Corriere di Carmagnola - Approfondimento

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CULTURA

LUGLIO-AGOSTO 2020

IL MERCATO DI CARMAGNOLA La vocazione rurale di un territorio dalle mille risorse Le origini del mercato di Carmagnola Il mercato di Carmagnola ha una tradizione ormai quasi millenaria. I primi documenti che ne parlano risalgono, infatti, al lontano 1234. A quel tempo, la zona su cui sorgeva Carmagnola era ancora tutta in definizione. Le condizioni dell’agricoltura, invece, erano da poco tornate a migliorare, dopo un periodo di miseria e spopolamento, causato dalle continue invasioni barbariche dell’anno 1000 e dalla conformazione fisica del territorio, suddiviso per regioni e caratterizzato qua e là da boscaglie, terre incolte e stagni. Lo slancio verso il rinnovamento si ebbe col Marchesato di Saluzzo (1200-1550 circa), che sin dall’inizio del suo assoggettamento apportò sostanziali modifiche all’assetto urbanistico della città, edificandovi il castello e cingendo l’abitato da mura e fossati. Fu allora che Carmagnola assunse importanza dal punto di vista strategico-militare e nacque la tipica compravendita del mercoledì. Con i secoli a venire, il mercato di Carmagnola, che si teneva da principio nella piazza delle Cherche, rinominata poi Sant’Agostino, divenne uno tra i più fiorenti del Piemonte, insieme a quelli di Moncalieri e Cuneo; punto di riferimento sia per chi era avvezzo alla vendita sia per chi, al contrario, era in cerca di nuove opportunità. Secondo quanto riportato dagli scritti dell’epoca, vi concorrevano non solamente i mercanti delle terre vicine del Piemonte e dell’Astigiano, ma anche della Riviera di Genova, attratti dalla varietà dei prodotti, dalla centralità dell’area e dal libero scambio. Partecipare al mercato divenne quasi una moda, una tradizione irrinunciabile, al punto che donne e uomini incominciarono a prestare molta attenzione al loro abbigliamento, pur di non sfigurare in pubblica piazza. Le donne di campagna, ad esempio, andavano al mercato col capo ricoperto da un candido fazzoletto. Le più agiate - riferisce Goffredo Casalis nel “Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli stati di S. M. il Re di Sardegna”, vol. III (1842) - si “distinguevano per vari giri intorno al collo di grosse perle di foglia d’oro”, mentre le “borgarine per vesti di seta, merletti, fiori e nastri sulle cuffie, specialmente nei dì di festa”. Pochi eventi minarono la solidità di questo appuntamento settimanale, ch’era conosciuto al pari di una fiera. Solo a metà del XVI secolo, il mercato venne temporaneamente sospeso e trasferito a Carignano, per via di alcune rivalità sfociate tra casate reali e dei tragici fatti della peste del 1522. Fu un periodo buio per la città e, com’anche scrisse lo storico Raffaello Menocchio (Memorie storiche della Città di Carmagnola, 1890), i danni al commercio furono irreparabili. Cessata la crisi, però, il mercato di Carmagnola tornò a rifiorire e, con lo stabilizzarsi della dominazione sabauda (1600 circa), si ebbe un nuovo periodo di svolta.

ricordata come piazza delle Uve (uno dei suoi tanti nomi). Il mercato, giornaliero in tempo di raccolto, era solito svolgersi per tre volte alla settimana, il lunedì, mercoledì e venerdì, attirando compratori vicini e lontani. Negli anni, la coltivazione della vite andò via via deperendo, a causa dello svilupparsi di alcune malattie parassitarie, fino a scomparire completamente. Il mercato tuttavia continuò a ospitare ancora per qualche tempo le uve provenienti dai colli astigiani. I BOZZOLI E LE FOGLIE DI GELSO. Simile destino toccò al mercato dei bozzoli e delle foglie di gelso, considerato, fino al XIX secolo, uno dei più floridi e praticati, oltre che il più antico, dopo quello della canapa. Introdotta nel ‘500, la bachicoltura era un’attività laboriosa, ma affascinante. I gelsi, che servivano da nutrimento ai bachi da seta, si potevano osservare allineati nei campi, accanto a coltivazioni di viti, cereali e marzuoli (frumento). L’allevamento del baco da seta era una pratica abbastanza comune presso molte IL MERCATO DELLE UVE IN PIAZZA MAZZINI famiglie della zona e nelle scuole elementari. L’essiccazione dei bozzoli aveva luogo, invece, in centro città, nella tettoia adiacente al Municipio, ove sorgeva un forno che restava in funzione giorno e notte. LA MENTA PIPERITA. Attorno alla metà del XIX secolo, venne introdotta a Carmagnola la coltivazione della menta piperita, proveniente dall’Inghilterra. La sua produzione e lavorazione richiedeva diversi mesi di lavoro, dalla messa a dimora della pianta in primavera, alla falciatura e al trasporto dell’erba aromatica agli alambicchi delle vicine borgate, per la distillazione, nel mese di agosto. L’essenza di menta, al pari della canapa, era molto nota e trovava vari impieghi nell’industria cosmetica, in farmacia e confetteria. Questa coltura rimase successivamente vincolata alla zona del Pancalierese, ampliandosi o contraendosi a seconda della domanda. IL PEPERONE. Solo nei primi anni del ‘900, fu sperimentata la coltivazione del peperone, pianta esotica di UNA FAMIGLIA DI COLTIVATORI DI PEPERONI origine sudamericana, per mano del commerciante Domenico Ferrero. La sua produzione, che all’inizio interessò unicamente gli orti domestici e suburbani, in particolare nella borgata di Salsasio, finì per assumere un carattere industriale, a fronte delle numerose richieste dall’Italia e, più in generale, dall’Europa. La coltura si estese di conseguenza in tutta la campagna carmagnolese e, nel giro di poco, divenne la predominante, favorita dalle condizioni climatiche ottimali. Il primo canale di vendita in assoluto era rappresentato dai Mercati Generali di Torino. Qui gli orticoltori si recavano per mezzo di carovane, al fine di vendere le loro derrate. Nel ’46-‘47, per dare seguito a una produzione in continua crescita, nacque poi un vero e proprio mercato riservato al peperone I prodotti in commercio e le tipologie di mercati, anche a Carmagnola, che si svolgeva da luglio a ottodalla canapa al peperone bre (mesi di raccolta), nei luoghi deputati, principalCarmagnola, nonostante le difficoltà, non abbandonò mai mente il mercoledì e la domenica. Questo mercato il suo lato rurale. La maggior parte dei carmagnolesi di però non era molto partecipato. A esso si preferiva allora viveva nelle campagne, in condizioni di estrema ancora la vendita al dettaglio dei piccoli produttori. Fu IL MERCATO IN PIAZZA MARTIRI povertà. La terra rappresentava la forma principale e più necessario attendere il 1950 perché prendesse piede ambita di ricchezza, assieme all’allevamento di bestiame e pollame. I prodotti coltivati erano diversi e servivano sul territorio diventando un mercato all’ingrosso, con una sede più ampia: piazza Mazzini (allora detta per l’autosostentamento e per incentivare i commerci. Nel XIV secolo, già si portavano sulle bancarelle mercanzie piazza Vittorio Emanuele II). Sempre del medesimo periodo era il cosiddetto “Settembre carmagnolese”, di ogni genere (grano, segale, avena, fave, fagioli, zucche, noci…), ciascuna con la propria stagionalità. una vera e propria Sagra, oggi Fiera a tutti gli effetti, dedicata al peperone e conosciuta a livello nazionale In alcuni casi, le risorse da sole costituivano, per la loro importanza, specifici mercati, che si svolgevano in vari (1949-2020). luoghi della città: l’ala al coperto costruita a ridosso della vecchia muratura medievale in piazza Antichi Bastioni IL MERCATO IERI E OGGI. Numerosi altri prodotti caratterizzarono, con l’avanzare degli anni, il mercato (‘700-‘800, mercato delle granaglie); l’ex foro boario di piazza IV Martiri (‘800-‘900, mercato del bestiame); piazza di Carmagnola, ch’era tra i favoriti e maggiormente salvaguardati della zona. Le vecchie colture lasciarono Berti (‘900, mercato del formaggio) e così via. Ai mercati di Carmagnola – si legge nel testo “Statistica della pro- il posto alle nuove, i luoghi mutarono, gli spazi si estesero, ma le visite ai banchi del mercoledì, e poi del vincia di Saluzzo”, vol. II, redatto dal vice-intendente Giovanni Eandi (1835) – si reperivano le granaglie e le bovi- sabato, restarono (e lo sono tuttora) abitudine consolidata. ne dei mandamenti di Moretta, Villanova Solaro, Savigliano, Cavallermaggiore e Racconigi; i butirri, i formaggi, SARA GIRAUDI i caci freschi, le castagne delle colline, delle valli e delle montagne; i generi provenienti dalla Riviera di Genova BIBLIOGRAFIA e tanto altro, compresi pali, pertiche e legna in genere. Chiaffredo Cornaglia, Storia della Città di Carmagnola dalla sua origine sino al 1920 LA CANAPA. La coltivazione più antica e florida del territorio era quella della canapa, una pianta esotica, Giovanni Eandi, Statistica della provincia di Saluzzo, vol. II (1835) originaria dell’India, che trovò nei campi in prossimità dell’Abbazia di Casanova, lungo la sponda del fiume Goffredo Casalis, Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli stati di S. M. il Re di Sardegna, vol. III (1842) Po, il suo habitat ideale. Della canapa erano vendute, nel periodo che andava da settembre a dicembre, Raffaello Menocchio, Memorie storiche della Città di Carmagnola (1890) sia le fibre destinate alla produzione di teli e cordame sia il suo seme (canapuccia), noto nel resto d’Italia A.A.V.V., Carmagnola, una volta (1979) (soprattutto in Liguria) e in Francia. L’UVA. Anche la vite era, all’epoca, ben coltivata. Crescevano alteni ovunque, specie vicino ai borghi, SITOGRAFIA che restituivano tantissimi frutti. Venne addirittura allestito un mercato ad hoc, in piazza Mazzini, altrimenti www.ortocarmagnola.it; www.archiviocasalis.it; www.comune.carmagnola.to.it; www.archiviolastampa.it

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