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Incontri di un Regista Cinematografico con Baba Jeff Grant
NON SONO UN DEVOTO di Sai Baba nel senso “classico” della parola. Non partecipo alle riunioni, non ho al dito un Suo anello, non ho la Sua foto in giro per casa. Quindi, perché sto parlando? Ci sono due ragioni. La prima è che, vent’anni fa, partii per l’India per girare un documentario sull’induismo e l’ultima parte di quella produzione riguardava Sai Baba. La seconda è che, circa un mese fa, mentre camminavo in una piccola città del Sussex, in Inghilterra, m’imbattei in un negozio di libri; nella vetrina c’era un libro su Sai Baba. Qualcosa mi fece entrare e mi spinse a comprarlo. Quando tornai a casa e cominciai a sfogliarlo, ebbi la sensazione molto forte che presto, in qualche modo, Sai Baba sarebbe tornato nella mia vita. Nel 1975, quando venni incaricato della regia del documentario, fu deciso che l’unità principale, quattro di noi, sarebbe andata in India con il produttore per esaminare il luogo delle riprese e incontrare varie persone, incluso Sai Baba. Allora sapevo ben poco di Lui e ci andai come scettico speranzoso. Avevo sempre pensato che ci fosse qualcos’altro, qualcosa oltre a tutto ciò. Se quest’uomo, Sai Baba, avesse potuto aggiungere peso a quella sensazione, sarebbe stato molto gradito. Se non ci fosse riuscito, non avrei perso nulla. Quello che accadde è che vidi e sentii cose in Sua presenza che sono rimaste con me da allora.
La prima volta che vidi Baba fu durante il viaggio esplorativo iniziale. Noi cinque - il produttore, il mio assistente, il cameraman, il suo assistente e il sottoscritto - ci riunimmo in una piccola stanza spoglia nell’Ashram di Puttaparthi. Quando ci sedemmo a un tavolo di legno e restammo soli, ci guardammo piuttosto nervosamente. Avevamo ascoltato le storie più straordinarie su Sai Baba. Che cosa sarebbe accaduto nella stanza?
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Il produttore, un devoto di lunga data di Baba, aveva ottenuto il permesso di fare questo film. Fu per tale motivo che ci avvicinammo così tanto a Lui. All’epoca non mi rendevo conto che c’erano molte migliaia di persone in tutto il mondo che avrebbero dato il braccio destro per essere dove eravamo noi quel giorno.
Baba entrò: statura bassa, tunica color zafferano, pelle scura, tipica dell’India meridionale, e un’enorme folta chioma di capelli neri come l’ebano. Entrò sorridendo. Non c’era ostentazione né un atteggiamento formale. Non c’era traccia dell’aspetto pomposo diventato la norma nelle rappresentazioni teatrali di coloro che i produttori concepiscono come profondamente spirituali. Era da solo, senza guardie del corpo, senza aiutanti, senza galoppini. Ed era straordinariamente cordiale.
Allo stesso tempo - e non so se riuscirò a esprimerlo a dovere – portava con Sé ciò che posso solo descrive come “qualcos’altro”. Più stavo con Lui, più questa sensazione travolgente cresceva in me. Ero in presenza di qualcosa di diverso. Non era maschio né femmina, perché ciò avrebbe limitato quello che, avvertivo, non era limitabile.
Si sedette in mezzo a noi al tavolo e si guardò attorno in attesa. Bene, che dire a qualcuno che, per gran parte della popolazione mondiale, è Dio? A noi, anche nei primi secondi del nostro incontro, sembrò chiaramente un essere assolutamente unico e straordinariamente potente. Ogni pensiero che mi veniva in mente sembrava senza senso, specialmente perché ne era consapevole (come, non lo so!). Egli conosceva esattamente che cosa stava succedendo in me.
Il mio cervello vorticava. Non dissi nulla né, se ricordo bene, nessuno lo fece tranne il mio produttore, che parlò delle riprese. Poi Sai Baba mi guardò dall’altra parte del tavolo, fece una specie di gesto rotatorio e disse parole di questo tenore: “Molti, molti problemi; come una giostra.” Era assolutamente esatto. La mia testa era in completa confusione. “Ricorda” – disse - “chi va piano va sano e va lontano.”
A quel tempo, la mia vita stava precipitando verso il basso in una crisi alquanto profonda. Per alcuni anni, avevo avuto grande successo nel mio lavoro. Avevo guadagnato molto denaro, vinto numerosi premi ed ero molto conosciuto nel mio ambito professionale. Tuttavia, qualcosa mi stava distruggendo. Stavo cadendo a pezzi psicologicamente e non potevo farci niente. Questo confronto con Sai Baba sembrava, in qualche modo - allora non riuscivo a capirlo - far parte di quello stesso processo.
Comunque il mio cervello, mentre Egli mi guardava dall’altra parte di quel tavolo, era un guazzabuglio completo. Poi, all’improvviso, mi disse: “Vorresti un po’ di cenere?” Non avevo la minima idea di che cosa stesse parlando. Ma invece di rispondere “che cosa vuol dire? Quale cenere?”, dissi semplicemente: “Sì.”
“Stendi la mano”, disse. Lo feci ed Egli allungò la mano attraversando il tavolo - eravamo forse a un metro e mezzo di distanza - e fece quel movimento con le dita che è così familiare a molti. Poi, a circa 40 centimetri dai miei occhi, della cenere grigia sembrò cadere dalle estremità delle Sue dita formando un mucchietto nel mio palmo. “Ora inghiottila”, disse. Feci esattamente ciò che mi era stato detto e non avevo idea del perché. Il nostro gruppo rimase nell’Ashram solo poche ore prima che tornassimo a Bombay (ora Mumbai).
Quando tornammo a fare le riprese al 50° Compleanno di Sai Baba poche settimane dopo, circa duecentomila persone erano stipate nell’Ashram. A quei tempi, Puttaparthi era una piccola comunità in mezzo al nulla. Ci arrivammo lungo strade sterrate che le piogge spazzavano a intervalli regolari. Gli autisti di Bangalore (ora Bengaluru) non garantirono mai che saremmo arrivati lì. Quindi, arrivare a
Puttaparthi era un’impresa per le folle. Vedo ancora molto chiaramente la scena fuori dell’Ashram: corriere su corriere stipate di persone che si stagliavano in lontananza, luci che brillavano attraverso la polvere. La gente aveva viaggiato sui tetti delle corriere e aggrappata fuori dei finestrini. Centinaia stavano arrivando a piedi. Un gruppo aveva camminato dallo Stato del Rajasthan, a mille miglia di distanza.
Ciò che mi colpì di più di Baba non fu il fatto che sembrava avere una sorta di controllo sulla realtà materiale; a ciò posso credere con facilità. Per me, la cosa più impressionante di Lui, e non l’ho mai vista in nessun altro essere umano, era questa sensazione di un potere universale, totalmente altruistico e compassionevole. Come Egli ha detto tante volte, “Esiste una sola religione: la religione dell’amore.”
Baba ci aveva dato completa libertà di filmarLo. Non c’erano restrizioni su dove potevamo andare. Credo fosse la prima volta che lo permetteva. Il giorno del Suo Compleanno, l’Ashram era così pieno di gente che era quasi impossibile andare da un posto all’altro. Anche a quei tempi, l’Ashram copriva un’area piuttosto vasta. C’era un programma stabilito di eventi, ma chiunque sia a conoscenza di qualcosa su Sai Baba probabilmente sa che qualsiasi programma è più facile rimanga una speranza che molto altro. Doveva comparire alle 14 circa per tenere un Discorso nell’imponente sala del Poornachandra. Volevo davvero farGli una ripresa mentre appariva sul palco, nonché filmare la reazione del pubblico nei Suoi confronti.
Sapendo che avrebbe potuto cambiare idea e apparire in un posto completamente diverso, decisi di mettere una macchina da presa nella sala dove avrebbe dovuto arrivare e l’altra da qualche altra parte; ma dove? Decisi di posizionarla, assieme al cameraman, fuori dell’edificio in cui Baba viveva nel centro dell’Ashram. Era possibile, pensavo, che ovunque andasse, passasse da lì. D’altro canto, era altrettanto probabile che non ci passasse. Non ne avevo idea.
Lasciai al cameraman l’istruzione che, se Sai Baba fosse comparso lì, mi avrebbe contattato sul suo walkie-talkie e io mi sarei precipitato nella Sua direzione. Avrei portato l’altra cinepresa nel salone e lo avrei avvertito di venire velocemente da me se Baba fosse comparso dove mi trovavo. Arrivati nel salone dopo esserci fatti largo a fatica, era chiaro che, se Baba fosse apparso in uno dei due posti, data la folla, non c’era la minima possibilità che uno di noi arrivasse dall’altro in tempo. Contattai il produttore sul mio walkie-talkie ed egli disse di non avere più informazioni e di non poterne ottenere perché era completamente bloccato dalla folla e non poteva assolutamente muoversi. In altre parole, sulla base di nessuna informazione, dovevo decidere se rimanere dove mi trovavo e richiamare il cameraman da me, oppure andare via da lì e raggiungerlo fuori. In un modo o nell’altro, dovevo giocarmi il tutto per tutto per questa ripresa così importante.
Rimasi lì, in mezzo alla sala, a guardare il pavimento e mi liberai la mente di tutto. Poi mi sentii improvvisamente dire al cameraman: “Andiamocene da qui!” Avvicinai uno del servizio d’ordine e gli dissi di portarci, il più velocemente possibile, all’edificio in cui Baba viveva. Cominciò a spingere e si fece largo a gomitate attraverso la folla con la coppia formata da noi due che tenevamo duro con tutte le nostre forze trascinando una macchina fotografica e un treppiede molto pesanti.
Arrivammo sul luogo e, dopo quindici o trenta secondi, Baba uscì dall’edificio, proprio di fronte a me. Non riuscivo a crederci. Afferrai la spalla di Don e gli dissi di seguire Baba. Egli non andò affatto nella sala, dirigendosi al centro dell’Ashram verso un’area aperta grande quanto un campo da calcio. Ricordo che là c’erano duecentomila persone, sui tetti, a terra, che occupavano ogni centimetro quadrato di spazio. Baba si diresse in mezzo a loro, con noi che Lo seguivamo. Non fece nulla, tranne il gesto di alzare, di tanto in tanto, le mani di fronte a Sé. Non disse nulla. Tutto quello che sentivo era il fruscio dei Suoi piedi nudi sul terreno e il gracchiare dei corvi. Duecentomila persone osservavano quella piccola figura dai capelli neri vestita di una veste color zafferano.
Gli andammo dietro, filmandoLo. Dopo circa trenta secondi, pensai: “Va bene. Da dietro è abbastanza. Ora devo davvero filmare la parte anteriore e fare un primo piano della Sua faccia.” Però, qualcosa mi trattenne. Mi passava ancora per la testa: “Chi diavolo è quest’uomo? È Dio? E se lo è, posso davvero muovermi in fretta di fronte a Lui e posizionare una cinepresa proprio davanti al Suo viso?” Mentre tutto ciò mi passava per la mente, all’improvviso Egli si voltò verso di noi, mi guardò, fece un gesto e disse: “Vai davanti, vai davanti.” Così feci la mia ripresa.
Il fatto che Egli sia noto per essere in grado di materializzare oggetti fisici è la fissazione di molte persone. Bene, c’era la cenere che, da quanto potei verificare, Egli materializzò e mise nella mia mano durante quella prima visita. Poi ci fu una serata in cui mi sedetti sul pavimento proprio di fronte a Lui in una piccola sala mentre, in piedi, parlava ad alcuni giovani. Poi materializzò svariate collane d’argento e medagliette con san Cristoforo e le lanciò tra il pubblico. Quando parliamo di queste cose, tutto sembra assolutamente improbabile. Siamo abbindolati da un abilissimo mago? Eppure, quando vediamo tali miracoli, interessati alle nostre percezioni piuttosto che ai nostri pregiudizi, siamo costretti a dire che, quanto meno, non abbiamo la minima idea di come possano essere possibili. Eppure, eccoli lì! Nel film che il nostro gruppo realizzò, c’è una ripresa che mostra la materializzazione di una collana d’argento. Egli fece quel tipico movimento rotatorio con la mano e, dal palmo, fuoriuscì una collana. Durante il montaggio del film, esaminammo questa ripresa fotogramma per fotogramma. In uno non c’era nulla se non il palmo della mano. Nel successivo, un 25° di secondo dopo, c’erano due o tre maglie di una catena, ancor di più nel successivo e così via.
Tuttavia, come ho detto prima, per me la cosa più impressionante di Baba non è la sua evidente capacità di manipolare la materia. Egli Stesso ha descritto questo potere come la “zanzara sul dorso dell’elefante”. E su ciò che materializza per le persone, ha detto: “Io vi do quello che desiderate affinché possiate desiderare quello che sono venuto a darvi.” Le cose che aveva detto mi colpirono molto. Chiunque può dire qualsiasi cosa, ma non deve assolutamente darle un significato. Non avevo invece dubbi sul fatto che Egli desse un senso a tutto ciò che diceva. Alle centinaia di persone sedute sul terreno dell’Ashram, sperando di averne anche una fugace visione, una volta all’improvviso disse: “Per che cosa siete venuti qui? Per vedere Dio? Perché Mi guardate? Se volete vedere Dio, guardate voi stessi.” (Continua nel prossimo numero ...) - Estratto dall’articolo di Jeff Grant,