Elliott Erwitt
POLITECNICO DI MILANO
Design Della Comunicazione Storia dell’arte contemporanea e linguaggi della comunicazione visiva
Elliott Erwitt
AA 2014/2015 Sabrina Piraino
New York, USA, 1999
Nato il 26 luglio 1928 a Parigi, in origine si chiamava Elio Romano ma, visto che per gli americani pronunciare di filata le parole “Hello Elio” era un po’ come cimentarsi in uno scioglilingua, il fotografo di origini russe ha pensato di dare un tocco di ironia anche al suo nome, cambiandolo in Elliott. Il nome italiano gli fu dato dal padre, architetto di origini ebraiche e amante delle bellezze italiche. Elliott Erwitt visse infatti la sua infanzia a Milano dove la sua famiglia si trasferì agli inizi degli anni trenta. A causa delle leggi razziali, tornarono a Parigi nel 1938 ed emigrarono a New York poco prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale. Successivamente gli Erwitt si trasferirono a Los Angeles. Fu qui che Elliott iniziò a interessarsi di fotografia. Nel 1944, ancora studente alla Hollywood High School, iniziò a lavorare in un laboratorio commerciale fotografico.
Nel 1946, all’età di 18 anni, partì per New York dove incontrò grandissimi fotografi del calibro di Edward Steichen e Robert Capa. Fu qui che iniziò la sua carriera di fotografo e fu proprio tra le strade della Grande Mela che catturò il suo primo scatto pubblicato: l’immagine di un cagnolino che indossa un pullover accanto alla sua padrona, di cui vediamo solo le gambe.
New York, USA, 1946
Dopo aver trascorso diversi anni in Francia e in Italia al seguito dell’esercito statunitense, nel 1953 Robert Capa gli propose di unirsi alla celebre agenzia fotografica Magnum. Membro della prestigiosa agenzia da allora, dopo il 1960 Erwitt è stato eletto per tre anni presidente dell’organizzazione e ha “firmato” numerosi reportage, illustrazioni e fotografie pubblicitarie nel mondo intero da più di cinquanta anni.
“Uno dei risultati più importanti che puoi raggiungere, è far ridere la gente. Se poi riesci, come ha fatto Chaplin, ad alternare il riso con il pianto, hai ottenuto la conquista più importante in assoluto. Non miro necessariamente a tanto, ma riconosco che si tratta del traguardo supremo”.
Può racchiudersi in questa sua stessa frase, la carriera fotografica di Elliott Erwitt, alla ricerca sempre costante dell’ironia e del grottesco che si nasconde nelle scene del quotidiano. Oggi Erwitt ha 86 anni e la sua carriera lo catapulta, di diritto, nell’olimpo dei più grandi fotografi di tutti i tempi. Una carriera che fa dell’attimo e dei contrasti sociali, spesso spinti fino al paradosso, il perno di tutta la sua produzione fotografica. È un esponente della street photography, un genere fotografico che vuole riprendere i soggetti in situazioni reali e spontanee in luoghi pubblici al fine di evidenziare in maniera artistica alcuni aspetti della società. Le fotografie appartenenti a questo genere vengono generalmente scattate in bianco e nero, proprio per dare massima evidenza e naturalità all’attimo umano catturato, senza manipolazione digitale in post produzione. L’inquadratura e il tempismo sono degli aspetti chiave di quest’arte;
lo scopo principale infatti consiste nel realizzare immagini colte in un momento decisivo o ricco di pathos.
Parigi, Francia, 1989
Molto di quanto oggi rientra sotto il nome street photography venne definito nell’epoca che copre la fine del XIX secolo fino alla fine degli anni settanta, un periodo che vide la progressiva affermazione delle macchine fotografiche portatili.
Neuilly, Francia, 1952
“Nei momenti più tristi e invernali della vita, quando una nube ti avvolge da settimane, improvvisamente la visione di qualcosa di meraviglioso può cambiare l’aspetto delle cose, il tuo stato d’animo. Il tipo di fotografia che piace a me, quella in cui viene colto l’istante, è molto simile a questo squarcio nelle nuvole. In un lampo, una foto meravigliosa sembra uscire fuori dal nulla”.
California, USA, 1955
Per Erwitt, cogliere l’attimo, è come ricevere il giusto premio di lunghe sessioni fotografiche.
Parigi, Francia, 1989
“Abbaio ai cani. Ecco perché il cagnolino, in una delle mie fotografie, è saltato. Una volta a Kyoto camminavo dietro ad una signora che portava a passeggio un cane dall’aspetto interessante. Solo per vedere cosa sarebbe successo, abbaiai. La signora tirò immediatamente un calcio al cane sconcertato. Si vede che abbaiavamo allo stesso modo”.
Erwitt, nel corso della sua carriera, fotograferĂ molte volte gli animali, che lui vede come delle inconsapevoli proiezioni dei comportamenti umani. In particolare i cani, saranno oggetto preferito della sua ricerca fotografica (dedicherĂ a loro ben quattro libri). Cosa lo attira a scattare foto di cani?
New York, USA, 2000
“Sono dappertutto, sono simpatici e non chiedono le stampe. Mi piacciono. Sono un buon soggetto. Sono piuttosto universali e gli stessi in tutto il mondo.�
New York, USA, 1974
“Per me la fotografia è un’arte di osservazione. Si tratta di trovare qualcosa di interessante in un posto ordinario... trovo che abbia poco a che fare con le cose che vedi e tutto a che fare con il modo in cui le vedi.”
Managua, Nicaragua, 1957
Kyoto, Giappone, 1977
“Puoi trovare fotografie ovunque. È semplicemente una questione di notare le cose e organizzarle. Devi solo preoccuparti di cosa c’è intorno a te e avere l’interesse per l’umanità e l’elemento comico umano.”
Madrid, Spagna, Museo del Prado, 1995
New York, USA, 1972
Una volta fu chiesto ad Elliott Erwitt quale reputava la sua foto migliore. La sua risposta fu:
“Spero che la mia miglior foto debba ancora scattarla”. Una risposta che racchiude al meglio la sua umiltà, la sua voglia di migliorarsi e di continuare a guardarsi intorno.