CASSANDRA numero 105
anno XXV
EDITORIALE
EDITORIALE
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MARZO 2021
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lla fine è arrivato anche il mio turno. Seguendo la filosofia di vita del ‘non fare oggi quello che puoi posticipare a domani’ ero riuscito a rimandare questo momento fino ad adesso, ma ormai è tempo che anch’io adempia ai miei doveri e scriva un editoriale. La ragione dietro a questo mio temporeggiare stava principalmente nel fatto che non sapessi come scrivere un editoriale, né tantomeno di cosa parlare. Ma dopo aver consultato l’illuminante tutorial di WikiHow e aver fatto una maratona di editoriali dei numeri precedenti, ho concluso che nessuno lo sa veramente e che quindi non avevo nulla di cui preoccuparmi. Inoltre ho pensato, ma chi dà importanza al contenuto degli editoriali di Cassandra? Così, sulla scia dell’editoriale scorso, ho optato per la scelta contenutistica più mainstream: spiegare il tema di questo numero. Il tema di questo numero, quindi, è ETICA e ESTETICA. Ecco, figurati se non mi toccava pure il tema pacco. Scherzo, in realtà non è un brutto tema, anzi, è tra i più antichi e dibattuti di sempre, ma anche tra i più versatili. Infatti questo tema non è altro che la vecchia battaglia tra essenza e apparenza, tra contenuto e forma. Chi come me è in quinta, in questi mesi sta studiando una delle applicazioni più celebri di questo tema in ambito sociale, ossia gli stadi esistenziali ideati da Kierkegaard. Il buon Søren diceva infatti che gli uomini tendono a seguire due modelli di vita: uno è quello estetico e superficiale, che ricerca solamente il piacere, ed è tipico del tronista; l’altro è il modello etico, che sottostà alle ferree leggi della morale, ed invece incarnato da Paperon de’ Paperoni. Okay, forse Kierkegaard non usava proprio queste due figure come esempi, è che mi sono un po’ distratto nelle
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EDITORIALE ultime lezioni di filosofia. Comunque il succo è quello. Però come dicevo etica e estetica è un tema ampio e può riguardare anche il rapporto tra forma e contenuto. In questo senso può diventare attuale se per esempio consideriamo le poesie che la scena trap sforna per noi ogni giorno; d’altronde “è questione di etica / questi che pensano solo all’estetica”. Non avrei mai immaginato nella mia vita di arrivare a citare Søren Kierkegaard e Salmo nello stesso testo e nel giro di poche righe. Tuttavia, per concludere, l’etica e l’estetica non vanno necessariamente considerate su due piani separati, l’una in antitesi all’altra, in quanto possono essere viste in qualche modo legate, un po’ come ci suggerivano gli antichi greci con il buon vecchio καλὸς καὶ ἀγαθός. Una visione simile a questa, l’ha espressa anche il celebre architetto Renzo Piano in un TED Talks di qualche anno fa (che tra l’altro vi consiglio, lo trovate su YouTube). Se siete impavidamente giunti fino a qui vi ringrazio, spero di avervi un po’ introdotto a questo tema. Buona lettura, Riccardo
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INDICE
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INDICE
SARPI
Generazioni a confronto: sarpini di ieri e oggi Il teatro: miscere utile dulci Sarpivision song contest: speciale Sanremo
ATTUALITÀ
Quando la forma annulla il contenuto Cani: nemici a quattro zampe? Colpo di stato in Myanmar
CULTURA
Laudate hominem Celebrare l'arte emancipando l'estetica Cinque pezzi facili
NARRATIVA La nostra vera storia Catene dello spirito Il mimo
pag 6 pag 8 pag 10 pag 12 pag 14 pag 16 pag 18 pag 20 pag 21 pag 24 pag 25 pag 26
SPORT
Christian Eriksen e la mite rivoluzione
TERZA PAGINA Oroscopo I tesori del MusLi Ipse dixit
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pag 28 pag 30 pag 32 pag 34
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GENERAZIONI A CONFRONTO: SARPINI DI IERI E OGGI P
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di cultura generale, di lessico, di filosofia, di letteratura, di storia, su cui mi diletto ancor oggi da solo o con qualche compagno di liceo “contagiato”, come me, dagli insegnamenti dei nostri professori. Aggiungerei qualche bel momento, individuale o collettivo nello sport. M: Alla luce degli ultimi mesi di isolamento mi sono ancor più care tutte le esperienze di gruppo, in cui percepivo un fortissimo legame con tutti i miei compagni: le gite in Sicilia e quella in Grecia, l’alternanza scuola-lavoro in Finlandia, ma anche l’atmosfera caotica di assemblee e intervalli e persino i momenti di panico pre-verifiche. Merita un discorso a parte l’avventura con Cassandra, alla guida della fenomenale “sezione Sarpi”: due anni di impegno e divertimento che mi hanno aiutato a crescere molto, grazie ad una meravigliosa redazione, che supera il banale concetto di genio e sregolatezza.
remessa fondamentale per la piena comprensione dell’articolo: l’dea risale a svariati mesi fa, ma là ove si può lo che si vuole è stato deciso che solo ora fosse il momento di pubblicarlo, perciò sono presenti riferimenti all’estate scorsa. Ecco, dunque, il confronto fra due sarpini: il sottoscritto, fresco di maturità, ed il signor E. Ginoulhiac, che ha vissuto la Seconda Guerra Mondiale.
Come e perché hai deciso di frequentare il Sarpi. G: La mia vita scolastica è stata “tribolata” a causa della guerra: dalle elementari a Fiume alle medie trascorse a Valnegra in un istituto pareggiato fino all’approdo a Bergamo, il 29 agosto 1948. Quando si trattò di scegliere il ginnasio liceo, i miei genitori non ebbero dubbi: quale era la miglior scuola di Bergamo e che dava maggiori possibilità per il proseguimento degli studi? Allora, come mi pare ancora oggi, il Liceo classico Fra’ Paolo Sarpi risultava di gran lunga il migliore e così venne scelto. M: Inizialmente non avevo preso neanche in considerazione il liceo classico: dopo i primi open day già mi vedevo studente del Mascheroni. Fortunatamente, consigliato della mia prof di italiano, decisi di visitare anche il Sarpi... Fu un colpo di fulmine, dopo quel pomeriggio avevo capito quale fosse l’unico liceo che avrei potuto frequentare.
Ricordi della Guerra Della guerra, come tale, non ho ricordi avendo avuto la fortuna di non trovarmi coinvolto in situazioni di violenza o di pericolo … Certo, io, mio fratello e un amico fraterno morto qualche anno fa, facemmo a pezzi senza conseguenze una bomba a mano trovata sul greto del fiume Brembo. Un’ operazione vietatissima da mia madre, memore di un episodio avvenuto anni prima a suo fratello che, nonostante conseguenze fisiche lievi si era radicato fortemente nei ricordi, come un fiume carsico, che continua a scorrere non visibile, salvo poi riapparire in superficie a testimoniare di sé, della sua esistenza, della sua vitalità. Fu meno fortunato un giovane parente, che perse una mano per lo scoppio di una bomba a mano, ritenuta scarica o disinnescata.
I tuoi migliori momenti da liceale G: Le condizioni economiche della mia famiglia non consentirono che partecipassi a gite scolastiche e ad altri eventi, ancora oggi suscitano rimpianto. Rimangono invece ricordi relativi al puro apprendimento capaci di ispirare riflessioni
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Nonostante la relativa serenità, la Guerra ha comunque segnato profondamente la mia infanzia: quando avevo 9 anni la mia famiglia dovette allontanarsi da Fiume, dove eravamo nati io e mia sorella, per evitare quanto di molto peggio capitò a decine di migliaia di persone. La vita “è ormai là dove si vive …”: così è andata ma, a dirla tutta, ancora oggi non ne sono tanto contento.
anche perché vivo ad Alzano nel cuore del focolaio della Val Seriana. La mia vitalità rasentava sempre più lo zero. La riapertura è stata provvidenziale, anche se ad oggi gli strascichi sono ancora evidenti: non sono ancora riuscito a riprendere il ritmo di studio. La speranza è di riuscire a vivermi l’università il prima possibile, ma finché alcuni se ne fregano vanificheranno gli sforzi del resto della popolazione.
Come hai vissuto la quarantena, sei fiducioso per questa fase 2? G: Ho vissuto la quarantena … in quarantena, senza soffrirla troppo. Alla mia età il poco spazio fisico ed i rapporti, familiari e sociali, diradati sono sopportabili, ben più di quanto, immagino, siano sembrati pesanti alle persone più giovani ed ai bambini. Quanto a fiducia nella fase 2, ed in quelle a venire, ritengo che essere o non essere fiducioso finisce per aver poco rilievo: quel che si deve fare si fa, con impegno e buon senso. La vita prosegue e non bisogna lasciarsi andare: chiunque dum spirat, sperat e agisce. M: Inizialmente sembrava un regalo, un’occasione di relax, ma col passare dei giorni la situazione è diventata sempre più insostenibile,
Un augurio ai membri della comunità sarpina G: Buona fortuna ragazzi ed insegnanti, non trascuratevi, pensate agli altri: alla fine tutto si riassesta ad un nuovo livello cui nel male e, perché non nel bene, ci si deve adattare: farlo con buona consapevolezza e disponibilità non può che giovare. M: Comunque si evolva la situazione non mollate: siamo Sarpini, affrontare e superare qualsiasi difficoltà è nel nostro DNA... E comunque peggio dei paradigmi non potrà essere. Matteo Sangalli, exVD
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IL TEATRO: MISCERE UTILE DULCI P
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cezione della loro disgiunzione: Esiodo nella Teogonia definisce Pandora un “bel male” (kalon kakon). E a teatro? Intanto occorrerebbe accordarsi sulle definizioni di etica (e morale) ed estetica, per dotarci di validi strumenti euristici; poi dovremmo circoscrivere il campo di indagine individuandovi soggetti, oggetti e relazioni; per esempio, anche riducendo l’estetica alla questione della creazione e della valutazione del bello e l’etica (o la morale, meno ambiziosamente) al dover essere in conformità al modello della polis, dove cercheremo i punti di contatto? Nel giudizio dell’arconte che selezionava i drammi candidati all’agone dionisiaco? Nelle reazioni del pubblico? Nei versi dei poeti? Nei trattatisti, come Aristotele e Orazio? Meglio procedere per singoli ambiti, per esempio quello della teoria musicale, dove il nesso tra armonia estetica ed etica è fortissimo, o per autori. Aristotele nella Poetica prescrive la qualità etica dei personaggi tragici da “imitare”, optando per la medietà; Orazio nell’Epistola ai Pisoni abbozza addirittura quella del poeta. Entrambi sono debitori della riflessione di Platone, sviluppata in particolare nello Ione, nella Repubblica e nelle Leggi; la poesia in ultima analisi non è affatto bandita dalla kal-
er questo super numero abbiamo pensato di omaggiarvi con un’intervista al professor Cuccoro, riguardante il nesso tra etica/ estetica e drammaturgia antica. Oltre che per dare un senso alle ore passate sui libri di greco e latino, questa riflessione vuole mettere in luce aspetti del teatro a cui spesso non si pensa. Ma bando alle ciance e ciancio alle bande, buona lettura!
Lei insegna drammaturgia antica. Può spiegarci nello specifico di cosa si tratta? In università gestisco propriamente un Laboratorio di drammaturgia antica, dove propongo agli studenti ricerche personali sulla produzione teatrale moderna e contemporanea ispirata a miti o a specifici testi della civiltà greco-latina. Si tratta, per esempio, di delineare la figura di Ercole con il suo spessore ideologico nella Francia dell’Ancien Régime, o le rivisitazioni del mito di Prometeo in chiave socialista, o il motivo della zoppia simbolica da Efesto (ed Edipo, per alcuni) al Mefistofele di Goethe, fino al Dr. House (o a Harold Finch della seria televisiva Person of interest)… Com’era in generale percepito il rapporto tra etica ed estetica nell’antichità e come questo influenzava la rappresentazione teatrale? Questi due temi vengono trattati in modo diverso nel teatro greco e in quello latino, viste le differenze culturali? L’etica e l’estetica sono compenetrate già nella lingua greca: si pensi alla concezione arcaica della kalokagathia. Anche nella lingua latina le nozioni di “bello” e di “bene” sono impastate assieme: il demotismo bellus per pulcher è strettamente legato per via etimologica a bonus (e bonum). Altrettanto antica è la per-
l’Elena di Euripide rappresentata al teatro greco di Siracusa
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SARPI lipolis concepita dal Socrate platonico, come talvolta si sostiene, ma viene limitata a pochissimi generi e temi, compatibili con la ricerca filosofica e le esigenze educative dello Stato ideale. Ex drammaturgo e, per propria ammissione, ben consapevole del fascino dell’arte, Platone progetta l’assoggettamento politico di un’attività che considera per più motivi aliena dalla verità e potenzialmente corruttrice. Nelle Rane di Aristofane alla fine i versi di Eschilo pesano più di quelli di Euripide, senza dubbio grazie alla maggiore pregnanza valoriale e alla fruibilità didattica, necessaria al riscatto di Atene; nella medesima commedia, si afferma che i poeti (non specificamente quelli comici) sono maestri dei giovani. Molte delle questioni da te poste, in fondo, si lasciano ricondurre alla classica antinomia docere/delectare, per lo più risolta, dal Rinascimento in poi, con formula oraziana (miscere utile dulci, diciamo, tra l’altro in coerenza metaforica con Lucrezio).
(nella prospettiva autoriale), anche solo sul piano fantastico, confermando certe condotte a scapito di altre; gli esodi tragici sono meno prevedibili e assai più sfumati idealmente (solo in Eschilo è ben visibile un intento etico e didattico)… Insomma, anche qui non mi pare possibile discriminare rigorosamente i fattori etici e quelli estetici e tantomeno schematizzare la loro interazione.
La trattazione dei due concetti avviene in modo differente nei vari generi teatrali? Come? Il profilo dell’eroe tragico è profondamente diverso da quello dell’eroe comico. Il primo, con la sua zolla mitica, appartiene al patrimonio tradizionale e costituisce una presenza inaggirabile e problematica con cui fare i conti; il secondo è inventato dal poeta in totale libertà. Il primo deve esprimersi con un registro sostenuto di pensiero e parola; il secondo non conosce inibizioni di sorta; fagocita tutto nei suoi modi sbrigliati e all’occorrenza travalica la finzione stessa per interpellare o provocare direttamente il mondo esterno, a cui il poeta tragico può soltanto alludere. Ma si badi: tutti i personaggi scenici si esprimono in versi, cioè secondo una misura, una proporzione e un ritmo, che sono una componente fondamentale del bello, in Grecia come a Roma; e tutti godono del patrocinio di una divinità venerata dalla polis (ciò non toglie che gli dèi fossero investiti dalla giocosa irriverenza comica o dall’aggressività di tragedie come le Baccanti). Il lieto fine obbligatorio della commedia premia comunque la vitalità della polis o della sua parte più sana
Visto che lei è anche un cultore del cinema, ci può dire come è cambiata la percezione dell’etica, dell’estetica e della loro correlazione rispetto ai tempi antichi e come il cinema ne è stato influenzato? Non sono in grado di rispondere. Anzi, francamente dubito che qualcuno possa farlo. Indicherei magari qualche tentativo coraggioso di saldare fantasiosamente gli approcci, come Trecento (2007) di Zack Snyder e Frank Miller, dove il tragico delle situazioni e il sublime delle immagini sono venati – parcamente – solo di meraviglioso, con felicissima rimozione di ogni istanza realistica. Ma lasciami piuttosto esprimere il rammarico per l’indisponibilità, nell’attuale panorama cinematografico italiano, di intelligenze accostabili a quella di un Visconti o di un Pasolini: autori scomodi, politicamente anche scorrettissimi, capaci però sempre di sommuovere virtuosamente il loro pubblico. A rischio di apparire un passatista, ritengo che ancora a loro, a Buñuel, a Bergman, a Fassbinder, bisognerà guardare per uscire dalla tetraggine odierna.
l’Agamennone di Eschilo rappresentata al teatro greco di Siracusa
Vittoria Castelli e Irene Fiocca, IVG
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SARPIVISION SONG CONTEST: SANREMO
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er questo numero del Sarpivision Song Contest abbiamo restaurato la nostra giuria sarpinoscopica per stabilire la vera classifica di Sanremo2021. Ecco i risultati:
Voce
Zitti e Buoni
Mai Dire Mai
Ebbene sì, la canzone preferita dei sarpini di questo mese è anche la vincitrice del festival di Sanremo 2021; stiamo parlando di Zitti e Buoni dei Måneskin, band divenuta famosa grazie ad X Factor. Marlena (aka la loro musa ispiratrice) è tornata a casa e li ha mandati a Sanremo, dove hanno spaccato. Il brano è sia rock che commerciale e perciò ha conquistato tutti, vecchi fan e nuovi poser. I Nåziskin hanno detto che non sono arrabbiati con nessuno ma che questa canzone è la loro dichiarazione d’intenti, il loro obiettivo, e direi che, con i numeri che stanno facendo, ci sono quasi arrivati! Con ben 50 punti Voce si posiziona al secondo posto della nostra classifica. Chi lo avrebbe mai detto che in così poco tempo, quella ragazza che cantava Sciccherie sarebbe diventata una delle più grandi promesse sulla scena del rap italiano? Ebbene sì, quindi brava la nostra Madame! Voce è un inno alla vita e al saper trovare sé stessi. Con un testo semplice e sincero, Madame ci parla della ricerca della propria voce, quindi della propria identità in mezzo a tutti e a tutto. La voce è come un pennello su una tela bianca. È il mezzo con cui esterniamo le nostre emozioni e i nostri pensieri. È l'abito che indossiamo per tutta la vita e con cui raccontiamo al mondo chi siamo. Ecco perché dobbiamo fare di tutto per amarla: perché è ciò che ci farà entrare nel cuore delle persone, e vivere in eterno. Ciò che è certo per adesso, è che il ritornello di Voce ci rimarrà in testa per ancora un bel po' di tempo! Nonostante nella classifica di Sanremo abbia raggiunto solo il sesto posto, Mai Dire mai (La Locura) ha però conquistato il podio sarpino, con ben 47 punti. Il brano, presentato al Festival da
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SARPI Willie Peyote, è un’ironica e accurata descrizione dell’Italia di oggi, fatta di musichette orecchiabili e deformata dalle sue stesse mode, in cui c’è spazio per l’ultimo trend del balletto di TikTok, ma anche per i trapper da autotune e per i boomer con i capelli tinti. Chi conosce l’artista sa che le polemiche sono sempre state un marchio di fabbrica, non ha mai avuto paura di dire quello che pensava, nel bene e nel male, e lo stesso ha fatto anche con questa canzone, densa di critiche e immagini ispirate alla società odierna. Detto tutto ciò, possiamo affermare che Mai Dire Mai, come ci conferma anche la vittoria del Premio della critica, con la potenza delle strofe e il suo ritornello ritmato è proprio un brano che spacca! Menzioni onorevoli: Musica leggerissima, Colapesce & Dimartino Il nostro caro duo siculo si colloca anche qui al quarto posto come nella classifica sanremese. Grande sorpresa del Festival, i due cantanti hanno conquistato tutti con la loro Musica leggerissima. Brano dalle sonorità anni ’80, trasmette leggerezza, tranquillità e spensieratezza. A tratti sembra che i due cantautori abbiano volutamente cercato delle sonorità già note alle orecchie del grande pubblico. Impossibile non notare i richiami a canzoni come We Are The People degli Empire of the Sun e Se mi lasci non vale di Julio Iglesias. I nostri outsiders hanno fatto il vero colpaccio nella sala stampa del festival di Sanremo che li ha premiati con il Premio Lucio Dalla, battendo la concorrenza di Ermal Meta ( non proprio un avversario semplice). Colapesce e Dimartino non erano però ignoti proprio a tutti prima del Festival, infatti, hanno pubblicato un fantastico album nel 2020 dal titolo I Mortali. Album che li ha resi noti, come duo, a tutta la scena indie italiana, in particolare vi consigliamo di ascoltare un loro pezzo molto particolare intitolato Noia mortale. Santa Marinella, Fulminacci Chiude la nostra top 5, ad un solo punto dalla quarta posizione, Santa Marinella di Fulminacci. Alla sua prima apparizione al Festival, il giovane cantautore romano ha portato un pezzo dolce, orecchiabile e dedicato a un quartiere della Capitale, che tuttavia non è stato molto premiato dalla classifica finale sanremese. La canzone è un po’ la sorella minore di San Giovanni, uno dei brani più belli di Fulminacci e che vi consigliamo di ascoltare. Da sottolineare anche la sua cover di Penso Positivo con Valerio Lundini e il trombettista Roy Paci, una delle più belle esibizioni dell’intero Festival. Infine, vi consigliamo anche il suo nuovo album Tante care cose, uscito il 12 marzo, perché merita veramente. Cari sarpini, continuate ad ascoltare musica e soprattutto partecipate ai prossimi Sarpivision Song Contest su Instagram - @cassandrailgiornale Stay tuned.
Leonardo Umberto Gambirasio & Riccardo Dentella VE, Martina Musci IID, Lucia Chiari & Sara Marconi IIIA
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ATTUALITÀ
ATTENTATO IN CONGO
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QUANDO LA FORMA DIVORA IL CONTENUTO
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a forma divora il contenuto. Qualche settimana fa la tragica notizia delle morti dell’ambasciatore italiano nella Repubblica Democratica del Congo Luca Attanasio, del carabiniere Iacovacci e dello spesso dimenticato autista del convoglio Mustapha Milambo, ha ferito il nostro paese. Oltre ovviamente ad un gran dispiacere, ciò che mi ha col-
pito maggiormente della vicenda è stata la totale assenza di certezze nella narrazione mediatica del fatto. Ogni giornale aveva la propria teoria, la propria variante (forse oggi termine poco fortunato) esposta senza particolare approfondimento e lavoro di indagine, lasciandoci tuttora senza sapere esattamente cosa sia successo e soprattutto perché. I notiziari italici hanno concentrato il proprio impegno invece in meticolosi racconti biografici su Attanasio, dipingendone le virtù e l’impegno nel fare il bene. Lungi da me mettere in dubbio le qualità e l’integrità morale del defunto, che anzi riconosco e ammiro, ma ciò basta?
Basta presentare tutti i motivi per cui è doveroso che venga compianto o occorrerebbe cercare la verità e la giustizia? Andiamo al fatto: il 22 febbraio un convoglio della MONUSCO (missione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione della Repubblica Democratica del Congo) cade in un agguato lungo la strada RN2 nel Nord Kivu, regione orientale del paese. Il convoglio è senza scorta, ma accorrono in soccorso dei rangers. Nella sparatoria fra i banditi e quest’ultimi perdono la vita i tre uomini. Ci sono tantissimi punti oscuri e ne citerò solo alcuni. Innanzitutto è assolutamente incredibile che il convoglio fosse senza scorta. Soli 10 giorni prima era passata sulla stessa strada un’altra missione Onu, accompagnata da blindati, scorte e caschi blu e in generale gli ambasciatori sono sempre seguiti e protetti in maniera ferrea. Inoltre non si capisce bene la dinamica dell’agguato: pare che gli uomini siano stati portati nella foresta vicina alla strada e lì si sia svolta la sparatoria, non si sanno però le cause di tale spostamento e come sia successo. Ultimo punto che fa sorgere dubbi e perplessità è una notizia più recente. Infatti il 5 marzo è stato ammazzato in un attentato il maggiore William Mwilanya Asani, magistrato incaricato di seguire il caso. Avrò visto troppi film, ma qualcosa non torna. Ovviamente io
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ATTUALITÀ non posso sapere cosa sia successo, ma desidero lanciarvi dei dati e dei fatti secondo me interessanti. La Repubblica Democratica del Congo ha delle miniere enormi e importantissime per lo sviluppo tecnologico globale. E’ infatti il primo stato estrattore al mondo di tantalio, che combinato forma il coltan, materiale che serve ad ottimizzare il consumo di energia nei chip di nuova generazione. Secondo alcune stime (da prendere con le pinze, ma indicative), l’80% di tutto il coltan del mondo si trova qui. Nel 2019 il 70% del cobalto globale è stato estratto in Congo ed è un minerale presente in tutte le nuove batterie. È chiaro dunque che gli occhi di tutto il mondo guardino con grande interesse queste miniere e i guadagni ricavabili, ovviamente anche in ambienti criminali. Sembrerebbe che anche la ‘Ndrangheta si sia inserita in questo business. Fece scalpore nel 2016 la scoperta che nel libro paga dell’organizzazione mafiosa ci fosse l’ambasciatore congolese a Roma. Alcuni giornalisti ipotizzano che la mafia calabrese faccia da tramite fra i congolesi e i cinesi, fornendo in cambio armi e droga
al paese africano. A mio parere, e sottolineo che questo è solo il mio parere e che sicuramente mi sto sbagliando, è difficile scindere la morte dei tre uomini dalla centralità strategica e mineraria congolese. Analizzando il fatto e la situazione della Repubblica Democratica del Congo, abbiamo dunque visto quanto sia controverso e complesso e come sia difficile da capire con chiarezza. Ma i media e l’informazione non servono a nulla se non cercano di svelare, o quantomeno abbozzare, la verità, il contenuto della realtà. La superficie dei fatti, la forma, non basta, non può bastare, perché una società che non si chiede e indaga più il perché delle cose è una società svuotata che cammina verso la propria morte. La forma divora il contenuto. DISCLAIMER: scusate belli, aggiungo solo che non alludo ad alcun legame fra Attanasio e la ‘Ndrangheta
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Paolo Raimondi, VE
ATTUALITÀ
CANI: NEMICI A QUATTRO ZAMPE? I
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cani, si sa, sono forse gli animali più fedeli all’uomo. Sono ritenuti i suoi migliori amici, ma a Milano è stata stilata una lista di razze di cani ritenute “speciali”, un eufemismo per non dire che si tratta di razze ritenute pericolose. Forse la scelta di chiamarle in questo modo è anche data dal fatto che nessun cane è pericoloso per natura: semplicemente, tutti lo possono diventare se trattati in modo scorretto. Ma questa potrebbe essere una contraddizione visto il motivo per il quale è nata questa lista. Infatti tutti i proprietari di questi cani che abitano a Milano sono tenuti a seguire dei corsi (composti da 10 ore teoriche e 4 ore pratiche) con l’obiettivo di garantire il rispetto delle esigenze di ogni razza e di tutelare i proprietari di queste in quanto responsabili e chiamati a rispondere penalmente e civilmente dei danni che i loro cani possono recare a persone, cose e ad altri animali. Hanno due anni di tempo per iscriversi e adeguarsi alle nuove norme. I corsi sono tenuti da docenti universitari e veterinari comportamentalisti. Questa decisione del comune ha decisamente creato degli scetticismi e delle polemiche: innanzitutto come accennato prima, solo alcuni cani sono stati inseriti nella lista di “cani speciali”. Tutte le razze di cani, però, possono essere pericolose se trattate in modo errato,
indipendentemente dalla conformazione fisica, dalla potenza muscolare e dal morso. Certamente non sono aspetti da sottovalutare: è ovvio che alcune razze possono provocare danni molto più gravi di altre, ma tutti possono far male, tutti possono diventare pericolosi in certe situazioni (garantisco personalmente), per cui far seguire il corso solo ai proprietari di certe razze è sbagliato. In più, seguendo il ragionamento del comune, che si è basato su criteri come stazza e potenza del morso, dovrebbero comparire molte razze che invece non figurano nella lista. Un’altra preoccupazione dei possessori che tengono i corsi era di poter essere etichettati come proprietari di cani pericolosi. Non si può però mettere in dubbio l’effettivo buon fine di questo nuovo regolamento, che sta cercando di rendere migliore la convivenza tra cane e uomo, proprietario e non. Il programma del corso è il seguente: il comportamento normale; lo sviluppo comportamentale, le fasi della vita; come accogliere il cucciolo; la salute; la comunicazione del cane; come gestire il benessere del cane; l’aggressività canina; i principali problemi comportamentali del cane; adottare un cane dal canile; la convivenza di cani e bambini; cani e proprietari buoni cittadini. Il corso è ovviamente gratuito, e, riflettendoci, può essere considerato un
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ATTUALITÀ
buon inizio per regolamentare e aiutare tutti nell’adozione di cani e nella migliore convivenza possibile con questi. Anche perché un cane può essere adottato senza troppi requisiti, senza alcun problema, e questo è importante per fare in modo che tante persone decidano di adottare, ma è anche importante sapere come e cosa fare una volta adottato un cane. E questo nuovo regolamento comunale può essere un inizio: di sicuro non è privo di difetti e ha un margine di miglioramento che, come abbiamo visto, è decisamente largo, ma potrebbe essere d’esempio per altre amministrazioni comunali, che dovrebbero pensare di mettere in atto un programma simile per tutelare la sicurezza di cani e persone e per fare in modo che tutti sappiano prendersene cura adeguatamente. A voler essere precisi, non è la prima volta che viene proposto un provvedimento simile. Già nel 2006 era stata promulgata dallo Stato una lista di cani peri-
colosi, poi abolita in seguito a ferventi proteste degli animalisti e sostituita nel 2009 da un’ordinanza nazionale, la quale prevede che padroni di cani che mostrano visibili segni di aggressività possano essere obbligati a conseguire un patentino, dopo aver svolto dei corsi organizzati dal Comune in collaborazione con le agenzie veterinarie locali. L’obbligo viene imposto dal veterinario dopo una valutazione del carattere e del comportamento dell’animale, senza tener conto della sua razza. In conclusione, credo sia corretto trovare una soluzione e fornire aiuto per fare in modo che tutti siano in grado di saper gestire i propri cani, senza però partire dal presupposto che solo alcune razze possano divenire un pericolo e da migliori amici dell’uomo diventare dei nemici a quattro zampe.
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Rebecca Battaglia, IIF
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COLPO DI STATO IN MYANMAR C
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i troviamo in Asia, più precisamente in Myanmar, dove il 1° febbraio 2021 Min Aung Hlaing e Myint Swe, generali dell’esercito, con un veloce colpo di stato prendono il potere e instaurano una dittatura militare. Durante la notte del primo giorno di febbraio i soldati catturano ed arrestano i maggiori esponenti politici governativi tra cui anche Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la Pace del 1991.
Questa, dopo aver studiato ad Oxford, nel 1988 torna in Myanmar inizialmente per aiutare la madre malata, in seguito anche per aiutare il proprio Paese. Infatti nel 1962, dopo un colpo di stato, i militari avevano preso il potere e creato una Costituzione prettamente militare. Sono anni difficili per il popolo birmano: il paese viene chiuso, gli stranieri espulsi e gli esponenti politici arrestati. Le persone hanno paura, sono scontente e pian piano nascono delle rivolte, spesso guidate da studenti, fino ad arrivare alla fa-
mosa manifestazione dell’8/8/1988, ricordata ancora oggi come il punto di svolta per la storia del Myanmar. Moltissime persone scendono in piazza a protestare contro il regime, la rivolta viene soffocata nel sangue con diversi feriti e morti. Aung San Suu Kyi decide di fondare la Lega Nazionale per la Democrazia e si candida alle elezioni del 1990, i cui risultati non vengono però riconosciuti dall’esercito (ovvero il 25% del Parlamento birmano). La leader viene messa agli arresti domiciliari dove resterà fino al 2014 salvo alcuni periodi di libertà. Riceve il premio Nobel nel 1991 per le sue proteste non violente e per l’impegno per il suo popolo che la ama e la chiama tutt’ora madre. Nel 2015 la Lega Nazionale per la Democrazia vince le elezioni, ma San Suu Kyi non può diventare Primo Ministro perché sposata con un uomo non birmano: viene quindi creata per lei la carica di Consigliere della Repubblica, una sorta di vice-Primo Ministro. Nonostante i birmani siano molto legati alla figura di San Suu Kyi, questa è stata più volte attaccata per il suo comportamento indifferente nei confronti dei rohingya, una minoranza musulmana vittima di persecuzioni, tanto che molte onorificenze le sono state revocate. Nel 2020 vengono indette delle nuove elezioni, in cui il partito di San Suu Kyi riceve il 95% dei voti; una vittoria schiacciante che all’esercito non va giù. I militari infatti sostengono che ci siano stati dei brogli elettorali e, facendo leva anche sull’emergenza da Covid19, non riconoscono i risultati dell’e-
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ATTUALITÀ lezione attuando il secondo colpo di stato. Dopo aver arrestato molti politici, artisti e giornalisti, interrompono le comunicazioni con l’estero e bloccano tutti i social. Il Paese è sotto shock: di colpo sembra di essere tornati a cinquant’anni prima, ma per fortuna la popolazione ha meno paura della dittatura militare perché la memoria del passato è ancora viva. Grazie all’utilizzo di Internet, isolare un’intera nazione è diventata una missione difficile, se non impossibile. Attualmente i birmani stanno cercando di esprimere il proprio dissenso con manifestazioni non violente affinché la polizia non possa usare le armi per contrastarli; verso le otto di sera utilizzano delle pentole da cucina per far rumore il quale, secondo la tradizione birmana, scaccerebbe gli spiriti maligni e di conseguenza anche la dittatura; si vestono di rosso e alzano l’indice, il medio e l’anulare, simbolo preso dalla saga “Hunger Games” molto popolare in Myanmar e che simboleggia la disobbedienza alle autorità. Con il passare dei giorni, però, la situazione si fa sempre più tesa, la polizia ha iniziato ad usare la violenza per disperdere i manife-
stanti, ci sono stati diversi feriti e numerose vittime. Si pensa che Min Aung Hlaing e Myint Swe abbiano preso il potere per proteggere i loro investimenti economici e per estendere la loro influenza anche sull’economia; in più sembra che la Cina supporti e sostenga la dittatura militare, mentre fin da subito gli USA hanno condannato il colpo di stato, anche se difficilmente verranno imposte delle sanzioni per allontanare i generali dal potere. È difficile reperire informazioni, perché esse vengono spesso censurate o rimaneggiate: quindi non conosciamo esattamente tutto quello che sta succedendo, sappiamo solo che il popolo birmano è in pericolo, i suoi diritti non vengono neanche presi in considerazione e l’epidemia sta peggiorando sempre più. inoltre, probabilmente i generali sono sostenuti da grandi poteri internazionali capaci di far saltare equilibri già delicati. non possiamo più stare fermi, dobbiamo usare la nostra voce anche per chi non può parlare.
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Martina Musci, IID
CULTURA
LAUDATE HOMINEM
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Non fossi stato figlio di Dio, t’avrei ancora per figlio mio F. De Andrè, Tre Madri
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el novembre del 1970, Fabrizio De André pubblica uno degli album più interessanti e sicuramente più discussi della sua produzione discografica: La Buona Novella.
Ideato e scritto tra il ‘68 e il ‘69, nel pieno dei moti studenteschi, La Buona Novella è un concept album composto da dieci brani che, uno dopo l’altro, prendono in esame la vicenda e la figura di Gesù eliminandone i caratteri taumaturgici ed esaltandone invece, con l’appoggio di Vangeli Apocrifi quali il Protovangelo di Giacomo e il Vangelo arabo dell’infanzia, la condizione di uomo. Ovviamente, un album del genere fece discutere molto non solo in quanto prodotto da De André, ideologicamente anarchico e non credente, ma anche perché questa forte esaltazione dell’essenza terrena di Cristo, aggiun-
ta per di più all’utilizzo di alcuni Testi Apocrifi, apparve a molti come una notevole e alquanto irriverente provocazione; inoltre, in un primo momento, non si capì perché De André avesse sentito il bisogno di riproporre le già notissime vicende evangeliche tralasciando completamente l’attualità piuttosto movimentata dell’epoca (di cui tra l’altro si occuperà nel successivo album Storia di un impiegato, nel quale vengono messe in luce anche delle sue riflessioni di carattere stirneriano e bakuniano), motivo per cui l’album venne definito anacronistico. A tal proposito, il cantautore rispose così: “La Buona Novella (…) era un’allegoria che si precisava nel paragone fra le istanze migliori e più sensate della rivolta del ’68 e le istanze, da un punto di vista spirituale sicuramente più elevate ma da un punto di vista etico sociale direi molto simili, che un signore 1969 anni prima aveva fatto contro gli abusi del potere e contro i soprusi dell’autorità, in nome di
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CULTURA un egualitarismo e di una fratellanza universali. Si chiamava Gesù di Nazareth e secondo me è stato ed è rimasto il più grande rivoluzionario di tutti i tempi”. De André riflette quello spirito rivoltoso dell’epoca nel Gesù uomo, il primo vero anarchico (passatemi il termine), ribelle agli schemi sociali e governativi del suo tempo e obbediente soltanto alla legge divina, offertosi in sacrificio in nome dei propri ideali e il cui messaggio sovversivo e rivoluzionario fu seminato “per mare e per terra”; anche per questo motivo, infatti, l’album fu poi fortemente apprezzato soprattutto in ambiente clericale. Abbiamo quindi una duplice concezione del Nazareno in un certo senso pirandelliana, giustificata, se vogliamo, dalla sua doppia natura umana e divina: da una parte Cristo, l’unigenito figlio di Dio, dall’altra Gesù, il “figlio dell’uomo”, che indubbiamente rende l’esemplarità del testo evangelico sempre attuale in quanto, per molti versi, più accessibile e sicuramente più speculare alla nostra stessa condizione di uomini. Tuttavia Gesù non è il vero protagonista dell’album, o almeno non l’unico: infatti De Andrè dedica sei delle dieci canzoni totali a Maria, campione della femminilità tutta e della maternità,
sinonimo, nella concezione del cantautore, di sacrificio; del resto, chi più esemplare della “serva del Signore”, che offrì il proprio corpo per ospitare il figlio di cui poi dovette sopportare la morte? È interessante, inoltre, lo spazio dato alle caratteristiche fisiche di Maria, che sembrava godere già da bambina di una bellezza tale da preannunciare il destino divino (“Guarda le mani, guardale il viso, sembra venuta dal Paradiso”), oltre ai richiami fisici riguardo la sua gravidanza, anche in questo caso volti a esaltare, o comunque a ricordare, l’umanità della vicenda. La Buona Novella è un album immenso, sia dal punto di vista musicale sia da quello ideologico; penso che tutto quello che ho scritto a proposito non gli renderà mai giustizia, e proprio per questo credo che valga la pena perderci mezz’ora, o qualcosa di più.
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Gaia Della Volta, IIIG
CULTURA
EMANCIPARE L’ARTE CELEBRANDO L’ESTETICA E
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tica ed estetica. Due concetti che da secoli vanno a braccetto e sono oggetto di un dibattito tuttora aperto e problematico. È inutile negare come il contrasto tra bellezza estetica e bontà etica sia costantemente presente in ogni aspetto della vita e, per questo, paurosamente delicato. Al giorno d’oggi si tende a difendere a spada tratta il valore fondamentale dell’etica, se non altro per non essere tacciati di superficialità. Ma così l’estetica diventa espressione di frivolezza e viene ridotta a semplice vanità, svuotandola della sua effettiva importanza. Furono molte le personalità che riservarono alla bellezza il posto d’onore, e non per semplice romanticismo. Un esempio tra i più interessanti è Iosif Brodskij. Considerato uno dei maggiori poeti russi del XX secolo, fu insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1987 e fece dell’estetica l’argomento centrale per il suo discorso. “L’estetica è la madre dell’etica” è, penso, lo snodo centrale di tutta la trattazione: l’autore ci presenta una metafora eloquente che sancisce il primato assoluto dell’estetica. Questa nell’essere umano si afferma sulla sua controparte sin dalla nascita: quando il neonato fa una scelta questa è dettata non da ciò che gli sembra buono, ma da ciò che percepisce come bello. Prima, cioè, arriva la sensazione, poi la riflessione. Semplicemente perché la percezione sensoriale non richiede una rielaborazione conscia del dato, ma anzi si presenta in modo diretto all’organo di senso. Insomma, se ci pensate, prima di assicurarsi che qualcosa sia
buono, vediamo senza difficoltà se è bello o brutto, per quanto questa valutazione sia soggettiva. E su questa esperienza estetica si fondano, in seguito, tutte le nostre scelte etiche. Ma quello che viene più spontaneo chiedersi è perché insistere così tanto sul valore dell’estetica. Beh, Brodskij mira a un’emancipazione generale, che riguarda il mezzo espressivo più propriamente pertinente alla bellezza: l’arte. L’arte si stacca così dal suo ruolo di portatrice di un messaggio estetico e diventa, organicamente, acquisizione di una coscienza personale mediante l’esperienza privata e l’intimo rapporto artista-spettatore. Ma fa anche di più. Ovviamente l’autore concentra la sua riflessione sulla letteratura, insistendo sul concetto di “sapere è potere”: la letteratura rende quindi capaci di scelta, liberi dalla schiavitù e dalla manipolazione, soprattutto politica. “Il male, soprattutto il male politico, è sempre un cattivo stilista” dice quindi il poeta a un pubblico sempre più convinto del valore etico inalienabile dell’arte. Questo ci porta ad una valutazione più consapevole dell’arte, che spesso viene declassata a bene accessorio o, addirittura, a sottoprodotto dell’esperienza umana. Essa diventa senza difficoltà il tesoro e l’indispensabile patrimonio che l’umanità dona al mondo, diventa la naturale espressione di un essere che è “creatura estetica prima di essere problema etico”.
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Irene Fiocca, IVG
CULTURA
CINQUE PEZZI FACILI G
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ood morning, Sarpi! Questo mese vi propongo cinque film che hanno a che fare con il concetto di etica ed estetica. Non so se qualcuno effettivamente legga mai le introduzioni della rubrica; ad ogni modo mi scuso se questa volta dovrete sorbirvi una mini riflessione di natura filosofica, a mio parere utile alla comprensione della scelta dei film. Tra parentesi trovate i film riferiti ai diversi concetti :) Nel mondo antico, tardo-antico e medievale, la componente estetica era inscindibile da quella religiosa o etica (Andrej Rublev). Tuttavia, l’uso prevalente della parola ‘estetica’ è moderno, introdotto nella filosofia da Kant; per il filosofo tedesco, infatti, la validità del giudizio di gusto è autonoma da quello teoretico e morale.La filosofia successiva a Kant tenta di ricongiungere estetica ed etica (Ragione e sentimento). I filosofi contemporanei ne rivendicano l’unità, o mantengono l’arte in un orizzonte etico- politico; l’estetico dunque, per la filosofia, è e deve essere etico. Nella società e nella cultura del mondo contemporaneo, tuttavia, è in atto, incurante delle obiezioni filosofiche, una autonomizzazione dell’estetico dall’etico. Questa dimensione estetizzante nasce dalla disgregazione di un “ethos” comune (Dogville, Mystic river), sino a concentrarsi sul corpo e sui sensi, e ridursi, alla fine, ad una “spettacolarizzazione della vita” individuale. Non a caso, essa coincide con la produzione televisiva dei reality e l’uso della narrazione di sé attraverso i social, che soddisfa il bisogno di essere socialmente riconosciuti. (The Truman show) Andrej Rublev (1966), Andrej Tarkovskij La pellicola è ambientata nella Russia del XV secolo, dilaniata dall’invasione tartara e dalle lotte interne tra Boiardi; è suddivisa in otto capitoli, con un prologo ed un epilogo. Il film segue le vicende del protagonista, il monaco e grande pittore di icone Andrej Rublev, venerato come santo dalla Chiesa ortodossa, che lascia il suo monastero per intraprendere un viaggio insieme ad altri due monaci, Daniil e Kirill. Andrej è un uomo che cerca una risposta a domande che lo tormentano e lo inducono a profonde riflessioni. Un avvenimento particolarmente rilevante, che segna il protagonista nel profondo, è l’attacco dei Tartari alla città di Vladimir. Rublev è infatti costretto a prendere una decisione controversa per salvare la vita di un innocente; tuttavia, ne rimane sconvolto a tal punto da fare voto del silenzio per anni, e a smettere di dipingere. La tematica è la medesima che emerge nella poesia di Quasimodo, Alle fronde dei salici; come può l’uomo produrre arte, in un mondo in cui si è perso qualsiasi valore etico
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CULTURA e filosofico? Andrej risponde con il silenzio. Secondo il regista l’arte è ricerca di verità, senso della vita, non in ottica scientifica, ma spirituale; solo l’artista possiede la capacità di cogliere questa verità (un po’ come il genio del buon vecchio Kant), attraverso una fede, non meramente religiosa, ma vocazione artistica che ne innalza il valore spirituale. Dogville (2003), Lars von Trier “Solo la violenza aiuta là dove la violenza regna” (cit. Bertolt Brecht) … Il film, ispirato ad un’opera teatrale di Brecht, ne conserva l’impianto teatrale e molte citazioni. Anche la voce narrante, fuori campo, assume il ruolo del coro nella tragedia greca. La pellicola riassume il senso del vuoto lasciato dall’estetica e dalla politica nella loro torsione verso una pericolosa etica del consenso. Il film costituisce il primo episodio della trilogia USA-Terra delle opportunità, e narra di una donna che, inseguita da due gangsters, si rifugia nella cittadina di Dogville. Inizialmente la fuggitiva viene protetta dalla comunità in cambio del lavoro per ognuno degli abitanti; tuttavia, quando gli stessi vengono a sapere che è una ricercata, cominciano a pretendere sempre di più, sino a volerla trasformare in una loro proprietà. Il buon cuore ha quindi un prezzo dettato dal potere. La donna però ha un segreto, e gli abitanti di Dogville si pentiranno di averla abbandonata. Mystic river (2003), Clint Eastwood Il titolo è ripreso dal nome del fiume che attraversa la città di Boston. Tre amici d’infanzia si ritrovano dopo molti anni, in occasione dell’assassinio della figlia di uno di loro. La loro amicizia, che risale al tempo in cui erano ragazzini, si era interrotta in seguito ad un altro episodio tragico: uno di loro era stato rapito e violentato. Il film, con uno stile narrativo asciutto e potente, mostra un mondo privo di dimensione pubblica: i personaggi vivono all’interno di ambiti privati, le loro amicizie e i tradimenti non oltrepassano mai la sfera domestica. È un mondo intriso dall’unica moralità della forza e della vendetta, indifferente alla colpa e incapace di guardare in sé stesso e provare sentimento. The Truman show (1998), Peter Weir Se questo non lo avete visto siete pessimi. Il film, candidato a tre premi Oscar, segue la vita di Truman Burbark, che vive nella cittadina di Seahaven insieme alla
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CULTURA moglie. Ad un certo punto, rendendosi conto di alcuni strani fenomeni che avvengono nel corso delle giornate, si convince di essere manipolato da qualcuno. Si scopre allora che niente è reale, nella sua vita tutto è fittizio, dai familiari luoghi di Seahaven alla sfera affettiva, a partire dalla moglie. Tra moltissimi ostacoli Truman decide quindi di ribellarsi alla opprimente quotidianità, progettando viaggi e cercando di fuggire da quell’isola. Nel film viene esasperata quella sopraddetta ‘spettacolarizzazione della vita’; l’etica completamente sopraffatta dall’estetica, attraverso la fittizia rappresentazione di una cittadina creata ad hoc, una ‘realtà’ confezionata su misura per intrattenere gli spettatori, una perenne vita-pubblicità in cui ogni singolo oggetto del set è in vendita. E’ inoltre impossibile non notare le analogie tra The Truman show ed il contemporaneo Grande Fratello (1999), reality con persone comuni riprese incessantemente da telecamere, rinchiuse in uno studio televisivo impermeabile al mondo esterno. Ragione e sentimento (1995), Ang Lee Diffidate sempre dai remake, spesso sono brutti sporchi e cattivi… In questo caso ritengo che la pellicola del ‘95 sia probabilmente la migliore, considerando anche il cast stellare. Tratto dal libro di J. Austen, il film vede come protagoniste le donne della famiglia Dashwood, in gravi difficoltà economiche in seguito alla morte del capofamiglia. Si distinguono in particolar modo le due sorelle più grandi, Elinor e Marianne, ragazze dal carattere diametralmente opposto ma legate da un profondissimo affetto reciproco e accomunate, in modi diversi, da complicazioni e pene amorose. Marianne è una inguaribile, sentimentale romantica, al contrario la sorella Elinor è molto razionale, pragmatica; le due incarnano perfettamente il binomio suggerito nel titolo, Sense and Sensibility, due termini con la stessa radice semantica ma in contrasto tra di loro, sebbene si tenti spesso di conciliarli. Nessuna delle due diverse attitudini viene giudicata, condannata o elogiata; semplicemente vengono entrambe descritte e analizzate nella propria diversità. BONUS: guardatevi Profumo (2006) di Tom Tykwer: è perfetto per questo tema. Margherita Nè Allegra, VE
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NARRATIVA
LA NOSTRA VERA STORIA
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Dici che non ti basta guardare qualcuno
Guarda,
Dici che vorresti toccarne l’anima:
È qui
Vorresti toccare l’anima delle persone
È tutto qui
Dolcemente
È tutto un racconto:
Accarezzarne i contorni
Se non lo vedi
Sfiorarne le cicatrici.
Dev’essersi fuso con le mie ossa,
Ti chiedi
Ma se chiudi gli occhi
Quali sofferenze nascondono
Lo sentirai anche tu.
Due occhi verdi
Prendi, prendi la mia mano:
Cosa può celare
Sfiorane il dorso
Un sorriso.
Mentre passi un dito sulle tue palpebre.
Hai paura
Sono parole invisibili
Hai paura e me lo sussurri appena
Appena in rilievo.
Hai paura che quando tutto sarà svanito
Ma ecco, eccola:
Sulla pelle rimarrà
Quella volta
Solo il soffio di un ricordo lontano.
E quella,
Ma non pensi che ci resteranno scritti
E quella,
addosso?
E quell’altra
I nostri disagi
E anche quella che non ti ricordi,
E le risate:
Che non ricordo nemmeno io.
Quella volta in cui abbiamo volato
Eppure è tutto qui
E quell’altra
Nelle profondità dell’osso,
Quando siamo caduti.
Appena in rilievo sulla pelle:
Sì, è passato
Ce l’abbiamo scritta addosso
È passato
La nostra storia.
È tutto passato Non crederai davvero che se ne sia
Beatrice Locatelli &
andato?
Irene Rampinelli, IIF
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NARRATIVA
CATENE DI SANGUE, CATENE DELLO SPIRITO
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Notte, una luna scarlatta fende la tetra oscurità, quale sangue fresco che scorre tra sangue ormai nero, candidi fiori si tingono di cremisi. Le catene che ci avvolgono lasciano ferite inguaribili in noi ma, ahimè, non c’è liberazione. Possiamo solo guardare il lento scorrere degli eventi. Unico spiraglio di luce in queste tenebre è la morte.
Ma molto spesso le nostre stesse menti ci frenano dal gesto ultimo; e quindi pensiamo: “Sono davvero così strette le catene che ci legano?” Però sappiamo già che, più passa il tempo, più affondano nel nostro spirito fondendosi col sangue della nostra volontà, sempre più nel profondo. Solo la gelida lama del dolore potrebbe liberarci; che sia forse questa, infine, la soluzione? Soffrire? D’altronde ciò che è stato forgiato dal sangue ne esige altro per essere sciolto. Giovanni Caldirola, IIF
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NARRATIVA
IL MIMO S
C
i può ben dire che lui vivesse per fare il mimo. A V., comunità di contadini poveri e poveri anziani, contadini in pensione, era un’attrazione pubblica che richiamava gente fin dalla periferia, un’istituzione. Al sabato sera arrivava il carrozzone dei saltimbanchi: due camion variopinti, un presentatore sdentato ma impettito che sorrideva ai passanti, un Arlecchino e una Pulcinella -si vocifera marito e moglie, non è ancora chiaro dietro quale dei due costumi si celi la donna o l’uomo, né peraltro il motivo per cui continuino a interpretare la stessa parte per tutto l’anno, eccetto a Carnevale-, un trapezista, che per la mancanza di strutture si era ridotto a saltare fra i tubi dell’intelaiatura metallica di un gazebo, un cagnetto bastardo dalle corde vocali ruvide e gonfie -per la fatica di fare da colonna sonora a ogni esibizione, sebbene non si possa dire che la gente di V. se ne sia mai lamentata- e infine il mimo. I più maliziosi hanno sempre ritenuto si trattasse del figlio illegittimo di uno fra Arlecchino e Pulcinella e che il reo genitore se lo fosse accollato per pietà, non avendo avuto il coraggio di abbandonare l’infante in fasce sul ciglio della strada. Anche se gli ignobili malpensanti che hanno proposto pubblicamente questa ipotesi sono stati esiliati da V. ormai da qualche tempo, non si può negare che, in fondo, la loro insinuazione sia sopravvissuta, annoverata fra quei pettegolezzi che molti ritengono veri ma
che nessuno osa confermare o smentire pubblicamente. In ogni caso, venendo al mimo, questi si presentava come un ragazzo di muscolatura atletica ed elastica e di età indefinita, variabile fra i 12 e i 17. Molti pensano che questa incertezza estrema sia dovuta al pigmento bianco con cui nascondeva tutte le porzioni di incarnato visibili da fuori; in tal modo questi celava i propri lineamenti, ma anche sopracciglia, labbra e palpebre. Da che ho memoria, capelli o non ne aveva mai avuti o li portava rasati tanto da permettergli di applicare la tintura anche sul cranio. Dicevo che le sue esibizioni sono state da sempre molto acclamate, anche se quasi tutti, se interrogati, non riuscivano a individuarne il motivo. Credo -ma potrei sbagliarmi- che esso risieda nel sentimento di redenzione che il suo spettacolo suscitava nella platea. Mi spiego. Il mimo non cambiava mai tipo di recitazione: iniziava sempre con una danza strana, scandita dal metronomo rauco del bastardino, e molto espressiva. Si sarebbe potuto definire di stile moderno o contemporaneo – del resto non ho mai capito la differenza. Il punto luce del movimento di tronco e arti era sicuramente il suo volto bianchissimo, imperlato di sudore: l’apice in cui confluiva tutta la tensione espressiva della danza. La seconda parte dell’esibizione consisteva nella classica posa che molti mimi adottano, quella di fingere di essere imprigionati in un’immaginaria
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NARRATIVA cupola di vetro. Elemento in cui individuo la causa del successo di questo ragazzo. Egli, infatti, a differenza dei suoi colleghi, recitava in questo frangente in modo affatto comico-burlesco, ma tragico e drammatico, quasi a voler sciogliere lo iato fra la finzione attoriale e la realtà contadina della platea estasiata, che assisteva a bocca aperta. Proprio nel momento in cui la mimesi si rompeva, avveniva la redenzione di cui sopra: la povera comunità che viene inglobata nella cupola di vetro e abbracciata dal ragazzino in bianco, per una volta alla settimana, si sente libera dalle preoccupazioni quotidiane di mera sussistenza. E non sto parlando per altri, mal interpretando una situazione osservata dall’esterno; in primo luogo, tale sensazione, inspiegabile da parte dei più, ero io stesso a provarla e a tentare di metterla in parole -trovandomi più a mio agio nel tenere in mano una penna rispetto a una zappa (ma non per questo, ci tengo a sottolinearlo, ritenendomi superiore). Era incredibile come questo commovente senso di comunione potesse essere trasmesso da un artista a un gruppo di contadini ignoranti, due figure con un linguaggio totalmente differente. Tanto che noi di V. iniziammo ad adorare il mimo come un vitello d’oro, un Dio in terra. Lo amavamo a tal punto che lo obbligammo a riprodurre la sua performance ben due volte al giorno, a mezzodì e dopo cena: né peraltro si può dire che l’affluenza del pubblico fosse stata ridotta dal moltiplicarsi della frequenza. Se la sua fisionomia era del tutto indecifrabile all’inizio e guizzante la sua muscolatura, ora si faticava a non
notare gli interstizi (o meglio, i solchi) delle rughe sul volto o le occhiaie nere che la biacca faticava a coprire. Il mimo sembrava accogliere le pretese sempre più pressanti con un sorriso stanco ma condiscendente, quasi cosciente di quale fosse il suo destino. Il quale non tarderò a rivelare. Avvenne ben presto che nemmeno il duplice appuntamento fosse sufficiente: i contadini facevano a gara per tornare prima degli altri dai campi, per accaparrarsi un’esclusiva performance del mimo, che, per quanto poteva e forse anche oltre, cercava di non negarsi a nessuno. L’estasi dei contadini lasciava spazio a un’inquietante ferocia, che trapelava dagli occhi di tutti in maniera così eclatante che non mi sento in difetto a chiamarla pazzia. Una pazzia feroce, maschia, animale: rurale, insomma. Forse fu proprio per salvare il mimo che un giorno -non lontano dal momento in cui scrivo- mi proposi di rapirlo, così da risparmiargli quel folle accanimento. Ora viviamo insieme in uno dei due carrozzoni dei saltimbanchi, né posso dire che parliamo di alcunché. Di giorno io guido per allontanarmi il più velocemente possibile da V. e dalla sua ignorante bramosia, di notte mi reco nel vano posteriore del camion e per ore e ore sono partecipe, finalmente solo, dello spettacolo più affascinante, l’amplesso più dolce fra natura e arte. Non nego che le membra del mimo siano notte dopo notte più fiacche, né del resto che di questo passo morirà. Ma non me ne faccio cruccio. Ai posteri lascio queste memorie, acciocché, all’uopo, possano trarne beneficio.
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Francesco Giammarioli, IVA
SPORT
CHRISTIAN ERIKSEN E LA MITE RIVOLUZIONE M
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adrid, 1 giugno 2019. Liverpool e Tottenham, dopo due semifinali a dir poco rocambolesche, si contendevano la Coppa dei Campioni in una finale tutta britannica. Le due compagini erano mosse da istanze opposte: da un lato i Reds chiamati a ridare lustro a un blasone europeo ricco ma impolverato, dall’altro gli Spurs di Mauricio Pochettino con l’occasione di portare in bacheca per la prima volta il trofeo più prestigioso di tutti contro ogni pronostico. Dopo novanta minuti avari di divertimento, il Liverpool sollevava la coppa, segnando la fine di un ciclo forse mai davvero iniziato per il Tottenham. La stagione successiva non tardò ad assumere le sembianze di un calvario: gli Spurs sprofondarono in classifica e si resero protagonisti di figuracce europee, una su tutte il 7-2 inflitto dal Bayern Monaco. Pochettino si trovò a essere esonerato, ma non fu il solo ad abbandonare Londra. Anche Christian Eriksen , elegantissimo trequartista nonché titolare inamovibile , decise che era tempo di cambiare aria. Lo straordinario bagaglio tecnico del danese non era passato inosservato ai top club europei, tanto che le testate giornalistiche spagnole non esitavano a vedere in lui l’erede di Luka Modric, leggendario regista del Real Madrid alla soglia dei 34 anni. Insomma, la sessione invernale di mercato 2019/20 prometteva duelli di mercato infuocati, il cui esito appariva ancora meno scontato alla luce del cospicuo calo del prezzo
fissato per il centrocampista, ormai in imminente scadenza di contratto. Eriksen, in tutto questo susseguirsi di voci, mantenne un atteggiamento professionale e rispettoso nei confronti di tecnico e dirigenza, anche se il divorzio appariva inevitabile. A questo punto, tutti gli addetti ai lavori si sarebbero aspettati il definitivo affondo da parte dei Blancos, ma a concretizzarsi fu proprio l’opzione che pareva meno realistica. L’Inter, dopo anni di delusioni e astinenza da trofei, era tornata a lottare per il titolo nazionale sotto la guida di Antonio Conte; e l’ambiziosa e intraprendente dirigenza vedeva nell’acquisto del danese il sigillo della rivoluzione appena avviata. Un chiaro segnale alla Juventus, fino a quel momento unica compagine in grado di portare a termine trattative di tale livello. I tifosi nerazzurri erano in trepidante visibilio, ma dovettero aspettare il 27 gennaio per assistere all’approdo del fuoriclasse a Milano. Con l’ufficializzazione dell’affare, la Serie A accoglieva un campione di livello
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SPORT internazionale, che avrebbe garantito un considerevole aumento del tasso qualitativo nell’economia del campionato e, nelle speranze degli appassionati, l’agognato ritorno del movimento calcistico italiano alle vette europee. Ciononostante, gli inizi furono più travagliati del previsto. Se le difficoltà di adattamento per un giocatore inseritosi nell’organico solo a metà stagione erano più che giustificate, di certo la prolungata relegazione in panchina del neo-acquisto non ha potuto non destare i malumori della tifoseria. L’intesa con Conte, infatti, non appariva particolarmente salda, vista la distanza fra lo stile di gioco elegante e pulito del danese e le istanze tattiche espresse dal tecnico salentino, basate sostanzialmente su incisività e concretezza. Nemmeno la pausa dei campionati a causa della pandemia è bastata a trovare una conciliazione fra il numero 24 e l’allenatore, il quale era solito preferirgli Roberto Gagliardini. Il minutaggio a disposizione di Eriksen diminuiva esponenzialmente, e la sua espressione mestamente rassegnata in panchina ha indubbiamente costituito una spina nel fianco per i cuori di fede nerazzurra. Le incertezze manifestate dall’Inter nel girone d’andata del corrente campionato, inoltre, non hanno fatto altro che accrescere le responsabilità imputabili a Conte, reo di aver disdegnato quasi aprioristicamente le potenzialità del danese in favore di improbabili richieste di mercato. In questo clima alquanto teso, Eriksen, benché demoralizzato dal proprio scarso impiego, non si è reso protagonista di gesti plateali – salvo qualche dichiarazione lievemente stizzita
nel corso del ritiro in nazionale – ma ha continuato a fare del proprio meglio e a lavorare seriamente, mentre le voci su un suo ormai sicuro addio si facevano sempre più insistenti. Niente sfoghi sui social o retroscena al veleno, solo l’amaro rimpianto di aver perso un’occasione. Ma proprio quando la carriera del trequartista sembrava destinata a proseguire altrove, ecco la svolta inaspettata. Coppa Italia, quarti di finale, derby della Madonnina. Una partita complicatissima, in bilico sui binari del pareggio. Conte butta dentro Eriksen per il forcing finale. Mossa disperata o colpo di genio, è sua la pennellata che risolve il match, una punizione
che lascia impietrito il portiere. Da quel momento in poi, l’ascesa: prestazioni in crescendo, grinta e un posto da titolare che, salvo imprevisti, va sempre più consolidandosi. Una notizia positiva per tutti gli appassionati, ma soprattutto una parabola folle e senza senso, nel segno della migliore tradizione interista, in cui però a spuntarla non è l’istrione o il fenomeno incompreso e ribelle, ma chi si è limitato a lavorare e a sfruttare il poco tempo a disposizione.
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Francesco Forte, IIIH
TERZA PAGINA
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OROSCOPO ARI ET E
TORO
Vivi la tua vita in modo profondamente esteta; vuoi rendere la tua vita un’opera d’arte; proprio per questo sai apprezzare la bellezza come pochi sono capaci di fare. Canzone del mese: Arabella, Arctic Monkeys Personaggio d'ispirazione: Oscar Wilde
Costanza e perseveranza sono i punti forti del tuo carattere: ti piace raggiungere i tuoi traguardi lavorando duro, solo così li apprezzi davvero. Canzone del mese: Eye of the tiger, Survivor Personaggio d'ispirazione: Bill Gates
GEMELLI
CANCRO
Kierkegaard insegna che,oltre ad etica ed estetica, c’è un terzo modello di vita: il modello religioso. Credi in qualcosa di più grande di te e ti affidi a questo completamente, che sia Gesù, Buddha o il comunismo radicale. Canzone del mese: Believer, Imagine Dragons Personaggio d'ispirazione: don Pasini
LEON E
Da buon* seguace dell’estetica quale sei, ti piace vivere cercando sempre di sfruttare al massimo ogni momento a tua disposizione, insomma incarni il carpe diem. Canzone del mese: The Nights, Avicii Personaggio d'ispirazione: Orazio
V ERGI N E
Sei un* Don Giovanni nat*, massimo esempio di estetica, cerchi continuamente qualcosa di nuovo che ti dia quella scarica di adrenalina che ti serve per farti sentire viv*, ma fai attenzione a non diventare troppo dipendente da questo modo di fare, potrebbe arrivare ad annoiarti. Canzone del mese: Dieci ragazze, Lucio Battisti Personaggio d'ispirazione: Casanova
Sei capace di trovare la bellezza nella routine, cosa che in pochi sono in grado di fare; cerchi qualcuno con cui condividere questa bellezza, qualcuno che ti dia sicurezze e ti faccia sentire al sicuro. Canzone del mese: Ma il cielo è sempre più blu, Rino Gaetano Personaggio d'ispirazione: Renoir
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TERZA PAGINA
BI LANCIA
SCORP ION E Il fondamento della vita etica consiste nel fatto che l’uomo sceglie...e tu? Ti sei finalmente decis*? Chi ha tempo non aspetti tempo diceva la nonna. Canzone del mese: Far finta di essere sani, Giorgio Gaber Personaggio d'ispirazione: Nietzsche
Non ti chiami Guglielmo (contro Kierkegaard!!), non ami il rigore, ma il tuo destino è segnato. Non temi la continuità e ami il tuo lavoro. Insomma trova ciò che ami e lascia che ti uccida, quasi, con disciplina ;) Canzone del mese: Happy Hour, Ligabue Personaggio d'ispirazione: Angela Merkel
CAP RICORNO
SAGI T TARIO Platone, Seneca, Lucano, Petronio, Dante, Kant, Wilde e d’Annunzio e ancora gli astri non mi hanno detto da che parte stai. Hai il potere di cambiare la tua vita in corso d’opera? Certamente! Però fallo ;) Canzone del mese: Cosa sarà, Lucio Dalla Personaggio d'ispirazione: Amleto
Lo so, ricerchi il piacere, vuoi goderti la vita e fuggire ogni impegno, temi la noia e la ripetizione. Se sei stanc* di stare da sol* ricordati che sei tu la cosa più interessante che hai. Poi vediamo se è davvero così :0 Canzone del mese: D'estate non vale, Fred De Palma Personaggio d'ispirazione: Maradona
ACQUARIO
P ESCI
Alcuni dicono che la vita etica sia impossibile, ma provare per credere e tu ci sei riuscit*!! Per te la felicità sta nel quotidiano e nelle tue abitudini sregolate, invidiabile ;) Per questo mese Giove consiglia di moderare i caffè e Venere di lasciati sedurre dalle gioie sfuggenti, poi ci dirai ;) Canzone del mese: Caffè nero bollente, Fiorella Mannoia Personaggio d'ispirazione: Marcovaldo
Sei disincantat* e astut*, attratt* dalla conquista, un cacciatore di tesori o solo Dora l’esploratrice? Le lune si allineano anche su Indiana Jones, ma le nuvole dissimulano. Ti piace dominare le circostanze ma occhio a non farti dominare ;) Canzone del mese: Brivido, Guè Pequeno Personaggio d'ispirazione: Jack Sparrow
Emma Scalvedi e Elisa Frigeni, VE
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I TESORI DEL MUSLI
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i siete mai chiesti perchè la nostra palestra ha la struttura di una Chiesa? o perché appare come un tempio greco? Speriamo di sì, ed oggi siamo qui per dare una prima risposta a queste domande che affliggono i Sarpini da diverse generazioni.
Probabilmente tutti saprete che la nostra scuola sorge in un ex monastero, le cui origini risalgono alla prima metà del XV secolo. L’istituzione scolastica, che in precedenza aveva sede in via Arena, si trasferisce qui agli inizi dell’800. Il monastero era cresciuto nei secoli in maniera disordinata, perciò fu necessario un primo riadattamento nel 1815 documentato dal professor Lucchini, a cui fece seguito la ristrutturazione generale dell’edificio negli anni ‘40 di quel secolo, ad opera dell'architetto bergamasco Ferdinando Crivelli. Fu proprio lui a trasformare l’ambiente della Chiesa in una palestra: abbattè metà della costruzione, quella che costituiva la Chiesa “pubblica”, e mantenne intatto il coro delle monache, a cui aggiunse l'abside tutt’ora esistente. La storia di un luogo così denso di significato fu cancellata per lasciar posto all’edificio che fre-
quentiamo quotidianamente. Tracce del precedente monastero sono ancora visibili in alcune zone del nostro Liceo: basti pensare al corridoio del seminterrato e all’aula T14!
Nel primo ambiente sono ben visibili le colonnine inglobate nel muro che divide le aule dal corridoio: costituivano il loggiato del monastero, che affacciava sull’orto delle Clarisse. Esse rimasero nascoste fino al 1982, anno in cui l’edificio fu ristrutturato nuovamente. Fu allora che vennero notate, completamente nascoste all’interno del muro costruito da Crivelli per chiudere l’ambiente e creare nuove aule, e fu presa la decisione di riportarle, almeno in parte, alla luce.
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TERZA PAGINA Spostandoci invece nell’aula T14 notiamo altre due colonne: tra di esse era collocato, fino agli anni ‘80, un affresco raffigurante l’Ultima Cena, oggi conservato nella segreteria dell’Istituto. Esso era collocato nel capitolium delle monache, ciò la sala dove si tenevano le loro riunioni. Questo ambiente era uno dei più decorati, insieme con la sala del focolare ed il refettorio, che si trovavano nel cosiddetto “corpo meridionale” dell’edificio, che venne quasi completamente abbattuto da Crivelli per fare spazio all’attuale terrazza. Un altro affresco presente a scuola, che una volta si trovava probabilmente sulla parete esterna della Chiesa, accanto all’ingresso di essa, è L’Annunciazione. Di questo possediamo un frammento attualmente conservato nella nostra Aula Magna. Il soggetto principale della scena è la Madonna, rappresentata inginocchiata in preghiera davanti ad un leggio, con il capo leggermente inclinato. Que-
sta scena segue i canoni tipici della rappresentazione dell'Annunciazione dell’Arcangelo Gabriele alla Vergine. Non possediamo però alcun frammento della rappresentazione dell’Angelo, mentre è di particolare interesse notare la rappresentazione sullo sfondo della cuspide di Santa Maria Maggiore. Queste sono solo una piccola parte delle infinite curiosità che potremmo raccontarvi a proposito della nostra scuola, ma preferiamo raccontarvele un po’ per volta. Intanto, se siete troppo impazienti, vi aspettiamo alle prossime riunioni della Commissione MusLi :)
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Lucrezia Chioda, IIIC Francesco Caldarone, IIIC Giosuè Fustinoni, IVC Amrita Martinelli, VE Andrea Mangini, VE @ilmuseonelliceo
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IPSE DIXIT
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IVH Moscarello parla di varie tipologie di tè Marchesi: Moscarello in realtà vuole drogarmi
Dopo aver consegnato i temi Nardone: Ho apprezzato che i contenuti erano noti, cosa che in terza liceo di solito è scontata, ma per voi è una conquista
Marchesi: Ho fatto solo un anno di chitarra classica e mi rammarico di non aver continuato. In realtà è stata colpa del Sarpi, perché dovevo sempre studiare
Lilli: Vado a chiamare la bidella ragazzi, fermi zitti immobili Gio: Non si preoccupi
Giaconia: Mangio una cosa, è buona, e metto l'emoticon felice. Intanto arriva di nascosto un uomo e, dato che vede che la cosa che mangio mi rende felice, mi colpisce con la clava e prende la cosa.
Mati ride Nardone: Matí che c'è? Mati: Nulla profe è che il video di Giorgio è diviso in 3 Nardone: Giorgio, uno e trino è... basta, Dante gli ha dato alla testa
Marchesi: Venivo a scuola per i miei traffici. Traffici sociali intendo, ora non dite a Cassandra che avevo traffici illeciti.
Nardone: Mi aspetto la relazione del compagno Silvestri... Oddio ho detto compagno Silvestri, ti sei offeso?
Giaconia: I love you! Bam, mi ha dato un'altra bastonata.
Danny: Did you find the word? It's like when you are under water and you are swimming Matteo: Scusi ma sto affongando nel mio sangue
IIIF Cazzani: Matteo perché sei seduto qui? Matteo: Eh perché ero là ma mi hanno spostato Cazzani: E perché eri là? Matteo: Eh per copiare nella verifica
IIIE Ruggeri: Tanto avrete familiarità con la vostra mano destra Ronchi: Non tanto, sono mancino
Facendo un problema di fisica Beretta: Quindi sul tappeto ci stanno due bambini... non troppo cicciotti
Sabato, settima ora Fabio: Profe non potremmo guardare qualcosa di Alberto Angela al posto di fare latino? La classe applaude Prof decide di consegnare le versioni di greco
Matteo chiede di andare in bagno Beretta: Esci e sparisci dalla mia vista
Ruggeri: L’avete preso un pocket coffee stamattina? Mi sembrate un po’ poco reattivi...
Beretta: Fare fisica senza materiale è come andare a sciare in ciabatte
Bonasia: pipiat è un verbo fortemente onomatopeico, significa fare pipì
Mascheretti: Federico invece è felice perché la verifica di fisica è andata bene Fede: Si! Mascheretti: Si, davvero!? Fede: No
Bonasia: diventeranno poeti novelli ma non quelli del vino!
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TERZA PAGINA Biglioli (in videolezione per spostare il gatto): TOGLITI GATTO! Leo: Profe noi non vediamo la cartella drive Profe: Ah certo certo ,ovvio ovvio ovvio, santa pace! VE Parlando del virus HIV Ferrario: È un retrovirus, cosa significa? Samu, non così a bassa voce come credeva: eh… Interrogazione di letteratura latina Salvi: Alla fine del Satyricon i nostri eroi arrivano a Crotone. Dove è Crotone? Cla: Asia minore
Messi: Io non riesco a controllare la mia vita, figuratevi se mi metto a controllare i vostri quaderni IVE Parlando della complessità del corpo umano e del cervello Pelosio: Durante le nostre lezioni, ahimè, a voi curiosoni dovrò spesso rispondere "non si sa": dato che non sono un medico non so queste cose e mi piace di più il "non si sa" Educazione civica in scienze Pelosio: Oggi ragazzi parleremo di mutazioni, cibo: vi parlerò del mio trainer... che non esiste
Dopo un’ora di Nietzsche Minervini: Guardate, trasformo l’ora di lezione in ora di pranzo, sono il superuomo Paolo: Si sapeva profe
Parlando di luci e ombre in Antonello da Messina De Simone: Da dove viene la luce? Nico: Da Messina
Salvi sfora il tempo massimo interrogando Entra la Raffaelli Salvi: Scusa, stavo interrogando Raffaelli: Interroghi anche me?
Pelosio si dimentica di connettersi su meet per Boni Alle 12.30 Alice: Profe si è collegato per Pietro? Pelosio: No si collega Ciao Pietro, scusa per l'attesa ma abbiamo avuto un sacco di problemi tecnici, non puoi capire ci hanno anche cambiato il computer. Dopo un po' Pelosio: Scusa Pietro mi ero dimenticato
IIF Messi: Io e la professoressa Mazzacchera siamo specializzati nel trovare le parole per riempire i buchi nei testi antichi Martina: Lei quanti buchi ha riempito? Parlando delle idi di marzo Mazzacchera: Quindici marzo, data resa famosa dal compleanno di Beo, e in cui incidentalmente c’è stata anche la morte di Cesare Nessuno Assolutamente nessuno Edo:
Pelosio: Ragazzi preparate UN BEL FOGLIO A4 PER SEGNARVI TUTTI I COMPITI Pelosio scrive sul registro e legge quello che sta scrivendo: Eliqui...equli... ragazzi non riesco a scrivere equilibrio... Pelosio: Adesso parleremo di una grandezza che dovreste conoscere molto bene ormai: la velocità di reazione. Non mi stupirebbe se qualcuno ci passasse il capodanno insieme, vista la confidenza
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hanno scritto per questo numero Riccardo Dentella, Matteo Sangalli, Vittoria Castelli, Irene Fiocca, Leonardo Umberto Gambirasio, Lucia Chiari, Sara Marconi, Paolo Raimondi, Rebecca Battaglia, Martina Musci, Gaia Della Volta, Margherita Nè Allegra, Beatrice Locatelli, Irene Rampinelli, Giovanni Caldirola, Francesco Giammarioli, Francesco Forte, Elisa Frigeni, Emma Scalvedi, Lucrezia Chioda, Francesco Caldarone, Giosuè Fustinoni, Amrita Martinelli e Andrea Mangini in copertina Irene Fiocca impaginazione Samuele Sapio, Riccardo Dentella direttore: Samuele Sapio vicedirettori: Riccardo Dentella, Zoe Mazzucconi segretarie: Anna Piazzalunga, Annalucia Gelmini caporedattori: sarpi: Irene Fiocca, Vittoria Castelli attualità: Paolo Raimondi, Leonardo Umberto Gambirasio cultura: Margherita Nè Allegra narrativa: Francesco Giammarioli sport: Riccardo Dentella terza pagina: Giulia Cortesi, Valentina Aresi illustrazioni: Linda Sangaletti
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