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La pagina del Canapaio

Ice-Cream in Himalaya

Vivo in un posto nel cuore dell’ Himalaya dove viene prodotto quello che attualmente è riconosciuto come “il fumo più buono del mondo”, lo champagne dei fumi. Chiamerò questo posto Desh, che nel linguaggio locale significa “paese”, “regione”. Questo per la tranquillità e la sicurezza degli abitanti del posto, che di pubblicità gratuita e a sproposito ne hanno fin troppa. Tre articoli su Desh sono già apparsi nella rivista “Cannabis”, nn. 13-7, ed uno sarebbe dovuto uscire con l’ ultimo numero della rivista, che purtroppo non è mai stato pubblicato. In questo articolo parlavo della prossima costruzione di una serie di dighe in questa regione, fatte chiaramente con lo scopo di rendere le popolazioni di queste zone remote “consumatori”, esercitare su di loro un controllo totale e reprimere (questo solo per volontà degli u.s.a.) la produzione della cannabis.

Quest’ anno, grazie agli u.s.a., che hanno finanziato una campagna massiccia (per ammissione degli stessi poliziotti: metà denaro alla polizia e metà ai politici, per un totale di cinquanta miliardi di vecchie lire) all’ inizio d stagione sono arrivati a Desh trecento poliziotti armati di decespugliatori e falcetti per tagliare le piante di Bhang (nome dato alla pianta di cannabis in tutto il subcontinente indiano). Dopo alcuni giorni di tagli, trattative e intimidazioni, i locali hanno deciso di “collaborare”, e si sono piegati (non tagliati) alcuni campi di Bhang, per accontentare i poliziotti e far si che se ne andassero. Il danno è stato relativo, ma la paura tanta (c’è da dire che i poliziotti venivano da lontano, perché quelli del posto hanno tutti terrore del Dio di Desh, vedi “Cannabis” n. 7). A Desh, da sempre si è prodotto charas, resina di cannabis raccolta a mano dalle piante vive, di altissima qualità (crema). Tutta la famiglia, nella stagione del raccolto, si siede davanti a casa, e in un clima di festa si producono tutti i giorni pochi grammi di un prodotto purissimo. Con lo spauracchio della polizia e della diga immanente, questa festa non sarà forse più possibile. E allora si sono pensate alternative. A Desh, diversi “aficionados”avevano già provato a far seccare le piante e estrarne hashish, ma il ricavato non è mai stato paragonabile, almeno come pienezza di gusto, alla famosa crema. Negli ultimissimi anni avevamo anche provato il nuovo sistema di estrazione con il ghiaccio, ed i risultati erano stati incoraggianti: sia con le piante fresche che secche si riusciva ad ottenere un prodotto incredibilmente puro e potente, che piaceva persino ai charsì (chi fa e usa charas) locali.

Il nuovo sistema di estrazione resina con il sistema ad acqua fredda richiede alcune precisazioni: - le palline di resina mature (le teste dei tricomi ghiandolari, contenenti i cannabinoidi psicoattivi) hanno un diametro che va dai 60 ai 120-150 micron (per certe varietà coltivate indoor si arriva fini ai 180 micron, ma non è comune) - a 2 gradi centigradi la resina si congela e non si attacca, né a sé stessa, né ad altre superfici - la resina matura è più pesante dell’acqua, il materiale vegetale più leggero - nell’ acqua, attorno alle palline di resina, insolubile, si forma uno strato tensioattivo dello spessore di alcuni micron.

Con i piedi nella neve e le mani nel ghiaccio

Abbiamo deciso di provare quanto avrebbe potuto rendere fare Ice-cream (è il nome del nuovo prodotto locale: fatto con il ghiaccio, ma simile alla crema della migliore qualità). Questo in previsione di dover spostare i campi di Bhang in luoghi remoti, lontano dalle case, e quindi essere impossibilitati a fare charas con tutta la famiglia. Verso la fine della stagione (novembre) abbiamo tagliato un po’ di piante e le abbiamo messe a seccare all’ ombra. Dopo circa 15 giorni (il clima a Desh è molto secco) sono state eliminate le foglie grandi (qualcuno non l’ ha fatto) e le cime, piene di semi (a Desh non è possibile fare sinsemilla, ci sono piante dappertutto), sono state riposte in casse di metallo, al sicuro dai topi. Dopo un paio di mesi, in pieno inverno e con più di 50 cm. Di neve, abbiamo iniziato il lavoro. Premessa: a Desh non c’è elettricità. Avevamo già sperimentato che se le cime sono umide non si spezzano le foglioline ed il prodotto finale rimane decisamente più pulito. Alla sera, al calar del sole, riempiamo di cime due secchi da 20 litri, e poi li inzuppiamo di acqua fredda (se non è perfettamente pulita conviene filtrarla con il filtro coi buchi da 38 micron, sigla PES38/28 opp. N.400) Intanto bisogna anche riempire d’ acqua il bidone da 100 litri, in cui metteremo i due sacchi Ice-O-Lator, il superiore con i buchi da 165 micron (sigla PA165/44 opp. 40T) e l’ inferiore con i buchi da 70 micron (sigla PA70/43 opp. 95S, opp. 90M) Dopo il tramonto, la temperatura va sottozero, e stendiamo le cime bagnate su teli di plastica appoggiati sulla neve. Al mattino alle sei, appena fa luce, bisogna essere pronti ad iniziare: circa 5 litri di cime, che stese sulla neve durante la notte si sono ricoperte di uno strato di ghiaccio,vengono versate nel bidone da 100 litri, con i due filtri Ice-OLator montati. Con un forchettone di legno (meglio una forchetta perché non fa tanti spruzzi e perché le cime passando fra le punte tendono ad aprirsi, facilitando il distacco della resina all’ interno) cominciamo a sbattere il materiale congelato per alcuni minuti, controllando di tanto in tanto la quantità di resina che si va distaccando (ad occhio nudo, estraendo alcune cime dall’ acqua). La temperatura esterna, finché non spunterà il sole, si manterrà sottozero, condizione ideale perché l’ acqua del bidone sia freddissima (a volte, sbattendo, si formava sempre più ghiaccio sulla superficie). Quando ci sembra che la maggior parte della resina se ne sia andata (cominciano a far male le braccia) si strizzano le cime sbattute, si tolgono e si introduce nuovo materiale, sempre congelato. Entro le 10 di mattina bisogna passare tutta l’ erba stesa la notte prima, perché poi spunta il sole e la temperatura sale rapidamente. In alcuni giorni particolarmente freddi, quando si è formato più ghiaccio sbattendo, bisogna far sciogliere questo ghiaccio in cui sarà rimasta intrappolata della resina, e il lavoro continua ancora per un po’ sotto il sole. Lasciamo depositare la resina per una mezz’ ora, e alla fine estraiamo prima il sacco con il filtro da 165 micron, poi scotendolo leggermente per facilitare l’ uscita dell’ acqua, quello con il filtro da 70 micron. Con uno spruzzatore, mantenendo il filtro teso sui bordi del secchio, spingiamo con un getto di acqua fredda tutta la resina verso il centro del filtro, lì la strizziamo leggermente e, raccolta in blocco, la grattugiamo (un colino per il tè va benissimo per questo lavoro) su un piatto grande. Se l’ estrazione è stata fatta a dovere, la resina, appena estratta assomiglia a fango bianco-giallo. Più è verde e più ci sarà materiale vegetale mischiato. Sul fondo del secchio rimane un po’ di resina immatura, che si può raccogliere sopra al filtro da 38 micron, e che darà un prodotto meno potente e con un gusto un po’ di “verde” ma sempre di altissima qualità. Dopo 3-4 giorni all’ aria, coperto da una garza leggera non a contatto, vicino a una fonte di calore moderato (la stufa a legna, o dietro ad una finestra) la resina è sufficientemente asciugata per essere pressata. L’ ideale è pressarla quando rimane un 1015% di umidità: se viene pressata troppo umida fermenta rapidamente, velocemente si rovina, se fumata non si sentono molti aromi e raschia terribilmente in gola; se si lascia seccare troppo diventa poi difficilissima da pressare e da amalgamare, il THC se ne va rapidamente e a volte sarà necessario aggiungere acqua per poter avere un pezzo di haschish . Il modo migliore è pressarla e amalgamarla a mano, poco alla volta, finché si stacca dalle mani come fosse crema di charas (strappandola dalla pelle come fosse un cerotto). Non fumate la resina di cannabis senza prima averla pressata, amalgamata e trasformata in un pezzo di hashish: dopo questo lavoro sarà di gusto più morbido, più rotondo, meno “crudo” e con un effetto più completo.

Dopo una mattina di lavoro, con un freddo terribile, con le mani nel ghiaccio ed i piedi nella neve, riuscivamo a ricavare, da 5 – 7 kg. di cime pulite ma piene di semi , circa 30-50 grammi di resina purissima, con un gusto ed un high in grado di competere con le migliori creme fatte a mano dai più esperti charsì (se la stessa quantità di cime fossero fatte a mano, dalle piante fresche, con l’ intento di ricavarne crema, si otterrebbero max. 20-30 gr.). Se le cime non sono pulite a dovere dalle foglie, più foglie ci sono e più si sbatte a lungo, più il prodotto ricavato sarà contaminato da materiale vegetale, sarà più difficile da asciugare e da pressare, e diventerà di una consistenza e un aspetto sempre più simili ad un hashish commerciale.

Il lavoro è stato fatto in condizioni estremamente disagevoli, con mezzi precari; l’ unico aiuto dalla “civiltà” sono stati il bidone ed i filtri, necessari perché la “civiltà” non vuole che si continui a fare un lavoro tradizionale. La resa è più alta, il nuovo prodotto più potente ma un po’ meno ricco di aromi del suo equivalente fatto a mano: ai locali, veri intenditori, piace molto. Ma il lavoro è tutta un’ altra cosa: quando viene (veniva) la stagione per fare charas è (era) una festa, si lavora tutti insieme al sole, ridendo fumando e scherzando, senza infrastrutture, solo con le proprie mani. Fare Ice-cream qui è nato dalla necessità di difesa ad una repressione: non è più festa, ma lavoro pesante, fatto con il cuore triste per la pazzia degli uomini e del sistema occidentale. La festa ci sarà dopo, quando si fumerà questa meraviglia, ma non sarà più la stessa cosa.

Il Canapaio

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