CASSANDRA numero 111
anno XXVI
EDITORIALE
CITTÀ INVISIBILI
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e città, a quanto spiega il dizionario, sono centri abitati, aggregati di abitazioni, insiemi di cives, luoghi, insomma, dove vivono più persone, dove, nel corso dei secoli, per motivi culturali, strategici, economici, si sono insediati molti individui. Ma cosa sono realmente le città per chi le abita? Cosa rappresentano per l’uomo? Di certo, a prima vista, la loro concretezza appare davvero impressionante… le città sono proprio lì, sotto gli occhi di tutti, con i loro colori, i loro rumori, gli edifici che si possono toccare realmente, con mano. A volte le città hanno anche un odore caratteristico, inconfondibile, soprattutto per chi le abita. E, tuttavia, sfuggono, nella mescolanza di ordine e confusione, di concreto e astratto. Sono simili e dissimili, tra loro e in sé stesse, uniche nella loro omologazione, proprio come gli individui che le animano, uguali e diversi al tempo stesso. Ma cosa sono realmente le città? Cos’hanno di tanto speciale? Perché le città? Italo Calvino prova a rispondere a questi interrogativi, tipicamente umani ed esistenziali, in un libro, dal titolo, appunto, Le città invisibili. Come afferma l’autore stesso, il libro è fatto a poliedro, e può essere letto dall’inizio alla fine, oppure dalla fine all’inizio; allo stesso modo una città può essere attraversata in diverse direzioni, senza seguire i canoni di un percorso obbligato. In ogni caso, il libro consiste in un viaggio attraverso città impossibili, ognuna con un nome di donna, ognuna con delle particolarità che la rendono unica e che la privano di ogni residuo di concretezza. Tutte le città sono invisibili, distopiche, senza tempo, surreali, eppure tanto vicine all’uomo, perché nella loro mancanza di logica, tradizionalmente intesa, mostrano altri aspetti delle città, aspet2
EDITORIALE ti che trascendono la concretezza degli edifici, delle strade, dei luoghi in generale. Le città invisibili mostrano l’umanità nelle sue molteplici forme e sfaccettature, mostrano le varie possibilità che l’uomo ha di concepire sé stesso in relazione con gli altri, all’interno di un medesimo spazio. Prima ancora che un luogo fisico, dunque, le città rappresentano le menti degli uomini, uomini immersi nei segni del loro passato, della loro storia, che, tuttavia, essi a stento manifestano, poiché sono i primi non ricordarla. E così le città sono gli scheletri della coscienza, con le tracce indelebili di ciò che da esse stesse è stato dimenticato. È solo vagando nei meandri del proprio io che si possono visitare queste città invisibili, le quali, alzandosi dalla carta prendono forma, ma una forma confusa, mescolata, vaga, l’indistinta forma dell’immaginazione. Ogni esperienza umana, ogni pensiero, illusione, sentimento provato, ogni influsso sulla coscienza trova un corrispettivo nei segni delle esperienze umane, che convivono nella città, nascosti a tal punto da divenire invisibili. Ogni dubbio, ogni perché dell’uomo e della città si cela sotto a quest’ultima e, senza mostrarsi, la condiziona. Più che un viaggio tra una serie di città, quello descritto da Calvino è un viaggio attraverso gli interrogativi dell’uomo e le risposte che le città, la storia e la civiltà azzardano per soddisfare la curiosità umana. Così il viaggiatore, protagonista di ogni piccolo viaggio, osservatore attento di ogni città impossibile, che parte con il desiderio di scoprire “cose nuove”, di viaggiare per il gusto di vedere il mondo, di conoscere altri luoghi, alla fine ha una consapevolezza differente. Al di là dei monumenti e delle meraviglie che ogni città è in grado di offrire, ovvero, al di là della maschera che esse indossano, la soddisfazione del suo desiderio deriva dai ricordi, che costituiscono le fondamenta di ogni città e che, come tutte le fondamenta, di una casa, di una città, di una coscienza, non possono mai rivelare sé stesse.
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Zoe Mazzucconi VA
INDICE
ATTUALITÀ
La guerra è tornata in Europa Matavenero Malattie invisibili Intervista eloo
CULTURA
Il mito di Atlantide: tra leggenda e realtà “L’isola che non c’è” nel Mediterraneo Sincero retroattivo La città incantata di Hayao Miyazaki
NARRATIVA
Il bocciolo della speranza Invisibili ma anche visibili Città di palazzi uguali Sussurri del silenzio
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SPORT
La dea: fenice della nostra città
TERZA PAGINA
Ipse dixit
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ATTUALITÀ
LA GUERRA È TORNATA IN EUROPA G abriele D’Annunzio affermava che “insorgere è risorgere”, trasmettendo un ideale che il popolo ucraino sta tragicamente insegnando al mondo intero e all’Europa stessa, mentre gli europei sono troppo impegnati a parteggiare per chi li sta relegando nel recinto dell’irrilevanza. Dopo le guerre jugoslave combattute tra gli 1991 e il 2001, l’Europa si trova nuovamente ad affrontare una guerra sul proprio territorio, malgrado gli scontri tra Russia e Ucraina si siano verificati già nel 2008 e nel 2014 con l’invasione russa della Crimea. L’esercito russo ha invaso l’Ucraina la notte tra il 23 e 24 febbraio, con la motivazione ufficiale di proteggere gli ucraini filo-russi e di rendere il paese “neutrale” e fuori dall’orbita dell’Europa occidentale. In realtà, dietro a questa invasione c’è la volontà da parte della Russia di riportare l’Ucraina nell’orbita di Mosca, creando in questo stato un governo filo-russo che la allontani dall’Europa occidentale e impedendo un ulteriore spostamento della NATO verso Est. Per quanto
riguarda il ruolo della NATO, invece, essa non può intervenire militarmente in Ucraina poiché questo paese non ne fa parte, infatti negli ultimi giorni le forze militari dell’Alleanza atlantica si sono concentrate a difesa dei confini di Polonia, Lituania, Lettonia ed Estonia, nazioni che in quanto parte dell’Alleanza hanno diritto, secondo l’articolo 5 del trattato di fondazione, a essere difese dagli altri stati membri in caso di attacco. In risposta all’invasione russa, oltre che con la solidarietà e con la chiusura dello spazio aereo, sia la NATO che l’UE hanno replicato con delle pesantissime sanzioni economiche verso la Russia allo scopo di deteriorarne la base industriale, di metterne in difficoltà il mondo finanziario e di far crescere l’inflazione nel paese. Dal canto suo, Putin ha annunciato di aver allertato le forze nucleari russe, anche se a molti analisti internazionali questo annuncio sia sembrato un segnale di debolezza dovuto probabilmente alle perplessità del suo stesso entourage e dei russi stessi, scesi in piazza a migliaia per manifestare con-
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ATTUALITÀ tro la guerra. La minaccia atomica del presidente russo quindi, è il segnale più forte del fatto che le sanzioni economiche abbiano colto nel segno. Se da un lato il presidente russo è il primo responsabile dei fatti atroci che stanno mettendo in ginocchio una nazione intera, dall’altro lato molti individuano una parte di responsabilità anche alla NATO: il settimanale tedesco Der Spiegel ha portato avanti un’inchiesta con una ricostruzione storica dei negoziati tra NATO e Mosca alla fine della Guerra Fredda, pubblicando un documento scovato nei British National Archives di Londra dal politologo americano Joshua Shifrinson. Questo documento dà conto in modo dettagliato dei colloqui avvenuti tra il 1990 e il 1991 tra i direttori politici dei ministeri degli Esteri di USA, UK, Francia e Germania Ovest sull’unificazione delle due Germanie. Il colloquio decisivo, riporta Der Spiegel, si è svolto il 6 marzo 1991 ed era incentrato sui temi della sicurezza nell’Europa centrale e orientale, oltre che sui rapporti con la Russia, guidata allora da Michail Gorbaciov. Di fronte alla richiesta di alcuni paesi dell’Est Europa di entrare nella NATO, i rappresentanti dei quattro paesi occidentali impegnati con Russia e Germania Est nei colloqui del gruppo “4+2”, concordarono nel definire “inaccettabili” tali richieste, mentre il diplomatico tedesco occidentale Juergen Hrobog disse: “Abbiamo chiarito durante il negoziato 2+4 che non intendiamo fare avanzare l’Alleanza at-
lantica oltre l’Oder. Pertanto, non possiamo concedere alla Polonia o ad altre nazioni dell’Europa centrale e orientale di aderirvi”; posizione concordata con il cancelliere tedesco Helmuth Khol e con il ministro degli Esteri, Hans-Dietrich Genscher. Nella stessa riunione, rivela Der Spiegel, il rappresentante degli Stati Uniti, Raymond Seitz, dichiarò che “la NATO non dovrà espandersi al di là dei confini della nuova Germania né formalmente né informalmente”. Lo stesso Gorbaciov, in un’intervista al Daily Telegraph (7 maggio 2008), disse che Helmuth Khol gli aveva assicurato che la NATO “non si muoverà di un centimetro più ad est”. Identica promessa, aggiunse in un’altra occasione, gli era stata fatta dall’ex segretario di Stato USA, James Baker, il quale però smentì, negando di averlo mai fatto. Eppure, ricorda Der Spiegel, anche Baker fu smentito a sua volta da diversi diplomatici, compreso l’ex ambasciatore USA a Mosca, Jack Matlock, il quale precisò che erano state date «garanzie categoriche» all’URSS sulla non espansione a est della NATO”. Ad oggi però Ungheria, Repubblica Ceca, Polonia, Lituania, Lettonia ed Estonia fanno tutte parte della NATO. In conclusione, è inevitabile riporre tutte le nostre speranze in un futuro dove ogni nazione potrà esercitare liberamente la propria sovranità e ogni popolo sarà libero dai vincoli dei potenti. 7
Brian Scarpellini IIID
ATTUALITÀ
MATAVENERO
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atavenero è un paesino della provincia di León, nella Spagna rurale, che per molti anni è stato abbandonato dalla gente a causa della mancanza del lavoro e di problemi legati all’approvvigionamento idrico ed energetico. Negli ultimi decenni tuttavia questo, come altri piccoli paesi spagnoli abbandonati, ha ricominciato ad attirare persone grazie alla conversione ad “ecovillaggio”, dove ci si trasferisce alla ricerca di uno stile di vita più semplice. La gente di Matavenero vive in modo ecosostenibile, ecologico e socioculturale: ad esempio, il vecchio problema dell’energia è stato risolto con l’installazione di pannelli fotovoltaici. Dopo l’abbandono degli abitanti, avvenuto negli anni 60, nel 1989 un piccolo gruppo di persone provenienti da diversi paesi si stabilirono nel villaggio facendolo tornare alla vita e fondando una eco-comunità dedita alle attività agricole e al piccolo commercio. La popolazione è cresciuta, il villaggio conta circa 70 residenti e ha visto la nascita di 30 bambini che vengono educati in quella che i matavenerani chiamano ‘La scuola libera’. I primi che cominciarono a ripopolare il villaggio nel 1989 furono cinque amici dalla Germania che cercavano un posto dove trasferirsi per cambiare vita rispetto alla loro grande città tedesca. Avendo sentito di Matavenero ottennero molto velocemente il permesso di potervisi trasferire dalle autorità locali spagnole. A loro si aggiunse qualche altra persona dalla Danimarca e iniziarono insieme la costruzione dell’ecovillaggio visibile oggi. Quando arrivarono il paese era rovinato e ricoperto di vegetazione. Nel primo periodo vissero in tipis, un tipo di tenda conica, e ripulirono rapidamente i vecchi sentieri, per poi ricostruire la scuola e riparare il canale di due chilometri che porta l’acqua al villaggio. Dal loro arrivo hanno 8
ATTUALITÀ
creato orti per il cibo, ricostruito case in rovina e installato un sistema di trasporto via cavo che ha contribuito a far stabilire più persone nel villaggio. Ora collettivamente gli abitanti si prendono cura di 3000 ettari di paesaggio montano selvaggio ad un’altitudine di circa 1000 metri. Ognuno ha le sue ragioni per trasferirsi in Matavenero: alcuni volevano vivere in modo più piacevole, altri in modo più economico o meno stressante, ma la maggior parte dei residenti sembra ritenere che più semplice è la vita, meglio è. Tuttavia, alcuni dei nuovi arrivati scoprono di dover lavorare più duramente del previsto e più della metà se ne va prima di un anno. Per la maggior parte della comunità però il villaggio è uno stile di vita di successo. Non essendoci una strada per il villaggio, non è possibile arrivarci in auto e ci vogliono circa tre ore per arrivarci dalla strada più vicina. Matavenero è un ente locale autonomo riconosciuto dal governo spagnolo, dotato di un centro per le assemblee cittadine, un panificio, un piccolo bar-ristorante e un emporio. Matavenero, inoltre, è ‘gemellato’ con Poibueno, un altro piccolo villaggio situato sulle sponde del fiume, anch’esso autonomo e gestito dalla popolazione locale. Entrambe le comunità hanno sposato un’identica filosofia di vita comune, improntata alla cooperazione e alla solidarietà reciproca, e soprattutto, all’amore per la Madre Terra. Entrambi gli ecovillaggi appartengono al comune spagnolo di Torre del Bierzo.
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Marta Capuano IC
ATTUALITÀ
MALATTIE INVISIBILI
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epressione, che brutta parola, fa paura, vero? Si, a noi fa paura: i disturbi della sfera psichica sono poco conosciuti e di conseguenza incutono timore. Chi ne soffre cerca di nasconderlo e facendolo si isola ancora di più. È difficile parlarne: hai paura dello stigma, del giudizio degli altri; hai paura dei danni che le medicine potrebbero infliggerti. La gente ti dice ‘Smettila di piangerti addosso; vuoi attirare l’attenzione’. Così cominci a nasconderti. In Italia, così come in tutto il mondo, si sono diffusi durante gli anni pregiudizi sempre più invalidanti riguardo la salute mentale: si dice e si scrive che per le malattie psichiatriche bisogna combattere, appunto, lo stigma che le avvolge e che pesa sui malati. È la condanna sociale, la colpevolizzazione, il sostenere che questi disturbi non abbiano rimedio e siano pericolosi, e, per chi soffre di questi disturbi come spesso per le loro famiglie significa vergogna, senso di colpa, necessità di isolarsi. O sparire. Tutti ti ripetono che hai solo bisogno di buona volontà, che la depressione non è altro che una forma di malinconia esagerata, che l’ansia è banale agitazione e le tue reazioni sono fuori luogo. Condividere questi pregiudizi significa negare la dignità
di malattia alle malattie mentali, farne molte volte un problema di cattiva volontà. Perché mai dire a chi ne soffre “Sforzati!”? Per caso siamo abituati a chiedere a un malato di polmonite di respirare più forte e in modo più regolare? Oppure a un individuo ingessato di guarire più velocemente? Sì, la gravità dei disturbi psichiatrici è al livello delle malattie appena citate, ma non ne viene riconosciuto il peso e la specificità. Se i polmoni, o banalmente il cuore, si ammalano, perché un organo complesso e complicato come il cervello non può? Attenzione, non sto parlando di una malattia tanto invalidante da portare alla completa pazzia o, come si soleva chiamarla, isteria. La pazzia, in realtà, è stata districata da tempo in tante distinte malattie: depressione, ansia, disturbo ossesivo-compulsivo, pani10
ATTUALITÀ co, distimia, anoressia, schizofrenia. Ognuna con una propria diagnosi e con una conseguente terapia. Più o meno efficace, come lo sono le terapie dei problemi fisici. Non sempre curano. Più spesso trattano e tendono a contenere. Sarebbe facile riempire pagine e pagine sulla disinformazione che grava tra noi persone comuni, tuttavia, dato che la realtà della situazione è molto più complicata, è opportuno che io parli anche di quanto il sistema sanitario sia discriminatorio. Le risorse disponibili - in termini di percentuali del fondo sanitario destinate alla salute mentale - sono assai inferiori rispetto alle esigenze. Un paziente a rischio di suicidio è difficilmente considerato come un paziente con un infarto in corso. Non esiste uno specifico codice rosso per una malattia psichiatrica. Perché un paziente gravemente depresso è difficilmen e considerato come un malato uscito da una chirurgia oncologica? Perché un paziente schizofrenico è difficilmente considerato come un paziente trapiantato? Eppure sono situazioni paragonabili, da un punto di vista medico. La gravità della situazione è pressoché la stessa, entrambi i pazienti sono a rischio e la loro vita è in pericolo. Tuttavia, dato che le modalità in cui sono a rischio sono differenti, coloro che soffrono di disturbi mentali vengono ignorati, declassati, dimenticati nell’oblio di quel dolore che difficilmente si può
estirpare. La generazione più a rischio è la nostra, quella dei giovani. Noi, che siamo rimasti isolati per mesi in casa, soffriamo in modo più consistente di ansia e attacchi di panico, per non parlare della depressione dilagante che ci distingue. Le scuole sono un insieme di occhi, sguardi tristi. Eppure, nessuno fa nulla, nessuno agisce, nessuno ci chiede “come stai?”. I professori preferiscono sobbarcarci di verifiche, eliminando la nostra capacità di pensiero e cedendo alla tanto nobile causa del mutismo selettivo. Per fortuna, forse, ora riusciamo ad intravedere uno spiraglio di luce: il bonus psicologico. Sembra che il governo abbia finalmente riconosciuto la gravità della situazione e deciso di porre rimedio. Si parla, per le persone con i redditi più bassi, di un aiuto che si aggira intorno ai 600 euro, volto a fronteggiare le difficoltà incontrate a causa delle malattie mentali che sono vertiginosamente aumentate durante questi anni di pandemia. Non ci resta che parlarne e, soprattutto, sperare. Parlare delle nostre difficoltà, delle nostre paure, senza nasconderci dietro quel velo d’indifferenza che troppo spesso indossiamo, per fingere, almeno per poco, di non avere problemi. I problemi esistono, ma non sono una condanna a morte. Parlatene, parliamone.
Annalucia Gelmini IIIE 11
ATTUALITÀ
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INTERVISTA EELOO
’11 di febbraio ho incontrato Filippo Valli, VE, per fargli alcune domande sulla sua app, Eeloo, in modo da scoprire qualcosa di più su come è nata. P.S. Come anche Filippo ha sottolineato, l’app è lontana dall’essere finita ed è dunque possibile che alcune delle risposte date qui non siano più vere nel momento in cui state leggendo. Anna: Prima di tutto, come ti è venuta l’idea? Filippo: L’idea mi è venuta quest’estate, quindi è da un po’ che ci stavo pensando anche se inizialmente non avevo assolutamente un progetto chiaro su cosa fare, come strutturarla. Il progetto originale era appunto di fare un social network per il Sarpi come esperimento, ma era molto vago. Poi per diversi mesi ho accantonato l’idea, pensandoci molto poco, finché durante le vacanze di Natale ho preso il Covid e essendo a casa a far niente ho avuto modo di ragionarci per qualche giorno; in particolare, ho pensato a cosa non mi piace degli altri social network e da lì sono partito. A: Prima di questa esperienza avevi già delle nozioni di programmazione? E quanto è stato difficile creare e poi modellare l’applicazione? F: Ho imparato a programmare all’incirca un anno e mezzo fa, però nello specifico applicazioni per i cellulari poco prima dell’estate scorsa. Tuttavia prima di Eeloo non avevo di fatto creato nulla, avevo solo la teoria. Imparare non è troppo difficile, ci vuole solo tempo, tanto tempo. Creare l’app è stato invece abbastanza complesso, alla fine l’importante non è stato il colpo di genio ma mettersi lì ogni giorno, nonostante la frustrazione: quando magari c’è una cosa difficoltosa da risolvere, che impiega tre giorni di continui blocchi perché non si riesce a sistemare, bisogna continuare a provare. Di per sé però la programmazione non è così difficile, può sembrare talvolta una cosa un po’ oscura ma non è nulla di spaventoso, serve solo avere la voglia. A: Quindi hai imparato da solo. F: Sì, sono autodidatta. Su internet si trova un po’ tutto ciò che può servire, sia da chi sviluppa i linguaggi di programmazione mettendo a disposizione delle guide, sia da chi impara ad utilizzarli a sua volta e fa delle 12
ATTUALITÀ altre guide. È utile quindi per tutti i livelli di conoscenza, sia che tu abbia appena iniziato sia che sia già nel settore. Dunque è possibile imparare anche da soli. A: Come è nato il nome? A cosa è ispirato? F: Il nome è proprio l’ultima cosa che ho deciso; l’ispirazione è venuta da un gioco, mi piacciono i videogiochi, sull’esplorazione dello spazio in cui ci sono dei pianeti fittizi, uno dei quali appunto chiamato Eeloo. Vedendolo l’ho trovato carino e ho deciso di usarlo, di farlo mio. A: Avevi altre idee per il nome? F: All’inizio non avevo in realtà un nome già definito e quindi lo chiamavo SN, Social Network, anche se chiaramente era un nome provvisorio, che ho mantenuto finché poi l’app è uscita. A: Come mai soltanto per il Sarpi? F: In parte perché faceva parte dell’idea iniziale, ovvero di fare qualcosa per il Sarpi, ma poi anche per un discorso pratico, se l’avessi fatto aperto a tutti probabilmente non se lo sarebbe filato nessuno nell’oceano dei social network mentre così va ad inserirsi in un settore, un mercato, non esplorato per così dire. Essendo del Sarpi è unico, dunque sapevo che sarebbe interessato subito a qualcuno, come poi è stato. A: Certo, poi di sicuro essendo interno alla scuola può aiutare a conoscere nuove persone, cosa che si è un po’ bloccata negli ultimi due anni. F: Sì, soprattutto ora ma anche prima a scuola non c’erano molti luoghi di incontro, che era un’altra delle cose a cui avevo pensato ideando l’applicazione, è difficile conoscere studenti all’infuori della classe. Inoltre volevo provare a creare qualcosa che superasse il problema che secondo me hanno adesso i social network più comuni, ovvero che non pongono del vero valore nella socializzazione. Sono pienissimi di contenuti, certo interessanti, che però a mio parere non favoriscono un vero scambio fra le persone, su Instagram puoi vedere le storie di qualcuno ma rimane lontano da te, interagisci con il contenuto e non con la persona. Quindi era molto importante per me che ci fosse in Eeloo un’interazione diretta fra gli studenti, non io che guardo le foto di qualcuno ma io che scrivo a qualcuno, per conoscerlo ed avere un confronto vero. Per questo ho creato qualcosa a metà fra una chat e un social network. Anna Piazzalunga IVC 13
CULTURA
IL MITO DI ATLANTIDE: TRA LEGGENDA E REALTÀ
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’isola di Atlantide è tutt’oggi, nell’immaginario comune, uno dei più grandi misteri dell’antichità, al limite tra realtà e fantasia, e per questo, grazie a questo suo fascino irresistibile, rappresenta un dei miti più abusati nella letteratura, nel cinema e nell’arte. Il mito della grande città sommersa, utopia di armonia e buon governo, deriva da Platone, segnatamente da parti dei dialoghi Timeo e Crizia. Oltre le Colonne d’Ercole (lo stretto di Gibilterra, allora considerato limite del mondo conosciuto) sorgeva su un’isola più grande dell’antica Libia e dell’Asia Minore una civiltà potente e prospera, governata dalla stirpe di Poseidone. Crizia, nell’omonimo dialogo, narra di come anticamente il mondo fosse stato diviso in porzioni in modo che ogni dio ne avesse una parte. A Poseidone fu lasciata Atlan-
tide, come da lui desiderato, poiché si era innamorato di una fanciulla dell’isola. Per questo, rese questa terra impraticabile agli umani, che non conoscevano la navigazione, circondandola di cerchi concentrici alternati tra acqua e terraferma. Rese inoltre la parte centrale rigogliosa, creando due fonti, una di acqua calda e l’altra di acqua fredda. Con Clito, la donna amata, Poseidone ebbe dieci figli, il primo dei quali, Atlante, divenne governatore dell’isola. In seguito, questa fu spartita tra i dieci figli di Poseidone e amministrata con saggezza e strategia. Atlantide divenne col tempo una grande potenza in espansione, modello di pace e armonia, fino alla fatidica guerra contro gli Ateniesi, che si svolse in un’epoca in cui l’elemento divino nei governanti andava esaurendosi e la bramosia degli esseri umani pren-
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CULTURA
deva il sopravvento. La guerra è narrata nel Timeo e vede come vincitori gli Ateniesi. Atlantide diventa inoltre invisa agli dei, che la fanno sprofondare con un cataclisma naturale. La mitica isola è presa da Platone come esempio di governo perfetto, secondo i criteri già espressi nel precedente dialogo La Repubblica, mentre la sua distruzione rappresenta, nel contesto storico contemporaneo al filosofo, il pretesto per criticare la corruzione della realtà politica della polis. Molto discussa è la reale esistenza di quest’isola, che affascina e coinvolge studiosi di ogni epoca. Quasi sicuramente infondata l’ipotesi che vede Atlantide esistere ai tempi di Platone, ma il nome è stato adottato dai geologi per indicare un antichissimo continente, dalla cui disgregazione si sarebbero originate la Groenlandia, le Azzorre e forse anche le Canarie. La sommersione del continente sarebbe avvenuta in diverse fasi, di cui l’ultima intorno al Cenozoico.
Come ho detto, il mito di atlantide è abusatissimo nell’orizzonte artistico e letterario, partendo da Verne e arrivando al film d’animazione Disney Atlantis - L’impero perduto. In Ventimila leghe sotto i mari, il capitano del sottomarino Nautilius conduce il professor Aronnax a visitare le rovine di Atlantide, che si troverebbero a trecento metri di profondità sul fondo dell’Atlantico. Da menzionare è anche il celebre romanzo L’Atlantide di Pierre Benoît, che ha ispirato la maggior parte dei film sul tema. Per quanto riguarda il cinema, oltre al lungometraggio Disney e al suo sequel, abbiamo vari adattamenti cinematografici dal romanzo di Benoît, molti con il nome L’Atlantide, come quello di Jacques Feyder o quello di Georg Wilhelm Pabst o ancora quello più recente di Bob Swaim. Anche Aquaman, basato sull’omonimo personaggio della DC Comics, è ambientato per la maggior parte ad Atlantide.
Irene Fiocca VG 15
CULTURA
‘’L’ISOLA CHE NON C’È’’ NEL MEDITERRANEO
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uante volte da bambini guardavamo Peter Pan in TV e sognavamo di essere al posto di Wendy per attraversare il cielo stellato? E se vi dicessi che ‘’l’Isola che non c’è’’ è veramente esistita?Si trova nel Mar Mediterraneo, più precisamente nel Canale di Sicilia, tra Sciacca e Pantelleria. Un’eruzione esplosiva sottomarina, caratterizzata da elevata esplosività a causa dell’interazione tra magma e acqua, fece emergere nel 1831 una zolla di terra di 4 km². Fu avvistata per la prima volta da equipaggi di alcune navi di passaggio, che avvistarono colonne di fumo e pietra pomice uscire dalle acque con violenti zampilli di lava eruttati dal vulcano. Quest’isola, nonostante le sue misure ridotte, fu contesa da tre sovrani per la sua posizione strategica. In primo luogo piantò lì la propria bandiera l’Inghilterra, che il 24 agosto giunse sul posto con il capitano Jenhouse, che la chiamò “Graham”. Alcuni studiosi, osservando il fenomeno, constatarono che, a causa dell’azione delle onde, erano seguite diverse frane, che avevano provocato grandi erosioni sui fianchi; quindi i crolli avevano trascinato con sé una grande quantità di detriti. L’isola, essendo inoltre formata da tefrite, 16
CULTURA materiale roccioso eruttivo facilmente erodibile, avrebbe potuto inabissarsi in poco tempo. Quando poi i francesi se ne impossessarono ribattezzandola ‘’Iulia’’ senza il consenso del vero proprietario, cioè il re delle Due Sicilie re Ferdinando II di Borbone, quest’ultimo mandò la corvetta bombardiera Etna al comando del capitano Corrao, il quale piantò la bandiera borbonica denominando l’isola “Ferdinandea” in onore del sovrano. L’8 dicembre il capitano Allotta, ne constatò la scomparsa: dell’isola rimaneva ben poco. Nel 1846 e nel 1863 l’isoletta riapparve, per poi scomparire nuovamente dopo pochi giorni. E voi come avreste reagito vedendo la vostra terra per cui avete tanto lottato scomparire in così poco tempo, come un’illusione?
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Federica Crapanzano IIE
CULTURA
SINCERO RETROATTIVO
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volte scrivo poesie. Parto da un’idea buona -almeno a quanto mi sembra- , un verso, un rumore, un qualcosa. Poi la scrivo. La correggo. Aspetto un paio di giorni. La ricorreggo. Poi me la cantileno in testa. Canta canta, saltano fuori significati curiosi di cui non avevo tenuto minimamente conto nella prima stesura. Vado in cerca di significati e trovo interpretazioni alternative (po-li-se-mi-a!), figure retoriche (volute? quasi mai), citazioni ai classici (oh, e che citazioni, santi classici!), talvolta persino un abbozzo di schema metrico! Più passa il tempo e più mi convinco che è sempre più ricca, sempre più intelligente (si dice che il tempo dà consiglio, ma anche l’ego non se la cava malaccio). C’è sempre un elemento nuovo che mi fa sobbalzare. O qualche amico che mi fa notare una lettura che non avevo considerato. Ho sempre tacitamente annuito, facendo intendere che sapevo (sono Poeta d’altronde), con un misto di malcelata soddisfazione e sussiego accademico, l’angolo della bocca in alto, ipocrita che non sono altro!). Insomma: le mie poesie, nella loro forma definitiva, le considero buone, ma sarebbe più onesto da parte mia firmarle insieme alla dea bendata (e forse lei otterrebbe dalla SIAE più diritti di me). Ma quindi, la poesia la fa bella chi la scrive o chi la analizza dopo? E se alcuni autori, mediocri, fossero stati solamente pompati bene e perciò assurti a divinità? Verrebbe quasi da dire che ‘dietro ogni [poeta] di successo, c’è sempre una grande [critica]’, interpolando un detto che ha visto tempi migliori. Mi chiedo che fine farebbe la poesia (ahi scandalo mondiale, catastrofe italiana!) se da lassù, nel Convivio dei poeti morti (ridacchianti) che noi posteri (adulanti) ci ostiniamo a studiare e forzare, arrivasse con una cicogna (svolazzante) una missiva (recitante): ‘’Ai nostri venticinque lettori, da parte dei miei colleghi (alcuni pur riluttanti...recalcitrava specialmente quel botolo che exegit ‘monumentum...’) e mia: in seguito ad aspra tenzone, che ha visto Onestate trionfar vincitrice, si è convenuto di comune accordo, in nome della pietade che move noi sole-e-altre-stelle nei vostri 18
CULTURA confronti, di esortarvi a tralasciare i vostri su-di-noi studi, i vostri vocabolari, il vostro sudore, le vostre piccole congetture: è stato solo culo’’.
Francesco Giammarioli VA 19
CULTURA
LA CITTA’ INCANTATA DI HAYAO MIYAZAKI
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l film di animazione La città incantata, come tanti altri, ci può veramente insegnare e trasmettere alcuni concetti che, pur sembrando banali, sono fondamentali nel corso della propria giovinezza e della vita in generale. Come in molti altri suoi film Hayao Miyazaki, famoso regista di film d’animazione giapponesi, ci mostra ancora una volta le sue magiche capacità nell’attrarre gli spettatori e nel farli interessare alla storia con una trama più che coinvolgente. Chihiro è una bambina di dieci anni viziata e impacciata, che non si preoccupa di manifestare questi suoi difetti, secondo i genitori, neanche durante il trasferimento in una nuova città. Nel tragitto percorso verso la nuova abitazione Chihiro e i suoi genitori si imbattono nell’entrata di un tunnel, che pensano possa condurre ad una strada secondaria per giungere alla meta. Così, dopo averlo attraversato, costringendo Chihiro a seguirli nonostante fosse intimorita da quel cupo passaggio, entrano in una città fantasma dall’apparenza abbandonata ma piena di miste20
ri e segreti. Chihiro sarà costretta a separarsi dai propri genitori, trasformati, dopo un’abbuffata di cibo a loro non destinato, in maiali. Dovrà cavarsela da sola di fronte a innumerevoli difficoltà e incontri con personaggi, che a volte cercheranno di ostacolare il suo ritorno a casa, mentre in altre occasioni la aiuteranno e saranno di vitale importanza per la sua avventura in una nuova e sconosciuta città. Tutte queste avventure e nuove esperienze determinano un cambiamento mentale ed interiore della bambina che, apprendendo
CULTURA l’importanza della solitudine e della propria autonomia, passa dall’età infantile all’età adolescenziale. Sembra quasi che Miyazaki ci voglia rappresentare attraverso questo film l’intero corso della vita e, in particolare, un concetto che la ispiri: i cambiamenti sono inevitabili, bisogna però imparare ad accettarli, mantenendo comunque i propri principi, affrontando i problemi a testa alta e imparando a fidarsi di chi ti offre aiuto. Un film pieno di emozioni e di intrighi che sicuramente non trascura nessuna delle caratteristiche comuni a tutte i film animati dello Studio Ghibli: amore, avventura e magia. Non manca, come sempre, un’ottima grafica che, insieme agli splendidi colori e all’immancabile colonna sonora, contribuisce a fare di questo uno dei migliori film di Miyazaki. Il film inoltre è ricco di allegorie e simboli tratti molte volte dalla cultura giapponese che purtroppo possono anche confondere ad una prima visione. Nonostante ciò il film scorre con regolarità narrativa e non riesce ad annoiare di certo lo spettatore: uno dei fattori che contribuisce a ciò è l’alternanza della rappresentazione del paesaggio naturale a quello cittadino con disegni curati nei minimi dettagli. Tutti questi pregi hanno determi-
nato la critica a scegliere proprio questo film per l’assegnazione degli Oscar per il miglior film d’animazione del 2003.
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Lucia Riggio IIA
NARRATIVA
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IL BOCCIOLO DELLA SPERANZA
ara era sul pullman, come tutte le mattine, ma a lei non dispiaceva. Le piaceva guardare il volto e gli atteggiamenti delle altre persone che la circondavano per immaginare le loro vite. Spesso incontrava lo sguardo di quel ragazzo con le cuffie alle orecchie che guardava la strada e le macchine che passavano, negli occhi di questo però, nessuna luce brillava.Poi osservava gli adulti, questi tra un sospiro e l’altro guardavano le lancette dell’orologio, le loro occhiaie lasciavano intendere che probabilmente erano costretti a vivere quella mattinata in un loop infinito.Infine c’erano quello intenti a leggere che sollevavano lo sguardo delle pagine ogni tanto per cercare di capire a quale fermata fossero arrivati. Ad un tratto nel cielo, in cui fino a un attimo prima splendeva il sole, si presentarono enormi nuvoloni neri.Poco dopo ci fu il buio e scese una pioggiarella che a mano a mano si fece sempre più fitta e insistente. Sara iniziò a guardarsi in torno disorientata e decise di scendere dal bus. Le case non erano più come quelle che era abituata a vedere ogni giorno, e in quella che probabilmente una volta era una piazza c’erano degli stand abbandonati con vecchie cianfrusaglie. Percorrendo un sentiero sterrato arrivò a un cancello, al di là c’era una palazzo abbandonato. Si poteva ancora identificare la struttura ma il resto era completamente distrutto. Sentí lo scorrere nervoso dell’acqua,infatti dopo qualche centinaio di metri scendeva un vasto fiume. Ad un certo punto riconobbe il suono di un rullo di tamburi. Si avvicinò, era un ragazzo, dal suo arrivo in quella città Sara non aveva ancora avuto la possibilità di incontrare alcun essere vivente. Sara pensò ,guardando la sua corporatura, che potesse avere una ventina d’anni, ma dalla stanchezza del volto ne dimostrava almeno venti in più.Indossava una divisa militare alquanto impolverata e nella tasca della giacca sbucava un bocciolo che brillava come un diamante.Avrebbe voluto parlargli ma ad un tratto la sua vista si annebbió e si svegliò seduta sul pullman. Federica Crapanzano IIE 22
NARRATIVA
O
INVISIBILI MA ANCHE VISIBILI
gnuno di noi ha una casa, un quartiere, una città. Ma non una città concreta. Non concreta, ma invisibile. Quel piccolo mondo in cui ognuno si rifugia. Non ha confini, non ha limiti, non ha intralci. Si orienta con il nostro umore. È dentro di noi. Nessuno la vede, forse neanche noi vediamo la nostra… Ma se una persona è attenta, come gli occhi di un bambino nelle piccolezze… Si vedono le città degli altri. Non è facile notarle, ma sono sotto i nostri occhi. Proprio davanti a noi.
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Federico Pascale IA
NARRATIVA
CITTÀ DI PALAZZI UGUALI
M
i capita di vivere le cose con la drammaticità e il protagonismo della tragedia, ma so anche che tutte le persone si comportano come me, e capisco: non esiste una Medea se di Medea ce ne sono due. Figuriamoci se fossimo tutti un po’ Medea, e se tutti i nostri figli morissero uccisi da noi stessi a causa nostra. È fuor di dubbio che anche noi per uccidere dovremmo ritirarci in un palazzo: non sono cose che si possano fare alla luce del sole, tanto nel quattrocento prima di cristo quanto nel duemila dopo. Esiste un profondo odio nel mondo, che già c’era prima di cristo pure lui, e sopra di lui hanno costruito il bel palazzo di Corinto. Credo fosse un modo per celare l’odio sottoterra, ma poi è diventato un monumento funebre. D’altra parte, sotto ogni palazzo si muove un profondo odio e ogni palazzo è un monumento funebre. Ma il palazzo di Cnosso, un palazzo non è mai stato. Oppure tutti i palazzi sono sempre stati palazzi di Cnosso, ma solo all’interno: se entro in un labirinto il Minotauro è l’ultima cosa che scopro. Nel palazzo il profondo odio è nascosto tra le fondamenta.
Quante volte i figli popparono dalle mammelle di quella loro madre che li uccise? Voglio dire questo: vivere comune non ha mai smesso di essere società di vergogna: vergogna di noi stessi, genitivo oggettivo. Ciò non toglie che se tutti i Minotauri uscissero dai loro palazzi il Minotauro non ci sarebbe più. E la gente non conoscerebbe più il Minotauro: scriveva Borges che si vede solamente quello che si conosce. Sono Mermero e la mia città è un’accozzaglia di palazzi tutti uguali, giustapposti gli uni agli altri. Sono talmente ripetitivi che mi ci perdo e non riesco mai a trovare il mio. O almeno, non credo di averlo mai trovato. Se sono già stato in un posto non me ne accorgo, ma non mi accorgo nemmeno se non ci sono mai stato. Passo le mie giornate a guardare tutto ciò che mi sembra diverso, il qual passatempo è l’unica possibilità che la vita mi lascia. Ieri ad esempio ho immaginato di terminare un libro e di non iniziarne un altro. Oggi invece racconto quello che ho immaginato ieri. Nel frattempo cammino per queste strade, che alla fine sono 24
NARRATIVA
una sola strada che cambia direzione, e non vedo differenza tra i passi che faccio, dal momento che tutti egualmente non hanno senso. Per guarire da questo pensiero ho studiato i frammenti greci di Eraclito con zelo; col tempo sono diventato seguace di Spinoza. I lunghi anni della mia vita mi hanno svelato che le cose della realtà hanno due sostanziali caratteristiche: sono tutte uguali e tutte diverse. “L’acqua si apre a infinite orme” ma il mare è ancora panthalassa. L’ho detto: mi perdo tra i palazzi della mia città. Molti che dicono di conoscere la mia storia mi ritengono morto, e probabilmente lo sono. Ma come avrei potuto, morto, giacere con tutte le donne che abitano questi stessi palazzi, le quali forse sono un’unica donna, la stessa che generò me e la stirpe degli uomini,
e che mi uccise: Medea è insieme mia madre, mia moglie e mia figlia, mia carnefice e vittima, carnefice di altri figli a loro volta carnefici. Per questo anche io ucciderò i miei figli come mia madre ha ucciso me. Esiste un odio che è come il fiume di Eraclito: latente, scorre da più tempo di me e forse ha trovato il senso che io, in questa mia vecchiaia, ancora non ho trovato. Concludo questo mio discorso con l’ossessione morbosa che tormenta da anni i miei sonni e le mie veglie, nella speranza che l’odioso dio me ne liberi: la forma di una spirale sempre centripeta e senza fine, che non termina in un punto ma che continuamente si avvolge verso un centro impossibile e insensato.
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Marianna Boiocchi VA
NARRATIVA
SUSSURI DEL SILENZIO
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rano le tre di notte e la luna tremava e si sa che nel buio il sonno tormenta: soffocava, tra i sospiri del vento tra i sussurri del silenzio. Cercava conforto, aveva nostalgia e amarezza. In quel languore ineffabile c’era solo il vuoto, di una contemplazione passiva, di un’esistenza malata. Fu solo sulla via del ritorno che vide un faro: c’erano le case, promettevano. Ma la luce scappava e rimanevano solo illusioni, ombre di una città invisibile.
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Vittoria Castelli VG
SPORT
LA DEA: FENICE DELLA NOSTRA CITTÀ
N
ella tradizione di molti popoli esiste un essere mitologico, in grado di controllare il fuoco e vincere la morte, risorgendo dalle proprie ceneri. La fenice, dal greco Φοινιξ, ha origine nella mitologia egizia, e tutt’oggi è usata come simbolo di rinascita, di nuovo inizio. Persino una città dell’Arizona venne nominata Phoenix, dal momento che rappresentava la rinascita di una civiltà tribale. E dunque quando parliamo di città, cosa ne è realmente simbolo di rinascita? Forse la risposta a questa domanda è proprio lo sport. Cosa c’è di più totale dello sport? Nella storia dell’ultimo secolo moltissime volte lo sport è stato volto di un cambiamento, che ha riacceso le speranze di città o di intere Nazioni, dando alle persone qualcosa in cui credere: Leicester, città che fino a qualche anno fa si perdeva nelle zone dell’entroterra britannico, oggi è ritenuto un rispettabilissimo centro urbano apprezzato dal turismo e crocevia quasi fondamentale per i commerci in Inghilterra. E qual è stato il culmine della sua rinascita? Nel 2016 il Leicester City ha vinto la Premier League dopo essere ritornato nel massimo campionato Inglese solo due anni prima (trionfo che tra le altre cose ha fatto particolarmente notizia in Italia dato che è avvenuto sotto la guida tecnica di Mancini, attuale CT della nostra Nazionale). In America una cosa simile è avvenuta con la squadra NBA dei Golden State Warriors, che fino a qualche anno fa giocava a Oakland, città che, nonostante sia ancora considerata come subordinata alla metropoli di San Francisco e a quella di LA, oggi, anche grazie al tifo sportivo per questa squadra che negli ultimi anni ha letteralmente avuto il monopolio sportivo sulla NBA (grazie ai vari Curry, Thompson, Durant e così via), ha una propria realtà, di gran lunga più rilevante che in passato. 27
SPORT Ma forse tutti questi ci sembrano esempi lontani: chi seriamente può credere che una città risorga così facilmente e che lo sport sia la faccia di questo cambiamento? La risposta in realtà è sotto il nostro naso. Bergamo, la città della Dea, una tra squadre italiane con un ruolo rilevante a livello nazionale ed europeo, che ha raggiunto il suo culmine con la semifinale di Champions sfiorata un paio d’anni fa. In mezzo a questa crescita ci sono stati anche 3 terzi posti in campionato ed una finale di Coppa Italia persa contro la Juventus. Tutti questi successi hanno portato anche all’interessamento di fondi stranieri a investire nel progetto Atalanta, e infatti pochi giorni fa è arrivata l’ufficialità dell’acquisizione delle azioni di maggioranza del club da parte di Stephen Pagliuca, già co-proprietario dei Boston Celtics. Nel frattempo, con l’ascesa dell’Atalanta iniziata nel 2011 quando la squadra è tornata in A, anche Bergamo si è espansa ed ha acquisito potere attraverso le attività economiche. Quella che fino a qualche decennio fa era solo una provincia satellite della metropoli milanese, oggi è una città ben considerata con una realtà propria ed indipendente. Bergamo ora è una meta del turismo europeo, attrae le persone, ed anche i suoi patrimoni artistici e culturali ora hanno acquisito enorme rilevanza (per esempio le mura di Città Alta che nel 2017 sono diventate patrimonio UNESCO). Bergamo adesso è tra gli insediamenti più importanti non solo della Lombardia, ma probabilmente di tutto il Nord Italia, e forse la scoperta di questo miracolo economico è dovuto anche all’Atalanta. Bergamo è una provincia di grandi lavoratori, e in questo l’Atalanta rispecchia alla perfezione la gente; come quando, dopo che Atalanta-Villarreal (un’altra città, tra l’altro, che ha vissuto questa rinascita sportiva) è stata rinviata a causa della neve, il presidente Percassi ha chiesto che la partita non si tenesse in un pomeriggio infrasettimanale perché la gente lavora, e tutti coloro che avevano acquistato i biglietti non sarebbero potuti andare a vedere l’incontro. Ormai noi bergamaschi sappiamo come rinascere, ed anche per questo il periodo di profondissima crisi che abbiamo attraversato a causa del COVID non ci ha abbattuti: siamo ancora quelli di una volta, bruciati ma risorti. Come una fenice.
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Samuele Garattini ID
TERZA PAGINA
IPSE DIXIT IA Frattini: ragazzi, non dovete dipingermi come un mostro. Gabriele: ma no prof. Il suo sguardo è così ameno… Frattini:Gabriele…non ameno… apiù
Bosio: ma che sparisci Bosio: dai matteo visto che oggi sei così felice riprendi il contenuto del brano, di cosa parla? Matteo: dell’ oltretomba Bosio: dai è già qualcosa Video: spesso la metrica viene spiegata male a scuola Bosio: ecco sicuramente è il mio caso
IC Beretta: Ziaaaooo! Ziaaaooo! Mangiate pure che crescete sani! [Gregorio si butta a terra dal ridere addosso a Edgardo] Beretta: Gregorio? Cosa ti fumi?
Bosio [traducendo]: e di scrivere le gesta di Maradona Bosio: NO SCUSATE maratona
Beretta si accorge che Marialisa non ha il righello Beretta: malissimo! La prof torna alla cattedra, poi si riavvicina e lancia una squadra sul banco di Marialisa
Bosio: magari anche voi potete ispirarvi a Dioniso Talla: lo faccio ogni sabato sera Analizzando il Cristo Morto di Mantegna Gio: abbiamo analizzato il fatto che i piedi sono in direzione opposta rispetto alla testa... Palmeri: ah perché di solito non è cosi?
IIID Zappoli: Aristotele, che è il top di gamma, è il Messi della filosofia IVF Ale: posso andare in bagno? Bosio: bhoooo, sì Giorgio: SpArIsCi
Beretta: se non ti ricordi cosa significa ottuso, dici: cosa sono io? OTTUSO 29
TERZA PAGINA Nardone: Matilde che pantaloni hai su oggi?” Matilde: le piacciono? Li ho pagati 10€ Nardone: eh si vede
Cavalleri: hanno fatto anche una canzone, non so se la conoscete Riki[la cerca su google]: sì, esiste
Giaconia[descrive un ragazzo ad un angolo di una strada in centro]: Nico: è uno spacciatore quello IVG Giaconia: e tu come fai a saperlo? Messi: il Settecento determinò un Nico: perché ho preso la droga da cesareo nella cultura giapponese lui Zappoli: una cesura, non un cesareo!!! Gervasoni[fa vedere il ritratto di Kahnweiler, di Picasso]: ecco il siBiglioli: i Byronic heroes sono per- gnor Kahnweiler sonaggi cupi, un po’ dark Fra: un uomo tutto d’un pezzo Benni: come Grignani VG Mase: legge una risposta dei compiti Viscomi: va beh, traduco quello che ha detto Massimo per chi è a casa, non so cosa abbiate sentito… Mase: a volte è meglio rimanere ignoranti
VA Gervasoni[consiglia un film alla classe]: la storia di questa donna è del figlio Ettore che… no ma non vi dico niente… stupendo ragazzi Classe: estasiata Gervasoni: vi faccio vedere solo la morte di Ettore
Viscomi: sento rumori molesti… Richi in dad: si è il postino… MA Marchesi: il poeta paragona il seno APRITE ALMENO!!!! della donna ad un davanzale a cui Viscomi: il bello della diretta… è appoggiato e dice che è una posizione precaria. Perché è precaria? Fede: il tema delle metamorfosi è Certo, magari è anche comoda ripreso anche da Kafka mi pare Viscomi: si, nel senso che non hai [Matteo si dondola sulla sedia] capito un kafkio Marchesi: no, non ucciderti! Cioè Durante la traduzione a gruppi lo puoi fare… ma non davanti a me Belo: va beh abunde lo conoscia30
IPSE DIXIT mo, non serve cercarlo: abunde condita Mati: guarda che è ab urbe condita Belo: ah
Marchesi: che angoscia...
VH Durante l’ora di scherma Andrea Viscomi: …mutatis mutandis colpisce Joshua e gli lascia il segno Ire: mutatis mutande, e per fortuna Joshua: potere di Sailor Moon! Arrabbiato inizia a disegnare archi con Distefano: le verifiche sono anda- il fioretto di plastica te benissimo, mi sono quasi commossa. Ma è tutta farina del vostro sacco? Fede: si ma non assicuro fosse solo farina… Viscomi: non abbiate paura degli esami! Fede: a forza di fare tossicologici ho imparato a non avere ansia degli esami, anche perché quello che si è fatto si è fatto VB Traducendo Quintiliano Marchesi: palato e bocca ovviamente sono la stessa zona, però il palato è una cosa ben precisa mentre con la bocca si fanno molte cose... No ecco non cose sconce, vedo già gli sguardi... Marchesi: ecco io in effetti sono apprensiva Martina: si profe ce ne siamo accorti in gita 31
hanno scritto per questo numero: Samuele Garattini ID, Marta Capuano IC, Federico Pascale IA, Federica Crapanzano IIE, Lucia Riggio IIA, Brian Scarpellini IIID, Annalucia Gelmini IIIE, Anna Piazzalunga IVC, Irene Fiocca VG, Vittoria Castelli VG, Francesco Giammarioli VA, Zoe Mazzucconi VA, Marianna Boiocchi VA copertina e illustrazioni: Federica Crapanzano IIA, Martina Milesi IIE, Viola Corti IIE, Irene Fiocca VG impaginazione: Vittoria Castelli VG direttrice: Zoe Mazzucconi VA viceditrettrici: Annalucia Gelmini IIIE, Anna Piazzalunga IVC segretaria: Ginevra Sansoni IIC caporedattori: attualità: Martina Musci IIID, Anna Piazzalunga IVC cultura: Francesco Giammarioli VA, Irene Fiocca VG narrativa: Vittoria Castelli VG sport: Chiara Inzaghi IIC
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