Cerritelli), in mostra viene proposto il volume Gillo Dorfles pittore, con tutte le 150 opere esposte.
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Vedovamazzei
Andrea Branzi
GILLO DORFLES
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NUOVO DIRETTORE DI ARTISSIMA
Francesco Manacorda opo il passaggio di Andrea Bellini alla direzione (assieme a Beatrice Merz) del Museo del Castello di Rivoli, il suo incarico di direttore della fiera d’arte torinese Artissima è passato a Francesco Manacorda, giovane trentacinquenne con esperienze internazionali, che ha, tra l’altro, collaborato con Bellini per le acquisizioni del Frac, il Fondo regionale per l’arte contemporanea del Piemonte. Sembra una scelta nella continuità, che vede il neodirettore impegnato ad affrontare delle decisioni che non diano adito, come nell’ultima edizione di Artissima a malumori da parte di numerosi qualificati galleristi.
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FIERE D’ARTE ART INNSBRUCK www.art-innsbruch.com Dal 19 al 22 febbraio, 14th Art Innsbruck, con 70 espositori provenienti da 10 nazioni. Dipinti e oggetti storici dagli anni ’60 ad oggi, fanno cornice a mostre e workshop della nuova generazione di artisti. Secondo la direttrice Johanna Penz, c’è una nuova e inconfondibile atmosfera di interessi per collezionisti e visitatori, stimati in 13.000.
Denis Santachiara, Qualc'uno
Fernando e Humberto Campana
IV BIENNALE DELLA CERAMICA NELL’ARTE CONTEMPORANEA A MADRID a Spagna, come l’Italia ha una forte tradizione legata alla ceramica artigianale e per questo motivo è stata scelta per ospitare, per la prima volta fuori dall’Italia, la IV Biennale della Ceramica nell’Arte Contemporanea”, allestita dal 21 gennaio al 21 marzo 2010, nella sede dell’Istituto Italiano di Cultura di Madrid. Questa Biennale nasce da un progetto che ha dato vita ad un laboratorio internazionale, col suo centro di irradiazione ad Albisola, e che ha visto la realizzazione di un importante network di produzione e di progetti tra istituzioni territoriali e culturali, università ed imprese, che, insieme a grandi artisti hanno prodotto opere di design e di arte contemporanea. L’esposizione presenta la collezione di vasi di fiori in ceramica dal titolo Cambiare il mondo con un vaso di fiori degli artisti e disegnatori: Simone Berti, Alessandro Biamonti, Andrea Branzi, Linde Burkhardt, Fernando e Humberto Campana, Lorenzo Damiani, Paolo Deganello, Florence Doléac, Marco Ferreri, Alberto Garutti, Alexis Georgacopoulos, Martì Guixé, Pekka Harni, Corrado Levi, Hugo Meert, Alessandro Mendini, Donata Paruccini, Michelangelo Pistoletto, Adrien Rovero, Denis Santachiara, Paolo Ulian, Vedovamazzei, Alberto Viola, Luca Vitone, ed un progetto speciale: “Vasi di fiori Specchi del Terzo Paradiso”di Michelangelo Pistoletto. Una collezione di 60 vasi di fiori che disegnano il Nuovo Segno dell’Infinito come simbolo del Terzo Paradiso. L’esposizione, itinerante, sarà proposta, da luglio a novembre alla Fondazione Pier Luigi e Natalina Remotti, - Città di Camogli, Genova e, da giugno a settembre, al Mudac – Museo di Design e Arti Applicate Contemporanee di Losanna.
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Michelangelo Pistoletto Vasi Specchio del Terzo Paradiso
Alessandro Mendini Tre sfere oro
ART COLOGNE www.artcologne.com Dal 21 al 25 aprile, 44th Art Cologne con la presenza di 190 gallerie internazionali. Uno storico mercato dell’arte contemporanea che si avvale di un simultaneo contesto di mostre nei musei, da Ed Ruscha, Fischli/Weiss, Liam Gillick, Erwin Wurm, Katharina Fritsch. ART DUBAI www.artdubai.ae Dal 17 al 20 marzo, 4th edizione di Art Dubai con l’adesione di 60 gallerie internazionali e nuove proposte espositive con progetti speciali affidati a curatori dell’Emirato Arabo. ART-ATHINA www.art-athina.gr Dal 13 al 16 maggio, 16th edizione di Art-Athina 2010 al Faliro Pavillon, Hellenic Olympic Properties di Atene con una sessantina di gallerie greche ed altre provenienti da 12 nazioni estere. GENNAIO-MARZO 2010 | 228
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>anteprima e news gallerie e istituzioni su www.rivistasegno.eu< ASCOLI PICENO
8 Galleria Marconi Cupra Marittima fino al 14 febbraio Nuovi fermenti artistici nelle Marche. A cura di Cristina Petrelli viene presentato il lavoro di Roberto Cicchinè, Armando Fanelli, Niba (7), Ivana Spinelli, con fotografie, video, sculture e oggetti.
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FABRIANO
8Dal 19 febbraio, la Fondazione Ermanno Casoli presenta l'opera realizzata da Francesco Arena (16), vincitore della XI edizione del Premio Casoli.
BRESCIA
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8 Galleria Minini. Fino al 20 marzo, Sabrina Mezzaqui Giocatori di perle.
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8 PaciArte Contemporary. Dal 27 febbraio al 6 aprile, Focus on Early Works di Sandy Skoglund (18).
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CATANZARO
8 Open Space. Fino al 21 febbraio, Un augurio ad arte, mostra collettiva con opere di: Getulio Alviani, Domenico Amoroso, Karin Andersen, Caterina Arcuri, Antonio Basile, Cesare Berlingeri, Vittoria Biasi, Tomaso Binga, Nathalie Brauld, Nicola Carrino, Bruno Ceccobelli, Pietro Coletta, Fernando De Filippi, Giulio De Mitri, Danilo De Mitri, Gerardo Di Crola, Gillo Dorfles, Giosetta Fioroni, Alberto Fiz, Pietro Fortuna, Giuseppe Gallo, Piero Gilardi, Francesco Guerrieri, Emilio Isgrò, Linda Kaiser, Jannis Kounellis, Dimitris Kozaris, Ugo La Pietra, Alfredo Maiorino, Renato Mambor, Eliseo Mattiacci, Achille Pace, Luca Pace, Antonio Paradiso, Luca Maria Patella, Lamberto Pignotti, Vettor Pisani, Angela Sanna, Giuseppe Spagnulo, Antonio Violetta (10).
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GENOVA
8 Unimedia Modern. Dal 15 gennaio mostra di Philip Corner dal titolo “Up and Down, in Around, designs for music and not”. Testi di Viana Conti e dell'artista.
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MILANO
8 Galleria Monica De Cardenas. Dal 4 febbraio al 3 aprile, mostra di nuove opere di Stephan Balkenhol (3).
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8 Francesca Minini. Dal 21 gennaio al 1 marzo “Venti pazzi”, collet- 15 tiva che unisce artisti della galleria di Massimo con quella di Francesca Minini. Si tratta della ventesima mostra che presenta 20 lavori di: Daniel Buren, Paolo Chiasera, Hans Peter Feldmann, Bertrand Lavier, Deborah Ligorio, Simon Dybbroe Møller (4), Gabriele Picco, Riccardo Previdi, Francesco Simeti, e Nedko Solakov. 8 Cardi Black Box. Dal 21 gennaio al 13 marzo, “Late Paintings” prima personale in Italia di Jorg Immendorff, a cura di Sarah Cosulich Canarutto.
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8 Galleria Maria Cilena. Dal 26 gennaio al 28 febbraio, “Arte dall'Arte” di Clara Brasca (19). 8 Corsoveneziaotto. Dal 12 gennaio al 10 febbraio, Impressions of MODENA Being, prima personale in Italia di 8 Galleria Betta Frigieri. Dal 23 Hugo Tillman (9). gennaio al 6 marzo, “Download” di Guido Meschiari (22), Naomi Vona 8 Galleria Massimo De Carlo. (13), Carloalberto Treccani (8). Dal 27 gennaio al 13 marzo, mostra di Sol LeWitt curata da Rudolf NAPOLI Stingel (5). 8 Galleria Lia Rumma, dal 24 gennaio Forever overhead di Marzia 8 Giò Marconi. Dal 27 gennaio Migliora. al 6 marzo, Orbite rosse di Grazia Toderi (12). PALERMO 8 Galleria dell'Arco. Fino al 28 8 Studio Guenzani. Dal 21 gen- marzo, “Effetto Stalker3”, terzo naio al 27 febbraio, personale di appuntamento della trilogia espositiva Giuseppe Gabellone (6). ideata e curata da Helga Marsala con opere di Sergio Breviario, Pierluigi 8 Mimmo Scognamiglio. Dal 14 Calignano, David Casini, Ettore gennaio Trasmigranti di Favini. Maddalena Ambrosio. 8Suzy Shammah. Dal 4 febbraio al 6 marzo, seconda personale dell'artista tedesco Jürgen Drescher.
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PORDENONE
8 Associazione Culturale La Roggia. Dal 6 febbraio al 4 marzo
personale di Mira Licen Krmpotic con opere pittoriche ed oggettisculture in vetro.
(23), Eugenio Miccini, Irma Blank, Emilio Villa, Lamberto Pignotti, Elisabetta Gut (2).
ROMA
8 Il Ponte Contemporanea, “Invito al'Opera” a cura di Achille Bonito Oliva, con i lavori di Maurizio Mochetti, Rammey Ramsey, Idan Hayosh, Alvin Curran presentati da Jonathan Turner.
SALERNO
8 Valentina Moncada, dal 10 marzo al 21 aprile, Flussi Immobili di Francesca Leone (1).
TORINO
8 Galleria Paola Verrengia, fino al 13 febbraio, “A tutto tondo” con opere di Riccardo Gusmaroli, Kazumasa Mizokami, Paola Pezzi, Claudia Rogge, Rosy Rox. 8 Fondazione Merz. Dal 19 gennaio al 28 febbraio, Messico famigliare nuovo progetto della coppia di artisti Ottonella Mocellin e Nicola Pellegrini, a cura di Francesca Pasini (17).
8 Alessandra Bonomo, dal 27 febbraio al 30 marzo, personale di Juliao Sarmento. 8 Cortese & Lisanti, dal 2 febbraio al 7 marzo “Venti Libristi”, a cura di Mirella Bentivoglio con opere di venti aristi, tra cui: Antonio Del Donno
UDINE
8 Galleria Plurima, dal 23 gennaio al 23 febbraio, lavori recenti di Lucio Pozzi.
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AUGURI ABO
In trenta e più anni di lavoro su Segno abbiamo imparato che fare cultura attraverso una rivista come la nostra non può consistere soltanto nell’assicurarsi le recensioni più puntuali, nell’ospitare i contributi teorici più avanzati o nell’ interpellare gli esperti più qualificati su questa o quella questione, ma deve significare anche immergersi nel flusso vitale del sistema dell’arte, saper cogliere al volo le occasioni più cospicue per sondarne le tensioni e gli umori, essere in grado di farlo reagire alle nostre sollecitazioni pensate e sentite sempre in funzione della maggior sintonia possibile con le aspettative e le esigenze dei lettori. In quest’ottica ci è sembrato che il settantesimo compleanno di chi ha coniato il termine stesso di sistema dell’arte non potesse essere salutato come una semplice ricorrenza, ma dovesse essere riguardato come un momento di autentica festa, una pausa che la comunità cui apparteniamo si concede per mettere alla prova la propria tenuta, il valore fondativo dei vincoli da cui nasce. Achille Bonito Oliva il sistema dell’arte non lo ha solamente definito e concettualizzato, lo ha anche attraversato sempre da protagonista, senza mai cadere né nella tentazione di demonizzarlo né in quella opposta di inchinarsi ad esso come ad una entità sovrannaturale. Il modo migliore di dare il via a questa festa ci è pertanto sembrato quello di trasformare il rito degli auguri in uno strumento di verifica dei rapporti che l’intramontabile ABO ha saputo stabilire con le persone con cui è entrato in contatto lungo lo snodarsi della sua avventura culturale ed umana. Coloro di cui pubblichiamo qui di seguito le parole di augurio da noi sollecitate senza alcuna condizione o suggerimento sono tutti in qualche modo funtivi di un sistema, ma sono anche uomini e donne che osservano, sentono, si confrontano. Operatori individuali che hanno condiviso, ciascuno a suo modo l’ergere e l’affermarsi di un’immagine pubblica. Quanto a noi ci teniamo comunque a sottolineare che i nostri auguri non sono rivolti all’immagine, ma all’amico. Lucia Spadano, Paolo Balmas, Umberto Sala
D’altronde sono sempre gli altri che invecchiano. Pietro Marino (su suggerimento di Marcel Duchamp) Achille, ma chi ti credi di essere, sono mesi che stiamo festeggiando i tuoi settant’anni, fra un Campidoglio ed una via, attraverso cene, pranzi, giornali, riviste ed ogni altro ben di Dio celebrativo. E per cosa e per chi, mi domando io; per uno educato in un mondo ineducato, puntuale tra i “verso le diciassette, nel pomeriggio insomma”, professionale tra i pressappochisti, appena appena nevrotico in un mondo di isterici, narciso quanto basta tra i Cavalieri dell’Autoreferenza, un uomo del mondo nell’agire e nel pensare tra tanti che nel mondo vivono ma col pensiero non sono mai usciti dalla cinta daziaria. Comunque ti perdono per tutto questo tuo distinguerti, e ti perdono anche per la seconda parte del tuo cognome, inutile nel Martini, dannoso nella politica, ridicolo nei Musei. Continuiamo a festeggiare….. Roberto Casiraghi Ad Achille, il mio grande amico Cavaliere, da sempre un compagno di strada degli artisti, i miei più affettuosi auguri. Pensare che è andato fino a Lima per una mia mostra! Carla Accardi All’uomo che sostituisce “forse”con “forze”, che di sua altezza fa reame e non regime, all’ABC dell ‘ABO, sperticatore di odi (tessute?), prenato,”criticantico” delle creature, istigatore di speci…..dico buon valico, dico crescici e moltiplicaci (come fossimo tulipani o pesci) Auguri siluri futuri spergiuri! ABS (Alessandro Bergonzoni Saluta) Achille uno e solo è meglio preso al volo Achille è bello e sveglio perchè non ha guinzaglio Achille è un uomo vero il che ci sembra raro Achille non è Achille raccoglie le scintille! Andrea G. Pinchetts Settant’anni di “vitalità del positivo”! Un affettuoso augurio ad Achille, burbero benefico, così “lontano” eppure così vicino alla mia famiglia, in un rapporto che coinvolge ormai tre generazioni... Antonella Marino Hello, This statement you may publish: “If I am eternal, I have little bit more time than the others”. Braco Dimitrijevic for Achille
Auguri dallo staff grafico della rivista Segno Lisa, Massimo e Roberto Sala
Le radici del mio vecchio albero sono sane. Così alla mia età spuntano foglie verdi e fiori ancora profumati. È una primavera continua. (Alda Merini) Auguri luminosi, Achille Cristiana Collu Con l’augurio di continuare a stupire il mondo dell’arte per molti anni ancora. Dina Caròla Auguri ad un insigne portatore sano di un’arte a responsabilità ilimitata… Vito Labarile
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Sei unico e straordinario! Buon compleanno Irma Bianchi Ho sempre pensato che la chiave per capire Achille, non solo come persona, ma anche come critico, fosse in una sua risposta a una vecchia intervista per “Bolaffiarte”. Al suo interlocutore che domandava, forse aspettandosi le consuete, banali risposte (medico, capostazione, avvocato…): “Quando era piccolo cosa pensava di voler far fare da grande?” Achille aveva risposto spiazzandolo: “Io da grande volevo fare il bambino!”. Io dico sempre che gli è riuscito. Nessuno ha un carattere più infantile di Achille, per quello gli perdoni tutto, dal cazzotto in testa al cazziatone fuori luogo (di cui si pente subito), e invece di farti arrabbiare riesce a farti ridere. Come critico poi ha praticato i due fondamentali caratteri del bambino: lo spirito ludico e il senso di onnipotenza. Il secondo gli permette di sentirsi felicemente possidente, di esercitare la critica libero da pesi, d’altra parte ha scritto: “Se non esiste coerenza non esiste nemmeno contraddizione”. Il primo gli consente di continuare a divertirsi sempre e di interpretare la propria parte (il ruolo del critico come protagonista e non come “servo di scena”, come dice lui) come in un gioco. Per questo per il suo compleanno non possiamo che augurargli altri 70 anni da bambino! Laura Cherubini L’apprendimento e la memoria rappresentano due delle più importanti funzioni cognitive che caratterizzano i mammiferi superiori. Chiunque abbia avuto a che fare con Achille sa quanto siano psviluppate e “pericolose” in lui queste funzioni. Francesco Nucci Caro Achille auguro di incontrarti ancora per lungo tempo come l’ultima volta, scherzoso allegro e divertente. Franco Riccardo Carissimo, scatenatissimo ragazzaccio di ogni volta tantissimi auguri per questa nuova importantissima meta un grazie di cuore per l’affetto e il calore che ci hai da sempre regalato non solo durante l’esperienza di Arte all’Arte ma in ogni incontro qua a San Gimignano e in giro per il mondo. Lorenzo, Mario, Maurizio Galleria Continua, San Gimignano/ Beijing / Le Moulin Ricordando convergenze e divergenze nel corso di una gradita visita nella mia casa genovese, con piacere porgo i miei auguri ad Achille Bonito Oliva la cui elevata cultura e intelligenza critica ridicolizza la schiera di incolti ed arroganti personaggi che affollano la scena artistica contemporanea. Giorgio Teglio - collezionista Al più grande critico, da una giovanissima aspirante artista che gli vuole molto bene. Giulietta Bellipario Ci siamo ritrovati dopo tanto tempo. Collaboro con te da tanto tempo. Non mi sono mai accorta di quanto tempo sia trascorso...sarà perché tu non hai età!?! Auguri Giuliana Picarelli
Pennelate di affetto ad acki the master, Pappi Corsicato e loigio
I momenti più alti della mia vita professionale sono stati con te, Achille! Nei primi anni novanta, mentre soffiava il vento nefasto dei nazionalismi, con la tua Biennale, “ I punti cardinali dell’arte”, hai rotto tutti i confini in nome di un’intelligenza che i poteri seppelliscono via via nel loro avvicendarsi. Sovversivo, ti vedo nel silenzio di Cage, negli schermi di Paik, nei fuochi di Cucchi, nel vuoto di Klein. Un po’ Zen un po’ Cristiano: Imperatore e Maestro. Da te ho imparato tanto, soprattutto a non aver paura. Auguri anche da Brando e da Giovanni. Manuela Gandini Al “Ragazzo dell’Europa”, con la voce di Gianna tanti auguri da Mario e Dora Pieroni Ideologo del tradimento, fece un passo laterale, passo di danza dello strabismo, grande guidatore d’automobile, autocritico militare, pietra miliare (amore mio) pieno di negativa vitalità, anticipò i trans con l’avanguardia. Io sono Achille Bonito Oliva, dunque l’omosessuale, poeta visivo, impresario di pompe funebri, funambolico giocoliere, auguri! Massimo Minini Uno zero l’abbiamo tutti nella vita. Ma il 7, “Arduo dire qualcosa di significativo in una occasione come questa, è ben difficile, anche da parte dei suoi detrattori, non riconoscere la grandezza di Achille come studioso, come critico, come curatore: “Il territorio magico” ha “solo” quarant’anni, e fortunatamente è di nuovo in libreria! Ma la cosa più straordinaria, me lo si lasci dire, è aver conservato, coltivando entrambi, il coraggio di cercare ed il talento di trovare l’idea, il tema, a volte solo la parola che ti fa riflettere: così da un articolo su Repubblica ad una mostra come quella su Boetti al MADRE (dove la sola dinamica espositiva “circolare” è più rivelatrice dell’artista di mille saggi), sempre una nuova intuizione, una nuova chiave di lettura, qualcosa che si aggiunge, mai banale, senza paura di mettersi in discussione. Ecco, questa vitalità intellettuale è la cosa più straordinaria dei suoi settantanni.” Giovanni Giuliani - collezionista Caro ABO, è numero di gran pregio: primo euclideo cubano,di Mersenne,felice e fortunato.Sette le arti liberali, le virtù e i vizi capitali.Nella smorfia è il vaso da notte. Ignazio Licata ABO. non riesco ad essere infelice. fra,terno. 70,20,10. Matteo Fraterno
“Achille e Bonito e Oliva” Achille schiuse le palpebre sullo schermo del tempo fuggente Bonito come un veggente decifrò tutte le tenebre: Oliva di secoli struggente al canto funebre spremuta. Del sacro e del profano quella penna canuta fu olio per la lampada votiva ma alla prima saliva all’urlo partoriente Achille Bonito Oliva il fanciullo insolente sbuffò come il Vesuvio e rise del nostro niente. Nichi Vendola Dal Vesuvio alle Ande con i tuoi settant’anni sei sempre il più grande! Teresa e Peppe Morra Dear ABO, Auguri per 70 anni. I’ve known you since that New York show about money that you included me in about 20 years ago. But it’s only been since I moved to Italy in 1996 that I got to know you better and came to realize how much you’ve contributed to the art community. You’re one of the few great strong and serious forces that that keep the art world from becoming superficial and frivolous. I admire your freedom and independence. You’re never smug, like too many people who acquire only a fraction of your type of influence. Your generosity is an inspiration. Mark Kostabi Caro Achille, tu corri corri, ma io ti batto sempre!... Ti abbracci Lucia Trisorio Dalla gallerista sul Maniero un augurio sincero: ad Achille non altri 70, ma mille! Liliana Maniero Tanti auguri Achille, mio Maestro dell’Arte, che quando faceva l’appello e chiamava “Arturo” io rispondevo “presente”... Nicola Monti A quello scugnizzo di Chiò Chiò, l’augurio che continui sempre a esprimere la sua saggezza con l’impagabile sottile leggerezza che ce lo rende unico. Maria Gloria Conti Bicocchi Allegoricamente si Burla con Oltraggio Brigante Organizzato è Aereo Oniricamente Allarmante sul Business Spelling by Michelangelo jr. Mando ad Achille l’augurio di continuare a stupirmi, incuriosirmi, stimolarmi con la giovane e mai stanca genialità con cui cammina nell’arte, amo il suo modo brusco e complicato che inaspettatamente diviene chiaro nella vita e nella scrittura. Sono una sua coetanea, ma lo guardo come fosse un figlio - un ragazzo prodigio che va nel mondo a compiere grandi imprese- di cui essere orgogliosa. E mi commuove sempre. Milli Gandini
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“Qui giace un immortale” Vettor Pisani Caro Achille, auguri per i tuoi settant’anni. Mi hanno fatto compagnia da quando ci conosciamo, dagli anni Sessanta del secolo scorso, Il territorio magico e tutte le altre cose che hai scritto, le mostre che hai fatto e che continui a fare, ma, insieme, e forse con più intensità, la tua arguzia e soprattutto il sentimento d’amicizia che, legandoci, ci lega a Filiberto. Auguri per i tuoi settant’anni. Angelo Trimarco Or sono trenta anni che ho il piacere di conoscere Achille Bonito Oliva. Nel 1980, infatti, visitò la mostra didattica su Paolo Finoglio, da me organizzata a Convesano con altri operatori. Nacque un rapporto di collaborazione sulla base di una reciproca stima e amicizia. Tra i vari eventi mi piace ricordare la sua conferenza inaugurale alla mostra “Le sorgenti dell’Arte”, da me ideata e curata nella città di Iraklion (Isola di Creta). E proprio in nome della comune fede nella possibilità che l’Arte trasformi il mondo, con animo grato, auguro lunga vita ad Achille Bonito Oliva. Santa Fizzarotti Selvaggi In principio eri babà, poi …. liscia o ruvida, una sfogliatella, infine un diplomatico! Dolci auguri Paola Verrengia Auguri Achille, irripetibile, imperdibile, inespugnabile...piccolo grande uomo! Rosalba Branà dir. Museo Pino Pascali Miki Carone Artista Caro Achille, sei sempre troppo giovane per me, che ti avrei voluto come Padre Nobile, e ti ho invece, nei tuoi libri ma anche nelle occasioni, sempre importanti, di lavoro e, ormai posso dirlo, di amicizia, come sfida, irrinunciabile quanto impossibile. Auguri Achille, per i tuoi anni che non si contano. Stefania Zuliani A te unico insostituibile Achille i miei auguri più affettuosi e cari! Valentina (Bonomo) “Curiosa esperienza di ritrattista: quando cerco la sua espressione caustica, cinica, ironica e un po’ crudele, trovo un pensiero profondo e anche un po’ melanconico” Elisabetta Catalano Tutto è importante ma nulla lo è poi così tanto, auguri Achille. Francesco Arena Ad ABO prezioso magister, ad Achille amico speciale: auguri sinceri di un presente duraturo ad libitum, fuori e dentro questo avvincente territorio magico. Giusy Caroppo Achille Gli amici anche ad Abidjan ti aspettano entro 2010 alla ‘Rotonde’ per fare gli auguri! Virginia Ryan
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“ACHILLE BONITO OLIVA: ROBIN HOOD/DOOH NIBOR” Enzo Cucchi
Per Achille bastano tre aggettivi: estroso, generoso, creativo. Graziella Lonardi Buontempo
Caro Achille Bonito Oliva, auguro al tuo essere e alla tua poetica di persistere, non cessando di lavorare, come l’opera d’arte, alla propria infinita incompiutezza. Ai tuoi settant’anni dedico il canto scaturito dai suoni dei paradossi e degli ossimori di cui hai inaugurato la pratica nel linguaggio dell’arte contemporanea, donandoti ciò che è già tuo e che è diventato, nel tuo brillante percorso di critico e storico, di tutti. Nella tua modalità critica, verbale, scritturale, comportamentale, il solo accostamento di un aggettivo a una figura fa scoccare l’imprevisto di quella scintilla che sottende alla dinamica irrefrenabile del motto di spirito. Ti dedico ancora, nell’album dei ricordi indelebili, quell’indimenticabile giorno del 10 marzo 1999, in cui hai presentato la tua riedizione Electa de L’ideologia del traditore a Satura, Genova, attivando un’inarrivabile palestra di pensiero con il tuo interlocutore Edoardo Sanguineti. Viana Conti
Achille Bonito Oliva ha il dono raro e prezioso della maestria della parola: con essa ci conduce nel reame dell’arte, dimora che gli appartiene per conoscenza ed elezione, e ci trasporta felici verso orizzonti lontani. In una sua conferenza a Paliano, ha confessato un giorno la sua timidezza di fronte all’enigma delle opere. Per questo e per la sua sottile ironia da funambolo lo rispetto e lo amo. Giuliana Setari Carusi (President Dena Foundation for Contemporary Art. Paris)
Conosco Achille da quando avevo sedici anni. Il tempo è passato in fretta. Tantissimi auguri Achille! Nino Longobardi “ ..... Né celeste né terreno, né mortale né immortale ma, libero artefice di te stesso, potrai plasmarti secondo la forma che preferirai....” Pico della Mirandola ( Oratio de hominis dignitate) Gian Marco Montesano per Achille Auguri Achille Innocente Dino Innocente I was fortunate enough to meet Achille Bonito Oliva early on in my professional career. So it was natural that the acquaintance –and the subsequent collaboration– with an internationally active and acclaimed curator and art theoretician would fill me with deep honour and respect. Our regular communication, for the shows of C. Varotsos and in particular in the context of exhibitions such as “Art-UnionEurope” (Athens, Kerkyra, Thessaloniki, 1994) and “Traces of Significance-Italian Art Today” (Art Athina 6 ’98), helped me get to know his way of thinking and, more importantly, to discern and learn from the inexhaustible energy he draws from the love for his work. Like all people, he is bound to have his own “Achilles’ heel”. To me, however, he remains a model theoretician, a teacher and a friend I always love and respect. KaterinaKoskina President of the Greek State Museum of Contemporary Art - Artistic Director of the J.F.Costopoulos Foundation Ad Achille Critico Hors ligne Inimitabile Leader Libertino Eccentrico Per i suoi primi 70 anni: Auguri!!!
Donami, o Diva, del Divo Achille l’ira feconda che infiniti addusse diletti agli occhi e alle menti. Ovidio Jacorossi - collezionista Questo è il mio augurio per i settanta anni di A.B.O: SE TANTA VOGLIA HAI DI VIVERE,DI ARGOMENTARE, DI VIAGGIARE, DI PENSARE, SETTANTA VOLTE AUGURI! Maria Giovanna Sessa “ad Achille, mio compagno di strada dal suo Pio compagno di marciapiede.” Pio Monti Un mio ricordo va al dibattito tenutosi a Martina Franca nel gennaio 1985 sul “Graffitismo americano” e alla vitalità e disponibilità di Achille Bonito Oliva a confrontarsi sull’interpretazione di questo movimento così discusso con Tommaso Trini e gli artisti presenti: Ero, Phase Two, Daze e soprattutto l’indimenticabile Rammellzee. Auguri Lidia Carrieri
Cosa posso augurare ad Achille per i suoi 70 anni? Niente. A chi ha già fatto tutto posso solo augurare che venga folgorato dalla fede. Emilo Mazzoli Achille, dalla Russia con amore! G&K Lusikova
Lia De Venere Tanti auguri al mio Pitbull. Umberto Scrocca (Labrador)
Come diceva Picasso “ci vogliono molti anni per diventare giovani”. Auguri Achille! Erica Fiorentini Tanti auguri alla più lucida intelligenza della critica italiana. Roberto Calvi - collezionista
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CARO ACHILLE BUON COMPLEANNO EMILIO emilio prini Per Achille, talento critico, protagonista indiscusso e discusso dei nostri giorni, “portatore sano” di un’intelligenza acuta e brillante, di talenti eccentrici e di inclinazioni anticonformiste, il tutto intinto in un affascinante e creativo amore del paradosso. Un regalo che non costa nulla: una frase di un suo “simile”, Oscar Wilde: “Non v’è mai stata un’epoca creativa che non fosse anche un’epoca di vitalità critica, poiché è il talento critico che inventa forme nuove.” Con affetto Silvia (Evangelisti: essendo un nome di donna è meglio specificare per non essere confusa con le mille Silvie che sicuramente conosce). Tantissimi auguri
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Caro Achille, per i tuoi 70 anni vorrei regalarti il Burj Dubai che naturalmente non mi piace, ma per i tuoi 71 ti regalerò un frammento dell’ affresco di Tiepolo, e per i tuoi 72 anni ti regalerò un ettaro di Limoni in Sicilia, e per i tuoi 73 faremo insieme un tuffo nel mare di Tarquinia.... e per i prossimi 100 anni, le vie del signore sono infinite. Con amicizia, Kounellis Achille, Centoventi di questi giorni. Da Maddalena e Baldo Diodato Caro Achilleus, molti hanno pensato che saresti rimasto prigioniero della tua transavanguardia. Lei è ormai storia. E tu sei su altre nuove scoperte. Ben spesi i tuoi primi settantanni, portatore di speranza! Carlo e Marina Ripa di Meana
Italo Tomassoni L’estate scorsa Lucia Spadano è venuta in Grecia nella mia casa-studio sull’isola di Aegina e mentre rispondevo alla sua intervista all’improvviso un falco è entrato, ha planato sulle nostre teste ed è volato via. Allo stupore misto a spavento di Lucia ho risposto: “stai tranquilla, è un mio amico, vola spesso nei dintorni, l’ho chiamato Achille. Osservarlo nella sua maestosità (positiva e negativa) mi dà coraggio!”. Caro Achille ti auguro anche dopo i 70 per moltissimi anni ancora di continuare come un falco i tuoi voli sempre più fiero. Costas Varotsos Auguri ABO! Grazie per tutto quello che hai fatto per l’arte e soprattutto auguri e buon lavoro per tutti i tuoi numerosi progetti futuri! Stefania Miscetti Achille é un buono perchè fa un uso feroce di un linguaggio domestico. Ubaldo Bartolini Fra gli Achilli conosciuti,l'unico che precede sempre la tartaruga. Valentino Zeichen
"All'indomabile all'imprevedibile all'inarrestabile Achille tanti Auguri" Giorgio Persano Auguri dal tuo cataloghista preferito. Mauro Sograf Auguri a chi fa chiaro il suo pensiero con la scelta di parole luminose come pietre incastonate. Luigi Scialanga Auguri per altrettanti anni di proposte e successi. Bruno & Giuliano (Il Ponte Contemporanea) Se tanta gloria fosse amore, sarebbe festa sempre. Auguri Achille. Angelo Capasso
Cari auguri per il tuo compleanno Ettore Spalletti Non ho memoria del momento preciso in cui ho conosciuto Achille, perché è come se l’avessi conosciuto da sempre in quanto il suo nome è sempre stato legato a quello di mio padre. Achille dà all’arte una cornice che non la chiude ma la apre all’infinito. Tanti Auguri! Anita Festa Luccica tra Stelle Achille, tutti i giorni dentro il Regno dei Fiori. Nicola de Maria Faccio un'ipotesi (assai attendibile, sono ben informata...) circa il concetto-regalo che Alighiero Boetti avrebbe potuto preparare per l'amico Achille nell'occasione odierna. È in continuità con un lavoro che fece nel 1971: due "lapidi", riprese poi come ricami, recanti due date che lo riguardavano personalmente. Dunque credo che per Achille Alighiero avrebbe scritto, su un foglio di carta quadrettata tipo block-notes, due date inserite in due riquadri. A destra, "4 NOVEMBRE 2039" che sarà il centenario della (sua) nascita, a sinistra, per la data di presunta scomparsa. scabrosa per non dire cimiteriale, AB aveva osato per se stesso "11 LUGLIO 2023" (l'età assai ragionevole di 83 anni...) Nel caso di ABO, considerato l'aumento statistico della longevità umana e soprattutto la strepitosa vitalità del personaggio, secondo me AB avrebbe scritto ... la stessa identica data, cioè "4 NOVEMBRE 2039", creando cosi un dittico perfettamente gemellato. All'augurio dell'artista mi associo umilmente e affettuosamente, Annemarie Sauzeau
Tanti auguri Achille e come sempre farai scintille! Tiberio e Fabio Cattelani collezionisti Vulcanico, visionario e intramontabile maestro del contemporaneo. Auguri, caro Achille Giuseppe Cerasa (la Repubblica)
Auguri dal tuo bar preferito, che ha festeggiato i tuoi settanta anni! Alessandro Camponeschi
Inimmaginabile la mia vita senza ABO, che solo per me e bb sarà per sempre amico, Achi immortale nel bene e nel male! Alessandra Vagheggi Da (A)chille a (B)onito Oliva, posto un passo di vantaggio in progressione dicotomica all’infinito. Teresa Iaria (La Tartaruga) 2080 con Achille ancora per mari e monti Gino e Francesca Monti Uno degli italiani di più alta statura internazionale, quella che si misura con il metro napoletano dell’intelligenza. Auguri con affetto Carlo Berarducci
… ancora tanti auguri dagli amici vicini e l’Ontani…
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el pieno centro storico di Foligno sorge con sorprendente imponenza un nuovo museo interamente dedicato all’arte contemporanea, un immobile di nuova costruzione degno di una grande metropoli europea, pietra miliare di un progetto di riqualificazione urbanistica che probabilmente nei prossimi anni avrà modo farci riflettere. Un investimento sulla città e soprattutto sulla cultura, portato a termine dopo diversi anni di lavoro con lo sforzo di Istituzioni come la Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno che ha agito con l’appoggio e il contributo della Regione Umbria, del Comune di Foligno e della Cassa di Risparmio di Foligno . Un luogo per le manifestazioni contemporanee dell’Arte e della Cultura, in cui si ripercorre il recente passato per scrivere il futuro, e proprio sotto quest’ottica il rivestimento in Corten diventa quasi una metafora: l’acciaio imbrunisce nel tempo senza alterare la sua vera natura. Una riga rossa davanti all’ingresso, tracciata in terra dal battere della pioggia scorsa sulle pareti, diventa quasi una linea di confine che separa il luogo di riflessione dal caos urbano, introducendoci in uno spazio fatto di cemento e pareti bianche illuminato da un’immensa vetrata a soffitto. Così si presenta il Centro Italiano Arte Contemporanea, un museo che volutamente non è dotato di una propria collezione ma che è stato pensato come un centro dinamico, tenuto vivo, ogni volta, da un progetto curatoriale diverso. Questa è la volta di Spazio, Tempo, Immagine, che offre una panoramica sorprendente delle diverse ricerche compiute a livello artistico negli anni Sessanta, grandi maestri e grandi capolavori del passato ai quali si aggiunge un ex-cursus rispetto a linguaggi più recenti. Un progetto complesso, che prende le mosse da due diverse esposizioni che si sono tenute a Foligno, la prima, Lo spazio dell’immagine del 1967, che fu un evento su scala internazionale capace di raccogliere gli artisti d’avanguardia più rappresentativi di quel periodo, la seconda Il tempo dell’immagine del 1983 che riportava l’attenzione sulla pittura e sulla figurazione. Accanto a questi due nuclei centrali si apre una panoramica su altri artisti attivi negli anni Sessanta non presenti in quella mostra ed una interessante riflessione sulla più stretta attualità dell’arte contemporanea. In occasione di una visita alla mostra incontriamo Italo Tomassoni curatore della mostra e direttore artistico del Centro.
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Centro Italiano Arte Contemporanea Foligno, PG
Spazio, Tempo, Immagine Intervista a Italo Tomassoni a cura di Stefano Verri
Una struttura all’avanguardia interamente dedicata all’arte contemporanea nel cuore dell’Umbria, come nasce l’idea del Centro Italiano Arte Contemporanea e come si realizza? Quali sono i suoi obiettivi? L’idea nasce da un progetto della Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno che ritenne di investire una parte dei fondi destinati ai settori di intervento previsti per legge, alla cultura e in particolare all’arte contemporanea.
Gino Marotta, Natura modulare (opera-ambiente modulare), 1966. Serigrafia su metacrilato, 200 x 500 x 500 cm (estensione variabile)
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Suoi obbiettivi sono il consolidamento di una “tradizione del nuovo” già esistente in Foligno e uno sviluppo della cultura dell’Arte Contemporanea per la città e il territorio soprattutto con riguardo ai giovani. Un Museo all’Avanguardia, due mostre evento una negli anni Sessanta una negli anni Ottanta, quale è il rapporto tra Foligno e l’Arte contemporanea? Come ho già detto Foligno ha avuto un lungo e proficuo rapporto con l’arte contemporanea e con la cultura della modernità concretizzatesi nelle mostre storiche “Lo Spazio dell’Immagine,” (1967) e Il Tempo dell’Immagine,( 1983) che rappresentano due pilastri fondanti unitamente a una serie di collateralità coltivate nel tempo rappresentate da importanti collezioni, convegni di studio, conferenze e soprattutto organizzazioni e partecipazioni a eventi sul contemporaneo non solo a Foligno ma anche nella Regione e in Italia. Non va dimenticato che a Foligno è sorta e ha sede l’Associazione Gino De Dominicis e che a Foligno sarà ordinato entro l’anno il Museo che conterrà il capolavoro di Gino De Dominicis “Calamita Cosmica”. Spazio, Tempo, Immagine, nasce dalla volontà, da un certo punto di vista, di ripercorrere la recente storia culturale della Città creando un progetto curatoriale che potesse da una parte ripercorrere due mostre importantissime per Foligno e dall’altra aprire una discussione sia sugli anni Sessanta, sia sui nuovi linguaggi contemporanei. A questo punto le chiederei di descriverci le quattro sezioni che interessano la mostra. Nella ricerca artistica degli anni Sessanta lo spazio è sempre meno una categoria mentale e sempre più una dimensione fisica. Ciò che attrae l’artista è il luogo della progettualità, della vita, della libera espressività. Se l’artista rinascimentale immaginava di coinvolgere nelle sue opere l’intero universo, l’artista degli anni Sessanta prende coscienza dei sui limiti. Dopo il rito esistenziale della pittura informale e l’utopia di dilatare l’arte oltre i confini della coscienza, l’arte degli anni Sessanta riporta l’attenzione sui contenuti oggettivi e strutturali dell’opera. Gli artisti progettuali analizzano la visione. Credono nella tecnica e nelle promesse della scienza, praticano uno spazio sperimentale con attitudine tecnicoscientifica e studiano la percezione. Costituendo gruppi di lavoro rinunciano al mito della creazione individuale e impiegano parametri logico-matematici. Nasce lo specialista dell’immagine. L’arte entra nella vita con un dinamismo che coinvolge la moda, la grafica, il design e i tracciati urbanistici. Lo spazio dell’arte diventa abitabile, il fruitore interagisce con l’opera e l’opera si fa ambiente. Ma la complessa realtà di quegli anni non si esauriva in queste istanze. Nella mostra “lo spazio dell’im-
Agostino Bonalumi, Bianco, 1969. Vetroresina, 200 x 200 x 180 cm,
Eliseo Mattiacci, Microcosmo, 1993/2000. Disco in ferro concavo con pallini in piombo, sfera di marmo nero d’Africa, diametro 220 cm (disco), 25 cm (sfera)
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magine” infatti, la tradizione della Bauhaus, di de Stijl e del concretismo europeo, sfociata nell’arte programmata, neocostruttivista e di nuova tendenza, si confrontava con le matrici della nascente arte povera che, alle idee progettuali e di integrazione con la produzione industriale e con la scienza, contrapponeva l’abolizione della sovrastruttura, l’uscita dal sistema, il rifiuto del dialogo e la trasformazione dell’artista da sfruttato a guerrigliero. Su questa tensione creativa e ideologica la ricerca trovava nella mostra di Foligno uno dei suoi più significativi e precoci paradigmi. Nella prima sezione di questa mostra si ripercorrono le tematiche di quel momento storico. Tutti gli artisti presenti allora sono riproposti al completo, taluni con le stesse opere, altri con lavori coevi, insieme alle motivazioni dei critici che curarono la rassegna (Apollonio, Argan, Bucarelli, Calvesi, Celant, De Marchis, Dorfles, Finch, Kultermann, Marchiori, Masini) interamente riportate in catalogo. Ma il panorama della ricerca artistica degli anni sessanta era solo parzialmente rappresentato dagli artisti invitati a quella mostra. Negli stessi anni e in quelli immediatamente successivi, incrociavano altri protagonisti che storicizzavano le vicende del loro tempo su prospettive rivolte più all’opera che alla tendenza, al concetto e all’ideologia. Nella seconda sezione di questa mostra si rappresentano, senza pretese di completezza, le ulteriori compresenze del panorama di quel decennio. Bruno Munari e Enzo Mari, padri nobili delle ricerche sul rapporto arte-design, si collocano alla fonte delle poetiche programmate e di nuova tendenza. Alberto Burri, concentrato come un filosofo presocratico sulla realtà della materia e sul mistero delle sue metamorfosi, si pone come demiurgo di spazi e materiali: catrami, sacchi, legni, ferri, plastiche, colori) costantemente trasfigurati in opera d’arte. Jannis Kounellis, prima di approdare alla sperimentazione di materiali naturali come il carbone, il grano, il caffè, e all’impiego di animali e persone, debutta nel 1960 con gli “alfabeti”, sorta di codice in lettere impresse nel vuoto. Mimmo Rotella fa una cronaca del presente tra dada e cultura pop prelevandola dai muri della città. Rivisita il collage cubista con il décollage. Giulio Paolini inaugura il decennio indagando il mistero dello sguardo. Nella squadratura dello spazio e nella coscienza del vuoto individua l’origine del mistero dell’immagine. Francesco lo Savio si concentra sulla forza irradiante del colore filtrando la luce e le forme in “articolazioni totali” progettare per interagire con l’ambiente. Franco Angeli e Mario Schifano inaugurano a Roma la “pittura di reportage”; il primo in chiave di una potente simbologia politica, il secondo mettendo a fuoco i frammenti dell’iconografia urbana e gli emblemi del consumo con un occhio fotografico onnivoro. Piero Manzoni deposita idee sulle cose. Aria, gesti, assenza, luce sono i suoi materiali linguistici. E anche la “merda d’artista” (1961) prodotta in 90 scatole, testimonianza affidata Carlo Maria Mariani, City 9, 2002. Olio su tela, 177 x 177 cm.
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a un’ironia più sottile e destabilizzante della “fontana” (1917) di Duchamp. Alighiero Boetti tra arte povera e arte concettuale inscrive in un ipertesto complesso e differenziato, lavori sullo sdoppiameno, la simmetria, la moltiplicazione. Evoca antiche manualità artigianali, realizza opere “postali” e codici sulla classificazione, la numerologia, l’immagine e la somiglianza. Emilio Prini è uno dei fautori più significativi della sparizione dell’oggetto, dell’opera realizzata per sottrazione e del valore primario dell’idea rispetto al manufatto. Alla fine degli anni Sessanta segnali forti aprono già al successivo decennio; cruciale è il racconto psicanalitico della “grande opera” di Vettor Pisani, autore di immagini, come “lo scorrevole” (1971), divenute icone. Il genio solitario e atemporale di Gino De Dominicis infine, profetizza l’immortalità del corpo, il superamento del secondo principio della termodinamica e, proprio nel 1967, l’invisibilità. Alla fine degli anni Settanta si assiste a un processo di profonda revisione degli schemi delle neoavanguardie. La pittura torna con forza a far valere le sue prerogative. Nascono la transavanguardia (alla sezione “aperto” della Biennale di Venezia del 1980) di forte impronta neoespressionista; e l’anacronismo (o ipermanierismo o pittura colta) celebrato nella mostra “arte allo specchio” della Biennale di Venezia del 1984, ispirata ai valori del museo e alla memoria della storia dell’arte. Quest’ultima declinazione trovò a Foligno un suo puntuale antecedente storico. La mostra “il tempo dell’immagine”, (5 giugno 1983 Villa Fidelia – Palazzo Trinci) non senza un dialettico riferimento alla mostra del 1967, proponeva, nell’intenzione mia e di Maurizio Calvesi, curatori della mostra, una riflessione sulla categoria del tempo inteso non più come consumo ma come durata e produttore di immagine. Un tempo della memoria che cresceva secondo i suoi ritmi e che contrastava quello delle avanguardie, che coincideva con il consumo perché mosso da una sollecitazione compulsiva al nuovo. Gli artisti rappresentati in quella mostra erano Alberto Abate, Roberto Barni, Ubaldo Bartolini, Lorenzo Bonechi, Aurelio Bulzatti, Stefano Di Stasio, Paola Gandolfi, Maurizio Ligas, Carlo Maria Mariani, Salvatore Marrone e Franco Piruca. Le loro proposizioni, tenuto conto del momento ancora condizionato dalla doxa delle neoavanguardie, assumeva un connotato autenticamente alternativo. Si trattava di riprodurre un’interrogazione sulla pittura quando la pittura era stata cancellata, fornendo la prova della persistenza di essa e validità espressiva anche in quegli anni di esasperato modernismo. La sua dissociazione dall’attualità motivò la definizione di anacronismo, mentre il riferimento al museo suggerì le definizioni di ipermanierismo e pittura colta. Nella terza sezione di questa mostra si offre una campionatura di quelle testimonianze con opere alcune coeve e altre successive. La condizione di incertezza del momento che stiamo attraver-
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sando spiega il bisogno di oggettività che molti artisti avvertono e che pensano di poter soddisfare attraverso i media contemporanei come il cinema, la fotografia, il video. Nella quarta sezione di questa mostra il collegamento con la contemporaneità è affidato a quattro fotografi (Mario Giacomelli, Oliviero Toscani, Gabirele Basilico e Filippo Piantanida) e al video dell’artista Grazia Toderi. Poiché non esistono zone neutre del linguaggio, anche gli strumenti “freddi” deputati a riprodurre oggettivamente il mondo, stabiliscono una simmetria tra pulsioni soggettive e oggettività comunicazionali. Così se Giacomelli si pone come pioniere di una visione trasfigurata del reale i cui significati trascendono l’immagine o in tematiche lirico-esistenziali o in strutture formali che traducono la natura in astrazione; Oliviero Toscani che da anni ha attraversato i territori più crudi e disturbanti della comunicazione visiva, affida le sue provocazioni all’urto politicamente scorretto, rende in questa mostra omaggio a Courbet (l’origine du monde” 1866, Parigi, Museo d’Orsay) con il pudore di chi si misura con il modello per liberarlo da ogni seduzione sessuale e celebrare l’intimità e la forte espressività del corpo femminile. Gabirele Basilico, dominato da un impassibile règard documentale, illustra il tema della città come in un ritratto, sottolineando il trascorrere del tempo tra preesistenze e innovazioni, rovine e ricostruzioni. Il suo sguardo non arretra davanti all’indagine fel quotidiano come dimostra l’opera presente in questa mostra che riflette il rapporto tra l’oggetto sedia e il corpo umano e evidenzia le impronte che le sedie lasciano sui corpi senza indumenti. Una autentica esilarante marcatura a tatuaggio del fondo schiena. Filippo Piantanida affronta (con Roberto Prosdocimo) il tema della solitudine e dello spaesamento, l’ossessione dell’estraneità, dell’identità e della simmetria. L’immobilità dei suoi paesaggi restituisce la vibrazione delle emotività nel rapporto tra individuo ed architettura. La videografia di Grazia Toderi lega il mondo all’ultramondo, la scienza alla fede Preliminare all’immagine è la coscienza che ogni cosa si trasforma sotto l’urgenza del tempo. Il movimento lentissimo della vita si riassume nella fissità o nel dissolversi
delle immagini e delle azioni esplorate dalla telecamera. La registrazione del mutamento è affidata alla acutezza dello sguardo e alla precisione percettiva dello spettatore che viene coinvolto in un’unica, pulsante dimensione dove sono attivate tutte le qualità sensoriali L‘immagine si fissa o esplode a seconda delle sollecitazioni impresse allo spazio e al tempo. L’iconografia, correlata al pensiero e al suono, comunica entità nelle quali si rinvengono istanze metafisiche e tracce di archetipi dove il mondo sconfina in universi extraterrestri. Quali sono i progetti futuri per il Centro? Dipenderà da quello che produrrà la cultura figurativa contemporanea. Pensiamo in ogni caso ad almeno due importanti eventi l’anno; ad eventi collaterali significativi come incontri con artisti giovani ma già internazionalmente riconosciuti, rapporti con altre istituzioni del territorio nonché italiane e internazionali, per manifestazioni curatoriali congiunte, presentazioni di libri,di opere ecc. Una nota particolare merita il catalogo SKIRA che rappresenta uno strumento straordinario per capire ed apprezzare l’arte di quel periodo unendo un corposo apparato critico ad una serie di documenti orignali altrimenti difficilmente reperibili. n
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Grazia Toderi, Rendez-vous, 2005. Due proiezioni video, loop, dvd. Colore, suono, dimensioni variabili
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I maestri di Terrae Motus ERNESTO
TATAFIORE
Appartamenti storici, Reggia di Caserta
uando Lucio Amelio, straordinario Q protagonista indiscusso della scena culturale non solo napoletana ma internazionale, decise di esporre Terræ Motus, cercò uno spazio che non fosse un semplice contenitore, ma uno spazio che si ponesse in un dialettico confronto con un contenuto legato ad un evento catastrofico come il terremoto. Scelse in un primo momento Villa Campolieto ad Ercolano e poi, dopo il successo al Gran Palais di Parigi, decise di lasciare in permanenza la sua collezione alla Reggia di Caserta. A Lucio Caserta sembrò il posto giusto, fuori dell’ombra del Vesuvio (non a caso i Borbone l’avevano scelta), ma parte integrante di un territorio che reca tracce millenarie e stratificate dell’intervento dell’uomo, influenzato dalla bellezza dei luoghi e incurante del pericolo. Non a caso i Romani decisero di chiamare questa terra Campania Felix. L’allora soprintendente, il prof. Gian Marco Jacobitti, accolse con entusiasmo la proposta di Amelio, poiché, anche se il Palazzo Reale di Caserta non ha certo bisogno di nuove attrattive, capì l’importanza di un patrimonio che avrebbe offerto ai visitatori la possibilità di avvicinarsi alle testimonianze artistiche contemporanee senza costringerli a recarsi necessariamente all’estero, nelle cosiddette capitali della cultura. In un’epoca come la nostra, Terræ Motus si pone come utopico messaggio di un’arte che non si limita ad esorcizzare la morte, ma diventa azione rigeneratrice del genio dell’uomo, trasformando il panico tellurico in metafora di un’apocalisse delle coscienze, una catastrofe in avvenimento culturale universa-
5Ernesto Tatafiore, Luce
[acrilico su tela - 100 x 80 cm.]
le. Più di sessanta artisti di fama internazionale, tra cui Beuys, Merz, Tatafiore, Rauschenberg, Longobardi, Paladino, Tombly, Schifano, Kounellis, Warhol, sono diventati familiari ai visitatori della Reggia di Caserta, negli spazi dedicati alla collezione permanente di Lucio Amelio. L’iniziativa “I maestri di Terræ Motus” nasce con l’intento di esporre, in un calendario dinamico e volta per volta, un’ampia selezione di opere di uno dei protagonisti della collezione, in modo da fornire ai visitatori della Reggia una più precisa conoscenza dei singoli artisti. Dopo la personale di Mimmo Paladino, ancora un campano di rilievo Ernesto Tatafiore, uno 6Ernesto Tatafiore, Titanic
[acrilico su tela - 150 x 220 cm.]
degli artisti napoletani più importanti sulla scena artistica internazionale. Un artista che, attraverso un segno grafico elegante e la scelta di una colorazione decisa, ha ritratto avvenimenti e protagonisti della storia occidentale con una straordinaria capacità compositiva, ottenendo una sintesi di semplicità non comune, con sentimento e suggestione, come se l’artista riuscisse a compenetrarsi nei personaggi storici con la propria interiorità. I suoi dipinti reificano lo svolgersi di esperienze formative, filtrate attraverso la fantasia di un grande artista, e per il quale la scelta cromatica coincide con i suoi principi intellettuali e culturali. L’avvenimento costituito dalla sua mostra, negli spazi attigui alla collezione Terræ Motus, offre sicuramente una nuova occasione per visitare la collezione nella sua totalità, collezione nella quale Tatafiore è presente con un’opera intitolata “23 novembre 1980”, la data del terremoto. Ma nel dipinto di Tatafiore l’interesse è centrato sui pesci che, indifferenti al disastro, continuano il loro tranquillo vagare sott’acqua, così come le murene, gli scorfani, i polpi, i merluzzi del mosaico ellenistico di Pompei hanno continuato a nuotare per migliaia di anni, sepolti da tredici metri di lapilli. Ad indicare la forza perenne dell’arte e del genio dell’uomo, che sopravvive alle catastrofi e guarda al futuro con rinnovato vigore. La mostra di Ernesto Tatafiore alla Reggia di Caserta, ben si inserisce nel ciclo di esposizioni degli artisti scelti da Lucio Amelio per costituire la collezione permanente “Terrae Motus”. L’evento, promosso dalla Regione Campania e dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici, Artistici ed Etnoantropologico per le province di Caserta e Benevento, a cura di Mario Franco, offre un panorama della più recente produzione di uno dei grandi artisti presenti nella collezione ispirata dall’evento sismico del 23 novembre 1980. Ernesto Tatafiore (1943) si è interessato alla pittura fin da giovanissimo, grazie al-8
6Ernesto Tatafiore, Installation view [appartamenti storici Reggia di Caserta]
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GRANDI MOSTRE
5Ernesto Tatafiore, Installation view [appartamenti storici Reggia di Caserta] 7 l’attività artistica dello zio Guido e del pa-
dre, medico, appassionato d’arte e a sua volta pittore dilettante. Laureatosi in medicina, si specializza in psichiatria. Nel 1969 si tiene la sua prima mostra personale presso la galleria di Lucio Amelio, con il quale stabilirà negli anni un rapporto di collaborazione ed amicizia. Achille Bonito Oliva definisce la ricerca di Tatafiore “neo-illuministica”, tesa a tracciare un legame etico tra l´arte e la storia. L’artista affronta temi e figure che rimangono costanti nella sua produzione: la Rivoluzione francese e quella napoletana del 1799, i personaggi centrali della storia europea delle idee. Dietro l’ostentata semplicità formale, la sua pittura incrocia memoria pubblica e privata dell’uomo occidentale, ma anche ricordi dell’infanzia, oggetti e icone della tradizione napoletana. Alla fine degli anni Settanta s’inserisce per breve tempo nella corrente della Transavanguardia. Quando, dopo il terre6Ernesto Tatafiore,
C’est ici que l’on prend le bateau
5Ernesto Tatafiore, Trittico Robespierre poeta [acrilico su tela - 220 x 450 cm.]
moto dell’80, Lucio Amelio darà inizio alla collezione Terrae Motus, Tatafiore sarà tra i primi artisti ad aderire all’iniziativa. Ernesto Tatafiore è da molti anni uno dei protagonisti dello scenario artistico internazionale. I suoi lavori sono stati esposti presso le più importanti istituzioni pubbliche, musei, gallerie private internazionali. Ha partecipato a tre Biennali veneziane (1970, 1980 e 1990) ed ha avuto personali nelle città di Londra (Lisson, Raab Bokmal), New York (Nosei, Emmerich, Moma), Chicago, Parigi (Ivy Brachot, Piece Unique, Masset), Bruxelles (Artscope), Madrid (Ehrahrdt, Levy, Istituto di Cultura Italiano), Barcellona (Fund. Joan Mirò), Berlino (Raab, Dittmar)), Amburgo (Levy), Francoforte (Hirschmann), Colonia, Monaco (Klüser), Bonn (Pudelko), Passau (Mus. Mod. Kunst), Vienna (Hilger, Mus. Mod. Kunst), Budapest (Mus. Contemp. Art, Dovin), Zurigo, Basilea (Kunsthalle, Stampa), Lucerna (Kunstmuseum), Amsterdam (Stedelijk Museum), Rotterdam, Odense, Kopenhagen (Dam), Oslo (Dobloug), Stoccolma (Fahl), Lund (Tornberg), Rio de Janriro (MAC, il Museo d’Arte Contemporanea di Niteròi), Napoli (Amelio, Ist. Cult. Francese, Maschio Angioino, Museo di Capodimonte, Castel dell’Ovo). Nel corso dei decenni Ernesto Tatafiore ci ha abituati ai temi e ai soggetti più svariati: ri-
cordi dell’infanzia, viaggi e peregrinazioni, aerei ed auto veloci, icone e simboli del paesaggio partenopeo sottratti alle stucchevoli rappresentazioni di maniera, metaforiche fanciulle, eroi, pittori e rivoluzionari protagonisti di grandi rivolgimenti storici. Adesso aggiunge ai suoi eroi i protagonisti del Futurismo, inteso come velocità e movimento, acceleratore di progresso della civiltà umana. La genialità creativa del maestro napoletano consiste nell’unire il viaggio nella Storia alle profondità dell’inconscio personale, in un itinerario che intreccia memoria pubblica e privata, avvalendosi dei linguaggi lievi dell’ironia, del gioco, della razionalità come affermazione di libertà e impegno etico. Nella mostra casertana le avanguardie storiche, in una straordinaria rilettura del tramonto delle loro utopie, si imbattono con Robespierre e Masaniello, si avvicinano al Vanvitelli, dialogano con Velasquez e Stalin, incrociano Ulisse, Lenin e Mao, corrono con Nuvolari in questo gioco che Tatafiore definisce “un momento felice dove puoi combinare diversi livelli, ma anche scavare in una realtà più profonda”. Giocare, quindi, diventa un modo di lavorare sull’inconscio dove la coscienza e la sensibilità sono necessarie. Ferdinando Creta GENNAIO-MARZO 2010 | 228
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SANDRO CHIA GNAM, Roma ra da tempo ormai che nel nostro E paese si sentiva la necessità di fare il punto sulla ricerca e la figura di Sandro Chia. Non certo per via di un qualche appannamento della sua fama o a causa di una diminuita presenza sul circuito espositivo ed informazionale, quanto in relazione ad una qualche difficoltà da parte del grande pubblico e , soprattutto, da parte dei più giovani, a stabilire il giusto nesso tra il suo lavoro recente e quello degli esordi transavanguardistici. Esordi sempre più circondati da un alone di leggenda, da una agiografia “in automatico” che come tutte le agiografie nell’era della globalizzazione e della rete tende a far sparire la realtà viva della storia dietro un’icona subito pronta a trasformarsi in “alias”. Va dunque riconosciuto all’istituzione sunnominata il merito della puntualità. Merito al quale va subito aggiunto quello dell’opportunità laddove si prenda in considerazione la strategia di presentazione seguita, in accordo con la volontà dello stesso artista. Detto in altre parole, chi si aspettasse un ‘antologica ordinata per sezioni cronologiche rimarrebbe deluso da un accostamento tra le opere che segue i criteri più vari e non sempre immediatamente intuitivi, ma fornisce di volta in volta al fruitore spunti vivaci e inattesi di approfondimento e confronto, che si avvalgono anche di un interscambio con testi scritti inframezzati tra i dipinti e riproducenti un dialogo a botta e risposta tra Maria Vittoria Marini Clarelli e lo stesso Chia. Dialogo riprodotto anche nel catalogo dove è chiamato a sostituire in maniera inconsueta ma efficace schede e apparati storiografici che nel contesto in questione apparirebbero forse inadeguati e in qualche modo anacronistici. Qualcosa del genere può essere detto anche per la presentazione di Achille Bonito Oliva e la autopresentazione dell’ artista fiorentino. Anche qui un “botta e risposta” questa volta però volutamente deviato in una sorta di gioco di specchi tramite l’espediente di una immaginaria lettera scritta dal critico all’artista e di una risposta di quest’ultimo che ne conferma le asserzioni rilanciandole in una sorta di condensato che potrebbe funzionare come un manifesto tanto più audacemente paradossale se si considera il fatto che proviene da uno dei principali protagonisti di quel ridimensionamento delle ambizioni del Moderno di cui la transavanguardia rappresenta uno dei nodi epocali oramai universalmente accertati ed accettati. Quanto fin qui detto potrebbe essere scambiato per una insistenza al limite del pletorico su questioni che non riguardano direttamente i contenuti della mostra, ma non ci vuole molto ad accorgersi del fatto che tali questioni in realtà già ruotano attorno ad uno dei perni centrali della poetica di Chia: quello della non linearità del tempo dell’opera, della possibilità di invertirlo o svilupparlo a piacere attraverso fughe in avanti, sospensioni del suo scorrimento o affondi nel passato che non comportano rinnegamenti del presente. Un perno quello qui considerato cui si affianca un altro caposaldo dell’agire pittorico del nostro artista, messo in luce ed esaltato dall’esposizione romana, la autonomia linguistica ed autoriflessività di ogni singola opera. Opera che ogni volta contiene in se le indica40 -
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5Sandro Chia, Come in un film [olio su tela - 180 x 185 cm. - courtesy Sandro Chia] 6Sandro Chia, Ossa, cassa, fossa 1978 [olio su tela - 175 x 210 cm. - courtesy Sandro Chia]
zioni necessarie per giungere al “senso” evitando di lasciarsi ingabbiare nella banalità di un significato meramente attuale, ma piuttosto giocando con liberatoria disinvoltura tutte le carte che al concetto stesso di significato possono esser fatte risalire. Venendo alla risposta che l’esposizione in esame si incarica di dare alle difficoltà evidenziate all’inizio di questo scritto, sul piano teorico va segnalato sopprattutto il contributo di Achille Bonito Oliva alla comprensione del rapporto fra la pittura di Chia e la realtà americana. Dopo il suo trasferimento negli USA all’inizio degli anni ’80, stando al critico napoletano, Chia pur avendo perfettamente compreso la necessità di relazionare le sue immagini con l’attitudine a sostituire la quantità alla qualità e il movimento alla contemplazione, propria del pubblico americano avrebbe risposto non piegandosi a mimare forme espressive come il
cinema e il cartoon Disneyano ma incrementando la propria poetica della meraviglia, del tesoro inatteso che la pittura, quando riesce ad essere arte, cioè resistenza alla passività e al dolore del vissuto quotidiano, dona sostanzialmente a se stessa. Sul piano del dettato espositivo va invece segnalata la capacità degli organizzatori nel mettere in risalto e tradurre in realtà esperenziale quanto lo stesso Chia ha acutamente osservato nella sua dichiarazione in catalogo a proposito delle sue prime opere, (dal formato e dalla tecnica assai meno omogeneo che quelle successive) in preziosi incunaboli il cui valore ha ormai acquisito un’esemplare autonomia capace di sorprendere questa volta il loro stesso autore e di incoraggiarlo a sparire da una sorta di dimensione intemporale a proseguire sulla strada intrapresa. Paolo Balmas
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GRANDI MOSTRE
WILLIAM KENTRIDGE Museo di Capodimonte, Napoli poco più di tre anni di distanza dalla A sua ultima apparizione partenopea, essendosi occupato della regia e della scenografia de Il Flauto Magico di Mozart, messo in scena al Teatro San Carlo, nell’ottobre del 2006, lavoro peraltro anticipato da Preparing the Flute, presentato l’anno precedente (2005) nella sede di Napoli di Lia Rumma, William Kentridge torna nella città campana, con la prospettiva di trasformare il sodalizio in “dialogo permanente” (sta lavorando ad alcune ipotesi di interventi monumentali per una stazione della metropolitana del centro), proponendo un progetto, Strade della città (ed altri arazzi), in cui dimostra la volontà di stabilire un non superficiale legame col territorio ospitante, coadiuvato in ciò dall’architetto Fabrizio Tramontano, al quale si deve la paziente ricerca sulla cartografia storica del Regno di Napoli, ma anche di intenderlo come una tappa del suo più ampio itinerario mentale. Gli arazzi D’Avalos, con la loro epica celebrazione della vittoria di Carlo V su Francesco I nella battaglia di Pavia, sono infatti momentaneamente estromessi dal loro immenso salone per lasciare spazio ai ben differenti toni degli arazzi appartenenti alla serie Horse e Nose tapestries ove, sullo sfondo di antiche cartine di Napoli, oltre alle cartine dell’Egitto, della Palestina e di Mosca, si agitano silhouettes debitrici di due classici dell’assurdo come Il Naso (1836) di Nikolaj Gogol’ ed il Don Chisciotte (1601) di Miguel Cervantes, tra i quali il romanzo Tristram Shandy (1759) di Laurence Sterne, ispirando il primo ed ispirandosi al secondo, getta una sorta di ponte. Al Naso attinge a sua volta, in pieno regime staliniano, Dimitrij Shostakovich per la sua opera I am not me, the Horse is not Mine (1930), titolo alludente al modo di dire solitamente usato dai contadini russi per negare qualunque colpa o coinvolgimento che Nikolaj Bucharin, già stretto collaboratore di Lenin, pronuncia durante una seduta del Comitato Centrale del 1937 nel vano tentativo di sottrarsi all’epurazione. Frammenti estratti dalla trascrizione del processo sommario condotto ai danni del rivoluzionario bolscevico si alternano a brani tratti dal racconto di Gogol’ nella conferenza-performance tenuta da Kentridge la stessa sera dell’inaugurazione al museo
ERNESTO JANNINI
MADRE. Naturale continuazione della Porter Series, ugualmente arazzi con fondali di cartine geografiche, ma popolati da silhouettes di personaggi costretti a fuggire ed a migrare, questa nuova serie sembra trasporre il discorso precedente su di un piano di maggiore apertura semantica e respiro metaforico, individuando nell’universo della letteratura, e per di più in quella connotata da marcate implicazioni surreali, piuttosto che in quello della storia, ancorché liberamente evocata, il proprio referente privilegiato. Le sue «figure equestri antieroiche», impegnate «in una crociata senza speranza attraverso la storia», i suoi «cavalieri e cavalli in cerca di una terra promessa, piuttosto che della Terra Promessa» vanno dunque intesi in quanto esito ultimo di un percorso che nei temi della discriminazione e dell’oppressione stori-
che, a lungo esplorati, conformemente alla sua nazionalità sudafricana, in rapporto al fenomeno storico dell’apartheid (e proprio mostrando un ciclo di brevi filmati animati, nei quali l’azione è ambientata nel Sudafrica dell’apartheid e degli anni immediatamente successivi, Kentridge fa il suo esordio da Lia Rumma, e nella stessa Italia, nel 1999), trova costante alimento, ma per tra-
5William Kentridge
Pianta della Città di Napoli (Pianta della Città di Napoli), 2008 [Mohair silk and embroidery 270x360 cm] Edition of 6 / Foto by John Hodgkiss Courtesy Galleria Lia Rumma
6 William Kentridge
Installation view, Museo di Capodimonte
scenderli in una più ampia visione dei grandi temi dell’esistenza umana. Parimenti l’arcaismo visivo dei suoi arazzi e le particolari modalità di sovrapposizione con le quali costruisce la composizione sono, neanche troppo occultamente, legate da un filo rosso al sapore obsolescente delle sue tipiche animazioni condotte con la tecnica del palinsesto. Stefano Taccone
6Ernesto Jannini Progetti di guerra, 2009 [Castel dell’Ovo, Napoli]
Castel dell’Ovo, Napoli distanza di ormai quasi trent’anni A (davvero troppi, specie per una città che dimentica assai repentinamente o, meglio, è ben contenta di non ricordare!) da quell’agosto 1980, quando nella piazzetta antistante al Museo Archeologico tiene la sua ultima performance napoletana, Ernesto Jannini, nato a Napoli nel 1950, ma trasferitosi in Lombardia nel corso dello stesso 1980, stabilendosi prima a Como e poi, dal 1987, a Milano, dove vive tutt’ora, torna a mostrarsi nella sua città natale con l’antologica Equilibridi, a cura di Gabriele Perretta. La mostra, trovando una sorta di prologo, atto a riallacciare il filo con il territorio dal quale originariamente l’artista prende le mosse, nelle fotografie documentanti le8 GENNAIO-MARZO 2010 | 228
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7 operazioni nello spazio pubblico del pri-
mo periodo di attività, condotte inizialmente nell’ambito dell’Humor Power Ambulante, gruppo col quale partecipa giovanissimo alla Quadriennale di Roma del ’75 e, soprattutto, alla Biennale di Venezia del ’76, continua, saltando gran parte del transitorio decennio ’80, con la messa a fuoco dell’ultimo ventennio, la sua fase più significativa, dalla quale si evince (e come potrebbe non essere altrimenti?) uno Jannini profondamente trasformato rispetto all’epoca in cui prende commiato dal contesto partenopeo, eppure ancora preservante, benché in termini non immediatamente evidenti, alcuni tratti sostanziali della sua formazione. La svolta della maturità è databile al 1988, allorché i materiali preponderanti delle sue opere, inizialmente soprattutto installazioni di notevoli dimensioni, più tardi in scala anche assai ridotta, cominciano a divenire cavi elettrici, hardware, microchip ed altri oggetti legati alle tecnologie avanzate, ma integrati qua e là con elementi di matrice differente e, in ogni caso, assemblati con criteri tutt’altro che ortodossi, improntati bensì, secondo Perretta, a quella “filosofia del rotto”, teorizzata da Alfred Sohn-Rethel e riferita dallo stesso filosofo tedesco alla città di Napoli, che Jannini mutua in primis dalle sue precocissime esperienze
GÉRARD GAROUSTE Accademia di Francia, Villa Medici Roma spite d’eccellenza per la prima retroO spettiva italiana delle opere di Gérard Garouste è l’Accademia di Francia a Roma, dove accademismo e ricerca si compendiano con equilibrio da molti anni, sulla sommità di Trinità dei Monti. Nel binomio e nell’alternanza di elementi distinti c’è il richiamo costante al classico e all’istintivo, punti cardinali del lavoro dell’artista francese sin dall’origine del suo esprimersi in arte. Con il titolo della mostra Le Classique et l’Indien si entra in possesso della chiave di un percorso dilatato nel tempo; sin dagli anni 70. Dalla tradizione, dal classico, la presa di tematiche poetiche, mitologiche, religiose
5Ernesto Jannini Equilibridi, 2009 [Castel dell’Ovo, Napoli]
a contatto con Riccardo Dalisi e le sua architettura d’animazione. Sono questi gli strumenti che gli permettono di articolare un interessantissimo e sfaccettato discorso sulla scienza classica d’impronta cartesiana e sulla necessità di trascenderne i limiti raziocinanti per mezzo della strategia dello sconfinamento, ovvero quello stesso movimento che
all’arte, specie la più recente, è assai familiare. Alla luce di tali pensieri va inteso anche il Convegno Convergenze: ArteScienza, organizzato nel 1996 insieme a Giulio Calegari, emblematica figura di artista e, nel contempo, di conservatore della Sezione di Paleontologia del Museo di Storia Naturale di Milano. Stefano Taccone
vengono offerte con forme e composizioni libere, con soggetti anatomicamente bizzarri e astrusi. Cosmogonie vivaci di personaggi dalla cultura polimorfica, rappresentazioni di una società prestante e borghese: i ritratti su commissione sono nella prima sala ad aprire il percorso insieme agli autoritratti fino ad arrivare ai disegni e alle sculture. Nello spazio pittorico figurativo Garouste lavora, ratifica e racconta la valenza comunicativa e semantica del colore sul grande formato, con un teorema che restituisce l’immagine di un’umanità ambivalente con sembianze organico-biomorfiche mutevoli . La memoria pittorica italiana ed europea si salda a fonti illustri: dal rosso porpora del Tintoretto alla forma cromatica più violenta di Bacon; dalle composizioni sghembe di Chagall ai ritratti espressivamente vivaci e verticalizzati di Soutine. Un figurativo non ancorato all’aspetto “retinico” bensì evocante echi profondi di
6Gérard Garouste, Balaam 2005 [olio su tela] Parigi Centre Georges Pompidou
5Gérard Garouste,
Le masque de chien (autoportrait), 2002 [olio su tela] - Patigi, Fonds national d’Art Contemporain
identità umane in conflitto per il raggiungimento dell’atavico equilibrio fra ragione e istinto, sacro e profano. Dalla realtà dell’individuo, della sua vita sociale, affettiva e spirituale c’è l’aggancio per proporre una visione personale dell’uomo, passando per l’interpretazione dei testi classici e teologici con una nuova lettura. E’ forte il racconto di una umanità slegata e divisa. Garouste offre una moderna visione di ciò che nella norma estetica attuale è considerata tradizione artistica; va al fondo delle cose, alle emozioni, nella storia, nella religione cristiana ed ebraica. Da un approccio tradizionale sfonda il tetto dell’insondato, con lo “strumento” della pittura raggiunge l’oceano della modernità, con l’analisi della letteratura dialoga con Dante, Cervantes e Rabelais per far emergere e rendere visibile la profondità delle cose, della cultura dell’uomo. Ilaria Piccioni 42 -
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GRANDI MOSTRE
5Giuseppe Penone,
Galleria Alfonso Artiaco, Napoli
GIUSEPPE PENONE Galleria Alfonso Artiaco, Napoli alle Alpi marittime del 1968 a come Rovesciare gli occhi, autoritratto con lenti a contatto specchianti («Il corpo chiuso, senza vista, è definito nello spazio. E diventa scultura»), o Svolgere la propria pelle (ambedue del 1970), dove la pelle «è limite, confine, realtà di divisione», per giungere, poi, alle Impronte rilevate sulla matita durante l’esecuzione (1975). Da Soffio e Soffio di foglie che hanno accompagnato un grosso periodo della sua produzione (1977-91), al ciclo degli Alberi, cui si dedica sin dal 1969, Giuseppe Penone – nato a Garessio nel 1947 – ha attraversato, in oltre quarant’anni, con eleganza e insistenza, i brani più significativi dell’officina creativa internazionale, diventando, ben presto, uno dei nomi più interessanti e indicativi dell’Arte Povera. La ricerca sui corsi di crescita naturale e sul canone con cui l’artista può catturarli, rappresentarli, variarli, accentuarli o modificarli, il lavoro sull’esterno e sull’interno – sull’aperto e il chiuso, il vuoto e il pieno –, le «polarità secolari del pensiero estetico – l’arte e la natura, la techné e la tuché, l’organico e il geometrico –», che, lo ha suggerito Georges Didi-Huberman, nel lavoro di Penone «si trovano appiattite, o piuttosto sottilmente riallacciate, restituite in realtà alla loro non separazione organica», sono, ora, con una nuova personale organizzata negli spazi della Galleria Alfonso Artiaco, territorio luminoso di un’azione in cui l’artista intreccia naturale ed artificiale per svolgere un discorso legato, questa volta, alla ricercatezza della patina (del tempo che avvolge le cose) e alla delicatezza dell’attesa. Con …TRA…, quarta personale di Penone negli spazi di Artiaco (dopo quelle del 1988, del 1996 e del 2003), è ancora una volta la tecnica – quella della fusione in bronzo, «un’arte antica che affonda le sue radici nella concezione animistica della realtà» – a farsi preambolo felice per raccontare, tra le maglie, appunto, dell’artificiale e quelle del naturale, un mondo in cui wabi e sabi si compenetrano per esprimere una sospensione che dall’estetico approda al metaforico. Pensata appositamente per gli spazi della galleria …TRA… indica una sospensione temporale, un’azione in cui l’artista non solo ripercorre e ridisegna il naturale – un tronco d’albero in bronzo, e «il bronzo è il materiale ideale per fossilizzare il vegetale» –, ma aziona anche un discorso riflessivo legato alla pausa, al diastema, alla sospensione, allo strappo sovratemporale e, nel contempo, ad un mimetismo materico cui fa da contraltare un’analisi del materiale tesa ad evidenziare la necessità di guardare con attenzione la massa scultorea. («La similitudine del bronzo con il vegetale è sorprendente ed ha sicuramente avuto una grande importanza nell’elaborare la tecnica della fusione»). La natura e la sua bellezza metamorfosante, ma anche il passo artificiale che fa della mimesis il proprio centro gravitazionale, sono, così, in questo nuovo lavoro di Penone, viaggio tra la vita dei vegetali che guarda da un’altezza nuova (e cristallizzata) lo scorrere del tempo, l’infinita e costante vanità del tutto. Antonello Tolve
D
CARSTEN NICOLAI Piazza Plebiscito, Napoli ’installazione che anche quest’anno L ha mostrato a napoletani e turisti piazza del Plebiscito in una nuova veste, sarà difficile da dimenticare per due diverse ragioni. La prima: al pari di quella di Jenny Holzer nel 2006, “Pioneer 3” di Carsten Nicolai – originariamente 3 mongolfiere luminose che, ancorate alla piazza vi ondeggiano mosse dal vento e cullate dal sottofondo sonoro delle onde sismiche del Vesuvio – rappresenta senz’altro uno degli spettacoli più belli fra i quindici che si sono susseguiti in piazza nel corso degli anni per volere dell’amministrazione comunale e regionale di Napoli. Come dovrebbe fare ogni intervento chiamato a misurarsi con spazi urbani, ampi e alla portata di tutti, “Pioneer 3” dosa al punto giusto spettacolarità e discrezione. Un’ opera visibile, quindi, e perfettamente calata nel contesto circostante. Anche in questa, come in altre precedenti installazioni al Plebiscito, la luce è un elemento fondante. Inoltre, l’opera non fissa, ma disponibile al movimento, aiuta a catturare l’attenzione del pubblico, che non ha pagato un biglietto ma che, immerso nella sua quotidianità, mentre cammina di corsa, distratto dai suoi pensieri, viene colto di sorpresa dall’intervento artistico. Inseriti nella trama urbana, ecco tre enormi palloni che ondeggiano all’orizzonte. Probabilmente, e qui ripenso al fortunato contributo della Holzer che lasciò scorrere sulle facciate dei palazzi che circondano la piazza le sue storie fatte di luce, solo artisti appartenenti alle ultime generazioni, possono
collocarsi in maniera opportuna nelle città del presente, proponendo segni e simboli che richiamino l’attenzione anche del pubblico meno esperto. L’attenzione sì, ma non per forza anche il rispetto. Ed è qui che spunta il secondo motivo che contraddistingue il destino di “Pioneer 3”, in assoluto la più breve installazione natalizia in piazza del Plebiscito a Napoli. Vandali, o semplicemente “scugnizzi”, hanno infatti visto nei palloni di Nicolai dei bersagli da colpire, per gioco, per scommessa, per contestare un’operazione pubblica che sin dai suoi esordi trova estimatori e critici. Ai tentativi di sabotaggio, che dopo soli 3 giorni causano la disintallazione delle mongolfiere, pare si siano aggiunte le condizioni climatiche. In un luogo “aperto” come piazza del Plebiscito, infatti, la brezza del mare arriva diretta facendo fare quanche oscillazione di troppo ai palloni. Fine della corsa quindi, e fra polemiche e accuse nei confronti del direttore del Madre Eduardo Cicelyn, cocuratore con Mario Codognato dell’iniziativa, per la scarsa capacità di pianificazione di un intervento pubblico e piuttosto costoso, si procede in maniera subitanea a predisporre una diversa opera dello stesso artista tedesco. Stesso il titolo, maggiore la sicurezza, e di certo minore l’appeal delle 3 fumarole, o vulcani che dir si voglia, che hanno preso il posto dei palloni, gettando fumo colorato con in sottofondo le stesse onde sismiche che caratterizzavano il primo intervento. Quella pensata da Carsten Nicolai per piazza del Plebiscito a Napoli è una favola di Natale senza lieto fine. Progettata male, o semplicemente ospite di una città poco rispettosa, o ancora semplicemente sfortunata, resterà sempre uno degli interventi più belli, anche perché incapace di superare la prova di realtà. Fuani Marino
Carsten Nicolai, PionierII, Piazza del Plebiscito Napoli - Installation view [foto Amedeo Benestante]
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ESPAÑA / AMÈRICA LA ABSTRACCIÓN REDEFINIDA
urata da Demetrio Paparoni, la moC stra España/América. La Abstracción redefinida è un confronto tra astrattisti spagnoli e americani affermatisi negli ultimi decenni. L’esposizione – che include opere recenti di Angela de la Cruz, Luis Gordillo, Peter Halley, Jonathan Lasker, Fabian Marcaccio, Jessica Stockholder, Juan Uslé, Daniel Verbis – mette a confronto visioni legate a matrici culturali diverse, ma anche tre generazioni differenti, quella della prima ora (Gordillo, Halley, Lasker), quella di mezzo (Uslé, Marcaccio, Stockholder) e quella più giovane (de la Cruz, Verbis). Non è la prima volta che Paparoni parla di “astrazione ridefinita” nell’analizzare le diverse forme con cui il postmoderno si è manifestato in pittura a partire dai primi anni ottanta, quando Ross Bleckner, negando la contrapposizione tra astrazione e figurazione promulgata negli anni quaranta da Greenberg – e ancora imperante negli anni settanta – ha dipinto contestualmente quadri astratti e quadri figuratitivi. Nello stesso periodo, in Spagna, Luis Gordillo introduceva concetti narrativi nei suoi dipinti astratti.
Galleria Max Estrella, Madrid Al tema dell’Astrazione ridefinita Paparoni ha anche dedicato un libro, pubblicato nel 1994, con una prefazione di Arthur C. Danto. Due anni dopo, ha inoltre scritto un saggio teorico per il catalogo della mostra Nuevas Abstraciones, al Museo Reina Sofia (la mostra era a cura
di Enrique Juncosa). Oltre al testo di Paparoni – in quanto critico europeo che si era maggiormente occupato dell’argomento – il catalogo conteneva un testo di Arthur C. Danto, critico e filosofo americano che ha dato un forte contributo all’analisi dall’astrazione di quegli anni. Paparoni, che ha a lungo lavorato con artisti quali Peter Halley, Sean Scully, Jonathan Lasker, Juan Uslé quando questi erano quasi sconosciuti in Italia, ha peraltro intrattenuto un fitto dialogo su
6Fabian Marcaccio, Untitled 2 - 2009 [pigmented on canvas, acrylic paint,
alkyd and silicone + 137 x 193 x 8 cm.] - Courtesy Galería Max Estrella, Madrid
6Luis Gordillo, Untitled - 2009
[mixed media on paper - 56 x 76 cm.]
5Angela de la Cruz,
Super Clutter XXL, 2006 [oil and acrylic on canvas, 210x142x85 cm]
Photo courtesy Galería Max Estrella, Madrid
6Jessica Stockholder
8204, 2009 [mixed media - 230 x 76 x 64 cm.]
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6Jessica Stockholder
8177, 2009 [mixed media - 229 x 137 x 42 cm.]
questi temi proprio con Arthur Danto, il quale nel suo libro After the End of Art (1997), pubblicato in Italia da Bruno Mondadori nel 2008, con il titolo Dopo la fine dell’arte, scrive tra l’altro: “Ho imparato molto da alcuni autori, in particolare Michael Brenson, Demetrio Paparoni, Joseph Mashech”. Le tappe che precedeono a questa nuova mostra di Madrid sono due grandi esposizioni: Italia/America, l’Astrazione ridefinita, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di San Marino (1993) ed España), a Palazzo sant’Elia di Palermo (2008), entrambe curate da Paparoni, la seconda su incarico del Ministero degli Eteri spagnolo. L’esposizione alla galleria Max Estrella propone artisti già noti. Grande emozione suscitano la presenza quasi inedita in Europa di Jessica Stockholder, i quadri accartocciati o piegati di Angela de La Cruz (spagnola che vive a Londra, dove espone con la Lisson gallery) e del giovane spagnolo Daniel Verbis, la cui opera astratta porta con sé la memoria della Bauhaus e del design modernista. Laura Lodico
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attività espositive
RECENSIONI
5Jonathan Lasker, Reason and Free - 2007 [oil on canvas - 254x190 cm.]
Photo Courtesy Galería Max Estrella, Madrid
5Daniel Verbis, Masticando tus miradas, 2009 [acrylic on canvas, dm and wood - 220 x 185 cm.]
5Juan Uslé, Double Border, 1999-2000, [dispersion, vinilico e pigmento su tela su telaio di legno, cm 112 x 198] - Courtesy Galería Max Estrella, Madrid 4Peter Halley, Untitled 2 - 2005
[mixed media on canvas - 137 x 122 cm. Courtesy Galería Max Estrella, Madrid
6Fabian Marcaccio, Firepaintant
[pigmented on canvas, acrylic paint, alkyd and silicone / 86 x100x12 cm] - Courtesy Galería Max Estrella, Madrid
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COSTAS VAROTSOS Eugenides Foundation, Athens e cose impossibili sembrano essere alL la portata del possibile – l’improbabile sfiora la realtà – ogni qualvolta utopia e realtà vengono considerate come due nozioni in grado di fondersi nella vita di ogni giorno. Tenendo questo pensiero a mente, attraversiamo la mostra ‘Utopia’ di Costas Varotsos alla Fondazione Eugenides – un’organizzazione benefica pubblica dedicata alla promozione dell’istruzione scientifica, che ospita il nuovo Planetarium digitale di Atene, uno dei più grandi e avanzati al mondo. In questo spazio, Varotsos – un artista noto in Grecia e all’estero per i suoi numerosi interventi artistici in situ – tenta una lettura poetica della nostra sfera celeste, presentando una serie di installazioni ispirate sia da ciò che già conosciamo delle leggi dell’Universo sia da ciò che è per noi ancora un mistero. Un viaggio utopico dal cielo verso la Terra, dove materiali naturali e poli di energia si combinano in opere che tentano di descrivere le strutture cosmiche e di sottolineare le leggi che governano l’evoluzione dell’Universo, la loro particolare logica e validità. Spazio e tempo, materia ed energia, ordine e caos sono alcuni dei concetti che i lavori di Varotsos puntano a provare, quali ‘principi’ fondamentali dell’ininterrotta continuità e dell’equilibrio dell’Universo. “Al giorno d’oggi potrebbe essere considerata un’utopia l’essere capaci di sognare il nostro futuro attraverso questi ‘principi’ dell’Universo”, afferma l’artista. “Troviamo duro evolvere”, continua, “siamo prigionieri di ciò che è considerato obiettivamente sano; ciò che sembriamo aver perso, la cosa più importante che stiamo dimenticando oggi è il sogno, il credere l’utopia un valore, una forza portante, una speranza; l’essere costantemente pronti al pensiero che c’è sempre un’altra verità, forse più vera di quella dominante.” Questa non è la prima volta che Varotsos sottolinea attraverso il suo lavoro la necessità di ‘perfezionare’ l’utopia. Tale sforzo è testimoniato, ad esempio, dalla sua installazione di vetro di grossa scala all’aperto sui monti della Morgia, in Abruzzo (1996 -7), dove ha provato che è possibile armonizzare la mano umana con la natura, trovando il modo di ‘guarire’ la vetta della montagna e colmare il ‘vuoto’ lasciato dal bombardamento della II Guerra Mondiale. Usando lastre di vetro sovrapposte per costruire un muro che raggiunge un’altezza di 20 metri, Varotsos non ha presentato solo un’opera, ma una visione per il particolare luogo, realizzata nonostante alcune anticipate difficoltà, col contributo di più di trenta comuni e l’assistenza offerta prontamente dai lavoratori e coltivatori della zona. Ammirando da lontano questo intervento maestoso, si viene catturati dall’immagine ‘utopica’ che ricorda un pezzo di cielo blu e magico incastonato sulla naturale stratificazione della pietra. 6Costas Varotsos, Labyrinth
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5Costas Varotsos, Gate, 2009 [iron and glass - 5,0 x 2,2 mt.] Aegina Island Port, Greece
È ancora una volta la capacità del sogno come forza portante a dare ‘sostanza’ al suo lavoro ‘Paesaggio con Rovine’ a Gibellina (1992). Invitato da Achille Bonito Oliva ed il sindaco della città, Varotsos ha creato una scultura pubblica per la città, che fu distrutta da un terremoto, utilizzando lastre stratificate di pietra, legno e pezzi di ferro trovati fra le rovine della città. La colonna totemica dell’artista greco, nata dalla realtà dell’area, serve la memoria, ma allo stesso tempo si presenta nella forma di un sogno per questa città che è chiamata a raccogliere ciò che le è stato lasciato dal disastro naturale e immaginare un futuro diverso. Il desiderio di andare oltre i limiti può essere considerato una parte integrante della pratica di Varotsos, ma dovrebbe essere sempre ‘letto’ alla luce della sua attenzione continua alla particolare geografia, storia e funzione di ogni spazio interno o esterno nel quale intende intervenire artisticamente. Nel caso della Fondazione Eugenides – dove lo studio della scienza e la cupola del Planetarium offrono l’esperienza straordinaria di viaggiare in mondi resi familiari dalle scoperte scientifiche e in mondi ancora ignoti, pregni della promessa di nuove scoperte e sogni utopici – Varotsos si è lasciato ‘guidare’ dal timore reverenziale che incute la magnificenza dell’Universo – questo ‘cancello’ per il viaggio nell’infinità cosmica che non manca mai di affascinare, costringendo la mente a ponderare le origini di questo mondo, incitando l’immaginazione a prevedere la sua evoluzione nel futuro. Disposti nel pianterreno della fondazione, le installazioni di Varotsos seguono un percorso che parte dall’ingresso e conduce all’atrio. ‘Genesi’, un lavoro creato per la Fondazione Eugenides per commemorare il 2009 come anno internazionale dell’Astronomia, segnando quattrocento anni dall’invenzione del telescopio di Galileo, ha la funzione di pedana di lancio per questo viaggio. Una galassia di pietre di vetro si estende lungo l’ingresso, ‘salutando’ la nascita di due stelle: un fenomeno meraviglioso, un dispiegamento di
energia e forza all’interno di nebulose. Seguendo le caratteristiche morfologiche delle altre ‘creazioni di galassia’ dell’artista [come l’intervento nel Washington Convention Centre, Stati Uniti (2003), l’installazione alla Stazione della Metro Doukissis Plakentias (2004) o quella nell’atrio del Benaki Museum su Pireos st. (2007), entrambe ad Atene, Grecia], ‘Genesi’ non domina lo spazio con una presenza ingombrante, ma è impresso nello spazio grazie al suo volume condiviso uniformemente e il suo netto potere espressivo. 8
6Costas Varotsos, Totem 3
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A seguire, un ‘totem’ di vetro che incombe come un cancello che conduce al cielo stellato, dona allo spazio circostante un’ulteriore aura magica. Procedendo ulteriormente nella fondazione, si incontra un enigmatico labirinto di vetro: l’immagine di nebulose impressa sui suoi muri spinge ad interrogarsi sul mistero del suo centro indiscernibile. Una serie di ‘costellazioni’ – pannelli dai quali emergono rocce di vetro che evocano corpi celesti e fibre vibranti – creano l’impressione di un ‘organismo vivente che respira’ che serve a ricordare la distanza nel tempo che la luce delle stelle deve attraversare prima di arrivare alla Terra; l’’anello di diamante’ di un’eclisse solare totale allude alle trasformazioni della natura e evoca superstizioni antiche ispirate da questo fenomeno; un paio di ‘meteoriti’ di pietra sembrano ancora pulsare di energia. Il ‘vortice’ di pietre che sorge nell’atrio stupisce per la sua sorprendente galleggiabilità; l’equilibrio della sua geometria accurata assicurato da un filo di acciaio teso. Il cielo incanta il visitatore attraverso il panorama rivelato e i suoi aspetti che ancora rimangono inesplorati. Infatti, sebbene la scienza abbia offerto molte risposte alle domande sull’Universo, sono il suo lato oscuro, i suoi poteri inesplorati che forse continuano ad incantare. Lo Spazio era una volta una mera utopia, un set per viaggi che esistono solamente nella finzione; magari conquistato da astronauti per divenire oggi l’ultima ‘esotica’ destinazione per super ricchi. E se c’è una potenziale realtà all’interno di tutte le uto7 pie, ci sarà sempre, in quel cielo senza fi-
5Costas Varotsos, Implosion
ne, la possibilità di un viaggio in un altro mondo, un mondo che promette un futuro diverso. Per questo, non cesserà mai di nutrire i nostri sogni e speranze quando, in tempi difficili, rivolgiamo il nostro sguardo in alto. Secondo Varotsos, questo ultimo gesto è legato ad una memoria riconducibile alla nostra origine sud-mediterranea: “Uno dei miei ricordi di infanzia è quello di persone che sedevano vicino alle alte finestre o all’ingresso delle case neoclassiche per ore alla fine del loro percorso di vita, mostrando di non fare niente altro che fissare il vuoto, o la persona che passava di lì, fino all’ora del crepuscolo. ... essi venivano collettivamente rigettati, descritti come casalinghe curiose.
Solo più tardi avrei compreso che nonostante fossero state etichettate come tali, queste persone non erano là per pettegolare, ma per sognare.” Oggi, quando la società moderna offre il più basso livello di sempre nella scala dei valori e dei sogni ai quali aggrapparsi, l’artista non cessa mai di indicare l’imperativo di un’utopia solida: “Noi abbiamo bisogno di continuare a sognare ancora di viaggi non ancora realizzati, immaginare luoghi mai visitati e posti non ancora esplorati; vite che non sono ancora state vissute. Credere nell’utopia come qualche cosa che ancora può essere realizzata.” Charis Kanellopoulou Storico dell’arte - Curatore della mostra
6Costas Varotsos, Totem 1 [Eugenides Foundation, Athens]
5Costas Varotsos, Anosis
6Costas Varotsos, Totem 2
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NURIT DAVID Givon Art Gallery, Tel Aviv, Israel eppure concepita come un’antologica S dei lavori realizzati negli ultimi due anni, la recente mostra di Nurit David alla galleria Givon di Tel Aviv ruota attorno a due grandi tele (un metro e ottanta per due e venti ciascuna) concepite come una moderna versione di uno dei temi cardine della pittura medievale occidentale: il Trionfo della Morte. Entrambe i quadri – Naples Red e I’m Dancing on your Grave – di impianto figurativo, descrivono uno scenario che fa riferimento alla città di Napoli con il Vesuvio al centro del racconto. Sul piano compositivo le due tele mettono insieme immagini ed elementi formali che trovano precisi riferimenti nella iconografia medievale e rinascimentale italiana ed europea – la Tavola Strozzi, 1472-1473, alcuni motivi figurativi di Goya, certe presenze dipinte da Buonamico Buffalmacco nel suo Trionfo della Morte per il Camposanto di Pisa, e poi i paesaggi di Bruegel, perfino elementi d’architettura partenopea e toscana, come il Castel dell’Ovo e la piazza del Campo di Siena – ma anche nelle culture millenarie del Giappone e della Cina. La mostra è curata da Demetrio Paparoni, che per l’occasione ha scritto un lungo saggio sulla pittrice – tra le più interessanti ed eclettiche della scena israeliana – nel quale mette in evidenza come la visione poetica di David, in modo non dissimile da quella del tedesco Martin Kippenberg, consideri la pittura un’espressione linguistica mobile, svincolata dalla dominante di uno stile costantemente fedele a se stesso. Nurit David si è sempre mossa lungo i territori della storia dell’arte, ad esempio ha dato ai “ritratti di famiglia” del proprio album personale (1994-1998), un’aura di solennità che li avvicina ai temi cristiani della Sacra Famiglia, oppure ha filtrato mediante dominanti cromatiche rosse, azzurre, arancio le sue scene dipinte, infondendo loro un carattere sovrannaturale. Nelle opere dedicate al Trionfo della morte, David torna alle atmosfere notturne della tradizione nordeuropea solcandole di stilemi espressivi tipicamente orientali, come la qualità pittografica della linea, la sua vocazione descrittiva e lirica. Un mo-
BARBARAGURRIERI
GROUP Gall. Francesco Pantaleone, Palermo rima personale del sodalizio artistico barbaragurrieri/group composto da Barbara Gurrieri (Vittoria 1978) ed Emanuele Tumminelli (Vittoria 1977). In mostra nella prima sala della galleria un ciclo di 17 disegni inediti, nella seconda stanza i video della serie Forgotten games project già noti al pubblico poiché presentati non molto tempo fa alla galleria Neo FdV di Milano. In entrambi i lavori, vengono messi in evidenza elementi dell'esitazione conforme alla struttura umana, per riuscire a decifrarne alcuni codici insiti alla stessa. Al centro della ricerca l'individuo, in quanto catalizzatore dell'esperienza di vita.
P
4Barbaragurrieri/group,
Disegno 2009 Courtesy Francesco Pantaleone, Palermo
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5Nurit David, Installation view [Courtesy Givon Art Gallery, Tel Aviv, Israel] 6Nurit David, Installation view [Courtesy Givon Art Gallery, Tel Aviv, Israel]
tivo che trova dichiarata manifestazione nella precedente serie “The Golden Temple”, anch’essa in mostra, ispirata all’opera letteraria The Papillon of the Golden Temple di Yukio Mishima. (Questo ciclo di dipinti è stato esposto dalla galleria Mimmo Scognamiglio nel settembre del 2008, nell’ambito della mostra Surreale 2008). A differenza del carattere cupo, serioso con cui lo scrittore nipponico descrive i
protagonisti del suo racconto, Nurit David infonde le atmosfere dei suoi dipinti di una luce chiara e tersa, di uno spirito giocoso e conciliante, a tratti assurdo e dispettoso, come lo sono le parabole Zen, che a differenza delle grandi narrazioni occidentali non stabiliscono mai una netta contrapposizione tra il bene e il male, tra salvezza e dramma. Ida Parlavecchio
ADELITA HUSNY-BEY
la relazione tra dimensione privata e vissuto collettivo, il potere narrativo delle immagini e la loro capacità di contenere o sviluppare una storia. La sua pratica artistica si viluppa attraverso mezzi espressivi differenti, che spaziano dal disegno alla pittura, dal video alla fotografia, dalla scultura all'installazione, anche se tutte le sue opere tradiscono sempre un approccio e una sensibilità pittorica che rivela la sua spiccata e natirale propensione all'utilizzo di questo linguaggio.
Gall. La Veronica, Modica (Rg) ersonale di Adelita Husni-Bey, nata a P Milano e cresciuta tra l'Italia e la Libia. Nel suo lavoro affronta temi come il rapporto tra storia e biografia personale,
6Adelita Husni-Bey, Deadmouth
Courtesy Galleria La Veronica, Modica (Rg)
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URS LÜTHI ICRAA, Villa Giulia di Verbania MACRO, Roma
ue importanti istituzioni museali itaD liane, il CRAA (Centro di Ricerca per l’Arte Attuale) di Villa Giulia a Verbania e il MACRO (Museo di Arte Contemporanea) di Roma, dedicano ciascuno una mostra personale all’artista svizzero Urs Lüthi, tracciando indirettamente un bilancio della sua pluridecennale attività di “funambolo della contemporaneità”. Eclettico e versatile, Lüthi ha coltivato sin dagli esordi un vivo interesse per tutte le forme d’espressione, senza assumere posizioni aprioristiche nei confronti delle molteplici declinazioni dell’arte e muovendosi con agilità fra pittura, scultura, video-installazioni e Body Art. Dalla fine degli anni Sessanta si è rivolto con-
5Urs Lüthi, Autoritratto a mani vuote
Selfportrait with empty hands (dettaglio), 2009 fotografia.- Courtesy MACRO Roma e l’artista – the artist
vintamente al medium fotografico ricevendo la consacrazione della critica a livello internazionale, grazie soprattutto ai celebri autoritratti seriali improntati sul tema dell’ambiguità sessuale – mostrata attraverso l’ostentazione del corpo, il make up femminile, l’abbigliamento sgargiante e la perturbante gestualità – in cui ha esplorato le sfaccettature più intime e inconsce della propria personalità. L’ambivalenza in quanto tale è il contenuto più creativo e significativo del suo lavoro: in polemica con le “certezze della società” e assumendo esplicitamente atteggiamenti apparentemente contrastanti, Lüthi ha tentato di portare
alla luce gli aspetti più reconditi del suo Io, invitando di conseguenza gli spettatori a mettere in discussione se stessi e a indagare i propri tratti contraddittori. L’artista è recentemente tornato alla ribalta con la serie di lavori presentati a New York nel 2000 e con Therapies for Venezia, acclamato allestimento per il padiglione svizzero della Biennale di Venezia del 2001, insistendo sul significato pubblicitario e commerciale dell’arte e riflettendo ironicamente – servendosi delle proprie pingui fattezze – sulla ricerca della felicità e sulle manie salutiste contemporanee. La mostra itinerante che ha raggiunto Villa Giulia a Verbania, Art is the better life (31 ottobre 2009 - 28 febbraio 2010), è stata realizzata grazie a importanti collaborazioni con il Kunstmuseum di Lucerna, con la Galleria Lelong di Zurigo e con il Kunst Meran di Merano. In una sorta di retrospettiva sui generis, frutto del confronto dialettico fra l’artista e il curatore Andrea Busto, viene presentata la serie di lavori intitolata Trademarks (2006), in cui l’artista ripercorre la sua intera produzione attraverso un’edizione straordinaria di oltre centoquaranta lavori serigrafati, componendo una summa della sua brillante carriera. Il fil rouge iconografico che governa la selezione delle opere esposte è in assoluto il tema introspettivo dell’autoritratto fotografico, spesso realizzato attraverso una forte accentuazione chiaroscurale – come nella migliore tradizione pittorica barocca – e con un’insistita ambivalenza erotica al limite della perversione: I’ll be your mirror, opera del 1972, non è solo una precoce manifestazione dell’indeterminazione sessuale dell’autore, ma soprattutto una dichiarazione esplicita della volontà di coinvolgere il pubblico in un processo di “smascheramento” della propria celata individualità. La poetica di Lüthi è sempre sottilmente provocatoria e unisce una spiccata ironia a una coerente ricerca estetico-formale estremamente controllata: presentandosi di volta in volta in posture inusitate e anticanoniche, l’artista esalta il proprio corpo nelle progressive trasformazioni fisiologiche, assimilandolo alle sculture “a tutto tondo” della serie Spazio umano e facendolo così assurgere – come già in passato – al rango di opera d’arte universale. Per il MACRO, invece, Lüthi ha ideato e sviluppato un progetto speciale in cui le opere, il museo e la città di Roma sono coinvolte tout-court in una visione olistica che abbraccia il senso del tempo, le tematiche del viaggio, della partenza e
6L’universo intellettuale di Urs Lüthi, autoreferenzialità, ambiguità e introspezione Installation view - Courtesy ICRAA, Villa Giulia di Verbania
5Urs Lüthi, Autoritratto a mani vuote
Selfportrait with empty hands (dettaglio), 2009 fotografia. Courtesy l’artista – the artist
del riapparire. Dopo l’assegnazione del premio “Arnold Bode” conferitogli da Documenta di Kassel, la mostra a cura di Luca Massimo Barbero ed Elena Forin (17 Dicembre 2009 - 5 aprile 2010) è per Lüthi un rinnovato invito a riflettere sulle questioni che da sempre hanno connotato la sua ricerca, secondo una prospetti-
5Urs Lüthi, Emigrant,
dalla serie “Art is the better life”, 2008 c-print. Courtesy l’artista – the artist
va originale e inedita: Just another story about leaving, titolo sostanzialmente intraducibile che richiama simbolicamente l’idea dell’allontanamento, è infatti un progetto multiforme che comprende sia un allestimento concepito appositamente per le sale del percorso espositivo, sia una sorta di pellegrinaggio effettuato dall’artista lungo le diverse stratificazioni storiche della “città eterna”. Lüthi ha infatti selezionato gli angoli più rappresentativi dell’Urbe in cui far incontrare il presente e la storia, elaborando un itinerario di postazioni per collocarvi una serie di lavori fotografici nei quali l’autoreferenzialità dell’artista – nuovamente protagonista indiscusso degli scatti – si combina con la suggestiva evidenza storica delle locations archeologiche e urbanistiche: Just another Sculpture for Roma è pertanto un “progetto nel progetto” che vede alternativamente un curioso autoritratto scultoreo dell’artista in veste di papa nonché l’artista stesso “in carne ed ossa” nelle consuete pose inconvenzionali, reinterpretare la classicità in un dialogo privilegiato con i luoghi cult del vivere quotidiano. Luca Morosi GENNAIO-MARZO 2010 | 228
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CHARLES MOODY Corsoveneziaotto, Milano orsoveneziaotto ha proposto la perC sonale di Charles Moody (1979, Massachusetts, USA) a cura di Gianni Romano, con trenta dipinti di piccole dimensioni e tre di medio formato. Il ciclo “Borderland”, che dà anche il titolo all’esposizione, testimonia una grande vivacità tecnica accompagnata da un assoluto onnivorismo dei soggetti che, tratti da frames video oppure da rotocalchi, rendono misterioso il significato del quadro. Primissimi piani, corpi nudi, letti d’ospedale, acrobati e scene qualsiasi accomunate dalla stessa voracità d’immagini che contraddistingue la nostra epoca. Dipinte su tavola, le figure acquistano una particolare luminosità nonostante l’artista viri le tonalità me-
5Charles Moody, Untitled, 2009
[olio su tavola, cm 23x30] Courtesy Corsoveneziaotto, Milano
diante un ipotetico filtro che risalta le tinte verdastre. La sensazione di vedere le immagini dissolversi in un acquario contribuisce ad incrementare il ca-
rattere aereo e onirico delle atmosfere. L’ambiguità della dissoluzione figurativa in alcune opere si concentra a tal punto da sfiorare l’astrazione: la dilatazione del tempo percettivo è l’elemento su cui fa leva l’intero ciclo portando lo spettatore ad indugiare sui particolari che, da insignificanti, possono risolvere il senso della visione. Lo stordimento provocato da “Bordeland” accresce nei formati più grandi dove le immagini si dilatano ulteriormente rendendo difficile l’immediata interpretazione, nonostante stimolino nello spettatore il ricordo di una scena già vissuta. Gabriele Francesco Sassone
ZHANG HUAN, MALCOM MCLAREN, MILTON MANETAS Galleria Pack, Milano re grandi personalità alquanto eclettiT che del panorama artistico contemporaneo sono state riunite da Galleria Pack, in una mostra dove il protagonista è il l’eloquenza espressiva. Huan, Mc Laren e Manetas sono accomuntati da forza e potenza comunicativa che scaturiscono da opere realizzate in codici diversi, perché diverso è il loro metodo di osservazione e orientamento verso il proprio vissuto. Zhang Huan è uno degli artisti più innovativi della Cina contemporanea. Negli anni 90 ha portato all’attenzione internazionale la nascente scena artistica cinese, in forza di coraggiose performance mediante la quali egli tutt’ora continua il suo tragitto attraverso la tragicità della condizio-
6Malcom McLaren
[courtesy Galleria Pack Milano]
MARIO NIGRO Galleria Peccolo, Livorno na succinta retrospettiva è stata deU dicata a Mario Nigro con trenta opere su carta datate 1950-1991. E' stato un felice ritorno alla Galleria Peccolo di Livorno dopo l'Antologica che gli fu dedicata nel lontano 1972 e la mostra della serie "Lettere d'un raro Amore" del 1974. Mario Nigro era nato a Pistoia nel 1917 ed è deceduto a Livorno nel 1992. Ha vissuto a Livorno fino al 1958 dove iniziò a dipingere. Nel 1949, dopo esperienze 50 -
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ne umana. L’opera presentata per l’occasione è “Family Tree”, che incarna perfettamente la poetica dell’artista, il cui volto, nell’arco di un’intera giornata, diviene una tela sulla quale si moltiplicano ideogrammi cinesi che arrivano a ricoprire totalmente il viso in un nero monocromatico. In mostra sono presenti alcuni recenti video di Malcom McLaren, più noto per aver lanciato la storica band dei “Sex Pistols”. Assieme alla moglie Vivienne Westwood lanciò la moda Punk, utilizzando materiali come cuoio, gomma, spille, ossa di pollo, portando una vera e propria rivoluzione di costume. Fu poi la Westwood a portare avanti le idee più innovative, mentre McLaren si definì più come manager della band. Personalità poliedrica, ha sperimentato e ironicamente scandalizzato con le sue graffianti dichiarazioni “ Qualsiasi dichiarazione attorno all’arte oggi, in Occidente, non può prescindere da due concetti fondamentali:autenticità e Karaoke :essi definiscono perfettamente l’oggi come lo viviamo quotidianamente. Il mondo in cui viviamo non è più un mondo reale, ma un mondo-karaoke, quasi finto, che porta per contrasto dentro di sé un inesauribile desiderio di autenticità. I grandi magazzini hanno sostituito le chiese come luogo nel quale si prende coscienza di sé.” A chiudere la rassegna una serie di dipinti esposti nella recente mostra “Unconditional Love” di Milton Ma-
neo-cubiste e astratto-geometrico, aderisce al gruppo M.A.C.esponendo nella celebre Libreria Salto di MIlano. Dal 1958 si era trasferito a Milano, dove ha vissuto tutta la carriera artistica. I suoi quadri sono stati esposti nelle più prestigiose rassegne artistiche contemporanee nazionali e internazionali e in molti Musei in Italia e in Europa. Lo studio della linea e la costruzione geometrica dello spazio sulla superficie del quadro sono state di importanza fondamentale e una costante in tutto il suo lavoro. Questo era Mario Nigro,
Senza titolo 1955 [courtesy Gall. Peccolo]
5Zhang Huang
[courtesy Galleria Pack Milano]
netas presenti all’ultima Biennale di Venezia. L’artista fa del web e di internet il proprio territorio di interesse, tanto da essere riuscito a esporre a Venezia un intero padiglione dedicato all’universo digitale: The Internet Papillon. Internet non è definito da confini fisici o geografici, da nazionalità o da una lingua. La rete è in continuo sviluppo, sta allargando le proprie potenzialità a un ritmo incontrollabile che trasforma inesorabilmente il modo in cui comunichiamo e in cui ci comportiamo. Non a caso le opere dell’artista rappresentano tastiere, joystick, cavi, monitor, inquadrati in ambienti scarni e desolati, nei quali non viene mai palesato il gioco in cui sono immersi i personaggi. Rebecca Delmenico
già evidente nella serie delle opere più famose degli anni '50-60, dello Spazio Totale e poi nei ' 70 con Tempo Totale. Serie cui seguirono poi negli anni ' 80 quelle sul Terremoto e sulle linee orizzontali spezzate, fino agli ultimi esiti nei quadri come Le Orme, o nei Satanici . Un'altra costante della sua vita è stato l'appassionato e contrastato rapporto che ha avuto con la sua città di formazione: Livorno e il mare. La casa editrice milanese Skira ha edito di recente il catalogo ragionato delle sue opere a cura di Germano Celant. La mostra di Livorno si è avvalsa di un piccolo catalogo delle Edizioni Peccolo in cui sono state riprodotte le opere della mostra, con uno scritto di Federico Sardella. (L.S.)
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THOMAS BAYRLE Cardi Black Box, Milano a galleria Cardi Black Box è alla sua L quinta mostra dall’apertura, e non ha deluso le aspettative degli addetti al settore proponendo artisti di grande spessore, e ora tocca a Thomas Bayrle. Personaggio storico, considerato uno dei pionieri della Pop-Art e dell’arte cinetica, egli tuttavia sviluppa un percorso del tutto innovativo, che riflette sul tema dell’iconografia del consumismo, inserendosi nelle pieghe di una società succube del prodotto di massa. Dice lo stesso Bayrle “A 18 anni iniziai a lavorare in una fabbrica tessile, per tre anni. Questa esperienza ha influenzato molto la mia vita e la mia visione della società”. Il progetto presso Cardi Black Box propone la replica della mostra che Bayrle tenne nel 1968 negli spazi della galleria Apollinaire. Una decisione che denota una comunicazione molto forte; a tutti gli effetti la mostra presso la galleria Apollinaire non è stata solamente un momento fondamentale nella carriera di Bayrle, ma ha certificato il temperamento rivoluzionario e originale del suo lavoro. L'esposizione offre una panoramica della prassi dell'artista tedesco, che iniziò il suo lavoro in un momento storico, la fine degli anni sessanta, che rappresentarono una circostanza storica, politica e so-
diale era arrivato alla sua fine, ed il bisogno di revisionare completamente le basi ideologiche e struttura di gerarchie esistenti era divenuto urgente per una generazione che ha sentito il bisogno di scrivere la storia in altri termini, e creare alleanze culturali diverse da quelli di generazioni precedenti. L'atmosfera generata dalla presenza americana in Germania, la crisi nel Medio Oriente e la guerra. Analizzate in profondità, le opere di Bayrle vanno ben oltre la Pop art o l’arte cinetica; ovviamente i tratti comuni sono riconoscibili, ma egli è riuscito a sovvertirne le tracce, conquistando il prodotto di massa e l’immaginario a esso legato consacrandogli una dimensione politica e sociale. Bayrle usa il prodotto di massa, mettendo in discussione al tempo stesso 5Thomas Bayrle [courtesy Cardi Black Box, Milano] il modo in cui questo viene creato, messo al mondo, mitizzato. Una lettura della relazione tra ciale nella storia dell'Europa contempola cultura pop e la cultura elitaria, in un ranea. momento e in un contesto in cui la moUn tempo distinto dal bisogno di creare dernità vede la possibilità di fare inconuna nuova identità culturale e una nuova trare questi due mondi. sensibilità estetica.Il miracolo economiRebecca Delmenico co che segue la Seconda Guerra Mon-
PAOLO CHIASERA Gall. Francesca Minini, Milano orse, o per meglio dire molto spesF so, in arte è più importante la progettualità della creazione, il suo farsi opera, il flusso indefinito che cerca forma nello stadio conclusivo, ultima fase che in ogni caso rigetta il giusto e lo sbagliato come categorie distinte, abitando, la pratica artistica, nel territorio del potenziale. Lo stesso non si può certo dire per la scienza. Impossibile presentare all’ufficio brevetti un’idea che si è rivelata fallimentare, un’idea che non si è concretizzata in alcun prototipo funzionante, ma è rimasta concetto, pura tentatività. Tale macro territorio di confine, tra arte e scienza, è attraversato da Paolo Chiasera con il suo ultimo progetto Hybris (2009). Il titolo proviene direttamente dalla Poetica di Aristotele. Rischiando una traduzione tanto brutale quanto approssimativa, il vocabolo potrebbe esser traducibile con arroganza, tracotanza o semplicemente superbia. L’autore è come
5Paolo Chiasera, Hybris, 2009
[olio su tela, 30 X 30cm] Courtesy Francesca Minini, Milano
se avanzasse un giudizio pur imparziale nei confronti del matematico Charles Babbage, pioniere dell’informatica giunto sino a noi sostanzialmente per i suoi fallimenti. Il tutto nasce da un prototipo in particolare: il calcolatore programmabile, sostanzialmente il trisavolo del moderno computer. Da qui Chiasera inizia un’analisi poetica più che scientifica, imprevedibile più che lineare. La macchina stessa, riprodotta 6Paolo Chiasera, Hybris, 2009 in maniera del tutto fe[veduta dell'allestimento] Courtesy Francesca Minini, Milano dele dall’artista, si trasforma da contenitore di dati a contenitore di suoni, divenendo una cassa di risonanza per le melodie composte da Andrea Portera ed eseguite dal pianista Andrea Lucchesini. Tal elemento pur da ritenersi principe dell’esposizione ne è semplicemente un frammento tra gli altri, allestimento che, peraltro, non permettendo di esser visibile da un unico
punto d’osservazione, ricalca l’andamento frammentario, a tentoni di cui parlavamo poco fa. Andamento che non si arresta di fronte ad errori di percorso, bensì le ingloba mutando il ritmo dell’incedere. La serie di opere su carta, Hybris (2009) abbandona così l’identità di disegni progettuali, acquistando una piacevolezza grafica di chiaroscuri. La Misura dell’errore (2009), allora, non fornisce alcuna soluzione proprio com’è difficile comprendere l’identità del personaggio ritratto a olio nella seconda sala: un volto sfuggente, ottenuto da una sorta di sovrapposizione tra i ritratti di Robert Peel e di Lady Lovelace, i due sostenitori del progetto di Babbage. Chiasera coglie tutto il lato squisitamente prometeico di ogni pioniere, non importa a quale ambito di ricerca esso appartenga. Nicola Cecchelli
5Paolo Chiasera, Hybris, 2009
[veduta dell'allestimento] Courtesy Francesca Minini, Milano
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5Jorge Macchi, Rendez-vous, 2009 [wardrobe, mirror | armadio, specchio - 282 x 293 x 300 cm] Courtesy Galleria Continua, San Gimignano / Beijing / Le Moulin - Photo by Ela Bialkowska
MONA HATOUM, JORGE MACCHI, MARGHERITA MORGANTIN Galleria Continua, San Gimignano a personalità di Mona Hatoum L (1952) ricopre un ruolo di primo piano nel contesto del recupero dell’attualità dei mezzi e delle forme minimaliste e concettuali che si verifica a partire dalla fine degli anni Ottanta in contrapposizione al clima dominante di un decennio passato alla storia come la più grande
5Margherita Morgantin, Untitled, 2009
installazione | installation struttura in legno, salvagenti wood structure, lifejackets 220 x 220 x 220 cm Courtesy Galleria Continua, S. Gimignano Beijing / Le Moulin Photo by Ela Bialkowska
cesura sul cammino dello sperimentalismo linguistico tipico del secolo scorso. Più specificamente ella, in parallelo cronologico con la più giovane connazionale Rachel Witheread e beneficiando probabilmente entrambe della ricezione ritardata che il Minimalismo conosce in Inghilterra, riprende il filo delle ricerche alla Eva Hesse e di altre artiste meno note (Ree Morton, Dorothea Rockburne, Jakie Ferrara, Jakie Winsor…), fondate sulla sovversione della grammatica minimalista dalla quale pure prendono le mosse, per attestarsi su una modalità sempre al limite tra letterale e metaforico. Se infatti la sua origine di figlia di palestinesi nata a Beirut, ma bloccata a Londra con 52 -
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lo scoppio della guerra civile libanese nel 1975, costituisce un sottofondo costante per tutta la sua opera, tale passato traumatico non è mai all’origine di un discorso troppo esplicitamente politico, ma di un linguaggio teso ad evocare piuttosto sensazioni non associabili a fatti e luoghi ben definiti. Una inquietante percezione di pericolo imminente, senza che, conformemente con la sua poetica, l’entità di esso possa mai essere nitidamente focalizzata, ma solo tutt’al più supposta, pervade così l’intero percorso di Undercurrent (red), progetto espositivo il cui titolo è mutuato dall’installazione al centro della platea, come sempre l’intervento di maggiore respiro ed impatto, che, adottando la sua tipica disposizione ad elementi concentrici, consiste in un quadrato centrale dal quale si diparte una miriade di cavi elettrici terminanti con lampadine in costante ma regolare e sincronizzato mutamento di intensità. Una soluzione che, insieme alle due pantagrueliche quanto inquietanti grattugie del palco, rispettivamente allusive ad un surreale paravento ed ad una poco confortevole brandina, al curioso tappeto-planisfero, ove improbabili “tarli intelligenti” sembrano aver rosicchiato la superficie in maniera tale da comporre una sorprendentemente fedele mappa della Terra, o agli ambi6Mona Hatoum, Undercurrent (red), 2008
gui sferoidi in vetri piacevolmente policromi, provvisti di un titolo che, evocativo dei dipinti di fiori e frutti della tradizione pittorica occidentale, cortocircuita con il reale riferimento delle loro forme, bombe a mano apportatrici di morte, contribuisce a creare quella generale impressione di minaccia e spaesamento che connota tante situazioni sociali ed esistenziali, benché nessuna in particolare, lasciando alla fantasia ed alla sensibilità dello spettatore una enorme libertà associativa. Meno imponente e più a misura umana della Hatum, nonché maggiormente orientato sul polo della non referenzialità si dimostra Jorge Macchi (1963), nato Buenos Aires e tutt’ora ivi residente, ma ampiamente imbevuto di cultura europea. In lui l’effetto di straniamento non agisce, come per l’artista anglo-palestinese, su di un raffinato piano subliminale, ma deriva dal coefficiente empatico delle sue ardite destabilizzazioni e deformazioni, talvolta venate di umorismo nero. È il caso di Rendez vous, da cui trae il titolo l’intera personale, un vecchio armadio di legno adagiato lateralmente ed in senso obliquo sullo specchio al termine della prima rampa di scale, nell’atto di discendere le quali lo spettatore lo scorge per la prima volta ricavandone un’ulteriore percezione di vertigine, ma solo in seguito ad una più attenta ricognizione si avvede del carattere mutilo del mobile, occultato dal raddoppiamento speculare. E qui palesa con particolare eloquenza il suo progetto, la grande utopia di tanta arte passata e presente, di riplasmare il reale secondo le più flessibili leggi dell’immaginazione, di proiettare su quanto è più o meno quotidiano il suo estro visionario, di tramutare, come nel Surrealismo più letterario, la durezza in morbidezza e la pesantezza in leggerezza. Se Rebecca Horn, conferendo movimento ai suoi oggetti tramite mezzi tecnologici, li fa apparire quasi animati, Macchi riesce talvolta a darci l’impressione che essi vivano autonomamente davanti ai nostri occhi senza violare la loro assoluta staticità. Più che concepire l’arte come il catalizzatore del proprio immaginario, alla stregua appunto di Macchi, Margherita Morgantin tende a disseminare il suo discorso di pause e silenzi affinché rimanga allo spettatore stesso il compito di colmarli, determinando una moltiplicazione delle possibilità di esegesi. Una caratteristica che l’avvicina piuttosto alle strategie di sollecitazione psico-emotiva che osserviamo nella Hatoum. Il mo-8
[cavo elettrico rivestito, lampadine, variatore d’intensità, Ø 10 m] Courtesy Galleria Continua, San Gimignano / Beijing / Le Moulin - Photo by Ela Bialkowska
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attività espositive
RECENSIONI
7 numentale solido geometrico costituito
da decine e decine di pile di salvagenti arancioni, che, nota l’artista veneziana, rimandando «alla forma di un corpo e insieme alla sua assenza, smentiscono la geometria pura del cubo», riflette su di una condizione esistenziale, forse più collettiva che individuale, ma rifugge ad ogni lettura monosemica. Ricondurlo alla questione, così prepotentemente ricorrente nelle cronache di questi ultimi mesi, dei naufragi a largo di Lampedusa, tentazione che peraltro è facile si manifesti, non può dirsi propriamente un’operazione errata, ma la Morgantin tiene 6Mona Hatoum, Paravent, 2008
[acciaio patinato nero black finished steel 215 x 302 x 5 cm Courtesy Galleria Continua, San Gimignano Beijing / Le Moulin Photo by Ela Bialkowska
5Jorge Macchi, Mapa, 2009
[acciaio, tavolo di legno, 10 x 14 x 86 cm] Courtesy Galleria Continua, San Gimignano Beijing / Le Moulin - Photo by Ela Bialkowska
MASSIMO BARTOLINI Magazzino d’Arte Moderna, Roma ersonale di Massimo Bartolini sul tema “Three quarter-tone pieces”, il cui originale allestimento è costituito da un armadio, una cassapanca ed un pensile da cucina, trasformati in bassi da organi. La composizione dei mobili e la loro forma geometrica è rotta dalle aperture del-
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sempre a preservare un certo grado di apertura e la scelta di lasciare senza titolo l’installazione sembra confermare il suo proposito di non fornire troppo vincolanti chiavi interpretative. Il medesimo atteggiamento è individuabile nel video Air Drawing che, confermando la sua inclinazione all’indagine degli elementi atmosferici in stretta relazione con il mondo della psiche, deriva dall’accostamento di tutta una serie di sequenze desunte da rilevamenti termografici in grado di
visualizzare gli effetti del vento sul terreno. Dal vario combinarsi delle bianche correnti calde e delle nere correnti fredde scaturisce così una sorta di monocromo in leggera ma costante metamorfosi. Se tra moti eolici, protagonisti anche dell’inedita installazione collocata nel giardino della galleria, e moti interiori è avanzato un rapporto di prossimità, creazione artistica e ricerca scientifica paiono parimenti trovare un punto d’incontro. Stefano Taccone
le canne e dal suono che anima la forma stessa. Ognuno dei tre mobili è manomesso e modificato in organo a tre canne accordate a _ di tono l'una dall'altra. I tre mobili/organo suonano contemporaneamente formando un accordo ove le armonie non sono usuali e le risonanze si intrecciano imprevedibili. Questo iter creativo di Bartolini è diretto allo studio della percezione e delle modalità secondo cui si svolge il rapporto tra l'uomo e l'ambiente che lo circonda. Per questo i suoi lavori, siano essi installazioni, video
o fotografie, tendono sempre a coinvolgere lo spettatore in una esperienza fenomenologica completa. In questa personale il senso più sollecitato è l'udito; l'intero motivo ispiratore dei lavori in mostra è infatti l'interesse di Bartolini per la musica e per il rapporto tra lo spazio, il suono e lo spettatore. In mostra anche tre piccoli dipinti monocromi della serie Dew e il lavoro Ouverture per Pietro, un dispositivo che produce luce e suono dedicato a Pietro Riparbelli con cui l'artista collabora n
6Massimo Bartolini, Three quarter- tone pieces 2009 [legno ed elettroventilatori in dimensioni variabili] Courtesy of Magazzino, Roma
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Galleria dello Scudo, Verona
Gianni DessĂŹ Tutto in un fiato di Veronica Caciolli foto di Claudio Abate
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artisti in copertina GIANNI DESSÌ
er questa sua nuova personale a Verona, Gianni Dessì propone un percorso site-specific per lo spazio. Caratteristica della sua più recente produzione, in luogo della pura mostra di opere, è la predisposizione di un itinerario, in modo che il visitatore più che analizzare le singolarità esposte, possa percorrere fisicamente un luogo per tappe. Essendo costretti poi a ritornare sui nostri passi, più che porci ancora come fruitori passivi, possiamo compiere un’esperienza da molteplici punti di vista. Si ha così l’impressione di attraversare una scenografia, sia materiale che mentale, dove ritroviamo l’eco degli studi di Dessì con Toti Scialoja negli anni dell’Accademia, seguiti dai suoi primi interventi sullo spazio, e dalla sua successiva attività di scenografo. Ogni oggetto del percorso si sviluppa continuamente e chiaramente su due piani: tra la scultura e la pittura,
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Gianni Dessì, Confini 2, 2009 Tempera e smalto su gesso e legno, dimensioni ambiente.
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Gianni DessĂŹ, in alto, scorcio delle sale in cui sono allestiti Confini 1, Confini 2 e Confini 3; in basso e nella pagina a fianco, Confini 1, 2009, ferro, fibra di agave, legno e resina, 230 x 120 x 75 cm.
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artisti in copertina GIANNI DESSĂ&#x152;
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Gianni Dessì, in alto, Confini 3, 2009, ferro, fibra di agave, legno e resina, 265 x 340 x 263 cm.
tra la materia e l’astrattismo, tra il reale e il simbolico, tra il fisico e lo spirituale e tra leggerezza e pesantezza. Una serie di sculture dall’aspetto non finito in cui sono ancora visibili le trame del ferro e della fibra di agave, danno forma a frammenti corporali ingigantiti, come una coppia di piedi e una mano, chiamati metaforicamente confini, limiti tra l’essere e il contesto, ovvero protesi del pensiero e dell’agire. La mente è il fulcro dell’allestimento, da cui dipendono esternamente le appendici umane, ed è rappresentata da una camera picta: luogo raccolto dell’intuizione, è metafora della visione, racchiusa nella scatola cranica e in una stanza, attraversata da linee ellissoidali dipinte, che si intersecano in un cubo centrale. Lo spettatore ha modo di intravedere l’interno della camera picta da una fessura esterna ma può anche percorrerla fisicamente dall’interno, così che gli siano svelati i meccanismi della comunicazione e della produzione intellettuale, resa esplicita dalla rappresentazione visiva della naturale coreografia cerebrale di immagini. Dessì, più che fornire un sistema filosofico, mostra ciò che può anticipare o simbolizzare l’essere al mondo. Affiancate alle sculture infatti, apparentemente pesanti, materiche e figurative, dipinge forme geometriche e astratte, spesso circolari, che si pongono come punti di fuga prospettici immaginari, oppure, come possibilità di vedere le cose da lontano e da un altro pun58 -
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to di vista, cubista e stereoscopico, sintetizzandone la relatività. Queste giustapposizioni, possono porsi come la traduzione letterale di due realtà conviventi nella visione umanistica di Dessì, una esterna e l’altra immanente, una visibile e l’altra invisibile. Anche nello sdoppiamento del proprio sguardo, Dessì riflette ulteriormente sulla condizione artistica, ritraendosi mentre gonfia un palloncino “tutto d’un fiato”, che è azione inutile e ludica per la società ma che parallelamente è traccia del soffio, del pneuma, che anticamente costituiva l’anima. Un’ulteriore riflessione sul meccanismo della visione (che in greco antico corrisponde alla conoscenza), è sviluppata nella scultura Trama a vista che chiude questo diario interiore, con un suo ulteriore autoritratto in cui al posto degli occhi pone un reticolo, una retìna che potrebbe porsi come metafora linguistica della rètina, speculando sulla im/possibilità di cogliere intimamente la realtà. La sua nonchalance estetica e stilistica, a favore di una ricerca tutta focalizzata sul ritorno del puro significato, fa di questo, un artista pienamente post-moderno. Lóránd Hegyi, curatore della mostra, l’ha puntualmente definita “malinconica e sublime”. Un sublime possibile e rilevante per i nostri tempi, “che nella malinconia dell’intellettuale, artista e pensatore, Gianni Dessì si trasforma nelle sue inconfondibili, emozionanti e poetiche metafore”. n
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artisti in copertina GIANNI DESSÌ
“…… Come ogni nuova mostra, anche questa offre sorprese e novità, incontri inattesi e aspetti inediti di una produzione ben nota. Ciononostante, fin dai primi passi di questo viaggio, si avverte una strana sensazione, si percepisce la presenza di qualcosa d’altro, qualcosa – lo direi subito – di sublime. Questa forte, immediata, evidente presenza del sublime conferisce a questa mostra un valore di importanza, di essenzialità, di sostanzialità in cui la poetica enigmaticità e la drammaturgia degli effetti di procrastinazione permanente, della sovversiva frammentarietà e dei discorsi indiretti non genera in alcun modo una monumentale solennità dell’essenziale ma piuttosto una profondità e una silenziosa e sistematica interiorizzazione dell’incontro con le opere. “ Lóránd Hegyi “Luoghi della malinconia, o la rivelazione del sublime Osservazioni sulla ricerca della metafora in Gianni Dessì” dal catalogo della mostra alla Galleria dello Scudo di Verona.
A sinistra, In piedi, 2007, ferro, fibra di agave, legno e resina, 241 x 95 x 77 cm, a destra, Intreccio, 2007, ferro, fibra di agave, legno e resina, 218 x 105 x 75 cm
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CARLO SCHIRINZI Museo Nuova Era, Bari na metaforica “dissolvenza incroU ciata” struttura la grande proiezione doppia e circolare con cui Carlo Schi-
5Iginio Iurilli, Ultima cena, 2009
[pigmento su 20 piatti in terracotta su tavolo, cm. 26x36 cad.]
IGINIO IURILLI
ex-carceri “Carlo Fontana”, Roma
ragmenta Maris” la mostra di Igi“F nio Iurilli invade lo spazio delle ex carceri romane “Carlo Fontana” con giganteschi esemplari di fauna marina: ricci, mitili, alghe, funghi, conchiglie, meduse, amebe, scolpite in legno e spolverate con polvere di marmo o dipinte a tempera. Fanno eccezione alcune recenti sculture che riprendono in vetroresina forme al limite tra il vegetale e l’organico, in cui il petalo, la flora e la pieghe del corpo umano si confondono e si avvolgono in sinuose curve che riportano l’uno e l’altro all’origine remota, dalla medesima materia composta di energia cosmica. Le forme ambigue si colorano di rosso, viola, giallo, blu, rosa-lilla, eleggendo la sensualità kitsch a loro emblema. I titoli “ una cotta per la nera”, “una cotta per la rossa” sollecitano tali scivolamenti di senso, introducendo nell’opera una forte verve ludica. Un’aria da the day after promana dall’installazione “io e il tempo” una struttura ellittica che mostra la deriva della materia nel precipitare delle ere. Così come sulla superficie nera dei pannelli “Mar Morto” si depositano i detriti di una vita secolare votata all’estinzione. Coerente alla sua vocazione di archivista del mondo che scompare Iurilli, fin dagli Anni Settanta, dopo aver conservato sulle sue tele detriti naturali e aver replicato gesti e tradizioni della cultura popolare, dagli anni Novanta costruisce i pezzi di un natura inesistente che echeggiano nella loro opulenza, la nostalgia del Paradiso Perduto. La mostra si sviluppa, cella dopo cella, negli ambienti di san Michele a Ripa, alternando momenti di gioia estatica nella esibizione di una natura rigogliosa. L‘acme è nella installazione bianca in cui un riccio da candore estremo emerge dalla coltre di sale che ricopre il pavimento. L’andirivieni dell’artista tra natura e artificio, la sua bipolarità tesa tra gioco e mito, la sfida che ingaggia con la “Creazione” con forti echi d’ispirazione mediterranea, l’inventiva nell’uso di tecniche sempre nuove, la grossa padronanza nella manipolazione dei materiali, la felicità febbrile del fare, ne fanno un degli eredi più diretti di Pino Pascali, proseguendo un capitolo interessante, su quelle espressioni artistiche che, fuori dai recinti canonici, aprono al futuro inedite visioni del passato. Anna D’Elia 60 -
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rinzi apre la sua personale da Museo Nuova Era a Bari. Le dissonanti note di Abat-jour fanno da colonna sonora alla scia lasciata dal motore di uno scafo che solca il mare e che divide verticalmente l’inquadratura. La scena si sposta poi sull’asfalto della strada, ripreso sempre con lo stesso punto di vista centralizzato: sintesi di una “prospettiva in fuga” che allude ai drammatici viaggi migratori come ricerca di una nuova prospettiva, di fatto però impossibile. Una tematica che l’artista salentino, fresco vincitore della sezione corti del Film Festival di Torino con “Notturno Stenopeico”, sviluppa ormai da qualche tempo, mescolando con disinvoltura materiali di archivio e attualità. La “impossibilità di modificare la propria esistenza”, non ha tuttavia per Schirinzi un valore solo storico e contingente. È il senso d’impotenza che caratterizza in generale la condizione umana, sul solco di un pensiero che dall’assurdo di Beckett vira al grottesco di Jarry, passando per le provocazioni dell’amato conterraneo Bene, e la sostituzione del
5Carlo Michele Schirinzi,
Prospettiva in fuga, 2009 [frame da video, dvd, colore, 05’00”]
dramma con la farsa. Ciò è evidente nell’altro video, proiettato al piano sottostante. Il titolo, Arca di concentramento, rimanda ancora al tema migratorio, alle moderne arche destinate “ai turisti forzati dei naufragi storici”. Con riferimento ad una sorta di diluvio universale, lo scroscio d’acqua di un temporale (come “le docce ad Auschwitz”) bagna le scene di un vecchio filmato porno anni venti. Mentre nei fotogrammi bianco-nero disturbati da salti e inceppi, il reiterato abbraccio di due corpi denuncia “il disperato tentativo di ogni contatto”, la difficoltà di instaurare un vero rapporto (sdrammatizzata da un inatteso twist, sul finale). Antonella Marino
COSTABILE GUARIGLIA Arte X Arte, Napoli ondata nel 1991 dall’attuale direttoF re Tommaso Ferrillo e connotandosi fin dal principio per la sua spiccata attenzione alle proposte del territorio, nonché per l’alternanza tra eventi organizzati nella sede originaria di Villaricca ed eventi organizzati altrove, ARTEXARTE apre una nuova sede nel centro di Napoli nel 2007, ma senza recidere le sue radici dal contesto in cui quasi vent’anni fa ha mosso i primi passi, come dimostra l’iniziativa “I Cortili dell’Arte” che, giunta ormai alla sua settima edizione, può considerarsi senz’altro la sua più interessante ed originale invenzione. Un’operazione che, invitando ogni anno gli artisti a realizzare un intervento in rapporto alla specificità del contesto, i numerosi e suggestivi cortili ottocenteschi di Villaricca, si pone in una salutare logica di decentramento, in opposizione rispetto alla tendenza, ulteriormente consolidatasi durante questi ultimissimi anni nell’area napoletana, a convogliare i luoghi della fruizione delle arti visive contemporanee in pochi fazzoletti di terra, e, preferendo personaggi raramente ascrivibili a quel consueto pantheon costituito da non più di qualche centinaio di nomi, promuove un modello di artista come artefice di una pratica quotidiana e relazionale contro la figura dell’artista come genio inavvicinabile. La personalità di Costabile Guariglia (Castellabate, Salerno, 1965), “artista indipendente dello strato suburbano”, come egli stesso si definisce, è senz’altro ascrivibile alla prima delle due categorie di cui sopra. Dotato di una formazione composita e legato ad una pratica che ama attraversare e contaminare tutti i generi (dalla pittura e la scultura al video e all’installazione; dalla foto-
5Costabile Guariglia [Arte x Arte, Napoli]
grafia alla performance ed al teatro), conduce ormai da diversi anni la sua riflessione sul corpo e le trasformazioni ad esso connesse con grande umiltà ed impegno. La stessa umiltà richiesta ai suoi spettatori allorché, avendo posto all’ingresso una piccola breccia a forma di essere umano, li costringe indistintamente a chinarsi, metafora dell’invito, pure rivolto ai riguardanti, a liberare la mente da ogni pregiudizio. Una volta oltrepassata la soglia essi si trovano accerchiati dalla parabola anulare di una narrazione fotografica che, in virtù di un set e di un cast che si risolvono in pochi ed essenziali elementi, ci trasmette un senso complessivo di enigmatica sospensione, di condizione liminare cui lo stesso titolo della personale, A-mare, richiamando l’infinito del verbo che designa l’atto tipicamente propulsivo del provare amore, ma anche la privazione di quel luogo che fin da tempi antichissimi è associato alla trasmigrazione, e dunque alla possibilità di perseguire ciò che è ulteriore, in ultima istanza riconduce. Stefano Taccone
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MISCHER’TRAXLER Fondazione PLART, Napoli ggetti “creati” dal sole. Forme di O geometria dolce colorate dal processo organico della fotosintesi clorofilliana. La macchina inventata dal duo di giovani designer austriaci mischer’traxler nell’ambito del progetto “Idea of a tree” si attiva con la luce solare, di cui registra le diverse intensità nel corso della giornata. Ne scaturisce un’inedita proposta di design non solo eco compatibile ma ecologico in senso stretto, insignito di recente del premio DMY promosso dal Bauhaus Archiv / Museum für Gestaltung di Berlino. Il video che documenta il processo di costruzione di questi originali manufatti (utilizzabili come sedute o altro) è presentato insieme ad alcuni esemplari al Plart di Napoli in una rassegna curata da Marco Petroni, particolarmente interessato alle esperienze di un “design della decrescita” attento alla salvaguardia e alla sostenibilità ambientale e ad una responsabilità etica nella progettazione. Il programma di “Plartonvideo”, iniziato con Fabio Novembre, si propone di offrire un piccolo spaccato di alcune ricerche internazionali fresche, legate in particolare all’uso di materiali plastici (la gamma è
5mischer’traxler, Whole machine with chicken [courtesy the artists & PLART, Napoli] 6mischer’traxler, Lamps and stool
6mischer’traxler, Container (29.07.09)
ormai vastissima), in linea con l’identità di questo singolare museo aperto per iniziativa privata e appassionata di Maria Pia Incutti. Arte e design, caratterizzati spesso da una filosofia progettuale e da un approccio concettuale affine, dialogano in questo modo nello spazio, che affianca ad una collezione “storica” di
esemplari in plastica un ambiente dedicato a mostre e interventi temporanei (ultima, quella dedicata ai «PVC Petits Vaniteux Cadeaux» della napoletana Sandra Dipinto). Il progetto espositivo è ancora agli inizi, ma si propone di crescere, aprendosi sempre di più al territorio. Antonella Marino
6mischer’traxler, Tioat (12.03.09)
MESA PARA QUATRO Primo Piano Living Gallery, Lecce na temperatura “calda”, che interpreU ta con accenti local i temi della pittura postconcettuale internazionale, caratterizza i lavori dei quattro artisti venezuelani riuniti alla Primo Piano Living Gallery di Lecce. La galleria diretta da Rosa Sacquegna prosegue così una già avviata ricognizione sulla scena artistica emergente in Sudamerica. Dopo le personali di Carlos Anzola e Astolfo Funes, i due autori tornano in una collettiva con i conterranei Roberto Notarfrancesco e Alberto Riera. “Mesa para quatro” è il titolo della mostra (versione latino - americana di “un tavolo per quattro”), preso in prestito dalla curatrice Dores Sacquegna da un quadro di Anzola: il più interessante del quartetto, qui con una serie di malinconiche tele che aggregano foto e oggetti come reliquie di memoria. Tracce di vissuto personale sono assemblate e inscatolate su queste frammentate superfici, palinsesti esistenziali in cui i ricordi e i sentimenti convivono con un’interrogazione sul mistero della vita e della morte. Più legato alle tematiche identitarie all’epoca della frivolezza mediatica sono gli sgargianti ritratti di icone femminili di Funes. Con una bad painting memore dell’art brut, l’artista tratteggia su nuovi fondi bianchi un campionario di giovani donne, che dietro la pellicola dei modelli glamour tradisce però
4Astolfo
Funes [Primo Piano Living Gallery, Lecce]
uno stato di tensione e alienazione. La natura, e le minacce a cui è sottoposta, è invece il soggetto dei “paesaggi” dipinti da Riera, con un linguaggio espressivo neo informale che suggerisce umori di campi e fiori attraverso macchie, scritte, segni e sgocciolature. Mentre Notarfrancesco af-
fida alla figura dell’ibrido uomo-animale, dalla Sfinge ai moderni alieni passando attraverso i mostri fumettistici, una riflessione dai risvolti spirituali ed etici che mescola mito e fantascienza, religione e credenze popolari. Antonella Marino GENNAIO-MARZO 2010 | 228
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A COLLOQUIO CON ANTONELLO TOLVE
REBECA MENENDEZ Galleria Verrengia, Salerno nganno e incanto, pulizia formale e viIiconico sione stramba della realtà, l’universo proposto da Rebeca Menendez per gli spazi della Galleria Paola Verrengia, si presenta denso di significati nascosti e di accordi cromatici che mostrano un’euritmia affine a quella di una composizione musicale. Mossa da una vivace indifferenza del soggetto (che pone l’accento su una robusta autonomia del linguaggio fotografico) la linea estetica messa in campo dall’artista spagnola utilizza la superficie fotosensibile come spazio da riempire e, nello stesso tempo, come teatro di elaborazione mentale e raggiante trattamento terapeutico teso, questo, a raffigurare ed esorcizzare le ombre e le sembianze della mente. Elaborando una speciale asimmetria compositiva, Menendez produce, così, scenari che, se da una parte rivelano una impalpabile Spannung (tensione), dall’altra, tendono a levigare, smaltare e massaggiare l’intelletto del fruitore mediante accortezze luminose davvero sorprendenti. I vari sin título – tutti esemplari unici – che compongono il suo ultimo lavoro, Contuve la respiraciòn (2009), si presentano, ora, come condensazioni temporali che suggeriscono una formidabile sinafia visiva vivendo, tuttavia, una vivace e massiccia indipendenza costitutiva. Una mujer seduta ad una sedia sospesa ad un muro in un ambiente fatiscente, una ragazza in abito bianco che posa sullo spigolo di una stanza il cui pavimento è cosparso di pagine bianche percorse dal vento, un’altra che attraversa una serie di otto sedie telluricizzate dall’abbandono del corpo sbalzato in avanti. E poi, ancora, una giovane signora il cui equilibrio è dato dal proprio arto inferiore destro che diventa, per l’occasione, parte mancante di una sedia su cui si accomoda nell’atto della lettura. Ogni immagine proposta da Rebeca Menendes racconta (e chiude tra le morse della sinèddoche) un’azione ginnico-estetica, per evidenziare, di volta in volta, la quiete in mezzo alla tempesta, il percorso della vita, appunto, lo scorrere frenato degli eventi, i segni e le tracce segrete del vissuto. A. T. Il tuo lavoro espone motivi visivi che fanno i conti con una vena surreale attraverso la quale costruisci scenari che stravolgono – con delicatezza ed eleganza – la realtà. Ti andrebbe di partire da queste prime impronte che tendono, in linea di massima, all’estraniamento e alla condensazione? R. M. Nel mio lavoro la traccia surreale è profonda, ma la vivo come metafora e come interpretazione della mia vita e della quotidianità. Io, personalmente, utilizzo una composizione narrativa di matrice stenografica, ovvero concisa e veloce, che prende qualcosa dalla storia collettiva o individuale e tende, nell’immediato, a concentrare e a estraniare la figura e lo spazio che la ospita. È una sorta di sogno o visione che rielaboro in segno grafico, in struttura artistica sintetizzata. Nei tuoi lavori indichi un tracciato iconografico d’impianto classico, umanistico e rinascimentale, in particolare. Certo, mi interessa davvero tanto il modo di narrare della pittura rinascimentale. L’arte classica, oltre ad es62 -
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sere stata, per me, una prima formazione e ad aver consolidato il mio gusto, è anche un modo di comporre molto importante. Devo dire che la trovo presente e attuale tanto quanto il contemporaneo. Quanto incide la pittura nella tua attività fotografica? Davvero molto. Per quanto riguarda la pittura, devo dire che vengo fuori da un primo periodo pittorico durante il quale facevo pittura figurativa. (Figurativa, intendiamoci, non legata a realismi vecchia maniera). Avevo spesso dei modelli che ritraevo dal vero. In fotografia non ho fatto altro che trasporre questo metodo. Anche quando compongo l’ambiente per costruire una fotografia creo una combinazione di materiali – lo spazio, gli oggetti, le figure – che, soltanto quando sono del tutto equilibrati, decido di scattare la fotografia. Insomma, per me è importante l’idea iniziale, successivamente elaboro il lavoro mentale e organizzo lo spazio. Infine scatto la fotografia che va intesa come il modello per il pittore. Allora, anche la logica scenografica rientra nella tua riflessione? Per ciò che concerne il teatro, io personalmente ho lavorato a teatro per quattro anni. Conosco molto bene il meccanismo teatrale dove tutto è supercalcolato. Quello che è metto in pratica – e che ho ripreso dal teatro, come hai notato – è proprio questo costruire un ambiente per l’occasione e poi distruggerlo. Nel tuo recente impegno fotografico i soggetti – tutti marcatamente femminili – mostrano una posa accuratissima che lascia trasparire un sentimento fragile di malinconia e di drammaticità. In ogni scatto, inoltre, il soggetto e l’ambiente sembrano consustanziali. Si, è vero, la figura e l’ambiente sono unite dal filo della narrazione. Tuttavia per me il primo contatto visuale è con l’ambiente. Soltanto successivamente penso all’introduzione della figura umana. In questa seconda fase tendo a lavorare sul soggetto, lo tratto con indifferenza e con freddezza per rivelare il suo segreto più profondo attraverso lo sforzo che gli impongo di fare per costruire l’immagine. Anche la drammaticità è sempre presente. I personaggi la vivono in modo volontario (le donne) o involontario (le bambine). Resta, comunque, un ingrediente davvero necessario. Del resto, in questi recenti lavori le donne
5Rebeca Menendez, Senza titolo, 2009 [serigrafia - 120x80 - cm - particolare Courtesy Galleria Verrengia, Salerno
hanno tutte un loro vissuto che cerco di evidenziare il più possibile dalla fotografia in quanto insieme di spazio, oggetti e figura. Sia in pittura che in fotografia, i tuoi personaggi trasudano sempre innocenza, incolpevolezza, semplicità, purezza. Cosa rappresentano per te questi territori legati, tra l’altro, alla fugacità e alla metamorfosi, allo sfiorire della bellezza? Io intendo catturare o, quantomeno, provocare la sensazione di un momento di passaggio che abbia ancora un alone di innocenza. Il lavoro che sto ancora elaborando sulle bambine è un progetto tutto legato a questo tipo di sentimento. La curiosità innata nei bambini che tentano la sorte e giocano con la morte con innocenza o giocano con il rischio è uno dei cardini del lavoro. C’è, poi, sia nel lavoro sulle bambine che in quello sulle donne, una vena di erotismo e di sensualità che tende a creare vere e proprie interferenze sensoriali rispetto a questo alone di candidezza, ingenuità e purezza. Nel mi lavoro c’è anche il suo opposto. Nelle Mujer, ad esempio, il puro e l’impuro convivono. L’ago, il filo, la tessitura. Sono, infine, alcuni oggetti che ritornano in ogni tua esperienza. Louise Bourgeois, vede l’ago come un amico che non ferisce ma costruisce frammenti di tempo e di memoria. Cosa rappresentano per te questi strumenti femminili e uterini? Sono davvero oggetti importantissimi. Fanno parte del mio bagaglio interiore. Come del resto la stessa passionalità di Louise Bourgeois che vede l’arte come autoterapia. Lei mi ha insegnato davvero tanto e devo dire che la sua lezione è sempre presente nell’elaborazione di un mio lavoron 6Rebeca Menendez, Senza titolo 2009
[lambda print on alu dibond - 180x173 cm] Courtesy Galleria Verrengia, Salerno
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GIANCARLO LIMONI AAM Architettura Arte Moderna, Roma on la recente inaugurazione della C personale di Giancarlo Limoni, la A.A.M. Architettura Arte Moderna ha presentato gli esiti di un percorso di ricerca dell’artista che sembra aver, inaspettatamente, messo in discussione la coerenza linguistica cui ci aveva abituati. A ben guardare l’omaggio di Limoni alle straordinarie personalità di Évariste Galois e Roger Caillois, rappresenta una rielaborazione consapevole del proprio stesso linguaggio, una vera e propria “liberazione di Dedalo” in cui si raccolgono le fila della sua meditazione sul tempo, sul movimento, sulla forma, sulla natura, che di quel linguaggio ha in realtà intensificato l’espressività. Prima che la magmatica inquietudine delle sue tele policrome fosse messa a tacere dall’irruzione del nero, la nitidezza della forma, del bordo, non sembrava costituire una preoccupazione per Giancarlo Limoni, le cui opere indicavano piuttosto una predilezione per l’idea di vibrazione del fondo materico e cromatico, di unità dell’immagine perseguita attraverso l’accostamento di elementi particolari. L’espressione dell’artificio nella natura di Limoni consisteva, per inciso, nella insistita ricerca della negazione del rapporto dell’opera con l’esterno, nel ricondurre, attraverso l’omogeneità della distribuzione della materia e del colore, i fili della propria trama al suo punto centrale. L’assenza di un confine, accentuato dalle “ebollizioni” delle forme e dalla quasi totale assenza di gerarchia nella composizione escludeva di fatto ogni possibilità di interazione con l’intorno, restituendo una volontà di assoluta chiusura nei confronti dell’esterno. Evitando di abbandonarsi alla tentazione di essere compromessi, sul piano estetico, dalla deformazione di un singolo tratto o da un’anomalia della struttura compositiva, se non per circoscritte scelte di addensamento plastico, i
ritratti di siepe di Giancarlo Limoni manifestavano, leopardianamente, una straordinaria impenetrabilità -pari per ostinazione e compattezza nello stratificarsi del colore soltanto agli inoppugnabili “sipari” fontaniani- sottolineata dall’irrequietezza dei tratti, dalla latente, concitata mobilità dei grumi di materia policroma. Il ricorso al nero e la sua specifica prestazione in questo nuovo ciclo di opere si snoda all’insegna di un doppio ordine di intenti. In primo luogo Limoni se ne serve per manifestare un rafforzamento dell’idea di limite della forma. Allontanando il colore dal bordo dell’opera introduce il concetto di sagoma, contribuendo a convogliare lo sguardo verso il centro della tela. La prima lezione di tenebra di Giancarlo Limoni riguarda, precisamente, l’accentuazione della distanza dall’opera. Probabilmente una distanza ideale dal mondo che è, come si preciserà più avanti, espressione dell’unità interna dell’opera intesa come autosufficienza, quando non di compiaciuta indifferenza, resa ancora più esplicita dall’introduzione nel campo pittorico di un’inedita attenzione nella scelta della “posizione” degli elementi. Questi ultimi infatti, che devono la propria riconoscibilità e la propria autonomia figurativa al sapiente, insistito affondo della spatola nel colore, non concorrono più soltanto alla definizione di un paesaggio stratificato di ungarettiana “dannazione” ma, come liberati da un’energia approvvigionata nel corso degli anni, fluttuano autonomamente nella cosmica oscurità di un fondo bituminoso, transitando con disinvolta levità dinanzi al nostro sguardo incredulo. Per effetto dell’acquietamento della vibrazione, esemplari o gruppi di grandi icone statiche fanno la loro comparsa invadendo lo spazio della tela, suggerendo un verso e una direzione di lettura dell’opera. Ciò si accompagna sempre all’intenzione di rivelare, seppur non esplicitamente, l’esistenza di un punto di vista privilegiato, isolando con grande evidenza oggetti dotati di forza simbolica e avendo cura, dopo aver provveduto a
un’attenta selezione, di oscurare tutto il resto, il non necessario. Nel realizzare queste “cancellature”, Giancarlo Limoni subordina l’intero al frammento, al dettaglio che, in quanto “parte”, è connesso alla totalità da cui ottiene senso e forza soltanto grazie a una velata allusione, alla memoria di ciò che, per lungo tempo, di quella parte ha costituito la necessaria premessa. Ogni rischio di dispersione del contorno della forma è scongiurato e il sollevarsi, l’avvizzirsi degli oli all’aria e alla luce si dichiara con tale evidenza da confonderci, dal farci perfino dubitare dell’artificialità della natura di Limoni. D’altra parte la già evocata idea di limite significa nelle “opere dal nero” presentate all’A.A.M. qualcosa di completamente diverso da quello che in natura si definisce confine di un oggetto, giacché in quest’ultimo caso il bordo rappresenta il luogo del confronto endosmotico ed esosmotico con l’esterno, mentre per Giancarlo Limoni sembra sottintendere una volontà di assoluta chiusura, difesa, sintesi unificante. L’unità è appunto la seconda lezione che queste tele ci consegnano. L’unità in quanto sintesi, oltre che antitesi nei nostri riguardi, l’unità come appartenenza a una sfera distante dalla vita e dalla natura stessa cui si riferisce. Soltanto quando dimostra questa autosufficienza, questo simmeliano “essere-per-sé”, l’opera custodisce la potenzialità di penetrare pienamente in noi. E le proprietà del nero nel lavoro di Limoni si rivelano proprio come contributi e manifestazioni sensibili di detta unità interna. Il nero si frappone agli elementi operando esclusioni, privandoli, montalianamente, del conforto, dell’appoggio visivo prima garantito dalla continuità nella stesura del colore. Questi si trovano, in tal modo, a conquistare una posizione insulare, ad assumere quel ruolo privilegiato di cui l’opera ha bisogno in rapporto al nostro sguardo. Contemporaneamente, l’”annottarsi” del fondo ci autorizza a penetrare nel quadro o, viceversa, lascia che questo possa uscire nel mondo approssimandosi più che mai, nel comportamento estetico, alla natura e quindi alla vita.8
6Giancarlo Limoni, Non ho tempo / Lezioni di tenebra: opere dal nero. Photo Giampiero Ortenzi (Courtesy A.A.M. Architettura Arte Moderna)
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5Giancarlo Limoni, Non ho tempo / Lezioni di tenebra: opere dal nero. Photo Giampiero Ortenzi (Courtesy A.A.M. Architettura Arte Moderna) 5
7 Inseguendo striature, traiettorie e mac-
chie apparentemente casuali, l’occhio esplora il territorio della tela ricercando un punto d’arresto in prossimità delle “apparizioni” di colore, la cui presenza, definendo una metrica del consumo visivo, ne scandisce gli intervalli al pari di una notazione musicale, di una scoppiettante punteggiatura. Le gemme policrome di Giancarlo Limoni, lambite da una pece che si presta ad esaltarne le differenze tonali, manifestano un’avversione reciproca finora sottaciuta dall’artista, introducendo nell’immagine una negatività che si avrebbe voglia di accostare, più che a una visione idilliaca di matrice virgiliana, permeata dal fascino del mito, alla rappresentazione matrigna della natura cara al rinascimento ferrarese, tra i cui esiti andrebbe ricordata la straordinaria pietà di Cosmè Tura, con la sua in-
TOBIA RAVA’ Galleria L’Occhio, Venezia a mostra Sincronie e vele d’infinito di L Tobia Ravà riapre a Venezia presso la galleria L’Occhio di Elisabetta Donaggio, fino 25 febbraio. Si tratta della ideale continuazione della mostra precedente, in cui l’artista espone parte dei lavori presentati al Castello Svevo di Trani a
sopportabile aberrazione delle forme anatomiche e l’alterazione cromatica delle tinte acidule. Il fatto che le forme di Limoni siano incastonate dal nero è, in effetti, forse più importante per la funzione di sintesi che per quella d’esclusione. E’ questa la ragione per cui nelle sue opere gli interstizi scuri sembrano scorrere come una corrente tra due rive, compiendo un artificio che rende possibile il rifluire continuo dello sguardo lungo sinuose tracce di colate laviche rapprese. Dimostrando quanto per il linguaggio dell’arte sia poco importante esprimere individualità rispetto alla necessità di poter essere ascritto a un determinato e riconoscibile registro stilistico, le “opere dal nero” di Giancarlo Limoni sottintendono la sostituzione dell’accentuazione individuale con una generalità più ampia
e complessa, l’idea di rendere comprensibile la forma delle cose naturali adoperando l’intensità, la determinatezza del segno per suddividere lo spazio del quadro e restituirne la coerenza con la spiritualità invisibile dietro di esso. Instaurando un nuovo rapporto con il bordo, diverso nei presupposti e nei risultati da tutte le precedenti esperienze dell’artista, le tele appaiono come intensificazioni, fissazioni dell’esperienza visiva, distinguendosene per la nitidezza e l’immediatezza con cui gli oggetti vengono individuati nella percezione quotidiana. E offrendoci testimonianza del fatto che la soluzione del problema della pura visibilità posto dall’arte implica anzitutto la soluzione di quello, compreso tra lo spirito e la realtà, del suo mistero e del suo disvelamento. Valentina Ricciuti
settembre. Tra le varie opere sono presenti alcune delle vele, lightbox e opere tridimensionali, caratterizzate dal suo stile inconfondibile, dove le immagini sono costruite con lettere ebraiche e numeri. Due sono i linguaggi, logica letterale e matematica, che si fondono nelle sue opere a creare un terzo linguaggio, quello figurativo, che vuole indagare, ricostruire e manifestare il mistero dell’universo. Come scrive Maria Luisa Trevisan nel catalogo: “Il titolo fa riferimento
alla presenza di un invisibile legame tra le cose ed al pensiero sincronico della tradizione ebraica, secondo il quale quello che è successo in passato, attraverso la memoria, viene rivissuto dal singolo nel presente. Da qui l’importanza della storia e l’alto valore della memoria per l’avvenire. Questo intreccio affascinante tra presente, passato e futuro, tra natura e cultura, viene non solo intuito e riconosciuto dall’artista, ma anche visualizzato attraverso seducenti immagini fatte di forme, colori, lettere e numero, che costituiscono quella foresta di simboli che si cela dietro il reale”. In mostra a Venezia sono esposte opere recenti costruite con la ghematrià e la sequenza di Fibonacci, dedicate ai luoghi d’acqua, al tempo (metachroni), agli animali, oltre alle ultime sperimentazioni digitali a tema architettonico su raso, in cui le lunghe prospettive riprese dalla realtà e sublimate, assurgono a luoghi e simboli dello spirito n
3Tobia
Ravą, Foresta alchemica blu, [lightbox 113 x 94 cm.] Courtesy Galleria L’Occhio, Venezia
6Tobia Ravą, Angolo d’infinito celeste, 2009 [vela in raso cm 200 x 140] Courtesy Galleria L’Occhio, Venezia
6Tobia Ravą, Cronologos 2009 [resine e tempere acriliche su tela 80 x 100 cm.] Courtesy Galleria L’Occhio, Venezia
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RECENSIONI
ACQUA, ARIA, TERRA, FUOCO, AMORE, ODIO, VITA, MORTE Numen Art Gallery, Benevento ndoors e outdoors. Così si sviluppa la Iospitata mostra, a cura di Stefano Taccone, negli spazi della Numen Art Gallery con una propaggine urbana, quasi naturale per il tema trattato, nel centro storico beneventano. Valutare il rapporto tra l’individuo e il proprio ‘habitat’ attraverso la teoria dei quattro elementi è, infatti, il fil rouge che tiene insieme le opere di altrettanti artisti. Invitati, per l’occasione, a concepire ciascuno un intervento ‘permanente’ ed uno ‘effimero’. Un’amara ironia sembra permeare tutti i lavori, per denunciare - senza eccesso di catastrofismo - la tendenza umana all’autodistruzione, determinata da una carente attitudine alla lungimiranza. Un atteggiamento ‘insostenibile’ dal punto di vista ambientale, evidenziato nel video Water Projection di Domenico Di Martino in cui il potabile ‘petrolio bianco’ diventa un potenziale casus belli. Un bene sottostimato e rivalutato soltanto di fronte alla difficoltà di approvvigionamento. Lo dimostra l’esperimento performativo condotto in piazza grazie all’ausilio dei passanti che, invitati ad attingere acqua limpida o torbida scegliendo tra due enormi contenitori, si dissetano con quella meno appetibile, impossibilitati da un mestolo forato a versarsi l’altra. Passando dal gusto all’olfatto, Giuditta 6Giuditta Nelli,
Bougďe parfumée ~ bugďa profumata.
FRANCESCO INSINGA Galleria Franco Marconi, Cupra Marittima ome secondo evento per la stagione C 2009-2010 la galleria Franco Marconi di Cupramarittima propone In Hoc Tempore, mostra personale di Francesco Insinga curata da Renato Bianchini. Lo spazio volutamente lasciato in penombra costringe gli occhi ad adattarsi alla luce, creando quel momento di parziale cecità che rappresenta quasi un passaggio ad una dimensione differente. Una condizione che ci costringe ad uno sforzo per acuire i sensi, un piccolo disagio, un rito iniziatico affinché il mondo creato dall’artista nello spazio della galleria si disveli e si presenti inteleggibile. Un ragazzo nudo sdraiato in terra, si muove lentamente su di un letto di foglie che gli viene proiettato addosso mentre alberi ed animali selvatici stanno quasi a fargli da quinta. Rappresentazione di un’antica purezza, quest’immagine si estranea dal tempo che viviamo per proiettarci in un antico stato di natura. Così il canto di
5Ur5o, L’UCCELLO DI dIO.
5Domenico Di Martino, Water action.
Nelli allestisce un’elegante mensoletta di Bougìe parfumée. La doppia accezione del termine ‘bugia’, come candela o inganno, diventa un fragrante spunto di riflessione sul deterioramento del suolo e delle sue risorse nel segno di un dissennato utilizzo, costantemente mistificato da un più immediato e fruttuoso profitto, che, un giorno, si ritorcerà contro l’intero pianeta. Un autogol che ispira un happening ludico e corale in tre fasi: chiedere alla gente del luogo di scrivere su patches di stoffa parole legate alla terra; cucire i ritagli su un mucchio di super santos; regalare i palloni ai bambini per farci due tiri all’aria aperta, anch’essa, del resto, minacciata dall’insano comportamento antropico. Di quest’ultima si occupa, però, Alessandro Ratti, tracciando un percorso di manifesti pubblicitari che conducono ad un curioso marchingegno presentato in galleria. Maleventum, do it yourself è un dispositivo artigianale per la respirazione. Un guanto chirurgico protegge, come in una serra, un piccolo vaso contenente una pianta. Le dita del pollice e del mignolo, recise sulla sommità, permettono, da un lato, di immettere anidride carbonica attraverso il fiaalcuni uccellini, suono che pervade la stanza, contribuisce a questa illusione, alla creazione di un nuovo e puro stato di natura. Lungo la parete opposta una teoria di corpi nudi si dipana nello spazio. Pose studiate nel dettaglio, in cui ogni elemento trova straordinariamente il proprio peso compositivo creano l’illusione di una decorazione classica, di una serie di metope di in un fregio posto a guardia di un tempio. Un viaggio agli albori della storia tra mito e fantasia per proporci una riflessione sulla modernità. “Francesco Insinga compie questo viag-
to, dall’altro di inspirare l’ossigeno generato dal processo di fotosintesi. Così che, in extremis, sarà sempre possibile tirare un sospiro di sollievo. Probabilmente poco salubre perché intriso di quella diossina sprigionata dalla liquefazione di una pistola, per effetto della fiamma ossidrica, che Ur5o utilizza come atto simbolico per evidenziare le nocive conseguenze del disarmo. Per dire che ad ogni azione corrisponde una reazione, e non soltanto chimica, forse non immediatamente percepibile ma ugualmente distruttiva nel lungo periodo. Perché è l’uomo stesso ad essere l’artefice non solo della propria ma anche dell’altrui sorte, come suggerisce, a partire dall’impostazione grafica, L’UCCELLO DI dIO. Una struttura metallica che regge una voliera posizionata su coni di ghiaccio destinati a sciogliersi e a schiacciare un uovo, emblema della vita. Traduzione, in piccola scala, del global warming, dell’aumento del surriscaldamento climatico che ci annienterà, chissà, forse carbonizzandoci, come accade al finto pennuto in gabbia. Ostaggi d’un’egoismo travestito da libertà. Mara De Falco 6Alessandro Ratti,
Maleventum, do it yourself
gio esplorando nei territori del reale e dell’immaginario attraverso il movimento spaziale dei corpi di figuranti senza identità, posizionati in ricercate e inedite relazioni tra loro. I nudi sono disposti in modo da perdere qualunque offensiva ed eccitante materialità, in uno studio calibrato delle soluzioni formali e compositive che conducono oltre limiti della realtà, fino a sfiorare l’onirico e addentrarsi, in fine, lungo il sentiero paesaggista tra intricate tessiture proprie del mondo vegetalnaturale “ (BIanchini). Stefano Verri
3Francesco
Insinga, Installation view [Courtesy Galleria Franco Marconi, Cupra Marittima
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nergia di un turbine dalle sagome di marmo, formarsi un arcipelago rigoglioso percorso da fluide cascate, si concretizzano mostri che sembrano presi dai bestiari medioevali. Nei disegni di Cloti riferiti a Quale tempo quale spazio scompare la griglia geometrica e si libera la mano che vi era racchiusa. In queste variazioni e sequenze temporali prevale il contorno segnico ed emerge il sostrato grafico che ricorda gli stessi suoi esordi nell'ambito della pittura riferita all'arte romana degli anni Sessanta”. L.S.
LUCILLA CATANIA CLOTI RICCIARDI Museo Casa Natale G.d’Annunzio, Pescara
2 disegni per 2 sculture” è il titolo di una mostra ideata da Lucilla Catania e Cloti Ricciardi in seguito all'incontro di due loro lavori: Quale tempo, quale spazio (di Cloti) e Naturale (di Lucilla), installati nel giardino dell'Istituto Austriaco di Cultura a Roma, il cui punto di comunicazione è nella loro struttura chiara e sintetica. Il primo è un grande cartellone in ferro, alluminio e resina dove campeggia una mano aperta (che è quella dell'autrce), che mostra il dorso ed il palmo e sembra avvertire della presenza di un pericolo. Il secondo, Naturale, appare come un serpente di pietra che si srotola morbidamente a terra: è fatto in travertino e marmo nero marquinia, segmentato in 22 moduli curvi. “Dal confronto continuo delle due sculture affermano le due artiste - è nata in noi la necessità di approfondire questa relazione attraverso l'individuazione di alcune parole chiave che aprivano ed amplificavano il senso di ogni singolo lavoro. Da queste parole chiave sono nate le 12 opere grafiche”. La mostra che le propone, curata da Giuseppe Appella ed Anna Imponente, è stata allestita al Museo casa d'Annunzio di Pescara, presso il quale è stata dirottata dalla Soprintendente per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici dell'Abruzzo, Lucia Arbace, che l'avrebbe accolta al Castello cinquecentesco de L'Aquila, sede museale della Soprintendenza, se il sisma del 6 aprile 2009 non l'avesse resa inagibile. Nel bel catalogo che accompagna la mostra, edito da Gangemi, Anna Imponente , nel suo testo “Sette modi per conversare d'arte con Lucilla Catania e Cloti Ricciardi” scrive tra l'altro: “Con un procedimento inverso, nella serie dei disegni si rimettono in discussione le sculture, vengono aggiunti nuovi punti di vista, altre visioni che offrono un ampliamento di senso. Per Lucilla attingono all'inconscio, aggiungono una espressività simbolica alla materia, svelandone le qualità impossibili. In questa trasformazione interiore, onirica, può sprizzare un magma dall'e-
“1
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5Cloti Ricciardi, Installation view
5Lucilla Catania, Installation view
5Cloti Ricciardi, Tre
5Cloti Ricciardi, Sei
6Lucilla Catania, Grinzoso
6Lucilla Catania, Ecologico
[MUSMA Museo della Scultura Contemporanea, Matera]
[tecnica mista, 100x70 cm] [tecnica mista, 100x70 cm]
[Castello Cinquecentesco L’Aquila]
[tecnica mista, 100x70 cm]
[tecnica mista, 100x70 cm]
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RECENSIONI
6David Bowes, At work, 2009
[acrilico su tela, cm 60 x 90] Courtesy Studio d’Arte Raffaelli
DAVID BOWES Studio d’Arte Raffaelli, Trento o Studio d’Arte Raffaelli prosegue nel proporre alcune accattivanti punte dell’arte di matrice americana. Come altri artisti rappresentati dalla galleria, Donald Baechler e Philip Taaffe, anche David Bowes ha lasciato l’America per vivere in Italia. In questa nuova serie di dipinti, si ritrova sia l’ironia, che l’intellettualismo e il fascino americani, tipici di chi arriva nel Bel Paese. Nascoste dietro a rappresentazioni naïf apparentemente settecentesche alla Fragonard, narranti di un’arcadia lussuosa, oziosa ed edonista, Bowes attua un astuto collage di miti popolari italiani, in particolare attinti
L
alle figure della Commedia dell’Arte. Nella farsa, il genere di appartenenza di questo tipo di commedie in cui si utilizzavano spesso maschere, può essere ritrovata la condizione pirandelliana del “living on earth” di David Bowes, oppure felliniana, per la basilare malinconia del sorriso del clown. L’ironia si spinge oltre, quando osserviamo Pulcinella mentre conduce la propria famiglia su un asino durante la fuga in Egitto. Affiancati a questa serie di dipinti, Bowes elabora delle composizioni alla wunderkammer, dipingendo tipici soprammobili in ceramica, allestiti sulle tavole dei salotti, allo scopo di creare un angolo scenografico, estetizzante la vita quotidiana. Nel riconoscere alcuni degli stereotipi del Settecento si sorride di noi stessi anche per 6David Bowes, Elephant teapot, 2009 [acrilico su tela, cm 28 x 35] Courtesy Studio d’Arte Raffaelli
JULIA BORNEFELD Antonella Cattani Contemporary Art, Bolzano a mostra, in anteprima ad Artefiera a L Bologna con l’opera omonima che la intitola, raccoglie gli ultimi lavori della tedesca Julia Bornefeld (Kiel, 1963). L’artista agisce nello spazio tramite un dialogo mediale tra vari pezzi e modalità costitutive: fotografia, pittura, installazione e performance. La Bornefeld è in effetti spesso protagonista in prima persona allo scopo di creare situazioni emotive che stimolano la vista, il tatto e l’udito. I temi affrontanti attingono sia all’analisi del proprio sistema psicologico che a quello sociale. Esemplificativa di questo atteggiamento è l’opera Intercontinental, un pallone da calcio ingigantito e perforato da enormi coltelli. L’opera, quasi ad eco della pluralità di tecniche, tocca più livelli anche da un punto di vista semantico: la Bornefeld, metaforicamente, sottolinea l’aspetto passionale di tutti coloro che tra varie intensità di tifoseria, fanatismo, violenza e business, supportano il calcio. Dall’altro lato, componendo una serie di opere pendants delle altre, amplia il discorso
5Julia Bornefeld, Game Extensions, 2009 [sofą, spirali in acciaio e palloni, cm 140 x 186 x 70] Courtesy Antonella Cattani Bolzano
anche da un punto di vista linguistico. L’opera Der goldene Schuss ad esempio, rappresenta dei seni a molla le cui estremità sono costituite ancora da palloni da calcio. Oltre a rimandare all’eccitazione generante l’attrazione sia verso il gioco che verso il corpo femminile, il titolo in tedesco rimanda ad altri due ordini di significato: al pallone d’oro che centra la porta, ma anche all’iniezione fatale che si pratica a chi assume droghe. La fisicità di queste installazioni è poi sublimata e sintetizzata in Balla Balla, dove la Bornefeld realizza un collage su carta che raccoglie bidimensionalmente ciò che ha espresso altrove.
6David Bowes, Lovers, 2009
[acrilico su tela, cm 60 x 90] Courtesy Studio d’Arte Raffaelli
la loro ricorrenza, ma l’operazione di Bowes non è meramente nostalgica, quanto piuttosto sapientemente citazionista e consapevole. Come efficacemente messo in luce anche da Alan Jones, il curatore della mostra, il linguaggio di David Bowes è quello tipico degli anni Ottanta, teso verso una rappresentazione leggera e libera da ideologie. Sarebbe superficiale però considerarlo un artista disimpegnato perché non esplicitamente critico. E’ nel fondamentale atteggiamento divertito che Bowes dimostra il proprio distacco storico e l’analisi delle produzioni artistico-sociali. E’ questo stesso tono che gli impedisce di perdersi completamente in un mondo assolutamente lirico, ma anzi, lo radica nel contemporaneo. Veronica Caciolli Recentemente, l’artista è stata invitata a partecipare alla mostra Steellife presso la Triennale di Milano, dove è emerso anche un altro aspetto della sua prassi: oltre alle installazioni dai doppi significati, ha presentato un lavoro relazionale, originato da un’esperienza sviluppatasi una notte per caso, con un uomo ed il suo cane. In questo suo coinvolgimento di realtà quotidiane, l’artista prosegue sulla strada aperta da quella schiera di artisti che dagli anni Sessanta in poi hanno indagato il corpo e le sue implicazioni. Veronica Caciolli 6Julia Bornefeld, Balla Balla, 2009
[collage e disegno su carta, cm 70 x 100] Courtesy Antonella Cattani Contemporary Art, Bolzano
6Julia Bornefeld, Der goldene Schuss, 2009 [fotografia digitale diaplex, cornice e pallone cm 158 x 124 x 14] Courtesy Antonella Cattani Contemporary Art, Bolzano
6Julia Bornefeld, Inter-continental, 2009,
[acciaio rivestito in gommapiuma, ecopelle e polistirolo indurito con fibrocemento, cm 450 x 450 x 450] Courtesy Antonella Cattani, Bolzano
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FRANCESCO GUERRIERI Galleria Miralli, Palazzo Chigi, Viterbo n ciclo di lavori storici realizzati da U Francesco Guerrieri negli anni 19671977, sono stati proposti quale tema dedicato ai quadri-luce, tele bianche ritmate da due toni di giallo radiante, che Guerrieri sperimenta a seguito delle sue costanti congetture incentrate sulla psicologia della Gestalt e concretatesi già dal 1962 con la realizzazione di “Continuità” e “Ritmo-Strutture”, due serie di opere rigorosamente strutturalistiche in cui la sperimentazione pittorica, a concorso con la ricerca scientifica, segna il superamento dell’informale materico. Il “Quadro Luce” è anche il titolo della mostra, ed è la luce a dominare le sale di Palazzo Chigi, invase dalla bicromia delle tele, dove i due toni alternati di giallo, insieme al bianco puro, si giocano il ruolo di fondo-figura, in un assiduo scambio tra elementi positivi e negativi. Si viene a creare una struttura ritmica, una sorta di architettura musicale, non a caso paragonata da Adriano Spatola ad “una musica stupefacente di tipo dodecafonico, chiusa e aperta allo stesso tempo” e contrassegnata dall’assenza di un ‘centro tonale’ individuabile nell’insieme, in cui, come nei dodici suoni della serie musicale, nessun elemento è impiegato con frequenza maggiore degli altri. Guerrieri, come rileva anche Chiara Ceccucci, “comprende che la pittura può essere musica”. Le costruzioni strutturalmente programmate e sistematiche degli anni precedenti, non possono ora rispondere alle esigenze di questa moderna società, infervorata dai nevrotici spostamenti dell’uomo, alla ricerca continua di una meta e di un proprio spazio. A tale proposito Zygmunt Bauman, nel 2002, descriveva il disagio dell’uomo postmoderno che, non potendo più pianificare la propria vita in un mondo vertiginosamente mutevole, decide di aprirsi ad ogni evenienza, evitando di legarsi ed appartenere ad un unico territorio. È questo che deve avvenire nelle “figure deterritorializzate” di cui parla Gabriele Simongini in catalogo, descrivendo i quadri-luce di Francesco Guerrieri. L’artista rende concreta quell’idea di Opera Aperta, teorizzata in quegli anni da Umberto Eco, un’opera che non si chiude in un’unica possibilità e non si palesa in condizioni univoche, ma lascia all’osservatore l’alternativa tra probabili
FILIPPO BERTA Placentia Arte, Piacenza
uattro schermi di vetro trasparente Q separano i corpi di due uomini e due donne dal pubblico, come se fossero in un acquario, esposti allo sguardo. Non vi è altro sulla scena. Il titolo della mostra è formato dai loro nomi: Eliseo Cannone Alessandro Pelicioli Anna Coppola Greta Agresti, che indicano corpi diversi e differenziati per età, genere, carattere. Ma il nome è destinato a rimanere una cifra vuota, un codice senza riferimento, perché i performer compiono un'unica e solitaria azione, anche faticosa e insistente, forse aggressiva, destinata ad annullare, a cancellare, a sottrarre alla vista ciò che più di ogni altra cosa incarna l'u68 -
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5Francersco Guerrieri, Come le vele, 1972
6Francesco Guerrieri, Il segno che appare,
chiavi di lettura. Le forme, in continua tensione dei quadri-luce si protraggono fino a lasciare campo aperto al bianco puro; si spingono lungo i margini come a volersi sprigionare oltre i limiti della tela, per occupare lo spazio circostante e farsi entità autonoma, sottraendosi così al compito di imitare la realtà per diventarne parte. L’intenzione di uscire dal quadro e di inglobare nell’opera l’ambiente esterno aveva portato, tra il ’68 e il ’69, alla realizzazione di Fiori ed Alberi, sculture portatili in legno, collocate in piazze e spazi aperti ed estese alla partecipazione collettiva. Tali figure ridotte alla loro essenzialità formale, sono state contemporaneamente eseguite nella bidimensionalità del foglio, nei collages con carta plastificata. Dare all’opera un ruolo in-
dipendente e libero, dotato di proprie regole percettive, rendendola oggetto finito nella sua specificità, trova risposta nella trasformazione del colore in luce pura. Il vuoto apparente che domina il centro della tela è luce tesa ad esprimere uno spazio sconfinato, distinto dall’assenza di un centro in cui l’uomo, raccolto in un momento di totale meditazione, ha la facoltà di reinventare un mondo, nella piena autonomia di scegliere tra positivo e negativo, tra appropriazione o negazione di valori assoluti. Come dichiara l’artista: “appare evidente il profilarsi di una sosta contemplativa e silente nel vuoto-luce, che però vuoto non era. Forse fu il desiderio impossibile di scoprire una luce trascendente”. Agnese Miralli
nicità di una persona, il volto. È un'azione ritmica. Probabilmente qualcuno la porta avanti con forza, altri con lentezza. Tutti, sicuramente, con una certa fatica. È un gesto semplice, anche quotidiano, che capita forse talvolta di fare per gioco o per scherzo, ma che diventa un atto di negazione. L'azione è basata sul respiro. Eliseo Cannone Alessandro Pelicioli Anna Coppola Greta Agresti è una riflessione sul ritratto. Al di là del vetro che separa ogni persona nel suo spazio privato, si avverte il corpo attraverso il respiro. L'affanno è dato dallo sforzo compiuto nel tentativo di mantenere costante una situazione, almeno fino allo scadere del tempo stabilito. Cinque minuti è la durata prefissata dell'azione. La situazione è carica di tensione,
non solo perché ai performer è richiesto molto in termini di energia e concentrazione. C'è un moto ondulatorio tra vedere e non vedere, tra qualcosa che appare e si appanna. La performance oscilla sul filo teso tra la presenza fisica, individualizzata del corpo, e il suo azzeramento. Alessandra Pioselli
[acrilico su tela, cm. 150x100] Courtesy Galleria Miralli, Viterbo
1973 [acrilico su tela , cm. 105x85] Courtesy Galleria Miralli, Viterbo
6Filippo Berta, progetto evento performativo (courtesy Placentia Arte, Piacenza)
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attività espositive
RECENSIONI
MARGHERITA MORGANTINI DIEGO ZUELLI Galleria G7, Bologna
ostretta ad abbandonare lo spazio C storico, Ginevra Grigolo ha optato per il pieno utilizzo dell'ex falegnameria in via Val d'Aposa 4/a, appena di fronte al precedente spazio espositivo. Un nuovo assetto funzionale particolarmente necessario per Studio G7, che per tradizione ospita wall drawings e wall paintings. Intervenire su uno spazio espositivo è partecipare al processo di cancellazione a cui questo è sottoposto regolarmente. Margherita Moscardini (Livorno 1981) ha accettato questo invito come l'opportunità di interrompere quel processo stesso, considerando il proprio lavoro non una mostra che si sommi alle precedenti, quanto piuttosto un intervento che, per struttura, sospenda la continuità dell'attività espositiva. L'autore, lavorando con il materiale strutturale ed elettrico trovato sul posto, ha considerato per prima cosa la trasformazione come possibilità di non produrre residui, sottraendosi alla logica delle addizioni e delle loro sistematiche cancellazioni. Margherita Moscardini ha studiato a Bologna e frequentato diversi workshop tra cui quello della Fondazione Ratti con Yona Friedman, della Fondazione Spinola Banna con Peter Friedl, e con Anne e Patrick Poirier. a video-istallazione che Diego Zuelli ha dovuto adattare allo spazio della ex falegnameria non è quella che era stata pensata quando lo spazio non era ancora ridotto. Il giovane artista modenese non esita ad assecondare le forti caratteristiche dell’ambiente a disposizione, è sedotto dal suo muro medioevale, un po’ curvo dal peso degli antichi pietroni sotto l’intonaco immacolato, ma soprattutto dal fiume che scorre lì sotto, in uno dei tanti canali interrati che la dotta Bologna
L
5Diego Zuelli, Installation view- Courtesy Galleria G7, Bologna
nasconde fra i suoi tesori. Impossibile ambire alla perfetta ortogonalità degli edifici odierni: perciò Zuelli fa compiere una piccola inclinazione all’obiettivo offrendoci la proiezione obliqua di una lingua di luce violenta e il respiro regolare e anche un po’ opprimente di una piena del fiume che invade la sala fino al colmo; poi la svuota con la stessa sicura lentezza. Il video in loop è quasi travolgente, e non solo per il rapporto ben riuscito con lo spazio per il quale è stato concepito come lavoro site specific. Convince la rincorsa di quadri sghembi come scatole di memoria moderna e mondrianesca con opposizione di colori saturi, il blu contro il bianco luminosissimo e l’oscurità contestuale della parete, mentre il ritmo inesorabile dell’alta marea, l’inondazione, si trascina via i nostri pensieri, rallenta il nostro battito cardiaco e ci sprofonda in uno stato d’apnea subacqueo senza turbamenti. La ricostruzione degli spazi al computer, l’esile corredo di elementi per approntare un’azione minimale insieme alla pulizia, quasi al nitore dell’immagine, nonché un sonoro praticamente assente rimandano alla lezione magistrale di Bill Viola, intel-
ligentemente assunto in un corpus di soggetti tutti personalissimi. Anzi, nei lavori precedenti non fatichiamo a riconoscere l’Emilia per certi balloni di fieno, o per quel vortice che ricorda la Cattedrale di Parma ove il Correggio fingeva e sfidava l’infinito in un tripudio di corpi che ha fatto grande il Barocco. E quindi anche le suggestioni accolte dalla storia dell’arte, il gioco delle citazioni, la sovrapposizione di ricordi della tradizione con riprese sul presente, offrono una modulazione nostrana e molto promettente del linguaggio video più attuale. Dopo la personale della Moscardini un altro giovane entra nelle grazie di Ginevra Grigolo, da sempre attenta scopritrice di giovani talenti che alterna ai grandi maestri nella consuetudine di promuovere e seguire gli artisti nel loro cammino in un rapporto che diventa alla fine di lunga frequentazione e quasi amicale. Si riconosce negli anni il valore di una galleria che resiste alla dilagante indifferenza che divora anche gli spazi, affermando nella sua mission e con non poca enfasi sempre anche la volontà di fare cultura. Il che non è poco. Francesca Alìx Nicoli
DAVID TREMLETT A arte Studio Invernizzi, Milano
tto wall drawings di grandi dimenO sioni, creati appositamente per l’occasione, costituiscono l’insieme della mostra personale che la galleria milanese dedica all’artista inglese David Tremlett: le otto articolazioni cromatiche, fedeli alle geometrie impresse dal tipico colore-forma dell’artista inglese, tessono una relazione stretta con il luogo nel quale s’inseriscono e con le sue dinamiche rese esclusive da questa nuova presenza. La materia cromatica – unita in alcuni casi ad un alfabeto reso universale nella ripetizione dei suoi caratteri – si costituisce come possibilità privilegiata legata al luogo, tanto da rendere transitoria ed irripetibile ciascuna opera. Tremlett imprime inoltre una vitalità particolare al suo colore con il quale interagisce in maniera attiva: nel drawn rubbed smeared – rispettivamente disegnato strofinato spalmato – del sottotitolo comprendiamo quanto fondante sia il rapporto stretto che lega la materia al
5David Tremlett, Wall drawing#- Courtesy A Arte Studio Invernizzi, Milano
suo esecutore. Questa vibrazione vitale, unita al momento reale correlato allo spazio-tempo della sua visione, rende ciascuna opera mezzo per una meditazione profonda. Inoltre la brevità dell’esistenza, la condanna alla cancellazione, indispensabili alla sua ricerca, non vengono mai considerati come un limite, ma
in lui ritrovano, con il legame ambientale, una profonda, quanto estrema, carica poetica esclusiva. Queste caratteristiche conferiscono alle opere di Tremlett una vivacità semplice e spontanea, combinazione peculiare tra un dato di rigore razionale e uno di libertà emozionale. Cesare Galluzzo GENNAIO-MARZO 2010 | 228
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NATURE MORTE Smac, Roma ella “sala grande” della SMAC (SeN gni Mutanti Arte Contemporanea di via Velletri), con la mostra “Nature morte”, si è proposto il tema della metamorfosi dell'uomo e della natura, attraverso l'opera di tre artisti molto diversi e attraverso l'uso di tre linguaggi: la fotografia, l'installazione e la scultura. Le opere fotografiche di Matteo Basilè, le installazioni di Robert Gligorov e le sculture di Franco Menolascina si mescolano nell'allestimento curato da Graziano Menolascina per costruire un racconto ideale sull'uomo contemporaneo e l'ambiente che lo circonda, sempre più estraniante ed estraniato. I tre artisti, attraverso una ventina di opere in tutto, interpretano il tema delle “Nature morte” da tre punti di vista: Matteo Basilè sonda il disagio dell'essere umano, l'ambiguità del diverso, il terrore dell'uomo anziano trasformato dal tempo che passa, in uno scenario grottesco. Franco Menolascina con le sue sculture di bronzo, ferro e ottone, intitolate
5Matteo Basilé, Il peso delle cose
“Trappole”, delinea la natura stravolta dall'uomo, l'ambiente riadattato e mutato da millenni di convivenza con l'essere umano. Robert Gligorov, il provocatorio e spiazzante artista macedone, crea un “ponte” tra le due visioni del mondo: con i suoi artifici affronta l'universo del fantastico; le sue installazioni scioccanti innescano un corto circuito tra reale e immaginario; il suo obiettivo è svegliare l'osservatore da uno stato letargico utilizzando estreme forme di comunicazione. (cs) 3Franco Menolascina,
Il sogno della montagna 1986 [resina e polvere di bronzo]
5Robert Gligorov,
Johnny Cash white guitar and tassidermy birds 200 [installazione]
ANNA SECCIA Palazzo Comunale, Vibo Valentia ella Stanza del colore l’arte non è qualcosa da esporre “N ma qualcosa da vivere, comunicare per darsi uno spazio ed un tempo per guardare nel profondo di sé stessi; è un modo per conoscersi, ritrovarsi, rivelarsi; è un modo per gioire…” Con queste parole inizia il dinamico, coinvolgente ed entusiasmante happening creativo de ”La stanza del colore” condotto dall’artista abruzzese Anna Seccia, nell’androne del Palazzo Comunale di Vibo Valentia nel dicembre scorso. L’artista è stata invitata dalla Camera di Commercio a tenere, nell’ambito del Premio Limen Arte, (curato da Giorgio Di Genova e da altri critici, con la partecipazione di 75 artisti), questa innovativa lezione di creatività , in cui la concezione di arte come atto individuale del singolo viene abbandonata a favore di un lavoro integrato e collettivo, simbolico dell’unione e della partecipazione che deve accompagnare la crescita dell’intera società. L’operazione artistica ha visto coinvolti gli allievi dell’Istituto d’Arte di Vibo con la docente Carmela Sorrenti e della locale Accademia di Belle Arti Fidia con il preside Michele Licata. Sotto la sapiente regia della conduttrice, sottolineati da mirati brani musicali, si sono alternati percorsi meditativi, gestualità ritmiche con il colore, momenti di soggettività e altri di meditazione, per portare i partecipanti in uno spazio “altro” per un lavoro di gruppo che ha assemblato azioni ed esperienze emotive attraverso un viaggio dove le sollecitazioni hanno condotto a continue scoperte per la realizzazione di un’opera pittorica” collaborativa” dalle dimensioni di m.5x2,20, frutto della condivisione di emozioni ed espressività dei partecipanti e che la Seccia ha voluto intitolare ”Energie della Calabria” e che ora, presso la sede della Camera di Commercio, rimarrà patrimonio comune della città e del territorio n 3Anna Seccia, La stanza del colore 2009
[happening, Palazzo Comunale di Vibo Valentia]
6Anna Seccia, Opera collaborativa “Energia della Calabria” 2009 [acrilico su tela cm. 500x220] Courtesy the artist (particolare)
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RECENSIONI
3Bruno Ceccobelli,
intervento nella Chiesa di Santa Maria sopra Minerva, Roma
GALLO, CECCOBELLI, DESSI’ Fondazione Volume!, Roma radizionalmente l’arte è uno strumenT to che ci fa approfondire il nostro dialogo col sacro, il quale, a sua volta, non decade dal suo ruolo di conformazione e dialogo con la nostra vita. Il periodo natalizio vede vicine una serie di date che, oltre a far parte del calendario liturgico, sono celebrazioni di stadi dell’essere di ognuno di noi. L’Annunciazione, il Natale, l’Epifania non sono che la traduzione teologica e la celebrazione del punto di origine di un percorso, dell’inestimabile stupore che una vita appena generata porta con sé, e della manifestazione e condivisione di un questo momento di gioia. Ma questi sono anche argomenti tipici dell’arte e della ricerca estetica. Da queste considerazioni, non si può nascondere una sincera approvazione per questa serie di eventi decisi dal Vicariato di Roma, che ha voluto sostanziarli con altrettanti
6Giuseppe Gallo, intervento nella Chiesa SS.Giovanni e Paolo al Celio, Roma
concerti. L’incontro dunque è stato di due linguaggi; ma anche di due estetiche, poiché per la musica sono stati privilegiati in genere capolavori del passato, mentre per l’arte sono stati convocati Giuseppe Gallo, Bruno Ceccobelli e Gianni Dessì. I tre appuntamenti si sono svolti nelle chiese dei SS. Giovanni e Paolo al Celio, Santa Maria sopra Minerva e San Marcello al Corso, luoghi di magnifica bellezza, che non solo hanno fornito la necessaria cornice all’evento, ma lo hanno anche accompagnato nel suo svolgimento, nutrendo inedite connessioni spaziali. Uno dei grandi temi della ricerca artistica è la traduzione dei suoni in forme. Questi rapporti sottili sono stati investigati con grande attenzione anche da Paul Klee, che era un valente violinista. Ma un pensiero di questo genere sottostà anche all’opera di Giuseppe Gallo. I suoni generati da un piccolo ensemble strumentale misto (a cui sono state aggiunte anche le percussioni e la notevole voce di Patrizia Bicciré per il Salve Regina di Pergolesi) sembravano, più che commentati, esemplificati da una miriade di frammenti di ritratti di musicisti e di date che alitavano sopra l’orchestra. La sensazione predominante era di una cristallizzazione dei suoni stessi; questi, per mezzo dell’arte, edonisticamente sembravano godere di se stessi nella loro sospensione in aria. L’episodio di centro di questi appuntamenti è stato riservato a Bruno Ceccobelli. Il connubio tra un vibrante percorso eucaristico e un ideale percorso ascensionale è uno degli abbinamenti più frequentati dalla cultura occidentale. Ciò che è maggiormente depurato, ciò che si allontana dall’animalità, si trova in alto, assieme all’aria, al fuoco e alla luce. Proprio di questi elementi si nutre questa opera che, in ossequio ad una tradizione che va Platone a Daumal, assegna alla vertigine dell’ascesa l’ufficio di portare a compimento un percorso totalmente umano, rappresentato in questo caso da passi che, sebbene siano frequentemente presenti nell’opera di Ceccobelli, stavolta sono chiaramente di un pellegrino. La musica scelta per questa occasione è un capolavoro barocco, una delle vette della musica. A volte la scrittura di Händel lascia spazio a critiche di eccessiva disinvoltura. Queste si devono arrendere di fronte l’entusiasmo e la perfetta risoluzione timbrica e ritmica del Messiah. Il
PAOLO CONSORTI Piazza del Comune, Assisi ulla piazza del Comune di Assisi, l'arS tista marchigiano Paolo Consorti ha interpretato la tradizione del presepio attraverso il linguaggio dell'arte contemporanea. In Free Tomorrow, video-affresco digitale, tecnologia e tradizione sono state fuse in una visione dal forte impatto emotivo e scenografico. Paolo Consorti, confrontandosi in maniera del tutto inedita con il tema della Natività, crea un flusso di immagini e suoni spirituali, e modula il tema religioso in un'iconografia attuale. La scelta di Assisi come città ospitante è legata all'invenzione del presepio da parte di San Francesco nel 1223. Il Comune di Assisi, attraverso questo evento, ha inteso testimoniare il proprio ruolo di custode della tradizione del presepio: Free Tomorrow infatti è un
5Paolo Consorti, ”Free Tomorrow”
[video affresco digitale, installation view] Piazza del Comune, Assisi
omaggio a San Francesco e a Giotto, che per primo dipinse l'istituzione del presepio nella Basilica assisiate. Lo scenario dei presepi tradizionali diventa in Free Tomorrow una struttura architettonica fatta di lamiere, una vivacissima favela, nei cui squarci, tra bagliori di luci e scritte al neon, appaiono filmati tratti da YouTube: l'umanità di Paolo Consorti è un insieme di frammenti di vita vera che anima un presepio vivente fatto di realtà di-
5Gianni Dessì,
intervento nella Chiesa di San Marcello al Corso, Roma
terzo appuntamento è stato animato da un’opera di Gianni Dessì. Lo stridore di questa testa rossa di cera, posta studiatamente in mezzo a busti di notabili ivi sepolti, ci riporta alla problematica dell’Epifania, tutta legata al tema dell’esposizione. Guardare è ferire, secondo un’interpretazione biblica dell’arte, e in questa opera di Dessì vediamo un uomo ferito mortalmente dai nostri sguardi, che non può ricambiare, poiché le sue orbite sono vuote e difese da una rete. Ascoltiamo un grido muto, lo stesso che proviene anche da altissime pagine letterarie (pensiamo a Beckett, a Barthelme, a Conrad), e la denuncia di un orrore così ampio e profondo da generare silenzio. La chiesa può essere il luogo giusto per raccogliere questa orazione muta, che in tempi di pesante ostilità nei confronti dell’umano, si eleva come se provenisse dall’abisso. Il panorama della musica europea è stato completato col terzo concerto, che ha proposto musiche rinascimentali eseguite con strumenti originali. L’organizzazione della parte artistica di questi eventi è stata affidata alla Fondazione Volume! che ha curato un abbinamento tra arte, musica e ambiente sottile ed affascinante, con le magnifiche foto di Rodolfo Fiorenza. Questo è stato anche un modo per riprendere un dialogo tra antico e attuale che, se mancante, ci renderà più poveri. Paolo Aita
stanti ma ugualmente reali. I suoni della strada si alternano alla voce di un coro; una cometa luminosa si muove tra primo piano e fondo, enfatizza i movimenti di un cosmo fuso alla memoria di cieli giotteschi, e incornicia lo sguardo di un Gesù che sorride da uno schermo incastrato tra le lamiere di un mondo pericolante. Tra realtà e finzione Paolo Consorti inventa una visione digitale che parla del nostro tempo, e fa rivivere la tradizione del presepio nel presente. Free Tomorrow, è la scena della Natività nel mondo tecnologico e globalizzato, l'espressione di una spiritualità pura e trascinante, che unisce luoghi lontani e diverse culture. Paolo Consorti, qui come in altri suoi lavori, mostra come i media tecnologici possano avere affinità con contenuti spirituali. Il presepio, smaterializzato nel video, si presenta come un'emozione intensa che riguarda la religiosità del "fare il presepio", e richiama il senso di eternità che è contenuto in questa antica tradizione. (GG) GENNAIO-MARZO 2010 | 228
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Quando la luce sconfina in un’altra realtà
CARLO BERNARDINI di Valentina Pinto
’installazione si appropria dello spa“L zio e lo fagocita nel suo interno”. Così Carlo Bernardini ha voluto concepire il grande intervento ambientale in fibre ottiche che dai palazzi di via del Consolato a Roma penetra negli spazi espositivi della Galleria Delloro Arte Contemporanea, coniugando l’ambiente esterno con gli ambienti interni in un opera d’arte unica, l’ultimo “spazio mentale” dell’artista. Al centro della prima sala una grande scultura in acciaio inox riceve la fibra ottica e ne moltiplica le geometrie di luce sulle pareti della galleria, per poi proiettarle all’esterno sui palazzi circostanti. Le linee di luce ridisegnano così la facciata cinquecentesca di San Giovanni dei Fiorentini che fa da sfondo all’intervento ambientale, allo spettatore viene rivelato uno spazio riconfigurato completamente, le architetture circostanti continuano ad esistere ma reinterpretate con diverse prospettive, un nuovo piano geometrico vi si sovrappone ma contemporaneamente interagisce e dialoga con esse. Lo spazio, elemento centrale nella ricerca di Bernardini, sembra essere continuamente in bilico nello sconfinamento tra la sua valenza fisica e la sua valenza mentale. Come lui stesso scrive infatti “Non è la forma installata ad adattarsi al luogo, ma il luogo a trasformarsi a sua immagine”. Bernardini sembra voler trasformare gli spazi reali delle sue installazioni in spazi puramente mentali, diventa allora, quello attraverso le sale della galleria, un viaggio emozionale in luoghi che non hanno più le dimensioni originali, le proporzioni di prima; un viaggio in spazi che hanno mutato la loro stabilità per cederla a quella fluttuante della luce. E del buio. “Quel buio che in qualche modo fa nascere in noi una nuova possibilità di vedere” come scrive Silvia Pegoraro in un suo recente testo sull’ artista. Ma l’installazione alla Galleria Delloro assume una valenza sopratutto riepilogativa, in essa sono racchiusi i concetti e i traguardi dell’ ultimo anno di ricerca, anno che soprattutto sotto il punto di vista espositivo per Bernardini è stato veramente impegnativo: Dal grande intervento ambientale in Piazza S. Stefano a Bologna in occasione dell’ Arte Fiera 2009, all’ installazione a New York per il D.U.M.B.O. Art Festival; dalla partecipazione al progetto Twister dei musei lombardi che ha portato all’acquisizione da parte del MAM, Museo d’Arte Moderna di Gazoldo degli Ippoliti, di una sculto-installazione di 6 metri, all’ invito del Museo di Arte Contemporanea di Lugano con un’ opera omaggio a Duchamp; al più recente spettacolare intervento ambientale al Palazzo Litta, sede della Direzione dei Beni Culturali di Milano. Coronamento ulteriore di questo denso anno espositivo sarà la presentazione di un volume monografico che ripercorre gli ultimi 20 anni di attività: presentato da Bruno Corà, si intitolerà La luce che genera lo spazio. 72 -
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5Carlo Bernardini,
6Carlo Bernardini, Permeable Space 2009
Le ricerche, le domande e le sensazioni di Carlo Bernardini nei confronti del suo spazio e della sua luce continuano a farci interrogare. “Nell’eterno compromes-
so tra il reale e l’illusorio vi sarà sempre una natura misteriosa, la quale ci accompagna come la nostra ombra”. n
La Luce che genera lo spazio, [installazione ambientale, piazza dell’ Oro - via del Consolato, Roma] Delloro Arte Contemporanea, Roma 2009 - 2010.
[fibre ottiche e superficie elettroluminescente, mt h 3,60 x 10 x 7,5.] The 13th D.U.M.B.O. Art Under the Bridge Festival, New York 2009.
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attività espositive
RECENSIONI
5Carlo Bernardini,
Fantasma di Duchamp Fibre ottiche, plexiglass, superficie OLF e videoproiezione. Corpo, Automi, Robot. Tra arte, scienza e tecnologia, Museo d’arte Lugano Villa Ciani, Lugano, 2009.
6Carlo Bernardini,
La Luce che genera lo spazio, [particolare dell’installazione] Delloro Arte Contemporanea, Roma 2009 - 2010.
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RAIMONDO GALEANO Oratorio San Filippo Neri, Bologna
olitariamente” si apre la pittura “S dell’artista Raimondo Galeano, pittore della luce, primo a riuscire a fondere la percezione dell’opera diurna a quella notturna con l’utilizzo di un particolare pigmento luminescente. Artista autodidatta, vanta un passato d’apprendista negli studi dei grandi della scuola romana quali Angeli, Festa e Schifano, ma riesce, nonostante le influenze, a staccarsi e a trovare la sua strada ricercandola non tra i pennelli intrisi di colore, bensì tra particelle di atomi eccitati che liberando fotoni, rendono percepibile, nel buio più assoluto, l’opera celata, un’opera che ha una doppia vita. Raimondo con i suoi lavori notturni mette in evidenza ciò che esiste intorno a noi ma che spesso è diverso da ciò che vediamo. Un’emozione che nasce dalla presa di coscienza dell’artista che ci dice che il colore non esiste, perché in assenza di luce nessuno di noi sarebbe in grado di distinguerne alcuno. Cosi, catturando la realtà attraverso la sua pittura ci apre un mondo inimmaginato dove le sagome prendono vita e si animano d’emozioni e sentimenti che corrono attraverso l’oscurità e rendono visibile ciò che prima era invisibile. Un rappresentare l’irrappresentabile, traducendo in immagine luminose, un’idea, un sogno e un obiettivo di ricerca. La differenza sostanziale sta nella visione sfaccettata che di giorno si nasconde dietro ad una tela bianca e di notte sfonda le barriere dell’ignoto risolvendo l’enigma di ciò che cela dentro di essa. Un lavoro poliedrico, il suo, perché non solo s’impone di far apparire l’invisibilità delle tele ma allarga anche i confini del percepibile nello spazio dell’ignoto. Sono queste le premesse che ci conducono a visitare l’Oratorio di San Filippo Neri in occasione della performance di Raimondo Galeano durante la quale si può ammirare ed ascoltare i dieci bambini del coro PI.CA.BO diretto dalla soprano Satomi Yanagibashi, vestiti di una piccola tunica bianca lavorata precedentemente dall’artista. Un vero e proprio spettacoloconcerto quello eseguito dai piccoli cantori, che a luce accesa riescono a far rivivere l’Oratorio con le loro voci bianche e con il buio diventano presenze illuminate e angeliche all’interno del luogo sacro. Un passaggio lieve e morbido ci conduce dentro l’edificio, lo spettatore è coinvolto in un gioco tra vedo e non vedo, luce e oscurità, una luce che vede la maestosità degli affreschi e l’oscurità che illumina ed esalta le opere di Raimondo Galeano che si aggirano e fluttuano sul palco. I bambini si trasformano e lo fanno sconfiggendo la paura del buio indossando una tunica di luce che, con stupore ed esaltazione, li porta alla velocità della luce a navigare verso i confini dello spazio alla stregua di Navigatori del Cosmo. Simona Gavioli 74 -
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5Raimondo Galeano, Installazione Cinema 2006
Collezione Fam.glia Bettini (San Marino di Bentivoglio-Bo)
6Raimondo Galeano, (particolare di un’opera incompleta) B.A.S.T.A. Collezione Cesare Marretti
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attivitĂ espositive
RECENSIONI
5Raimondo Galeano, Venezia blu notte, 2008 [dittico 100 x 100 cm. - collezione privata]
6Raimondo Galeano, Primavera di Praga 2009 Collezione Fam.glia Tollio ( Bologna)
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ENZO GUARICCI Galleria Giraldi, Livorno
uando si parla della differenza tra Q l’essere e l’apparire nella scultura contemporanea, si è soliti pensare ai Ready Made attraverso i quali si conferisce “dignità artistica” ad oggetti comuni. Nella personale allestita nelle tre sale della storica Galleria Giraldi di Livorno, galleria da sempre attenta alla scoperta delle avanguardie italiane, le opere di Enzo Guaricci ci dimostrano quanto l’artista pugliese sia capace di utilizzare oggetti comuni come base per lo sviluppo di un discorso attraverso il quale il “reale” diventa prodotto visivo di un titolo “surreale”. Aspetto fondamentale dei lavori di Guaricci sono proprio i titoli, spesso ludici, talvolta à la Boetti, mai banali. Si va dall’installazione che accoglie i visitatori (Pesci fuor da qua) dove sculture di pesci bianchi e fosforescenti corrono da una parte all’altra cercando l’acqua che non c’è, a “Chiodo Fisso”: un busto di donna trafitto da un enorme chiodo, all’ “Euro o-vale o non vale”: un tributo alla moneta corrente ma che, complice una trasformazione geometrica, sottolinea la fragilità dell’attuale economia. Sconcertazione è il titolo dato a questa mostra che, come scrive Fabrizio Giraldi, è “ allusivo a quell’effetto di spiazzamento nel tempo, nella misura, nella materia “fossilizzata” che è presente nelle opere di Guaricci e che suscita meraviglia e stupore per un poter essere che non è, per un essere che non può essere ma che avrebbe anche potuto essere”. Interessante è la tecnica esecutiva delle sculture di Guaricci: “fossili” contemporanei realizzati in polveri di marmo e resina. Sono sculture dove il presente sostituisce il futuro e si confonde con il passato. Palloncini pietrificati che sembra quasi sfidino le leggi della fisica riportando alla nostra mente nostalgie di un passato che in realtà passato non è, rintocchi di campane che si rivelano al visitatore soltanto nell’ultima sala dell’esposizione e creano quello che l’artista chiama un “concerto con certo sconcerto”. L’artista rielabora temi millenari come l’eros. Con Semaforo a luci rosse si estingue la funzione intrinseca dell’oggetto e il semaforo diventa fonte di luce 6Enzo Guaricci, Chiodo fisso
[courtesy Galleria Giraldi, Livorno]
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5Enzo Guaricci, Caro amico ti scrivo [courtesy Galleria Giraldi, Livorno]
5Enzo Guaricci, Pesci fuor da qua [courtesy Galleria Giraldi, Livorno]
alternata per quadri “fossili” che ritraggono immagini osé. Guaricci è dunque il poeta del “come eravamo domani”. Le sue sculture, estremamente intelligenti, sono il frutto di una cultura Mediterranea che l’artista ha saputo sapientemen-
te plasmare. Sono forse proprio queste le memorie che il grande matitone “Caro Amico ti scrivo” intende lasciare al visitatore. Carlo Berardi
6Enzo Guaricci, Concerto con certo sconcerto [courtesy Galleria Giraldi, Livorno]
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attività espositive
RECENSIONI
3Alba Savoi,
Berlino, 2006 [80 x 80 cm.]
4Alba Savoi,
Assuan, 2006 [80 x 80 cm.]
ALBA SAVOI Galleria Scoglio di Quarto, Milano lba Savoi sembra intendere la pittuA ra come scrittura. Diario intimo di sé e delle cose del mondo. Affabulazione cromatica dei segni. Una sorta di alfabetizzazione dei colori, simbolizzazione della materia e svelamento emozionale. Nel cuore del'900 e in pieno clima di Avanguardie uno dei precetti fondamentali per gli artisti era “Rompete le righe”, e Alba Savoi sembra averne non solo raccolto pienamente l'invito, ma ne ha incarnato lo spirito battagliero, di ricerca e sperimentazione linguistica, tanto da darne il titolo a una sua opera (tra le più caratterizzanti e originali del suo percorso, e prontamente segnalata da Mirella Bentivoglio). Si tratta di un libro d'artista del 1988 che ricorda uno di quei quaderni a righe con copertina nera di scuola, antesignano dei famosi Moleskine, ma riprodotto su tela e poi ritagliato, con grande effetto materico e concettuale insieme, poetico e stilistico. Era la prosecuzione di un discorso molto coerente e preciso di Alba Savoi che era iniziato con le suggestive, plastiche Contropitture, le Xeroxculture e la frequentazione della Mail Art e la realizzazione di Libri d'Artista di cui è una delle più interessanti ed originali interpreti. Tutto un percorso di riflessione e di analisi poetica e stilistica che tende ad andare oltre il quadro e la pittura, comunque incentrato sulla “scrittura”, una sorta di visione prospettica del libro assoluto, sognato da Mallarmè, la parola che si fa corpo e visione. E non ci sorprende che per arrivare a questa sintesi finale sia passata attraverso l'esperienza totale della piegatura, dei grafismi antichi o delle tracce iconiche ed
esistenziali lasciate sul muro di Berlino. E quì scopriamo due altri aspetti fondamentali del suo recente lavoro: l'amore per i muri e le tracce iconiche e aniconiche che svelano e rivelano la storia delle cose e delle parole e l'uso della fotografia come lavagna cromatica in dissolvenza, di una memoria moltiplicata di significati e di segni. Il pattern cromatico o segnico, diventa in lei strumento di modulazione poetica, feticcio di una traccia cromatica, evoluzione di un sogno nascosto tra le garze e tra pieghe su pieghe. L'originalità stilistica e la libertà linguistica che dimostra, sono frutto dicevamo di quella libertà di stile e gusto della sperimentazione dell'area Fluxus ma anche della Pop Art Romana e le sperimentazioni di Bruno Munari e oggi non ci dobbiamo stupire se nella sua maturità artistica, Alba Savoi dimostra una leggerezza di stile e una padronanza tecnica invidiabile che l'hanno portata a realizzare opere interessantissime come Scritture s/velate, Libro Oggetto del 2004 con struttura a fisarmonica; installazioni modulari come Fasti e Nefasti 1999 composta da 26 elementi quadrangolari. Ma le più recenti e interessanti opere (viste nella mostra di Ottobre 2009 a Milano presso la Galleria Scoglio di Quarto) sono quelle ispirate al Muro. E qui si dovrebbe aprire una riflessione sugli aspetti non tanto architettonici e di-sfunzionali dei muri, ma su quelli simbolici. Un muro divide, non fa vedere cosa c'è dall'altra parte, nasconde, è invalicabile ecc..., ma i muri vengono abbattuti, diventano simboli storici di memoria e preghiera, sono lavagne della quotidianità pubblicitaria. A tutti questi significati fa appello Alba Savoi nelle sue opere Dal Muro di Assuan, Dal Muro di Parigi, Dal Muro di Berlino, tutte del 2006, tecnica mista. Su questi muri resta impresso per sempre il
respiro della Storia, l'anima del mondo, le ferite e le speranze della quotidianità e se l'arte della Savoi, è iniziata con quel “rompete le righe”, molti anni fa, oggi l'Artista si riappropria di tutta la sua libertà significante e stilistica, sempre alla ricerca di un nuovo idioma (fotocopia, pixel, garza, pieghe, scrittura) , per farsi medium di un dire e un fare dentro le cose più intime delle storie private e pubbliche, per annotare sui suoi taccuini d'artista, virtuosismi e fantasmi di un linguaggio in cammino verso il flusso misterioso e affascinante della vita. Tutta l'Arte di Alba Savoi è un invito a leggere tra le righe, ad andare oltre il significante, i simboli e i miti della scrittura e dell'immagine, è un ritorno all'etica e alla moralità dell'arte che non si vuole arrendere ai destini delle tecniche e delle mode imposte dal mercato. Alba Savoi sa che l'atto creativo non potrà mai essere controllato e sostituito da nessuna incompiutezza dell'essere e che ogni opera è un'esperienza creativa in cui l'artista ci fa entrare nel suo labirinto d'Amore. Da qui il suo gusto per due proprietà essenziali di un'opera: la manipolabilità o trasfigurazione dei materiali creativi (foto, garze, fotocopie, stoffe, ecc…) e la relazionalità (l'opera è sempre un medium di relazioni e inserita in un contesto storico). Il carattere dialogico e sinestetico del linguaggio è messo al centro del lavoro di Alba: attraverso, segni, geroglifici, lingue e linguaggi lei ci svela il suo essere e la sua speculazione estetica e ci dimostra come attraverso un decostruzionismo linguistico si possa giungere a una sintassi, quasi un dettato dell'Essere tra mimesis e catarsi. Con il suo lavoro Alba ci ricorda che: “Ci sono cose che vediamo. Altre che non vediamo. In mezzo ci sono gli Artisti.” Donato Di Poce
3Alba Savoi,
Parigi, 2006 [80 x 80 cm.]
4Alba Savoi,
in attesa, 2006 [80 x 80 cm.]
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ELISABETTA CATALANO Pio Monti, Arte Contemporanea suoi occhi non possiamo dimenticarli. Ifulminati Bellissimi, agili e seducenti ci hanno nell'harem di Guido Anselmi/Marcello Mastroianni, summa dell'universo felliniano. Ma proprio su quel set gli occhi di Elisabetta Catalano sono diventati osservatori ed interpreti del mondo, sviluppando quello sguardo ostinatamente raffinato che ne ha fatto uno dei più noti testimoni con l'obiettivo del nostro tempo. Alla Galleria Pio Monti di Roma, dal 4 al 20 dicembre, una sfida singolare: le facce d'artisti e l'artista del ritratto; le visioni, i fantasmi e gli specchi di 19 artisti contemporanei (per non parlare del gallerista!) sotto la lente di Elisabetta e la sua capacità di doppiare ogni proiezione
5Foto di Elisabetta Catalano: Teresa Iaria 6Foto di Elisabetta Catalano: Bruna Esposito
6Foto di Elisabetta Catalano: Mark Kostabi
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5Foto di Elisabetta Catalano: Enzo Cucchi
per fissare in una cascata di reazioni chimiche sulla pellicola il precipitato sottile tra un volto e l'arte nascosta in quei tratti. La mostra è poi diventata una festa. Ogni artista, gratificato dalla proprio immagine ma anche spiazzato come un Calaf espugnato dal "segreto chiuso in me", ha voluto ringraziare Elisabetta/Turandot -e riaffermare la propria (in)fedeltà al ritratto-, con un lavoro ed una performance, giocando dunque di rimando con le foto, un pò come un paradosso con la sua forma logica. Naturalmente il gran maestro dell'entropia e del tempo, Gino de Dominicis, incurante della sua biografia, è stato presente in absentia: l'arte
supera la scienza e dà un senso nuovo al senso comune che lo voleva banalmente "morto". Vettor Pisani, indagatore dei misteri dell'origine, ha mostrato del suo viaggio iniziatico le cifre essenziali: una donna a gambe aperte con una vagina di coccio dalla quale si partiva un fiume con caravelle, nero, lungo e stretto come la vita, mentre l'ineffabile ragazza post-sovietica Karolina Liusikova suonava il pianoforte ed avrebbe fatto innamorare un Bulgakov.In equilibrio su un pallone nella foto proprio come la sua arte lo è tra sintassi e semantica e tra oriente ed occidente, H.H.Lim ha evocato lo spirito zen sfidando una spada di ferro con un frolli-8
6Foto di Elisabetta Catalano: Vettor Pisani (performance)
6Omaggio ad Elisabetta Catalano, Nicola Monti legge una sua poesia per Elisabetta
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attività espositive
RECENSIONI
7 no, mentre un ABO "pop" (Achille Bonito
Foto di Elisabetta Catalano: 5Gino De Dominicis e 6 H.H.Lim (performance)
5Foto di Elisabetta Catalano: Maurizio Mochetti (il rosso neo di mao). 6Omaggio ad Elisabetta Catalano, Galleria Pio Monti
Oliva) ha disegnato il legame circolare tra l'artista/Batman ed il critico/Jocker. Quasi inquietante, per chi ha frequentazione con il lavoro di Michelangelo Pistoletto, la foto con la moglie Maria Pioppi, quasi un'estensione naturale o una protesi fotografica di quel gioco di specchi e di scarti d' identità che è il lavoro del maestro dell'arte povera, come la maschera che Eliseo Mattiacci indossa nel suo ritratto è l'emblema di una ricerca basata sullo straniamento Al Valentino Zeichen in sandali con bicchiere di vino risponde un Valentino Zeichen sdraiato in terra a declamare versi, Mark Kostabi ritratto con una lunga sciarpa sembra quasi l'icona di sè stesso, mentre il suo alter ego musicale si abbandona all'improvvisazione pianistica. Al perfetto ritratto della sua fisicità, Alfredo Pirri ha risposto con una luce intensa che illumina un mondo di delicati frammenti di carta, consanguinei dei suoi specchi rotti. La corporeità della luce e la sua capacità di ridisegnare il senso delle cose nel lavoro di Maurizio Mochetti- ritratto da Elisabetta in una densità d'azzurro-, ha preso l'aspetto di un gioco sulla storia:"il rosso neo di mao" evidenziato dal un laser su un ritratto nero del padre del confucianesimo comunista. Enzo Cucchi, pensoso e svagato, ha trasformato la sala in un taccuino dei suoi appunti surreali, laboratorio linguistico dei suoi depistaggi. E poi le geometrie rarefatte di Ettore Spalletti, e l'evaporazione dei formati di Emilio Prini, quest'ultimo a pieno viso, presente a tutto tondo come soltanto riesce ad essere nelle sue essenze. Il teatro dell'esistente e della dichiarazione che lo giudica e non lo assolve nell'intensa foto di Fabio Mauri, che ci riporta al peccato originale del nostro tempo, la dimenticanza. Il flauto dell'Apollo/ Jannis Kounellis e la bicicletta del monaco Idetoshi Nagasawa, leggero con le sue scarpe da tennis, raccontano all'Occidente di un moto perduto e di una leggerezza da conquistare. Il tableaux-vivant Luigi Ontani interpreta sè stessi in innumerevoli personaggi. L'ultima sera tocca a due "fiere dell'arte", Bruna Esposito e Teresa Iaria: la prima con il suo gesto semplice, i sassi a bollire in un angolo ed un cespuglio di lauro sul piano, l'altra propone un gioco di risonanze tra le immagini delle sue figure atemporali ed i versi di Giulio Marzaioli sul tema della modularità. A questo punto la mostra si trasforma in festa, PioMonti gran maestro di cerimonie, con Laura Cherubini in Bellezza, Arguzia e con-collana-di-coralli, e le immancabili poesie a zig-zag di Nicola Monti, e vicini e lontani, permarimonti, Gino e Francesca Monti. Tutto registrato con affetto e delicatezza dalle "foto di famiglia" di Aldo Ponis. Sono in mezzo a loro, tra sguardi incrociati e visioni del mondo. Ad ogni artista Elisabetta Catalano ha saputo dare volto, restituendogli la sua immagine. Qualcosa di più: Le fotografie di Elisabetta hanno realizzato un'impresa difficile, hanno fermato visioni del mondo. Con l'essenzialità e persino la spietatezza che le è propria. Lo sguardo di Elisabetta è tutto qui: la tecnica messa tra parentesi, ogni abbellimento abolito. O il volto o nulla. Non avrai altra immagine al di fuori della tua. La festa continua, gli artisti sono soddisfatti. Il tutto è superiore della somma delle parti, dice il mio conterraneo Battiato. Questa mostra è stata qualcosa di più che un'esposizione di foto. Un gioco di sguardi, visioni, rimandi. Nella folla, cerco gli occhi di Elisabetta. Sorridono. Ignazio Licata GENNAIO-MARZO 2010 | 228
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“NASCOR” FRA ARTE E NATURA Fondazione Noesi Studio Carrieri, Martina Franca a ‘questione ecologica’ è al centro L della mostra “Nascor fra arte e natura” ospitata nello storico Palazzo Barna5Nino Migliori, Il tempo rallentato
NINO MIGLIORI Borgo Storico Seghetti Panichi, Castel di Lama (Ap) l Borgo Storico Seghetti Panichi ha recentemente ospitato la mostra del fotoIgrafo Nino Migliori curata da Marisa Vescovo. Un progetto particolare, tutto incentrato sulla natura che dialoga attraverso un gioco di rimandi e di suggestioni con il luogo scelto per l'esposizione. Il Borgo, sito sulle colline del piceno, si sviluppa attorno ad un parco straordinario progettato nel XIX secolo dal botanico tedesco Ludwig Winter. Così la natura di Migliori si confronta ed ad un certo punto interpreta le meraviglie del parco, le suggestioni delle sue luci, la bellezza delle rarità botaniche che ospita. La fotografia è da una parte uno strumento puntuale per l'indagine sulla realtà ma dall'altra è anche il punto di partenza per una nuova ed emozionante sperimentazione. Uno sguardo alle opere ci fa rendere conto che in Migliori queste anime convivono attraverso una continua tensione tra una rappresentazione quasi documentale ed una sperimentazione che porta la fotografia in una dimensione quasi estranea a se stessa, quella della pittura. La rappresentazione sembra allora travalicare il confine del mezzo acquisendo una forza straordinaria, un potere comunicativo inimmaginabile. La mostra ripercorre, attraverso le opere, diversi anni di lavoro di Nino Migliori e consente di avere uno spaccato del fotografo bolognese dagli anni Settanta ad oggi. Uno spaccato interessante in cui si delinea un artista mai ripetitivo che riesce, come un alchimista, a tirar fuori da ogni progetto e da ogni tema un risultato nuovo e stupefacente. Così se nell'herbarium il gesto fotografico è puro e già nel nome l'autore ci dichiara la ricerca di verità a cui la natura viene sottoposta, nella serie naturalmente del 1986 questa si trasforma in struttura, grazie alla sperimentazione di uno spirito curioso che ci mostra lati inconsueti di visioni quotidiane. Un percorso che si snoda tra immagini dalla forte carica concettuale che ci portano a riflettere sulla vita quotidiana come le nature morte del 1977 o la frutta e verdura del 2006, per citarne solo alcune, e immagini che ci toccano attraverso un lirismo straordinario come il tempo ralentato del 2009 in cui un fondo buio ed uno scatto perfetto immortalano i vegetali attraverso il vetro del barattolo in cui vengono conservate. Qui, con composizioni attente e complice la nostra mente, Migliori, quasi come un moderno Arcimboldo ci fa vedere paesaggi che in realtà non esistono. Ma la fotografia in serie come edenflowers (1984/2005) o intorno a un jungla progettata del 2009 supera il mezzo diventando pittura. Qui l'intervento in fase di sviluppo apre prospettive straordinarie, il gesto segna i contorni, modula i colori e le gradazioni rendendo l'immagine unica, di una delicatezza stupefacente. La mostra si conclude nella dimora storica in cui un libro d'artista, appositamente progettato per l'evento interpreta il magnifico giardino ottocentesco. Stefano Verri 80 -
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ba di Martina Franca, sede della Fondazione Noesi – Studio Carrieri. Il progetto critico-espositivo raccoglie opere di diverse generazioni di artisti che, dagli anni sessanta/settanta sino ad oggi, hanno avviato un intenso dibattito intorno alle problematiche ambientali; dibattito attivissimo anche in quest’ultimo decennio, visto che i condizionamenti della globalizzazione ci costringono ad affrontare la complessità di un pericolo che ormai sfugge al controllo umano: la sopravvivenza del pianeta. Sia in rapporto allo sguardo estetico più storicizzato sia in relazione alla sensibilità odierna, “Nascor” ci consente di osservare a distanza ravvicinata alcune delle principali testimonianze dei fermenti artistici che hanno condotto riflessioni sull’universo naturale. Tra i fenomeni più significativi di tale panorama basato sugli intrecci arte/natura, ritroviamo la vicenda antropo-ecologica di Joseph Beuys che nelle innumerevoli ‘operazioni sociali’ sull’ambiente ha ipotizzato importanti paradigmi di collaborazione tra uomo e natura (pensiamo alle teorie beuysiane della “Difesa della Natura”, all’azione delle 7000 querce di Kassel, ai 7000 alberi di Bolognano). “Il nostro rapporto con la natura è ormai un rapporto distruttivo da parte a parte. – ha scritto Beuys – Esso minaccia la distruzione totale della base naturale su cui noi viviamo. Stiamo percorrendo la via più adatta per annientare questa base mentre pratichiamo un sistema scientifico che si fonda sullo sfrenato depauperamento di questa base naturale.” Dell’artista-sciamano tedesco, proclamatore di soluzioni politico-sociali come quelle dell’Azione di Ricostruzione Terza Via, scopriamo in mostra testimonianze molteplici (particolarmente interessante è il video documentario “Beuys and Beuys” di Peter Schiering). Espresse con modalità etno-antropologiche sono le opere generate dagli incroci natura-tecnica-tecnologia realizzate dal pionieristico Antonio Paradiso (in mostra c’è la nota sequenza di foto del mitico toro Pinco che monta la vacca meccanica alla Biennale veneziana del ’78), mentre i richiami agli elementi della natura miti-
5La sede della Fondazione Noesi
in Palazzo Barnaba, Martina Franca
5Alberto Vannetti, Emblema dell’attesa, 2008 - stendardo e pittura, cm 280x280.
ci e primordiali, archetipici e sacrali sono rivisitati dai lavori di Fabrizio Plessi o di Urs Lüthi (del primo è in esposizione il progetto scritto-grafico per l’imponente proiezione luminosa sul lago Bertasee a Duisburg, del secondo alcune immagini che ci riconducono alla complessità, a volte poco prevedibile, della natura umana con-fusa tra identità e alterità sessuale), e da quelli di Mirella Bentivoglio (in mostra il bellissimo progetto irrealizzato di Uovo-Trullo, richiamo simbolico8
6Mimmo Conenna, Stella cometa ..., anni ‘70 (itinerario neo-litico)
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attività espositive
RECENSIONI
5Giuditta Nelli, Bougďe parfumée ~ bugďa profumata, 2009 [cera gel e materiali vari]
5Mirella Bentivoglio,
Progetto di uovotrullo per Martina Franca, 1979-2009
7 ad una maternità dell’attività creatrice
che si sovrappone alla matrice femminile della casa-guscio) o di Gerardo Di Fiore (esposte le foto della performance “Vita vegetativa”, azione condotta con i degenti dell’ospedale psichiatrico di Napoli). O – ancora – dalle operazione degli anni settanta del compianto Mimmo Conenna, qui documentate mediante la stupefacente installazione della Stella Cometa (architettura a forma stellare con casse-colonna in legno contenenti massi in pietra) accompagnata dalla serie di fotografie scattate lungo la strada da Bari a Martina, descritta con precisione dallo
6Piero Di Terlizzi, Fino a sciogliersi gli occhi.
stesso artista: “Itinerario neo-litico e installazione finale: Ho voluto riproporre oltre che mettere in evidenza il percorso che mi ha condotto sino a Martina come un cammino predesignato da seguirsi in un viaggio ...” (dall’incipit del testo in esposizione). Altra attestazione del lavoro di Conenna sono le testimonianze, foto e disegni, dell’azione-intervento “La moltiplicazione dei pani”, dove le spighe sparse sul pavimento sopra fogli di carta copiativa moltiplicano – con l’andirivieni dei passi degli spettatori – la propria sagoma formale, mistico auspicio propiziatorio di vita che si rinnova (mi chiedo: forse, nelle intenzioni di Mimmo, il passaggio dei piedi sulle spighe doveva tracciare una danza mitico-religiosa tipica della magia rituale mediterranea così ben raccontata da Ernesto De Martino?). Aldilà delle intenzioni riconducibili alla Land Art o all’Arte Povera, nei decenni successivi cambia il ‘sentimento’ della natura ma resta immutata l’attenzione degli artisti per argomenti così ‘vitali’ per la specie umana. Difatti, nell’arco di questi ultimi anni, l’interesse verso le tematiche ambientali riemerge con forza pregnante. E’ il caso delle “Galassie che si formano lungo i filamenti, come gocce lungo i fili di una ragnatela ...” fotografate da Tomas Saraceno; delle ipotesi pittoriche che rivisitano la natura vegetale di Alberto Vannetti; delle foto di Makis Vovlas che con sguardo scientificamente innamorato studia le piante ottenendone immagini formalmente concettuali; dei “Paesaggi lucani” intesi come operazione di Land Art di Antonio Tateo; della suggestiva video animazione 3D “Il Giardino di Maresa” di Maria Grazia Pontormo che gioca con una natura impegnata in difficili partite tra verità e finzione, tra realtà e simulazione; della installazione profumata di Giuditta Nelli che ci induce a riflettere sul dramma delle forme di inquinamento del pianeta. Accanto alle proposte di arte relazionale, performance e video di artisti come Salvatore Manzi, Lello Ruggiero e Ur5o, nelle articolate sale di Palazzo Barnaba possiamo ammirare – con doppio sguardo di Giano – il duplice omaggio scultoreo al respiro del corpo della natura (animale e vegetale insieme) dell’opera “A guardia della natura” di Luigi Mainolfi, che rievoca con la musica dell’acqua e il fuoco della terra la solitudine dell’uomo, guardiano di un pianeta che a malapena riesce a proteggere e salvaguardare. Infine, costituisce un tributo squisitamente pittorico quello delle sperimentazioni linguistiche di Piero Di Terlizzi. Privilegiando l’analisi percettiva di forme/figurazioni quasi organiche, l’artista sospende nel vuoto magico di sensibilissimi campi cro-
Dimensioni cm.200x125, acrilico su carta intelata.
6Joseph Beuys. Courtesy Gino Battista
5Mimmo Conenna, La moltiplicazione dei
pani, Azione-Intervento, 1978. Studio Carrieri, Martina Franca
5Antonio Tateo, Land art, 1992 e 1993
Paesaggi lucani
5Antonio Paradiso
matici alcune visioni che – lentissimamente – nascono nell’ombra e crescono nella luce per misurare il silenzioso scorrere del tempo e la rarefatta leggerezza dello spazio. Visioni che confermano le teorie di Goodman sulle emozioni che funzionano cognitivamente. Maria Vinella
6Fabrizio Plessi,
Progetto per grande riflessione nel Bertasee-Duisburg, 1979 [cm 350x50]
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EULALIA VALLDOSERA Studio Trisorio, Napoli roiettori ronzanti sorretti da cumuli di P riviste. Specchi che ruotano su se stessi. Un libro e una scarpa sulle pareti che si inseguono a velocità costante. Una calma densa, pacata, seducente, avvolge l’ambiente. Siamo all’interno dello Studio Trisorio di Napoli, che dal 09 dicembre 2009, e fino al 28 febbraio 2010 ospiterà l’opera di Eulalia Valldosera. L’artista catalana, recente acquisto della storica galleria partenopea, vi approda con una personale dai toni delicati e leggeri, che solo ad una riflessione più attenta rivelano la complessità dei temi trattati. Superata la prima sala dove ad accoglierci troviamo i suoi ormai famosi Flying objects, il video proiettato sulle pareti bianche della seconda, piccola stanza, cattura la nostra attenzione. Dependencia mutua, il titolo. Una donna delle pulizie, dalle riconoscibili origini est-europee, è spiata mentre lucida una grande statua di marmo. L’uomo imponente e immobile sotto le sue mani da lavoratrice, è l’imperatore Claudio. Ogni particolare, ogni movimento, è indagato dalla macchina da presa, che inquadra la ragazza alle prese con il grande monumento del sovrano. A un tratto, sorprendentemente, lo strofinio diventa quasi una carezza, e l’umile prestazione si tramuta in un sensuale gioco di corpi. Scaltro, affabulatore, provocatorio, il filmato, girato nelle sale del Museo Archeologico di Napoli, rapisce ed incanta, conducendo nei meandri della psiche umana, del conscio e dell’inconscio. Ciò che esso racconta è la reciproca dipendenza fra il potente e l’asservito, la prossimità e la distanza che ne caratterizzano l’indissolubile legame. L’imperatore Claudio rappresenta il maschio, il despota e l’opera d’arte; simbolo del potere, muto, fiero, lontano, esso diventa ad un tratto sorprendentemente tangibile. La violazione è qui l’elemento di rottura. Il subalterno profana l’intoccabile, rompe fra sé e l’altro la barriera di sicurezza. L’atto del pulire, in questo caso molto più che un semplice mezzo per togliere via lo sporco, si fa pratica corporea di scavalcamento sensoriale e mentale, e favorisce, 6Eulalia Valldosera, Xxxxx [installazione]
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complice il tatto, l’incontro di ruoli solitamente opposti e distanti. Poetico ma non astratto, sagace e schietto ma privo di acredine, il lavoro della Valldosera esplora e interroga la parte mascolina e donnesca, dominatrice e dominata, che giace in ognuno di noi, basando la sua potenza comunicativa sulla stessa ambivalenza che intende esternare. I toni delicati, la maniera criptica e velata con cui l’artista affronta questioni sociali ed esistenziali, ci hanno portato a rivolgerle, incuriositi, alcune domande. La civiltà occidentale si contraddistingue per la tendenza a tenere separati gli opposti:il bene e il male; l’uomo e la donna; il corpo e lo spirito. La video-performance che presenti allo Studio Trisorio di Napoli sembra andare invece nella direzione opposta, quando ne sottolinea la reciproca dipendenza. - Mi viene da chiederti, allora, che peso abbia avuto, se ne ha avuto, la cultura orientale all’interno della tua esperienza artistica. - Questa separazione o dualismo nacque nel Rinascimento quando la scienza cominciò a porsi come conoscenza contrapposta, o addirittura avversa, al credo religioso. Da quel momento l’arte, persa la sua sacralità, la sua capacità di coinvolgere, divenne un’anonima pratica di intrattenimento per la collettività. La cultura orientale non arrivò a questo punto di rottura. Gli artisti visivi degli anni Sessanta e Settanta si impadronirono di alcune tecniche orientali;lo fecero consapevolmente, e molti di loro abbracciarono i rituali tipici delle religioni dell’India o del Giappone. Per esempio, Marina Abramovic ed Ulay, impararono le tecniche di meditazione indiane per utilizzarle nelle loro performance, durante le quali restavano fermi per molte ore, facendo in modo che i loro corpi rassomigliassero a degli oggetti fino quasi a diventare tali. In questo modo ci hanno ricordato che la religione insegna che siamo parte della totalità, che la nostra soggettività presa singolarmente non conta nulla. Questi artisti cercavano di fondere le loro singole individualità in un unico sentimento olistico o cosmico. Il movimento era così dall’Occidente verso l’Oriente. Credo che la mia generazione abbia fatto l’opposto, poiché essa ha ricevuto informazioni a sufficienza sulle pratiche ed i principi orientali. Perciò siamo giunti ad una nuova visione della soggettività, che presuppone una nuova concezione dell’oggetto da esposizione, inteso come un mezzo, una parte di un processo più grande;una parte tuttavia necessaria all’interno della ritualità di cui si compone ogni operazione artistica. - Parlami della corporeità. Il corpo, che è sempre stato il riflesso tangibile dei rapporti sociali e di potere, sembra rivestire nel tuo lavoro un ruolo di primo piano, pur se caratterizzato da un’interessante ambivalenza. Nel video Dependencia mutua, esso appare come una presenza incombente. Attori principali infatti sono il corpo della donna e quello dell’imperatore. Al contrario, nei Flying objects, con i quali apri la personale partenopea, e che riproponi anche in quella di Roma, la fisi-
5Eulalia Valldosera, Dependencias [installazione]
cità è soltanto supposta, accennata, ma non visibile. Lì una mano agisce nello spazio senza che si veda cosa o chi la muova. In questo caso l’elemento corporeo si manifesta come una potente assenza. Puoi chiarirci meglio quest’aspetto della tua ricerca? - Nella mia ricerca sullo stato dell’oggetto, nella mia lotta, in quanto artista che all’interno del mercato dell’arte ha bisogno di quest’ultimo per sopravvivere, ho trovato un’alternativa alla creazione del manufatto estetico per inserire il mio discorso personale all’interno della pratica artistica. L’obbiettivo del mio lavoro non è quello di produrre oggetti per collocarli in uno spazio espositivo, ma piuttosto utilizzare e manipolare quelli già esistenti. I lavori presentati allo Studio Trisorio hanno un approccio diverso l’un l’altro, ma sono in realtà complementari. La video-
5Eulalia Valldosera, Still Life, 1999 [installazione]
performance “Dependencia mutua” mette a confronto un essere umano ed un oggetto. Ma la loro natura, ciò che entrambi rappresentano per noi, contraddice profondamente questo dato oggettivo. L’individuo si trasforma in oggetto e l’oggetto in individuo. All’inizio la donna delle pulizie agisce in maniera meccanica, esegue il suo lavoro seguendo gli ordini di un superiore, non ha voce, non partecipa veramente all’azione che svolge, la sua subordinazione la fa rassomigliare ad un oggetto. Nel corso della performance, però, trova il modo per abbandonare il suo stato di subalternità. Lentamente decide di agire in maniera più consapevole, e, in un moto di risolutezza, libera la sensualità latente nell’atto del pulire. Eseguendo il suo lavoro con maggiore dignità, la donna ci mostra l’atto del pulire come un’azione terapeutica, una forma di ristoro, di cura, un gesto dettato dall’amore. Più tardi, però, il suo modo di muoversi attorno alla statua ed i movimenti della telecamera, insieme alle radicali variazioni di luce, fanno trasparire una tremenda ambiguità, e la cura si trasforma in una sorta di desiderio, una sorta di perversa relazione con ciò che la statua rappresenta:una figura ma-8
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INTERVISTE
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qualche modo, la donna finisce col perdere la sua dignità, trasformandosi ed agendo nuovamente come un oggetto, mentre la statua diventa una sorta di corpo vivente. I “Flying Mirrors”, invece, rappresentano immagini di oggetti. Essi non hanno massa, non hanno corpo, ma sono il risultato di una proiezione, il cui movimento è causato dalla rotazione meccanica di uno specchio. La magica visione di questi elementi intangibili, coesiste con la presenza fisica del meccanismo che li rende visibili. Il secondo obbiettivo del mio lavoro è proprio questo:rivelare il meccanismo che rende possibile la messa in scena dell’immagine proiettata. In questo modo evidenzio la separazione tra l’oggetto, il suo corpo e la sua apparenza, rimarcando la scissione che tu hai precedentemente menzionato come tipica dell’attuale pensiero occidentale. - Veniamo alla protagonista del video. É una donna delle pulizie, di provenienza est-europea. A cosa è dovuta la scelta di utilizzare come soggetto della performance una rappresentante non solo di una determinata classe sociale, ma anche di una precisa etnia? - L’azione fa riferimento ad una realtà molto attuale. La maggior parte delle donne che prestano servizio nelle case napoletane sono di origine ucraina. In questo lavoro è importante il fatto che io abbia chiesto alla donna delle pulizie della galleria di sostituirmi in questa performance. Prima di allora ne ero sempre stata io stessa la protagonista, ma questa volta cercavo una sorta di alter ego che accettasse di recitare. Io ero parte del lavoro, ma non ero visibile. Questo gesto si pone come risposta a certe problematiche sociali oggi ancora molto rilevanti. ? una metafora di certi comportamenti che trascendono la politica italiana, e che riguardano il modo in cui ogni forma di potere influisce sui comportamenti umani. Il video è concepito in maniera tale da indagare queste problematiche a partire dagli strati più profondi del nostro inconscio. Forse ciò che unisce i due estremi opposti delle classi sociali è dentro la nostra psiche:il potente crea una relazione di reciproca dipendenza con il sottoposto. Un ruolo ha bisogno dell’altro affinché ciascuno possa giustificare la sua posizione nel mondo. Da un altro punto di vista, mi piace pensare alla figura della donna di servizio come metafora del curatore nell’arte contemporanea. Quest’ultimo è un ruolo fondamentale, ma noi abbiamo dimenticato che è nato come un servizio. Il protagonismo del curatore sta 6Eulalia Valldosera,
Envases: il culto della madre, 1996 [installazione luminosa]
5Eulalia Valldosera,
Flying Mirror - Cleaning [installazione]
aumentando sempre di più, usurpando quello dell’autore, che ha, invece, sempre meno potere. La figura dell’artista è in crisi, dal momento che assume sempre più il ruolo di mediatore tra situazioni reali e territori artistici, tra creazione e sfera pubblica. Il tuo lavoro mi fa pensare al teatro del giapponese Yoshi Oida. In un suo famoso testo, “L’Attore invisibile”, egli afferma che recitare non significa ostentazione di bravura o abilità. La recitazione è per lui, piuttosto, la capacità di rivelare al pubblico ciò che non è fisico, che non è visibile. La tua poetica mi pare fondarsi su un simile equilibrio:la figura dell’artista spesso scompare, ora dietro quella dell’inserviente, suo alter ego, ora dietro oggetti semoventi;una serie di messaggi astratti, ma dal forte impatto sociale, trovano espressione nella ripetizione di azioni semplici e concrete, come quella del pulire. Mi piacerebbe approfondire meglio con te questo passaggio. - Vedi? Tu stai paragonando il mio lavoro a quello di un regista teatrale, e stai centrando il punto. Il mio approccio si basa sulla trasformazione dello spazio artistico in uno spazio concreto, dove non soltanto qualcosa è esibito ma dove qualcosa accade realmente. Le mie sculture sono “mise en scène” di un soggetto invisibile, e lo spettatore si trova di fronte ad uno spazio occupato da oggetti e strumenti apparentemente disordinati, e si sente immediatamente spinto a dargli un ordine logico. Questa è la base della cosiddetta arte partecipativa che oggi invade la scena artistica. Il mio intento è stabilire un collegamento tra il tratto precedente e quello successivo di uno stesso percorso:nell’immediato è l’esperienza ad essere importante, non l’oggetto di per sé. La conservazione del manufatto artistico è diventata non solo un problema filosofico, ma anche una questione economica, e il mio lavoro sottolinea consapevolmente questo stato di cose. Ciò che è importante è come documentiamo un’azione appena svolta, come costruiamo la nostra memoria; la conservazione, l’archiviazione dell’oggetto stesso presente nell’azione non è più importante. Ritorniamo all’atto del pulire. Nella tua produzione esso ricorre più di una volta. É l’azione centrale della video-performance realizzata a Napoli, ma è anche il soggetto principale della personale di Roma, il cui titolo è appunto, “Limpieza”. Che valore attribuisci a questo gesto così prosaico, così umile, e allo stesso tempo così fortemente contemplativo? Penso al significato che esso ha in alcune religioni, al fatto che consente il passaggio da uno stato di cose (sporco-impuro),all’altro(pulito-puro). -Io scelgo quelle attività che sono convenzionalmente, tradizionalmente praticate dalle donne all’interno della società. Questo è il mio modo di fare un’affermazione femminista, ma per femminismo intendo anche un modo di guardare a noi stesse, sia in
senso positivo che in senso critico. Il valore positivo sta nel rimarcare il diritto alla differenza, nel dare voce alle generazioni di donne mute, nel valorizzare il nostro universo di conoscenze. Ma la differenza è ancora utilizzata da entrambi i generi per perpetuare una situazione di ineguaglianza. Ritornando all’atto del pulire, a seconda del senso che gli viene dato, esso si riferisce alla perdita di consapevolezza, da parte della società occidentale, delle relazioni intercorrenti tra mente e corpo. Questa maniera inconscia di concepire la corporeità, porta a considerare la malattia come qualcosa di indipendente dalla persona che ne soffre, ed il corpo come un meccanismo, come un territorio dove è scoppiata una guerra, una guerra dove la salute è chiamata a sconfiggere le forze oscure, gli oscuri virus. Ma questa si rivela essere un’ingenua visione, e noi ci scopriamo incapaci di sconfiggere terribili e complesse malattie. A questo punto è richiesta a gran voce una sorta di pulizia globale, soprattutto da gruppi di attivisti all’interno di molti paesi. Questo determina per me la scelta di utilizzare oggetti riciclati per i miei lavori. -Termino l’intervista con un interrogativo che potrebbe sembrarti banale. ? sbagliato leggere nel tuo lavoro un riferimento alla posizione della donna nella situazione politica attuale? Nel video girato all’in-
5Eulalia Valldosera, Xxxxxxx [installazione]
terno del Museo Archeologico di Napoli, per esempio, la subordinazione della lavoratrice alla statua del potente finisce col trasformarsi in pura libido sessuale. Che valore attribuisci a quest’elemento all’interno dei giochi di potere e di definizione dei ruoli sociali? -In un certo senso nel video io mostro il punto di vista del potente. Questa è una visione riduttiva del potenziale della donna all’interno del mondo del lavoro. Io costrngo lo spettatore ad assumere una posizione di dominio, poiché lo obbligo a contemplare passivamente la ragazza che esegue il suo compito come se traesse piacere da esso. L’umiliazione nasce nel momento in cui si annulla la persona dietro al ruolo che svolge, dando per scontato che le cose resteranno così per sempre. Occorre, dunque, che il potenziale femminile sia rivalutato alla luce di una rinnovata impostazione dei rapporti di lavoro, che siano non di tipo gerarchico, ma di tipo trasversale, e all'interno dei quali il ruolo di ciascuno sia considerato, appunto, complementare a quello dell'altro. Stefania Russo
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ono dissacratori, ironici, graffianti; S autoreferenziali, riconoscibili, familiari. Sono famosi in tutto il mondo per le loro “estetiche pronte”, il loro caustico sarcasmo, l’umorismo inglese, patinato e chic, per il loro essere sempre fedeli a se
stessi, in un ritorno dell’uguale che, anziché sorda ripetizione, è piuttosto marchio di garanzia. Sono Gilbert&George, e non hanno quasi bisogno di presentazioni. Fanno coppia fissa da più di quarant’anni, e il loro lavoro, capace di pe-8
6Gilbert & George “Jack Freak Pictures” [veduta parziale della mostra] Dicembre 2009 - Febbraio 2010 - Galleria Alfonso Artiaco, Napoli
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3Gilbert & George, Jack Wheel, 2008
[cm 226,5 x 254] Courtesy Galleria Alfonso Artiaco, Napoli
7 netrare nell’immaginario metropolitano,
non smette ancora di essere attuale. Cosa dire di loro? Cosa non è ancora stato detto sulle due statue viventi più famose al mondo? La personale Jack Freak Pictures, con cui si presentano alla galleria Alfonso Artiaco di Napoli, li vede riconfermare il successo dell’ormai lontana New testamental pictures, ospitata nel 1998 nelle sale del Museo di Capodimonte. A una prima occhiata, le opere in mostra non sembrano possedere nulla di diverso da qualsiasi altra creazione firmata G&G. Eppure, la persistente, ossessiva bi-partizione del duo, sa riproporsi introducendo, anche stavolta, contenuti nuovi. Una serie di figure mostruose, irreali, risultato della scomposizione dei corpi dei due artisti, si offre allo sguardo del pubblico per raccontare, sulla falsariga di un simbolo famoso come la Union Flag, la vita contemporanea. La bandiera del Regno Unito, nel linguaggio comune Union Jack, espressione di un radicato e convinto nazionalismo, diventa il leit motiv di un discorso che va oltre i semplici particolarismi geografici, e che si allarga ad esplorare la complessità della condizione umana nella sua essenza più concreta. In un racconto che a tratti ricorda il tribalismo, la coppia da vita a figure fantastiche, surreali, dotate di una mostruosità accattivante, glamour, e sorprendentemente attuale. Perché quei mostri, quei freak così artificiosi, che sanno di post-organico e di contaminazioni genetiche, non raccontano poi una favola così lontana da quella che viviamo tutti i giorni. Tutt’altro che grotteschi, coerenti con una ricerca che va avanti da anni, le creature di Jack Freak Pictures riflettono un’immagine che è più veritiera di quanto pensiamo, che ci parla di recinti e conformismo, di luoghi comuni e contraddizioni, di ambiguità e contaminazione, insomma, di vita quotidiana! Stefania Russo
5Gilbert & George, Alevi, 2008 [cm 226,5 x 317,5]
Courtesy Galleria Alfonso Artiaco, Napoli
5Gilbert & George, Starwood, 2008 [cm 226,5 x 317,5]
Courtesy Galleria Alfonso Artiaco, Napoli
6Gilbert & George “Jack Freak Pictures” [veduta parziale della mostra] Dicembre 2009 - Febbraio 2010 - Galleria Alfonso Artiaco, Napoli
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5Ian Kiaer, Endless house project [installation view] Photo Gonella / Courtesy GAM, Torino
IAN KIAER GAM, Torino l lavoro di Ian Kiaer tesse reti e conIplicarsi, nessioni in grado di diramarsi e moltiesattamente come un caleidoscopio in cui idee, riferimenti, immagini sempre diverse si susseguono, generati l’uno dall’altro, germogliati dalla frammentazione e dallo specchio di se stessi. Alla magica possibilità di questo strumento, mezzo ancora oggi stupefacente per l’ infinita e variegata capacità di germinazione, Kiaer aggiunge una caratteristica peculiare: ne mitiga il ritmo serrato e vi soffia attraverso dilatandone le maglie, espandendo il tessuto e dando vita a nuclei connettivi che respirano, lentamente. 6Ian Kiaer, Kortrijk proposal
[installation view] Photo Gonella / Courtesy GAM, Torino
LUIGI ONTANI Valentina Moncada, Roma he magia il Tableau Vivant marDEI C guttAvi di Luigi Ontani! La performance, tenutasi il 26 ottobre 2009, la cui regia è stata curata da me, nasce da un progetto ideato e coordinato da Rossella Reale Meucci, curato da Piergabriele Vangelli e dalla collaborazione con l’Associazione Internazione di Via Margutta, il MACRO Museo d’Arte Contemporanea di Roma. Eterno principe, san Sebastiano, narciso, indovino o satiro, da sempre impegnato attraverso l’uso delle maschere in una teatralizzazione dell’io, Luigi Ontani sembra aver ridato vita alla dimenticata tradizione del Carnevale Romano. E’ ben noto del resto come gli artisti di Via Margutta celebrassero il Carnevale con maschere 86 -
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La sua mostra personale alla GAM di Torino, curata da Elena Volpato, rende possibile l’attraversamento di questa rete dai battiti ampi, ariosi e rallentati. Articolato in tre principali nuclei - Bruegel project, Ulchiro project; Erdrindenbau project – il percorso traccia l’evolversi di dieci anni di ricerca artistica il cui sviluppo rende evidenti le influenze storico – artistiche, cinematografiche, geografiche, letterarie. Come “vedere” questo e la realtà tutta è il primo quesito che Kiaer pone nel lavoro da cui ha inizio il percorso di mostra: Kortrijk proposal, 2009. Citazione di un passo famoso de La montagna incantata di Thomas Mann - che descrive i degenti di un sanatorio sdraiati all’aperto sui lettini di una terrazza, mentre guardano il mondo sotto di loro - l’opera testimonia la riflessione dell’artista sulle molteplici prospettive della visione in un dialogo che coinvolge anche l’architettura – quella “alpina” di Bruno Taut - e la storia dell’arte – la Melancolia I di Dürer – attraverso le forme della scultura che affianca la sdraio. L’indagine sulle possibilità del punto di vista continua in Bruegel project, direttamente ispirato al pittore fiammingo e al suo lavoro I cacciatori nella neve, da cui Kiaer isola e quasi ritaglia la gazza che trasvola il paesaggio. Occhio dell’artista interno all’opera, Kiaer la imprime sulla tela, la staglia sulla parete, la veste di lamina d’argento per un nuovo volo. La gazza diviene sensore dello spazio, interruzione e rottura - tra le pareti bianche delle sale espositive - di ideate da loro stessi. Ad ispirare Luigi Ontani sono stati gli artisti che resero celebre questa strada, da Nicolas Poussin a Gino Severini, da Pablo Picasso a Federico Fellini e molti altri. Ho voluto allora documentare personalmente con la mia macchina fotografica l’allestimento della mostra, il corteo e il Tableau Vivant non soltanto perché questo evento è così profondamente legato alla mia storia, ma perché questa tradizione possa anche coinvolgere i più giovani. I ragazzi scelti per prendere parte all’opera di Ontani
una dimensione spaziale e temporale sospesa, silenziosa, come nel paesaggio innevato dello stesso Bruegel o in quello di La pie di Monet. Il passaggio della gazza di Bruegel si lega alla natura, ai laghi che riflettono il verde del cielo, si fonde con l’ispirazione cinematografica di Andrej Tarkovskij, che in Solaris dedica allo stesso dipinto un’ampia e attenta ripresa e si manifesta in Kiaer nei due rettangoli di gommapiuma verde. Come avere una visione totale e complessiva della realtà? Kiaer risponde aggiungendo all’installazione un piccolo elemento architettonico – un modellino di Lacation e Vassall – carico di significato e, come già il riferimento a Bruno Taut, ancora una volta, utopico. Le visioni della mente sono anche quelle della contemplazione e dell’ascesi dei monaci nei conventi delle Meteore Kaymakli, 2000/2001 – e quelle estreme dell’esilio - come Hakp’o dang (black), 2001, dedicato al pittore coreano Yang Paeng Son e al suo forzato rifugio sui monti, o Russian project / Irina, 2000, con cui Kiaer ricorda Irina Ratushinskaya, la poetessa russa dissidente del regime sovietico. Il soffio di Kiaer dà alito ad una trama sempre più complessa e si concretizza nelle forme del grande cuscino di Ulchiro project : cushicle, 2007, dando vita ad una serie di lavori dedicati a Ulchiro, quartiere di Seoul e terreno di realizzazione di alcune delle principali idee del modernismo e del Bauhaus: sintetizzate nella griglia di elementi metallici di Endless House project: Ulchiro grid, 2007; scomposte e frammentate nei piani e nelle superfici di Endless House project : Ulchiro Endnote / pink, 2008. E’ ancora l’architettura - visionaria, utopica, irrealizzata e irrealizzabile - il perno della poetica di Kiaer con Erdrindenbau project; un nucleo di opere in cui si riflettono i sogni di Bruno Taut e le fantasie di Paul Scheerbart: un racconto di immaginarie costruzioni di cristalli che in Kiaer riluce di lamina d’argento. Ian Kiaer non parla attraverso la concitazione, non impone al visitatore un ritmo serrato, ma offre la possibilità di un ascolto silenzioso, di passaggi rarefatti tra spazi ampi in cui il vuoto assume la connotazione zen della cultura orientale. Kiaer innesta un ritmo armonico e una metrica in cui l’intervallo e la sospensione diventano le pulsazioni tra cui possiamo trovare un nuovo battito o, almeno, respirarne l’utopia: “Siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni” (W. Shakespeare, La Tempesta). Barbara Goretti sono stati infatti le mie figlie stesse, Ginevra e Alexina, e i figli dei miei più cari amici: il violinista Giordano Franchetti, Prisca Franchetti, Edme di Robilant e Angelica Tosato, queste ultime conosciute sin dalla loro nascita. Inoltre ho voluto
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RECENSIONI
MARCELLO CINQUE Galérie Pièce Unique, Paris a uno strano effetto incontrare il lavoF ro di Marcello Cinque, così eruttivo, magmatico e , a suo modo, sensuale, nella luce fredda di un pomeriggio di dicembre a Parigi. Il luogo è la Galérie Pièce Unique con i suoi due spazi ravvicinati nello storico quartiere di Sain Germain, la giornata una di quelle dedicate scrupolosamente agli ultimi acquisti da una popolazione locale
5Marcello Cinque, Disco antigravitą, 2009 [gomma spugna e guaina liquida 205x160x35 cm] 6Marcello Cinque, Ginnastica d'artiste, 2007 [gomma spugna e guaina liquida 25x92x29 cm] Copyright: Marcello Cinque Courtesy Galerie Piece Unique
6Marcello Cinque, Muschio blu, 2009 [gomma spugna e guaina liquida 53x28x17 cm] Copyright: Marcello Cinque Courtesy Galerie Piéce Unique
coinvolgere Desideria, figlia di Rossella Reale e compagna di classe di mia figlia, e i discendenti di due degli artisti che le maschere di Ontani hanno voluto omag-
che sembra quasi aver fretta di consegnare la propria inimitabile città alla folla affannata e pasticciona dei turisti per ritirarsi finalmente in casa a festeggiare il Natale. Lo spiazzamento, comunque, dura poco e si rivela subito produttivo. Mi aiuta, infatti, a mettere meglio a fuoco le suggestioni scientifiche presenti nell’opera dell’artista napoletano che, come è noto, in 5Marcello Cinque, Forma Antigravitą qualità di laureato in inge[cemento e fibra - 140x140x80 cm] gneria dei sistemi compu6Marcello Cinque, Costa Paradiso, 2009 terizzati, svolge anche atti[gomma spugna e guaina liquida 190x150x85 cm et et 185x150x100 cm] vità di ricerca presso l’UniCopyright: Marcello Cinque- Courtesy Galerie Piece Unique versità Federico II. Con le sue costruzioni basate sull’avvolgersi, l’intrecciarsi e l’espandersi di un sorta di estruso ameboide ma dalla sezione costante, a prima vista Marcello Cinque sembra inseguire soltanto il piacere di far coincidere il proprio gesto libero ed estroverso con una effettiva occupazione dello spazio, una crescita di volumi carichi di elementare dinamismo che può richiamare alla mente immagini dimensionalmente opposte come la nascita di una galassia o lo scomporsi e ricomporsi di un microorganismo. A ben guardare, però, l’intento si rivela presto assai più ambizioso forme di ordine che ci si rivelano tali solo e circoscritto. Per rendersene conto basta nella riconsiderazione sistemica della riandare con il pensiero ad uno dei rifericomplessità. menti chiave di Cinque, quel Lucio FontaValga per tutti la celebre “curva di Peana che meglio di chiunque altro, verso la no”, capace in progressione di saturare l’ metà del Novecento, ci ha dimostrato che infinità dello spazio senza mai abbandoanche il vuoto può essere trattato come nare la condizione della linearità. una sostanza del pensiero plastico. MarIn particolare con questa mostra parigina cello Cinque inseguendo la stessa leggeMarcello Cinque si sposta dall’ interesse rezza segnica di Fontana cerca ora di riper la leggerezza a quello per l’abolizione baltare sotto i nostri occhi la situazione, della gravità rendendo così omaggio ad non tanto per contraddire il maestro arun altro dei suoi artisti d’elezione Gino De gentino quanto per completare la dimoDominicis. Nascono così nuove forme che strazione del suo teorema spazialista. Con sembrano emergere direttamente dalla le sue stringhe continue, che qualcuno ha parete o comunque librarsi nel vuoto gragiustamente paragonato a del colore apzie ad una raffinata sperimentazione relapena spremuto dal tubetto, l’artista napotiva al rapporto fra l’anima metallica delletano sembra ora voler fare scultura scale sculture , la gommaspugna e il cemenvalcando la bidimensionalità del piano ovto. Rispetto alle precedenti realizzazioni ci vero procedendo direttamente dalla linea troviamo così di fronte ad una scala di inal volume. Un paradosso apparentemente tervento in qualche modo più domestica insensato per l’uomo comune ma non cerma non certo addomesticata. to per lo scienziato abituato a lavorare su Paolo Balmas giare: Ase Pagani, nipote dell’artista Franchina e il nipote di Episcopio Lipinsky. È stata per me un’apertura all’arte di queste nuove generazioni che guardando al pas-
sato si affacciano la futuro conservando ognuno una memoria emozionante e indelebile di questo evento. Valentina Moncada
Nelle 3 foto, gli allestimenti del Tableau Vivant di Luigi Ontani in galleria, con i ragazzi coinvolti nel corteo e i particolari delle maschere di Sartorio e Picasso. Courtesy Galleria Moncada, Roma.
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ENERGIA:UMANITÀ=FUTURO:AMBIENTE LA PROPORZIONE PER UNA NUOVA ESTETICA Il Premio Terna alla scoperta dei nuovi Talenti dell’arte contemporanea nergia, umanità, futuro e ambiente, sono questi i concetti che hanno ispirato gli oltre 3.500 partecipanti alla scorsa edizione del Premio Terna. Giovani emergenti ed artisti di fama hanno colto l’invito del Gestore della Rete Elettrica Nazionale a riflettere sulle nuove sfide contemporanee, sui temi d’attualità e sostenibilità con la consapevolezza che nella nostra epoca nessuna filosofia progettuale, nessun paradigma può più prescindere dal vincolo di uno sviluppo armonico con le esigenze del Pianeta. Coniugare arte, cultura, società ed economia, questo l’obiettivo del progetto Premio Terna che, partendo dal concorso aperto ad emergenti e big, coinvolge di fatto il mondo dell’arte contemporanea a tutto campo attraverso la realizzazione di iniziative culturali, workshop, indagini di settore. Un progetto finalizzato alla promozione degli artisti e dell’arte contemporanea italiana attraverso una formula innovativa di sinergia tra impresa e cultura, iniziativa pubblica e privata. In primo piano la partnership con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali con il quale Terna ha siglato un protocollo d’intesa triennale. Una piattaforma culturale ampia e articolata che nelle intenzioni di Terna e dei curatori del PT02 Cristiana Collu e Gianluca Marziani cresce e si evolve in “un grande progetto di comunicazione integrata. Una piattaforma polifunzionale in cui artisti, imprenditori, galleristi e curatori possono interagire”.
E
Le indagini Tra le iniziative sviluppate, la realizzazione di una serie di ricerche mirate, in collaborazione con istituti di ricerca come l’Ispo e S3Studium, per “costruire” una memoria scientifica sulla realtà degli artisti e dell’arte contemporanea in Italia. I risultati delle indagini, svolte a partire dal 2008, stanno delineando un quadro di grande interesse che costituisce una base di ricerca per gli operatori di settore e per tutti coloro che sono interessati a questo importante fenomeno culturale. Ad oggi sono state pubblicate indagini sulla percezione che gli italiani hanno dell’arte contemporanea, sul profilo d’artista, sulle prospettive dei musei italiani, sul futuro delle arti visive. (Per informazioni: www.premioterna.com). I numeri A conferma del successo dell’iniziativa, i circa 6mila artisti
coinvolti complessivamente nelle due edizioni. Un numero rilevante che evidenzia la volontà degli artisti italiani di mettersi in gioco, di lavorare professionalmente anche su tematiche specifiche come quelle proposte da Terna. Nel 2009 sono state 3.527 le opere iscritte, quasi 400 in più rispetto all’anno precedente e oltre 2 milioni le pagine web visitate solo negli ultimi 10 giorni di bando. La mostra a Roma ha attirato oltre 30mila visitatori in meno di un mese, un record assoluto se paragonato ai normali flussi registrati dai principali musei italiani. La giuria La giuria internazionale, presieduta da Luigi Roth e Flavio Cattaneo Presidente e Amministratore Delegato di Terna è composta da Matthew Higgs, direttore del White Columns di New York, da Vicente Todolì, direttore della Tate Modern Gallery di Londra; dall’architetto Massimiliano Fuksas; da Marco Senaldi,
I vincitori del PT02 La qualità delle opere, la grandissima partecipazione del pubblico e la competenza della giuria testimoniano il successo del Premio Terna ma soprattutto segnano la vittoria degli artisti e della loro creatività su temi rilevanti come l’ambiente, il futuro e l’energia. A decretare la classifica vincente tra gli artisti selezionati ha giocato soprattutto l’eterogeneità linguistica, l’eclettismo e la libertà espressiva. Ecco i protagonisti del PT02: Alberto Garutti, premiato nella categoria Terawatt con l’opera “Temporali”; il Gigawatt Simone Bergantini con l’opera “Work N.77”; Stefano Cagol per la categoria Megawatt, con l’opera “Dissoluzione di luce”; Francesco Simeti, per la Categoria Connectivity con l’opera “Esercizio #2” e Michele Manzini, vincitore del Premio Online, con l’opera “Untitled (# 87)”. Al Terawatt Dino Pedriali, che ha conquistato l’attenzione della giuria con l’opera “Miraggio”, è andata invece una Menzione speciale per “coerenza e rigore” dimostrati lungo il suo percorso d’artista. I due Premi speciali assegnati dal Comitato Galleristi sono andati a Mauro Folci, per la categoria Megawatt, con l’opera “Noia” e a Giulio Delvè, per la categoria Gigawatt, con l’opera “Brainstorm”. A tutti i vincitori, premi acquisto del valore complessivo di circa 180mila euro, artist residencies a Roma e New York, un evento espositivo finale, la pubblicazione di un catalogo bilingue, una mostra all’estero. 88 -
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GRANDI MOSTRE
Vincitore Premio Galleristi categoria Megawatt Mauro Folci Noia. Nella pagina a fianco: MAXXI Serata di Premiazione, da sinistra Ministro Sandro Bondi, Alberto Garutti, Luigi Roth, Flavio Cattaneo, AD di Terna
critico d’arte e professore di Cinema e Arti visive nell’Università di Milano Bicocca; dal regista Giuseppe Piccioni; da Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, presidente dell’omonima Fondazione e infine, da Luigi Ontani, artista di fama internazionale e vincitore della prima edizione del PT nella categoria Terawatt. La struttura Il Premio è diviso in categorie che di fatto includono gli artisti di tutte le età ed esperienze. L’iscrizione è libera e gratuita a sottolineare l’impostazione democratica del concorso che ogni anno riesce in questo modo a scoprire nuovi talenti, giovani e meno giovani. Per i vincitori del Premio, in collaborazione con gli operatori che aderiscono al progetto, Terna costruisce dei veri e propri percorsi di visibilità e contatto con galleristi, musei e collezionisti. Le categorie sono: Terawatt (big), Gigawatt (under 35), Megawatt (over 35), Online (per l’opera più votata dal pubblico sul sito www.premioterna.com) e Connectivity per chi opera stabilmente in una delle città estere con le quali il Premio entra in contatto (NYC per il 2009, Shangai per il 2010). A destra: Vincitore Connectivity Francesco Simeti Esercizio#2. In basso a sinistra: Vincitore Premio Galleristi categoria Gigawatt Giulio Delvè Brainstorming. In basso a destra: Vincitore Terawatt Alberto Garutti Temporali.
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Le novità del PT02 “Connectivity” È il progetto di internazionalizzazione del Premio Terna nato con l’obiettivo di stabilire un’interconnessione tra gli artisti italiani e stranieri in modo da permettere loro di coltivare orizzonti sempre più vasti confrontandosi in contesti dal respiro internazionale. L’obiettivo, condiviso con Mibac e Ministero per gli Affari Esteri, è promuovere anche a livello internazionale l’arte contemporanea italiana, valorizzando così una dimensione ancora poco conosciuta del nostro Paese. Nel 2009 il Premio ha visto Roma e New York entrare in “Connectivity”: una mostra dei vincitori al Chelsea Museum e l’istituzione di un’apposita categoria riservata a chi, italiano e non, opera stabilmente nella Grande Mela. Inoltre, l’introduzione tra i premi di borse di studio presso l’American Academy in Rome e lo ISCP a New York. Per il 2010 la connessione è con Shangai, alla scoperta dello stimolante panorama asiatico. L’importanza del mercato e il Comitato dei Galleristi Con occhio attento al mercato dell’arte e alle sue dinamiche, Terna per l’edizione 2009 ha istituito un Comitato di Galleristi, coordinato dall’art consultant Francesco Cascino, con l’obiettivo di rafforzare il dialogo tra artisti ed operatori del settore. L’iniziativa ha portato alla realizzazione di un road-show in tutta Italia promuovendo dibattiti e incontri volti ad analizzare e tradurre le dinamiche operative del sistema e all’assegnazione di un premio speciale a due artisti (uno per la categoria Megawatt, uno per la Gigawatt). Paolo Curti (Galleria Curti e Gambuzzi di Milano), Alberto Peola dell’omonima Galleria di Torino, Hélène de Franchis (Studio La Città di Verona), Laura Trisorio (Studio Trisorio di Napoli) e Marina Covi Celli della Galleria Oredaria di Roma, sono gli esperti chiamati da Terna in collaborazione con l’Associazione Nazionale delle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea presieduta da Massimo Di Carlo, a intraprendere questa “mission” a cavallo tra creatività contemporanea e imprenditoria. Un’operazione “MAXXI” per il PT02 Il MAXXI, Museo delle Arti del XXI secolo è la prestigiosa location che ha ospitato lo scorso dicembre la serata di premiazione dei 14 vincitori del PT 02. Un modo inusuale e innovativo per “battezzare” il capolavoro progettato dall’architetto e designer anglo-iraniana Zaha Hadid e premiare in grande stile i protagonisti della seconda edizione del concorso. Un parterre d’eccezione composto da artisti, politici, personaggi dello spettacolo, collezionisti e galleristi venuti da tutta Italia, ha confermato il successo dell’operazione. Sia gli artisti “debuttanti” sia quelli più navigati hanno provato l’ebbrezza di essere i primi ad aver Vincitore Megawatt Stefano Cagol Dissoluzione
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Menzione Speciale Terawatt Dino Pedriali Miraggio
esposto una propria opera nel nuovissimo MAXXI. “Opere centrate sul tema ma anche oltre il singolo tema – ha spiegato uno dei curatori, Gianluca Marziani – sempre dentro l’evidenza della molteplicità. Membrane percettive con cui abbiamo ascoltato dal vivo quel legame fatale tra Uomo e Natura”. Segni di luce al Tempio di Adriano 57 opere in mostra e oltre 30mila visitatori per un’esposizione che ha raccolto il meglio del contemporaneo italiano suggerendo un percorso emozionale e visivo sul tema dell’ambiente e del futuro. Video, installazioni, foto, pittura. La kermesse, curata da Gianluca Marziani e Cristiana Collu, ha offerto una vera e propria antologia sullo stato dell’arte contemporanea italiana accompagnata da un mini catalogo formato “pocket”, omaggio alla creatività degli artisti. L’enorme affluenza di pubblico ha premiato l’impegno di Terna che, scegliendo per la mostra finale
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uno degli spazi più suggestivi del centro storico di Roma, ha voluto ancora una volta avvicinare le persone all’arte anche attraverso il contatto diretto con gli artisti, le loro opere e i luoghi tradizionali della cultura. Per Cristiana Collu “l’aspetto più interessante dell’evento espositivo è stata la sua declinazione come temporary show, cosa che ha permesso di allestire due vere e proprie mostre (al MAXXI e al Tempio di Adriano n.d.r.), a tempo determinato giocando sì con l’effimero ma con un valore di happening, imperdibile proprio perché temporaneo e brevissimo. In questo modo – conclude la curatrice – abbiamo avuto la possibilità di raccontare la nostra proporzione, come recita il titolo del premio alla sua seconda edizione, in due luoghi magnifichi e prestigiosi, diversissimi ma altrettanto connotanti dello spirito di una città che dialoga splendidamente con l’arte contemporanea”. n Vincitore Gigawatt Simone Bergantini Work n77 Vincitore Premio On Line Michele Manzini untitled#87
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Le mostre in sezione Un ripercorso delle iniziative culturali dell’A.A.M. Architettura Arte Moderna dagli anni Ottanta a oggi di Valentina Ricciuti ezionare l’arte. Porre l’accento sul confronto dialettico tra lavoro concreto e lavoro astratto nella produzione artistica, nella componente progettuale che essa sottende. Questo il senso della vasta e complessa articolazione delle mostre programmate nel corso di oltre un trentennio da Francesco Moschini che, più recentemente coadiuvato da Gabriel Vaduva, ha costruito la storia dell’A.A.M. Architettura Arte Moderna all’insegna di un’ostinata e continua verifica dell’incidenza dei linguaggi dell’arte su tutte le possibili sfere extralinguistiche determinate dalla “disseminazione metaforica” dell’opera. A partire dall’attribuzione agli eterogenei contenuti dell’attività espositiva di un’afferenza settoriale specifica, seppur non rigidamente determinata, da quella storica a quella architettonica, da quella pittorica a quella scultorea, a quella teatrale, a quella dedicata al design, la priorità del progetto culturale dell’A.A.M. potrebbe proprio identificarsi con l’idea di rendere immediatamente evidente e comprensibile l’inestricabile intreccio di pionieristiche anticipazioni intellettuali, modi di produzione e modi di
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consumo, sublimandolo nella sintesi unificante dell’“oggetto d’arte”. Questa particolare maniera di intendere la promozione e la produzione culturale ha dichiarato, fin dai primi anni d’attività della galleria, l’intenzione di porsi come coraggiosa, inedita forma di committenza, concorrendo alla costruzione di nuovi ed originali osservatori artistici. “La costruzione logica dell’opera”, “Monografie d’architettura”, “Personali d’autore”, “Rivisitazioni e riletture”, “Attraversamenti”, “Nell’arte: i nuovi linguaggi”, “Il progetto della scultura”, “Fotografia e architettura”, “Ut pictura architectura”, oltre ai celebri “Duetti”, di cui chi scrive ha già avuto modo di trattare su queste stesse pagine lo scorso gennaio, in occasione della ricorrenza del trentennale della fondazione dell’A.A.M., sono solo alcune delle oltre quaranta sezioni espositive proposte, pensate, più che in ordine ad un intento classificatorio, comprendendo e sottolineando intervalli di ricerca all’interno dei quali le diverse espressioni artistiche sono portate a confrontarsi fra loro o diventano oggetto di osservazione da parte di discipline diverse.
In alto, Sezione “Riletture e rivisitazioni”: Maria Lai, La natura dell’artificio, 1994. Veduta della mostra. In basso a sinistra, Sezione “Fotografia & Architettura”: Gabriele Basilico, Ritratti di architettura. Le belle architetture tra attonite sospensioni e stupite fissità, 2009. Manifesto della mostra. A destra: Sezione “Occasioni d’architettura”: “Guido, i’vorrei che tu Carlo ed io fossimo presi per incantamento...”. Opere, progetti e documenti originali di Carlo Aymonino, Guido Canella e Aldo Rossi. Fotografie di Gabriele Basilico, 2009. Manifesto della mostra.
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icostruire il processo creativo attraverso l’ordinamento dei materiali pre-progettuali, degli schizzi, dei disegni, degli appunti, talvolta anche dei disegni geometrici senza distinguere tra elaborati grafici e letterari, è il presupposto filologico della sezione “La costruzione logica dell’opera”, già noto testo grassiano più specificamente rivolto all’architettura, la cui finalità è quella di riconoscere e presentare nell’ambito del valore che in arte assume il “gesto”, l’impulso irrazionale, il frammento di memoria, l’esperienza, quali materiali elaborati e definiti in una tecnica e ricondotti nella logica di un discorso solo successivamente all’“apparizione” dell’opera. La “costruzione logica” non è, evidentemente, un processo generalizzabile ad ogni artista, ma rappresenta un modus operandi nel corso del quale infatti la notevole quantità di materiali, elaborati in fase “creativa”, vengono selezionati ed ordinati nell’opera, in una composizione che sia innanzitutto in grado di comunicare. In sostanza si sottopone l’arte ad una sorta di “zoomata”, di lettura ravvicinata dalla quale emergono i sentieri interrotti della ricerca, i luoghi da essa intravisti, ma ad essa impraticabili, ed attraverso i quali è comunque possibile individuare un filo progressivo, una continuità che dalle pratiche individuali si ripercuota più in generale all’interno del panorama artistico. A differenza delle ricerche condotte nell’ambito delle Personali d’autore, di cui si dirà in seguito, queste indagini sono accompagnate da riflessioni di carattere storico, sia per il criterio con cui sono selezionati, i temi espositivi, sia soprattutto per la diacronia che attraversa l’analisi critica. Il momento qualificante la “Monografia d’architet-
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tura” è invece quello del progetto. Le mostre afferenti a questa sezione non si presentano come un prodotto dal contenuto monolitico, prendendo piuttosto in considerazione un singolo progetto, documentato in tutte le sue fasi di elaborazione, o un architetto, oppure esaminando occasioni particolari che vedono il concorso di contributi disciplinari diversi su di un tema. Le numerose monografie d’architettura proposte nel corso degli anni indagano, oltre al lavoro di alcuni maestri riconosciuti presentato secondo prospettive diverse e in ogni caso anticelebrative, il lavoro di coloro che appartengono, alla cosiddetta “generazione di mezzo”, che ha alimentato il dibattito teorico più di quanto non abbia potuto realizzare i propri progetti, ma che ha anche determinato la ricerca degli architetti più giovani. Il carattere monografico di ciascuna iniziativa espositiva tende a sottolineare gli aspetti conflittuali, oltre che talvolta visionari, espressi dalle differenti poetiche, così come emerge nel corso di queste analisi lo sforzo di identificare progetto ed opera, il disegno da un lato e la realizzazione dall’altro, che potrebbe rappresentare un ulteriore parametro per l’analisi delle realizzazioni. Come nelle Monografie d’architettura anche nella sezione “Personali d’autore” l’area della ricerca è quella del progetto, che, in particolare per quanto riguarda le arti visive, viene tradizionalmente trascurata o subordinata al risultato, all’opera finita. La lettura analitica del definirsi dell’opera, attraverso il progetto, permette inoltre di stabilire quella continuità necessaria per contestualizzare l’arte nell’ambiente complessivo dal quale essa trae origine. Il territorio d’interesse è evidentemente quello dell’arte contemporanea.
In alto, Sezione “Monografia d’architettura”: Alvaro Siza Vieira, Scultura - Il piacere del lavoro, 1999. Veduta della mostra. In basso, a sinistra, Sezione “Extramedia: Teatro danza video cinema”: Gruppo Tradimenti Incidentali, Teatro d’arte, 1987. Veduta della mostra. A destra, Sezione “Le affinità elettive”: Sergio Lombardo e Cesare Pietroiusti, Convergenze, 1996. Veduta della mostra.
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Sezione “Monografia d’architettura”: Heinz Tesar, 1996. Veduta della mostra.
Le personali d’autore si caratterizzano pertanto per la volontà di mettere in scena anche quegli aspetti onirici e surreali che costituiscono delle testimonianze, tra il pubblico e il privato, della attuale dimensione culturale, nella quale l’arte appare condannata alla propria emarginazione dai luoghi della decisione. Questo ciclo di mostre rappresenta un momento di studio monografico tanto sull’opera di alcuni artisti particolarmente significativi quanto su alcuni temi di rilievo del dibattito contemporaneo. Di volta in volta vengono focalizzati gli aspetti peculiari di una poetica individuale o gli argomenti di maggior rilievo del dibattito, attraverso puntuali escursioni nel lavoro di un artista o di una scuola. Non si intendono tuttavia costruire delle rappresentazioni totalizzanti, ma presentare, attraverso una operazione quasi maieutica, un più paziente lavoro sul dettaglio, dal quale diviene possibile rileggere le appartenenze sia stilistiche che poetiche, ad un’area culturale, storica e geografica, così come si vuole impostare una lettura critica che sot-
tolinei, nel complesso di un’opera, i “passaggi”, le linee di crisi che indicano il definirsi del linguaggio in una forma. Basandosi sull’idea che soltanto periodici ma frequenti sguardi al complesso di una ricerca permettano di procedere nella sua comprensione, assumendo un atteggiamento dai caratteri in parte critici, in parte storici, il significato che rivestono le “Rivisitazioni e riletture”, riferite all’opera ad artisti ancora attivi, non è quello di definirne la poetica in una forma critica conchiusa, quanto piuttosto di ritrovare, nella comparazione dei materiali, nuove, provvisorie, chiavi di lettura. Queste letture critiche sul complesso dell’opera di un artista, o di un movimento, seguono un’impostazione essenzialmente monografica, attraverso la quale si intende prendere in esame il percorso seguito dalla ricerca poetica di un artista, sottolineandone l’evoluzione nel corso del tempo. Esse vogliono pertanto assumere un carattere soprattutto antologico, capace di sottolineare gli eventuali passaggi e i punti di crisi tra due diversi ambiti di ricerca. Non in-
Sezione “Monografia d’architettura”: Franco Purini, “Inizi: architetture disegnate per quarant’anni”, 2005. Veduta della mostra.
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Sezione “Nodi e problemi: indagini sul campo”: Macchine di luce, opere, disegni e progetti di Arduino Cantafora, Costantino Dardi, Franco Purini, Aldo Rossi, Massimo Scolari, 1991. Veduta della mostra.
tendono mettere a fuoco una singola opera o una fase, storicamente delimitata, dell’itinerario artistico complessivo di un autore, quanto piuttosto riproporne la rilettura e la reinterpretazione in quanto frammento che ritrova una propria ragione all’interno di un più complesso itinerario artistico. Nell’esplorare i territori della ricerca esaltandone anche gli aspetti ludici ed effimeri, più spesso ironici, che raccontano il disincanto con il quale l’opera si fa carico, con leggerezza, della presenza-assenza dell’arte nella cultura contemporanea, le occasioni espositive della sezione “Attraversamenti” intendono invece cogliere gli aspetti singolari che emergono dall’impostazione delle ricerche artistiche, indagando alcune situazioni particolari, storicamente collocate, di cui non si vuole, in questo caso, avviare un processo di reinterpretazione critica a partire dal complesso antologico dell’opera di un singolo autore, ma cogliere in essa i nodi storici che ne costituiscono le specificità e attraverso i quali è possibile comprendere, problematicamente,
quell’intrinseco processo di progressiva contaminazione fra diversi itinerari della ricerca, ricostruibile attraverso l’esame delle contraddizioni e delle diseguaglianze di un percorso. Rinunciando a qualsiasi tentativo di storicizzazione dei materiali per collocarsi piuttosto sul piano della mera critica, si indagano le situazioni proposte non come esperienze concluse ma, al contrario, in quanto rappresentative di una forma del dibattito ancora in atto. L’artista non si confronta cioè soltanto con la propria personale ricerca ma più in particolare con il contesto culturale nel quale opera, e rispetto al quale assume significato il proprio autonomo contributo. Si tratta di riflettere criticamente sul doppio piano della poetica individuale e della sua interazione con la cultura contemporanea. L’intersezione di questi due momenti si pone infatti come l’espressione del conflitto dialettico di cui l’opera è testimone. Alla ricognizione del lavoro di giovani artisti non ancora pienamente indagati dalla critica o il cui lavoro possa trovare nell’A.A.M. lo spazio
Sezione “Nodi e problemi: indagini sul campo”: Alberto Burri, Le opere e i giorni, lo spazio, la scena, le opere 1969-1985, 1985. Veduta della mostra, fotografie di Silvia Massotti.
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Sezione “Riletture e rivisitazioni”: Costantino Dardi per Peter Greenaway, omaggio alla figura di C. Dardi in occasione dell’intervento di P. Greenway a Roma, 1994. Veduta della mostra.
Sezione “Progetto e oggetto / Design e design”: Ettore Sottsass e Memphis, Il design degli artisti e il design degli architetti, 1994. Veduta della mostra. Sezione “Città - Architettura - Territorio”: Massimo Martini, Grottaglie come altrove: appunti di viaggio 1986-1990, 1990. Veduta della mostra.
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per la prima “personale”, è dedicato il ciclo “Nell’arte: i nuovi linguaggi”. Il loro lavoro rappresenta anche un momento di verifica più generale che consente di indagare l’evolversi del dibattito anche nei contenuti oltre che nei suoi riferimenti storici e culturali, in quanto incorpora, in forma di materiale storicizzato, la ricerca dei “maestri”. L’intento di questa sezione non consiste quindi nel delimitare il tema e l’oggetto di osservazione ad alcune tendenze definite, ma nel delineare una sorta di mappa capace di proiettare nel dibattito alcune precise volontà di forma e porre contemporaneamente l’attenzione sull’opera di quegli artisti che sembrano indicare nuovi possibili itinerari per la ricerca, dalla tendenza all’apertura a ventaglio su differenti ed anche antitetiche ipotesi. Tutto ciò anche nella consapevole lettura dell’ingenuità che talvolta emerge dal lavoro di questi giovani artisti, che permette di chiarire anche i punti oscuri invisibili o difficilmente comprensibili dell’opera più disinvolta dei maestri, indicandoci il percorso di una ricerca tesa alla conoscenza e alla trasformazione del reale. Da un lato il valore conoscitivo, anche se autobiografico o letterario, dall’altro l’urgenza di comunicare i contenuti della ricerca stessa, rappresentano le due forze in gioco, che assumono, nel contesto dell’opera, l’aspetto di un conflitto che sarà più tardi risolto, attraverso la disciplina, nello stile. Con il ciclo “Il progetto della scultura” la A.A.M. ha aperto un campo d’indagine estremamente vasto, oltre che oggetto di scarso interesse, rivolto all’analisi del processo attraverso il quale viene concepita e realizzata una scultura. Questa è importante perché consente di fare chiarezza sul complesso di parametri, storici, critici e filosofici altrimenti nascosti nella compiutezza dell’opera, che, anche in virtù dello stesso mezzo tecnico, è costretta a ricondurre l’idea iniziale alla materia con cui è stata realizzata. Come l’architettura e diversamente dalla pittura, la scultura attraversa, nel corso della sua definizione, tecniche differenti il cui segno appare manifesto nell’opera compiuta soltanto se ricondotto al suo processo formativo. Tale percorso evidenzia come l’originaria concezione astratta, l’idea dell’opera, venga progressivamente declinata in una materia attraverso una tecnica. Materia e tecnica assumono un significato particolare in quanto già date nel loro valore metaforico ed espressive di una lotta tra immaginario e reale, tra ragione e corpo, tra idea e materia. Occorre in questo senso rilevare come la scultura sia stata storicamente penalizzata proprio in ragione di quelli che venivano interpretati come limiti, e che conosce oggi un rinnovato interesse da un lato legato al diverso definirsi di queste problematiche, dall’altro ancora vincolato a un’ideologia repressiva nella sua tensione trascendentale attraverso l’architettura. La storicizzazione delle fasi del processo che conduce dall’idea alla scultura rappresenta uno dei momenti fondamentali per comprendere l’opera. Questo ciclo di mostre intende pertanto esporre opere di scultura nella compiutezza dell’illustrazione del loro processo, dallo schizzo, attraverso i diversi modelli, fino all’opera finita, sottolineando, in questo percorso, proprio i luoghi in cui l’idea si limita definendosi nell’opera. Il senso della serie di mostre “Fotografia e architettura” non vuole limitarsi ad uno dei tanti tagli possibili, architetture fotografate da architetti, da fotografi o da altri artisti, ma cercare di ricostruire il paesaggio metropolitano attraverso tutti questi contributi contemporaneamente, di volta in volta cogliendo la pregnanza di un racconto particolare, di una memoria reinventata. Ciò non solo per quella esigenza di comprensione e di conoscenza disposta a mettersi in gioco nelle eterogenee rappresentazioni con le quali costantemente si trova a mostrare la propria essenza, ma anche nella consapevolezza che questi materiali finiscono per costituire l’oggetto di un tramando, e talvolta il solo
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Sezione “Monografia d’architettura”: Carlo Aymonino, Arte, architettura e città: nel segno di Carlo, 2005. Veduta della mostra.
tura assumono infatti autonomateriale di conoscenza delme configurazioni progettuali l’architettura. Per alcuni aspetgià a partire dalla fine del Cinti la fotografia d’architettura quecento, laddove emerge il sostituisce, soprattutto sul piatema della rappresentazione in no ideologico, la pittura d’arquanto espressione di contenuchitettura. La differenza si riti ideologici. La libertà di quetrova in particolare nella diversta fase del progetto permette sa progettualità che le caratteinfatti l’estrinsecarsi di una aurizza. Se infatti la pittura prefitonoma visione del mondo. La gura un mondo non necessaria“pittura degli architetti” diviemente esistente, ma anche sone quasi un luogo intermedio, lo possibile, la fotografia interlo scenario ideale di un racconpreta il dato fenomenico. Ladto fantastico i cui frammenti si dove la pittura d’architettura si ritrovano, impercettibili, nel copropone come volontà di “trastruito. Da un lato la pittura di sformazione” oggettiva, la foarchitettura fondata sul tema tografia agisce sulla soggettiurbano, in quanto prefiguraziovità dell’esperienza. Il “luogo” ne di una ipotetica forma urbis, architettonico si trova alla condall’altro come rapporto con il fluenza di queste due diverse linguaggio e quindi come analiespressioni. Individuando negli si della molteplicità delle relaanni Settanta il momento del zioni istauratesi all’interno delriflettersi della disciplina archila costruzione disciplinare, pertettonica nel luogo della rapSezione “Monografia d’architettura”: Carlo Lococo, “Una casa con gli mettono di rileggere storicapresentazione, le proposte artisti” Roberto Almagno, Maria Dompè ed Eliseo Mattiacci, 1999. mente le problematiche che espositive all’interno del ciclo Veduta della mostra. definiscono lo spazio ideologi“Ut pictura architectura” seguono il percorso della riflessione progettuale in quanto momenco del moderno. Individuando immediatamente il proprio oggetto, to rammemorante e progettante insieme. La rappresentazione grasia storico che disciplinare, la vasta articolazione delle mostre delfica dell’architettura diventa quasi, in questa ottica, un’altra tecnil’A.A.M. Architettura Arte Moderna in specifiche e diverse sezioni ca parallela ed essenziale alla costruzione del progetto e nella quatende a disegnare una sorta di mappa ideale del dibattito attraverle, tuttavia, entrano in gioco so le sue “ragioni” storiche, coidealità e prefigurazioni che sì come, in modo puntiforme, Sezione “Volume spazio superficie / Scultura e architettura”: Vito Acconci, Maquettes e disegni, 1988. non sempre trovano spazio nei attraverso le ricerche, indagate Veduta della mostra, fotografie di Silvia Massotti. vincoli del costruito. Attraverso fino alla scala del dettaglio, di Tutte le immagini courtesy A.A.M. Architettura Arte Moderna, Roma queste analisi la A.A.M. intenartisti ed architetti il cui contride restituire dignità ad una prabuto determina o riflette le tetica che nel complesso del “lamatiche complessivamente afvoro dell’architetto” viene trafrontate dalla disciplina. A quedizionalmente proiettata su di sto lavoro di ricognizione volto uno sfondo considerato inesad indagare gli strumenti ed il senziale, ritrovando nell’immalinguaggio dei singoli ambiti si ginario i fondamenti dell’opera. affiancano quelle che potrebIl paziente e meticoloso ordinabero essere definite come rimento di questi straordinari cerche multidisciplinari, laddomateriali consente l’osservave il confronto, seppure esibito zione di un repertorio d’immaprovocatoriamente, tende a rigini essenziali non solo per scoprire le reciprocità così cocomprendere le singole opere o me il convergere su identici tegli elementi di una poetica indimi e obiettivi pur provenendo viduale, ma anche e soprattutda tecniche e storie diverse. to per testimoniare un clima e Più in generale ciò che viene un dibattito culturale quale si messo in discussione è l’idea di rivela nei luoghi, tra ragione e monoliticità dei contenuti diragione, della riflessione metasciplinari, la presunta autonoprogettuale. Resta inteso che mia di ciascuna manifestazione tale operazione non deve intenartistica che consente di ricoldersi riferita unicamente al pialocare le differenze sul piano no della contemporaneità. I della conoscenza e dell’esperapporti tra pittura ed architetrienza. n GENNAIO-MARZO 2010 | 228
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N. 228 Gennaio/Marzo 2010
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