Pasqua 2012“Sempre”

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Pasqua 2012 “Sempre” La storia della salvezza è costellata da una serie costante e fedele di interventi di Dio nella vita del popolo di Israele. E Dio, quando interviene, interviene sempre per salvare, cioè per ridonare la vita, perché il popolo è un popolo di disperati, di gente che da sola non ce la fa, e si trova sempre in situazioni più grandi di lui, in situazioni di morte. E Dio interviene, e il suo intervento è sempre qualcosa di molto concreto, è un’azione. Ed è un’azione sempre imprevedibile, che va al di là delle attese dell’uomo. Ecco allora che Dio crea, che libera dall’Egitto, che dona la legge, che salva dai popoli nemici, che libera dall’esilio... Cioè Dio non abbandona mai il suo popolo nella prova, non lo lascia solo, ma sempre gli apre una strada. È il Dio dei disperati, di chi non ha più altra speranza, se non Lui. E l’agire di Dio ha un fine preciso, interviene non solo per intervenire, ma ha sempre un fine, e il fine di questo suo agire è sempre l’alleanza. Anzi, potremmo dire che Dio interviene per essere fedele al suo patto di alleanza, perché Lui per primo si è impegnato a non lasciar mai solo il suo popolo. Ma interviene anche per rinnovare questa alleanza, per salvare il popolo da tutto ciò che lo porta fuori dall’alleanza, e cioè dal vivere solo di Dio. La Pasqua è l’ultimo, definitivo intervento di Dio, nella storia, per tutti. Il più inatteso e il più sorprendente. Perché dopo aver salvato dal nulla, dalla schiavitù, dall’esilio, Dio doveva ancora salvarci da un ultimo nemico, che è la morte. La morte, e cioè il peccato, perché la morte è ogni luogo della vita dove Dio è assente, dove l’uomo manca la relazione con Lui. Questo è il vero fallimento della vita; cioè la vita non è senza senso quando ci manca qualcosa, quando sperimentiamo il dolore, la fatica, ma quando ci manca il Signore, quando siamo soli, senza di Lui. La morte è lì dove Dio non è Padre, dove non c’è Lui come sorgente di vita. Nel vangelo di Giovanni, più che in ogni altro vangelo, Gesù parla di Suo Padre. Praticamente, prima del racconto della passione, non c’è capitolo in cui Gesù non parli del Padre. Gesù parla di ciò che gli stà più a cuore, di ciò che lo costituisce nella sua identità, di ciò che lo fa essere. C’è una ricchezza infinita e affascinante di espressioni e di termini con cui Gesù parla di suo Padre, e Gesù è completamente preso da questa volontà del Padre di dare all’uomo la vita eterna, di salvarlo dalla morte. Questo è ciò che sta a cuore al Padre, e quindi anche al Figlio. Gesù dice chiaramente che il Padre non lo lascia mai solo, che tra loro c’è una relazione costante, sempre aperta, vera. Anzi, c’è una parola chiave che dice la certezza di questa relazione tra Gesù e il Padre, ed è la parola “sempre”. Gesù la usa almeno 2 volte: - Al capitolo 8 v. 29, quando Gesù dice che Lui non fa nulla da se stesso, ma fa e dice le cose del Padre. E aggiunge: “ Io faccio sempre le cose che gli sono gradite” - Nel racconto della resurrezione di Lazzaro (Gv 11,42), quando Gesù dice: “Padre, io so che sempre tu mi ascolti” C’è dunque un sempre del Figlio verso il Padre, e uno del Padre verso il Figlio. C’è una fedeltà reciproca assoluta. Ed è bello perché questo “sempre” in greco è πάντοτε, da πάν, che vuol dire “tutto”. è qualcosa più di un semplice indicazione temporale; indica piuttosto una completezza, una totalità: questa relazione fra il Padre e il Figlio è tutto, è la vita, la pienezza. Sempre. Gesù ha la certezza che il Padre non lo lascia solo, è sempre con Lui, che la stessa fedeltà che ha usato verso il popolo d’Israele ora il Padre l’avrà verso di Lui. E quindi che questa relazione tra Padre e Figlio non verrà mai meno, sarà sempre viva, che il Padre sarà sempre sorgente di vita per il Figlio. È con questa certezza che Gesù entra nella morte. Gesù entra nella morte con questo “sempre”, e quindi Gesù porta anche lì il “sempre” del Padre, la sua fedeltà. Ci entra con questa fiducia, una fiducia drammatica, che al Getsemani e sulla croce abbiamo visto essere frutto di una lotta durissima. Ma mai Gesù viene meno nel suo rivolgersi al Padre, questa relazione “tiene”, anche quando viene meno tutto il resto, anche quando viene meno la vita. Anche quando il Padre sembra venir meno, Gesù rimane nella fiducia, e va fino in fondo nel dare la vita, nel fare la volontà del Padre, nel far coincidere la propria vita, la propria volontà con quella del Padre. Lì dove l’uomo aveva peccato, aveva creduto che Dio gli stava dando la morte e non la vita, lì Gesù crede che il Padre gli sta dando la vita e non la morte. E lo crede, e si fida, al di là di ogni evidenza. Allora cos’é la morte per Gesù?


La morte per Gesù è affidare la vita al Padre. Non è affidarla al nulla, non è buttarla via, non è disprezzarla, ma rimetterla completamente a Colui che questa vita te l’ha data, che ne è la sorgente infinita, che la custodisce, e che te la restituisce. Questo è ciò che avviene nella risurrezione. Avviene che non c’è più luogo dove il Padre non sia presente, che neanche la morte è più questo luogo, per cui la morte non puó trattenere Gesù, perché Gesù appartiene al Padre, perché questa relazione è più forte di tutto, e ha tenuto, ed è rimasta viva anche nella morte. Gesù non è avvolto dalla morte perché è avvolto dalla vita che il Padre gli dà. Per cui oggi i discepoli vanno al sepolcro, ma non trovano nulla. In Giovanni, non ci sono annunci espliciti della passione e della risurrezione, come negli altri vangeli sinottici. Ma Gesù l’aveva detto più volte, che il “luogo” della sua vita è il Padre, che da Lui veniva e a Lui ritornava, che l’ultima tappa non sarebbe stato il sepolcro, ma la vita del Padre. Tutto questo cosa dice a noi, oggi? Cos’é la Pasqua per la nostra vita? Dice che questo “sempre”, questa pienezza di relazione che c’è tra il Padre e il Figlio, da quel mattino di Pasqua, è anche nostra. Prima di allora questo non era possibile, perché rimaneva la morte come luogo dove la fiducia nel Padre non era ancora entrata, dove l’uomo era ancora solo. Ora anche noi siamo avvolti dalla vita del Padre, perché Gesù, donando lo Spirito, ci dona questa relazione tra Lui e il Padre, ci dona questo “sempre”. E quindi, concretamente, non c’è luogo della nostra esistenza, della nostra storia, che non possa essere potenzialmente casa di Dio, luogo di incontro con Lui. Perché la nostra salvezza è questa relazione, il nostro essere figli. Che non significa che siamo esenti dall’esperienza della prova, del dolore, del buio. Tutto questo rimane, ma non è più una condanna: in ognuna di queste situazioni puó entrare la fiducia che Dio è con noi, che anche da lì Lui puó trarre la vita. Che anche lì Lui darà la vita, e non la morte. Pensiamo un attimo a tutte le situazioni di morte che ci avvolgono: se ci crediamo, se crediamo alla forza dello Spirito, alla forza della Parola, se le affidiamo a Lui, se le facciamo diventare domanda, preghiera, grido, allora queste stesse situazioni diventeranno un sentiero di vita. Ciò che fa risorgere anche la nostra vita, dunque, è il dono di una relazione nuova con Dio, una relazione stabile e definitiva. Ed è ciò che ora celebriamo, nell’Eucaristia. Ci sia dato di celebrarlo anche nella vita di ogni giorno.


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