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n° 3 \ l ug l i o - ag os to 2 0 0 6 - p rez zo d i cope r t i n a 3,0 0 €
Il direct marketing B2B
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Storie di successo: Software per grandi e piccoli Esa Software
Servizio per dodici Gruppo Car
Stampa di carattere
De Luca Industria Grafica e Cartaria
Comunicazione in stile britannico British Institutes
\Comunicazione e Marketing La Cina: una minaccia o una opportunità? Ingenti investimenti statali, un costo bassissimo della manodopera . . .
\Fare Impresa
\Settori
Vendere non e’ facile, ma, anche acquistare il prodotto giusto non lo e’
Il settore dell’Information Tecnology mostra nel 2005 una lieve ripresa
Uffici pubblici ed Sono tutti in zona.
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\Primo Piano
Il direct marketing B2B Da solo mail order a marketing relazionale, il direct marketing è uno strumento flessibile che utilizza una molteplicità di mezzi per comunicare con target composti non solo da individui ma anche da aziende. Un media di successo a disposizione quindi anche delle aziende B2B
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Fidelity card e fedeltà del cliente: quale rapporto?
Seat Corporate University Prof. Massimo Bergami
Docente Organizzazione Aziendale Università degli Studi di Bologna Consigliere Delegato ALMA Graduate School
\Comunicazione e Marketing
Comitato Scientifico
L’uso delle fidelity card è sempre più diffuso tra i consumatori e le imprese considerano le fidelity card come uno dei mezzi più efficaci per creare fedeltà nei propri clienti
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Le ricerche di mercato
Le ricerche di mercato sono uno strumento per approfondire e migliorare la conoscenza e la relazione con i clienti, per identificare nuove opportunità o misurare l’efficacia delle proprie azioni commerciali
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Dott. Aldo Bonomi
Sociologo, Direttore A.Aster
Prof. Mario Calderini
Docente Strategia e Innovazione Politecnico di Torino
Dott. Pierluigi Celli
Direttore Generale LUISS Guido Carli
Ten. Gen. Giuseppe Cucchi
Presidenza del Consiglio dei Ministri Direttore del Nucleo NBCR della Protezione Civile
La Cina: una minaccia o anche una opportunità?
Dott. Corrado Ruffini
Prof. Severino Salvemini
Docente Organizzazione Aziendale Università Bocconi di Milano
Prof. Gian Luigi Vaccarino
Docente Economia Università di Torino Presenza a titolo personale
fax 011.435.2607 e-mail: corporate.university@seat.it www.seatcorporateuniversity.it
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\Comunicazione e Marketing
Director McKinsey & Company
Ingenti investimenti statali, un costo bassissimo della manodopera, un’elevata produttività, rendono la Cina un temibile concorrente del mondo occidentale
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Franchising: istruzioni per l’uso
Il franchising è una formula commerciale in pieno sviluppo ed un’opportunità per le imprese, per consolidare o avviare con successo una attività commerciale
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In oltre vent’anni d’attività, Esa Software si è radicata nel tessuto imprenditoriale italiano, offrendo soluzioni informatiche per imprese di tutte le dimensioni
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Servizio per dodici
\Storie di Successo
Gruppo Car è concessionaria di dodici marche automobilistiche nella provincia di Brescia e ha inaugurato un grande salone dove i clienti possono trovare i modelli di tutte le case automobilistiche rappresentate. Un concetto innovativo per il mercato italiano, che ha richiesto una specifica campagna di comunicazione
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Stampa di carattere
La De Luca Industria Grafica e Cartaria è una delle imprese salernitane più attive ed è specializzata nell’arte tipografica e nella trasformazione della carta. Unisce una solida tradizione famigliare alla costante ricerca di nuovi prodotti e nuovi mercati
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Comunicazione in stile britannico
British Institutes utilizza una comunicazione rigorosa caratterizzata da un elevato contenuto informativo. Forme e contenuti sono decisi centralmente per tutte le duecento sedi italiane
Sommario
Software per grandi e piccoli
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\Fare impresa
La vendita a valore
Vendere non è facile, ma, anche acquistare il prodotto giusto non lo é
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Gli international accounting standards (IAS) La crescente integrazione dei mercati richiede una lettura comune dei bilanci e delle performance aziendali
prim part a e
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\Settori
Innovazione al rallentatore
Il settore dell’Information Technology mostra nel 2005 una lieve ripresa, ma l’Italia rimane il fanalino di coda tra i principali paesi industrializzati. Poche risorse destinate alla ricerca e scarsa la propensione delle imprese nei confronti degli investimenti
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Mobile al bivio
Il comparto dell’arredamento sta vivendo una fase di trasformazione, dovuta alla crescente concorrenza internazionale
\Osservatori Seat dell’Economia Locale Le provincie di Firenze, Genova e Lecce
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Il direct marketing B2B
\ Primo Piano
Da solo mail order a marketing relazionale, il direct marketing è uno strumento flessibile che utilizza una molteplicità di mezzi per comunicare con target composti non solo da individui ma anche da aziende. Un media di successo a disposizione quindi anche delle aziende B2B I quattro fattori chiave del successo del direct marketing: il target, i mezzi di comunicazione, la misurabilità, il data base
Redemption e CPO, gli strumenti per misurare l’efficacia e la redditività di una azione di direct marketing
L’efficacia del direct marketing nel supportare la rete di vendita
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\ Primo Piano
Foto: © Corbis
Alimentare il data base da fonti esterne qualificate migliora la performance e la redditività dell’intero piano marketing
Bob Stone e Ron Jacobs nel loro famoso libro “ Successful Direct Marketing Methods”, divenuto una sorta di bibbia per i direct marketer, definiscono il direct marketing come l’uso interattivo di mezzi di comunicazione per stimolare una risposta o comunque una modificazione del comportamento del destinatario della comunicazione che possa essere rilevata, analizzata e archiviata in un data base per un uso futuro.
n°3 \ luglio - agosto 2006
Questa definizione contiene quattro concetti chiave: l’interattività tra il mittente della comunicazione e colui che la riceve l’utilizzo di mezzi di comunicazione la possibilità di rilevare la risposta o il comportamento suscitato dalla comunicazione l’esistenza di un data base nel quale sono archiviati le risposte e i comportamenti In estrema sintesi il direct marketing è una forma di marketing relazionale in quanto consente di instaurare un rapporto bidirezionale tra l’azienda e i propri target di riferimento. Il direct marketing, per le sue caratteristiche, è un media a disposizione non solo delle aziende B2C ma anche di quelle B2B.
Il target Presupposto per un’azione di direct marketing è l’identificazione e la segmentazione del target cui indirizzare i messaggi. A differenza dell’advertising che utilizza mezzi di comunicazione di massa, spesso dispersivi, il direct marketing, infatti, consente di raggiungere e di instaurare un rapporto in modo personalizzato e mirato con i soli target (o anche segmenti di essi) con i quali l’azienda intende comunicare. La scelta dei target dipende dai mercati a cui si rivolge l’azienda ed è funzione anche degli obiettivi che essa intende conseguire. Il mondo B2B è composto da individui che hanno la responsabilità di valutare e acquistare prodotti per la loro impresa o per quella per la quale lavorano. La decisione d’acquisto avviene sulla base della convenienza per l’impresa, in modo razionale e spesso condivisa tra diversi livelli gerarchici. L’individuazione del target non può quindi prescindere dalle caratteristiche dell’azienda (dimensione, tipo di attività, ecc) e dalla posizione funzionale o gerarchica che il destinatario del messaggio ricopre. Il mondo consumer è composto da individui che prendono in considerazione l’acquisto di un bene o di un servizio per sé o per qualcun’altro. L’acquisto è quindi una decisione personale e spesso di impulso. La segmentazione dei target avviene sulla base delle loro caratteristiche socio-demografiche e della propensione all’acquisto di determinati prodotti o servizi.
\ Primo Piano
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Esiste poi un terzo macro-target, i Soho (Small Office Home Office), possessori di imprese molto piccole, spesso gestite da casa. Questi individui, il cui universo è in rapida crescita, presentano motivazioni sia di carattere aziendale sia personale. È un universo complesso che richiede analisi ad hoc, molto approfondite. È Inoltre sostanzialmente differente mirare a target di suspect, universi di aziende o individui che rappresentano il mercato potenziale ma con cui l’azienda non ha ancora stabilito una relazione, o a clienti con i quali l’azienda ha già instaurato rapporti consolidati di fiducia. Nel primo caso l’obiettivo dell’azienda sarà acquisire nuovi clienti, nel secondo vendere o fidelizzare la clientela. In entrambi i casi, per conseguire i risultati economici e di marketing attesi, saranno necessarie capacità di selezionare e segmentare i target e di comunicare con loro con un corretto marketing-mix (offerta, prodotto, media, comunicazione).
I mezzi di comunicazione Per molti anni direct marketing e mail order sono stati sinonimi: il direct marketing era principalmente identificato, in modo molto riduttivo, con l’attività di vendita per corrispondenza che si realizzava attraverso l’invio di mailing. L’attuale accezione di direct marketing come tecnica di marketing relazionale (stimolare una risposta o un comportamento) amplia notevolmente il potenziale dello strumento che per raggiungere i suoi obiettivi fa ampio uso di tutti quei media che sono in grado di generare una reazione da parte del target: il direct mail e l’e-mail marketing i mezzi classici opportunamente attrezzati (il direct response) per una risposta da parte del target (coupon o cartoline, lose insert in periodici o quotidiani, numeri telefonici o indirizzi e-mail o fax pubblicati su pagine pubblicitarie o comunicati
Attenzione alla Privacy Il Decreto Legislativo n° 196/03 denominato “Codice in materia di protezione dei dati personali” è entrato in vigore il 1 gennaio 2004. Riunisce in unico codice la legge 675/1996 e gli altri decreti legislativi, regolamenti e codici deontologici che si sono succeduti in questi anni in materia di privacy e trattamento dei dati e recepisce la direttiva comunitaria sulla riservatezza dei dati. In estrema sintesi garantisce all’interessato (soggetto a cui si riferiscono i dati) il diritto di conoscere chi detiene i suoi dati (Titolare del trattamento), quali sono le finalità di tali trattamenti e le modalità per variare i propri dati o farne cessare il trattamento. L’informativa costituisce il principale adempimento a tutela dell’interessato, in quanto finalizzata a far conoscere gli scopi e le modalità del trattamento svolto, descrivere le categorie di soggetti a cui i dati sono comunicati, ovvero l’ambito della loro diffusione. Garantire la facoltà di poter esercitare i diritti, che la normativa in tema di privacy riconosce all’interessato con riferimento ai suoi dati. Per i dati personali è necessario anche il consenso documentato da parte dell’interessato al trattamento.
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\ Primo Piano
negli spot pubblicitari radiofonici o televisivi …) il telemarketing outbound (telefonate in uscita al target) e inbound (telefonate in entrata a seguito di azioni mirate a stimolarle) il below the line (take one, volantini …) La scelta dei mezzi e la comunicazione adottata sono funzione dei target che l’azienda intende raggiungere e degli investimenti disponibili; un uso equilibrato e combinato di più mezzi garantisce generalmente incrementi nelle risposte (redemption). I target B2B possono essere raggiunti con mezzi più mirati e di nicchia: oltre che con mailing o e- mail indirizzati all’anagrafica dei decisori d’acquisto dell’azienda, anche attraverso periodici di settore, pubblicazioni di carattere economico e finanziario, inserzioni in directories specializzate e B2B. I target B2C sono più facilmente raggiunti, oltre che con il mailing e l’e- mail marketing, grazie l’uso dei mezzi classici.
La misurabilità Consente di valutare l’efficacia dell’azione di direct marketing sia in termini di risultati di marketing sia in termini reddituali. Grazie alla misurabilità è possibile analizzare le evidenze dell’azione di marketing, siano esse positive o negative, e capitalizzarle ai fini delle successive azioni. Il principale indicatore dell’efficacia di marketing di una campagna è la redemption ovvero il rapporto tra il numero dei messaggi inviati e le risposte pervenute (ordini, richieste di informazioni o di invio di cataloghi o di sampling…):
Redemption =
Numero messaggi inviati
x 100
redemption (1.000 / 100.000)
CPO =
Costi totali della campagna Numero risposte pervenute
Riprendendo l’esempio di cui sopra, le formule per il calcolare il margine economico della campagna e il relativo BEP (Break Even Point), il punto di pareggio, sono le seguenti:
numero risposte pervenute redemption
Ad esempio: messaggi inviati
diato recupero dell’investimento, la valutazione sarà effettuata sul life time value del cliente (ovvero sui margini generati nel corso delle successive azioni di marketing cui il neo cliente sarà sottoposto).
costi della campagna
Numero risposte pervenute
risposte pervenute
L’indicatore reddituale principale è il CPO (Costo per Ordine), rapporto tra i costi totali della campagna e il numero di risposte pervenute, rapporto che esprime il costo unitario sostenuto per acquisire una risposta. Il CPO target di una campagna è usualmente determinato a priori in fase di studio e pianificazione della campagna sulla base del margine unitario generato da ciascuna risposta. In caso di azioni di vendita a propri clienti il CPO target dell’azione prevedrà di generare un margine economico positivo, in caso di azioni di acquisizione di nuovi clienti, il cui CPO iniziale non consente generalmente un imme-
100.000 1.000 1%
1.000 1%
CPO (100.000 € / 1.000)
100 €
margine atteso da ciascuna risposta
200 €
margine totale della campagna (200 € x 1.000)
200.000 €
margine al netto dei costi della campagna (200.000 € - 100.000 €)
100.000 €
BEP - numero di risposte necessarie per pareggiare i costi della campagna - (100.000 € / 200 €) redemption a BEP (500 / 100.000)
n°3 \ luglio - agosto 2006
100.000 €
500 0,5 %
\ Primo Piano
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Come costruire il data base File clienti
Nuove info clienti
File potenziali
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\ Primo Piano
Il data base E’ il quarto caposaldo della definizione di direct marketing. Grazie alla raccolta dei dati comportamentali dei target promozionati (risposte e ma anche non risposte e successive performance quali ad esempio la frequenza degli acquisti e il loro valore, ma, anche, il rispetto delle condizioni di pagamento e la morosità) e alla loro analisi, le aziende possono realizzare più attività di marketing: la selezione e la segmentazione dei target per le campagne future in funzione del livello di redemption atteso dai vari target e quindi la preventiva determinazione degli obiettivi economici delle azioni; la selezione e la segmentazione dei target consente anche di escludere i target in perdita o con ritorni sull’investimento ritenuti eccessivamente lunghi; il lancio di azioni di cross selling e di incremento del valore medio dell’ordine; la gestione di attività di fidelizzazione; lo sviluppo di nuovi concept di prodotto, che saranno testati, preventivamente al lancio, su campioni rappresentativi dei target; la ricerca di nuovi target
Segmentare i clienti per poi promozionarli in modo mirato. Mantenere aggiornati i dati e le informazioni sui comportamenti e sulle variazioni delle anagrafiche. Identificare le caratteristiche base dei clienti per individuare i criteri di ricerca e selezione di nuovi potenziali clienti Arricchire il DB clienti con informazioni oggettive e descrittive. Classificare i nuovi clienti in funzione dei comportamenti e delle caratteristiche demografiche. Analizzare il loro potenziale per le successive azioni di marketing Selezionare da fonti esterne attendibili e certe le liste dei potenziali clienti (eliminare le anagrafiche già presenti nel data base). Ottenere la privacy. Individuare i segmenti a più alto potenziale per trasformarli in clienti
I modelli di analisi più frequentemente utilizzati per le analisi sono di tipo comportamentale (dette booleane) e matematico (analisi regressive basate su algoritmi). Le anagrafiche degli individui o delle aziende sono organizzate in macro categorie all’interno del data base aziendale in forma piramidale. I comportamenti di volta in volta adottati dai singoli individui o dalle aziende ne determinano il movimento verso l’alto o verso il basso o addirittura ne possono causare l’esclusione (ad esempio, i clienti morosi,
gli ex clienti inattivi da n tempo, i target in perdita a causa delle basse redemption): alla base della piramide vi sono i suspect rappresentati dal mercato potenziale ed alimentati da fonti esterne seguono i prospect, clienti potenziali che hanno mostrano segni di interesse nei confronti dell’azienda gli ex clienti inattivi da n-1 tempo per quali si ritiene ancora economico effettuare azioni di riattivazione i clienti che sono ulteriormente segmentati in funzione dei livelli di attività nei confronti
dell’azienda. I criteri di segmentazione generalmente adottati per i clienti sono: data ultimo ordine frequenza degli acquisti valore degli acquisti In base a questi criteri i clienti sono definiti occasionali (o low buyers), attivi, fedeli (o heavy buyers). Verso ciascun segmento l’azienda opererà in modo mirato: far divenire attivi i clienti occasionali, incrementare gli acquisti di quelli attivi per trasformarli in fedeli, fidelizzare e gratificare i fedeli per non farli divenire preda dei concorrenti.
Le soluzioni Kompass per il marketing B2B SEAT Pagine Gialle ha realizzato con Kompass tutti gli strumenti necessari alle imprese per realizzare azioni di direct marketing per cercare clienti e farsi ricercare da potenziali clienti
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Per informazioni:
n°3 \ luglio - agosto 2006
kompass.info@seat.it
\ Primo Piano
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Quando il database clienti diventa patrimonio aziendale: Metis Sempre più aziende hanno scoperto che il database clienti non serve solo a fini gestionali, ma può rappresentare un’opportunità per sviluppare il proprio business. Ne abbiamo parlato con il Dottor Michele Adt, Direttore Marketing di Metis, Agenzia per il lavoro. Dottor Adt innanzitutto quale è l’attività e il contesto di mercato in cui opera Metis? Metis S.p.A. è un’Agenzia per il Lavoro nata nel 2000 specializzata nella ricerca, selezione, formazione e gestione delle risorse umane. Certificata a livello europeo UNI EN ISO 9001/2000, Metis conta nel suo azionariato rilevanti investitori sia istituzionali (UniCredit, Generali, PAM, Etnoteam) sia privati che operano in settori strategici per lo sviluppo dell’attività. Metis ha una presenza strategica sul territorio attraverso 104 filiali dislocate nei principali capoluoghi italiani. Per meglio soddisfare le specifiche esigenze delle aziende clienti, Metis ha sviluppato 7 divisioni specializzate. Qual è il mercato di riferimento di Metis? Metis mette in relazione le aziende che ricercano persone da inserire nella loro organizzazione con i lavoratori che cercano un lavoro. Proprio sul target delle aziende abbiamo iniziato a costruire la nostra strategia di Customer Marketing, per questo nell’ultimo periodo abbiamo investito per valorizzare il nostro database clienti e passare da un utilizzo puramente gestionale ad un’attività di CRM (Customer Relationship Management). Perché avete sentito questa esigenza e come l’avete attuata? L’esigenza è nata dopo una fase di sviluppo molto intenso dell’attività (nel 2005 abbiamo fatturato 158,7 milioni di euro con una crescita del 27,8% sull’anno precedente, abbiamo gestito oltre 43.000 missioni di lavoro coinvolgendo in totale oltre 18.000 lavoratori). A questo punto ci siamo resi conto che per mantenere questi tassi di sviluppo dovevamo iniziare a conoscere meglio il nostro mercato, che in realtà è fatto da tanti mercati locali. Il passo obbligato era dunque quello di conoscere meglio i nostri clienti, quindi per prima cosa abbiamo arricchito il nostro database clienti con informazioni utili alla loro descrizione (dimensione, settori di attività, parametri di geo-marketing, etc.) e alla loro analisi. Grazie a questo lavoro abbiamo così potuto definire anche le caratteristiche dei nostri potenziali clienti e abbiamo aggiunto al nostro database di marketing anche i nominativi dei potenziali clienti che potranno essere oggetto di iniziative commerciali e di comunicazione diretta, potendo così calcolare anche il potenziale di ciascuna filiale. Come avete pensato di proseguire questa attività? Innanzitutto abbiamo ora un patrimonio aziendale che dovrà essere aggiornato nel tempo per mantenere il suo valore. Ma il successo di questo strumento dipenderà anche dalla nostra capacità di portare in tutta l’azienda una nuova cultura e un nuovo modo di lavorare per far sì che il database di marketing diventi uno strumento concreto di lavoro su tutto il territorio, è per questo che supporteremo l’attività anche con la formazione interna. Inoltre per ogni nuova filiale che sarà aperta il database dovrà essere incrementato di nuovi nominativi. Perché ha scelto il Database di KompassItalia Direct per questa attività? Abbiamo preso in considerazione diverse alternative, ma abbiamo scelto i servizi di Database Solutions di Kompass fondamentalmente per 3 motivi: l’ampiezza dell’universo a disposizione, praticamente tutte le aziende attive in Italia la ricchezza di informazioni anche dimensionali e di descrizione dell’attività dell’azienda, unite ad un aggiornamento continuo, garanzia anche in futuro della capitalizzazione del nostro investimento infine il servizio personalizzato: infatti, avendo necessità di elaborare innanzitutto il nostro DB Clienti e inserire le informazioni all’interno dei nostri sistemi informativi abbiamo particolarmente apprezzato la flessibilità dimostrata per soddisfare pienamente le nostre esigenze Metis S.p.A. Viale Restelli 3/7, 20124 Milano Telefono: 02 67.196.1 Numero Verde 800 585282 Fax: 02 67.196.333 e-mail: info@eurometis.it www.eurometis.it
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\ Primo Piano
La piramide del data base
Fedeli Attivi Occasionali Clienti Ex- Clienti Prospect (potenziali clienti qualificati) Fonti esterne qualificate (Suspect)
L’alimentazione del data base attraverso suspect, generalmente con l’acquisto o il noleggio di liste da fonti esterne qualificate ed affidabili, ottimizza il flusso dei potenziali clienti verso l’alto, migliorando complessivamente le performance del data base e quindi la redditività totale delle azioni di marketing. Il data base di un’azienda B2B differisce ovviamente da quello di un’azienda B2C in quanto è organizzato per conservare, oltre ai dati di performance dei clienti, una serie di dati specifici delle aziende B2B suspect, prospect o clienti: dati strutturali delle aziende target (settore d’attività, forma giuridica, fascia di fatturato, classe di dipendenti, …) relativi all’interlocutore/i cui saranno rivolte le comunicazioni e/o alla struttura gerarchica decisionale relativi alla natura dell’azione promozionale e di canale con cui l’azienda è stata promozionata e successivamente avvicinata n°3 \ luglio - agosto 2006
I comportamenti dei target determinano il loro passaggio da una macro categoria all’altra all’interno del data base
Suspect (mercato potenziale)
Gli obiettivi del direct marketing B2B Il direct marketing consente, quindi, di conseguire numerosi obiettivi, alcuni comuni tra aziende B2C e B2B come acquisire nuovi clienti, vendere prodotti, effettuare azioni di cross selling, aumentare il valore medio degli ordini, fidelizzare i clienti, altre più specificamente orientate al mondo B2B. Tra queste: realizzare azioni di store traffic building (traffico verso l’azienda o verso i punti vendita dei distributori dei suoi prodotti) supportare l’azione dei propri venditori attraverso la generazione di leads (clienti potenziali) e il pre-screening (una preselezione) dei suspect/clienti da visitare (identificazione di quelli a più alto potenziale), organizzare le visite previo presa di appuntamenti via telemarketing outbound inviare materiale promozionale preparatorio alla fase di visita dell’azienda da parte dei venditori
svolgere azioni di customer care tra le quali, ad esempio, informare i clienti di nuove modalità di relazione o comunicazione commerciale Il data base B2B consente infine di gestire azioni di publicity e di relazioni esterne come ad esempio inviti ad eventi, fiere e manifestazioni
\ Primo Piano
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\ Comunicazione e Marketing
Fidelity card e fedeltà del Cliente: quale rapporto? L’uso delle fidelity card è sempre più diffuso tra i consumatori e le imprese considerano le fidelity card come uno dei mezzi più efficaci per creare fedeltà nei propri clienti. Ma le fidelity card non sono il fine ma il mezzo per avviare un processo di creazione della loyalty nei clienti
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\ Comunicazione e Marketing
Negli Stati Uniti il 65% dei consumatori possiede almeno una fidelity card. La media è di 3,3 carte a testa. Anche in Italia le carte fedeltà rappresentano un fenomeno assai diffuso: un’indagine TNS Infratest del luglio 2005 evidenzia, infatti, che il 55% degli intervistati ha dichiarato di possedere almeno una fidelity card. Ma a cosa servano realmente le fidelity card e che rapporto vi sia tra le card e la fidelizzazione dei clienti è un discorso complesso, che trova rari approfondimenti. Il punto di vista del cliente Il punto di partenza per qualsiasi riflessione dovrebbe essere l’ascolto del cliente. Se proviamo a porci in quest’ottica e ripensiamo alle nostre esperienze come utenti di carte, quali benefici otteniamo dalle fidelity card
I 3 momenti fondamentali di relazione del cliente con l’azienda Percezione del bisogno Ricerca e familiarizzazione Scelta e acquisto
Processo di acquisto
Abbandono Riacquisto
Ricerca e familiarizzazione Scelta e non ritorno
Ciclo d’uso Uso normale Orientamento al riacquisto Percezione di problemi
Foto: © CORBIS
Figura 1
e dai programmi fedeltà cui partecipiamo? Nella maggior parte dei casi (con rare eccezioni: per esempio Fnac, Benetton o, in Francia, le Galeries Lafayette) le carte sono distribuite gratuitamente, a fronte della richiesta di alcuni dati anagrafici di base. Servono per raccogliere punti o per vedere cumulati gli importi di successivi atti di acquisto (da una recente ricerca condotta da GEA in Italia, questo accade nel 65% delle carte fedeltà per i settori non food e nella quasi totalità delle carte dei settori food). Allo scadere di un dato periodo sono verificati i punti o gli importi che abbiamo raggiunto e possiamo quindi ottenere, da un catalogo indifferenziato, una serie di prodotti o uno sconto sul prodotto/servizio per cui è stata concessa la carta.
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Tutto si limita a questo. Se a ciò aggiungiamo che in un certo numero di casi (purtroppo in aumento) l’ottenimento del premio è subordinato al versamento di un contributo in denaro, oltre all’utilizzo dei punti acquisiti, il quadro che emerge non è dei più rosei per invogliare a rimanere fedeli a un certo brand.
l’azienda. In particolare, il cliente si pone verso il prodotto/servizio acquisito e, di conseguenza, verso l’azienda fornitrice, in tre momenti fondamentali (figura. 1): l’acquisto l’uso l’abbandono o la decisione di riacquisto
La fidelizzazione per le aziende L’effetto spesso di rigetto che sperimentiamo in qualità di clienti è il risultato di un approccio non corretto, da parte delle aziende, alla più ampia tematica della fidelizzazione. In altri termini, le fidelity card sono spesso viste come l’iniziativa principe verso la fidelizzazione (loyalty) e considerate come un prodotto a se stante, da promuovere e piazzare per incrementare la propensione alla fedeltà. In realtà la fidelizzazione non si può conseguire attraverso un prodotto, ma come risultante di una serie di azioni sui processi che accompagnano il ciclo di vita del cliente nei confronti del-
L’azienda dovrebbe essere quindi in grado di governare l’intera relazione e dovrebbe farlo, in ogni fase, con appropriatezza di mezzi e di soluzioni. Per quel che riguarda la fidelizzazione, è fondamentale incidere sul processo di riacquisto/abbandono e questo presuppone un’adeguata conoscenza delle dinamiche che in concreto, nello specifico dei propri clienti, governano tale processo. E, considerando che tutti i processi di customer management sono processi knowledge intensive, ovvero ad alta intensità di conoscenza, occorre in primo luogo raccogliere e strutturare la conoscenza sui clienti in funzione delle variabili critiche predittive dell’abbando-
\ Comunicazione e Marketing
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Principali tipologie di segmentazione Acquisire clienti
Servire / Soddisfare clienti
Segmentazione sui bisogni
Segmentazione sulle attese di servizio
Figura 2
Fidelizzare clienti
Segmentazione su loyalty
no/riacquisto. Come? Che i clienti non siano un blocco omogeneo e uniforme è ben noto a chi si occupa di marketing. Non a caso si dedica molta attenzione e si spendono fiumi di inchiostro sul concetto di segmentazione. Quello che spesso ancora sfugge è che anche il concetto di segmentazione non è univoco, ma deve essere articolato in funzione delle diverse fasi del ciclo di vita del cliente, perché ogni fase vede i clienti profilabili in modo peculiare e intrinsecamente differente (figura 2). Le fidelity card entrano in gioco proprio qui.
Foto: © CORBIS
Primo: conoscere e profilare Può sembrare strano, ma il primo obiettivo che deve avere una fidelity card non è quello di dare qualcosa al cliente. È vero il contrario: la fidelity card ser-
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\ Comunicazione e Marketing
Alto
Basso
VALORE POTENZIALE DEL CLIENTE
ve per chiedere qualcosa. Serve per chiedere al cliente quelle informazioni che ci permettono di conoscerlo durante la relazione. Serve, in altri termini, per cercare di capire cosa lo indurrebbe a rimanere con noi nel tempo. In quest’ottica, la carta non è più un fine, ma un mezzo. Un mezzo che consente di analizzare la propria base clienti e di definire le strategie di azione sui differenti profili. Vediamo un esempio. La figura 3 prospetta una matrice utilizzata nell’ambito di progetti di loyalty. Essa incrocia due variabili: il grado di fidelizzazione, che si può dedurre dalla frequenza degli atti d’acquisto, piuttosto che dalla share of wallet o customer share, vale a dire dalla quota di acquisti di
Quadrante degli obiettivi del programma di fidelizzazione
Clienti da sviluppare
Clienti a basso valore
Basso
Cliendi da non perdere (strategici)
Clienti da trattenere (tattici)
GRADO DI FIDELIZZAZIONE
Alto
Figura 3
un certo prodotto/servizio che il cliente è disposto ad accordare alla azienda il valore potenziale del cliente, ovvero la stima del suo valore nel corso della relazione con l’azienda (lifetime value).
Le informazioni che dobbiamo proporci di ricavare dalla card dovrebbero consentirci in primo luogo di ricondurre i clienti all’interno di uno dei quattro profili di riferimento e di decidere di conseguenza dove allocare i maggiori sforzi o le risorse di cui di-
4 regole per lanciare con successo una fidelity card 1. La carta serve principalmente per conoscere e segmentare i propri clienti che,
altrimenti, rimarrebbero un insieme indifferenziato. Inoltre, uno dei presupposti della fidelizzazione è che i clienti abbiano effettivamente la possibilità di scegliere un concorrente dal quale l’azienda vuole difendere i propri consumatori.
2. Il vero beneficio della carta può essere colto solo nel tempo e non tanto sul
versante dei ricavi, che pure possono beneficiare di incrementi da up e cross selling, quanto su quello dei margini, con l’incremento della vita media del cliente e una migliore allocazione dei costi commerciali e promozionali. È noto che mantenere un cliente costa molto meno che acquisirne uno nuovo.
3. Una delle aree che tendono ad essere sottovalutate è quella dei costi e dei debiti
correlati alla carta: quanto costa un punto? Quale esposizione complessiva in un dato momento? La domanda è più grave di quanto potrebbe apparire a prima vista, se pensiamo che, per i soli programmi frequent flyer, il debito che le compagnie aeree hanno a livello mondiale nei confronti dei propri clienti ammonta a 700 miliardi di dollari!
4. La carta, nel suo utilizzo primario e come strumento di rewarding, deve essere pensata sui propri clienti e in modo coerente con il proprio brand e posizionamento. Deve essere accuratamente progettata e testata, in un arco temporale che raramente riesce ad essere inferiore a 1 - 2 anni. Imitare il programma di un concorrente è, infatti, spesso pericoloso.
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sponiamo. In secondo luogo, per ognuno di questi quattro profili, le carte ci consentono, se gestite correttamente, di disporre di una serie di informazioni che, opportunamente trattate, ci offrono un buon livello di conoscenza del cliente: prodotti acquistati, combinazioni di acquisti, occasioni di acquisto, diversi orari e punti di fornitura utilizzati, … Se le carte ci hanno garantito queste informazioni, hanno fatto bene il loro lavoro e teoricamente potrebbero anche non servire ad altro. Secondo: le azioni di fidelizzazione La fidelizzazione, come abbiamo detto, è la risultante di una serie di interventi e non di un pezzo di plastica. In particolare, la fidelizzazione deriva da una customer experience positiva (la percezione da parte del cliente dell’insieme di tutti gli aspetti del suo rapporto con l’azienda), che genera soddisfazione e, proiettata nel tempo, loyalty. La customer experience è la ri-
sultante, come si vede nella figura 4, dell’interazione di tre elementi: il prodotto, il servizio e la relazione. Ne consegue che le azioni di fidelizzazione devono poter trarre tesoro dal patrimonio di conoscenza accumulato attraverso l’uso, da parte dei clienti, delle fidelity card, per poter intervenire su ognuno di quei tre elementi. Gli interventi possono essere di natura strategica (per esempio sui prodotti/servizi o sui canali distributivi) o tattica. E qui le fidelity card possono ancora ritornare utili. Terzo: le fidelty card e i programmi speciali Le fidelity card possono essere un veicolo per raggiungere i clienti. Non tutti, solo target specifici. Non con azioni indifferenziate, ma di contenuto mirato. Se li conosciamo e ne conosciamo le abitudini, possiamo fornire loro alcune prestazioni speciali, accessorie alla nostra offerta base e
La customer experience del cliente Loyalty Soddisfazione Customer experience
Figura 4
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Prodotto + Servizio + Relazione
Fidelity Card
che supponiamo risulteranno gradite. Le promozioni possono essere mirate, alcuni eventi possono essere dedicati, la comunicazione può essere indirizzata a specifici target. In questo senso, le fidelity card rappresentano strumenti tattici di fidelizzazione, retention, rewarding (premiazione). Alcuni esempi: Hilton HHonors Gold VIP, Starwood Preferred Guest Gold, Sofitel Privilège, Radisson SAS Goldpoints Plus Silver per le compagnie alberghiere; Hertz #1 Club Gold, Avis Preferred Service per le compagnie di autonoleggio. In tutti questi casi sono fornite ai titolari prestazioni accessorie che normalmente risultano gradite (upgrade, procedure rapide in check in o ritiro degli autoveicoli, sconti e welcome packages). Per citare un esempio forse più noto e a noi vicino nel trasporto aereo, i Club di Alitalia (Ulisse e Freccia Alata, che, oltre a consentire l’accumulo dei punti come tutte le altre carte MilleMiglia, forniscono an-
che opportunità in termini di priorità in lista d’attesa o all’imbarco, sale d’attesa riservate, possibilità di imbarcare maggior bagaglio). Opportunità ancora maggiori si potrebbero presentare, anche se non sempre accade, quando le fidelity card sono inserite in un circuito, in cui la conoscenza sui clienti e le opportunità di servir-
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lo potrebbero avere fonti molteplici. In Francia, il circuito Pointsciel riunisce 1.400 tra marchi e catene distributive della GDO, supermarket, servizi alla persona e shopping, servizi per la casa e arredamento, auto/moto, viaggi/ tempo libero, ristorazione.
base di partenza per un autentico processo di fidelizzazione del cliente A cura di Luigi Polizzi (luigi.polizzi@gea.it), partner GEA GEA è una delle più importanti e professionali società di consulenza per l’alta direzione. Nasce in Italia nel 1965 e ha attualmente sedi in Milano, Ginevra e Boston - www.gea.it
In conclusione, quindi, le fidelity card non sono il traguardo ma la
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Le ricerche di mercato sono uno strumento per approfondire e migliorare la conoscenza e la relazione con i clienti, per identificare nuove opportunità o misurare l’efficacia delle proprie azioni commerciali. Le ricerche di mercato sono state sino ad ora prevalentemente appannaggio delle grandi aziende ma ora anche le piccole e medie imprese iniziano ad utilizzarle in modo profittevole, come dimostrano i tre casi di successo che pubblichiamo
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In Italia sono stati investiti nel 2005 in ricerche di mercato circa 550 milioni di €. Le ricerche di mercato sono, infatti, strumenti ampiamente utilizzati dal mondo delle aziende, per comprendere le dinamiche del settore in cui operano ed identificare le azioni commerciali, di marketing e comunicazione più opportune da sviluppare, o verificare gli effetti di quelle già realizzate, nell’ottica di intensificare e approfondire la relazione con il proprio bacino di clienti attuali e/ o potenziali. Nello specifico, gli studi di mercato possono affrontare una gamma molto ampia di tematiche, spaziando, solo per citare alcuni esempi, dai test preliminari al lancio di un nuovo prodotto sul
Foto: © CORBIS
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Le ricerche di mercato
Le ricerche di mercato in Italia 7%
Telecomunicazioni
7% 7%
Beni durevoli Beni di consumo Farmaceutico
Media
6%
36%
17 %
Automobili Altri settori
Fonte: ASSIRM
Dal brifieng al report finale La tabella allegata descrive, molto in sintesi, il processo di una ricerca di mercato. Il punto di avvio è il brifieng, ovvero il trasferimento delle esigenze dell’azienda all’istituto di ricerca, che facendole proprie, identifica l’approccio metodologico ottimale sulla cui base svilupperà tutte le attività di raccolta, elaborazione, analisi e trasferimento delle informazioni utili alla risoluzione della problematica segnalata dall’azienda. Il processo si chiude con la redazione di un report e la presentazione e
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la valutazione dei risultati e delle evidenze acquisite. Il percorso così delineato rappresenta chiaramente un modello semplificato, e, come ogni schematizzazione, tende a sottostimare il peso di una serie di aspetti che possono influire sulla relazione tra azienda e società di ricerca. Lo schema proposto, infatti, descrive soprattutto le modalità di approccio alle indagini di mercato di quelle realtà che hanno
Le ricerche di mercato e le PMI Il bisogno di effettuare ricerche di mercato non è tuttavia esclusivo appannaggio delle grandi aziende ma, anche, come dimostrano i casi di successo che pubblichiamo, delle piccole e medie imprese, soprattutto quelle che hanno raccolto la sfida della qualità, e sentono l’esigenza di competere meglio, anche attraverso la ricerca e l’implementazione di nuovi modelli di business. In questi casi il contributo richiesto alle società di ricerca si arricchisce di contenuti diversi: all’interno delle realtà di medio -piccole dimensioni accade infatti che al ricercatore venga riconosciuto uno
Il processo di ricerca: dal briefing al report Obbiettivi della Ricerca
Bisogno Informativo
Impianto metodologico
Azienda
mercato (per comprenderne l’accoglienza tra i consumatori) alle indagini per verificare la notorietà e il profilo di immagine di una marca, dalla misurazione della soddisfazione dei clienti all’analisi dell’efficacia di campagne pubblicitarie e di iniziative di comunicazione. Più in generale l’esigenza di realizzare un’indagine di mercato nasce dalla consapevolezza di un bisogno informativo, nel momento in cui un’azienda ritiene insufficienti o non pertinenti i dati in suo possesso in rapporto alle scelte e alle azioni da compiere.
già una certa dimestichezza con questo tipo di strumento, tipicamente le grandi aziende (soprattutto multinazionali, produttrici di beni di largo consumo e del settore farmaceutico) che operano secondo schemi spesso standardizzati e ricercano risposte a interrogativi già perfettamente finalizzati.
Briefing
Rilevazione dei dati
Istituto
20%
Elaborazione e analisi dei dati
Redazione report e presentazione risultati
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Fate profitti mentre studiate il cliente Ecco come un’indagine conoscitiva sui clienti può portare profitti anziché costi Per quasi tutte le aziende, l’indagine conoscitiva sui clienti non è altro che un costo necessario. Ma non è detto che sia sempre così. Max Grassfield ha ideato una forma ibrida d’indagine per il suo emporio di abbigliamento maschile: un’indagine promozionale, che fornisce effettivamente informazioni preziose e nel contempo genera vendite. Grassfield inviò un questionario alle mogli dei suoi clienti, offrendo un buono sconto da 10 dollari per ogni questionario reso. L’incentivo, oltre ad assicurare una quantità di risposte e quindi d’informazioni utili (che forse non avrebbe ottenuto senza di esso), produsse vendite extra per circa 10.000 dollari. Testo tratto dal libro di S. Rapp e T.Collins, Mandategli un calzino solo Milano, Il Sole 24 Ore,1999, pagina 12
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spazio maggiore di partecipazione ed un livello più elevato di responsabilità. In questi casi il supporto richiesto si può trasformare in un’azione di vero e proprio affiancamento, sia nell’individuazione ex ante delle criticità che l’impresa deve affrontare, sia nella disamina delle soluzioni da adottare per affrontarle, attraverso un approccio consulenziale orientato al sostegno, al consiglio e all’indirizzo delle scelte aziendali; in particolare, nelle situazione nelle quali l’azienda non abbia maturato
una percezione nitida e univoca delle direttrici lungo le quali intende muoversi, e tanto meno delle informazioni più appropriate da raccogliere attraverso un’indagine di mercato che sia in grado di fornire spunti veramente utili all’implementazione del proprio processo di sviluppo. I metodi per la realizzazione delle ricerche I metodi adottati per la realizzazione delle ricerche di mercato sono di vario tipo, ma generalmente si tende a dividerle in due grandi famiglie. Da un lato ci sono gli studi qualitativi, basati su tecniche mutuate dalla psicologia, in cui gruppi ristretti di persone sono invitati ad esprimere, sotto la guida di un moderatore, ma in modo sostanzialmente libero, opinioni e attitudini, riportare esperienze, attraverso un approccio individuale (interviste in profondità) oppure collegiale (sessioni di gruppo o più comunemente focus group). Il contributo di questo tipo di in-
dagini non risiede chiaramente nella possibilità di quantificare in modo rappresentativo uno spaccato di realtà, ma nella capacità dello strumento di effettuare una vera e propria esplorazione delle motivazioni che spesso stanno alla base degli atteggiamenti delle persone. Un esempio classico è rappresentato dallo studio dei motivi di scelta, abbandono o rifiuto di un determinato prodotto: in questi casi le indagini qualitative sono in grado di cogliere non solo la componente razionale del comportamento del cliente - utente- consumatore (basate sulle sue dichiarazioni), ma anche gli aspetti profondi, emotivi che possono aver guidato o condizionato le sue azioni. Dall’altro lato si collocano le indagini di carattere quantitativo, basate sulla somministrazione di questionari a campioni piuttosto consistenti, rappresentativi della popolazione target oggetto di studio. La raccolta dei dati può avvenire tramite diversi sistemi
di rilevazione: dalle interviste di persona (a casa degli intervistati o by street) a quelle telefoniche, senza dimenticare quelle on line che negli ultimi anni stanno prendendo sempre più piede. Dalla elaborazione ed analisi delle informazioni raccolte scaturiscono evidenze numeriche e statistiche, che contribuiscono a misurare l’entità, la dimensione di un fenomeno (sociale, economico, di mercato), a caratterizzarlo appunto dal punto di vista quantitativo. A titolo di esempio (forse il meno sofisticato, ma pure di frequente utilizzo) basti pensare alla misurazione del livello di notorietà di una marca; oppure la rilevazione delle abitudini di acquisto o consumo di un prodotto, in termini di frequenza, canali utilizzati, e così via. E’ intuibile che proprio dall’approccio integrato quali- quantitativo nascano generalmente i percorsi di conoscenza più ricchi di informazioni e potenzialmente più adatti a fornire spunti e sug-
I metodi di raccolta delle informazioni CAPI Computer Assisted Personal Interview FACE TO FACE domiciliari, by street… INDAGINI QUANTITATIVE basate sulla somministrazione di un questionario
CATI Computer Assisted Personal Interview
CAWI Computer Assisted Web Interview
POSTALI AUTOCOMPILAZIONI
INDAGINI QUALITATIVE basate su una scaletta di argomenti da affrontare
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COLLOQUI INDIVIDUALI INTERVISTE IN PROFONDITA’ SESSIONI DI GRUPPO (focus group)
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3 casi di successo di piccole e medie imprese Primo caso
Un’impresa di Lucca, specializzata nella produzione di calzature professionali, per lungo tempo è stata pressoché mono-cliente. Ad un certo punto il partner tedesco ha deciso di chiudere il ramo di azienda dedicato alla commercializzazione di questa categoria di prodotti. La necessità di capire da dove partire per re-inventare il proprio modello di business ha spinto i responsabili dell’impresa toscana a realizzare una preliminare indagine di mercato, interpellando un campione di distributori e grossisti operanti nel settore. Attraverso la ricostruzione dello scenario competitivo italiano e la rilevazione del valore effettivamente attribuito ai diversi marchi presenti nel proprio portafoglio in rapporto a quelli della concorrenza, l’azienda è riuscita ad impostare una strategia di ridefinizione della propria offerta
Secondo caso
Un’impresa di Reggio Calabria nata di recente, si occupa dell’ideazione e dello sviluppo di confezioni brevettate per il settore alimentare. Al fine di incrementare il livello qualitativo della propria offerta e derivare spunti utili per l’ottimizzazione dei prodotti, i responsabili dell’impresa hanno pensato di inserire stabilmente nel processo produttivo una fase di test con i consumatori. Grazie alle indicazioni emerse dai focus group, l’impresa ha effettuato interventi sulle confezioni, rendendole più funzionali e migliorando conseguentemente la propria produzione e offerta nel mercato. Al contempo, i risultati della ricerca sono utilizzati come chiavi di argomentazione nelle attività di presentazione delle proprie proposte commerciali presso le aziende potenziali clienti
Terzo caso
Un’impresa del Sud Italia operante nel campo dei fiori artificiali ed essiccati, per la commercializzazione dei propri prodotti si era tradizionalmente affidata a distributori e grossisti che riforniscono negozi di vendita al dettaglio. Nell’ottica di sviluppare ulteriormente il giro d’affari, i responsabili dell’impresa hanno preso in considerazione l’opportunità di entrare nella grande distribuzione organizzata, ma prima di prendere una decisione così importante per l’evoluzione del proprio business hanno preferito realizzare un’indagine di mercato preliminare. Tramite una serie di colloqui in profondità ad alcuni buyer delle principali insegne di super ed ipermercati ed interviste realizzate su un campione di consumatori, l’impresa ha potuto valutare l’effettiva potenzialità del canale e supportare la decisione finale di entrare nella GDO
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Le indagini quantitative
gerimenti all’azienda che sulla base delle risultanze dovrà prendere le decisioni. Per concludere… Opportunità di aprirsi a nuovi segmenti di clientela o di lanciare nuovi prodotti, incremento della visibilità, mercati tradizionali in calo, governo più efficiente della crescita, obiettivi di fidelizzazione dei clienti: sono solamente alcune delle sfide poste dall’evoluzione dello scenario competitivo. In questo senso la capacità di leggere i cambiamenti e di fornire spunti concreti per orientarsi in un mercato che cambia rappresenta il contributo tangibile che le indagini di mercato devono saper offrire, per evitare di essere solo numeri e parole raccolti in un report da dimenticare in qualche cassetto.
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- Il face to face, è la modalità di rilevazione più diretta. Può avvenire: a casa degli intervistandi, in caso di particolari problemi legati al materiale da esporre, o a particolari condizioni in cui versano i soggetti (es. anziani, invalidi); presso locali appositamente attrezzati, ad esempio nel caso in cui è necessario mostrare spot televisivi; per le vie della città, per intervistare direttamente chi ha effettuato un certo acquisto o utilizzato uno specifico servizio; oppure in shop, nel caso in cui sia opportuno realizzare l’intervista all’interno di un negozio. - L’intervista con tecnica CAPI (Computer Assisted Personal Interview), viene effettuata con l’ausilio di un personal computer che gestisce in simultanea con l’intervista il questionario elettronico. - L’intervista con tecnica CATI (Computer Assisted Telephon Interview), è effettuata con telefono e il supporto del computer che selezione automaticamente le persone da intervistare dati i parametri di ricerca. - Infine, l’intervista con tecnica CAWI (Computer Assisted Web Interview), è realizzata attraverso la somministrazione di questionari via web. Il procedimento prevede, in alcuni casi, anche l’invio di un SMS che comunica al potenziale intervistato l’attivazione di un’indagine web e lo invita a leggere l’e-mail in cui è contenuta l’URL del questionario e la password univoca da inserire per partecipare all’indagine.
A cura di Massimo Sumberesi (massimo.sumberesi@swg.it), A.D. SWG Milano SWG è uno dei principali istituti di ricerca italiani. Da 25 anni realizza ricerche istituzionali e di mercato, sondaggi di opinione, studi sul cambiamento sociale. Attualmente SWG è presente a Trieste, Bologna e Milano, dove in particolare opera con una società dedicata alle indagini di mercato per il mondo delle imprese.
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Ingenti investimenti statali, un costo bassissimo della manodopera, un’elevata produttività, rendono la Cina un temibile concorrente del mondo occidentale. La Cina è però anche un’enorme mercato in grande sviluppo. Ma vi sono opinioni e valutazioni molto diverse su come cogliere questa opportunità Con la sua capacità di produrre a costi bassissimi, l’assenza di rigide normative sugli standard di prodotto, la facilità con cui alcune aziende cinesi imitano prodotti di altri, talvolta anche in modo molto spregiudicato, la Cina fa paura
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alle aziende del mondo occidentale, Italia inclusa. I mercati sono invasi da prodotti made in Cina che conquistano quote crescenti di consumatori grazie ai loro prezzi estremamente competitivi. Della Cina si discute molto e mol-
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La Cina: una minaccia o anche una opportunità?
to in particolare di uno dei fenomeni più appariscenti, quello delle falsificazioni, un fenomeno che peraltro il governo cinese si è impegnato a reprimere duramente. Ma la realtà della Cina, dei suoi prezzi bassi e della forte competitività, è quella di una economia in fortissimo sviluppo sostenuta da ingenti investimenti statali ed alimentata dal bassissimo costo della manodopera, un sistema contro il quale le economie occidentali faticano indubbiamente a competere. L’export italiano Tuttavia, con un miliardo ed oltre di abitanti, la Cina è anche un grande mercato, tutto da
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A eu ltri r o pa pe es i i C an ad a
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Con chi fa affari la Cina
140 120
114,17
112,28
100 70,12
80 60 40 20
5,77
4,14
0 -20
-8,85
-9,49
-16,46
-40 -41,71
-60
-58,13
M or ed ie io n M te al ay sia G ia pp on e C or ea d Su el d Ta iw an
-80
Surplus e deficit commerciale cinese in miliardi di $ nel 2005 Fonte: Wto
sviluppare: oggi i cinesi, salvo una ristrettissima minoranza, dispongono di un ridotto potere d’acquisto che non consente loro di acquistare prodotti europei ed in particolare italiani. Però non pochi imprenditori ed economisti ritengono che la Cina, con una crescita economica che oggi e nel medio termine si prevede non abbia paragoni nel mondo, diventerà un enorme mercato con sufficienti risorse per consumare prodotti anche del made in Italy , prodotti che già ora sono considerati dai cinesi sinonimo di alta qualità e di stile. Un’inda-
gine condotta dall’Istituto Piepoli su come le imprese cinesi vedono quelle italiane (www.istitutopiepoli.it), evidenzia, infatti, che il made in Italy è percepito molto positivamente e abbastanza positivamente rispettivamente nel 39,8% e nel 51,1% dei casi e che i prodotti italiani più frequentemente citati sono gli alimentari (21%), l’abbigliamento (18%), la pelletteria (15%), le calzature (7%). Beni che sono anche in cima alla lista dei desideri dei consumatori cinesi e che contribuiscono a definire, nell’immaginario collettivo, l’Italia soprattutto
I paesi a maggiore sviluppo 10 % 8% 6% 4%
7%
5,6%
2% 1,9%
2,1%
3,3%
0% Cina
India
Variazione % del PIL 2003-2015 Fonte: Global Insight (World Market Monitor)
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Giappone
Europa
Nord America
come paese della moda. Ma è realistico pensare ad un forte sviluppo dell’ export verso la Cina? Secondo Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison, si tratta, quanto meno in tempi brevi, più di un desiderio che di realtà. Nel 2004 l’Italia ha esportato in Cina beni per soli 4,4 miliardi di €, poco più della Gran Bretagna (3,5 miliardi di €) ed enormemente meno della Germania (21 miliardi di €). L’85% dell’export è rappresentato da beni strumentali, come mezzi di trasporto e macchinari industriali. Prodotti il cui export è messo potenzialmente a rischio dalla crescente presenza e competizione di altri paesi occidentali e dalla stessa industria cinese che mira a sviluppare in loco la produzione di questi beni. Il restante 15%, circa 0,6 miliardi di €, è costituito da prodotti tipici del made in Italy, come la moda, l’arredamento e l’alimentare. Si tratta di prodotti destinati a una fascia di acquirenti che è ancora del tutto minoritaria. Basti, ad esempio, pensare che in Giappone le nostre esportazioni di questi prodotti ammontano a 2,3 miliardi di € a fronte di circa 140 milioni di consumatori ricchi. Un export, quindi, quello dei beni di consumo verso la Cina, che per divenire significativo necessita dei tempi, non brevi, con i quali si svilupperà e si consoliderà il potere di acquisto di una nuova classe sociale.
Le opportunità Ma non per questo la Cina non costituisce un’opportunità. Le imprese italiane possono, infatti, trarre vantaggio dai bassi costi e dalla elevata produttività del sistema cinese avviando in loco una attività imprenditoriale. E’ anche per questi motivi che la Cina si colloca al primo posto per capacità di attrarre capitali stranieri. E un’ indagine condotta dall’Università Bocconi evidenzia che sono proprio le piccole e medie impre-
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www.europages.com Il sito www.europages. com di Seat Pagine Gialle è una directory specializzata e multimediale degli esportatori europei. Il sito è consultabile in 25 lingue e dispone di un database di 550.000 aziende europee che esportano (di cui 80.000 italiane). Le aziende sono consultabili attraverso molteplici chiavi di ricerca: dalla categoria/prodotto/ragione sociale sino al numero dipendenti/fatturato/paese La nomenclatura Europages si suddivide in 21 settori di attività, 700 rubriche principali e 3.500 rubriche specializzate
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se quelle che ad oggi, nel panorama produttivo italiano, hanno avviato più iniziative imprenditoriali in Cina. Le piccole e medie imprese costituiscono, infatti, oltre il 70% della presenza italiana in Cina e sono concentrate principalmente in Lombardia, nel Veneto ed in Emilia Romagna. Ma nel compiere questo passo è necessario definire con chiarezza il modello di approccio al mercato e procedere con estrema cautela ed attenzione. La modalità più frequentemente scelta dalle imprese italiane è stata quella di avviare una joint-venture con un partner locale, modalità che presenta il vantaggio di una più facile e rapida introduzione nel mercato ma che non garantisce pienamente la tutela del proprio know how aziendale. Per questo moti-
Plus e Minus dei prodotti italiani PLUS
MINUS
Design Accuratezza nei particolari Qualità, durata, status Bellezza, alto prezzo Originalità Fantasia
Prezzo troppo elevato Contraffazione diffusa Stile troppo classico per il pubblico più giovane
Fonte: Indagine 17 novembre 2005 Istituto Piepoli e Camera del Commercio Italo- Cinese
Italia paese di cibo e abbigliamento 25 % 21%
20 % 15 %
18% 15%
10 %
7% 4%
5%
3% 2%
1%
1%
1%
Fonte: Istituto Piepoli indagine 17 novembre 2005, Camera di commercio Italo Cinese
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al Pr im o ab en dot ta ti bi r gl ia i m en to pe lle tte ria
0%
vo circa un terzo delle aziende ha invece scelto di fare da sola. Modalità questa che se protegge il know how aziendale da intrusioni non desiderate, comporta anche notevoli rischi ed insidie: la burocrazia, la lingua e la cultura imprenditoriale locale sono gli ostacoli principali segnalati da queste imprese, alcune delle quali, proprio per queste cause, non hanno conseguito un adeguato successo o hanno addirittura fallito i propri obiettivi. Ostacoli che originano molto spesso, più che dalla idea di base del business, da un’inadeguata preparazione ad affrontare un mercato con regole profondamente diverse dal nostro, con l’aggravante, spesso, di personale che una volta in loco, proprio per carenze nella preparazione, non si dimostra in grado
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di gestire e controllare adeguatamente le operazioni. Come ci vedono le imprese cinesi Ma come le imprese cinesi giudicano quelle italiane? L’Istituto Piepoli ha svolto un’accurata indagine. Competenza e capacità manageriali sono ritenute le qualità migliori delle aziende italiane, così come è riconosciuta ai prodotti un’altissima qualità. Ed è proprio l’elevato standard qualitativo dei prodotti a giustificarne i prezzi. Tuttavia le aziende cinesi ritengono che le aziende italiane siano carenti sotto il profilo del marketing: a loro avviso le aziende italiane dovrebbe rimarcare con maggiore forza i tratti distintivi dei loro prodotti e dotarsi di servizi di post vendita
di maggior qualità. È anche ricordato che la Cina non si limita alle sole zone di Pechino e Shanghai e che al suo interno vi sono realtà molto differenti. Ciò renderebbe indispensabile una maggiore flessibilità nell’adattare i prodotti alle esigenze dei vari segmenti di mercato e a quelle dei sistemi e delle catene di distribuzione
La ricerca “Come ci vedono le imprese cinesi” è stata condotta dall’Istituto Prepoli www.istitutopiepoli.it
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Il franchising è una formula commerciale in pieno sviluppo ed un’opportunità per le imprese per consolidare o avviare con successo una attività commerciale. Prima di intraprendere un’attività di franchising o di affiliarsi ad una rete già esistente è necessario tuttavia valutare attentamente vantaggi e svantaggi, dai contratti di affiliazione, agli investimenti necessari e ai suoi ritorni, sino alle potenzialità del mercato nel quale si intende operare
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Franchising: istruzioni per l’uso
In inglese si dice franchising, in italiano affiliazione commerciale, ma la sostanza non cambia e si concretizza in un matrimonio di reciproci interessi. Il franchising, in effetti, è una collaborazione che ha come obiettivo la distribuzione di beni o servizi e vede, quali parti in gioco, un’azienda proponente (quella che produce i beni o ha messo a punto il servizio) e più imprenditori che ne formano la rete distributiva. Il primo soggetto è definito franchisor o affiliante, gli altri sono i franchisee o affiliati. Il legame che si instaura attraverso il rapporto di franchising è per alcuni aspetti molto stringente, ma non intacca in alcun caso l’autonomia economica delle parti in causa. L’affiliato, infatti, pur lavorando nel rispetto delle norme stabilite dal contratto di franchising che lo legano all’affiliante, resta un libero
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Il franchising in cifre insegne giro d’affari in mdl
2003
2004
2005
665
708
722
15,4
16,9
18,1
punti vendita
41.901
44.426
45.153
addetti
109.877
117.783
118.779
Fonte: Assofranchising
imprenditore. Norme che regolano in buona sostanza l’utilizzo di una formula commerciale messa a punto dal franchisor a fronte di un riconoscimento economico da parte dell’affiliato che può così distribuire un prodotto o un servizio già testato, con caratteristiche ben definite, e contare su forme di assistenza più o meno estese, dalla formazione alla pubblicità, a supporto della sua attività di libero imprenditore. Il franchising in cifre La nascita e i primi sviluppi del franchising in Italia risalgono agli anni ‘70, quando fu fondata anche Assofranchising (www.assofranchising.it), l’associazione che riunisce i franchisor presenti sul territorio nazionale. Da allora il franchising ha percorso molta strada ed oggi presenta numeri
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di tutto rispetto. Con oltre 45mila punti vendita, un totale di 119mila addetti, 722 insegne (per il 95% italiane) e oltre 18 miliardi di euro di giro d’affari, il franchising costituisce una realtà importante a livello distributivo soprattutto nel settore del commercio, dei servizi e della ristorazione. Numerose insegne hanno conquistato un posto di primo piano nelle preferenze dei consumatori perché il loro marchio e i loro servizi sono divenuti sinonimo di qualità. Nonostante abbia già una storia non trascurabile alle spalle, il settore è ancora complessivamente piuttosto giovane. A conferma di ciò, infatti, la Federazione italiana franchising (l’associazione che riunisce gli affiliati - www.fif-franchising.it) nel suo sesto rapporto sullo stato del franchising in Italia evidenzia che il 52% dei fran-
chisor ha avviato l’attività dopo il 2000. E come molti settori ancora relativamente giovani e con forti potenzialità di sviluppo, negli ultimi cinque anni il franchising è cresciuto al ritmo del 5% annuo. Una corsa che però ha rallentato molto nel corso del 2005, principalmente a causa dell’entrata in vigore della nuova legge che regolamenta il settore. In effetti, la norma, introducendo l’obbligo per i franchisor di proporre al mercato formule già sperimentate e contratti con impegni meno onerosi per gli affiliati, da una parte ha reso più complicato per le aziende franchisor sviluppare nuove reti, dall’altra ha imposto maggiori tutele per gli affiliati, limitando anche la diffusione di iniziative poco affidabili come avvenuto nel recente passato. Una correzione di rotta che in futuro dovrebbe portare a uno sviluppo forse meno rapido ma sicuramente più affidabile del settore e ad una maggiore maturità degli operatori.
I vantaggi per le aziende In un panorama caratterizzato da una forte competizione in molti settori, dare vita a una rete di franchising comporta molti vantaggi per un’azienda. In primo luogo franchising significa flessibilità e velocità di reazione al mercato, due caratteristiche che consentono di adattarsi in tempi rapidi alle mutevoli richieste dei consumatori e alle pressioni competitive. Inoltre l’affiliazione comporta minori spese e una più ridotta attività di controllo rispetto alla creazione e gestione di una propria rete di distribuzione. Controllo che è comunque superiore rispetto alla distribuzione attraverso il dettaglio, ovvero tramite intermediari non legati in alcun modo all’azienda. La formazione dell’affiliato ed il controllo esercitato sulla sua attività tutelano poi il franchisor da comportamenti non conformi alle politiche di marchio e commerciali stabilite. Il franchising, inoltre, prevedendo la condivisione del rischio di impresa, costituisce di per se stesso una forma di responsabilizzazione dell’affiliato il cui interesse è quello di portare al successo la formula distributiva che ha scelto. L’affiliazione commerciale può essere vista come un insieme di tanti centri decisionali autonomi collegati a un unico centro propulsore, il franchisor, che si garantisce così una rete distributiva efficiente, efficace, motivata. Dal punto dell’affiliato la decisione di affiliarsi a un’insegna se per un verso comporta la perdita di una parte della propria autonomia, dall’altro consente di contare su un marchio già conosciuto, su una formula sperimentata, sul
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Intervista a Italo Bussoli, Segretario Generale di Assofranchising Quali sono i passi fondamentali per quelle aziende che intendono costruire una robusta rete di franchising attraverso l’acquisizione di franchisee? Lo abbiamo chiesto al Segretario Generale di Assofranchising, Italo Bussoli. “Il principio sulla base del quale operare da parte degli aspiranti franchisor è un’idea creativa, il cosiddetto concept, oppure un prodotto ritenuto vincente. Successivamente bisognerà preoccuparsi di lanciare bene il prodotto o il servizio e provvedere quindi alla ricerca degli affiliati.”. Ma come trovarli? Con poche regole ma che funzionano. “Attivare una ricerca diretta su base provinciale e regionaleafferma- utilizzare lo strumento della pubblicità sulle testate di settore e i quotidiani locali e soprattutto presentarsi ai potenziali franchisee proponendo un format del punto vendita che deve essere un mix tra semplicità e costi contenuti”. L’ultimo, saggio consiglio da parte del Segretario Generale è quello di utilizzare la valenza dell’associazione di categoria, ma non solo dal punto di vista della tutela che può offrire agli associati. “Come Assofranchising – continua Bussoli – organizziamo alcune importanti attività per i nostri affiliati, oltre alle conferenze a livello nazionale, vero e proprio punto di richiamo per tutto il mondo del franchising, ed eventi fieristici e pubblicità mirate”. www.assofranchising.it trasferimento di competenze e sull’assistenza da parte del franchisor. Come diventare franchisor Una rete di franchising assicura dei vantaggi, ma comporta investimenti e scelte che incidono sulla realtà aziendale. La decisione, quindi, deve essere preceduta da un’attenta analisi, ed, una volta compiuta richiede una serie di adempimenti a cui non ci si può sottrarre, pena il fallimento del progetto. In primo luogo la creazione di una rete comporta la perdita di una parte della propria autonomia commerciale. L’imprenditore deve quindi chiedersi se è disposto a questa rinuncia a fronte di benefici futuri che vanno valutati in un orizzonte temporale di medio- lungo termine. Diventare franchisor richiede inoltre investimenti che possono essere anche
consistenti: vanno calcolati con precisione per non rischiare di ritrovarsi in difficoltà a metà strada. La struttura stessa dell’azienda e il suo personale possono non essere adatti a creare e gestire una rete e quindi potrebbero essere necessari cambiamenti e investimenti strutturali, e non solo semplici modifiche in corso d’opera. Il secondo passo è quello della sperimentazione sul campo, attraverso la creazione di alcuni punti campione sul territorio. La legge a questo riguardo non stabilisce un periodo minimo, ma si ritiene che siano necessari almeno due anni per valutare il successo e la possibilità di replicare una formula. Il successivo rapporto con gli affiliati, ruota intorno a due documenti fondamentali: il contratto e il manuale operativo. La stesura di questi testi deve essere fatta in modo accurato, poiché da essi
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deriva buona parte della felice convivenza futura. Sia nella fase iniziale sia durante tutto il periodo contrattuale, comunque, vanno previsti momenti di formazione e controllo dei franchisee, che comportano l’impiego di risorse umane e finanziarie. Come diventare franchisee Sia che valuti l’opportunità di affiliarsi a un’insegna già nota e con una forte posizione sul mercato o ad una realtà nuova in via di sviluppo, il potenziale affiliato deve condurre un’attenta e ragionata analisi dei vantaggi e dei rischi da affrontare, consapevole che con la firma del contratto, oltre ad assumersi precisi obblighi, entrerà a far parte di un gruppo con caratteristiche ben definite. Nello scegliere a quale insegna affiliarsi deve valutare, per esempio, se il prodotto o il servizio ha caratteristiche distintive forti e se emerge all’interno del suo mercato di riferimento. L’affiliato deve, inoltre, chiedersi se il prodotto o il servizio è legato a mode passeggere o se può essere oggetto di acquisti ripetitivi. Più in generale deve valutare i trend del settore in cui opererà: sono in crescita o in contrazione? Nel rapporto con l’affiliante occorre verificare se la sperimentazione dei punti vendita è stata condotta con successo e se il modello offerto è replicabile su tutto il territorio con le stesse probabilità di riuscita. Occorre analizzare attentamente il contratto prima di firmarlo, anche con l’aiuto di un avvocato specializzato in questo settore, al fine di comprendere bene tutti gli impegni previsti: la dimensione dell’investimento iniziale richiesto (nella maggior parte dei casi non si va oltre i 60mila euro), le royalties e
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gli altri costi fissi, i profitti previsti, ma anche se è garantita un’area di esclusiva, le modalità di fornitura dei prodotti e dei servizi, i programmi di formazione e di assistenza e così via. Oltre alle informazioni fornite dal franchisor, è opportuno fare valutazioni autonome. Può essere, per esempio, utile parlare con altri affiliati per individuare eventuali punti critici. Così come è opportuno fare valutazioni di mercato focalizzate all’area in cui si intende operare. Infine è indispensabile
redigere un conto economico di previsione per avere una corretta dimensione dell’investimento che si deve affrontare, dei tempi in cui prevedibilmente si potrà ammortizzarlo, dei guadagni che si potranno realizzare A cura di Enrico Abaterusso esperto dei temi della distribuzione e delle reti di vendita. Strategic Management Partners è una società di consulenza di direzione e organizzazione www.strategicmp.it
La nuova normativa che disciplina l’affiliazione commerciale La legge 6 maggio 2004, n. 129, norme per la disciplina dell’affiliazione commerciale, ridefinisce il franchising come il contratto fra due soggetti giuridici, economicamente e giuridicamente indipendenti, in base al quale una parte (franchisor o affiliante) concede la disponibilità all’altra (franchisee o affiliato), a fronte di un corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti di autore, know-how, brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commerciale, inserendo l’affiliato in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di commercializzare determinati beni o servizi. Lo scopo della legge è stato essenzialmente quello di adeguare la normativa nazionale a quella degli altri paesi UE, tipizzando il contratto rispetto all’atipicità precedente. I punti principali della legge: • art. 3: per la costituzione di una rete di affiliazione commerciale l’affiliante deve aver sperimentato sul mercato la propria formula commerciale, per evitare raggiri ai danni dell’affiliato; inoltre, qualora il contratto sia a tempo determinato, l’affiliante dovrà comunque garantire all’affiliato una durata minima sufficiente all’ammortamento dell’investimento e comunque non inferiore a tre anni; • art. 4: vengono previsti precisi obblighi per l’affiliante tra cui la consegna di una copia completa del contratto all’aspirante affiliato almeno trenta giorni prima della sottoscrizione del contratto di affiliazione commerciale; • art. 7: le parti possono convenire che, prima di adire l’autorità giudiziaria o ricorrere all’arbitrato, dovrà essere fatto un tentativo di conciliazione presso la camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura nel cui territorio ha sede l’affiliato; • art. 8: in caso di false informazioni di una parte, l’altra parte può chiedere l’annullamento del contratto ai sensi dell’articolo 1439 del codice civile nonché il risarcimento del danno, se dovuto.
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Software per grandi e piccoli In oltre vent’anni d’attività, Esa Software si è radicata nel tessuto imprenditoriale italiano, offrendo soluzioni informatiche per imprese di tutte le dimensioni. Per raggiungere questo vasto target è necessario attuare una strategia di comunicazione integrata e su più canali. L’azienda realizza campagne anche su singoli prodotti, seguendo la stagionalità della domanda. Crescono gli investimenti online L’inserzione nei volumi di Seat PagineGialle carta
Gli strumenti della comunicazione • PagineGialle carta: presenza a livello nazionale con inserzione standard con l’indicazione del partner locale • PagineGialle.it: alle voci informatica, consulenza e software • Radio: campagne istituzionali su circuiti nazionali e locali, in funzione della stagionalità dei prodotti • Stampa: campagne pubblicitarie in periodici e riviste specializzate • Internet: ottimizzazione nei motori di ricerca, banner su Google e campagne su notiziari online delle principali testate quotidiane.
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Vendere un prodotto immateriale non è mai semplice. Nel campo dell’informatica, poi, le difficoltà aumentano, perché spesso non si propone soltanto un software, ma un sistema di gestione basato su relazioni e flussi di dati. E non sempre è facile spiegare al cliente che cosa sta acquistando. Questa complessità, forse, è anche alla base del ritardo delle im-
prese italiane negli investimenti in Information Technology. Ma ci sono imprese che hanno affrontato questo problema e sono riuscite a risolverlo, affermandosi non solo in ambito nazionale, ma anche sui mercati esteri. Tra queste, una delle più conosciute è sicuramente Esa Software, un’azienda che ha accompagnato l’intera storia dell’informatizzazione italiana. È nata a Rimini nel 1982, quando il computer stava uscendo dai santuari delle divisioni EDP delle grandi aziende per cominciare ad entrare, prima in formato mini poi in quello personal nel mondo produttivo delle piccole e medie imprese. Ed è proprio in questo settore che Esa Software è cresciuta, offrendo soluzioni adatte alle diverse realtà ed esigenze della propria clientela. Oggi, l’azienda romagnola vanta una fitta rete di partner in Italia e una solida presenza in alcuni importanti mercati esteri. “La nostra impresa ha due anime”, spiega Lorena Rigamonti, responsabile del marketing operativo di Esa Software. “La prima si rivolge, attraverso la nostra rete di oltre trecento partner, alle piccole e medie imprese distribuite sull’intero territorio nazionale. La seconda ha invece un approccio più diretto al mercato, perché è rivolta alle grandi imprese ed ha un respiro internazionale. Opera, infatti, in ventidue Paesi del mondo ed è contraddistinta dal marchio Sorma”. Accanto all’offerta di prodotti informatici adatti alle varie realtà aziendali, Esa Software offre un’ampia gamma di servizi di supporto, che spazia dal call center alla formazione di Esauniversity. Il target è quindi molto ampio e comprende migliaia di clienti.
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Presenza capillare in Italia e all’estero In un settore caratterizzato da una grande frammentazione di imprese, Esa Software rappresenta una delle rare realtà italiane con una dimensione nazionale e una presenza all’estero. In Italia, l’azienda è strutturata su sedi a Torino, Milano, Padova, Bologna, Roma, Rimini e Firenze ed alcuni uffici diretti, destinati principalmente alle medie e grandi aziende. Il rapporto con le piccole imprese e con i professionisti avviene invece attraverso una rete di trecento partner specializzati. Tra questi, la società di Rimini ha selezionato alcune realtà certificate Iso9002, che hanno lo status di Partner Qualificato e compongono il network Mondoesa. All’estero, Esa Software ha una presenza consolidata in Francia, con a capo la filiale di Lione, e in Sud America, con base nella città brasiliana di Campinas. Fuori dai confini nazionali, la società serve ben ventidue Paesi. Per i medio-grandi clienti Esa Software ha approntato una specifica strategia commerciale denominata one-stop shop. Con questo sistema, Esa Software offre competenze e tecnologie per gestire i processi aziendali, che sono sviluppati presso il cliente da un’unica figura che individua le soluzioni personalizzate più adatte al cliente. Dietro a questo semplice concetto c’è un notevole lavoro di ricerca e di organizzazione: è necessario, infatti, essere in grado di gestire l’intera filiera di una realtà produttiva, a volte molto complessa. Con il modello one-stop shop, Esa Software segue l’intera fase produttiva dei suoi clienti: dall’ideazione dei prodotti fino alla logistica distributiva. Questo spirito d’innovazione è uno dei fattori del successo dell’azienda riminese, e si traduce anche nell’offerta di una vasta gamma di soluzioni a disposizione dei clienti. Esa Software segue diversi comparti industriali: dall’industria aeronautica e aerospaziale, alla componentistica auto, al biomedicale, il settore cartario, la meccanica utensile, sino all’ elettronica. Al mondo delle piccole imprese e dei professionisti, la società offre soluzioni innovative e servizi per la gestione e l’amministrazione delle aziende.
Esa Software SpA Via Draghi 39 47900 Rimini tel. 0541 368 111 fax 0541 368 268 Numero Verde 848-885566 E-mail: info@esasoftware.it www.esasoftware.it
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E la comunicazione è una delle principali priorità dell’impresa riminese. L’attività di comunicazione è seguita da un reparto interno, che ha il compito di stabilire le linee guida delle campagne, coordinarne l’organizzazione e seguire gli eventi tematici programmati sul territorio. Per la parte più prettamente operativa, la società di avvale di collaboratori esterni. “La nostra strategia si basa essenzialmente sulla promozione dei marchi che contraddistinguono le nostre soluzioni dedicate alle piccole e medie imprese, che rappresentano la clientela più frammentata nel territorio. La scelta del prodotto da promuovere dipende da molti fattori tra i quali l’essere una novità e la stagionalità. Ad esempio, abbiamo recentemente lanciato il software e/dueReady attraverso un evento di livello nazionale, al quale hanno partecipato anche i nostri partner, e che è stato indirizzato ad oltre cinquantamila clienti. Il prodotto è stato poi rilanciato lo scorso aprile con una campagna pub-
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blicitaria realizzata su diversi media, campagna che sarà riproposta anche ad ottobre”. La scelta del periodo in cui lanciare le campagne pubblicitarie è un fattore cruciale, perché anche nel software esiste una stagionalità. “Generalmente, negli ultimi mesi dell’anno le imprese decidono di aggiornare il loro sistema informatico, piuttosto che di razionalizzare i flussi dei dati o altre azioni di questo tipo. Le nostre campagne sui prodotti adatti a questi compiti si focalizzano, quindi, dalla fine di settembre a metà novembre, con una ripresa ad aprile e a marzo. Altre categorie, come i commercialisti, investono nei periodi legati alle scadenze fiscali, e quindi realizziamo campagne specifiche per loro”, precisa Lorena Rigamonti. Quando ci si rivolge ad un pubblico così vasto di imprese e professionisti, è fondamentale decidere i media da usare e il peso da assegnare a ciascuno di essi. Esa Software utilizza diversi strumenti, applicando anche in questo campo la capacità di sperimentare e di innovare che caratterizza la sua storia. “Siamo stati i primi produttori di software ad utilizzare la televisione, ma usiamo anche media più tradizionali, come la radio e i giornali. Quando prepariamo una campagna, ricerchiamo innanzitutto il modo migliore per ottimizzarne le risorse in funzione dei risultati che ci attendiamo. Su questa base scegliamo
i media e i contenuti più adatti a ciascuna linea di prodotto senza per questo perdere di vista l’opportunità di creare sinergie tra i diversi canali di comunicazione”, afferma Lorena Rigamonti. Operando nel settore dell’Information Technology, non può ovviamente mancare tra i media utilizzati per la comunicazione, anche internet. Oltre al sito istituzionale, Esa Software utilizza internet per campagne promozionali attraverso due modalità: la presenza sui principali motori di ricerca e banner su versioni online di testate nazionali. “Anche in questo caso, è importante scegliere il momento giusto. Per esempio, abbiamo lanciato una campagna pubblicitaria su alcuni portali informativi la settimana successiva alle elezioni nazionali, quando gli accessi erano in aumento, e abbiamo riscontrato un significativo incremento della visibilità e dei contatti”. Esa Software utilizza in modo sistematico e a livello nazionale anche PagineGialle carta e online. “Siamo presenti in tutte le province con un unico annuncio, che personalizziamo con i recapiti dei nostri partner locali”, conclude Lorena Rigamonti
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Servizio per dodici Gruppo Car è concessionaria di dodici marche automobilistiche nella provincia di Brescia e ha inaugurato un grande salone dove i clienti possono trovare i modelli di tutte le case automobilistiche rappresentate. Un concetto innovativo per il mercato italiano che ha richiesto una specifica campagna di comunicazione. Il Gruppo ha anche altre concessionarie a Bergamo, Cremona, Mantova e Verona
L’inserzione nei volumi di Seat PagineGialle carta
Gli strumenti della comunicazione • PagineGialle e Pagine Bianche inserzioni: nei volumi delle province nelle quali il Gruppo Car è presente, con opzione Chiamagratis • PagineGialle.it: alla voce automobili-commercio • Pronto PagineGialle: per la ricerca dei punti di vendita e di assistenza • Stampa: campagne su quotidiani e periodici locali per eventi e promozioni • Eventi: presentazioni di nuovi modelli nelle concessionarie • Mailing: Inviti per eventi
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Da qualche anno, in Italia è in atto un processo di concentrazione delle concessionarie di autoveicoli: le più piccole tendono a scomparire, mentre si sviluppano quelle di maggiori dimensioni, che riescono a produrre grandi volumi di vendita ed a contenere i costi grazie anche ad economie di scala. È un processo poco visibile al pubblico, perché le case auto-
mobilistiche hanno finora imposto alle società titolari di più concessionarie di mantenere un’insegna diversa per ogni marca. Ora, però, il panorama sta cambiando grazie alla cosiddetta Legge Monti, che ha introdotto una decisa liberalizzazione nei rapporti tra costruttori automobilistici e reti di vendita. Tra le varie innovazioni di questa nuova normativa europea, vi è anche la possibilità di presentare più marchi sotto un’unica insegna. Non stiamo parlando dei venditori indipendenti multimarchio, ma di vere e proprie concessionarie ufficiali. Distinzione importante, perché buona parte della clientela italiana ha maggiore fiducia in queste ultime. E un esempio di come sarà organizzato il salone di vendita del futuro si trova a Brescia, presso la nuovissima sede del Gruppo Car. La società opera nel settore automobilistico da molti anni e oggi rappresenta dodici marchi. “Fino allo scorso anno, avevamo diverse concessionarie sparse nella provincia di Brescia, ma da gennaio abbiamo concentrato i diversi saloni in un unico spazio di seimila metri quadrati a Brescia”, spiega Chiara Tonghini, responsabile commerciale della società. L’impostazione di questa struttura, in stile high-tech, è inedita per il mercato italiano e rappresenta, da sola, il principale fattore di marketing del Gruppo Car. L’interno è un unico open space, edificato su due livelli che ospita dodici piattaforme, in ognuna delle quali è presente un marchio automobilistico e segue lo stile e l’arredamento previsto dal costruttore. All’ingresso una reception indirizza il visitatore verso lo stand della marca a cui è interessato. Il visitatore può anche girare tra le va-
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Una rete articolata Oltre a Brescia, il Gruppo Car è presente a Bergamo, Cremona, Mantova e Verona. A Cremona, la società opera con tre marchi, che sono attualmente divisi in diverse strutture. Ma la presenza a Cremona evolverà secondo il modello bresciano e il Gruppo Car ha già acquisito il terreno per realizzare una nuova unica struttura multimarca, che sarà completata entro i prossimi due anni. Anche a Bergamo è in corso un processo di aggregazione di diverse concessionarie del Gruppo in un unico salone, dove, però gli spazi dedicati a ciascuna marca resteranno separati. Ciò è quanto accade già a Mantova, dove la società ha realizzato una sorta di cittadella dell’auto: un insieme di edifici comunicanti, in ognuno dei quali avviene la vendita dei modelli di ciascuna casa automobilistica. Per ora, il Gruppo Car rappresenta quattro marchi, ma intende ampliare la struttura per acquisirne di nuovi. A Verona, la società rappresenta due costruttori automobilistici in altrettante sedi contigue. In tutta la rete, il Gruppo Car vende circa diecimila autovetture nuove l’anno, con un fatturato complessivo di duecento milioni di €. Le decisioni di marketing e di comunicazione sono prese centralmente e si sviluppano sui media locali di ogni città nella quale il Gruppo Car è presente. Alcune case automobilistiche definiscono le procedure e i contenuti della comunicazione relativa al proprio marchio. Del resto l’investimento pubblicitario è quasi completamente a carico del costruttore. “Oggi, il principale obiettivo della nostra comunicazione è farci conoscere ovunque come Gruppo Car, perciò abbiamo impostato per le nostre sedi una campagna basata sul nostro marchio”, spiega Chiara Tonghini. La società utilizza eventi, sponsorizzazioni e mailing. Il Gruppo Car è presente anche in Pronto PagineGialle, nei volumi di PagineGialle carta e Pagine Bianche nelle provincie in cui opera e in PagineGialle.it “Stiamo rilevando un aumento delle persone che ci ricerca. Solo Pronto PagineGialle ci ha fornito ben 1200 segnalazioni”, precisa Chiara Tonghini. Gruppo Car è presente in internet, oltre che nelle directories Seat, anche nei siti delle case automobilistiche che rappresenta, nelle sezioni dedicate agli elenchi dei relativi concessionari.
Gruppo Car Via Mandolossa, 71 25030 Roncadelle (Brescia) tel: 030 3156011 e mail: gruppocar@gruppocar.it www.gruppocar.it
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rie piattaforme, confrontando modelli e prezzi. In ciascuno spazio sono esposti veicoli e presenti venditori specializzati. “Possiamo immaginarlo come un Salone dell’auto in miniatura, che offre ai clienti numerosi vantaggi in più rispetto alle precedenti strutture monomarca. Il principale è quello di disporre di un’ampia scelta all’interno di un unico ambiente. Per questo motivo, ogni venditore segue una specifica marca. Chi entra nella nostra struttura, trova una vasta scelta non solo di marchi, ma anche di tipologie di vetture, dalla citycar alla berlina di lusso. Una soluzione ideale per chi non ha ancora scelto con certezza il modello da acquistare. Il secondo vantaggio è l’omogeneità delle proce-
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dure e dei servizi. Ad esempio, abbiamo un unico centro dell’usato, che effettua le valutazioni dei veicoli offerti in permuta con criteri indipendenti dal modello della vettura nuova che si acquista. Infine, nella nostra struttura il cliente trova un ristoro e un’area per far giocare i bambini”. Per il Gruppo Car l’essere sotto un unico tetto comporta anche notevoli vantaggi: non solo la riduzione dei costi generali ma anche una gestione più razionale. “Siamo convinti che questo sia il futuro della vendita delle automobili. Siamo i primi a proporre questa soluzione sul mercato italiano”, precisa Chiara Tonghini. Il nuovo centro ospita solo il salone di vendita del nuovo, mentre l’usato è esposto in un piazzale contiguo. Le strutture dell’officina, invece, sono raggruppate in una zona diversa della città: “Prima di realizzare questo impianto, abbiamo commissionato una ricerca di mercato da cui è emerso
che il cliente non era interessato a trovare salone di vendita e officina nello stesso spazio. Così abbiamo scelto di portare l’assistenza in una zona più centrale”. La nuova sede bresciana del Gruppo Car è stata inaugurata lo scorso gennaio con un’intensa campagna di comunicazione. “Prima ancora di spiegare dove siamo, abbiamo dovuto dire che cosa siamo, ossia spiegare che siamo effettivamente concessionari di ogni marca e non un generico commerciante. Inoltre, abbiamo dovuto informare i nostri clienti, che già ci conoscevano sotto le nostre diverse insegne commerciali, che ora abbiamo un unica denominazione, quella di Gruppo Car. Per farlo, abbiamo ideato un messaggio visivo che raffigurava un servizio di tazzine per caffè in metallo, ognuna delle quali riportava uno dei marchi che rappresentiamo, accompagnato dallo slogan ’un servizio completo’. Per diffondere questo messaggio, abbiamo utilizzato diversi media locali: periodici, quotidiani, e le tre principali emittenti radiofoniche bresciane. Abbiamo inoltre inviato un mailing a tutti i nostri clienti, invitandoli a visitare la nuova sede”. L’operazione ha ottenuto un ottimo successo: “Ci ha sorpreso il grande afflusso di persone già dalle prime due uscite sui quotidiani. I primi giorni molti erano solo curiosi, poi l’afflusso dei visitatori si è stabilizzato ed oggi gran parte di coloro che viene a trovarci è interessato ad acquistare”. E l’idea sembra funzionare, perché al nuovo salone del Gruppo Car giungono ora molti più clienti della somma di quanti ne giungevano prima nelle singole strutture
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L’inserzione in PagineGialle Lavoro di Salerno e di Avellino
Stampa di carattere La De Luca Industria Grafica e Cartaria è una delle imprese salernitane più attive ed è specializzata nell’arte tipografica e nella trasformazione della carta. Unisce una solida tradizione famigliare alla costante ricerca di nuovi prodotti e mercati. La sua comunicazione si basa su media indirizzati al mercato B2B
Gli strumenti della comunicazione • PagineGialle su carta: inserzioni nel territorio nazionale nelle categorie relative a carta e cartone, cartotecnica, sacchi carta, carta stampata • PagineGialle.it: presenza alla voce carta e cartone • Stampa: inserzioni su pubblicazioni periodiche del settore carta • Gadget: oggettistica con il marchio aziendale • Mailing: campagne postali periodiche e invio di cataloghi e campionari • Internet: sito istituzionale con informazioni sull’azienda e sulla sua produzione
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Un’azienda fondata da un uomo che all’età di undici anni s’imbarca da solo per trovare fortuna in America non può che essere un’azienda di successo, perché è stata fondata da una forte personalità. Oggi questa impresa pare impossibile, ma nell’Italia di inizio Novecento poteva accadere. Nell’ottobre del 1901, l’undicenne amalfitano Andrea De Luca attraversò l’oceano, e, dopo aver sperimentato diversi lavori, fu assunto da una tipografia di New Haven, nel Connecticut. Da quel
momento, la sua vita cambiò. Nel 1924 tornò ad Amalfi con il mestiere che aveva appreso negli Stati Uniti e i risparmi accumulati in ventitré anni di lavoro. Acquistò una vecchia tipografia e vi fuse le innovative tecniche americane con la tradizione artigianale della produzione cartaria di Amalfi. Si narra, infatti, che proprio in questo porto della costiera siano sbarcati i primi carichi di carta di cellulosa provenienti dalla Cina e che ben presto gli abitanti abbiano imparato a fabbricarla. Le capacità di Andrea De Luca furono presto riconosciute in tutta la costiera amalfitana e l’imprenditore ampliò l’offerta dei prodotti, che spaziava dalle pubblicazioni di pregio alla modulistica, dalla carta da confezione alle riviste. “Oltre alla sua esperienza, egli ci ha trasmesso la volontà e la capacità di esaudire tutte le necessità dei nostri clienti”, afferma Andrea De Luca, l’omonimo nipote del fondatore, che, insieme al padre Giuseppe e al fratello Raffaele dirige oggi l’impresa. Nel secondo dopoguerra, l’azienda seppe adeguarsi alla nuova realtà economica italiana e nel 1960 si trasferì a Salerno, in una nuova area in grado di permetterle di svilupparsi ulteriormente. Lo sviluppo non fu solo quantitativo, ma anche qualitativo. L’impresa cominciò a produrre carta per imballaggio destinata agli alimenti, che per ragioni igieniche e normative stava sostituendo il vecchio foglio di giornale. La svolta fu decisiva, perché oggi la De Luca Industria Grafica e Cartaria, questa è la ragione sociale dal 1980 dell’antica azienda famigliare, ha assunto una posizione leader in Italia in questo settore e si
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Comunicazione specializzata La De Luca Industria Grafica e Cartaria impiega sessanta persone e ogni anno produce oltre diecimila tonnellate di carta, con un fatturato di circa tredici milioni di €. Ha una vasta produzione di carta, che copre numerosi settori di consumo: carta da involgere, per alimenti e per l’industria. Il catalogo dell’azienda presenta anche aspetti enigmatici per i non addetti, con prodotti come la carta calandrata pergamin, oppure la carta a pelleaglio. La produzione della De Luca spazia da supporti molto specialistici, come la carta politenata o accoppiata con polietilene, ai prodotti della grande tradizione artigianale italiana, come la carta a mano di Amalfi o la pergamena vegetale per l’industria casearia. La capacità di realizzare una produzione così vasta ed articolata è molto rara nel panorama industriale europeo e rappresenta uno dei fattori competitivi più importanti della De Luca. Il suo mercato è ben distribuito lungo il territorio nazionale (40% nel Centro-Sud e 40% nel Nord) ed il 20% della produzione è esportata nei paesi dell’Unione Europea. La clientela dell’azienda è costituita da imprese industriali e commerciali. La sua comunicazione, quindi, utilizza i classici canali del B2B: le riviste specializzate del settore cartario, gli annuari e la partecipazione alle principali fiere del settore. La De Luca fa uso anche di gadget e di invii postali di presentazioni, cataloghi o di campioni. La presenza sui volumi delle PagineGialle è capillare, sia nella distribuzione geografica, sia nel numero delle categorie. L’azienda ha anche un sito internet, dove presenta la sua storia, la sua organizzazione e il catalogo dei prodotti
De Luca Industria Grafica e Cartaria srl Viale Andrea De Luca, 35 84100 Salerno tel: 089 301333 fax: 089 301784 e mail: info@delucacartaria.it www.delucacartaria.it
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sta espandendo anche nei mercati europei. “La nostra attività consiste nel trasformare carta e cartone, donandole caratteristiche specifiche. Nel caso di quella alimentare, la rendiamo compatibile a diversi prodotti, offrendo nello stesso tempo la possibilità di effettuare la stampa della facciata esterna”, precisa Andrea De Luca. Questa specializzazione comporta un continuo processo di innovazione perché deve seguire le tendenze del mercato e dei circuiti distributivi. “La crescita della Grande Distribuzione Organizzata, a scapito dei negozi, provoca la diminuzione della domanda di carta per imballaggio, perché i supermercati utilizzano altri tipi d’imballaggi. La nostra carta, infatti, è tipicamente usata dai negozi, come macellerie, salumerie, fruttivendoli o panetterie. Per far fronte a questa situazione, stiamo aumentando la penetrazione in nuovi mercati, soprattutto quelli esteri. In questo modo, riusciamo a mantenere i volumi, anche se ovviamente aumenta la concorrenza”, afferma Andrea De Luca. L’azienda deve, infatti, affrontare due tipi di competizione: in Italia, quella del-
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le piccole aziende cartotecniche che operano in ambito regionale, mentre all’estero quella dei grandi produttori. I più importanti e temibili sono quelli del Nord Europa, che coprono l’intera filiera, dalla produzione di cellulosa al prodotto finito. Per affrontare questa doppia competizione la De Luca punta sulla ricerca e l’innovazione dei prodotti, come la carta politenata. “Essa rappresenta ormai la metà del nostro fatturato. Sul supporto cartaceo si spalma una sottile pellicola di polietilene, che la rende robusta e flessibile ed adatta per molte tipologie d’imballaggio alimentare”, spiega l’imprenditore campano. Il settore tipografico costitui-
sce ancora una parte importante della attività aziendale: la stampa offset di materiale proprio e di carta da imballaggio ad alta definizione garantisce, infatti, un elevato valore aggiunto. La società campana pubblica anche proprie edizioni d’arte. Tutta la produzione avviene in un vasto edificio di sedicimila metri quadrati, situato nella zona industriale di Salerno. “Siamo particolarmente orgogliosi del fatto che l’Amministrazione Comunale abbia deciso, qualche anno fa, di intitolare la strada che porta allo stabilimento a mio nonno Andrea De Luca. È un sentito omaggio alle sue qualità imprenditoriali, che tanto hanno contribuito alla crescita economica della nostra zona. E tutti noi siamo impegnati a portare avanti l’attività da lui iniziata con la sua stessa passione”, conclude Andrea De Luca
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Comunicazione in stile britannico British Institutes utilizza una comunicazione rigorosa caratterizzata da un elevato contenuto informativo. Forma e contenuti sono decisi centralmente per tutte le duecento sedi italiane. La comunicazione si sviluppa su tre principali canali: mezzi Seat, affissioni ed internet L’inserzione nel volume di Seat PagineGialle carta
Gli strumenti della comunicazione • PagineGialle carta: presenza a livello nazionale con personalizzazione sui recapiti delle sedi locali • PagineGialle.it: presenza nelle categorie merciologiche scuole di lingue, scuole d’informatica, traduttori ed interpreti • Affissioni: presenza sull’intero territorio nazionale attraverso contratti con enti locali • Internet: portale istituzionale e siti delle sedi locali
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British Institutes è più di una scuola di lingue: è un ente culturale per la conoscenza e diffusione dell’inglese. Dal punto di vista legale, è un’istituzione senza fini di lucro, che affida lo svolgimento dei corsi ad una rete di duecento operatori indipendenti distribuiti su tutto il territorio nazionale. Indipendenti, ma con rigidi vincoli nel campo della comunicazione. “Essere classificato come ente
culturale porta indubbiamente prestigio, ma impone anche delle regole, che dobbiamo rispettare e far rispettare dai nostri collaboratori”, afferma Sara Ruggeri, della direzione commerciale di British Institutes. Per questo motivo, tutte le attività connesse alla comunicazione e alla promozione sono gestite direttamente dalla Direzione Generale. “La comunicazione ruota intorno al nostro logo, che ormai è diventato famigliare a moltissime persone. Si tratta del numero uno con i colori della bandiera britannica. Il logo deve essere riprodotto secondo specifiche ben precise. Lo impongono, tra l’altro, i Ministeri del Lavoro e dell’Istruzione, Università e Ricerca, che ci riconoscono come ente autorizzato a rilasciare crediti formativi validi per le istituzioni scolastiche”. Pur con questi vincoli, British Institutes svolge un’attività capillare di comunicazione, che si rivolge sia ai privati, che rappresentano circa il sessanta percento dei partecipanti ai corsi, sia al mondo delle imprese e delle professioni. I due canali attraverso i quali si sviluppa la comunicazione dell’Istituto sono le PagineGialle carta e le affissioni. In entrambi i casi, British Institutes attua una politica centralizzata, proprio per garantire il rispetto delle regole. “Con Seat abbiamo recentemente concluso un accordo per la nostra presenza a livello nazionale su PagineGialle carta e online e per il servizio telefonico 89.24.24 Pronto PagineGialle. Insieme a Seat abbiamo definito quattro differenti tipi di inserzioni, che saranno usate in tutta Italia dalle sedi locali di British Institutes”. Un discorso analogo è stato impostato per le affissioni. In questo caso, il rico-
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I quattro fattori del successo British Institutes è un ente culturale senza fine di lucro che si occupa della diffusione della lingua inglese a diversi livelli. L’offerta di corsi è molto vasta: dai bambini agli studenti universitari, dalle imprese agli insegnanti che vogliono aggiornarsi. Ogni tipologia di corso prevede un esame finale che, se superato, dà diritto al rilascio di un Certificato di Studio Europeo. La professionalità dell’ente è riconosciuta anche dalle Istituzioni: British Institutes è accreditato presso il Ministero del Lavoro ed è riconosciuto ente formatore e certificatore dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca. Inoltre, è l’unico ente certificatore, con sedi d’esame proprie nelle principali città italiane, in grado di rilasciare una certificazione ISO di qualità linguistica. Quattro sono i fattori chiave del successo di British Institutes: la diffusione capillare in tutta Italia, la metodologia didattica, l’innovazione tecnologica e la qualità dei suoi docenti. La presenza sul territorio italiano è assicurata da duecento sedi, che offrono il medesimo standard qualitativo e la medesima metodologia didattica: La metodologia, l’English Communicative Method, è stata sviluppata dallo stesso British Institutes e nasce dalla sintesi tra l’esperienza acquisita nel tempo e la costante attività di ricerca. È un metodo che prevede un approccio diretto alla lingua inglese attraverso la conversazione, cui fa seguito l’apprendimento dell’analisi grammaticale e sintattica della lingua. British Institutes si distingue anche per le innovazioni tecnologiche che applica ai suoi corsi. Con un editore specializzato in e-learning ha creato un percorso blended, che prevede l’integrazione tra lezioni in aula e strumenti multimediali, che possono essere utilizzati anche attraverso internet. Ma tutto ciò risulterebbe poco produttivo senza un corpo docente qualificato. British Institutes seleziona soltanto docenti madrelingua e bilingue, che prima di affrontare l’aula devono seguire uno specifico percorso formativo. L’Istituto ha anche diversificato la sua attività, offrendo servizi di traduzione e interpretariato che sono erogati attraverso la società partner Interlinguae.
British Istitute Group Direzione generale: Via Carducci, 5 20123 Milano Tel. 02 72094595 Fax 02 70059948 direzionegenerale@britishistitutes.it www.britishinstitutes.it
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noscimento di ente culturale offre benefici fiscali, ma prevede la stipula di convenzioni con gli enti locali. Con loro, British Institutes sigla contratti a lungo termine, che stabiliscono modalità e date di uscita. “Non utilizziamo altre forme di pubblicità a pagamento perché non sarebbero compatibili con il nostro status di ente culturale”, precisa Sara Ruggeri. British Institutes è presente in modo significativo anche in internet attraverso il portale istituzionale, al quale sono connessi i siti delle sedi locali. Anche in questo caso, tutte le decisioni sono prese centralmente. “L’impostazione e la grafica sono uguali per tutti i siti. Ogni sito locale può inserire proprie specifiche informazioni relative al calendario, alle attività e agli insegnanti, ma in tutti i casi i contenuti devono essere approvati dalla direzione centrale”, afferma Sara Ruggeri. Anche in internet il logo è l’elemento unificante delle varie sezioni del portale. British In-
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stitutes dedica molto spazio all’informazione testuale, attraverso la quale sono illustrati e spiegati in modo molto dettagliato fini e programmi dell’Istituto. I singoli corsi sono descritti con cura e il sito dispone anche di una sezione interattiva che consente ai visitatori di effettuare un test online per verificare il proprio grado di conoscenza della lingua. Attraverso il sito istituzionale si accede con facilità ai siti delle sedi locali, ognuno dei quali descrive le proprie attività. Pur rimanendo prevalente la clientela privata, con il tempo, è cresciuta anche quella professionale. Con le imprese più grandi, British Institutes sigla accordi aziendali validi in tutta Italia. “In questo caso, il punto di forza che ci distingue dalle altre scuole di lingue è la presenza capillare sul territorio italiano. È un elemento importante per un’azienda che vuole formare, in modo omogeneo, i suoi dipendenti spesso situati in diverse sedi”. British Institutes non prevede modalità di
comunicazione diverse per privati e imprese, anche perché il messaggio verte soprattutto sull’immagine aziendale e sui valori del marchio. La diffusione dei contenuti formativi è curata dalle sedi locali, che gestiscono i corsi. Benché la denominazione dell’Istituto sia in lingua inglese, al gruppo British Institutes fanno capo realtà dedicate all’insegnamento di altre lingue: Il DeutschInstitut per il tedesco, l’Instituto Velázquez per lo spagnolo, l’Istituto Dante Alighieri per l’insegnamento dell’italiano agli stranieri e l’Istituto Gamma per la formazione professionale. Anche questi Istituti utilizzano il medesimo stile di comunicazione di British Institutes, incluso il logo che riporta il numero uno, di cui cambiano i colori in funzione della lingua insegnata
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La vendita a valore
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Vendere non è facile, ma, anche acquistare il prodotto giusto non lo é. Spesso i clienti non hanno la piena consapevolezza dei propri bisogni o la conoscenza di come un prodotto può generare benefici e valore aldilà delle sue caratteristiche tecniche. Alla base della vendita a valore non vi è solo uno scambio commerciale con il cliente ma la ricerca della soluzione ai suoi bisogni
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La vendita a valore Nella competizione commerciale il mercato riconosce un valore anche alla modalità con cui si realizza il processo di vendita, cioè a come e da chi è offerto il prodotto. Vendere è difficile, ma altrettanto difficile è acquistare il prodotto giusto. Spesso il cliente, infatti, non ha la conoscenza di tutto quanto offre il mercato, conosce solo in parte le caratteristiche ed i benefici che possono derivare dall’acquisto del prodotto, e, può sembrare un paradosso, a volte non ha pie-
na coscienza delle sue reali esigenze. Seleziona e acquista quindi un prodotto principalmente in base alle sue caratteristiche tecniche e alla convenienza del prezzo, ignorando l’ulteriore potenziale di valore che ne potrebbe estrarre. La vendita a valore, a differenza della vendita di prodotto, è, quindi, una modalità di vendita che si basa non solo sulle caratteristiche del prodotto e sul suo prezzo, elementi comunque centrali, ma anche e soprattutto su un apporto di carattere consulenziale mirato ad individuare e com-
prendere le esigenze del cliente e proporre soluzioni in grado di soddisfarle. Se nella vendita di prodotto sono fondamentali per il venditore la conoscenza delle caratteristiche dei prodotti della propria azienda e la sua capacità di combinare a tale conoscenza la padronanza delle tecniche di vendita, nella vendita a valore il venditore deve anche saper comprendere la situazione commerciale del cliente, individuarne le esigenze e gli obiettivi, offrire soluzioni che consentano di raggiungerli. In sintesi adottare una formula di vendita a valore significa per l’azienda fondare il proprio successo sul successo dei propri clienti e stabilire con essi un rapporto non solo di scambio ma di duratura partnership. L’adozione di questa modalità non è indolore: è, infatti, necessario che l’azienda e il venditore contribuiscano, ciascuno per propria parte, alla costruzione del nuovo processo di vendita: al venditore sarà richiesto un impegno non comune, quello di ripensare al proprio ruolo e di trasformarsi anche in consulente, e l’azienda dovrà investire nella sua formazione. Dovrà inoltre, per coerenza, rinunciare ad esercitare pressioni sul venditore e su quei clienti che non riscontreranno nelle proposte formulate il relativo valore, e ciò, senza che il venditore sia penalizzato dalla mancata conclusione del contratto. L’azienda, in particolare, per non abbandonare il nuovo approccio dopo i possibili primi insuccessi, dovrà fermamente credere che i suoi investimenti in formazione la condurranno ad acquisire un vantaggio competitivo nei confronti dei suoi concorrenti e dovrà quindi sostenerne gli oneri sino
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al consolidamento del processo. Solo, infatti, quando il processo diverrà prassi corrente sarà possibile attendersi un pieno rientro degli investimenti. La fase preparatoria al primo approccio al cliente Obiettivo della fase preparatoria è, per il venditore, acquisire le informazioni relative: 1 all’attività del cliente (cosa, a chi, come, dove e quando vende) 2 il quadro competitivo nel quale opera 3 i potenziali bisogni del cliente in un’ottica di medio termine 4 i prodotti dell’azienda che più rispondono alle presunte esigenze del cliente sia sotto il profilo tecnico sia dei benefici che il cliente potrà ricavarne. Fondamentale nell’ottica della costruzione di un rapporto di partnership, è l’identificazione dei benefici. Le successive argomentazioni di vendita punteranno prevalentemente su questi, dando quasi per acquisito la bontà delle caratteristiche tecniche del prodotto. Le informazioni relative alla fase preparatoria di vendita saranno attinte da più fonti: si utilizzeranno fonti interne ed esterne, come i cataloghi dei prodotti del cliente, le sue attività di comunicazione, banche dati di varia natura. La fase preparatoria è quindi finalizzata a rafforzare la motivazione del venditore, rassicuralo, prepararlo ad affrontare la fase successiva di approccio del cliente.
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La fase di vendita: dalla analisi delle esigenze del cliente alla proposta di vendita Una volta conclusa la fase preparatoria il venditore affronterà la seconda importante e delicata fase del processo di vendita, dovrà, cioè, guadagnarsi la credibilità del cliente. In questa fase il venditore dovrà convincere il cliente che le ragioni della sua visita non sono solo quelle di spingerlo ad acquista-
re un prodotto di cui ha probabilmente bisogno, ma che la sua proposta di vendita sarà formulata solo per risolvere le sue esigenze e che se durante la trattativa non emergeranno esigenze che potranno essere risolte con i prodotti disponibili, non sarà for-
mulata alcuna proposta. In sintesi il venditore si presenterà come un consulente a disposizione del cliente. Se sarà accettato come tale, potrà dar seguito alla fase successiva: la ricerca delle informazioni utili per definire i bisogni del
La fase preparatoria
INFORMAZIONI DA RACCOGLIERE COSA vende A CHI vende COME vende DOVE vende QUANDO vende
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LE INIZIATIVE IN ESSERE - con la propria azienda - con altri Partner SITUAZIONE COMPETITIVA
PRESUNTE ESIGENZE DEL CLIENTE
La formazione del personale come vantaggio competitivo per l’impresa Colloquio con Alfredo Montanari, Direttore delle Risorse Umane di SEAT Pagine Gialle e Professore a contratto di Organizzazione Aziendale presso la Facoltà di Economia dell’ Università di Bologna Negli ultimi anni si parla con particolare insistenza di formazione, secondo lei perchè? La ragione è di tipo pragmatico, non filosofico o perbenista come potrebbe superficialmente sembrare. Fino a non molti anni fa, organizzare il lavoro di un’impresa consisteva nell’individuare chi faceva cosa, e, quando mancavano le competenze necessarie, insegnare alle persone cosa fare. Spesso la formazione in azienda era un contentino alle persone, utile non tanto a fare meglio il proprio lavoro quanto a distrarsi dalla ripetitività del lavoro quotidiano. Attualmente una corretta capacità di far acquisire le giuste competenze e diffonderle in maniera efficace ed efficiente è fondamentale per la sopravvivenza delle imprese in un contesto di continui cambiamenti. Per competere le imprese sono chiamate a ripensare quali prodotti o servizi offrire e come farlo in maniera più veloce, flessibile e a minor costi. E’ quindi necessario sviluppare la capacità di migliorare come le persone lavorano e di quali competenze necessitano per essere utili in processi produttivi continuamente diversi. Lo studio e l’analisi della realtà hanno mostrato che dove non si riesce a far sì che le persone imparino nuove tecniche o nuove metodologie di lavoro, l’azienda perde di competitività. Non si pensi che questo fenomeno sia collegato alle sole competenze tecniche, anzi, in settori maturi in cui il personale di contatto con il cliente (dalla commessa all’addetto di call center, e allo sportellista di banca) si dimostra poco attento alle esigenze del cliente, questo velocemente si rivolge ai competitori. La vendita a valore è la dimostrazione di come attraverso la formazione un’azienda può operare un radicale cambiamento nella mentalità e nel classico approccio dei venditori alla clientela. Se la formazione è un fattore competitivo importante come si riesce a misurarla? La misurazione del ritorno sull’investimento formativo è un tema rilevante per un’organizzazione. In impresa misuriamo quanto rende l’investimento in un nuovo macchinario in termini di risparmio, velocità di risposta o altro ancora, ma troppe poche volte abbiamo il coraggio di provare a misurare come e quanto ci rende investire sulle persone e più in specifico sulla formazione. Ad esempio è possibile misurare, a valle di un intervento di addestramento sulle competenze degli operai, come è migliorata la produttività sia in termini quantitativi sia qualitativi (pezzi scartati, tasso di difettosità ecc). Nel caso di interventi formativi sui comportamenti del personale di contatto con il cliente possiamo misurare il miglioramento o meno del tasso di gradimento dei clienti, nel caso di addestramento alle vendite di nuovi prodotti quanti di questi sono stati effettivamente presentati ai clienti e così via. Quali sono le principali tendenze della formazione aziendale? Non potendo prevedere precisamente chi deve fare che cosa, si preferisce in un numero crescente di imprese insegnare alle persone più cose da fare. E’ famoso il detto: meglio insegnare ad una persona a pescare che ogni volta indicargli dove trovare il pesce per mangiare. Infine credo che la formazione stia perdendo di ritualismo. Per cogliere spunti di riflessione su cui far discutere le persone e generare occasioni di confronto si utilizzano spezzoni di film, si invitano le persone a sperimentare lavori di gruppo in attività ludico sportive (ad esempio barca a vela, orientamento nella foresta, caccia al tesoro ecc). Cosa consiglia agli imprenditori delle piccole e medie imprese in ambito formativo? Essenzialmente di domandarsi se le loro persone, ma se anche loro stessi, acquisendo più competenze o diversi comportamenti aziendali, possano lavorare meglio e quindi generare più profitto o, perchè no, lavorare meno e divertirsi di più. Chiedersi poi se questo miglioramento può essere attuato tramite un aiuto formativo. Infine, ma è la cosa più difficile, di avere il coraggio di ascoltare la proposta di intervento della società di formazione contattata, cercando di ricordare che il consulente/formatore serio non deve solo rispondere alla domanda fatta, ma deve aiutare a capire il bisogno sottostante la domanda, altrimenti comprerà solamente una formazione antidolorifica ma che non interviene alle radici del problema.
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La fase di vendita
FASE PREOARATORIA
FOLLOW UP (cross selling up selling)
cliente e per formulare le relative soluzioni. Ciò potrà avvenire se il venditore riuscirà a stabilire con il cliente una relazione di fiducia, condizione indispensabile per poter raccogliere informazioni anche riservate sull’attività dell’azienda e i suoi obiettivi di business. Compresi e condivisi con il cliente bisogni ed esigenze dell’azienda, il venditore, solo allora, potrà illustrare i prodotti che sono in grado di risolverli. Il loro valore e i benefici che determineranno nel tempo, la loro rispondenza agli obiettivi dell’azienda. Per dimostrarlo userà anche le informazioni che ha acquisito nel corso della fase preparatoria. Ove sarà possibile esibirà dati di mercato, evidenze e risultati ottenuti da aziende in campi di attività similari. Solo dopo aver convinto il cliente che la soluzione esiste ed è rispondente alle sue attese, il venditore formulerà la sua proposta. La proposta conterrà la descrizione delle caratteristiche del prodotto, ma l’enfasi sarà posta sui suoi benefici.
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RACCOLTA DELLE INFORMAZIONI ANALISI DELLE ESIGENZE CON IL CLIENTE
PROPOSTA DI VENDITA
I vantaggi della vendita a valore In sintesi l’adozione della tecnica della vendita a valore genera vantaggi sia per l’azienda sia per il cliente. L’azienda consolida il proprio mercato, trasformando un mero rapporto di scambio commerciale in una partnership di medio – lungo termine, sviluppa il cross selling e l’up selling, in quanto suoi clienti, verificata l’efficacia delle soluzioni proposte, saranno più disponibili ad acquistare altri prodotti o ad investire di più sul prodotto acquistato, facilita l’acquisizione di nuovi clienti attraverso la testimonianza e il passaparola dei propri clienti soddisfatti. Il cliente non acquisterà solo un prodotto dalle caratteristiche tecniche certe ma, anche e soprattutto, i benefici e i vantaggi che ne derivano in virtù della sua rispondenza ai suoi bisogni ed obiettivi. Acquisterà anche, spesso, una maggiore conoscenza degli strumenti a sua disposizione per soddisfare con successo le proprie esigenze. Un’opera-
CONDIVISIONE DEGLI OBIETTIVI CON IL CLIENTE
RICERCA E IDENTIFICAZIONE DELLA SOLUZIONE
zione che molti consulenti di alta direzione non esiterebbero a definire wi- win (soluzione vincente per entrambi le parti)
A cura di Seat Corporate University Scuola di Comunicazione d’Impresa di SEAT Pagine Gialle Seat Corporate University si propone ai clienti SEAT come scuola di eccellenza nella formazione del personale nelle aree delle tecniche di vendita e della consulenza della comunicazione di marketing e pubblicitaria Per informazioni SCU numero verde 800 336.616 fax: 011 435 2607 e-mail: corporate.university@seat.it www.seatcorporateuniversity.it
La crescente integrazione dei mercati richiede una lettura comune dei bilanci e delle performance aziendali. IASC, IAS, SIC, OIC, tante sigle sconosciute ai più e una materia difficilmente comprensibile ad di fuori della ristretta cerchia degli specialisti ma indispensabile anche per le piccole e medie imprese. E’, infatti, allo studio dell’Unione Europea l’applicazione dei nuovi principi anche per le PMI. In questo articolo, il primo di due, spieghiamo in sintesi cosa sono gli IAS e quali impatti determinano nei bilanci aziendali
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Gli international accounting standards (IAS)
Regole comuni per le imprese: un pò di storia La crescente integrazione dei mercati e la altrettanto necessità di valutare in modo omogeneo le performance delle aziende hanno reso necessario l’introduzione di una serie di provvedimenti e regole comuni per la redazione dei bilanci predisposti dalle società. L’adozione di regole comuni non si è concretizzata nell’emanazione di provvedimenti da parte dell’Unione Europea bensì nel recepimento di principi contabili già emanati da altri organismi: lo IASC (ora denominato IASB – International Accounting Standard Board), gli IAS (oggi gli IFRS – International Fi-
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nancial Reporting Standard) corredati da apposite interpretazioni e chiarimenti, i SIC (documenti emanati dallo Standing Interpretations Committee, che in futuro saranno denominati IFRIC, ossia International Financial Reporting Interpretations Committee). Lo IASB, che fino al 2001 era denominato IASC, fu fondato nel 1973 in seguito all’accordo stipulato da dieci stati fondatori (Australia, Canada, Francia, Germania, Giappone, Messico, Olanda, Regno Unito, Irlanda e Stati Uniti) e la prima bozza di principi generali fu proposta già nel 1974. L’Italia entrò a far parte dell’accordo nel 1983. Ad oggi sono vigenti 41 International Accounting Standards (IAS), 7 International Financial
Reporting Standard (IFRS), 11 documenti emanati dallo Standing Interpretations Committee (SIC) e 5 documenti emanati dall’International Financial Reporting Interpretations Committee (IFRIC). Al fine di agevolare le imprese nell’utilizzo dei principi internazionali, in Italia è presente l’OIC (Organismo Italiano di Contabilità) che ha anche facoltà di suggerire al legislatore eventuali possibili modifiche da apportare alle disposizioni vigenti. La normativa italiana e comunitaria Nel procedimento di accoglimento degli IAS/IFRS, l’Italia ha definito la propria posizione solo nel 2003 in seguito all’emanazione della Legge 306 del 31 Ottobre
(legge Comunitaria 2003). All’articolo 25, infatti, viene definito che devono utilizzare gli IAS: le società quotate per la redazione del bilancio di esercizio; le società emittenti strumenti finanziari diffusi tra il pubblico per la redazione del bilancio di esercizio e consolidato; le banche e gli intermediari finanziari, sottoposti a vigilanza da parte della Banca d’Italia, per la redazione del bilancio d’esercizio e consolidato; le imprese assicurative nella redazione del bilancio consolidato e nella redazione del bilancio di esercizio ma, in tal caso, solo se sono quotate e non redigono il bilancio consolidato.
Gli indirizzi utili Principali informative che riguardano, i principi contabili per la redazione dei Bilanci d’esercizio e Consolidati di gruppo
www.aiaf.it/it/principi/principi.html
Raccolta di notizie e risorse per studenti e docenti
www.accountingeducation.com
Bob Jensen’s Accounting Theory Quick Summary
Discussioni e materiali sui temi più attuali in materia di accounting
www.trinity.edu/rjensen/theory/ 00overview/theory01.htm
Commissione Europea - Internal Market: IAS
Il sito della Commissione Europea sull’adozione degli IAS/IFRS
www.europa.eu.int/comm/internal_ market/accounting/ias_en.htm
Il testo completo dei principi contabili italiani
www.cndc.it/CNDC/home/ studiericerche/principicontabili/ principicontabili.jsp
CONSOB Commissione Nazionale per le Società e la Borsa
Archivio dei provvedimenti, informazioni sulle società quotate
www.consob.it
EAA - European Accounting Association
La principale associazione europea in campo contabile
www.eaa-online.org/home/index.cfm
L’organismo che emette i principi contabili internazionali (IAS/IFRS)
http://www.iasb.org
Osservatorio sui principi contabili internazionali, con sommari e commenti
www.iasplus.com
OIC - Organismo italiano di contabilità
Lo standard setter nazionale
http://80.207.146.178/default2.asp
Il portale dell’Unione Europea
Il motore EU-Lex consente di consultare tutti i provvedimenti normativi dell’Unione
http://europa.eu.int
Associazione Italiana analisti finanziari Accounting Education.com
Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti
IASB - International Accouting Standards Board IAS Plus
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E’ data facoltà, inoltre, di utilizzare gli IAS/IFRS alle società non quotate ma che redigono il bilancio in forma completa; alla luce di questo, quindi, sono escluse dall’applicazione dei principi internazionali le società che redigono il bilancio in forma abbreviata cioè, a norma dell’art. 2435-bis del Codice Civile, le imprese che non superino due dei tre seguenti parametri: totale attivo patrimoniale 3,125 milioni di €, ricavi 6,250 milioni di €, 50 dipendenti mediamente occupati nel corso dell’esercizio. Il Decreto Legislativo del 28 febbraio 2005, n. 38 ha poi provveduto all’attuazione degli obblighi sopra previsti. In Europa si discute della validità di applicazione dei principi contabili internazionali anche alle piccole e medie imprese ipotizzando una versione ridotta e adattata. In ogni caso la Direttiva UE 18 giugno 2003, n. 51, oltre a stabilire i criteri che devono seguire l’applicazione dei principi, ha introdotto dei principi innovativi che caratterizzeranno il passaggio ai principi internazionali: schema dei prospetti contabili. È introdotto un nuovo schema di Stato Patrimoniale basato sulla distinzione delle voci tra correnti e non correnti; principi generali. È di fatto privilegiata la prevalenza della sostanza sulla forma, quindi, l’iscrizione delle voci in Stato Patrimoniale o in Conto Economico deve tener conto della effettiva sostanza economica piuttosto che della forma giuridica delle operazioni; criteri di valutazione. Saranno possibili le rivaluta-
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zioni dei beni immateriali, l’applicazione del criterio del valore equo (fair value) per gli immobili acquisiti per investimento; contenuto informativo. I documenti che accompagnano lo Stato Patrimoniale ed il Conto Economico. Tra i punti evidenziati, quello che risulta avere maggiore importanza, sia per difficoltà attuativa sia per gli effetti che avrà nella redazione dei bilanci, è certamente l’applicazione del cosiddetto fair value che può essere definito come il corrispettivo al quale è scambiato un bene o estinta una passività tra parti consapevoli, disponibili ed indipendenti ad effettuare l’operazione. Il criterio in questione è previsto per la valutazione degli immobili detenuti per investimento, per le attività e passività finanziarie e si contrappone al criterio basato sul costo sin ora utilizzato, che, seguiva il più generale principio della prudenza nella iscrizione di un’attività o passività a bilancio. L’applicazione del fair value genererà un’inevitabile volatilità dei risultati dello Stato Patrimoniale determinando in bilancio dei plusvalori non realizzati con la logica e necessaria conseguenza dell’adozione di specifiche azioni correttive per scindere tali plusvalori dal reddito di esercizio. L’applicazione dei principi internazionali L’applicazione degli IAS/IFRS comporta una duplice attività interpretativa: in primo luogo occorre identificare le specifiche azioni da effettuare in sede di determinazione del primo bilancio IAS, in secondo luogo le regole
da applicare a regime. E’ definito bilancio a norma IAS quel documento che considera il dettato di tutti gli IAS/IFRS corredati dai rispettivi SIC/IFRIC; questa definizione implica il fatto che tutte le voci che compongono il bilancio seguono le regole di iscrizione e di valutazione così come stabilite nei principi. Sono molteplici le differenze interpretative e sostanziali che caratterizzano le regole internazionali da quelle nazionali e questo genera, di fatto, la creazione di apposite rettifiche. A titolo di esempio, basti pensare al fatto che lo IAS 38 non prevede la capitalizzazione delle spese di pubblicità: le imprese che avessero iscritto nel bilancio tali spese (a norma dell’art. 2426 c.c) si troveranno costrette ad eliminarne la parte ancora non ammortizzata. Un ulteriore esempio è rappresentato dalla differenza che potrebbe generarsi dall’applicazione alla valutazione delle rimanenze del criterio FIFO o del criterio del costo medio ponderato (i soli criteri approvati dallo IAS 2) rispetto al LIFO (criterio applicato secondo la normativa vigente). Tutte queste variazioni saranno trattate contabilmente con scritture aventi come contropartita la voce Utili (Perdite) portati a nuovo, che, alla fine di tutte le eventuali variazioni possibili, potrà avere un segno positivo o negativo. Da questi due esempi emerge chiaramente il senso dell’applicazione dei principi internazionali che pongono una maggiore enfasi sugli aspetti sostanziali anziché sugli aspetti formali. L’applicazione dei principi internazionali segue, di fatto, la pratica, diffusa
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in sempre più numerose aziende, di utilizzare un sistema di reporting gestionale parallelo rispetto alla contabilità generale che spesso non è in grado di fornire alla Direzione indicazioni relative all’andamento gestionale dell’impresa. Il passaggio agli IAS non genera solo un’iniziale difficoltà applicativa derivante dalla rivisitazione delle voci di bilancio secondo nuove regole, ma genera anche un inevitabile processo di cambiamento delle procedure aziendali nella determinazione del risultato aziendale. Ad esempio il cambio del criterio di valutazione delle rimanenze da LIFO a FIFO (oppure al costo medio ponderato) genererà un cambio dell’algoritmo di calcolo nel sistema informativo aziendale. Uno dei più importanti aspetti che necessiteranno una profonda rivisitazione dei sistemi informativi aziendali è rappresentato dal calcolo del TFR. Il TFR, una volta a regime, dovrà essere calcolato
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utilizzando il Projected Unit Credit Method che prevede l’utilizzo di ipotesi attuariali demografiche e finanziarie applicate ai dipendenti in servizio e non, comunque titolari di specifici benefici. La valutazione, quindi, dell’accantonamento, che secondo la normativa nazionale era effettuato mediante l’utilizzo di parametri comuni a tutte le imprese, avverrà utilizzando criteri e variabili propri dell’impresa che lo effettua legati alla sua storia e al suo ambiente di riferimento. Tali valutazioni genereranno, di nuovo, profondi e radicali cambiamenti nel sistema di rilevazione delle informazioni aziendali. L’applicazione dei principi internazionali nel primo bilancio può portare notevoli difficoltà nella ricostruzione delle ipotesi richieste dagli IAS/IFRS e, per questo motivo, è possibile non applicare retrospettivamente i principi nei casi, definiti tassativamente dalla normativa, di aggregazioni aziendali e di benefici per i dipendenti.
Il nuovo schema di Stato Patrimoniale e di Conto Economico Come accennato in precedenza, la direttiva comunitaria ha proposto un nuovo schema di Stato Patrimoniale e Conto Economico. A differenza di quanto disposto dalla normativa nazionale, gli IAS/IFRS non propongono uno schema rigido di riferimento, ma solo un contenuto minimale che deve essere esposto nei singoli prospetti. Infatti, al paragrafo 68 dello IAS 1 sono elencate le categorie minimali dello Stato Patrimoniale: A immobili, impianti e macchinari; B investimenti immobiliari; C attività immateriali; D attività finanziarie; E partecipazioni contabilizzate con il metodo del patrimonio netto; F attività biologiche, rimanenze; G crediti commerciali ed altri crediti; H disponibilità liquide e mezzi equivalenti; I debiti commerciali ed altri debiti; J accantonamenti; K passività finanziarie; L passività e attività per imposte correnti; M passività e attività per imposte differite; N quote di pertinenza di terzi presentate nel patrimonio netto; O capitale e riserve attribuibili ai possessori di capitale proprio della controllante.
Lo IAS 1, inoltre, prevede che lo stato patrimoniale sia presentato mantenendo la distinzione tra attività (e passività) correnti e non correnti. L’OIC, in un suo documento interpretativo, propone uno schema adottabile dalle imprese manifatturiere (vedere tabella). Come per lo Stato Patrimoniale anche il Conto Economico, a norma di quanto stabilito dallo IAS 1, non è presentato in uno schema definito, ma ne sono individuati i contenuti minimi:
A ricavi; B proventi finanziari ed assimilati; C oneri finanziari e assimilati; D quota dell’utile o della perdita di collegate o partecipazioni contabilizzate con il metodo del patrimonio netto; E imposte sul reddito; F un singolo importo comprendente il totale della plusvalenza o della minusvalenza, al netto degli effetti fiscali, delle attività operative cessate; G utile o perdita dell’esercizio.
Lo schema di Stato Patrimoniale proposto dall’OIC Ativo Attività non correnti Immobili, impianti e macchinari Investimenti immobiliari Avviamento e attività immateriali a vita non definita
Passivo Patrimonio netto Capitale sociale con indicazione della parte non versata Riserva da sovrapprezzo Riserva da rivalutazione
Altre attività immateriali
Altre riserve
Partecipazioni
Utili / Perdite di esercizi precedenti
Altre attività finanziarie
Utili / Perdite dell’esercizio
Imposte differite attive Attività correnti Crediti commerciali e altri
Pasività non correnti Obbligazioni in circolazione
Rimanenze
Debiti verso banche
Lavori in corso su ordinazione
Altre passività finanziarie
Attività finanziarie correnti
Fondi per rischi ed oneri
Disponibilità liquide
Fondi relativi al personale Imposte differite passive
Attività classificate come possedute per la vendita e attività incluse in aggregati in dismissione
Pasività correnti Obbligazioni in circolazione Debiti verso banche Debiti verso fornitori
La forma di rappresentazione del conto economico accettata dai principi internazionali è duplice: la prima è la cosiddetta classificazione dei costi per natura (sostanzialmente simile a quello esposto nell’art. 2425 c.c), mentre il secondo metodo è la classificazione dei costi per destinazione. Questo secondo metodo, molto vicino ai conti economici redatti per le analisi gestionali, classifica i costi a seconda se rientrino nel costo del venduto (quindi tutti i costi direttamente imputabili alla produzione dei beni o servizi che hanno generato ricavi) o nei costi di distribuzione o amministrativi (quindi nel comparto dei costi generali). Oltre allo stato patrimoniale ed al conto economico, i principi internazionali impongono anche la redazione di una serie di ulteriori documenti: il prospetto delle variazioni del patrimonio netto (nella legislazione nazionale vigente tale prospetto deve essere esposto in nota integrativa); il rendiconto finanziario (attualmente tale documento è facoltativo); il prospetto dei principi contabili utilizzati (queste informazioni sono presenti nella nota integrativa); le note al bilancio (anch’esse presenti nella nota integrativa)
Anticipi su lavori in corso di ordinazione Altre passività finanziarie Debiti tributari Altre passività correnti
prim part a e
Passività incluse in aggregati in dismissione
n°3 \ luglio - agosto 2006
\ Fare Impresa
61
\ Settori
Innovazione al rallentatore Il settore dell’Information Technology mostra nel 2005 una lieve ripresa, ma l’Italia rimane il fanalino di coda tra i principali paesi industrializzati. Poche le risorse destinate alla ricerca e scarsa la propensione delle imprese nei confronti degli investimenti. Manca anche il sostegno della Pubblica Amministrazione L’Information Technology in Italia Dalle spettacolari campagne pubblicitarie sulle connessioni a banda larga e sui servizi legati alle telecomunicazioni, l’Italia appare come un paese all’avanguardia nell’Information Technology. Ma scavando sotto gli annunci patinati, appare una realtà ben diversa. Lo dimostrano le statistiche dell’Ocse, che pongono l’Italia alle spalle degli altri Paesi più industrializzati per ricerca e utilizzo di tecnologie informatiche. L’Ita-
lia è, infatti, il fanalino di coda per spese in ricerca e sviluppo, con un rapporto rispetto al Pil del 1,16% (25° posto nella classifica mondiale e ben sotto la media Ocse del 2,26%)
Spesa in ricerca e sviluppo in % del PIL 0
1
Svezia Media Ocse Italia (25° posto)
2,26
1,16
Fonte: Ocse (2004)
62
\ Settori
2
3,98
3
4
del settore Information TechnoloAnnuario Seat: il comparto gy, resi noti daldell’Information Technology l’associazione di e Office Automation categoria AitechIl volume Information Assinform, rifletTechnology e Office tono il quadro deAutomation è la directory lineato dall’Ocse. dell’intera filiera Dopo una forte produttiva del comparto crescita registrata e comprende: Informatica e telecomunicazioni, negli anni ‘90 che Office Automation ha visto l’introduzione dei computer nelle imprese, la diffusione delle reti ed il boom Con livelli così bassi nella ricerca, della telefonia cellulare, il nuovo non sorprende la posizione che millennio si è aperto con lo scopoccupa l’Italia tra i paesi produtpio della bolla finanziaria delle tori ed esportatori di tecnologie: società internet che ha creato al 19° posto nel numero di breSvezia discontinuità nello sviluppo delvetti (14,5 per milione di abitanl’Information Technology a livello ti, contro la media Ocse di 54), al mondiale. E benché recentemen12° nell’esportazione di strumente si registri una ripresa, la situati IT e al 17° nell’esportazione di zione italiana persiste a rimaneprodotti Hi-Tech. re statica, caratterizzata da una Numero di brevetti scarsa propensione nei confronti 150 degli investimenti in tecnologia. 125,8
120 90
54,0
60 30
14,5
0,1
a in C
cs e po Ita st lia o)
a
O
9° (1
M
ed i
Sv izz
er a
0
Fonte: Ocse (2002) numero di brevetti per 1 milione di abitanti
Lo scarso interesse verso le nuove tecnologie sembra essere trasversale: le famiglie acquistano molti dispositivi IT, ma li usano in prevalenza per svago, le imprese non sfruttano pienamente l’informatica e le telecomunicazioni per aumentare la loro produttività, mentre la Pubblica Amministrazione ha una scarsa propensione ad introdurre in modo diffuso l’e-governament. I dati economici relativi al 2005
n°3 \ luglio - agosto 2006
Le dinamiche del settore La tendenza tecnologica più innovativa è la convergenza tra media e reti di comunicazione, che crea nuovi dispositivi e nuovi servizi. Ma in Italia questo fenomeno investe più il mercato consumer che quello business, che mostra una domanda relativamente debole. Il fatturato 2005 del mercato aggregato informatica e telecomunicazioni è stato di 62,6 miliardi di $, con un incremento del 2,3% rispetto all’anno precedente. Un valore positivo, ma che è ridimensionato se si considera che il mercato europeo ha registrato una crescita di oltre il 4% e quello mondiale ha superato il 6%. Il distacco con l’Europa è ancora più marcato se si valutano i soli
servizi informatici: in Italia sono cresciuti dello 0,9% a 19.495 milioni di €. Si tratta di un recupero rispetto al 2004, quando si registrò un calo dello 0,4%, ma l’andamento italiano rimane modesto se confrontato con quello internazionale. La crescita media europea è stata, infatti, nel 2005, del 3,5% ed altri mercati hanno avuto sviluppi ancora più rilevanti: l’Asia, nel suo complesso, con il + 7,8% e America con il + 5,3%. Se poi ci si riferisce agli ambiti produttivi e alla Pubblica Amministrazione, emerge un quadro ancora più modesto. Le più attive sono le medie imprese, che hanno incrementato gli investimenti nel 2005 del 1,7% (per un valore di 4,6 miliardi di €); seguono le grandi imprese con un modesto incremento dello 0,9%, (in totale 10,6 miliardi di €), mentre addirittura gli investimenti delle piccole imprese sono in calo del 1,4% (3,5 miliardi di €). Le piccole imprese rappresentano soltanto il 18% della domanda italiana di Information Technology, pur essendo il nucleo di imprese più
I tassi di crescita dell’IT nel mondo Paese
Tasso %
Cina
19,7
Spagna
6,0
USA
5,3
UE media
3,5
Francia
3,3
Gran Bretagna
3,1
Giappone
2,9
Germania
2,5
Italia
0,9
Fonte: Aitech-Assinform/Net Consulting
\ Settori
63
Il settore dell’IT in cifre (in milioni di €) Comparto
2003
2004
2005
Servizi IT
9.371
9.258
9.252
Hardware
5.073
5.125
5.278
Software
4.007
4.022
4.082
945
915
883
19.396
19.320
19.495
Assistenza tecnica Totale Fonte: Aitech-Assinform/Net Consulting
numericamente rilevante. Arretra anche la Pubblica Amministrazione Centrale, che mostra una flessione degli investimenti in servizi informatici dell’1%, confermando il trend negativo degli ultimi anni. Nel triennio 2002-2004, infatti, gli investimenti in IT sono crollati del 12% e non si attendono miglioramenti per il prossimo futuro, a causa dei tagli portati dalla Finanziaria 2006. Va in controtendenza
64
\ Settori
la Pubblica Amministrazione Locale, che ha aumentato nel 2005 gli investimenti del 3,3% in particolare nei settori delle utilities e sanitario. Cresce anche la tendenza a sviluppare società dedicate in house, ossia create dagli Enti Locali per lo sviluppo di servizi informatici. Queste aziende assorbono il 40% della domanda proveniente dalle Pubbliche Amministrazioni Locali ed il loro fat-
turato è cresciuto complessivamente del 4%. Il mercato dell’Information Technology Sul versante dell’offerta la crescita premia l’hardware rispetto ai servizi e al software. La vendita di computer e periferiche ha raggiunto nel 2005 un fatturato di 5.278 milioni di €, con un incremento del 3% rispetto al 2004. Prosegue il trend della diminuzione dei prezzi, come dimostrano i personal computer: le vendite sono incrementate in volume del 19,4% (raggiungendo 4.3 milioni di unità), ma, il fatturato è cresciuto solo del 5,3%. Il mercato del software e dei servizi, pur dimensionalmente più rilevante rispetto all’hardware, risulta più statico: il fatturato complessivo del 2005 ammonta a 13.334 mi-
Accessi banda larga in Italia (in migliaia) Tipo di accesso
2003
Adsl
2.070
Fibra ottica
180
Totale
2.250
Fonte: Aitech-Assinform/Net Consulting
lioni di € (+ 0,4%), mentre l’assistenza tecnica prosegue il trend negativo (883 milioni di €, -3,5%). Per il prossimo futuro, si prevede che la domanda si orienterà soprattutto verso le soluzioni per la sicurezza e il data warehouse. L’impresa italiana dell’Information Technology opera soprattutto nell’ambito del software e dei servizi, perché la produzione hardware è quasi interamente concentrata nei Paesi asiatici. Rimangono in Italia alcune nicchie nella fascia alta, come le telecomunicazioni. Nel software e servizi, il panorama imprenditoriale è polarizzato tra un ristretto numero di grandi aziende, che servono le grandi imprese produttive e finanziarie e la Pubblica Amministrazione, ed una galassia di piccole e medie società, caratterizzate da un’ele-
vata specializzazione settoriale. 2004 2005 Il settore conta 4.236 6.480 4.900 imprese con un’occupa214 300 zione di 75.000 4.450 6.780 addetti. La Lombardia è la regione più attiva nel settore IT, ma nel Centro Italia operano numerose aziende che servono la Pubblica Amministrazione, le telecomunicazioni e la Difesa. Nei prossimi anni si prevedono processi di concentrazione, che avverranno attraverso acquisizioni e fusioni. Un discorso a parte merita internet, che sta vivendo una forte rinascita, grazie alla diffusione dei collegamenti a banda larga. Le connessioni Internet su rete fissa sono aumentate del 21% e quelle Adsl o in fibra ottica hanno registrato addirittura un incremento del 52,4%, raggiungendo i 6,8 milioni di utenze. Si stima che circa 18 milioni di italiani siano connessi ad internet per i più svariati motivi, dalla ricerca di informazioni e di intrattenimento, per lavoro o studio, ma anche, per effettuare acquisti. L’e-commerce
ha registrato, infatti, nel 2005 un incremento del 140% e riguarda sia merci, sia servizi nel primo caso, si vendono via Internet soprattutto prodotti informatici ed elettronica di consumo. Nell’ambito dei servizi, prevalgono quelli legati al turismo, ai trasporti e alle assicurazioni Rc-auto. I distretti dell’Information Technology Anche l’Information Technology ha i suoi distretti, dove si concentra buona parte della produzione delle apparecchiature e delle strumentazioni IT italiane. Il più grande per numero di addetti si trova in Lombardia, mentre quello siciliano conta il maggior numero d’imprese, in prevalenza di piccole dimensioni. Un’altra importante realtà è quella genovese, dove si registra una vivace attività di ricerca in settori avanzati (come la robotica e le tecnologie biomedicali). Il quarto distretto si trova nel Veneto. Complessivamente, questi quattro distretti contano 2.629 imprese e impiegano 34.427 addetti
I distretti dell’ Information Technology Numero imprese
Numero
Numero comuni
strumentazione, robotica, microelettronicaenergia, meccanica, tecnologie biomedicali, new economy, elettronica per telecomunicazioni, informatica, software, Information Technology, e-commerce
150
7.500
1
Distretto dell’elettronica dell’est milanese
apparecchiature elettriche, radiotelevisive, per telecomunicazioni, apparecchi medicali, di precisione, strumenti ottici e orologi
854
16.723
28
Sicilia
Distretto tecnologia Etna Valley
telecomunicazioni satellitari, prodotti farmaceutici oftalmici, meccanica di precisione, sotware per internet, internet provider e servizi informatici, robot e sistemi automatizzati per l’agricoltura, frame per semiconduttori
1.456
7.916
6
Veneto
Distretto dell’informatica e del tecnologico avanzato
software per internet, servizi informatici, tecnologie avanzate, e -commerce e nanotecnologie
169
2.288
4
2.629
34.427
39
Regione
Nome Distretto
Specializzazione
Liguria
Distretto dell’elettronica di Genova
Lombardia
TOTALE
n°3 \ luglio - agosto 2006
\ Settori
65
Il settore dell’arredamento sta vivendo una fase di trasformazione, dovuta alla crescente concorrenza internazionale. La crisi colpisce soprattutto la produzione mediobassa, mentre quella di qualità si afferma grazie al design e ai nuovi materiali. Cauto ottimismo per il 2006
Foto: © CORBIS
\ Settori
Mobile al bivio
66
\ Settori
Il mobile forma, insieme alla moda e all’alimentare, il terzetto più importante del made in Italy. La produzione italiana è conosciuta ed apprezzata sia all’estero sia in tutta Italia tanto che l’annuale Salone milanese è diventato un evento altrettanto importante quanto le sfilate degli stilisti. Ma negli ultimi anni, questo settore sta vivendo un ciclo di forti tensioni, dovuto sia alla minore domanda interna, sia alla crescente competizione dei Paesi asiatici. Il settore in cifre: l’import e l’export Dal 2001, le imprese italiane
hanno registrato una diminuzione negli ordini, anche se nel 2004 si è registrata una leggera ripresa. Il 2005 è stato caratterizzato ancora da cifre in rosso, anche se i vari settori mostrano andamenti differenti e, come nel caso delle cucine e del contract, perfino positivi. Nel 2005, la produzione italiana dell’arredamento, settore che comprende i mobili per la casa e l’ufficio, gli apparecchi per l’illuminazione e i complementi d’arredo, ha fatturato 22,2 miliardi di €, con un calo del 2,3% rispet-
Il settore dei mobili in cifre (milioni di €) 2004
2005 (*)
Variazione % 2005/2004
Fatturato alla produzione (a)
22.806 €
22.283 €
-2,3%
Esportazioni (b)
10.934 €
10.616 €
-2,9%
Importazioni (c)
1.841 €
2.112 €
+14,7%
Saldo commercio estero (b - c)
9.093 €
8.504 €
-6,5%
Consumo interno (a-b+c)
13.713 €
13.779 €
+0,5%
Export / Fatturato (% b/a)
47,9%
47,6%
-0,6%
Addetti
232.963
231.565
-0,6%
Imprese
36.687
36.086
-1,6%
Preconsuntivi 2005 - Fonte: Centro Studi Cosmit/Federlegno-Arredo
to all’anno precedente. I risultati relativi all’import-export forniscono qualche indicazione sui motivi di questa congiuntura. Infatti, calano le esportazioni del 2,9%, mentre crescono notevolmente le importazioni, segno che sta aumentando la pressione dei produttori esteri. Lo scorso anno, l’Italia ha importato prodotti d’arredamento per 2,1 miliardi di €, con una crescita del 14,7% rispetto al 2004. Il saldo commerciale della produzione italiana resta sempre positivo con un attivo di oltre 8,5 miliardi di €, ma tale valore è calato del 6,5% rispetto all’anno precedente. Più che a una congiuntura mondiale, il calo delle esportazioni italiane è dovuto a una loro eccessiva dipendenza dai mercati dell’Europa Occidentale, che da soli assorbono il 60% delle vendite oltre frontiera dei produttori nazionali. E come è noto, l’Europa è la regione che sta crescendo meno nel mondo. Inoltre, alcuni Paesi, come Gran Bretagna (-12,1%) e Germania (-6,6%), sembrano essere particolarmente interessati ai pro-
n°3 \ luglio - agosto 2006
dotti più economici provenienti dalle aree emergenti. Si registra anche un significativo calo delle esportazioni italiane verso gli Stati Uniti (-16,9%), causato dalla svalutazione del dollaro rispetto all’ euro. Vanno bene, invece, le esportazioni verso la Russia (+13,8%) e la Spagna (+9,5%). Per quanto riguarda le importazioni, aumentano notevolmente quelle dalla Cina (+34,8%). Tra gli altri Paesi che vendono mobili nella Penisola, spiccano quelli dell’Europa Orientale, ma anche Austria e Germania.
Le dinamiche del settore Questa situazione sta cambiando il panorama produttivo nazionale, creando una netta divisione tra gli operatori: da un lato vi sono le imprese che operano nella fascia medio- bassa del mercato, in termini di qualità e prezzo, che subiscono maggiormente la crisi, poiché non sono competitive con i Paesi emergenti sui costi della manodopera; sul versante opposto si trovano i produttori di fascia alta, che mantengono le posizioni sul mercato, e, riescono persino a conquistare nuovi mercati, grazie all’innovazione e alla qualità. In tutti i casi, per affrontare la concorrenza asiatica che è sempre più aggressiva, le imprese del settore richiedono l’introduzione di un’imposta sull’import dei mobili nell’Unione Europea, sul modello di quanto è già avvenuto per le calzature, nonché una forma d’identificazione d’origine. Ma le imprese sono consapevoli che ciò non basta e per affrontare la crisi l’industria italiana si sta ristrutturando secondo tre direttrici. Chi ha maggiori risorse incrementa i volumi produttivi, attraverso la diversificazione del catalogo e l’espansione globale, sia delle vendite, sia dell’approvvigionamento di materie prime o
Aria di ripresa per il Salone del mobile Si è chiusa con un record di affluenze la 45° edizione del Salone del Mobile di Milano. La crescita dei visitatori, in totale 220.000, è stata del 15%. Un aumento notevole da parte degli stranieri (+22%), ma anche degli italiani (+8%). Tante e diverse le offerte proposte dalle aziende italiane anche sotto l’aspetto dell’innovazione.
\ Settori
67
semilavorati. Alcune medie e piccole imprese stanno cercando una nuova posizione sul mercato, puntando sulla fascia più alta attraverso il design e la qualità dei materiali, la specializzazione o attivando forme di collaborazione con altre imprese di analoghe dimensioni. Infine, alcune aziende puntano sulla distribuzione, attuando nuove politiche commerciali nei confronti delle catene specializzate e i punti in frachising. Una tendenza sempre più importante nel settore del mobile e arredamento è la delocalizzazione produttiva, che aiuta le imprese italiane ad affrontare la competizione dei Paesi emergenti. Più che l’intera filiera, si tende a spostare all’estero la produzione di parti, di semilavorati o di componenti, che poi sono assemblati in Italia. Oggi, la delocalizzazione sembra interessare più le imprese che operano nella fascia bassa del mercato, che sono le più interessate a comprimere i costi e che riescono più facilmente a programmare e a rendere omogenea la produzione. Le realtà più grandi adottano un modello di multinazionale tascabile, che prevede la creazione d’impianti produttivi o di joint-venture nei Paesi
esteri più importanti dal punto di vista commerciale. La reazione dell’industria italiana sta portando i primi frutti, perché per il 2006 gli operatori sono ottimisti e prevedono una ripresa.
Le eccellenze della produzione italiana Queste considerazioni valgono per il settore dell’arredamento nel suo insieme, ma non bisogna dimenticare che esso conta alcune specializzazioni in cui l’Italia ha un peso particolare a livello internazionale. Il loro andamento varia in modo considerevole da una specializzazione all’altra. La cucina Uno dei settori più dinamici, che non ha risentito della crisi, è quello della cucina. Nel suo acquisto, il consumatore valuta la qualità ed il marchio del fornitore, più che il prezzo, e ciò ha posto questa industria al riparo dalla concorrenza internazionale. I produttori italiani sono un migliaio, ma solo un terzo di loro ha una dimensione industriale. Sono concentrati principalmente nel Nord e nel Centro: Triveneto, Emilia Romagna, Lombardia, Toscana e Marche. Nel 2005, i mobili per cucina hanno registrato un incremento di fatturato del 3,2%, raggiungendo i 1.998 milioni di €, una tendenza che si conferma anAnnuario Seat: il comparto che nei primi mesi dell’Arredamento e Tecnologie per di quest’anno. Riabitare mangono prevalenti le vendite interne, Il volume Arredamento e Tecnologie per abitare è la directory dell’intera filiera che hanno raggiunproduttiva del comparto e comprende: to i 1.570 milioni Legname e semilavorati, Mobili e di € (+2,7%), ma complementi d’arredo, Articoli per la crescono anche le casa e da regalo, Elettrodomestici, esportazioni (523 Macchine e forniture, Servizi ausiliari milioni, +5,2%). Dal punto di vista
68
\ Settori
qualitativo, il design ed i materiali innovativi sono i fattori competitivi più importanti. L’arredo bagno Dopo qualche anno caratterizzato dal segno negativo, la produzione dell’arredo bagno ha visto nel 2005 una lieve ripresa, con un fatturato complessivo di 829 milioni di €. Questo settore è composto da 287 imprese, che stanno ricollocandosi nella fascia alta della produzione. Le previsioni per l’anno in corso sono buone, sia per le vendite interne, sia per l’esportazione. Il mobile per l’ufficio Il mobile per ufficio ha un andamento analogo all’arredo bagno ed è un’altra eccellenza della produzione italiana. Questo settore sembra finalmente uscire da una fase negativa e i segnali di ripresa vengono soprattutto dalle esportazioni. Il fatturato complessivo del 2005 ammonta a 1.390 milioni di € (-2,1%), ma i risultati sono diversi se scorporati secondo il mercato: quello nazionale mostra un calo del 5,5%, mentre le esportazioni crescono del 4,5%, raggiungendo i 615 milioni di €. La produzione italiana è ormai concentrata nella fascia alta, ma per affrontare i mercati esteri è necessario superare l’attuale frammentazione imprenditoriale, che vede ben 1.580 imprese. La sedia Un’altra specializzazione importante per l’Italia è quella della sedia, che si concentra nel distretto friulano. Gran parte della produzione è destinata all’estero, dove, però le imprese italiane stanno subendo una forte concorrenza da parte dei Paesi asiatici. Per affrontarla, le imprese stanno agendo sia sul prodotto, che è valorizzato attraverso design e nuovi materiali, sia aumen-
I distretti del mobile Regione
Nome Distretto
Specializzazione
Numero di imprese
Numero addetti
Numero comuni
Abruzzo
Distretto del mobile dell’Abruzzo centrosettentrionale
divani, mobili per ufficio, cucina, scaffalature metalliche
350
2.500
4
Basilicata
Distretto del mobile di Matera
mobile imbottito (salotto)
450
14.000
3
Emilia Romagna
Distretto del mobile di Forlì
divani, poltrone, pouf componibili e letti imbottiti
1.000
6.000
2
Friuli Venezia Giulia
Distretto del mobile di Livenza
cucine, soggiorni, camere, mobili per ufficio
606
13.000
11
Lombardia
Distretto del mobile della Brianza
arredamento della casa e per esterni, oggetti in legno, pavimento e infissi, mobili in metallo e complementi d’arredo e mobili per ufficio
4.695
22.511
36
Marche
Distretto del mobile di Pesaro
mobili per cucina
2.000
10.000
4
Toscana
Distretto del mobile di Poggibonsi
mobili per cucina, arredamento per caravan
1.300
11.000
1
Umbria
Distretto dell’arredamento di Marsciano
arredo per giardino, caminetti, serramenti e infissi
310
2.400
1
Distretto del mobile classico della pianura veneta
mobili per cucine
3.422
17.000
48
Distretto del mobile d’arte di Bassano
mobili artistici in legno scolpito e intarsiato
500
5.000
1
14633
103.411
111
Veneto
TOTALE Fonte: Guida ai Distretti Italiani 2005-2009
tando la dimensione imprenditoriale. Le aziende che producono sedie sono 300, ma il numero sale a circa 1.000 se si considera anche l’indotto. Il contract Il settore denominato contract non è direttamente produttivo, ma traina l’industria come utilizzatore dei prodotti italiani. Consiste nella fornitura chiavi in mano di arredamenti per grandi strutture, come alberghi, complessi residenziali, centri per convegni o spettacoli e navi da crociera. Vi operano soprattutto piccole e medie imprese, alcune delle quali appartengono agli stessi fabbricanti di mobili. Questa nicchia ha prodotto nel 2005 un fatturato di 3,3 miliardi di €, con un incre-
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mento del 1%, che viene soprattutto dall’estero. Le imprese italiane lavorano persino nei Paesi emergenti, come la Cina, da cui proviene gran parte della concorrenza ai mobili italiani. I motivi di questo successo sono la flessibilità ed il rispetto dei tempi di consegna. I distretti La produzione italiana di mobili si concentra in specifiche aree, formando così importanti distretti che differiscono per storia, dimensione e tipologia produttiva. Si stima che nei distretti operino circa 14.600 imprese del mobile, che rappresentano il 40% di quelle attive in tutta Italia. Il distretto più antico è quello lom-
bardo della Brianza, che si è indirizzato verso la fascia medio- alta del mercato. Vi operano imprese di diverse dimensioni, da quelle artigianali ad alcuni marchi di prestigio che hanno raggiunto una dimensione globale. Altrettanto importanti sono i distretti del Triveneto, che stanno attuando un interessante modello di ristrutturazione, attraverso la delocalizzazione di alcune parti della filiera, la ricerca di partner esterni per la ricerca e i servizi e la presenza diretta sui mercati internazionali. Nel Centro, vi sono due importanti distretti in Toscana e nelle Marche, mentre al Sud la produzione è concentrata lungo l’asse Bari- Matera
\ Settori
69
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Osservatori Seat dell’Economia Locale La provincia di Firenze
Foto: © Bo Zaunders/CORBIS
pag. 72
La provincia di Genova
pag. 73
Unioncamere ha recentemente diffuso i dati più rilevanti di Movimprese, elaborati da InfoCamere, sulla natalità e mortalità delle imprese nel primo trimestre del 2006. L’indagine ha evidenziato un consistente movimento tra le nuove imprese (137.156) e quelle cessate (137.333) con un saldo sostanzialmente pari a zero (- 177 imprese). I settori con maggiori variazioni sono stati per le nuove imprese i settori Immobiliare (+ 4.195 imprese) e Costruzioni (+ 3.871 imprese), mentre i decrementi più consistenti si sono registrati nell’Agricoltura (- 8.464 imprese) e nel Commercio al dettaglio (- 3.342 imprese). La nascita delle nuove imprese si è concentrata tra il Mezzogiorno e il Centro con 2.957 imprese in più, mentre il Nord- Est ha accusato la perdita di 2.590 imprese e il Nord- Ovest è rimasto sostanzialmente stazionario in leggero decremento (- 544 imprese).
Fonte: Unioncamere - Aprile 2006
La provincia di Lecce
Foto: © Hubert Stadler/Corbis
pag. 74
L’indagine Seat Pagine Gialle 2005 è stata realizzata sui dati utilizzati per pubblicare le edizioni 2004/2005 delle directories, presenti nel database Seat degli abbonati ai servizi telefonici di tutti i gestori nazionali
n°3 \ luglio - agosto 2006
\ Osservatori Seat dell’Economia\Locale Settori
71
La provincia di Firenze • 7.990 nuove imprese nel 2005, pari all’8,9% del totale. Il più dinamico il settore delle utilities • Il tessuto imprenditoriale vede una prevalenza dell’industria (16,8%), seguita dal commercio al dettaglio (14,9%) e dai servizi (10,9%) • Le esportazioni interessano soprattutto il settore della moda e della ceramica • Il principale distretto della provincia di Firenze è quello della produzione e commercio di articoli di pelletteria
Natalità delle imprese
Secondo quanto emerge dall’indagine, nel 2005 sono nate nella provincia di Firenze 7.990 nuove LECCE imprese, pari al 8,9% del totale. I settori più dinamici sono quelli delle utilities (+24,2%), banche ed assicurazioni (+14%) e Pubblica Amministra7.215 All’ultimo posto si colloca invece il zione (+12%). settore dell’editoria. 4.930
Il tessuto imprenditoriale 21,6%
4.365
L’industria è il settore con il maggior numero di 14,7% 13% aziende, 15.100 unità, pari a circa il 16,5% del totale. Si tratta in prevalenza di industrie tessili e dell’abbigliamento per laProfessionisti lavorazione della pelle Commercio Servizi dettaglio consulenti (3.990 alunità), imprese diecostruzione (2.055) e industrie manifatturiere (1.840). Il tessuto imprenditoriale della provincia vede al secondo posto una forte presenza di commercio al dettaglio, con oltre 13.390 unità (14,9% del totale): tra questi al primo posto i negozi di prodotti tessili, abbiglia-
FIRENZE
Il tessuto imprenditoriale (primi tre settori) 16000
13.390 9.770 16,5%
14,9% 10,9%
4000
Industria
72
L’export
Il settore più dinamico nell’export è quello della produzione e vendita di prodotti di pelletteria, con 204 operatori, seguito da quello dell’abbigliamento (125 operatori) e dalla produzione di calzature (111). Ai prodotti di moda fa seguito il design, con la produzione di ceramiche artistiche (80 operatori) e, per ultimo, la produzione di maglieria. Questi cinque settori risultano essere tra i principali manifatturieri anche a livello nazionale.
I distretti
15.100
12000
8000
mento e articoli di pelle (3.340 unità); a seguire i negozi di alimentari e bevande (2.778) e infine di arredamento (860). I servizi si collocano al terzo posto tra i settori principali della provincia con 9.770 operatori (10,9%), rappresentati da aziende legate alle costruzioni (3.025 unità), seguite dai servizi per le imprese non convenzionali (oltre 2.000 unità ) e servizi immobiliari (1.515 imprese).
Commercio al dettaglio
\ Osservatori Seat dell’Economia Locale
Servizi
Il principale distretto della provincia di Firenze è quello della pelletteria, compreso tra la direttrice che tocca Scandicci, Lastra a Signa, Impruneta, e l’area di Firenze Sud fino alla Val di Sieve. In questo settore operano, tra capoluogo e provincia, oltre 800 industrie del settore e 1.300 operatori commerciali al dettaglio e all’ingrosso.
La provincia di Genova
LECCE
• Nel 2005 sono nate a Genova e provincia 7.200 nuove imprese, pari al 14,9% del totale. Il settore più attivo le utilities
7.215
4.930
4.365
21,6%
• I settori più numerosi sono quelli del commercio al dettaglio (19%), del tempo libero (10,8%) e dei servizi (10,1%)
Commercio al dettaglio
14,7%
13%
Professionisti e consulenti
Servizi
• Le esportazioni interessano soprattutto il settore delle spedizioni e trasporti • Sta nascendo nella provincia un polo dell’Information Technology, che si affianca agli storici distretti della meccanica e della cantieristica
Natalità delle imprese
Nel corso del 2005 sono nate nella provincia di Genova 7.200 nuove imprese, pari a circa il 14,9% del totale. Più prolifici i settori delle utilities (+42,5%), istruzione (+25%) e banche e assicurazioni (+13,6%). Il settore meno dinamico, invece, è stato quello del tempo libero.
Il tessuto imprenditoriale
In termini assoluti, il settore che conta un maggior numero d’imprese, a Genova e provincia, è il commercio al dettaglio, con 9.200 unità (19% del totale). Nell’ambito di questo settore i punti vendita più numerosi sono quelli di alimentari -bevande (2.470 operatori) e di prodotti tessili e abbigliamento (1.820). Segue il settore del tempo libero, con 5.240 unità pari al 10,8% del totale: si tratta soprattutto di organizzazioni artistiche, culturali e ricreative (1.390), ristoranti (1.385) e 1.060 tra bar, birrerie, pub, enoteche e gelaterie. Al terzo posto tra i settori più numerosi emergono i servizi, con 4.890 unità (10,1% del totale), in particolare quelli legati all’edilizia (1.176 operatori) e al comparto immobiliare, come le agenzie, gli amministratori e le imprese edili, pari nel complesso a oltre 1.100 unità.
L’export
I settori che mostrano una maggiore vocazione all’export sono quelli delle FIRENZE spedizioni internazionali (72 operatori), seguite dalle spedizioni aeree, marittime e terrestri (66). Al terzo e quarto posto si situano rispettivamente le agenzie marittime 16000 (54) e le 15.100 forniture di bordo e navali (37). Chiu13.390 i trasporti (35). dono la classifica, al quinto posto, 12000
I distretti 16,5%
8000
14,9%
Tra i distretti della provincia di Genova, oltre a 10,9% quelli più tradizionali della meccanica, siderurgia e cantieristica, sta sorgendo un polo di Information Technology: 200 le aziende che Industria sono, infatti, Commercio Servizi al dettaglio operano nel campo della consulenza informatica e software, in crescita del 20% rispetto al 2004. Per contro gli operatori attivi nell’industria metallurgica, siderurgica e meccanica ed elettromeccanica sono 650 (in crescita del 8,6%) e circa 80 quelli che lavorano alla produzione dei mezzi di trasporto, prevalentemente cantieri navali.
4000
GENOVA
Il tessuto imprenditoriale (primi tre settori) 10000
9.200
7500
5.240 5000
19% 10,8%
2500
Commercio al dettaglio
n°3 \ luglio - agosto 2006
9.770
Tempo libero
4.890
10,1%
Servizi
\ Osservatori Seat dell’Economia Locale
73
La provincia di Lecce • 2.196 nuove imprese, pari al 6,6% degli operatori totali della provincia. Il più dinamico il settore della scuola ed istruzione • Prevale il commercio al dettaglio (21,6%), seguito dai professionisti e consulenti (14,7%) e dai servizi (13%) • Le esportazioni interessano oltre un terzo dell’attività imprenditoriale della provincia
Natalità delle imprese
Nel corso del 2005, come si rileva dall’indagine svolta dal Gruppo Seat Pagine Gialle attraverso l’analisi delle nuove utenze telefoniche nell’arco dell’intero anno, sono sorte nella provincia di Lecce 2.196 nuove imprese, pari al 6,6% del totale. I settori più dinamici sono quelli della scuola ed istruzione (+12%), Pubblica Amministrazione (+8,8%) e grande distribuzione (+8,5%). Il meno prolifico è invece il settore della sanità.
Il tessuto imprenditoriale
In termini assoluti, il maggior numero d’imprese si registra nel settore del commercio al dettaglio, con 7.215 unità, pari al 21,6% del totale. La suddivisione merceologica vede al primo posto i negozi di commercio al dettaglio di alimentari e bevande (2.856 unità), seguiti dalla vendita di prodotti tessili, abbigliamento e articoli di pelle (2.452) e arredamento (986). Al secondo posto nella classifica si trovano professionisti e consulenti, con 4.930 operatori, pari
LECCE
Il tessuto imprenditoriale (primi tre settori) 7.215
4.930
4.365
21,6%
Commercio al dettaglio
74
14,7%
13%
Professionisti e consulenti
Servizi
\ Osservatori Seat dell’Economia Locale
• I principali distretti sono quelli della calzatura di Casarano e dell’abbigliamento
al 14,7% delle imprese presenti nella provincia. Si tratta in larga parte di medici-sanitari (1.514), professioni legali (1.244) e tecniche (1.175). Al terzo posto nell’indagine si collocano i servizi che contano su 4.365 unità (13%).
L’export
Nella provincia di Lecce il 37% dell’attività imprenditoriale è rivolta ai mercati di esportazione, con una netta prevalenza dell’Unione Europea, che assorbe il 43% del totale. Un altro 21% è rivolto ai paesi extra Unione Europea.
I distretti
Il principale distretto produttivo è quello di Casarano, specializzato nelle calzature: si tratta del secondo polo pugliese delle scarpe, insieme a Barletta, ed è una delle principale aree produttive del settore dell’intero territorio nazionale. A Casarano sono presenti oltre 160 aziende tra calzaturifici, vendita al dettaglio di calzature e industrie calzaturiere, con una crescita del 3,6% in numero, rispetto al 2004. Un altro importante distretto leccese è quello dell’abbigliamento, con quasi 900 operatori tra industria, ingrosso, dettaglio e il cui numero di operatori nel 2005 è aumentato del 6,8% rispetto all’anno precedente.
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inviare la scheda al seguente in indirizzo: Seat Corporate University - Via Saffi, 18 - 10138 - Torino o via fax al numero 011 435 2607
Modalità di iscrizione L’iscrizione si intende perfezionata al momento del ricevimento della presente scheda di iscrizione regolarmente compilata e sottoscritta in ogni sua parte, che dovrà pervenire almeno 30 giorni prima della data del corso. Inviare a: Seat Corporate University, via Aurelio Saffi 18, 10138 Torino, o anche via fax allo 011.435.2607 Condizioni di pagamento I pagamenti dovranno pervenire entro 15 giorni dalla data di inizio del corso in un’unica soluzione tramite bonifico bancario, a favore del seguente c/c intestato a Seat Pagine Gialle S.p.A: Beneficiario: Seat Pagine Gialle S.p.A Banca di Roma - Capitalia Via Alfieri, 8/10 10121 - Torino ABI: 03002 - CAB: 01015 - C/C: 65505657 - CIN: L Nella causale del bonifico che perverrà, è indispensabile che risulti ben visibile che si tratti di un versamento a favore di Seat Corporate University. Disdette Le iscrizioni possono essere annullate fino a 10 giorni prima della data di inizio del corso. In caso di mancata o tardiva disdetta la Seat Corporate University fatturerà l’intera quota. Annullamento del corso Seat Corporate University si riserva la possibilità di annullare o rinviare il corso nel caso in cui non si sia raggiunto il numero minimo di partecipanti stabilito in 5 unità entro 7 giorni dalla data di inizio del corso. Ogni variazione sarà tempestivamente segnalata alle aziende partecipanti e le eventuali quote già versate saranno rimborsate. Informativa Privacy Ai sensi dell’art. 13 del D.lgs 196/203, Vi informiamo che i dati sopraindicati, conferiti volontariamente nel comporre la presente iscrizione, verranno trattati in forma elettronica e nel rispetto della normativa citata dal titolare del trattamento Seat Corporate University s.c.a.r.l., per le finalità sotto indicate. I dati acquisiti tramite il presente modulo sono raccolti per le finalità connesse allo svolgimento del corso e trattati da persone incaricate del trattamento. I suddetti dati potranno essere utilizzati anche per informarVi dei nostri futuri eventi se esprimerete il Vostro consenso barrando l’apposita casella. Vi informiamo, inoltre che potete esercitare i diritti di cui agli art. 7 e seguenti del Codice in materia di protezione dei dati personali. Per esercitare tali diritti potrete rivolgerVi mediante comunicazione scritta a Seat Corporate University via Saffi 18 10138 Torino. Diamo il nostro consenso al trattamento dei dati conferiti per finalità informative sui Vostri futuri eventi Sì
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Con Voi
N°3\ luglio-agosto 2006 Pubblicato a Torino nel mese di luglio 2006 Periodico bimestrale edito da SEAT Pagine Gialle Sede legale Milano, via Grosio 10/8 Sede secondaria Torino,via Aurelio Saffi18
Con Voi è anche on line www.convoimagazineseat.it
infomagazine@seatconvoi.it www.convoimagazineseat.it www.seatconvoi.it Registrazione presso il Tribunale di Torino in data 27 febbraio 2006, numero 5946 Direttore Responsabile Roberto Franchini
Speciale dossier pubblicità direttiva
Responsabile Progetti Editoriali di Seat Pagine Gialle Radames Trotta Coordinamento Editoriale Giancarlo Beck Giovanna Coggiola Giuseppe Fernicola Mauro Fresco Paolo Giuri Piero Sassi Realizzazione Editoriale Strategic Management Partners Milano,via San Gregorio 53 Progetto Grafico WebScience s.r.l. Milano, via Bernina 41
Puoi accedere al magazine collegati al sito www.seatconvoi.it o direttamente a www.convoimagazineseat.it. Avrai a tua disposizione l’archivio dei numeri della rivista, potrai contattarci, inviarci i tuoi suggerimenti per i prossimi numeri e farci avere la tua opinione. Potrai anche consultare le tariffe pubblicitarie, i tempi e le modalità di pubblicazione e decidere di acquistare spazi pubblicitari su Con Voi.
Corsi di formazione di Seat Corporate University In maggio si sono tenuti a Roma e a Milano i corsi di formazione della Seat Corporate University dedicati a “Il contributo della comunicazione d’impresa al successo di vendita , Parlare in pubblico e Da supporto ad assistente: un ruolo nuovo per la segretaria” cui hanno partecipato numerosi ed importanti clienti di Seat Pagine Gialle tra cui Casa Rita, A.D. Dome Service, Ecologic System, Gruppo Rosati, ACLI, Mibex. Un’esperienza giudicata ampiamente positiva dai partecipanti che, in particolare, nei confronti del corso sulla comunicazione d’impresa, hanno espresso il seguente giudizio (in scala da 1 a 4): interesse 3,1- utilizzabilità 3.3 – competenza dei docenti 3,6 – chiarezza nell’esposizione 3,5.
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Fotografie Corbis Italia S.r.l. Milano, via Lombardini 13 Stampa Stamperia Artistica Nazionale. S.p.A. Torino, Corso Siracusa 37 Pubblicità su Con Voi Inviare una mail a infomagazine@seatconvoi.it consultare www.seatconvoi.it www.convoimagazineseat.it o telefonare allo 011 4352140 Con Voi è una testata di proprietà della Seat Corporate University, Scuola di Comunicazione d’Impresa di SEAT Pagine Gialle Si ringraziano Gea, SWG, Strategic Management Partners, Assofranchising e Il Sole 24 Ore per i contributi forniti per questo numero Errata Corrige Nell’articolo pubblicato sul numero 2 “Meccanica a più dimensioni” ANIMA è stata erroneamente definita l’ “Associazione di categoria” delle imprese del settore meccanico, Anima è invece la “Federazione delle Associazioni Nazionali dell’Industria Meccanica Varia e Affine”. Inoltre i dati relativi alle “apparecchiature Idrauliche si riferiscono alle apparecchiature aerauliche.
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