# 002

Page 1

LE PROVOCAZIONI DI FULVIO di Fulvio Forrer Un centimetro ogni tre anni “Eurasia” slitta verso nord-ovest ed i riferimenti per la navigazione satellitare (GPS) devono essere ricalibrati

Sentieri Urbani

Rivista semestrale della Sezione Trentino dell’Istituto Nazionale di Urbanistica

Numero 2 - ottobre 2009

Issn: 2036-3109 Poste Italiane Spa spedizione in a.p. D.L. 353/2003 (conv. in L 27/02/04 nr. 46) art. 1, comma 2, CNS Trento anno I - numero 2 diffusione gratuita

Le cime, i versanti, i singoli massi con i tempi della geologia scendono inesorabilmente verso valle e le protezioni artificiali difficilmente riescono a contenere i movimenti, il più delle volte rincorriamo le emergenze

Quantitativamente oggi piove quasi come nel passato (da noi –10%), ma la distribuzione degli eventi rende le precipitazioni più distruttive, i corsi d’acqua oggi sono configurati per aumentare le ondate di piena, ed il territorio mostra come sia stato utilizzato in modo incompatibile

I conoidi, per disegno morfologico, sono da sempre l’accumulo di detriti incoerenti, ma oggi vengono attraversati di infrastrutture viarie, sono localizzazione per insediamenti stabili e nella loro destinazione d’uso sono oggetto di studio per prevenire catastrofi

In questo numero:

1989 1989--2009 DIECI ANNI DI VALUTAZIONE AMBIENTALE STRATEGICA PARTECIPAZIONE: MODALITÀ ANCORA POSSIBILE POSSIBILE?? I boschi ed i corsi d’acqua fanno la differenza... GAIA è VIVA !


Sentieri Urbani 2 indice

Sentieri Urbani rivista semestrale della Sezione Trentino dell’Istituto Nazionale di Urbanistica nuova serie anno I - numero 2 ottobre 2009 registrazione presso il Tribunale di Trento n. 1376 del 10.12.2008 Issn 2036-3109 direttore responsabile Alessandro Franceschini direttore@sentieri-urbani.eu redazione Fulvio Forrer, Paola Ischia, Giovanna Ulrici, Massimiliano Vanella, Bruno Zanon redazione@sentieri-urbani.eu hanno collaborato a questo numero: Silvia Alba, Giorgio Antoniacomi, Marta Bertolaso, Chiara Bragagnolo, Rose Marie Callà, Elisa Coletti, Valentina Dallafior, Mario Forni, Davide Geneletti, Elena Ianni, Elisabetta Miorelli, Maurizio Siligardi, Maurizio Teli, Beppo Toffolon, Michele Valdo tipografia Rotooffset Paganella s.a.s. di Roberto Alessandrini &C via Marchetti, 20 38122 Trento abbonamenti Per ricevere Sentieri urbani è sufficiente inviare una e_mail indicando i dati postali di chi desidera abbonarsi alla rivista: diffusione@sentieri-urbani.eu Sentieri urbani è a diffusione gratuita. Per contribuire concretamente al sostentamento della rivista è sufficiente una donazione, anche simbolica, sul conto corrente intestato all’Inu Trentino presso la Cassa Rurale di Trento IBAN IT63M0830401813000013330319 contatti: www.sentieri-urbani.eu 328.0198754 editore Istituto Nazionale di Urbanistica Sezione Trentino Via Oss Mazzurana, 54 38122 Trento direttivo 2007/2009 Fulvio Forrer (presidente) Maurizio Tomazzoni (vicepresidente) Giovanna Ulrici (segretario) Alessandro Franceschini (tesoriere) Bruno Zanon (consigliere) Paola Ischia (consigliere) Massimiliano Vanella (consigliere) In copertina: Paesaggio urbano all’Iterporto di Trento nord (foto archivio Inu/Trentino)

Editoriale La coerenza delle grandi scelte di F. Forrer, A. Franceschini

pag. 2

Spazio&Società Appunti sulla nuova Alta Velocità del Brennero pag. 4 di F. Forrer Sperimentare la perequazione: l’esperienza di Pergine V. pag. 5 di E. Coletti, E. Miorelli Trento verso un nuovo piano strategico pag. 12 di G. Antoniacomi Un tram per Trento: una meta-proposta progettuale pag. 14 di M. Forni Una città virtuale per la sicurezza urbana pag. 20 di R. M. Callà Tecnologia come attività riflessiva: il progetto M.I.C. pag. 22 di M. Teli Quartiere Solteri: coinvolgere gli abitanti per progettare la città di S. Alba pag. 24 Territorio&Paesaggio L’uso di indicatori per il confronto tra scenari nella Vas di D. Geneletti, C. Bragagnolo . Ecosistemi fluviali e pianificazione territoriale di V. Dallafior, M. Bertolaso, M. Siligardi Il colore del paesaggio antropico di B. Toffolon Diversità biologica e culturale: riflessioni ecosistemiche di E. Ianni La dimensione strategica della pianificazione intervista a R. Mascarucci a cura di M. Valdo Vita associativa Relazione del Consiglio direttivo uscente a cura della redazione La nota del presidente di F. Forrer Attività in Commissione nazionale di P. Ischia Gli strumenti della pianificazione di G. Ulrici Chi siamo, cosa vogliamo, come partecipare a cura della redazione Biblioteca dell’urbanista a cura della redazione

pag. 33 pag. 38 pag. 42 pag. 44 pag. 46

pag. 48 pag. 49 pag.49 pag. 50 pag. 53 pag. 54


e d i t o r i a l e

La coerenza delle grandi scelte di Fulvio Forrer, Alessandro Franceschini

Oggi ci troviamo di fronte a un nuovo momento di pianificazione della mobilità a larga scala: il progetto di Metroland, previsto nel nuovo Piano urbanistico provinciale, ripropone in chiave moderna l’ottocentesco piano di Paolo Oss Mazzurana, adeguandolo ai tempi

I

n questo autunno 2009, esattamente l’11 ottobre, si sono svolte le celebrazioni per il centesimo anniversario della Ferrovia Trento-Malé. In particolare un Convegno internazionale (“Quale futuro per le ferrovie di montagna?” svoltosi a Trento, presso la Facoltà di Sociologia, il 9 e il 10 ottobre) ha posto l’attenzione sul senso e sull’attualità della mobilità su ferro nelle Alpi. Alla fine dell’Ottocento il Trentino fu protagonista di una delle più grandi operazioni di pianificazione mai fatte in precedenza: sotto la spinta propulsiva di Paolo Oss Mazzurana venne progettata una fitta rete di collegamenti tranviari fra il capoluogo e la valli limitrofe. Non tutto il progetto venne realizzato: furono solo costruite la tratta del Noce, quella fra Riva e Rovereto, la OraPredazzo. Quest’ultime furono dismesse nel corso del Novecento. Solo la TrentoMalé è arrivata ai giorni nostri e si propone oggi in tutta la sua modernità. Cento anni dopo, ci troviamo di fronte a un nuovo momento di pianificazione della mobilità a larga scala: il progetto di Metroland, previsto nel nuovo Piano urbanistico provinciale (Pup 2008), che ripropone in chiave moderna la “visione” di Paolo Oss Mazzurana, adeguandola ai tempi. Quest’idea, molto suggestiva, di collegare centri periferici alla città con treni metropolitani ad alta velocità, deve però essere affiancata a scelte urbanistiche coerenti, per evitare investimenti su più fronti che non fanno altro che indebolire la forza delle visioni e delle scelte di campo.

ri. In città il trasporto pubblico offre un servizio compatibile con questa tempistica, ma solo quando organizzato in modo efficiente. Questo permette al servizio pubblico di catturare utenza in quantità sufficiente a giustificarne i costi (ovvero almeno il 30% dell’utenza). Più è grande la città più sono differenti i mezzi utilizzati/utilizzabili per lo spostamento, che devono comunque dare la sensazione di non impiegare troppo tempo. Cinque minuti a piedi, poi il mezzo pubblico e quindi altri pochi minuti per recarsi a destinazione (casa-lavoro-studio). Anche Trento, piccola città ma capoluogo di provincia, vive con questi tempi di mobilità ed ora che il trasporto pubblico riflette sul suo futuro per la sua organizzazione provinciale, questi sono anche i tempi di riferimento per costruire un modello di città metropolitana che avvicini le valli. Appare in ogni caso evidente che oggi l’autovettura privata è più competitiva rispetto al trasporto pubblico: è più veloce, più elastica nell’utilizzo. Ovviamente è anche economicamente più cara e maggiormente inquinante. Quest’ultimo fattore, però, non trova un riscontro economico individuale in quanto ricade nei costi collettivi e quindi il confronto tra trasporto pubblico e trasporto privato risulta sbilanciato e falsato. Il trasporto pubblico, ciò nonostante, è fortemente competitivo (con le sue scarse emissioni inquinanti) ed economicamente vantaggioso: “Tu risparmi. La città ci guadagna” era lo slogan usato da Trentino trasporti per pubblicizzare il mezzo pubblico.

C

P

ome ha sottolineato Nadio Delai al Convegno sopra citato, nella coscienza ancestrale dell’uomo, lo spostamento giornaliero ideale è di circa trenta minuti: mezz’ora per “andare” e mezz’ora per “tornare”. Erano i tempi della caccia per l’uomo neolitico. Ma anche quelli utilizzati dal contadino per andare nei campi nelle epoche successive ed oggi per il normale pendolarismo. È la cadenza massima che viene sopportata con serenità, è un tempo che influisce, ma non troppo, sulla qualità della vita: è, insomma, un tempo accettato comunemente. La nostra mobilità individuale quotidiana è perciò quella che rientra in questi valo-

roviamo ad estendere questo concetto, ovvero i “trenta minuti”, alle Dolomiti, patrimonio dell’umanità. Questa è la risposta fatta dalla Provincia di Trento con il Piano Urbanistico Provinciale, illustrata al Convegno da Raffaele De Col: la rete dei collegamenti ferroviari chiamati “Metroland”. Un quadro di collegamenti veloci che avvicina le valli ai principali nodi del fondovalle (Trento, Rovereto, Borgo), ovvero con i corridoi europei (corridoio 5 e Valsugana) e quindi all’apertura internazionale. L’accessibilità delle montagne dolomitiche è quindi fattore strategico nelle politiche provinciali dove, per ragioni squisitamente ambientali, la loro visita e il loro


e d i t o r i a l e

godimento vengono auspicati principalmente tramite utilizzo del mezzo pubblico. Ma l’auspicio non basta: servirà il governo della mobilità e l’esistenza di infrastrutture sostenibili (ambientalmente, ma anche economicamente). Ovviamente l’eventuale offerta di trasporto pubblico sarà in grado di avvicinare anche il residente e, quindi, di raggiungere il mito della rapida accessibilità per l’intero territorio. Tuttavia i numeri di coloro che gravitano sulla città di Trento quotidianamente non giustificano un collegamento ferroviario a rete, ma solo in qualche caso ben circoscritto e, comunque, solo dentro ad una logica di sinergia con il turismo potrebbe riuscire a giustificare tali costi: ovvero una rete intermodale e di interscambio. Le perplessità provengono dalla portata dell’innovazione che comporta differenti modi di vivere e concepire il territorio trentino; dalla efficienza della conseguente intermodalità, piedi, gomma, ferro, gomma piedi (rimarrà nei 30 minuti circa?); dalla efficacia del sistema le potenziali fermate internazionali (ci saranno?). Il servizio soddisferà coloro che potrebbero gravitare su questa opportunità? Quante persone dalle valli hanno il bisogno di andare in città in mezz’ora? Ci sarà una adeguata capacità di controllo della lievitazione dei prezzi di mercato delle aree edificabili conseguenti ad una simile offerta. Con quale ricaduta delle plusvalenze nella varie località toccate? A questo va aggiunto, come corollario, che recentissimamente sono stati realizzati nuovi importanti assi viari come la Variante di Taio e di Mezzolombardo, la nuova tangenziale di Trento-sud, il potenziamento della SS47 della Valsugana, la bretella di Mori, ma anche le gallerie di Giovo, le sistemazioni del Limarò e così via. Tutte opere che hanno fortemente consolidato nei cittadini l’uso intensivo dell’automobile come unica modalità. L’innovazione del ferro funzionerà solo ben governata e sostenuta. La scelta espressa nel Pup per una rete di trasporto pubblico su ferro ad alta efficienza è una scelta totalmente condivisibile, ma il nodo di riflessione è la validità di questa innovazione in un quadro così compromesso. Quello paventato è semplicemente un riequilibrio modale o effettivamente

una scelta di assetto futuro?

A

rafforzare la nostra riflessione viene una condizione considerata ineludibile, e sottolineata al Convegno da Willi Hüsler: la scelta del “Modal split”. Ovvero: se s’investe nelle infrastrutture la gomma è bene non investire in ferro, e viceversa. Gli esempi in tal senso sono numerosi, si veda il risultato ottenuto dal tunnel ferroviario del passo Furka (Ch) o del passo Fluela (Ch), ma anche l’esito economico di Zermatt nei confronti delle località turistiche concorrenti, sempre svizzere. Tutti risultati ottenuti sulla base della costruzione di infrastrutture tra loro antagoniste, che ha visto la costruzione di importanti collegamenti ferroviari che hanno dimostrato la validità alpina di questa opportunità e che hanno avuto dirette ripercussioni sulla vita economica e sociale di determinate località, in un quadro coerente di scelte. Altro esempio è quello del ripristino della ferrovia della Val Venosta i cui differenti risultati si misurano nel tratto di concorrenza della ferrovia con la superstrada MeBo, tra Merano e Bolzano: ad offerta concorrente vince la macchina: sicuramente per ragioni di comodità, ma soprattutto per pigrizia. In val Venosta, invece, l’offerta della ferrovia è vincente, in sinergia con il turismo, e a fronte di una strada statale non a scorrimento veloce. Scegliere è la soluzione obbligata per sgonfiare i bilanci pubblici, dentro ad una logica di razionale uso delle risorse con visione lungimirante e parsimoniosa. Questa è di fatto una scelta controcorrente con i meccanismi del consenso: oggi si decide per vincere le prossime elezioni: si decide pensando alla percezione dei cittadini di oggi e non di quelli che di fatto useranno tali infrastrutture in futuro. Una dicotomia che gli attuali sistemi elettorali non affrontano mai. Una strada ad esempio lascia il proprio segno per almeno mille anni, una ferrovia invece vede tempi di vita più brevi, ma comunque maggiori a quelli della vita di un uomo. Queste scelte vanno quindi prese e portate a termine con coerenza e lungimiranza, utilizzando tutti gli strumenti predittivi che supportano la decisione. Che permettano di scegliere al meglio per la comunità.

Si tratta di scelte che vanno perseguite con coerenza e lungimiranza, utilizzando tutti gli strumenti predittivi che supportano le decisioni di pianificazione


4 /

Sentieri Urbani

Spazio&Società

Appunti (in ordine sparso) sulla nuova ALTA VELOCITÀ DEL BRENNERO di Fulvio Forrer 1. L’esperienza svizzera di applicazione della tassa sul traffico pesante commisurata alle prestazioni (TTPCP) in vigore dal 2001 testimonia che il tema del traffico può essere affrontato con misure regolamentarie di alta efficacia senza comportare l’esborso di ingenti risorse finanziarie necessarie per realizzare imponenti opere infrastrutturali che implicano ricadute ambientali e sociali di elevata entità. Un’altra riprova è l’abrogazione degli Ecopunti sulla tratta austriaca della Autobrennero che ha determinato le migliori condizioni per un incremento abnorme dei transiti pesanti lungo il canale del Brennero, più a sud che a nord delle Alpi, per la totale assenza di misure correttive applicate su versante italiano. Inoltre è difficile condividere la prospettiva che per il solo motivo di essere disponibile una nuova infrastruttura le modalità di trasporto si orienteranno naturalmente verso la nuova offerta, sono quindi indispensabili misure di governo dei transiti alpini che concernino sia la verità dei costi, che il contingentamento di limiti prefissati. 2. Appare riduttiva la previsione di RFI di valutare la capacità dell’attuale linea ferroviaria potenziata, quanto di quella futura, in appena 220-240 convogli-giorno (soglia limite), di cui 60 treni-persona e 160 treni-merci per una capacità complessiva di circa 20 milioni di ton−anno oggi sfruttata al 50%; con sistemi di controllo del traffico ferroviario di tipo automatizzato e a condizione di assenza di interferenze a raso con la rete viaria, pressoché già realizzate la linea del Brennero, potrà ospitare già dal prossimo anno 40 treni al giorno in più, che potranno diventare nel giro di pochi anni 100 in più con modesti investimenti, per cui l’attuale linea potrà triplicare la sua capacità di trasporto. 3. L’autostrada viaggiante non è la migliore soluzione per la intermodalità, quindi organizzata la logistica e la trasportistica, i convogli potranno passare da una media di capacità di trasporto inferiore a 500 ton treno a oltre 700 ton

pensare che la recente nuova linea ferroviaria della Val Venosta ha già un numero di viaggiatori superiore a quello del Brennero, quindi serve rafforzare e razionalizzare l’attuale linea con l’offerta di trasporto persone a scala regionale.

treno, fino a ipotizzare una capacità media futura di 100 ton, portando il potenziale annuo nell’ordine dei 60 milioni di tonnellate anno. 4. Ciò non inficia l’opportunità di rinnovare l’intera infrastruttura ferroviaria con una nuova linea, ma significa anteporre la risoluzione dei problemi esistenti anziché costruire scenari apocalittici e privi di legame con le condizioni di sviluppo della società moderna: i costi del petrolio e l’organizzazione dei sistemi produttivi pone oggi in essere una circolazione di merci assolutamente anomala, che con tutta ragionevolezza ci troveremo a dover modificare in ragione dell’aumento dei costi per i carburanti e della farraginosità di sistema. 5. Merita avere presente che l’ideazione delle reti trans-europee è finalizzata a garantire condizioni omogenee e agevoli di collegamento continentale, non finalizzate al contenimento dei tempi. È indispensabile avere chiara la ripartizione delle convenienze tra differenti modalità di spostamento: le lunghe tratte persona sono destinate al trasporto aereo, mentre quelle merci al trasporto marittimo o su ferro, solo il 10% degli spostamenti ha origine-destinazione in luoghi molto lontani, mentre le restanti percorrenze si assestano su tragitti di medio-breve percorrenza. Da ciò deriva la necessita di caratterizzare la nuova linea del Brennero per il trasporto merci che oggi sconta velocità di crociera dei convogli merci a 80-100 Km/h, quindi su parametri progettuali congrui. Il fattore forte del trasporto su ferro sarà il trasporto interregionale e metropolitano, basti

6. La previsione dell’aumento di passaggi treno merci sulla attuale linea del Brennero che si verificherà sia nel caso di nuova linea che di maggiore utilizzo di quella esistente, ciò impone di realizzare in modo urgente e non differibile quelle misure di contenimento dei livelli di rumore connessi al transito dei treni merci sulla ferrovia. 7. Di qui anche la necessità di ammodernamento del parco mezzi viaggiante con carri autoprotetti e barriere assorbenti, nonché gallerie vegetali di assorbimento del rumore e misure di valenza mimetica. 8. I costi complessivi del transito attraverso le alpi va commisurata al danno ambientale generato durante l’attraversamento, quindi la percorrenza attraverso il corridoio del Brennero deve costare due volte di più rispetto alle altre percorrenze transalpine, ovvero il prezzo attuale deve essere triplicato. 9. Sull’Autobrennero, in ragione delle particolari condizioni climatiche invernali presenti nelle alpini, vanno proibiti i transiti con i camion Euro 0 ed Euro 1 e va esteso il divieto di sorpasso tra mezzi pesanti lungo tutta la tratta alpina con lo scopo di ridurre le emissioni inquinanti e elevare le condizioni di sicurezza della circolazione automobilistica. 10. Tutto il progetto si deve quindi caratterizzare per la creazioni di più elevate condizioni di vivibilità delle valli alpine, contemplando sia gli impatti sociali già richiamati che la qualità ambientale come requisito indispensabile per non compromettere in una porzione significativa di territorio alpino le condizione per esercitare il turismo: attuale principale introito delle casse locali.


Spazio&Società

Sentieri Urbani / 5

Sperimentare la perequazione: l’esperienza di Pergine Valsugana di Elisa Coletti, Elisabetta Miorelli «La perequazione non è una cosa semplice, non è la bacchetta magica. È un metodo serio per affrontare le cose, ma come tutte le cose richiede fatica e studio. È necessario rinunciare al sogno di soluzioni semplici per cose complesse». Ezio Righi

1. Le premesse Con l’adozione del Piano Regolatore Generale, avvenuta nel 2000, il Comune di Pergine Valsugana ha avviato un percorso particolarmente innovativo in materia di pianificazione urbanistica: attraverso tale Piano sono stati infatti introdotti nella prassi urbanistica comunale elementi di grande originalità che hanno consentito di svincolare la progettazione edilizia da vincoli puramente quantitativi in virtù di nuovi parametri di carattere qualitativo. Questa impostazione complessiva è stata confermata anche dalla pianificazione successiva che negli anni più recenti ha affrontato e dato riscontro ad una serie di questioni maturate nel corso del dibattito urbanistico sulla città, come ad esempio l’interramento della ferrovia della Valsugana ed il recupero di aree industriali dismesse, lasciandone volontariamente aperte altre ancora non sufficientemente “metabolizzate” nella riflessione urbanistica non solo locale, ma anche provinciale. Tra queste, l’opportunità di introdurre nel Piano Regolatore Generale del Comune di Pergine lo strumento della perequazione urbanistica, concretatasi solo in seguito all’approvazione dell’ormai nota Legge Provinciale 11 novembre 2005, n. 16, “Disciplina della perequazione, della residenza ordinaria e per vacanze e altre disposizioni in materia di urbanistica”.

Riguardo questo particolare aspetto, un passo significativo è stato compiuto con la redazione nell’anno 2007 del documento “Indirizzi per aggiornamento e varianti al Piano Regolatore Generale”, che ha posto le basi per la successiva elaborazione di uno specifico “Atto di indirizzo per l’applicazione della perequazione urbanistica sul territorio di Pergine Valsugana” approvato dal Consiglio Comunale nel primi mesi del 2009, che raccoglie nella sostanza le regole e i criteri finalizzati alla applicazione della perequazione urbanistica sul territorio comunale nell’ottica del perseguimento di obiettivi di equità nelle distribuzione di vantaggi e costi della pianificazione. Tale atto di indirizzo si configura come un documento di riferimento metodologico per la redazione di future varianti urbanistiche al Piano Regolatore Generale improntate all’individuazione e alla disciplina degli ambiti territoriali di perequazione. Secondo la nuova legge urbanistica provinciale 1/2008, che ha recepito le disposizioni previste dalla legge provinciale 16/2005, l’attuazione della perequazione urbanistica è subordinata, infatti, alla redazione di piani attuativi e/o programmi integrati di intervento, la cui previsione è possibile solo attraverso varianti urbanistiche. A questi strumenti spetterà quindi individuare dove e come applicare la perequazione sulla base dei progetti e dei programmi di interesse pubblico che l’Amministrazione vorrà perseguire in relazione agli obiettivi di attuazione della città pubblica, in termini di dotazione di servizi collettivi (attrezzature pubbliche, scolastiche, infrastrutture, verde pubblico, edilizia abitativa agevolata, ecc.).

Pergine Valsugana vista da nord-ovest


Sentieri Urbani

Spazio&Società

CLASSI

Territorio Urbano PIANO DELLA CLASSIFICAZIONE

6 /

Territorio Periurbano

SOTTOCLASSI

Territorio urbano del centro storico Territorio urbano consolidato Territorio urbano delle aree libere e dei vuoti urbani Territorio periurbano per la trasformazione Territorio periurbano marginale Territorio aperto – aree agricole Territorio aperto – aree agricole periurbane

Territorio Aperto

Territorio aperto – aree agricole di valore paesaggistico Territorio aperto – aree a bosco e aree naturali/naturalistiche Territorio aperto – aree costiere e del sistema piste-impianti Territorio aperto – reti viarie maggiori e reti ferroviarie Territorio aperto – aree idriche principali

L’“Atto di indirizzo per l’applicazione della perequazione urbanistica nel territorio di Pergine Valsugana” è inteso pertanto come opportunità per integrare, completare e rendere più efficaci ed eque le scelte del pianificatore, senza peraltro fare della perequazione uno strumento obbligatorio: la disciplina provinciale di riferimento prevede infatti la facoltà e non l'obbligo da parte dei comuni di elaborare il piano regolatore secondo tecniche ispirate alla perequazione. Va sottolineato quindi che il documento non ha individuato i perimetri e gli ambiti entro cui applicare la perequazione, ma ha esclusivamente analizzato il territorio suddividendolo in classi che ne rispecchiano la situazione di fatto e di diritto, secondo quanto previsto dalla legge e nel pieno rispetto del principio di equità. L’individuazione dei perimetri entro cui applicare la perequazione, siano essi in ambito urbano o esterno, saranno eventualmente individuati e disciplinati attraverso piani attuativi oggetto di specifiche varianti urbanistiche al Piano Regolatore Generale vigente. La scelta di avvalersi di uno strumento amministrativo come l’atto di indirizzo nasce da una duplice esigenza: da una parte l’opportunità di creare un quadro di riferimento generale per l’applicazione della perequazione urbanistica estesa a tutto il territorio comunale da cui poi le singole varianti urbanistiche possano prelevare regole e criteri verificati e dimensionati sul territorio complessivo, dall’altra la convenienza di utilizzare un atto di indirizzo di tipo politicoamministrativo, strumento più flessibile e all’occorrenza più agevolmente modificabile rispetto al piano urbanistico nel caso in cui con l’applicazione operativa della perequazione potessero riscontrarsi nuovi e tali elementi da rendere necessaria una revisione nella strutturazione del metodo.

2. La struttura dell’atto di indirizzo per l’applicazione della perequazione urbanistica sul territorio di Pergine Valsugana. Il percorso di costruzione dell’Atto di indirizzo ha seguito sostanzialmente la procedura delineata dall’articolo 53 della Legge Provinciale 4 marzo 2008 n. 1, “Pianificazione urbanistica e governo del territorio”, che subordina l’applicazione della perequazione alla individuazione di indici edificatori convenzionali che definiscono la capacità edificatoria attribuita ai terreni, sulla base dello stato di fatto e di diritto indipendentemente dalle destinazioni urbanistiche. Tali disposizioni sono state tradotte nel documento attraverso un ragionamento che si è via via arricchito grazie ad un articolato ma indispensabile percorso di ricerca che è si è sviluppato su più fronti: lo studio della letteratura prodotta in ambito italiano sul tema della perequazione urbanistica, la partecipazione a seminari e corsi formativi, la condivisione e l’approfondimento di esperienze dirette condotte da altri comuni italiani ed in particolare di quello di Casalecchio di Reno (BO), dove da più di vent’anni si applica la perequazione urbanistica negli strumenti di pianificazione. La classificazione del territorio Tradurre lo stato di fatto e di diritto in una sistematica e solida classificazione del territorio è il fondamento della perequazione urbanistica: il suo scopo è di ancorare i diritti edificatori spettanti ai proprietari dei terreni a connotati strutturali del territorio, prescindendo dalle destinazioni urbanistiche specifiche. La classificazione, che ha efficacia sull’intero territorio comunale, costituisce il criterio attraverso cui sono attribuite le potenzialità edificatorie alle diverse parti del territorio e rappresenta la base per l’applicazione delle regole di perequazione urbanistica. Dal punto di vista operativo il territorio comunale è stato suddiviso in classi e sottoclassi me-


Spazio&Società

diante il riconoscimento delle differenti situazioni di fatto e di diritto riscontrate al momento della redazione dell’atto di indirizzo. Lo stato di fatto rispecchia le aspettative urbane e la struttura dei luoghi differenziati e differenziabili in base a numerosi fattori, tra i quali ubicazione, uso e livello di conservazione dell’edificato esistente. Lo stato di diritto rappresenta il perimetro del territorio urbano, la presenza di vincoli di inedificabilità e le regole consolidate da convenzioni urbanistiche, stipulate prima dell'adozione dello strumento urbanistico vigente e che risultano ancora in vigore. La classificazione del suolo ha assunto come elemento fondante il principio affermato dalla Corte costituzionale per il quale il territorio, sotto il profilo dei valori di esproprio, può essere suddiviso in tre grandi categorie: - urbanizzato, dove il valore del terreno ha sicuramente un valore determinato dalla tangenza delle urbanizzazioni e dunque da una sorta di edificabilità intrinseca; - periurbano, non urbanizzato, ma prossimo all’urbanizzato, ove il valore del terreno é determinato da una media tra il valore di un terreno edificabile e il valore di un terreno agricolo; - agricolo, dove il valore del terreno é esclusivamente agricolo data la lontananza delle urbanizzazioni. Ad ognuna di queste categorie di suoli, a fini espropriativi, ma ugualmente a fini perequativi, è giusto e logico che corrispondano valori diversi: diversi in termini economici per quanto riguarda l’esproprio, diversi in termini di edificabilità per quanto riguarda l’applicazione del metodo perequativo. La classificazione ha fatto proprio tale principio individuando come classi principali il Territorio Urbano, il Territorio Periurbano e il Territorio Aperto. Le tre classi sono articolate in ulteriori sottoclassi, inevitabili per descrivere la complessità del territorio interessato e la varietà dei fattori che lo caratterizzano. Le differenze tra le classi sono sostanziali. L’esito della classificazione del territorio è rappresentato nella Carta della Classificazione del territorio, allegata a mero titolo ricognitivo all’atto di indirizzo. Il Territorio Urbano comprende le parti di territorio che ricadono nelle zone specificamente destinate all’insediamento così come individuate dal vigente P.R.G. e contiene aree completamente edificate e lotti interclusi. Si tratta dunque di parti del territorio su cui è già avvenuta l'edificazione o la trasformazione dei suoli siano esse aree completamente edificate o aree libere intercluse o di completamento. Questa classe si suddivide in Territorio Urbano del Centro Storico, Territorio Urbano Consolidato e Territorio Urbano delle Aree Libere e dei Vuoti Urbani. La prima sottoclasse rappresenta le aree di antico insediamento e di interesse culturale e ambientale, classificate come zone omogenee di categoria “A” secondo il D.M. 02.04.1968 n. 1444, le quali ricomprendono gli immobili, isola-

Sentieri Urbani

ti o riuniti in complessi, che, per il loro valore, possono e debbono essere conservati. La sottoclasse del Territorio Urbano Consolidato comprende la porzione del territorio urbano che si trova al di fuori del Centro Storico, costituita da tessuti insediativi edificati ovvero da tessuti non ancora edificati ma che si trovano in regime operativo pianificato ovvero che presentano una superficie complessiva inferiore ai 5.000 mq. La terza ed ultima sottoclasse, quella del Territorio Urbano delle Aree Libere e dei Vuoti Urbani, comprende la porzione del territorio urbano che si trova al di fuori del Centro Storico, costituita da tessuti insediativi non ancora edificati o che si trovano in regime non operativo, di dimensione superiore a 5.000 mq. Il Territorio Periurbano comprende le parti di territorio esterne al territorio urbanizzato che presentano una potenziale attitudine del suolo alla trasformazione urbana dove, come riconosciuto dalla Corte costituzionale, una certa potenzialità edificatoria esiste a prescindere dalle previsioni urbanistiche. Si distingue in Territorio Periurbano per la Trasformazione e Territorio Periurbano Marginale. La prima sottoclasse comprende le aree non ancora urbanizzate, prossime al Territorio Urbano, passibili di trasformazione. Si tratta di terreni dotati di vocazione all’uso urbano quale potenziale alternativa all’uso agricolo il quale, con le sue peculiari regole, rimarrà il destino ordinario dei suoli fino a diversa decisione dell’Amministrazione Comunale e volontà dei proprietari. I principali fattori che hanno concorso all’individuazione di tali aree riguardano l’ubicazione del terreno, la sua accessibilità, l’attuale utilizzo e la presenza/ vicinanza di infrastrutture che attestano una concreta attitudine del suolo all’utilizzazione edilizia nonché l’assenza di specifici vincoli di inedificabilità assoluta. La seconda sottoclasse comprende gli ambiti di margine del Territorio Urbano ovvero aree aperte degradate (cave, discariche) o che sono interessate da processi di trasformazione incongrui e che presentano una valenza per interventi di valorizzazione o di riqualificazione paesaggistico-ambientale. Rispetto ai fattori che hanno concorso all’individuazione del Territorio Periurbano per la Trasformazione, le aree del Territorio Periurbano Marginale si caratterizzano per la presenza/vicinanza di infrastrutture e di urbanizzazioni, ma la posizione del terreno, la sua accessibilità o l’attuale utilizzo sono tali da non renderle particolarmente appetibili ai fini della trasformazione residenziale quanto piuttosto per interventi con finalità pubbliche o di interesse per la collettività. Il Territorio Aperto comprende le parti di territorio esterne al territorio urbanizzato che non presentano, in linea di principio, attitudine del suolo alla trasformazione urbana cioè dove il suolo non possiede altro valore che quello che deriva dalla sua natura o dalla sua vocazione produttiva. Comprende: le Aree agricole, votate, per qualità e potenzialità dei suoli, al mantenimento del carattere agricolo che le caratterizza e la cui

/ 7


8 /

Sentieri Urbani

La classificazione del territorio

Spazio&Società

salvaguardia assume un ruolo strategico sia sotto il profilo economico-produttivo che paesaggistico-ambientale; le Aree Agricole Periurbane, porzioni di territorio agricolo rimaste intercluse tra i limiti del territorio urbano e gli elementi fisici (principalmente infrastrutture e corsi d’acqua) che le delimitano, ovvero ambiti di frangia del tessuto del territorio urbano che presentano ancora caratteri del territorio agricolo e le Aree Agricole di Valore Paesaggistico, parzialmente boscate e parzialmente coltivate, che, per posizione e conformazione, costituiscono testimonianza del territorio rurale tradizionale e la cui salvaguardia assume un ruolo strategico sotto il profilo paesaggistico-ambientale. Altre sottoclassi del Territorio Aperto sono le Aree a Bosco e Aree Naturali/naturalistiche, aree boschive e forestali ovvero aree che presentano particolare interesse sotto il profilo naturalistico e ambientale e che per loro natura e per principi universalmente condivisi, non potranno mai essere urbanizzabili, le Aree Costiere e del Sistema Piste-Impianti, aree del territorio costiero del lago di Caldonazzo e dell’ambito sciistico della Panarotta, sistemi territoriali complessi entro cui interagiscono diversi fattori di tipo idrologico, geomorfologico e socio-economico, le Reti Viarie Maggiori e le Reti Ferroviarie Aree Idriche Principali. Il sistema dei vincoli Il riconoscimento puntuale dello stato di fatto e di diritto in cui si trovano i suoli non si esaurisce nella mera individuazione delle classi del territorio: la presenza di vincoli di qualsiasi natura, comportanti inedificabilità assoluta o meno, si sovrappone alla suddivisione in classi incidendo con diversi gradi di efficacia sull’applicazione delle regole perequative.

Il sistema dei vincoli individua due categorie di vincolo: vincoli ricognitivi e vincoli conformativi. I vincoli ricognitivi, come il termine stesso enuncia, discendono dalla ricognizione, o riconoscimento, dei caratteri intrinseci di un bene, inteso in questo caso come il territorio o le costruzioni che su di esso insistono, che devono essere tutelati da interventi o manomissioni in quanto appartenenti, ad esempio, al patrimonio culturale del paese o perché la loro alterazione comporterebbe concreti rischi per l’uomo. Si tratta di vincoli generalmente imposti da Enti sovraordinati al Comune, o comunque disposti dal Comune in ordine a competenze delegate, e soggetti a particolare disciplina (vincoli di tipo ambientale, idrogeologico, forestale, paesistico ecc.). Tali vincoli sono contenuti nel Piano Regolatore per fini di pubblicità e di coordinamento con lo strumento urbanistico, che non può derogarli e per essi la mancanza di previsione non comporta l’inesistenza del vincolo in quanto appunto sussistente in virtù di separati atti e competenze. I vincoli conformativi, invece, sono quelli che interessano determinati beni, non per i caratteri intrinseci di quest’ultimi, ma per l’esigenza di salvaguardia che nasce nei confronti di particolari oggetti di pubblico interesse, gravando su porzioni di terreno determinate dalla applicazione delle distanze di rispetto da impianti e luoghi pubblici. Essi vengono meno quando venga soppresso o modificato l’oggetto che li determina. Rientrano nei vincoli conformativi anche i cosiddetti vincoli “indiretti”, cioè quei vincoli posti a protezione di oggetti a loro volta interessati da vincoli ricognitivi, come ad esempio le fasce di protezione dei laghi. Il sistema dei vincoli è rappresentato nella Carta dei Vincoli, allegata a mero titolo ricognitivo all’atto di indirizzo.


Spazio&Società

Le regole perequative La perequazione urbanistica si attua attraverso l’applicazione delle regole perequative che consistono nel ragguagliamento a priori dei titoli edificatori, ovvero nel passaggio da terreno a “edificabilità” in modo che tutti i terreni che si trovano nelle stesse condizioni ricevano la medesima “edificabilità”. Le regole perequative non sono negoziabili, come la classificazione da cui discendono. Verrebbe altrimenti a cadere la certezza del diritto e lo stesso principio di equità distributiva cui esse si improntano. Le regole, enunciate nell’Atto di Indirizzo, si applicano solo negli ambiti di trasformazione/riqualificazione urbanistica dei terreni secondo le modalità previste dalla legge urbanistica (attivabili quindi solo attraverso piani attuativi e/o programmi integrati di intervento) e consistono nel riconoscere ai terreni interessati, indipendentemente dalle destinazioni d’uso conferite dal Piano Regolatore Generale in vigore, un diritto edificatorio che è determinato applicando un indice convenzionale di edificabilità, che riflette le aspettative urbane della classe di appartenenza e lo specifico stato di fatto e di diritto del suolo interessato. L’indice edificatorio convenzionale definisce la capacità edificatoria attribuita ai terreni ai fini dell’applicazione della perequazione ed è differenziato secondo la sottoclasse cui il terreno è compreso, indipendentemente dalle destinazioni urbanistiche specifiche eventualmente assegnate alle singole aree. Connotato fondamentale dell’indice edificatorio convenzionale è la potenzialità, in quanto esso esprime un diritto edificatorio che può essere esercitato dal proprietario solo dal momento in cui il terreno è chiamato a trasformazione/ riqualificazione urbanistica secondo le modalità previste dalla legge urbanistica. Fino a quel mo-

Sentieri Urbani / 9

mento la trasformazione di ogni terreno è soggetta alla disciplina del vigente PRG. L’indice è da considerarsi il fattore che traduce la superficie territoriale in quantità edificabile spettante al terreno, che non dipende dalle specifiche destinazioni d’uso previste dal Piano Regolatore vigente, ma dallo stato di fatto e di diritto. Lo sfruttamento di qualsiasi potenzialità edificatoria che il Piano Regolatore preveda oltre tale misura è prerogativa riservata alla mano pubblica e definita in ragione delle scelte di pubblico interesse. Detta quantità, definita quantità edificabile spettante al comune, è indipendente dallo stato di fatto e di diritto. La sua determinazione globale e la sua distribuzione tra i vari ambiti sono autonome scelte strategiche e operative dell’amministrazione comunale che possono essere periodicamente rivedute e corrette. L’utilizzazione della quantità edificabile spettante al comune, sia direttamente per opera dell’Amministrazione che di altri cui detta quantità viene ceduta, deve avvenire sempre e rigorosamente con il fine del pubblico interesse. I valori dell’indice edificatorio convenzionale, nel caso del comune di Pergine Valsugana sono stati desunti principalmente dalla letteratura e comunque adattati al caso specifico del territorio comunale in relazione al contesto insediativo locale. Essi riflettono la propensione e la vocazione alla trasformazione ad uso urbano dei terreni ricadenti nelle sottoclassi e traggono le equivalenze del mercato immobiliare locale. Tali valori sono stati inoltre parametrati in modo che l’ammontare complessivo del dimensionamento riferito all’applicazione dell’indice edificatorio convenzionale sull’intero territorio comunale non superi il carico insediativo previsto dal Piano regolatore vigente, determinato computan-

Il sistema dei vincoli


Sentieri Urbani

Spazio&Società

QUA N TITÀ EDIFICA BILE TOTA LE

10 /

QUANTITÀ EDIFICABILE SPETTANTE AL TERRENO

=

= +

SUPERFICIE TERRITORIALE libera da vincoli

x

INDICE EDIFICATORIO CONVENZIONALE

SUPERFICIE TERRITORIALE vincolata

x

PERCENTUALE DI APPLICAZIONE

x

INDICE EDIFICATORIO CONVENZIONALE

+ QUANTITÀ EDIFICABILE SPETTANTE AL COMUNE

=

quantificata in base a scelte strategiche

do la massima superficie utile lorda teorica realizzabile applicando l’indice di utilizzazione fondiario ammesso per le zone del sistema insediativo e produttivo, esistenti o di progetto, destinate prevalentemente ad uso residenziale, ad attività economiche (eccetto le aree destinate ad attività estrattive), a destinazione agricola (se destinate ad attrezzature di supporto alla produzione) o ad attrezzature turistiche (se adibite ad attrezzature ricettive alberghiere). All’indice edificatorio convenzionale, associato alle sottoclassi del Territorio Urbano e del Territorio Periurbano, sono quindi ulteriormente applicati coefficienti di pesatura in modo da differenziare le diverse situazioni del territorio comunale che si caratterizza per la presenza, oltre al centro urbano, di 21 frazioni e di 28 località, nel presupposto che il fattore posizionale sia quello maggiormente esplicativo delle differenze del valore immobiliare. Tali coefficienti sono stati desunti dai valori medi relativi alle quotazioni immobiliari riferite alle cinque zone individuate dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare (OMI) dell’Agenzia del territorio per il Comune di Pergine Valsugana. Secondo il principio del ragguagliamento, i vincoli intrinseci di un bene e quelli legati alla salvaguardia del bene stesso devono essere riconosciuti e incidono, in misura diversa in base al grado di efficacia, ai fini dell’applicazione dell’indice edificatorio convenzionale. I vincoli, sia ricognitivi che conformativi, possono comportare edificabilità assoluta o non assoluta, cioè condizionata dal tipo di intervento che si desidera attuare. Nel caso della trasformazione/ riqualificazione urbanistica di suoli su cui gravano vincoli, si applica solo una percentuale dell’indice edificatorio convenzionale, variabile in base al tipo di vincolo presente ed in relazione al tipo di intervento previsto. Le regole della trasformazione La perequazione urbanistica si attua, come anticipato, mediante piani attuativi o programmi integrati di intervento così come previsto dalla Legge Urbanistica. Ciascun piano dovrà quindi comprendere una scheda operativa che inquadri

lo stato di fatto, illustri gli obiettivi e i criteri di intervento, ed individui le regole della trasformazione/riqualificazione, indicando la suddivisione del suolo e le quantità urbanisticoedilizie da rispettare nella successiva fase attuativa vera e propria. L’applicazione del meccanismo perequativo comporta che la superficie di ciascun ambito attuativo sia suddivisa in una parte riservata al privato e una parte riservata al pubblico: la quantità edificabile maturata nell’ambito viene concentrata su una parte della superficie che rimane al privato e la superficie restante viene ceduta al pubblico. Perché infatti possa verificarsi il corollario della perequazione urbanistica che consiste nell’acquisizione, gratuita o a prezzo agricolo, da parte del comune di porzioni di suolo sufficientemente grandi e di idonea conformazione, da consentirgli di realizzare gli interventi pubblici impliciti nella strategia del piano, le operazioni di trasformazione/riqualificazione urbanistica devono avvenire in modo che le quantità di edificazione spettanti al privato proprietario del terreno ne impegnino solo una parte e non vengano pertanto distribuite su tutta la superficie della proprietà. Analogamente potrà essere conveniente trasferire dentro una zona ricevente diritti edificatori maturati in zone di conservazione urbanistica. Spetterà al piano attuativo l'associare strategicamente zone riceventi e zone cedenti, in modo che formino ambiti all'interno dei quali si attui compiutamente la compensazione dei diritti edificatori. In questo caso l'insieme delle zone cedenti e riceventi forma l’ambito perequativo e la quantità di edificazione spettante al un terreno potrà essere utilizzata secondo le modalità e le disposizioni individuate dalla Scheda di Piano. 3. Applicazioni del principio: obiettivi, prospettive e qualche spunto di riflessione Alla luce di quanto esposto, la perequazione urbanistica appare una valida soluzione in grado di rispondere alle esigenze attuali della pubblica amministrazione che si trova a doversi fare carico di attuare gli obiettivi pubblici di trasformazio-


Spazio&Società

Sentieri Urbani / 11

QUANTITA’ EDIFICABILE SPETTANTE AL TERRENO

SUPERFICIE TERRITORIALE

Superficie Territoriale libera

Superficie Territoriale vincolata

ne del territorio in una fase di sempre più ridotte risorse disponibili. Per comprendere a pieno questo aspetto è sufficiente richiamare che ad oggi nel territorio del Comune di Pergine vi sono circa 220.000 mq di aree soggette a vincolo di uso pubblico che non sono ancora di proprietà pubblica. La rilevante consistenza delle aree vincolate e l’onerosità dell’eventuale procedura espropriativa sono limiti oggettivi all’acquisizione di dette aree nonché alla conseguente realizzazione delle opere che vi potrebbero insistere. Considerando che i 220.000 mq ancora di proprietà privata rappresentano circa il 35% del totale delle aree a destinazione pubblica, appare piuttosto complesso prefigurare quale possa essere l’orizzonte temporale per il compimento della città pubblica. Attraverso la perequazione sarà possibile acquisire al patrimonio collettivo le aree già previste dal vigente P.R.G. senza ricorrere all’esproprio e ristorando il privato in termini di possibilità di edificare, peraltro in regime controllato, cosa attualmente non consentita dal vigente strumento urbanistico, anziché in termini di indennizzo monetario. Contestualmente eventuali future espansioni del tessuto insediativo, se pianificate con tecniche tradizionali, andrebbero a ripresentare ed accrescere il problema enunciato anche nelle aree di nuova formazione, mentre al contrario l’applicazione dei

Bibliografia Barbiero A., La gestione della perequazione e della compensazione urbanistica, FORMEL, 2008. De Pretis D., Profili giuridici della perequazione urbanistica, in Pat Il percorso di revisione del quadro urbanistico provinciale. Prospettive della perequazione urbanistica. Atti del seminario, Trento, 2003. MIcelli E., La perequazione urbanistica per la gestione innovativa dei piani urbanistici, in Pat, Il percorso di revisione del quadro urbanistico provinciale. Prospettive della perequazione urbanistica. Atti del seminario, Trento, 2003.

Quantità edificabile spettante al terreno

principi perequativi consentirebbe lo sviluppo concomitante e commisurato della parte pubblica e di quella privata. La perequazione, capovolgendo il modo attuale di pianificare le nuove aree di espansione, laddove oggi il pubblico rincorre il privato nella realizzazione delle necessarie infrastrutture e dei servizi con oneri sempre più consistenti a carico della collettività, e risolvendo i limiti posti dalla apposizione di vincoli espropriativi per la realizzazione delle strutture e dei servizi di interesse collettivo negli interventi nell’ambito urbano, rappresenta quindi uno strumento, una opportunità per pervenire ad un equilibrato sviluppo del territorio in termini di servizi pubblici e edificazione privata. Non va peraltro dimenticato che la perequazione rappresenta uno strumento, attraverso il quale garantire efficacia alla pianificazione in termini di qualità degli esiti di trasformazione del territorio, e non il fine stesso della pianificazione: un mezzo che si aggiunge a quelli già disposizione di chi pianifica al fine di realizzare buoni progetti per città migliori. “Ora, dopo aver costruito le regole bisogna sperimentare, sperimentare, sperimentare!” Stefano Stanghellini

Micelli E., Perequazione urbanistica. Pubblico e privato per la trasformazione della città, Venezia, Marsilio Editori, 2004. Morano P., La stima degli indici di urbanizzazione nella perequazione urbanistica, Firenze, Alinea Editrice, 2007. Pinamonti C., La pereqazione urbanistica: profili giuridici, in INFORMATOR, numero monografico 2000, Trento, ICA Spa, 2000. Pompei S., Il Piano Regolatore perequativo. Aspetti strutturali, strategici e operativi, Milano, Hoepli, 1998. Zanon B., Qualità urbana, mercato

immobiliare, azione pubblica. Prospettive della perequazione urbanistica, in Pat Il percorso di revisione del quadro urbanistico provinciale. Prospettive della perequazione urbanistica. Atti del seminario, Trento, 2003. Materiali vari Materiali del corso INU – Fondazione Astengo, Perequazione e compensazioni nei piani urbanistici, Roma, 26 giugno 2006. Materiali del seminario di aggiornamento INU – Fondazione Astengo, Prospettive di innovazione nella pianificazione urbanistica e nelle pratiche di governo del territorio, Trento, marzo-aprile 2008.


12 /

Sentieri Urbani

Spazio&Società

Trento verso un nuovo PIANO STRATEGICO di Giorgio Antoniacomi

È

esplosa in Italia, da un paio d’anni, la stagione dei piani strategici. Città metropolitane e piccoli comuni, medi centri urbani e intere province sembrano folgorate su una delle vie di Damasco che, di tanto in tanto, attraversano gli itinerari dell’adattamento all’ambiente delle amministrazioni locali ed i piani strategici si riproducono secondo criteri di moltiplicazione di tipo virale. La scelta di adottare pratiche strategiche di pianificazione ha in sé, qualche volta, chiare e solide ragioni, ma spesso riproduce semplicemente ed in maniera irriflessa, per ragioni emulative, le retoriche che caratterizzano l’attuale momento delle politiche pubbliche. Sono leggibili in controluce, insomma, due crinali: quello che esprime, in maniera credibile, una rinnovata tensione ed una capacità di pensiero critico sulle trasformazioni urbane, sul futuro delle città e sui dispositivi teorici e progettuali per interpretare questa fase di transizione; e quello che, invece, si accontenta di molto meno: qualche incarico, qualche pubblicazione, un po’ di effetti speciali, rinunciando a confrontarsi davvero con le sfide del presente, anche a costo di accettare qualche smentita. Senza volersi accanire in una discussione troppo impegnativa, appare evidente che il tema della pianificazione strategica meriti qualche riflessione, soprattutto con riferimento all’esperienza – una delle prime in Italia – maturata nella città di Trento. Il concetto di pianificazione strategica è di per sé abbastanza scivoloso: per un economista di formazione aziendale ha un significato; per un urbanista ne ha un altro. Cambiano, dunque, i presupposti teorici, le metodologie, i significati impliciti di ciò che vuol dire veramente pianificare. La pianificazione strategica urbana, se vogliamo ridurla al suo “residuo secco”, ha però in sé due dimensioni necessarie e ricorrenti: produce visioni future, cioè scenari di cambiamento; e li elabora attraverso modalità partecipative e partenariali, cioè coinvolgendo i portatori di interessi nel processo di definizione dei problemi e di produzione delle soluzioni. Dal punto di vista del suo statuto disciplinare, poi, la pianificazione strategica prende le distanze dalle forme tradizionali di pianificazione perché, da una parte, si propone di abbandonare una razionalità prescrittiva e unilaterale (che produce certezze giuridiche di natura ipotetica) e, dall’altra, cerca di smentire, o di superare, la settorialità della pianificazione. Su queste premesse, una decina di anni fa alcu-

ne città italiane – Torino, Trento, La Spezia, Pesaro – hanno cercato di esplorare un qualche “altrove” pianificatorio. Le ragioni di questa scelta sono state molteplici. E soprattutto diverse. Per Torino si trattava né più né meno che di garantire la sopravvivenza dell’economia urbana di fronte alla crisi irreversibile di un modello di sviluppo malato di “fiatcentrismo”, basato su modello industriale classico del quale si percepiva la conclusione senza intravedere possibili alternative. Anche La Spezia si doveva confrontare con una fase, a tratti drammatica, di deindustrializzazione. Pesaro intendeva rilanciare una peculiare stagione partecipativa in assenza di qualunque situazione di criticità conclamata. Trento, da parte sua, cercava di rispondere a due intenzioni: una era quella di dotarsi di nuovi dispositivi pianificatori, che permettessero di interpretare in maniera convincente una stagione irripetibile di trasformazioni – demografiche, sociali, territoriali (era la stagione delle grandi dismissioni) – alle quali non voleva avvicinarsi con un apparato di categorie datate; l’altra era quella di rispondere ad una domanda di ispirazione sul futuro: alla domanda, se vogliamo, “che cosa farò da grande?”. I piani strategici urbani, dunque, nascono da problemi diversi e rispondono ad intenzionalità diverse; si sviluppano in contesti diversi, in alcuni casi pronti a forme di cooperazione, in altri più abituati a sviluppare dinamiche marcatamente istituzionali; cercano di fronteggiare criticità differenti e di capitalizzare il differenziale di potenzialità latenti o inespresse della dimensione locale. In questi contesti territoriali radicalmente differenti, vi sono almeno tre elementi ricorrenti: la capacità di cogliere e di interpretare il “genius loci”, cioè l’irripetibile “specifico” locale; l’espressione di una forte intenzionalità, cioè la scelta di governare il cambiamento, di non raggiungere il futuro per decorrenza dei termini; e la consapevolezza di dover “uscire dal palazzo” per dialogare con la realtà, i suoi spigoli, le sue contraddizioni. Trento, attraverso questo esercizio, elabora due metafore: quella della città lenta e quella della città veloce: una è la città in tempo reale, o in anticipo sul divenire, connessa alla dimensione globale, la cui cifra distintiva è quella della ricerca, dello sviluppo innovativo, della conoscenza, dell’appartenenza a reti lunghe e plurali; l’altra è la città slow a misura di persona, di bambino, di anziano, di disabile; la città che si prende il


Spazio&Società

tempo che serve; la città della qualità della vita e delle relazioni, delle reti di prossimità, attenta alla dimensione comunitaria e locale. Ed elabora una convinzione: quella di poter trovare le corrispondenze fra queste due scale temporali diverse, che si presuppongono reciprocamente: la città veloce, da sola, sarebbe un supermercato di stili e di tendenze, senza memoria, una soft city che non contiene in sé alcun universo di significati; la città lenta, da sola, non si renderebbe conto che al di là delle nostre montagne c’è anche il resto del mondo. In questo senso, la pianificazione strategica è prima di tutto una narrazione: custodisce una dimensione simbolica, produce ipotesi di senso, discute significati. Ma non si limita a questo. Dal punto di vista che interessa più direttamente ad un urbanista, l’apporto della pianificazione strategica (o, se vogliamo, il suo valore aggiunto) consiste nella sua sfida ad alcune ortodossie e nel tentativo di contrastare due pericoli. Un primo pericolo è quello di ratificare (o di non saper contrastare) convenienze di breve momento, vale a dire la immediata redditività delle scelte di trasformazione, riducendo a logiche meramente immobiliari ed economiciste l’opportunità, irripetibile, di tracciare un disegno e di operare scelte in grado di generare sul palinsesto urbano valore formale, economico, funzionale, sociale. Si tratta di ricondurre l’urbanistica alla propria funzione più matura, aggiornata nei suoi dispositivi analitici e formali, assumendo prima di tutto – di fronte a qualunque ipotesi di trasformazione territoriale – la necessità irrinunciabile di rispondere ad una domanda in qualche modo “esistenziale”, cioè ad una domanda di senso. La trasformazione di

Sentieri Urbani

una città non è “soltanto” una trasformazione di destinazioni d’uso, di volumi, di manufatti, di funzioni: è prima di tutto un progetto, cioè l’espressione del valore e dell’interesse pubblico che si vuole generare. Immaginarla, delinearla, negoziarla è il ruolo specifico che può essere attribuito alla pianificazione strategica. Un secondo tema “sensibile” con il quale è necessario confrontarsi è quello della simultaneità delle dimensioni convocate in qualunque processo di trasformazione territoriale. È abbastanza agevole, con riferimento a qualunque città italiana, constatare il peso, scarsamente revocabile, delle esternalità dovute a scelte localizzative che non hanno preso in considerazione gli “effetti collaterali” di decisioni parziali in sé razionali. Ciò che definiamo convenzionalmente “impatto delle scelte urbanistiche” ci richiama, in realtà, alla necessità di gestire ex ante esiti che non possiamo in alcun modo considerare inaspettati: spostare quote di residenza, ad esempio, significa generare domanda di mobilità, di servizi, di prestazioni che vanno ad incidere drammaticamente sulla qualità della vita, sulla coesione sociale, sulla programmazione dei servizi, sui bilanci pubblici. Un approccio strategico alla pianificazione non è, di per sé, una risposta univoca e certificata. È un’apertura ad una razionalità debole e discorsiva, che accetta l’imprevedibilità e, talora, l’irrazionalità del divenire. Ma è anche un modo per formulare in maniera corretta la domanda e per orientare risposte possibili verso un futuro desiderato e in parte anche inatteso o, almeno, verso sintesi consapevoli ed accettabili perché esito di una discussione pubblica.

/ 13

Trento nord vista da est: al centro l’ampio slargo dell’ex-Scalo Filzi


14 /

Sentieri Urbani

Spazio&Società

* Proponiamo in questo numero di SU l’Intervento di Mario Forni al Convegno internazionale “Quale futuro per le ferrovie di montagna: opportunità da cogliere o costi da tagliare?” tenutosi a Trento, presso la Facoltà di Sociologia, il 9 e il 10 ottobre 2009 nell’ambito delle iniziative per il Centenario della Ferrovia Trento-Malé. L’autore desidera ringraziare Emiliano Voltolini e Alessandro Franceschini per la gradita collaborazione.

Un tram per Trento: una meta-proposta progettuale di Mario Forni* Fig. 1: Nel dicembre 2003 a Milano sono state inaugurate le metrotranvie nord e sud, che hanno comportato la riqualificazione di linee tranviarie già esistenti e la costruzione ex novo di nuove tratte secondo i criteri attuali. In questa foto un'elettromotrice tranviaria articolata tipo Sirio di costruzione Ansaldobreda, percorre via Ornato, a Niguarda, nella periferia nord di Milano: doppio binario in sede riservata con binario inerbito e messa a dimora di piante ornamentali ai lati. Le fermate di tipo standardizzato sono dotate di pensilina e di indicatori che in tempo reale riportano i tempi di attesa della prima vettura in arrivo. (foto Mario Forni)

Breve excursus storico Anzitutto può essere utile un veloce riassunto storico in merito ai servizi tranviari esistiti o progettati, ma mai realizzati, con un riferimento particolare alla regione Trentino-Alto Adige e alle immediate vicinanze. Il primo servizio tranviario, a trazione elettrica, al mondo fu realizzato da Siemens a Lichterfeld, presso Berlino, nel 1881. Nell’Impero austro-ungarico, la stessa Siemens realizzò, presso Vienna, la prima tranvia interurbana tra Mödling ed Hinterbrühl nel 1883. In Italia, fu la Firenze – Fiesole la prima tranvia elettrica, inaugurata nel 1890. Il perfezionamento della tecnica tranviaria, soprattutto per quanto riguardava il sistema di trazione elettrica, fece diffondere a macchia d’olio, prima in Europa e negli Stati Uniti, poi in tutto il mondo, il tram elettrico, per la semplicità e la relativa economicità d’impianto e di esercizio, utilizzato sia per svolgere servizi prettamente urbani, sia suburbani che interurbani. Nel Tirolo la prima linea tranviaria urbana venne attivata a Innsbruck nel 1905, poi nel 1908 a Merano e nel 1909 a Bolzano. Si trattava di linee che oggi definiremmo suburbane più che urbane in quanto collegano il centro cittadino ai comuni limitrofi, rispettivamente Maia Alta (Obermais) e Gries. Nelle regioni limitrofe del Regno d’Italia, nel 1904 a Brescia, nel 1908 a Verona e nel 1910 a Vicenza furono attivate linee tranviarie a trazione elettrica, in alcuni casi

in sostituzione di precedenti ippovie (tram a cavalli). Oltre a queste linee urbane-suburbane, nacquero anche diverse vere e proprie linee interurbane elettrificate: basti ricordare la breve Merano – Lana del 1906 o la lunga Trento – Malé del 1909 (di cui celebriamo in questi giorni il centenario). E a Trento? A parte la nota rete di tranvie extraurbane ideata da Oss Mazzurana alla fine dell’Ottocento, collegante le principali vallate con Trento (di cui, purtroppo venne realizzata solo la linea Trento – Malé) e il meno noto progetto di tranvia interurbana Rovereto – Trento lungo la sponda destra dell’Adige, uno studio di rete tranviaria urbana fu eseguito dall’ “Impresa concessionaria del tram elettrico di Trento Ing. Rossi” nel 1913. Il giornale “Risveglio Tridentino”, nella sua edizione del 13 settembre 1913, riportò un dettagliato resoconto sulla rete proposta. La rete consisteva di tre linee identificate secondo le lettere dell’alfabeto: Linea A, con inizio sullo “stradone di Gardolo”, l’attuale via Brennero, all’altezza della rimessaofficina della tranvia Trento – Malé, e termine, con un ampio anello, in piazza Dante, percorrendo la via Lungo Adige Vecchio (attuali via Manzoni e via Torre Verde) ed un breve tratto di via Romana (attuale via Alfieri). Lunghezza della linea km 1,515: Linea B, ha capolinea in piazza Dante, in comu-


Spazio&Società

ne con la linea A, dalla quale si dirama in via Romana, per percorrere via Belenzani, piazza Duomo, via San Vigilio, piazza Fiera e via Santa Croce fino all’altezza dell’attuale via Perini. Lunghezza della linea km 1,325; Linea C, sempre con capolinea in piazza Dante, si dirama dalla linea B quando quest’ultima attraversa via Roma; risale quindi questa via poi percorre via San Pietro, largo Carducci, via Mantova, piazza Erbe, via Calepina, giunge in piazza d’Armi (oggi piazza Venezia) e percorre via Grazioli fino all’altezza dell’incrocio con l’attuale via Zara. Lunghezza della linea km 1,320; Sfortunatamente, pur considerando la limitatissima estensione e la discutibile utilità di una rete siffatta, non se ne fece nulla e Trento, come pochissime altre città, anche delle sue dimensioni, rimase senza un servizio tranviario urbano. Nel 1924 fu istituito un servizio urbanosuburbano con autobus ad accumulatori, i cosiddetti “elettromobili”, che durò per pochi anni. Il servizio automobilistico urbano di Trento che oggi conosciamo ebbe inizio nel secondo dopoguerra. Purtroppo, i sistemi tranviari nella maggior parte dei casi sparirono con la stessa velocità con cui si diffusero. In Europa ciò avvenne soprattutto dalla fine della Seconda guerra mondiale fino agli anni Sessanta (sull’esempio, in parte, di quanto era avvenuto negli Stati Uniti a partire già dagli anni Trenta). La maggioranza degli impianti (e del materiale rotabile) aveva raggiunto una vita di trenta – cinquant’anni e necessitava di forti investimenti per un inderogabile ammodernamento. Le immani distruzioni della Seconda guerra mondiale furono l’occasione per trasformare definitivamente le linee tranviarie in linee automobilistiche (alcune divennero linee filoviarie). Le lobby della gomma e del petrolio, non possiamo negarlo, erano già potenti ed era facile convincere amministratori, politici e, più in genere, l’opinione pubblica che il tram era superato, obsoleto, rumoroso, ingombrante, ecc. ecc. Era molto facile mettere a confronto una vettura tranviaria a due assi di inizio secolo con un moderno e luccicante autobus appena uscito di fabbrica… Obiettivamente l’adeguamento degli impianti fissi ed il rinnovo del parco rotabili avrebbe comportato forti investimenti, decisamente maggiori rispetto al semplice acquisto di autobus prodotti in grande serie e a prezzi agevolati. I costi di esercizio, l’ambiente urbano e la qualità della vita non erano certo a favore del mezzo su gomma, ma al momento non interessavano. In Europa, solo la Germania, il Belgio, l’Olanda e in parte la Svizzera e l’Austria, assieme a tutti paesi dell’Est, mantennero e potenziarono le loro reti tranviarie e i benefici di questa scelta oculata sono oggi ben evidenti a chi ha occasione di visitare le città di queste nazioni. Perché il tram oggi? Fin dalla crisi petrolifera dell’inverno 1973-

Sentieri Urbani

1974, ci si rese conto che era necessario impostare una politica dei trasporti in modo diverso da quello seguito dal dopoguerra a quel momento. Occorreva puntare maggiormente sul trasporto pubblico e non solo su quello privato; inoltre necessitava utilizzare mezzi di trasporto più ecologici, soprattutto meno divoratori di energia, in particolare quella non rinnovabile (petrolio e carbone). Nel trasporto urbano il “vecchio” tram elettrico, in versione aggiornata, trovava pertanto di nuovo spazio. L’inizio del ritorno del tram, in versione moderna, avviene proprio negli Stati Uniti, dove, già dagli anni Venti del Novecento, era stato condannato a morte! Nel 1981 una linea LRT (Light Rail Transit, nuovo termine anglosassone indicante la versione moderna del tram) viene attivata a San Diego, in California: ha un percorso urbano su sede stradale, poi fuori della città, fino a San Ysidro, al confine col Messico, utilizza la sede di una linea ferroviaria scarsamente utilizzata che è stata ammodernata, raddoppiata ed elettrificata. Il successo è immediato ed oggi sono innumerevoli le città nordamericane che hanno adottato il tram per risolvere i problemi di mobilità sulle principali direttrici urbane e suburbane (si noti che solo Los Angeles, oltre a realizzare diverse linee di LRT, ha costruito ex novo una linea di metropolitana tradizionale; nessuna città, a parte alcuni collegamenti interni aeroportuali, ha adottato i cosiddetti “sistemi innovativi”, oggi tanto di moda in Italia…). In Europa è la Francia a fare da apripista con il tram (anche qui il tram, tranne rare eccezioni, era praticamente scomparso dalle strade). Il primo impianto è attivato a Nantes nel 1985; oggi sono ben 19 le città francesi, grandi e piccole (Parigi compresa) in cui il tram è tornato operativo o è in procinto di esserlo, in versione moderna. Si può citare il caso di Nizza, sulla Costa Azzurra, dove solo 15 anni fa il tram, eliminato nei primi anni Cinquanta, nessuno pensava di rivederlo più a circolare per le strade…: la prima linea, attivata nel novembre 2007 ha avuto un successo inaspettato (circa 80.000 viaggiatori/giorno) e già si parla di una seconda linea. Il tram è tornato alla grande anche in Spagna e un po’ meno nel Regno U-

/ 15

Fig. 2: A Nizza, sulla Costa Azzurra, nel novembre 2007 è stata inauguarata una modernissima linea tranviaria di nuova generazione che ha riscosso un immediato successo. Dove la larghezza delle strade lo ha permesso il binario è stato inerbito; nel caso di strade di sezione particolarmente ridotta, i due sensi di circolazione tranviaria sono stati suddivisi su due strade parallele, riservate al tram. Il binario asfaltato permette anche la circolazione autobilistica, limitata però ai movimenti locali. Un tram tipo Citadis, di costruzione Alstom, percorre l'elegante rue Puget procedendo verso il capolinea di Las Planas. (foto Mario Forni)


16 /

Sentieri Urbani

Fig. 3: Caratteristica del tram è quella di potersi inserire in qualsiasi ambiente urbano, generalmente senza arrecare danni. Da cento anni, a Milano, il tram attraversa la medievale Porta Ticinese dopo aver costeggiato le celebri colonne romane di San Lorenzo. (foto Mario Forni)

Spazio&Società

nito (per motivi di finanziamenti); più timidamente in Italia (Messina, Sassari, Cagliari, Firenze, città dove il tram è stato a suo tempo eliminato o, nel caso di Sassari, non è mai esistito). La costruzione ex novo di linee tranviarie o il prolungamento di linee esistenti è stata (ed è) l’occasione per rendere le strade percorse più vivibili (abolizione del caotico ed incontrollato traffico privato automobilistico) e più gradevoli alla vista (piantumazione, dove possibile, di filari di alberi ornamentali ai bordi dei binari, posa di tappeti erbosi tra le rotaie, ecc.). Il tram per essere gradito alla cittadinanza deve

garantire un servizio veloce e regolare. In tal senso, nel pianificare la viabilità, esso deve avere la massima priorità, non ultimo l’asservimento semaforico agli incroci stradali, garantendo nel contempo sicurezza ai veicoli tranviari, agli altri veicoli stradali e ai pedoni. Cinque sono le ragioni che indubbiamente giocano a favore della scelta del ”sistema tram”, ferro su ferro, a trazione elettrica, la cui capacità di trasporto si colloca tra l’autobus e la metropolitana convenzionale: 1. Affidabilità del sistema. Il tram è in uso da 130 anni, tecnologicamente sempre aggiornato


Spazio&Società

(azionamento elettronico con motori trifase, piano ribassato, climatizzazione, ecc.), ma con un sistema base lungamente collaudato. 2. Consumo energetico limitato. È noto che il vantaggio del trasporto su ferro risieda essenzialmente sul ridotto consumo energetico rispetto a tutti gli altri sistemi di trasporto terrestri ed aerei. Dove, nel passato, furono adottati sistemi a guida vincolata su gomma (per contenere rumorosità, vibrazioni, permettere il superamento di forti pendenze), oggi, in alcuni casi, per realizzare nuove linee, questi sistemi vengono abbandonati, preferendo il tradizionale “ferro su ferro”. Un esempio: Città del Messico, dove sulla rete metropolitana realizzata a partire dalla fine degli anni Sessanta su gomma (sul modello utilizzato su alcune linee del metrò parigino), con le nuove costruzioni si è introdotto il tradizionale “ferro su ferro” per migliorare l’ energy efficency (“Metro Report” march 2009); ciò, garantendo, con l’evolversi della tecnologia ferroviaria, le stesse suaccennate peculiarità che a suo tempo avevano fatto scegliere il sistema su gomma. 3. Versatilità e accessibilità del sistema. La caratteristica fisica del sistema tram permette a questo di inserirsi con facilità in qualsivoglia situazione: il binario potrà così trovarsi sulla sede stradale condividendo la stessa con altri veicoli e pedoni (limitando il transito dei veicoli, ovviamente, al traffico locale) oppure trovarsi in una sede riservata assumendo le caratteristiche di una tipica ferrovia metropolitana. Le fermate, in entrambi i casi, offrono accessibilità con la massima facilità, senza bisogno di superare rampe di scale e/o utilizzare scale mobili e ascensori. 4. Ampia scelta nel mercato. Essendo un sistema universale, con il passare degli anni, ogni momento che si renda necessario acquistare nuovi veicoli, possono essere scelti costruttori

Sentieri Urbani

diversi di volta in volta. Con un cosiddetto sistema innovativo la scelta, quando si rende necessario una nuova fornitura di veicoli o un potenziamento dell’impianto, è obbligata verso chi ha brevettato il sistema; si può solo sperare che il costruttore abbia ancora in catalogo il modello a suo tempo scelto o, peggio ancora, che lo stesso costruttore ancora sia sul mercato! 5. Possibilità di integrazione fisica con infrastrutture ferroviarie esistenti o in progetto. È il sistema “tram-treno”, vera e propria “rivoluzione tranviaria” del XXI secolo, che verrà approfondito nel prossimo punto. Perché il tram - treno a Trento Nella prima metà degli anni Novanta, a Trento alcune associazioni cittadine proposero timidamente una linea tranviaria urbana-suburbana in alternativa al faraonico progetto di rete di “metropolitana leggera”: come noto, non si fece nulla, né metropolitana, né tram. In una città medio-piccola come Trento (poco più di 100.000 abitanti), la realizzazione di un sistema di trasporto pubblico a guida vincolata, in sostituzione di una o più linee di forza oggi automobilistiche, difficilmente si giustifica se non lo si inserisce in un bacino di traffico che superi i confini comunali. È abbastanza difficile che un potenziale fruitore di questo nuovo ipotetico servizio, che pur garantisce la massima efficienza, abbandoni il proprio mezzo privato, se con lo stesso è potuto velocemente arrivare ai margini della città. Le distanze poi da percorrere in ambito urbano sono abbastanza ridotte: se proprio non si può raggiungere un certo posto con la propria autovettura, piuttosto ci si va a piedi! Ecco perché, a mio avviso, occorre intercettare il più lontano possibile colui che deve raggiungere la città per i più svariati motivi, magari proprio nel paese in cui egli risiede: bisogna quindi of-

/ 17

Fig. 4: Al capolinea di Niguarda della metrotranvia nord, a Milano, la linea urbana (di cui si scorge un tram in sosta, a sinistra) trova corrispondenza con la linea extraurbana per Desio. In attesa di una trasformazione in metrotranvia di quest'ultima linea, gli anziani veicoli oggi in uso si attestano provvisoriamente sul doppio binario in sede propria di via Ornato. E' fuori dubbio la riqualificazione apportata dalla metrotranvia in questa zona periferica della città. (foto Mario Forni)


18 /

Sentieri Urbani

Spazio&Società

Ipotesi di tragitto: oltrepassato il torrente Avisio, il doppio binario della linea tranviaria Trento-Malé lascerebbe quello della ferrovia per portarsi al centro della parallela via Brennero. Questa stazionecapolinea di Lavis servirebbe pertanto ai tramtreni per lasciare o immettersi sui binari della Trento–Marilleva. Lungo la via Brennero, in sede riservata, arriverebbe quindi fino a Trento. Un’ipotesi di percorso per raggiungere Trento sud, potrebbe poi essere la seguente: via Ambrosi, via Segantini, via Romagnosi, via dei Ventuno, piazza Venezia, via San Francesco, piazza Fiera, via Santa Croce, corso III Novembre, viale Verona in direzione del sobborgo di Mattarello

frirgli un trasferimento rapido, efficiente, comodo e, soprattutto, senza fastidiosi trasbordi. La ferrovia Trento – Malé – Marilleva bene si presterebbe per offrire un tale servizio alle popolose valli attraversate: alcuni dei suoi treni, costituiti da appositi veicoli, giunti ai margini della città potrebbero abbandonare la sede ferroviaria ed inserirsi su una sede tranviaria da realizzarsi in direzione nord – sud lambendo, il più possibile vicino, il centro storico. L’intera città diventereb-

be in tal modo accessibile da coloro che utilizzano la ferrovia Trento – Marilleva, senza dover trasbordare su autobus o altri mezzi. Il tramtreno a Trento rappresenterebbe pertanto un vero e proprio prolungamento cittadino della ferrovia di montagna Trento – Malé – Marilleva! L’esempio classico di un sistema siffatto è quello della città tedesca di Karlsruhe dove già dal 1994, prima città del mondo, lunghe capienti vetture tranviarie articolate lasciano i binari della rete tranviaria urbana, si inseriscono su quelli della Deutsche Bahn, condivisi quindi con treni locali e a lunga percorrenza, passeggeri e merci, e viceversa. È interessante rilevare che i veicoli utilizzati sono bi-tensione, potendo utilizzare sulla rete tranviaria i classici 750 Volt in corrente continua, mentre sulla rete ferroviaria utilizzano la tensione di 15 kV in corrente alternata (frequenza 16,7 Hz). I servizi tram-treno, urbano ed extraurbano, di questa città coprono una rete di circa 569 km (situazione alla fine del 2007)! L’esito più che positivo di questo nuovo concetto di servizio tranviario, ha convinto altre città tedesche (Kassel, Saarbrucken e le piccole Zwickau in Sassonia e Nordhausen in Turingia) ad utilizzarlo. Anche la Francia è in procinto di attivare un simile servizio a Mulhouse (città di 110.000 abitanti), un altro è in progetto a Strasburgo. In Spagna, un servizio tram-treno è stato recentemente attivato ad Alicante, sulla Costa Blanca, dove una linea costiera a scartamento ridotto è stata prolungata nel centro città, in modo da poter effettuare, oltre all’originario servizio extraurbano a trazione die-


Spazio&Società

sel, anche un capillare servizio urbanosuburbano a trazione elettrica. Ipotesi di tracciato e principali problematiche tecniche e normative La proposta linea tranviaria per la città di Trento potrebbe avere inizio a Lavis, con un capolinea in comune con la futura stazione interrata della linea ferroviaria Trento – Marilleva. Oltrepassato il torrente Avisio, il doppio binario della linea tranviaria lascerebbe quello della ferrovia per portarsi al centro della parallela via Brennero. Questa stazione-capolinea di Lavis servirebbe pertanto ai tram-treni di lasciare o immettersi sui binari della Trento – Marilleva. Lungo la via Brennero, in sede riservata, arriverebbe quindi fino a Trento. Un’ipotesi di percorso per raggiungere Trento sud, potrebbe poi essere la seguente: via Ambrosi, via Segantini, via Romagnosi, via dei Ventuno, piazza Venezia, via San Francesco, piazza Fiera, via Santa Croce, corso III Novembre, viale Verona in direzione del sobborgo di Mattarello (prevedibile anche una diramazione per il quartiere Clarina ed il progettato nuovo ospedale, per via Einaudi o via Fermi). Due sono le maggiori difficoltà che dovrebbero essere superate per poter trasformare in realtà la tranvia trentina. La prima, abbastanza ovvia, è trovare itinerari alternativi per il traffico automobilistico che oggi, caoticamente, percorre le strade sopra elencate, limitandone il loro uso al

Sentieri Urbani

solo traffico locale (un concreto allargamento dell’area pedonale e/o dell’area a traffico limitato del centro cittadino potrebbe sicuramente contribuire a ridurre il transito di autovetture sulle strade di accesso). La seconda è di ordine burocratico. Manca infatti in Italia una normativa che regolamenti il sistema tram-treno. Malgrado nel corso di questi ultimi anni siano state avanzate diverse proposte in tal senso, sull’esempio di quanto realizzato a Karlsruhe, tutti i progetti si sono arenati essenzialmente per mancanza di una normativa tecnica relativa alla tipologia degli impianti e dei veicoli da adottare per poter introdurre in sicurezza il servizio tram-treno (per esempio, una vettura tranviaria che transiti su una linea ferroviaria deve avere, ovviamente, una robustezza maggiore rispetto ad una che circoli solo in sede stradale). La letteratura specializzata che tratta di questa materia è molto vasta e, certamente, gli esperti che seguono da vicino le problematiche della mobilità urbana e le soluzioni per risolverle, conoscono questa tecnologia. Per concludere, il sottoscritto auspica vivamente che la proposta del sistema tram per la città di Trento venga presa in considerazione alla pari di tutti gli altri sistemi di trasporto pubblico, più o meno innovativi, suggeriti da amministratori provinciali e comunali in questi ultimi tempi e di cui si è letto molto nella stampa locale.

In alto e a sinistra: l’ipotesi di tracciato

/ 19


20 /

Sentieri Urbani

Spazio&Società

Una città virtuale per la SICUREZZA URBANA di Rose Marie Callà

Bullismo in azione in un contesto urbano

A

Sutton, in Inghilterra, è stato recentemente realizzato un quartiere virtuale, frutto di una simulazione computerizzata, provvisto di strade e marciapiedi, case e palazzi, negozi, segnaletica varia, bar e ristoranti, automobili rumoreggianti e inquinanti che attanagliano il traffico cittadino e, infine, pericoli. Al fine di insegnare ai bambini quali sono i potenziali pericoli che si possono incontrare in un contesto urbano e soprattutto con l’obiettivo arduo di insegnare loro a reagire e difendersi a fronte di molteplici insidie, sono state riprodotte nell’isolato computerizzato scene di violenza cui rischiano di essere sottoposti i piccoli cittadini. Un équipe multidisciplinare composta da architetti, urbanisti, sociologi, psicologi, pedagogisti e criminologi ha progettato e realizzato il LifeCentre, un luogo nel quale si riproducono scene negative e violente del reale, ma fittizio e innocuo proprio per imparare a difendersi da tale violenza, riconoscere i momenti in cui è necessario solo scappare per non sprecare energie, mantenere il sangue freddo per non cadere nella trappola del panico, evitare situazioni, persone e soprattutto relazioni pericolose che possono stritolare i soggetti più fragili in una soggezione psicologica (Pellai, Tamburini, 2008). Nel quartiere virtuale il software progettato riproduce le pericolosità degli incroci stradali, gang di bulli, spacciatori di droga e pedofili e per ogni tipo di minaccia viene illustrato un percorso di difesa. Tutte le scene seguono il corso del giorno e delle stagioni, cambiando di volta in

volta ambientazione, luce, temperatura e rumori. All’interno dell’isolato c’è anche la possibilità di entrare nell’appartamento di un palazzo, dove la focalizzazione verte sui rischi della rete e dei social network. Non vengono tralasciati neppure i rischi ecologici causati dallo sfruttamento incontrollato delle risorse naturali da parte dell’uomo: nella cosiddetta "stanza bianca" i bambini possono vedere spezzoni di film a sfondo ecologico proiettati su tutte e quattro le pareti, stimolando l'idea di come potrebbe essere ridotto il pianeta tra pochi decenni. Il LifeCentre, che comprende anche una libreria, attrezzature sportive, una sala giochi e un giardino ecologico, viene visitato dalle scolaresche inglesi, che prendono appuntamento e portano i ragazzi a trascorrere una giornata tra quelle strade virtuali. Gli organizzatori stimano che entro il 2010, circa il 60% dei bambini inglesi visiteranno il centro, a fronte di un costo per la sua realizzazione di 8 milioni di sterline, pari a circa 11 milioni e mezzo di euro. Perché si è considerato necessario realizzare un centro per insegnare ai fanciulli la difesa dal pericolo in senso lato? La situazione della gioventù in Gran Bretagna sembra non lasciare dubbi sull’incremento della violenza tra i giovani e sul loro senso di spaesamento. Un rapporto redatto dalla polizia londinese indica che attualmente nella metropoli europea esistono quasi 170 gang under 10, ciascuna composta in media da 20 o 30 membri, le più grosse anche da 100. Sono suddivise etnicamente (afro-caraibici, i più numerosi, poi asiatici e bianchi) e a volte ci sono anche bambini che vanno in giro armati, prediligendo le pistole calibro 9. Sempre più bassa è anche l' età delle adolescenti che rimangono incinte: secondo una ricerca dell'Institute for Public Policy Research (IPPR), i teenager inglesi sono i più sessualmente precoci d'Europa e due su tre non fanno uso del preservativo. In Italia il quadro non appare molto più roseo. Oltre ai sempre più frequenti episodi di bullismo, il nostro Paese soffre il problema della pedopornografia (Ministero Interno, 2007). Secondo una ricerca di Telefono Arcobaleno negli ultimi anni c'è stato un boom di siti internet dedicati a questo tipo di violenza: nel 2007, in soli 181 giorni di monitoraggio, all'associazione sono giunte ben 12.543 segnalazioni di siti a contenuto pedopornografico, per una media di circa 69 al giorno (Telefono Arcobaleno, 2008). Pur


Spazio&Società

Sentieri Urbani

nella difficoltà di misurare un potenziale numero oscuro piuttosto elevato anche per quanto attiene alle molestie sessuali, si evidenziano dati preoccupanti: il Ministero di Grazie e Giustizia ha rilevato un incremento significativo di denunce di violenze sessuali sui bambini negli ultimi due decenni: nel 1985 risultavano essere 222 per passare alle 782 del 2004 (Pellai, Tamburini, 2008). Sulla base di ricerche condotte nel Nord-Est, su campioni di studenti degli istituti superiori, si è rilevato come il 24,4% dei soggetti di genere femminile e il 14,6% del genere maschile avesse subito molestie sessuali (Zerilli et al., 2002). Anche analizzando l’uso e l’abuso di sostanze psicoattive sul territorio provinciale del Trentino da parte di ragazzi frequentanti le scuole superiori, si riscontra un fenomeno a cui prestare attenzione: nel corso del 2007, 12.300 studenti hanno fatto uso di alcol, 4.650 di tabacco, mentre 5.200 hanno fatto abusato di cannabinoidi: un ragazzo su cinque dichiara infatti di consumare le sostanze frequentemente. Per quanto riguarda le cosiddette droghe pesanti è almeno il 2,2% degli studenti trentini che ha affermato di aver usato eroina almeno una volta nella vita e il 5,6% cocaina (AA. VV., 2008). Sembra dunque emergere fortemente la necessità di azioni di prevenzione di varia natura, che si rivolgano a soggetti anche molto giovani. Il complesso concetto di prevenzione racchiude in sé una vera e propria filosofia di vita. Fare prevenzione significa, infatti, cercare di promuovere cambiamenti individuali, sociali e situazionali che evitino l'insorgere di atteggiamenti distruttivi/ autodistruttivi e che tendano a difendere e a promuovere il benessere psicofisico e sociale dei soggetti appartenenti ad una comunità (Da Fermo, 1991; Loss et al., 2008). L’attivazione di tali cambiamenti è quindi tesa sia ad allontanare elementi negativi, sia a rafforzare elementi positivi nell’individuo, nelle relazioni sociali e nella comunità/società nel suo complesso. I contenuti, dunque, dell’intervento preventivo, sono centrati nella promozione di cambiamenti consapevoli e duraturi, di ordine culturale, psicologico, sociale e politico (Regogliosi, 1992; 2000). L’esperimento del Life Center – lodevole per

Bibliografia AA.VV., Il fenomeno delle dipendenze sul territorio della Provincia autonoma di Trento, anno 2007, Azienda Provinciale per i Servizi sanitari, Provincia autonoma di Trento, Trento, 2008. Da Fermo M., La prevenzione del disagio giovanile: teorie e strategie di intervento, Associazione Prevenzione droga, Ente Ausiliario della Regione Abruzzo, Collana per l’educazione alla salute, n.54, Editoriale Eco, Teramo, 1991. Jeffery C. R., “Crime prevention and

l’approccio multidisciplinare alle problematiche in oggetto - promuove lo sviluppo di abilità personali (life skill) che risultano essere strumenti fondamentali per la prevenzione di comportamenti devianti e per la promozione di comportamenti etici e consapevoli. Nello stesso tempo – seppure consapevoli che molti degli abusi e delle vittimizzazioni di varia natura avvengono nei luoghi teoricamente protetti, tra le mura domestiche, o negli edifici scolastici e non, dunque, nelle strade delle nostre città – riflettere sulla pericolosità reale e percepita dei contesti urbani, permette di sviluppare, nelle professionalità deposte alla progettazione delle città, una visione che contempli con maggiore efficacia azioni di prevenzione situazionale al fine di incrementare la tanto nominata e agognata sicurezza urbana. Modificare il design ambientale, apportare cambiamenti nello spazio fisico, può sfavorire la commissione di atti devianti e di azioni criminali rendendo, di fatto e nell’immaginario collettivo, le nostre città più sicure (Jeffery, 1969).

control through environmental engineering”, in Criminologia, n. 7, pp. 35-58, 1969. Loss V., Callà R.M, “Interventi di prevenzione primaria delle dipendenze patologiche nella Comunità del Comprensorio del Primiero”, Mission, n.25, pp.5-12, 2008. Ministero dell’Interno, Rapporto sulla criminalità in Italia, 2007, Roma, 2008. Pellai A, Tamburini B., Il segreto di Fata Lina. Per una prevenzione dell’abuso sessuale in età evolutiva, Edizioni Erickson, Trento, 2008.

/ 21

In alto: lo schema di una parte del “Life Center” di Sutton (GB). Tratto da www.sutton.gov.uk

Regogliosi L., La prevenzione possibile. Modelli, orientamenti, esperienze per l’operatore di territorio sulla prevenzione della devianza giovanile e della tossicodipendenza, Guerini Studio, Milano, 1992. Regogliosi L., La prevenzione del disagio giovanile, Carocci, Roma, 2000. Telefono Arcobaleno (a cura di) Rapporto sulla pedofilia online, Milano, 2008. Zerilli M., Ricerca epidemiologica sulla prevalenza dell’abuso sessuale in età evolutiva, “Maltrattamento e abuso


22 /

Sentieri Urbani

Spazio&Società

Tecnologia come attività riflessiva: il progetto M.I.C. di Maurizio Teli*

* Il progetto M.I.C. (My Ideal City) è finanziato dal Settimo Programma Quadro dell'Unione Europea (FP7/2007-2013) con il grant agreement n° 230554. Maurizio Teli è coordinatore scientifico del progetto M.I.C. presso il Museo Tridentino di Scienze Naturali. L'autore ringrazia Carlo Maiolini, project manager del progetto e co-ideatore dello stesso per i costanti stimoli intellettuali, Denise Eccher per il supporto costante in tutte le attività del progetto, e Michele Lanzinger, direttore del Museo Tridentino di Scienze Naturali, per aver creduto nelle potenzialità del progetto. Allo stesso modo, l'autore è l'unico responsabile di ogni errore ed imprecisione in quanto scritto. maurizio@maurizioteli.eu

Introduzione La città viene raccontata da secoli come il luogo della strutturazione della vita quotidiana, dell'aggregazione promotrice di innovazioni e movimenti sociali, così come il luogo simbolo del cambiamento politico e della condizione ideale di relazione tra gli esseri umani, come nell'Utopia di Thomas Moore (2007) o nella Città del Sole di Tommaso Campanella (1836). Nella sua rappresentazione ideale ed utopica, la città diviene lo spazio dove la razionalizzazione delle relazioni umane si traduce in una pianificazione territoriale e internazionale che si propone come il modello irraggiungibile della perfezione societaria, nella sua completezza e stabilità. Tale proiezione della città ideale, di ciò che razionalmente dovrebbe essere ma ancora non è, agisce come un piano che guida l'interpretazione urbana, i dibattiti, le controversie e le politiche. Quando si avvicina alla sua realizzazione, mostra però tutti i suoi limiti, come rappresentato ad esempio nella fiction. Nel film The Matrix, l'agente-software Smith si rivolge all'umano-ribelle Morpheus raccontandogli la storia dei tentativi delle macchine, attori razionali by design, di costruire un ambiente confortevole per gli esseri umani. Uno di questi tentativi si cimenta con la costruzione della “società umana perfetta” dal punto di vista razionalistico e si traduce in un fallimento completo. In tutta la narrazione filmica di The Matrix, l'essere umano sopravvive quando può agire nel proprio spazio con possibilità di relativa indipendenza, quando le divergenze emergono nella quotidianità, quando l'omogeneità della perfezione viene dismessa a vantaggio della compresenza delle differenze. Non c'è da stupirsi che in tale rappresentazione sia proprio l'ambientazione metropolitana ad essere scelta come la migliore per la costruzione di una storia di conflitti e conquista di indipendenza, e che sia proprio una città sotterranea, Zion, ad essere raccontata come l'ultimo baluardo dell'umanità, il segno tangibile dell'esistenza collettiva. Ciò che la narrazione filmica di The Matrix porta in scena è l'affermazione che la visione razionalistica viene inequivocabilmente sostituita da una costruzione urbana che privilegi la città-in-uso, il luogo di pratiche quotidiane continuativamente inventate e re-inventate (De Certeau, 2002). In queste suggestioni concettuali si inserisce il progetto M.I.C., “My Ideal City”, coordinato dal Museo Tridentino di Scienze Naturali, finanziato

nell'ambito del Settimo Programma Quadro dell'Unione Europea e che vede la partecipazione di quattro musei e centri della scienza in Europa (oltre al già citato Museo Tridentino, il Bloomsfield Science Museum Jerusalem, Ciencia Viva di Lisbona e Experimentarium di Copenhagen), oltre allo IUAV di Venezia (Dipartimento di Progettazione Architettonica, Dipartimento di Urbanistica). M.I.C. e la tecnologia di rappresentazione Come ricordato, il progetto M.I.C. si rifà a due suggestioni concettuali sovrapposte: da un lato, la possibilità di visualizzare uno spazio urbano altro, in qualche modo una rappresentazione urbana che si proponga di agire come possibile alternativa allo spazio urbano noto; dall'altro, il radicamento di tale alternativa nella città vissuta, nelle sue pratiche sociali di attraversamento e rielaborazione situata, invece che in una visione razionalistica e oggettivante. Il primo obiettivo viene perseguito attraverso la costruzione di un ambiente tridimensionale computerizzato (à la Second Life), che sarà accessibile con modalità diverse sia all'interno dei musei e dei centri della scienza coinvolti, sia attraverso Internet. Tale rappresentazione tecnologica costruirà una narrazione simbolica delle quattro città partner che si differenzierà significativamente dal racconto esperibile camminando per la città stessa, costituendo quindi quella rappresentazione della “città ideale” che costituisce uno degli obiettivi del progetto. La scelta di una rappresentazione tecnologicamente mediata si rivela particolarmente interessante per la ricercatrice in quanto ogni tecnologia porta con sé una inscrizione del sociale diversa (Akrich, 1992), permettendo quindi una riflessione sulle componenti che vanno ad assemblare le diverse composizioni della società stessa. Essere impegnati in tale analisi porta con sé, conseguentemente, una domanda immediata e spontanea: come assemblare a nostra volta una rappresentazione simbolica che non sarà calata razionalisticamente sulle possibili abitanti e visitatrici di tale spazio urbano? La nostra risposta, nella fase progettuale, è stato il concetto di “partecipazione”, ora declinato nel concreto della comprensione delle controversie urbane.


Spazio&Società

Sentieri Urbani

M.I.C., partecipazione e controversie Riflettendo su tale costruzione urbana, lo stimolo a rifiutare una rappresentazione da nessun luogo a vantaggio di un design situato (Suchman, 2002), ci ha portato ad introdurre il concetto di partecipazione, ampiamente utilizzato nello sviluppo di tecnologia, in particolare dalla scuola scandinava del Participatory Design (Kensing, 2003). All'interno di questa prospettiva, il design si traduce in una pratica di coinvolgimento di tutti gli attori sociali portatori di interessi, i cosiddetti stakeholder, in particolare di coloro che sono normalmente lontani dai processi decisionali, ma che ne sono ugualmente coinvolti (Ehn, 1993). Parlando di problematiche urbane, tale approccio porta ad un primo, rilevante problema: come identificare gli stakeholder? Nella complessità del tessuto urbano, tale lavoro di organizzazione dei gruppi sociali diverrebbe impossibile da compiere, se non ricadendo in classificazioni strettamente connesse all'impianto problematico di rivolgersi a caratteristiche socio-demografiche di base (quali, ad esempio, età, genere, cittadinanza o professione) che nulla ci dicono sulla relazione tra le persone e la città. In tal senso, rispondere a questa domanda ha trovato un fondamentale appoggio nel lavoro svolto sul territorio trentino dal Progetto Penelope (Coletta, Gabbi, Sonda, 2009) e nell'attenzione agli aspetti organizzanti del vissuto urbano propri delle controversie. La città, e gli stakeholder, si fanno in tal modo trama da dipanare a partire da una controversia specifica e concreta. È la visione di una controversia che permette di osservare “le connessioni tra il vissuto del territorio, le strategie e le visioni politiche ” (ibidem: 33), ed è nella con-

Bibliografia Akrich, M. (1992). The De-Scription of Technical Objects. In W. Bijker & J. Law (Cur.), Shaping Technology, Building Society: Studies in Sociotechnical Change. Cambridge, MA: MIT Press. Campanella, T. (1836). La città del sole. G. Ruggia e c. Coletta, C., Gabbi, F. e Sonda, G. (2009). Penelope: le trame emergenti

troversia che la città ideale diviene molteplice, portandoci a rispondere alle domande “ideale per chi? come?”, divenendo un intreccio contorto di città ideali situate nel vissuto dei partecipanti.

/ 23

Un momento dei laboratori

La tecnologia diviene riflessione Ancora non è stato scelto quale sarà il campo principale di osservazione, quali le controversie tramite cui dipanare la matassa di stakeholder, costruzioni urbane, rappresentazioni e interessi, ma questa è la via scelta. Tale sguardo permette immediatamente di tradurre il discorso sulla città ideale nelle sue declinazioni di città-in-uso, reinventata quotidianamente. La costruzione dell'ambiente tridimensionale che convoca i partecipanti a controversie esplica in tale modo il potenziale del cyberspazio di produrre rappresentazioni alternative (Hakken, 1999), potenziali prodromi di una città ancora a venire, una città che si collega ai vissuti di chi la vive ed allo stesso tempo una proto-città, una città nel suo farsi progettualità urbana e politica. In questo senso, la produzione tecnologica in M.I.C. si costituisce come riflessività della città su se stessa, partendo dal proprio passato per guardare al proprio futuro.

del tessuto urbano. Sentieri Urbani, 1 Trento (1). Ehn, P. (1993). Scandinavian design: On participation and skill. Participatory design: Principles and practices, 41–77. Hakken, D. (1999). Cyborgs@ cyberspace?: an ethnographer looks to the future. Routledge. Kensing, F. (2003). Methods and

practices in participatory design. ITU Press. Moore, S. T. (2007). Utopia. NuVision Publications, LLC. Suchman, L. (2002). Located accountabilities in technology production. Scandinavian Journal of Information Systems, 14(2), 91–106.


24 /

Sentieri Urbani

Spazio&Società

Quartiere Solteri: coinvolgere gli abitanti per PROGETTARE LA CITTÀ di Silvia Alba (Gruppo Palomar, Trento)

Il percorso di “Informazione e Ascolto” degli abitanti del quartiere di Solteri e Centochiavi, a Trento, nel 2003

1. Premessa Da alcuni decenni anche in Italia si sta diffondendo nelle Amministrazioni Locali la consapevolezza dell’importanza e dell’utilità di coinvolgere nei processi decisionali e progettuali di trasformazione delle città e dei territori non solo i portatori di interessi di carattere istituzionale ed economico, ma anche i portatori di interessi definiti come “deboli”, quali ad esempio gli abitanti o particolari categorie di abitanti (bambini, anziani, giovani…). Quando vengono coinvolti questi portatori di interessi “deboli”, persone portatrici di saperi ed esperienze non riconducibili a conoscenze esperte o professionali, che si tratti di un progetto di un cortile scolastico, oppure di un piano di recupero di un area industriale dimessa, accade qualcosa che spesso mette in difficoltà i tecnici progettisti e gli amministratori: le dimensioni dello spazio, le norme di piano e gli aspetti architettonici non bastano più a definire quel luogo, perché questo si anima di storie ed esperienze di vita quotidiana, di esigenze minute quanto fondamentali che danno la base sulla quale costruire il contatto tra gli esseri umani, l’ambiente fisico e il mondo vivente, in modo da realizzare la piena umanità degli individui e della comunità (Mead 1966). Infatti, praticare un coinvolgimento allargato nel campo architettonico e urbani-

stico non è un passaggio semplice e indolore, ma comporta una consapevole assunzione di responsabilità da parte di chi lo propone (nella maggior parte dei casi italiani si tratta di amministrazioni pubbliche locali) nel saperlo gestire e nel condurlo agli obiettivi prefissati. Anche nella nostra provincia, l’esperienza del percorso di Informazione e Ascolto degli abitanti del Quartiere Solteri-Centochiavi sul futuro dell’area ex Atesina, in via Marconi è stata proposta dall’Amministrazione Comunale di Trento nel 2003. Si tratta di un’esperienza interessate non solo, per il fatto di essere stata una delle prime iniziative di coinvolgimento della cittadinanza effettuate in trentino, ma anche per il notevole interesse urbanistico che questo tema urbano rappresenta per la parte nord della città. Vale, quindi, la pena di provare ad analizzare alcuni aspetti di questa esperienza al fine di mettere in luce elementi di riflessione utili qualora l’Amministrazione intenda coinvolgere nuovamente gli abitanti in esperienze analoghe in altre parti della città. L’analisi che segue si propone di rileggere l’esperienza del percorso di Informazione e Ascolto degli abitanti del Quartiere Salteri-Centochivi mettendo a fuoco gli aspetti relativi alla sua gestione, tecnico - amministrativa e politico – strategica, alla scelta degli attori da coinvolgere, alle forme di coinvolgimento adottate e, infine, al ruolo dei progettisti/ facilitatori. Per concludere si tenterà di elaborare una breve sintesi valutativa. 2. La gestione del processo... L’iniziativa è stata promossa dal Consiglio della Circoscrizione 12, il quale ha deliberato a favore della realizzazione di tale processo, con l’avvallo dell’Assessorato comunale competente, che, attraverso l’Ufficio Tecnico responsabile, ha individuato le risorse necessarie per la sua attivazione e ha dato l’avvio formale al processo.


Spazio&Società

2.1 ...dal punto di vista tecnicoamministrativo L’approccio urbanistico tradizionale nella gestione di processi di trasformazione urbana e territoriale in Italia è generalmente descrittivo, regolativo e prescrittivo, si limita ad alcuni aspetti del cambiamento urbano, non tocca temi di gestione operativa del cambiamento, non considera le questioni qualitative di dettaglio, concentrandosi sul dare le regole e i vincoli per azioni future. Si tratta di un approccio che considera il successo dell’iniziativa in termini di una positiva conclusione dell’iter di approvazione,

Sentieri Urbani

mentre passano in secondo piano sia il raggiungimento degli obiettivi, che la riflessione sull’efficacia della pianificazione che si riduce alla semplice conformità alle norme. La pianificazione urbanistica si avvale, quindi, di un approccio di stampo razionale e formale che riconosce come principale obiettivo nella formulazione delle scelte il rispetto delle regole e dei vincoli. Quanto appena descritto a grandi linee è il contesto entro cui prende l’avvio l’esperienza in esame che però, secondo il bando di selezione dei professionisti invitati a organizzare e facilitare

/ 25


26 /

Sentieri Urbani

l’esperienza di “Informazione e Ascolto” avrebbe dovuto configurarsi come un percorso. Che cosa s’intende per “Percorso di Informazione e Ascolto”? Ragionando per esclusione, poiché l’esperienza in esame non è riconducile ad alcuno dei passaggi procedurali della prassi urbanistica corrente, probabilmente sia la Circoscrizione, ma soprattutto l’Ufficio Tecnico che ha scritto il bando di selezione per la scelta dei progettisti-facilitatori, utilizzando il termine percorso voleva intendere un'esperienza caratterizzata da una gestione non formalizzata che, anche se condotta secondo meccanismi fortemente strutturati, è di fatto esclusa da un'interpretazione della prassi urbanistica ordinaria. Emerge, quindi, la difficoltà da parte dell’Ufficio Tecnico di rapportarsi ad esperienze non riconducibili direttamente alla prassi corrente, come risulta evidente anche dall’utilizzo del termine, percorso, suggestivo, ma vago (fatto emblematico se si considera che si tratta di uffici abituati ad una gestione regolativa e prescrittiva dei procedimenti). Tale difficoltà si può ricondurre principalmente a tre aspetti che si sono manifestati durante lo svolgimento dell’esperienza in esame: - alla mancanza di competenze specifiche nella strutturazione di processi partecipati nell’organigramma degli uffici; - alla scarsa attenzione rivolta agli aspetti comunicativi; - alla rigida strutturazione in settori di competenza che operano indipendentemente gli uni dagli altri. Entriamo nel merito. La selezione dei progettisti-facilitatori del percorso è avvenuta sulla base di un progetto che i partecipanti hanno presentato secondo un bando elaborato dallo stesso Ufficio Tecnico, previo accordo politico con l’Amministrazione locale, in questo caso la Circoscrizione, come avviene per i concorsi di urbanistica e di architettura, in cui si danno ai concorrenti tutte le informazioni tecniche e normative necessarie e sufficienti per elaborare il progetto. Ma quanto veniva chiesto nel bando

Spazio&Società

era appunto di progettare un “Percorso di informazione e ascolto di un quartiere” non un progetto architettonico e urbanistico. Nel bando erano presenti tutte le informazioni necessarie per rispettare la procedura della selezione, ma nessuna informazione e nessun dato per ricostruire la realtà sociale che avrebbe dovuto essere informata e ascoltata. La selezione è avvenuta sulla base di progetti elaborati "al buio", che non avevano alcuna aderenza con la realtà e si limitavano a descrivere le regole e le procedure secondo le quali il percorso si sarebbe dovuto sviluppare. Un altro aspetto evidente conseguenza della mancanza di preparazione ed esperienza degli Uffici Tecnici nella gestione di processi inclusivi, sta nel fatto di aver delegato completamente a consulenti esterni la pianificazione del processo, ri-

proponendo la rigida suddivisione di competenze, là dove, invece, è necessaria l’integrazione tra saperi e conoscenze diverse in modo flessibile e funzionale allo scopo prefissato. Volendo approfondire l’aspetto della collaborazione e co-produzione del processo, caratteristica che qualifica un’esperienza come partecipata, la parte tecnico-amministrativa avrebbe dovuto anche farsi promotrice di una stretta interazione con altre strutture comunali, prima tra tutte il Polo sociale presente nella Circoscrizione, con le associazioni di quartiere, con le realtà economiche, con la proprietà dell’area ecc. per individuare e condividere fin dall’inizio con tutte le parti le finalità del processo. Doveva essere chiaro il grado di inclusione che il potere politico e tecnicoamministrativo erano disposti a mettere


Spazio&Società

Sentieri Urbani

efficaci e gratificanti per la realtà sociale coinvolta.

in gioco. Questo ruolo di promotore della comunicazione è stato, invece, completamente delegato ai progettistifacilitatori e verrà più avanti. Per concludere l’analisi dell’approccio tecnico-amministrativo alla gestione del processo si può evidenziare la distanza esistente tra la prassi urbanistica strumentale che considera le trasformazioni territoriali come una fornitura di risposte e soluzioni univoche ai problemi di natura tecnica, prescindendo dalla realtà sociale investita da queste trasformazioni, e l’approccio partecipato e comunicativo, che procede attraverso la riformulazione dei problemi a partire dalle relazioni sociali presenti nel territorio e che, tra le proprie finalità, comprende sempre anche la costruzione di interazioni tra attori diversi come valore imprescindibile, affinché le trasformazioni urbane risultino

2.2 ...dal punto di vista politicostrategico L’ostacolo che normalmente di presenta nei processi inclusivi legato alla mancanza di disponibilità da parte dell’Amministrazione pubblica a cedere una parte del potere politico alla comunità, in questa esperienza è stato parzialmente superato, considerando il fatto che la Circoscrizione 12 ha contribuito notevolmente alla buona riuscita dal processo. A livello di quartiere, quindi, il processo era fortemente sostenuto politicamente e da parte della Circoscrizione era sentita la volontà di considerarlo un primo passo verso una rilettura strategica del futuro assetto urbanistico e sociale di tutto il quartiere. Ma è proprio dal confronto tra il livello politico di quartiere e quello a scala urbana che emergono le debolezze della gestione politico-strategica del processo in esame. Il fatto che la Circoscrizione 12 non sia stata adeguatamente sostenuta dal potere centrale nella propria convinzione di portare avanti una simile esperienza, risulta evidente dal mancato coinvolgimento dell’ITEA, l’Istituto Trentino Edilizia Abitativa, proprietaria dell’area, che non è stata presente in alcuna fase del processo. Probabilmente la Circoscrizione non è riuscita, senza il sostegno del Comune, ad esprimere un peso politico sufficiente a giocare il ruolo di mediazione tra l’Ente provinciale proprietario e le esigenze espresse dal proprio quartiere. La conseguenza è che ITEA non ha condiviso nessun passaggio del processo e ha ricevuto il report dei risultati finali con l’invito a tenerne conto in fase di elaborazione del Piano Attuativo. Anche se la risposta dell’ente è stata positiva, non esiste alcuna garanzia che in fase progettuale quanto emerso dal “Percorso di Informazione e Ascolto” verrà tenuto in considerazione. Questo aspetto porta a fare un’ulteriore considerazione relativa alla possibilità di controllo che portatori di interessi presenti in un processo di coinvolgimento, in parti-

/ 27

colare quelli “deboli”, hanno sull’iter successivo che dovrebbe portare agli effettivi interventi di trasformazione urbanistica e architettonica dell’area. Probabilmente la Circoscrizione verrà coinvolta nell’iter formale nel momento in cui saranno prese le decisioni definitive in merito al futuro dell’area, ma verranno coinvolti anche i “soggetti deboli” che avevano trovato spazio nel “Percorso di informazione e ascolto” ? Per concludere una considerazione di carattere generale. Quando un’amministrazione vuole ricorrere a strumenti inclusivi nella definizione di scelte urbanistiche è necessario che inserisca questi processi entro politiche urbane di lungo periodo attente alla realtà socio-economica della città, affinché la nuova forma urbana non si riduca ad essere solo una trasformazione urbanistico-architettonica, ma si qualifichi anche come nuova organizzazione delle aspirazioni che il territorio è in grado di esprimere. Questo emerge chiaramente quando si tratti di "ambiti chiusi" da riqualificare come nei recuperi di aree industriali dimesse nei quali è auspicabile che il focus dell’intervento non si concentri solo sul recupero delle singole pertinenze rese disponibili dalle dismissioni, quando piuttosto si allarghi nella direzione di un’ampia riqualificazione delle parti di città circostanti che chiedono di soddisfare bisogni e risolvere problemi nuovi o pregressi, come nel caso dell'area Ex Atesina rispetto al quartiere SolteriCentochiavi. 3. Individuazione e interazione degli attori Gli attori che hanno partecipato al processo si possono dividere in tre categorie: gli attori istituzionali (Circoscrizione, Comune), le associazioni di quartiere e il Consiglio Parrocchiale, e i cittadini e commercianti intervenuti a titolo personale. Le modalità con le quali sono stati individuati gli attori da coinvolgere è uno dei limiti riconoscibili del processo in esame: la scelta degli attori non è stata esplicitamente condivisa dai promotori del processo, ma è stata fatta implicita-


28 /

Sentieri Urbani

Spazio&Società

mente, in parte dalla Circoscrizione, e in parte dall’Ufficio Tecnico, come se la scelta di quali fossero lo parti da coinvolgere fosse una cosa ovvia e secondaria e non decisiva relativamente alla qualità dell’inclusione sociale e dei risultati finali dal processo. Se si considera che in un processo inclusivo le risorse sono gli attori, emerge quale limite, nel quadro complessivo del processo in esame, abbia rappresentato la mancanza di una scelta consapevole, eseguita in base a criteri espliciti e condivisi, degli attori da coinvolgere. Questo modus operandi è riconducibile alla mancanza di competenza e di esperienza da parte della Pubblica Amministrazione nella gestione di processi inclusivi. Ma c’è anche da rilevare un ostacolo culturale nei confronti della partecipazione, che risiede in convinzioni condivise dai cittadini, dagli esponenti politici, dagli amministratori e dai tecnici. Se da un lato da molte parti viene auspicato il ricorso a forme di coinvolgimento allargato, legato ai problemi concreti del vivere quotidiano, dall’altro emerge la diffusa diffidenza di fronte alla possibilità del diretto coinvolgimento. Le ragioni di questa difficoltà si possono così schematizzare: - per quanto riguarda l’ambito politicoistituzionale, le resistenze risiedono nel concetto di agire amministrativo basato sull’implicita e scontata capacità del soggetto pubblico di operare secondo modalità di massimizzazione del benessere collettivo, che, anche nel caso richieda un allargamento della concertazione, lo fa in riferimento ad altri portatori di interesse in grado si gestire porzioni di potere rilevante nel contesto locale; - per quanto riguarda l’ambito tecnico-

amministrativo, le resistenze derivano da un approccio auto-referenziato delle discipline urbanistiche e architettoniche che portano i tecnici a considerare come massima forma di coinvolgimento possibile quella dall’ascolto dei bisogni, escludendo qualsiasi coinvolgimento nella fase della progettazione sia in termini di contributo attivo, che in termini di controllo e verifica; - per quanto riguarda le associazioni locali o i comitati, spesso a causa della mancanza di esperienza in processi inclusivi impostati e condotti in modo corretto, la sfiducia e la diffidenza verso il potere politico e amministrativo porta a preferire il conflitto come strumento per raggiungere la mediazione tra le parti; - relativamente ai cittadini che intervengono a titolo personale si avverte la sfiducia della reale possibilità di incidere sulla decisioni, anche quando l’Amministrazione proponga momenti di coinvolgimento. Questo a causa, da un lato di passate frustrazioni, dall’altro a causa della difficoltà da parte dei residenti, riscontrabile soprattutto nella aree urbane di recente insediamento come il quartiere in questione, di appropriazione e riconoscimento dei luoghi che porta ad un diffuso disinteresse per ciò che accade fuori dal proprio ambito domestico. Tornando all’esperienza qui illustrata si può dire che solo una volta che il processo era già in corso su sollecitazione dei progettisti-facilitatorii, è stata avvertita la necessità di verificare la possibilità di interagire con altri attori sociali del quartiere che fino ad allora non erano stati tenuti in considerazione: i bambini, i giovani, gli immigrati. Per questo motivo, si è cercato di attivare una collaborazione


Spazio&Società

con la scuola elementare del quartiere, con gli animatori di strada e i mediatori culturali che operano nell’ambito del Polo sociale, ma con risultati parziali (per quanto riguarda i bambini) o nulli (per quanto riguarda gli immigrati e i giovani) a causa sia del ritardo con cui tali relazioni sono state instaurate, sia dei tempi ristretti entro i quali l’esperienza si è svolta e sia della mancanza di risorse specificatamente destinate a tale scopo. Per completare il quadro generale degli attori coinvolti è da rilevare un’altra assenza importante che ha fortemente compromesso il valore del processo e che si affianca all’altro grande assente, ITEA ente proprietario dell’area. E’ mancato il coinvolgimento della Curia, proprietaria dell’area adiacente al deposito della Trentino Trasporti dove si trovano le strutture parrocchiali (chiesa, oratorio, campo da gioco, piazzetta) che rappresentano a tutt’oggi l’unico “luogo centrale” riconosciuto dai residenti in tutto il quartiere di Soteri-Centochiavi, come è emerso dai risultati del processo. Secondo i partecipanti è, infatti, imprescindibile comprendere anche questa parte nella trasformazione della futura area dimessa. A differenza di ITEA, che a conclusione del processo è stata messa al corrente dei risultati del processo, non risulta che alcuna azione simile sia stata fatta nella direzione di un coinvolgimento della Curia in merito al futuro dell’area. 4. Forme di coinvolgimento La scelta delle forme di coinvolgimento è stata considerata dai promotori del processo come facente parte del bagaglio tecnico dei progettisti-facilitatori selezionati, che hanno individuato la metodologia in base alla quale si è svolto il “Percorso di Informazione e Ascolto” in totale autonomia. Il lavoro è stato suddiviso in tre fasi che sono state rispettate, mentre all’interno di ciascuna parte alcune azioni pensate in fase progettuale sono state riviste e modificate in itinere in accordo con i partecipanti, perché sono risultate essere poco efficaci. La fase informativa è stata articolata utilizzando due tipi di canali:

Sentieri Urbani

- il materiale informativo distribuito capillarmente, conferenza stampa e articoli su quotidiani, spazio su sito web comunale, destinato agli attori da coinvolgere (abitanti commercianti, associazioni, enti, comitati, ecc..), in merito alla natura del processo in atto, agli scopi e alle modalità di svolgimento; - l’apertura di un punto informativo presso la Circoscrizione e l’allestimento di banchetti in punti frequentati del quartiere, presso i quali le persone interessate potevano ricevere informazioni, compilare il questionario e lasciare il proprio recapito per essere contattati nella fase di ascolto per intervenire nei laboratori. La successiva fase è stata strutturata attraverso tavoli di lavoro chiamati Laboratori di ascolto, allo scopo di promuovere l’interazione tra i soggetti partecipanti e le criticità del contesto in esame. A differenza della fase precedente, l’organizzazione delle attività pensate in fase di progetto sono state rispettate, e, una volta individuati gli attori, il processo ha seguito l’iter indicato dalle numerose esperienze disponibili in letteratura. Sono stati organizzati due tavoli di lavoro che procedevano parallelamente, uno per i cittadini, e uno per gli attori “istituzionali”, membri di associazioni, del Consiglio Parrocchiale, alcuni commercianti, che però alla fine risultarono partecipare a titolo personale perché l’associazione di categoria non ha risposto all’invito. A conclusione alcuni rappresentanti dei due tavoli separati hanno esposto i risultati in un laboratorio finale comune da cui sono scaturirti i risultati condivisi. Nel corso dell’ultima fase, le proposte prodotte dal tavolo conclusivo sono state sottoposte al giudizio di tutti i partecipanti che hanno acconsentito alla stesura del report finale del “Percorso di Informazione e Ascolto”. Tale documento è stato poi presentato in sedi e momenti diversi alla Circoscrizione, alla Giunta Comunale, e in un’assemblea pubblica agli abitanti del quartiere. In merito alle forme di interazione tra gli attori si può dire che il processo ha mantenuto un buon livello di

/ 29


30 /

Sentieri Urbani

Spazio&Società

coerenza interna nelle fasi di Informazione e Ascolto, nelle quali si sono avuti anche momenti di co-progettazione con le parti coinvolte, al fine di adattare nel modo migliore quanto previsto nel progetto teorico, lacunoso perché elaborato nella condizioni precedentemente ricordate di assenza di informazioni sulla realtà sociale del quartiere. Maggiore scollamento si è avuto nella fase di pubblicizzazione dei risultati che è stata ridotta al minimo e ha seguito modalità formali, in cui sono apparsi solo gli attori istituzionali, Circoscrizione, Comune, Ufficio tecnico e i progettistifacilitatori come portavoce. Emblematica al riguardo è stata l'assemblea di quartiere durante la quale erano presenti i rappresentanti degli organi politicoistituzionali e tecnico-am-ministrativi, e della proprietà per ricevere dalla comunità i risultati del processo e avere con questa un primo confronto sul merito delle proposte. Premettendo che la forma assembleare è forse quella più difficile da gestire e la meno efficace per raggiungere queste finalità, di fronte alla numerosa partecipazione di residenti, erano assenti l'Assessorato comunale all'Urbanistica e quello ai Lavori Pubblici, l'Ufficio Tecnico, e l'ITEA, mentre rappresentavano l'Amministrazione il presidente della Circoscrizione e l'Assessore ai servizi sociali. In questa situazione tra i presenti è cominciato a serpeggiare il dubbio che, mancando gli interlocutori privilegiati, la presentazione dei risultati del percorso di Informazione e Ascolto fosse solo un’operazione di facciata. Alla fine della serata, le persone più amareggiate erano proprio i partecipanti al processo che per alcuni mesi avevano lavorato insieme per produrre il documento finale. 5. Il ruolo del tecnico-progettista Mancando a tutt’oggi in Italia la figura riconosciuta del professionista in grado di occuparsi di esperienze di urbanistica o architettura partecipata, la figura del progettista-facilitatore dei processi di partecipazione relativi a tematiche urba-

ne coincide, da un punto di vista formale, con quella del tecnico-progettista tradizionale. Questo, non facilita l’attivazione di processi inclusivi nel campo delle trasformazioni urbane, e stimola una riflessione interna sull’assetto presente e futuro della disciplina dell’architetto. L’approccio corrente del tecnico, che operi nelle strutture pubbliche, oppure che lavori come libero professionista, non prevede l’impiego della propria professionalità in contesti di pianificazione e progettazione partecipativa. Nell’esperienza in esame, questa realtà è emersa dal ruolo che gli estensori del bando di concorso, tecnici dell’Ufficio Urbanistica del Comune, hanno deciso di assegnare ai progettisti-facilitatori: quello di esperti in tecniche di coinvolgimento e gestione di gruppi, applicabili all’interno di laboratori considerati come momenti qualificanti a tal punto da rappresentare il processo stesso. Un punto di vista, quindi, che considera la partecipazione una delle possibili tecniche disponibili a cui il progettista può fare ricorso, piuttosto che un approccio culturale, l’adozione del quale necessita l’assunzione di nuovi riferimenti disciplinari, organizzativi e gestionali. 6. Conclusione È difficile trovare dei casi di processi condotti con l’intenzione di essere inclusivi e che si sono rivelati univocamente come degli insuccessi: le vicende sono complesse e gli effetti del processo, soprattutto quelli sociali e culturali, sono apprezzabili a lungo termine e difficilmente quantificabili. Sarebbe stato interessante, oltre che utile per tutte le parti coinvolte, che si fosse elaborata una valutazione del processo in questione. Ma la prassi urbanistica e architettonica da un lato, e l’agire amministrativo e politico dall’altro, hanno scarsa familiarità con le pratiche valutative, che se applicate, riguardano la valutazione dei costi e benefici in termini economici o di aspetti quantitativi, mentre passano in secondo piano quegli aspetti quali ad esempio, l’efficacia, la


Spazio&Società

gratificazione degli attori coinvolti, ecc. che diventano fondamentali nell’approccio partecipativo. Nulla del genere è stato fatto nell’esperienza in questione, e questo intervento non ha certo l’ambizione di proporsi come valutazione dell’intero processo. Il campo della valutazione in generale, e nello specifico della valutazione di processi partecipativi, è un argomento complesso che avrebbe bisogno di una trattazione specifica, a causa dei diversi approcci valutativi possibili a partire da una situazione data. Premesso questo, si proverà di seguito a costruire una breve valutazione ricorrendo solo a criteri descrittivi. Considerando le condizioni di partenza del processo si possono considerare due criteri: - la capacità del “Percorso di Informazione e Ascolto” di porsi obiettivi appropriati rispetto ai problemi e alle istanze presenti (criterio della rilevanza); - la rispondenza dei mezzi messi a disposizione agli obiettivi (criterio di coerenza interna). Alla luce del primo criterio, si può affermare che il percorso si è dimostrato adeguato ad affrontare le criticità presenti nell’area, a patto che si concentri l’attenzione al solo comparto occupato dal deposito mezzi della Trentino Trasporti. Alla luce del secondo criterio, si può affermare che i mezzi messi a disposizione, soprattutto grazie alla mobilitazione volontaria della Circoscrizione e delle associazioni di quartiere è stata sufficiente per il raggiungimento dell’obiettivo. Questo aspetto è importante perché qualifica il percorso come un’esperienza di “partenariato”, nella quale gli attori coinvolti mettono in gioco e scambiano le risorse che hanno a disposizione. Questa condizione di collaborazione e coinvolgimento attivo è stata possibile grazie al forte tessuto associativo e volontaristico già presente nel quartiere, che il processo ha saputo valorizzare come indispensabile risorsa. Considerando i risultati del processo si introduce il criterio del raggiungimento degli obiettivi proposti (efficacia).

Sentieri Urbani

Rispetto a questo criterio, è necessaria una premessa che richiama in parte quanto detto più diffusamente al punto 2.2. Benché la Circoscrizione considerasse questo processo un primo passo verso la costruzione di una visione strategica del futuro assetto urbanistico e sociale del quartiere, in sostanza i risultati si sono concentrati solo sull’area del deposito della Trentino trasporti, e questo malgrado il processo avesse sollevato e lasciato in sospeso altre importanti problematiche per il futuro del quartiere: il destino dei depositi di carburante della FAMBRI, il problema della carenza di spazi scolastici, il disagio per il traffico di attraversamento, il rapporto tra la zona dei Solteri e quella di Centochiavi, l’integrazione degli immigrati residenti alle case ITEA, il rapporto con il nuovo insediamento del Magnete, per citare i più sentiti dai partecipanti. Difficile, quindi, valutare quanto il processo si sia dimostrato efficace, perché gli obiettivi sono risultati essere mal posti: prima si sarebbe dovuta costruire una lettura della problematiche del quartiere a scala ampia, e successivamente si sarebbe potuto restringere il campo puntando su quelle istanze che l’area disponibile di trasformazione permetteva di affrontare. In questo modo, concentrando le energie su specifici problemi, sarebbe aumenta la probabilità di una buona aderenza dei risultati agli obiettivi e, di contro, sarebbe diminuito il rischio, non remoto, di creare aspettative e frustrazioni nei partecipanti al coinvolgimento. Un altro aspetto che rende difficile la valutazione dell’efficacia del “Percorso di Informazione e Ascolto” del quartiere è legato al fatto che la sua efficacia si dimostrerà, qualora il valore del coinvolgimento verrà riconosciuto, perché tenuto in considerazione come riferimento imprescindibile in fase di progettazione del nuovo assetto urbanistico e architettonico dell’area. Ma questa è un’eventualità futura, i cui tempi e modalità di realizzazione non sono prevedibili. Ponendo l’attenzione ad altri aspetti del processo, si possono considerare i se-

/ 31


32 /

Sentieri Urbani

Spazio&Società

guenti criteri: - il confronto tra le istanze e le ricadute/ impatti non previsti (congruità); - la capacità di un effetto prodotto dall’iniziativa di durare nel medio-lungo periodo (sostenibilità) - la capacità di diffondere la metodologia partecipata come processo innovativo (utilità). Tra gli effetti non previsti del processo si può considerare il fatto di aver sollevato all’evidenza una serie di altre problematiche di carattere non solo urbanistico, ma anche sociale, che, come si è detto sopra, sono rimaste sullo sfondo anche se intimamente legate al destino dell’area ex-Atesina. In realtà, se il processo fosse stato impostato secondo criteri partecipativi fin dall’inizio, durante i primi incontri tra gli attori politici e amministrativi (Circoscrizione, Assessorati e Ufficio tecnico) e al momento di stendere il bando di selezione dei facilitatori, questa eventualità sarebbe stata considerata una certezza e come tale affrontata. Rispetto a questo criterio, come già rispetto all’efficacia, il “Percorso di Informazione e Ascolto” presenta dei limiti evidenti in merito alla capacità di risultare effettivamente inclusivo e partecipato. Per quanto riguarda la sostenibilità nel medio e lungo periodo degli effetti del

processo e la sua utilità, considerando l’aspetto del coinvolgimento, è possibile dire che l’approccio inclusivo si è innestato in un radicato sentimento di comunità presente in alcuni consiglieri della Circoscrizione, nelle associazioni e nei cittadini coinvolti, con un’elevata probabilità di rimanere come bagaglio di esperienza comune nel medio-lungo periodo. Ugualmente non si può dire per quanto riguarda gli effetti sull’agire tecnicoamministrativo e politico. Considerando, da ultima, la possibilità di trasferire quest’esperienza in altri contesti (riproducibilità) si possono distinguere due aspetti: quello metodologico e quello culturale. Da un punto di vista della metodologia utilizzata nella progettazione e conduzione del "Percorso di informazione e ascolto” del quartiere SolteriCentochiavi, questo è sicuramente fattibile. Diversamente l'approccio culturale che deve sostenere un processo inclusivo non si può riprodurre attraverso un progetto. Questo è un punto chiave della difficoltà di diffondere pratiche partecipate anche in realtà sensibili all’argomento, come a Trento. Questo perché la partecipazione non è una soluzione tecnica da applicare, ma implica una revisione profonda dell'agire politico, amministrativo e tecnico. Per concludere l’analisi fin qui condotta

del “Percorso di Informazione e Ascolto” del quartiere Solteri-Centochiavi condotto dal giugno al dicembre del 2003 è possibile trarre le seguenti considerazioni di sintesi: - c’è stato uno scollamento tra la gestione tecnico-amministrativa, la gestione politica-istituzionale che ha determinato forti lacune nella definizione di una strategia entro la quale stabilire quali risultati ottenere in funzione a quali obiettivi certi e condivisi. Questo ha ridotto al minimo le opportunità di reale coinvolgimento gli abitanti nel processo di trasformazione dell’area; - grazie al sostegno ricevuto dal quartiere, dalla Circoscrizione e dalle associazioni, il processo ha potuto avere una ricaduta positiva sulla comunità considerando i mezzi messi a disposizione e i tempi disponibili. riconducibile al fatto che i partecipanti hanno fatto propri i risultati del processo. Infatti, dopo la conclusione dell’iniziativa alcuni di loro, costituitisi in comitato, hanno continuato a seguire le vicende amministrative dell’area in questione, incontrando l’assessore all’Urbanistica e partecipando alle assemblee e agli incontri pubblici che si sono tenuti da allora nel quartiere per mantenere viva l’attenzione pubblica sul tema urbano e sui risultati del processo che li aveva coinvolti.

Bibliografia Margaret Mead e Muriel Brown, The Wagon and the Star: A Study of American Community Initiative 1966, Rand McNally, Chicago Comune di Roma, Ufficio Speciale per la Partecipazione dei cittadini e dei Laboratori di Quartiere, Le ragioni della partecipazione nei processi di trasformazione urbana, 2001,

Roma GruppoPalomar, Progetto presentato alla selezione dei progettisti per il “Percorso di Informazione e Ascolto degli abitanti del quartiere Solteri—Centochiavi sul futuro dell’area ex-Atesina”, 2003 Trento GruppoPalomar, Report riassuntivo dei risultati del “Percorso di Imformazione e Ascolto degli abitanti del quartiere Solteri—

Centochiavi sul futuro dell’area ex-Atesina”, 2003 Trento Schön Donald A. , Formare il professionista riflessivo. Per una nuova prospettiva della formazione e dell'apprendimento nelle professioni, 2006 Franco Angeli, Milano


Territorio&Paesaggio

Sentieri Urbani

/ 33

L’uso di indicatori per il confronto tra scenari nella Valutazione Ambientale Strategica di Davide Geneletti, Chiara Bragagnolo

1. Introduzione Le linee guida per la Valutazione Ambientale Strategica (VAS) dei piani disponibili in Italia si focalizzano per lo più sugli aspetti procedurali della VAS, quali ad esempio le modalità di interazione con il percorso di piano e la partecipazione del pubblico. Poco viene specificato a proposito del contenuto analitico del rapporto ambientale. Questo è in parte giustificato dal fatto che un elemento chiave della VAS è la sua flessibilità, intesa come capacità di scegliere, caso per caso, il livello di approfondimento delle diverse tematiche ambientali e gli strumenti analitici più adeguati (Jones et al., 2005; Therivel, 2004). Tuttavia, la revisione di un campione di VAS redatte negli ultimi anni in Italia ha messo in evidenza come siano ancora piuttosto diffuse una serie di lacune che caratterizzano proprio gli aspetti analitici e che limitano l’efficacia della procedura nell’offrire un supporto alle scelte di piano. Uno degli elementi più critici emersi riguarda lo scarso utilizzo, per lo meno in chiave valutativa, di dati ed indicatori territoriali, nonostante la loro diffusione e facilità di accesso. All’interno dei rapporti ambientali, l’uso di dati GIS è spesso limitato a una funzione descrittiva, che trova spazio nella parte introduttiva, dove vengono delineate le condizioni territoriali e ambientali di riferimento. Analogamente, l’utilizzo di indicatori di qualità ambientale è limitato a questa fase, per poi essere richiamato sommariamente nel capitolo finale relativo al monitoraggio, in cui sostanzialmente ci si limita a auspicare un uso futuro degli indicatori (spesso ‘smodato’, visto il numero di indicatori proposti), la cui rilevanza ai fini pratici delle scelte di pianificazione è però solo abbozzata. Questo contributo illustra, attraverso un caso applicativo, come si possa costruire e applicare un sistema di indicatori durante la VAS di un piano urbanistico comunale. Gli indicatori utilizzati sono

stati proposti a valle di una fase preliminare in cui sono state identificate, da un lato, le criticità e potenzialità ambientali del territorio indagato e, dall’altro, le azioni di piano più significative dal punto di vista dell’interazione con l’ambiente. Il sistema di indicatori, di natura prevalentemente geografica e quantitativa, ha rappresentato il perno metodologico della valutazione ambientale del piano. Il calcolo degli indicatori ha permesso di generare mappe tematiche, che sono state poi utilizzate come riferimento per la stesura del piano e la valutazione dei suoi effetti. In particolare, il sistema di indicatori è stato utilizzato in tre momenti principali: - il supporto al disegno del piano e alle singole scelte (previsioni edificatorie, riassetto viabilistico, percorsi ciclopedonali, valorizzazione delle aree verdi e naturali); - la valutazione puntuale degli effetti ambientali dei principali ambiti di trasformazione previsti e la proposta di mitigazioni e compensazioni; - la valutazione complessiva degli effetti del piano e il confronto con lo scenario attuale e quello di completamento del piano urbanistico vigente. Il paragrafo 2 riporta una descrizione degli indicatori utilizzati, aggregati per aree tematiche. Nel paragrafo 3 si presentano le analisi condotte durante la VAS, con particolare riferimento al terzo punto di cui sopra, ossia alla costruzione e confronto tra scenari. Ai fini di illustrare il metodo proposto, si è fatto riferimento al percorso di VAS del Piano di Governo del Territorio del Comune di Albiate (Provincia di Monza e della Brianza), riportando alcuni dei contenuti del rapporto ambientale relativo allo schema di piano adottato nell’aprile 2009. Tuttavia, avendo l’articolo come scopo principale quello di presentare alcuni aspetti metodologici legati all’uso degli indicatori, non si entrerà nel merito del caso specifico

(peraltro tutt’ora in fase di completamento). 2. Il sistema di indicatori Il sistema di indicatori è stato organizzato in quattro tematiche, direttamente riconducibili sia alle potenzialità e criticità del territorio, sia agli specifici obiettivi del piano urbanistico: suolo, ecosistemi naturali e rete ecologica, accesso ai servizi e salute pubblica (Tabella 1). Suolo La tematica suolo è stata trattata ponendo particolare attenzione ai fenomeni di sprawl urbano e di consumo di suolo, che, in maniera più o meno diretta, inducono una serie di impatti ambientali e territoriali significativi. Sono stati utilizzati i cinque indicatori seguenti: - Sprawl. Misura il grado di compattezza del tessuto urbano all’interno di un’area vasta che comprende anche i comuni limitrofi, utilizzando una funzione GIS basata sui neighborhood operators. - Consumo di suolo. Calcola l’incremento percentuale della superficie urbanizzata legato alla crescita prevista dal piano. E’ espresso attraverso il rapporto tra superficie artificiale (al netto di parchi e giardini) e superficie comunale totale. Intensità d’uso del suolo. Misura la quantità di suolo urbanizzato per abitante, suddivisa nei diversi ambiti urbani del Comune. - Permeabilità dei suoli urbani. Calcola la superficie, all’interno dei suoli urbani, in grado di filtrare l’acqua in modo profondo e di contribuire alla ricarica attiva della falda. E’ espresso dal rapporto percentuale tra la superficie permeabile in modo profondo e la superficie fondiaria delle zone destinate ad espansioni e a trasformazioni urbanistiche, suddivise per le diverse funzioni (residenziale, terziaria e produttiva, commerciale). - Riuso del territorio urbanizzato. Esprime il rapporto percentuale tra le superfi-


34 /

Sentieri Urbani

Figura 1: Indice di sprawl: stato attuale (a sinistra) e scenario di piano (a destra).

Territorio&Paesaggio

ci già urbanizzate e dismesse da destinare a nuove edificazioni e le aree di nuova espansione. Ecosistemi naturali e rete ecologica Il tema risulta di particolare importanza rispetto al ruolo che il territorio comunale svolge nel mosaico ecopaesaggistico dell’area vasta, con particolare riferimento alla conservazione delle frange urbane, delle aree rurali e dei corridoi fluviali. Il tema è stato rappresentato attraverso i tre indicatori seguenti: - Naturalità. Assegna un grado di naturalità alle diverse aree del territorio comunale, sulla base delle informazioni contenute nelle cartografie del suolo e della vegetazione esistenti, integrate con rilievi puntuali. La valutazione della naturalità è stata condotta separatamente per diversi contesti omogenei (fluviale, rappresentato dal corridoio fluviale; agricolo, costituito prevalentemente dalle aree agricole libere; misto, dominato da aree agricole frammiste a tessuto urbano e infrastrutture; urbano, con netta predominanza di tessuto urbano e infrastrutture). - Connettività ambientale. Stima la connessione delle aree naturaliformi all’interno di un’area vasta, comprendente tutti i comuni limitrofi. La metodologia di calcolo adottata ha previsto la selezione delle aree naturaliformi residue (macchie), l’attribuzione di un fattore di permeabilità alle aree, in funzione della loro maggiore o minore resistenza al movimento e il calcolo della distanza tra le macchie, pesata con il fattore di permeabilità. - Frammentazione. Misura la frammentazione delle aree naturaliformi residue all’interno dell’area vasta attraverso il Landscape Shape Index (McGarigal and Marks, 1995).

Accesso ai servizi L’accessibilità di alcuni dei principali servizi urbani è stata valutata attraverso analisi geografiche relative alla distribuzione della loro domanda e offerta, utilizzando i quattro indicatori seguenti: - Accessibilità delle aree verdi. Valuta le distanze tra aree residenziali e aree verdi, utilizzando i parametri suggeriti dagli Indicatori Comuni Europei (EC, 2003). - Accessibilità dei servizi scolastici. Stima i tempi di percorrenza per raggiungere il servizio più vicino. - Accessibilità delle piste ciclabili. Valuta le distanze tra aree residenziali e piste ciclabili, utilizzando i parametri suggeriti dagli Indicatori Comuni Europei. - Accessibilità del trasporto pubblico locale. Stima i tempi di percorrenza per raggiungere la fermata più vicina. Salute pubblica Il tema risulta particolarmente importante per il contesto considerato, in particolare a causa delle condizioni critiche in termini di qualità dell’aria. Gli indicatori considerati sono: - Esposizione all’inquinamento elettromagnetico. Valuta la distribuzione della popolazione all’interno delle aree potenzialmente esposte ad inquinamento elettromagnetico, derivante dalla presenza di elettrodotti e antenne della telefonia mobile. - Esposizione all’inquinamento atmosferico e acustico. Valuta la distribuzione della popolazione all’interno delle aree potenzialmente esposte ad inquinamento da traffico veicolare e da altri fonti inquinanti di natura puntiforme. 3. Confronto tra scenari di Piano La costruzione e il confronto tra diversi scenari ha lo scopo di verificare in che misura e in quali località l’assetto territoriale prefigurato dalla proposta di Piano


Territorio&Paesaggio

Sentieri Urbani

Tema

Indicatore

/ 35

Tabella 1: Prospetto degli indicatori utilizzati

Sprawl Consumo di suolo Suolo

Intensità d’uso del suolo Permeabilità dei suoli urbani Riuso del territorio urbanizzato

Ecosistemi naturali e rete ecologica

Accesso ai servizi

Naturalità Connettività ambientale Frammentazione ecosistemica Accessibilità delle aree verdi Accessibilità dei servizi scolastici Accessibilità delle piste ciclabili Accessibilità del trasporto pubblico locale

Tabella 2: Accessibilità delle aree verdi per quartiere (espressa in percentuale sulla popolazione residente)

Esposizione all’inquinamento elettromagnetico Salute pubblica

Esposizione all’inquinamento acustico Esposizione all’inquinamento atmosferico

contribuisce a conseguire gli obiettivi sottesi dal sistema di indicatori adottato: risparmio di suolo, valorizzazione delle reti ambientali, miglioramento dell’accesso ai servizi urbani e riduzione dell’esposizione a inquinanti all’interno delle aree residenziali. In particolare, sono stati considerati, laddove significativo con riferimento all’indicatore considerato, tre scenari: - Lo stato attuale; - Lo stato previsto in seguito alla completa attuazione del Piano urbanistico vigente; - Lo stato previsto in seguito alla completa attuazione della nuova proposta di Piano. La costruzione degli scenari è stata effettuata attraverso la proiezione della crescita demografica e la distribuzione delle nuove destinazioni di uso del suolo previste dai piani. Gli abitanti teorici previsti per ciascuna nuova area edificabile sono stati distribuiti omogeneamente all’interno della stessa. A questo proposito, è stato fatto riferimento al valore medio di abitanti teorici. Per alcuni indicatori, l’analisi è stato disaggregata per i diversi quartieri, in modo da consentire un’analisi della distribuzione geografica dei ‘costi e benefici’ ambientali della proposta di Piano (es. carichi inquinanti, aree verdi, etc). A titolo esemplificativo, si riportano di seguito i risultati di alcune delle analisi svolte. L’indicatore relativo al consumo di suolo ha evidenziato come la completa attuazione del Piano vigente preveda un consumo di suolo di circa il 6% rispetto allo stato attuale, raggiungendo circa il 56% rispetto alla superficie comunale totale.

ID quartiere

Stato attuale

Scenario di piano

1

57

62

2

100

100

3

80

82

4

100

100

5

0

4

6

26

74

La proposta di Piano, modificando in parte le previsioni all’interno di aree di prevista espansione non ancora attuate, comporterebbe invece un consumo di suolo più contenuto, nell’ordine del 4,5%. La Figura 1 mostra il confronto tra il livello di sprawl attuale e quello atteso in seguito alla realizzazione della proposta di Piano, evidenziando come alcune delle nuove aree di espansione tendano a compattare il tessuto urbano esistente. Per quanto riguarda la naturalità, gli scenari sono stati costruiti aggiustando il valore di naturalità in funzione delle previsioni di uso del suolo. La Figura 2 confronta la proposta di Piano e lo stato attuale e la proposta di Piano e il Piano vigente attuato, evidenziando le località in cui la naturalità è destinata a aumentare o diminuire, in base ai diversi interventi previsti. In particolare, il completamento del Piano vigente comporterebbe un decremento dell’indice di naturalità soprattutto all’interno del contesto agricolo localizzato a Sud, mentre la proposta di Piano prevede misure correttive, quali il potenziamento di alcuni corridoi

ecologici, ma anche alcune edificazioni in nuove aree di espansione urbana, che riducono il valore di naturalità. L’accessibilità al verde urbano è stata valutata calcolando, all’interno dei diversi quartieri, la percentuale di popolazione residente entro 300 metri in linea d’aria (corrispondenti a circa 500 m di percorso urbano) da aree verdi con una superficie minima di 5.000 metri quadrati. Allo stato attuale, le aree verdi risultano accessibili al 66% della popolazione. Il confronto con le previsioni di Piano, esemplificato per alcuni quartieri, è riassunto nella Tabella 3. Questo tipo di analisi permette di rilevare elementi importanti, quali per esempio l’esistenza di disparità tra i diversi quartieri o nuclei urbani. L’accessibilità ai servizi scolastici e per l’infanzia è stata valutata attraverso il calcolo dei tempi di accesso pedonale al servizio più vicino. Tale calcolo è stato condotto in modo semplificato, trascurando aspetti quali per esempio la distribuzione dei passaggi pedonali. Tuttavia, anche se probabilmente non significativa in valore assoluto, la cartografia dei


36 /

Sentieri Urbani

Figura 2 (in alto): Indice di naturalità: confronto tra proposta di Piano e stato attuale (a sinistra) e proposta di Piano e Piano vigente attuato (a destra). Rosso: condizione peggiorata; bianco: nessuna variazione significativa; verde: condizione migliorata.

Figura 3 (in basso): Tempi di percorrenza per accedere ai servizi scolastici: stato attuale (a sinistra) e scenario di piano (a destra).

Territorio&Paesaggio

tempi di percorrenza offre un prospetto comparativo delle diverse aree e delle principali problematiche, permettendo di cogliere gli elementi migliorativi introdotti dalla proposta di Piano, così come di rivederli in modo opportuno (Figura 3). Un’analisi simile è stata condotta per le piste ciclabili. Per quanto riguarda gli indicatori riferiti alla salute pubblica, gli scenari futuri sono stati costruiti considerando il valore massimo di abitanti teorici previsti, applicando quindi il principio di precauzione. A titolo di esempio, la Figura 4 mostra la relazione tra le fasce di disturbo degli elettrodotti ad alta e media e le residenze attuali e previste. 4. Conclusioni Le analisi presentate in questo contributo permettono di arrivare a valutazioni di sintesi di una proposta di Piano, confrontando gli effetti che questa produce con quelli degli strumenti di pianificazione vigenti. Le analisi di cui al paragrafo precedente possono essere riassunte in prospetti sintetici delle performance attese, quali quello esemplificato in Tabella 2, utili per stimolare il dibattito con i de-

cisori e con il pubblico. Per esempio, in questo caso, si evidenzia come la proposta di Piano potrebbe portare a una riduzione del consumo di suolo e ad un miglioramento della connettività ecosistemica, grazie alla previsione di corridoi di connessione e al ridisegno di alcune aree di espansione urbana. La proposta prevede comunque ambiti di crescita urbana, i quali determineranno una perdita netta di suolo, fenomeni localizzati di incremento nello sprawl residenziale e alcune interferenze con gli elementi della rete ecologica. L’accesso ai servizi, infine, verrebbe in generale migliorato, grazie alla previsione di nuovi spazi pubblici e al ridisegno dei percorsi ciclopedonali. L’idea di base del metodo illustrato è la costruzione mappe tematiche, da usare come riferimento in vari momenti durante la stesura del piano. Ad esempio, le mappe tematiche possono essere sovrapposte e confrontate con la localizzazione delle singole istanze pervenute all’amministrazione, con lo scopo di valutarne in modo speditivo la compatibilità ambientale. Analogamente, tale valutazione può essere estesa all’analisi degli


Territorio&Paesaggio

Sentieri Urbani

Indicatore

Confronto tra stato attuale e nuovo piano

Confronto tra piano vigente attuato e nuovo piano

Sprawl Consumo di suolo Intensità d’uso del suolo Riuso del territorio urbanizzato

/ 37

Tabella 3: Sintesi dei risultati (estratto). Verde: condizione migliorata; giallo: condizione invariata; rosso: condizione peggiorata; -: confronto non significativo.

--

Accessibilità alle aree verdi

--

Accessibilità alle piste ciclabili

--

Naturalità Connettività ambientale Esposizione inquinamento elettromagnetico

effetti di gruppi di istanze e, successivamente, di veri e propri scenari di piano, come illustrato nel paragrafo precedente. Potranno poi essere condotte anche con analisi più puntuali, limitate ai siti o agli interventi più critici, allo scopo di suggerire modifiche, così come interventi di mitigazione o compensazione. Il metodo proposto intende fornire uno strumento a supporto delle VAS dei piani urbanistici, contribuendo a migliorare il loro contenuto analitico. Il sistema di indicatori qui impiegato nasce dalle esigenze specifiche del caso di studio, anche se può essere ritenuto paradigmatico delle condizioni di tanti piccoli e medi comuni italiani. In ogni caso, è importan-

te che in una fase preliminare del processo di piano e di VAS si svolga un’analisi per selezionare gli elementi più significativi dal punto di vista dell’interazione tra piano in questione e ambiente interessato, evitando di importare gruppi di indicatori pre-confezionati e di condurre analisi che, seppur metodologicamente appropriate, siano poco rappresentative delle problematiche del contesto in esame. Questo fase, generalmente definita di scoping, è fondamentale in quanto consente di circoscrivere il campo d’azione, evitando così di riversare nel processo valutativo un quantità troppo elevata, e quindi ingestibile, di informazioni.

Figura 4. Aree interessate da inquinamento elettromagnetico sovrapposte alle previsioni di Piano


38 /

Sentieri Urbani

Territorio&Paesaggio

Ecosistemi fluviali e pianificazione territoriale di Valentina Dallafior1,2, Marta Bertolaso2, Maurizio Siligardi1 In alto: Fig.1 - torrente Grigno (Pieve Tesino, Tn);

1. Agenzia Provinciale per la Protezione dell’Ambiente - Provincia Autonoma di Trento 2. Dipartimento di Scienze Ambientali Università Ca’ Foscari di Venezia

Introduzione L’ambiente fluviale, in quanto ecosistema complesso, è caratterizzato da strette interrelazioni con il territorio circostante, basate su consistenti scambi di materia ed energia. I corsi d’acqua sono ambienti lineari ridotti in estensione ma fondamentali per il loro elevato grado di biodiversità, se questa non è compromessa eccessivamente dagli interventi antropici. Come afferma Farina ‘tutti gli ambienti di transizione attorno alle masse d’acqua sono ecotoni di grande rilevanza’ (Farina, 2001). L’espansione urbanistica ed economica, però, ha spesso manomesso o addirittura completamente distrutto queste aree ecotonali disposte longitudinalmente al corso d’acqua. Queste sono infatti state concepite come aree improduttive e per questo sottratte all’ecosistema fluviale ed utilizzate per scopi economico-insediativi. Gli ecotoni fluviali rappresentano spesso in terri-

tori modificati e sfruttati dall’uomo dei lembi residui di naturalità e delle importanti strutture di connessione all’interno del paesaggio. Essi hanno l’importante capacità di assicurare la dispersione degli organismi nel territorio, di garantire la modificazione geomorfologia del territorio, ad esempio attraverso processi di erosione ed accumulo di materiale, e la connessione tra i vari ambienti. I sistemi fluviali assicurano dunque molti ‘servizi ecosistemici per il territorio’ (Farina, 2001). Tale capacità è strettamente legata alla qualità dell’ecosistema fluviale e delle sue acque, che a sua volta è determinata dall’uso del territorio dei bacini. L’ecotono fluviale riesce ad esprimere al meglio la sua funzionalità e ad apportare benefici ecologici al territorio circostante se le pressioni e le determinanti che agiscono sullo stesso non compromettono in senso negativo l’ecosistema fluviale. In caso di eccessiva modifi-


Territorio&Paesaggio

cazione dell’assetto originario del corso d’acqua e di una gestione non sostenibile delle aree di pertinenza fluviale, l’ecosistema fluviale non riesce a svolgere il suo ruolo all’interno secondo le sue massime potenzialità. Dunque, per attuare una sostenibilità ambientale nella gestione degli ecosistemi fluviali e nella pianificazione territoriale degli ambiti ad essi annessi è necessario tenere in considerazione lo stato ecologico dei corsi d’acqua e gli effetti che gli interventi antropici potrebbero avere sulle componenti ecologiche. Un tale approccio di gestione delle risorse idriche necessita quindi di adeguati strumenti di valutazione delle caratteristiche funzionali del sistema fluviale, considerato nei suoi diversi aspetti, idromorfologici o biologici o ecologici. Tali indici ed indicatori, se sintetici, speditivi e di facile lettura, costituiscono un’importante ed indispensabile base conoscitiva per i progetti e programmi di gestione dell’ecosistema fluviale e del territorio circostante. Il metodo IFF L’IFF (Indice di Funzionalità Fluviale - Siligardi et al., 2007) è un metodo finalizzato alla valutazione della funzionalità ecologica dell’ecosistema fluviale. Analizzando l’insieme dei processi coinvolti nelle dinamiche fluviali, sia fisiche che biologiche, tale indice permette di ottenere un giudizio sintetico di funzionalità fluviale, intesa come la capacità dell’ecosistema fluviale di svolgere e di mantenere i processi e le relazioni troficofunzionali di un corso d’acqua. Data la necessità di valutare gli ecosistemi fluviali secondo un approccio integrato che tenga in considerazione tutte le componenti che concorrono a definire l’ecosistema fluviale (ambiente acquatico, vegetazione riparia e uso del territorio circostante), l’IFF è stato ampiamente adottato come metodo per integrare le valutazioni derivanti dalle analisi sulla qualità delle acque allo scopo di ottenere un quadro conoscitivo più approfondito e completo dei corsi

Sentieri Urbani

d’acqua. Numerose sono ormai le esperienze di applicazione dell’IFF in Italia a scopo conoscitivo e di monitoraggio degli ecosistemi fluviali. L’IFF è stato applicato su almeno 4000 km di fiumi italiani, con alcune esperienze di applicazione anche in Austria (progetto RIPFOR), Germania e Cile. Per la sua applicazione sul campo è necessario percorrere a piedi il tratto interessato da valle a monte, osservando le due rive. Deve essere compilata una scheda per ogni tratto omogeneo individuato, ove per tratto omogeneo si intende una porzione del corso d’acqua al cui interno rimangono invariati tutti i parametri valutati dal metodo IFF. La scheda IFF si compone di una intestazione con la richiesta di alcuni metadati e di 14 domande che riguardano le principali caratteristiche ecologiche di un corso d’acqua. In particolare, le tematiche analizzate sono: - domanda 1: territorio circostante; - domande 2-3-4: condizioni vegetazionali delle zone perifluviali; - domande 5: condizioni idriche; - domande 6-7-8-9: struttura e morfologia dell’alveo; - domande 10-11: idoneità ittica ed idromorfologia; - domande 12-13-14: caratteristiche biologiche. Esistono quattro risposte predefinite per ogni domanda che rappresentano quattro gradi di funzionalità, ad ognuno dei quali viene attribuito un punteggio numerico. La risposta a) viene associata al massimo livello di funzionalità ecologica e al massimo punteggio per quella domanda; al contrario, la risposta d) è associata al minimo livello di funzionalità e, quindi, al minimo punteggio. E’ necessario individuare, seguendo le indicazioni e le casistiche descritte nel manuale, quale tra le quattro risposte è la più vicina al caso in esame ed assegnare, quindi, il punteggio stabilito per quella situazione ambientale. La somma dei punteggi delle risposte assegnate per le due sponde (in alcune domande, infatti, possono essere attribuiti punteggi diversi alle

/ 39


40 /

Sentieri Urbani

Fig. 2 - tratto del torrente Moggio fortemente artificializzato (Borgo Valsugana, Tn)

Territorio&Paesaggio

due sponde) corrisponde al valore di IFF al quale vengono poi associati il livello ed il giudizio di funzionalità. Il punteggio finale viene infatti tradotto in 5 livelli di funzionalità (L.F.), espressi con numeri romani (da I che indica la situazione migliore a V che indica quella peggiore), ai quali corrispondono i relativi giudizi di funzionalità; sono inoltre previsti livelli intermedi. Ad ogni livello di funzionalità viene associato un colore convenzionale per la rappresentazione cartografica; i livelli intermedi vengono rappresentati con un tratteggio a barre oblique a due colori alternati. In Fig.3 si riporta, a titolo esemplificativo, una mappa relativa ai risultati di funzionalità fluviale del torrente Ceggio (Bassa Valsugana, TN). Applicazione dell’IFF a supporto della pianificazione ambientale L’IFF non è solo uno strumento di monitoraggio ambientale, utilizzabile a scopo conoscitivo, ma può essere utilizzato come strumento a supporto della pianificazione ambientale. Sulla base dei risultati IFF si possono infatti ottenere importanti informazioni per diverse applicazioni: - progetti di creazione di zone umide, di rinaturalizzazione dei corridoi fluviali e di ricostruzione di zone tampone; - istituzione di vincoli che permettano di restituire al fiume il territorio di sua pertinenza o di suggerire criteri di pianificazione in corrispon-

denza di tratti con elevata funzionalità fluviale dove è necessario garantire il mantenimento di situazioni di pregio ambientale; - valutazione dell’accettabilità o meno di interventi, progetti e proposte pianificatorie e per esprimere giudizi di compatibilità ambientale (VIA, VAS, Valutazioni di incidenza, PRG, Piani forestali e montani, Piani di Comunità di Valle): è possibile infatti procedere ad esempio ad un confronto tra schede ante-operam e postoperam, effettuando delle considerazioni in merito alla eventuale differenza della funzionalità fluviale riferita ai due scenari. Conclusioni I sistemi fluviali sono considerati elementi fondamentali all’interno dell’assetto territoriale ai fini di conservarne le funzioni ed ottimizzare i benefici da essi prodotti. Risulta dunque necessario adottare all’interno dei processi decisionali degli interventi di pianificazione ambientale, dei criteri che assicurino la tutela di questi ecosistemi. Nella gestione ambientale dei corpi idrici, infatti, emerge sempre più evidente la necessità di adottare un approccio che tenga conto sia delle esigenze di sviluppo territoriale che della protezione ambientale. L’IFF può dunque contribuire a fornire valutazioni utili per la pianificazione ambientale degli ambiti fluviali, che possono integrare le considerazioni dell’analisi paesaggistica, socio-economica ed idraulica al fine di ottenere una valutazione più completa degli scenari in esame.


Territorio&Paesaggio

Bibliografia Bolscher, J., et al., Hydraulic, Sedimentological and Ecological Problems of Multifunctional Riparian Forest Management RIPFOR, The Scientific Report, Berliner Geographische Abhandlungen, Heft 65: 1-145, Berlin, 2005 CIRF, La riqualificazione fluviale in Italia, Mazzanti Editori srl, Venezia, 2006 Defrancesco C., et al., L’applicazione dell’IFF come strumento di pianificazione, Agenzia Provinciale per la Protezione dell’Ambiente di Trento, atti del convegno ‘L’innovazione al servizio della conoscenza e della prevenzione Dai sistemi di monitoraggio alla diffusione della cultura ambientale’, 7^ Conferenza nazionale delle Agenzie Ambientali, 2003 Farina A., Ecologia del paesaggioPrincipi, metodi e applicazioni, UTET Libreria, Torino, 2001 Fondazione Lombardia per l’Ambiente, Applicazione dell’Indice di Funzionalità Fluviale (IFF) al sistema idrografico del fiume Ticino, Ed.Fondazione Lombardia per

Sentieri Urbani

l’Ambiente, Milano, 2002 Gordon N.D., et al., Stream Hydrology : an Introduction for Ecologists – 2nd ed. Wiley, 2004 Rossi, G.L., et al., L’utilizzo di subindici derivati dall’IFF per la caratterizzazione ed il monitoraggio degli ambienti fluviali, Biologia Ambientale, 19 (1):31-37, Atti del Seminario: Classificazione ecologica delle acque interne. Applicabilità della Direttiva 2000/60/CE. Trento, 12-13 febbraio 2004. G.N. Baldacchini e G. Sansoni (eds.) Ed.APAT, APPA Trento, CISBA, Trento, 2005 Siligardi M., et al., IFF 2007 Indice di Funzionalità Fluviale, Manuale APAT, APPA Trento, 2007 Zanetti M., et al., L’applicazione dell’Indice di Funzionalità Fluviale nella pianificazione territoriale, Biologia Ambientale, 19 (1):31-37, Atti del Seminario: Classificazione ecologica delle acque interne. Applicabilità della Direttiva 2000/60/CE. Trento, 12-13 febbraio 2004. G.N. Baldaccini e G.Sansoni (eds.) Ed.APAT, APPA Trento, CISBA, Trento, 2005

/ 41

Fig. 3: Esempio di mappa di funzionalità fluviale del torrente Ceggio (Bassa Valsugana, TN).


42 /

Sentieri Urbani

Territorio&Paesaggio

Il colore del PAESAGGIO ANTROPICO di Beppo Toffolon*

In queste due pagine: alcuni scorci “colorati” nei borghi trentini

*Italia Nostra, sezione Trentino

Il degrado paesaggistico Nel corso degli ultimi decenni il paesaggio trentino ha subito trasformazioni profonde, che ne hanno compromesso, in modo in gran parte irreversibile, la bellezza. Il fenomeno è ancora più evidente se si confrontano le nostre valli con quelle dell'Alto Adige, dove la conservazione dei caratteri paesaggistici è stata perseguita con maggiore determinazione e maggiore efficacia. Tale degrado investe l'intero territorio provinciale, dalla Valle dell'Adige – ormai ridotta a una discarica di oggetti edilizi di ogni genere – alle valli affluenti, estesamente corrose da una miriade di frammenti insediativi residenziali, produttivi, terziari, ovunque dispersi. Le cause Le cause di questo degrado sono molteplici. Il territorio trentino è sempre stato interpretato – e lo è ancora oggi – come un luogo prevalentemente socio-economico. Vale a dire: un ambito in cui ogni trasformazione è ammessa nel nome dello sviluppo e delle esigenze (reali o presunte) della popolazione. Con il PUP del 1967 il tradizionale assetto del territorio, basato sulla distinzione tra ambiti urbani, agricoli e naturali è stato dichiarato incompatibile con le necessità moderne e sostituito da un inedito assetto territoriale, che avrebbe dovuto promuovere il benessere della popolazione: la "campagna urbanizzata". È lecito dubitare che quel modello insediativo abbia positivamente influito sulla crescita economica e sullo sviluppo

sociale. Per contro, sono evidenti gli effetti negativi: abnorme consumo di territorio, disordine infrastrutturale, distruzione del paesaggio. Ritenere che le politiche insediative e infrastrutturali dipendano dalla pianificazione socioeconomica – e siano a questa subordinabili – significa presumere che il territorio sia in grado si sopportare qualsiasi offesa. È vero il contrario. Tra le cause vi è un malinteso "primato della politica", dunque. Ma anche una colpevole debolezza tecnica, un'accondiscendenza che si coniuga con il vuoto teorico, con l'assenza di modelli disciplinari, con professionalità banalizzate. E infine una responsabilità sociale, diffusa. Una collettività immemore delle proprie tradizioni, cieca di fronte ad un territorio che non sa più comprendere, rinchiusa nel suo comfort domestico, senz'altre ambizioni, distratta, rassegnata, indifferente alle sorti del paesaggio in cui vive. I rimedi Ci sono voluti quasi vent'anni per rendersi conto della fragilità del territorio, almeno sul piano idrogeologico. Il dramma di Stava (1985) è stato eletto a simbolo di questa nuova consapevolezza. Anche nel "dopo-Stava", tuttavia, la coscienza del valore del paesaggio (componente culturale del territorio, ma anche risorsa sociale ed economica) non si è sufficientemente affermata, come dimostra la stessa ricostruzione di Stava, osceno monumento all'insipienza. E come dimostrano le innumerevoli disavventure che si abbattono ciclicamente sulle nostre valli sotto forma di infrastrutture e d'insediamenti che sono pianificati, progettati e costruiti nel modo più sciatto, disinvolto, insensato. Sono passati oltre vent'anni da allora, ed il degrado del paesaggio è proseguito senza sosta. Porvi rimedio, ora, è impresa davvero titanica. Ma è ancora possibile (oltreché urgente e indispensabile) avviare almeno una politica di limitazione del danno, bloccando i fenomeni dispersivi o degenerativi e promuovendo una sorta di metabolismo territoriale che trasformi progressivamente, mano a mano che se ne presenta l'occasione, ciò che è stato incongruamente costruito. Gli strumenti introdotti con il PUP 2007 (Carta del paesaggio, "invarianti") vanno nella giusta direzione, ma sono ancora – per così dire – sovrastrutturali rispetto ai fenomeni insediativi che determinano effettivamente il paesaggio, per il cui controllo manca ancora lo strumento essenziale: la definitiva perimetrazione degli ambiti urbani. Senza la definizione di questa soglia invalicabile, è fin troppo facile prevedere che le "linee guida" della Carta del paesaggio non impediranno alla dispersione urbana di erodere nuove porzioni di territorio e di degradare ulteriori parti del paesaggio trentino – in nome del progresso socioeconomico, come da tradizione. La delimitazione degli ambiti urbani non è solo uno strumento per il contenimento delle spinte espansive, è anche il necessario punto di partenza per la riconfigurazione del paesaggio, per il


Territorio&Paesaggio

Sentieri Urbani

suo riordino, per il suo "restauro", per la sua riprogettazione. Di qui, dunque, occorrerebbe ripartire. Il Pup ha rinunciato a svolgere tale compito essenziale, ed è piuttosto improbabile che esso possa essere assolto dai Piani territoriali delle comunità. In questo contesto, è difficile trovare ragioni per professare ottimismo. Il colore Per porre rimedio ai danni paesaggistici occorrono più tempo e maggiori risorse (finanziarie e intellettuali) di quelle impiegate per causarli, ma – fortunatamente – alcuni aspetti del degrado paesaggistico sono meno difficilmente rimediabili. Tra questi, in primo luogo, il colore degli edifici: un elemento di notevole impatto paesaggistico che viene periodicamente rinnovato. I colori tradizionali degli edifici (l'intonaco di calce, le terre, i colori pastello), armoniosamente inseriti nel loro quadro paesaggistico, hanno spesso ceduto il posto, negli anni passati, ad un bianco assoluto, mediterraneo. Banale emblema di modernità, che con il suo forte contrasto tonale violenta il paesaggio, e con il suo precoce degrado lo intristisce. A fianco di questa, negli ultimi anni si è manifestata una nuova tendenza. È diventata esperienza tanto comune quanto sgradevole imbattersi in costruzioni tinteggiate con colori adatti per giocattoli destinati alla prima infanzia, ma improponibili come elementi di un contesto civile o come parte di un paesaggio alpino: giallo, verde, azzurro, arancione sono scelti senza inibizioni tra le gamme cromatiche che l'industria del colore rende disponibili. Da un lato, infatti, la tecnica è oggi in grado di produrre tinte con un livello di saturazione prima irraggiungibile; dall'altro, progettisti, committenti e applicatori sembrano avere smarrito ogni nozione sull'uso del colore in edilizia. Inoltre, i controlli di tipo autorizzativo sulle tinteggiature sono stati sostanzialmente abbandonati con l'introduzione della denuncia d'inizio attività (Dia). Il risultato è una chiassosa e pacchiana giustapposizione di tinte sempre più squillanti, applicate senza riguardo alcuno non solo sulle nuove costruzioni ma anche sugli edifici storici, le cui membrature vengono campite senza criterio da chi, evidentemente, è a completo digiuno di storia dell'architettura. Centri storici che sembrano colorati dal pennello di Walt Disney, paesaggi butterati da grumi di colore che stridono impietosamente nello scenario armonioso e secolare costruito dall'opera dell'uomo dentro la natura: questo è l'intollerabile sfregio che viene quotidianamente perpetrato, e al quale Italia Nostra ha recentemente chiesto che si ponga termine. Come? Occorrerebbero indubbiamente più alti livelli di cultura, sensibilità, professionalità. Traguardi che non si raggiungono dall'oggi al domani. Nel frattempo, e con l'intento di promuovere comunque una "cultura del colore", si potrebbe-

ro adottare alcune semplici disposizioni. Limitare i livelli di saturazione e di luminosità del colore per le tinteggiature esterne. Come indicazione di massima, si potrebbe stabilire limiti di saturazione e valori di luminosità che corrispondono approssimativamente all'intensità delle tinte usate tradizionalmente. Consentire il superamento di tali limiti solo a fronte di motivate e condivisibili finalità estetiche, adeguatamente documentate. Estendere l'obbligo di appropriate campionature di colore da realizzare in loco per tutti gli interventi di un certo rilievo, essendo questo il solo modo per prevedere effettivamente il risultato cromatico. Tali campionature andrebbero approvate da una sotto-commissione delle commissioni edilizie comunali (CEC) o delle commissioni per la pianificazione territoriale e il paesaggio della comunità (CPC). Nel medio periodo, si dovrebbe inoltre provvedere a istituire competenze disciplinari e strumenti specifici: Elaborare piani colore per le parti paesaggisticamente rilevanti del territorio, incluse le periferie moderne. Formare commissioni professionalmente e culturalmente attrezzate per esprimere un parere autorevole in relazione alla proposte cromatiche. È evidente che questi provvedimenti, per quanto necessari, non basteranno a impedire che il degrado del paesaggio trentino continui. Ma si tratterebbe comunque d'iniziative in grado, se non d'invertire la tendenza, almeno di delineare una strategia di contrasto.

/ 43


44 /

Sentieri Urbani

Territorio&Paesaggio

Diversità biologica e culturale in siti dichiarati patrimonio dell’umanità: riflessioni ecosistemiche di Elena Ianni

Q

uesta riflessione si inserisce nella discussione teorica in corso sul legame tra diversità biologica e culturale, fenomeni in co-evoluzione, interdipendenti, che contribuiscono alla resilienza dei sistemi eco-sociali rafforzandosi mutuamente. La Convenzione sulla Biodiversità (1992) afferma il valore intrinseco della diversità biologica e delle sue componenti: ecologiche, genetiche, sociali, economiche, scientifiche, educative, culturali, ricreative ed estetiche. La Dichiarazione dell'UNESCO sulla diversità culturale (2005) definisce patrimonio culturale l'insieme delle caratteristiche spirituali, materiali, intellettuali ed emotive di un gruppo sociale che prendono vita attraverso gli stili di vita, i modi di vivere assieme, le tradizioni e le credenze. E’ generalmente accettato che non è possibile disegnare politiche pubbliche per lo sviluppo sostenibile senza tenere in considerazione la relazione indivisibile che esiste tra le società e la diversità biologica. Questa ipotesi si basa sui lavori tra gli altri di Holling et al. (2002) e Janssen et al. (2006) che ribadiscono come nell’analisi di sistemi eco-sociali sia indispensabile lavorare in un quadro teorico che incorpori la connettività ecologica, economica, sociale e culturale dell’ecosistema. L’approccio ecosistemico, adottato nelle più recenti convenzioni internazionali, è il quadro di riferimento principale per la gestione ambientale: riassume queste riflessioni e le propone come strumento operativo di gestione. L’approccio ecosistemico è un “approccio adattativo alla gestione delle

attività umane che cerca di assicurare la coesistenza di ecosistemi salubri e comunità umane sane”. Questo enunciato teorico si può ricondurre a tre regole ”operative”: è necessario il coinvolgimento delle persone nella gestione dell’ambiente, la scala adatta per la gestione ecologica si basa su obiettivi temporali di lungo termine, è necessario individuare alternative. Il tema dell’efficacia dei piani di gestione ambientale in Trentino è assolutamente rilevante visto che le Dolomiti sono diventate patrimonio mondiale dell’Umanità con una dichiarazione dell’UNESCO il 27 giugno 2009 a Siviglia. Le Dolomiti sono un patrimonio dell’umanità perché contengono “fenomeni naturali superlativi o aree di bellezza naturale eccezionale e di importanza estetica”. La dichiarazione dell’UNESCO ribadisce in maniera molto esplicita l’idoneità delle Dolomiti ai requisiti naturali, ma ne segnala l’inadeguatezza delle strategie di conservazione. La tesi che viene qui proposta è che l’approccio ecosistemico sia un quadro teorico di supporto adeguato allo studio e alla gestione dei siti dichiarati patrimonio mondiale dell’umanità e che i tre temi “operativi” centrino il problema in merito alla valutazione delle priorità e alla necessità di individuare nuovi strumenti di informazione e partecipazione dei cittadini. Il dibattito sull’efficacia dei processi partecipativi in Italia è quanto mai attuale. Sulla base dei principi enunciati dall’approccio ecosistemico, gli ultimi de-

cenni hanno visto un crescente riconoscimento in letteratura dell’importanza della conoscenza tradizionale e della gestione delle risorse naturali incentrata sulle comunità locali. Sono stati proposti una varietà di strumenti partecipativi e di pratiche per l’incorporazione della percezione delle comunità locali nelle decisioni. Le comunità sono state coinvolte attraverso metodi di “comune apprendimento” con i ricercatori attraverso metodi quali i sistemi informativi geografici partecipativi e la costruzione di modelli concettuali (Delgado et al., 2009; Strickert et al., 2009). Sono stati inoltre proposti strumenti diagnostici mirati ad aiutare le comunità locali ad analizzare i propri problemi e le opportunità; tra gli altri il metodo Reflect e la modellazione collaborativa (inter alia Reed, 2008). Questi strumenti sono stati largamente applicati in contesti rurali in paesi in via di sviluppo. Molto più ridotta è l’applicazione in contesti europei, dove spesso la partecipazione ha assunto il significato di opposizione o si è ridotta a processi di informazione al cittadino. Le difficoltà della costruzione e della gestione delle aree protette sono state ampiamente discusse ed è stato riconosciuto che la difficoltà maggiore è la riconciliazione di interessi divergenti. Ciò che si rende necessario è applicare strumenti che permettano di studiare e sistematizzare la conoscenza e la gestione tradizionale delle risorse naturali, e allo stesso tempo sviluppare metodologie multiobiettivo per la pianificazione che favoriscano il dialogo, meccanismi di colla-


Territorio&Paesaggio

Sentieri Urbani / 45

borazione e concertazione. L’obiettivo di ricerche applicate in questo senso in aree definite come patrimonio dell’umanità dovrebbe essere quello di creare sistemi di supporto alla decisione sulla base dell’integrazione di tecniche e metodologie partecipative innovative riviste ed adattate al contesto locale. Se è chiaro che la conoscenza in tutte le sue forme - la sua riproduzione, trasmissione, perdita e riscoperta - gioca un ruolo critico nella comprensione della diversità e negli sforzi per sviluppare strategie e azioni che la mantengano e la valorizzino, ciò che resta ancora poco indagato è come il recupero di questa conoscenza e la sua valorizzazione possano entrare nei processi di pianificazione del territorio, ad esempio nei piani di gestione dei parchi o dei siti patrimonio mondiale UNESCO. Le comunità indigene totonaca all’interno del sito archeologico El Tajin in Messico, le comunità kolla della valle Quebrada de Humahuca in Argentina non diversamente da ciò che è successo per le comunità montane delle Do-

lomiti, hanno costruito nel tempo un ricco repertorio di strategie di vita naturale e produttiva. I piani di gestione potrebbero ripartire da questo patrimonio di conoscenze per trovare nuove modalità e nuove motivazioni di partecipazione. Lo sviluppo sostenibile comunitario è quel processo di carattere endogeno per mezzo del quale una comunità prende (o recupera) il controllo dei processi (territoriali, naturali, culturali, economici, sociali) che la determinano e la pregiudicano (Toledo, 1996). La definizione di “sviluppo sostenibile” è stata ed è al centro di molte discussioni teoriche ed operative accomunate dall’accento sulla multidimensionalità del concetto (per esempio: Spangenberg, 2002). La sostenibilità non è il prodotto finale di un processo, ma un concetto in costruzione e in continua evoluzione: è un processo di apprendimento continuo. Queste riflessioni si basano sulla premessa che il capire e integrare diverse espressioni e proposte su che cos’è uno sviluppo sostenibile rende possibile con-

cepire opzioni diverse e innovative per gestire, recuperare e proteggere la diversità biologica e culturale. Per rendere più efficaci i processi di partecipazione in siti patrimonio mondiale dell’Umanità, si dovrebbe ripartire dal costruire con metodologie partecipative il significato di che cosa rappresenta la sostenibilità a livello locale per le comunità che vi ricadono all’interno. Infine, è importante che i risultati della ricerca scientifica sui legami tra biodiversità e diversità culturale siano regolarmente comunicati oltre la comunità scientifica al fine di assicurare che la conoscenza prodotta sia immediatamente disponibile in pratica. Uno degli obiettivi dell’informazione prodotta all’Università potrebbe essere fornire un contributo esterno allo sviluppo dei piani di gestione mettendo a disposizione il patrimonio di conoscenze ed esperienze raccolte sotto forma di contributo volontario al processo partecipativo.

Bibliografia Delgado, L.E., Marín, V.H., Bachmann, P.L., Torres-Gomez, M. 2009. Conceptual models for ecosystem management through the participation of local social actors: the Río Cruces wetland conflict. Ecology and Society, 14(1) [online] URL: http:// www.ecologyandsociety.org Holling, C. S., Gunderson, L.H., Peterson, G.D. 2002. Sustainability and Panarchies. In: Gunderson, L.H and Holling, C.S (eds) Panarchy: Understanding transformations in Human and Natural Systems, Island Press, Washington and London. Janssen, M. A., Bodin, Ö., Anderies, J. M., Elmqvist, T. , Ernstson, H., McAllister, R.

R. J., Olsson, P., and Ryan, P. 2006. A network perspective on the resilience of social-ecological systems. Ecology and Society 11(1) [online] http:// www.ecologyandsociety.org Reed M.S. 2008. Stakeholder participation for environmental management: A literature review. Biological Conservation, 141 (10), 2417-2431. Spangenberg J. H. 2002. Environmental space and the prism of sustainability: frameworks for indicators measuring sustainable development, Ecological Indicators, 2 (3), 295-309. Strickert, G.E., Samarasinghe S., Davies, T. Resilience models for New Zealand’s Alpine

Skiers based on people’s knowledge and experience: a mixed method and multi-step fuzzy cognitive mapping approach. Paper presented at 218th World IMACS / MODSIM Congress, Cairns, Australia 13-17 July 2009. Toledo,V. 1996. Principios etnoecológicos para el desarrollo sustentable de comunidades campesinas e indígenas. Temas Clave. CLAES [online] http:// www.ambiental.net


46 /

Sentieri Urbani

Territorio&Paesaggio

La dimensione strategica della pianificazione Intervista a Roberto Mascarucci a cura di Michele Valdo «Nella pianificazione territoriale, dopo il fallimento dell'approccio "autoritativo", resta la sola possibilità di controllare gli andamenti delle politiche attraverso la governance. Per la quale, però, è indispensabile stabilire alcuni punti fermi. E uno di questi può essere la condivisione di un quadro di coerenza di tipo spaziale, una "visione strategica" territoriale, uno schema di riferimento fisico entro il quale ricercare la possibile congruenza dei più parziali corsi d'azione di volta in volta messi in atto». Con queste parole il professor Roberto Mascarucci sintetizza i princîpi raccolti nel suo ultimo libro: “Goal Conguence” (Meltemi editore, 2008, 132 pp., 19 ). Il volume, che affronta il tema della pianificazione strategica da un’angolatura originale, è stato presentato a Trento lo scorso 17 febbraio all’interno degli incontri organizzati da casaCittà, il Laboratorio urbano del Comune di Trento. Professor Mascarucci, come mai questo titolo così inusuale per un saggio di urbanistica? «Ho usato un titolo proveniente in maniera provocatoria dalle materie finanziarie e dall’economia aziendale. Tecnicamente “Goal Congruence” è l’allineamento delle azioni di marketing di un’azienda rispetto all’interesse azionistico. Gli azionisti hanno una visione condivisa con l’azienda rispetto al futuro e alle azioni da intraprendere relativamente alle finalità generali. Goal sono ovviamente le finalità». Dove trova fondamento questa metafora strappata al mondo aziendale? «Questa metafora non è una novità. Negli anni ’50 si è iniziato a parlare di strategia all’interno delle dinamiche aziendali e progressivamente il concetto è stato adottato dal mondo delle pianificazioni territoriali. Negli anni ’60 la pianificazione non aveva ancora influenze di tipo strategico, ma c’erano soltanto piani puntuali; negli anni ’80

la seconda generazione introita i contenuti della pianificazione strategica di tipo aziendalistico, a seguire la terza generazione di visionari assume a tutto tondo il concetto che alla fine degli anni ’90 è ancora sconosciuto in Italia e nel mondo della progettazione del territorio. Era percepito come un atteggiamento eretico». I tempi sono maturi per una nuova visione trasversale. «Sono tra i pochi urbanisti all’interno della scuola di Pescara che fa triangolazione con gli economisti e con gli esperti di amministrazione. È un triangolo che deve essere composto dalla progettazione urbanistica, dall’aspetto economico e dagli aspetti giuridici». E a livello europeo cosa accade? «La politica europea ci ha fornito due indicazioni: la prima introduce il concetto di competitività per lanciare una sfida all’interno del mercato, per guadagnare quote di mercato così come fanno le aziende. Ma non c’è sistema più lontano dall’operare di un’azienda come il territorio. Esso non funziona come un’azienda: gli azionisti sono i cittadini ed il management è il gruppo dirigente, ma le decisioni non avvengono con la stessa modalità previste all’interno di un’azienda. La seconda indicazione introduce il concetto di coesione, che significa mantenere all’interno di un sistema anche quegli strati che sono più marginali». Sembrano però due concetti antitetici. «In realtà non sono contrapposti perché possiamo fare un ragionamento di scala. Ad esempio: alcune città competono tra di loro, ma a livello superiore devono essere coese rispetto la regione. È questione di scala». Ma veniamo al ruolo del territorio. Rispetto a tutto ciò di cui si è parlato come si pone? «I progetti devono avere contestualizzazione e

IL PERSONAGGIO Roberto Mascarucci è una figura nota nel panorama urbanistico italiano ed europeo. Professore ordinario di Urbanistica presso la Facoltà di Architettura di Pescara dal 2001, si occupa di progettazione del territorio ed in particolare di fattibilità dei programmi di sviluppo territoriale e degli interventi complessi. È stato consulente del Dipartimento per le Politiche di Sviluppo e di Coesione del Ministero del Tesoro per l’avvio degli studi di fattibilità cofinanziati dal CIPE. È consulente di Sviluppo Italia Spa

per l’implementazione del programma operativo di supporto tecnico allo sviluppo progettuale degli studi di fattibilità. Recentemente ha coordinato la redazione del piano strategico di Chieti e del piano della mobilità dell’area Chieti-Pescara. Le sue più recenti pubblicazioni: “Complessità e qualità del progetto urbano”, Roma, Meltemi, 2005; “Strategie di trasformazione territoriale”, Roma, Meltemi, 2005; “Vision”, Roma, Meltemi, 2005.


Territorio&Paesaggio

consapevolezza scalare. Ora il ruolo del territorio è quasi automatico. Il territorio è elemento fondante di questo approccio. C’è bisogno di pensare in termini di piattaforma sulle quali le attività si svolgono, anche in termini di attività locali e amministrative». E quindi il ruolo del piano strategico… «È quello di elaborare scenari condivisibili: decide le possibili collocazioni competitive, seleziona gli obiettivi strategici e mette in campo le azioni da perseguire. In questo campo gli urbanisti si differenziamo dagli economisti: questi ultimi analizzano la realtà del settore di mercato, vedono i problemi e progettano il piano; gli urbanisti disegnano prima l’insieme delle finalità complessive e poi, rispetto alle finalità generali, comprendono come intervenire. Al centro della pianificazione strategica c’è il disegnare». Se lei dovesse dare alcune semplici regole? «Occorre puntare al massimo comune divisore. La visione deve essere espressione del più alto livello di condivisione piuttosto che mettere insieme posizioni differenti, non condivise. Quindi trovare la possibile linea comune che permette di avere tutti d’accordo anche abbassando le pretese. In secondo luogo, come ho già detto prima, il disegno ha un potere figurativo che aiuta il consenso. Si ottiene più consenso se si vede il progetto su carta. Ed infine bisogna tener conto della dicotomia territorio-spazio. Non è sufficiente ragionare in termini di figure. Bisogna prendere in considerazione la complessità della piattaforma fisica che intende comprendere le sedimentazioni antropiche che definiscono l’identità locale. Concludo dicendo che l’identità dell’essere e l’identità del fare sono centrali nella pianificazione strategica».

Sentieri Urbani

A destra: la copertina del volume. In basso: Un esempio cartografico tratto dal libro. Il Progetto Spoltore, Documento di indirizzo per il nuovo Piano regolatore 2006. La proposta strategica: il sistema ambientale, la rete infrastrutturale, i luoghi della produzione e del commercio, la residenza, l’offerta formativa, l’offerta di servizi (R. Mascarucci, con L. Volpi)

/ 47


48 /

Sentieri Urbani

Vita associativa

Relazione del Consiglio direttivo uscente

D

ue anni sono un tempo congruo per impostare e attuare tanti progetti, tante cose belle da fare. Il biennio passato è volato in un batter d’occhio, basti ricordare l’approvazione della II° Revisione generale del PUP e la riforma dell’ordinamento urbanistico provinciale; quindi terminata la validità del direttivo in carica è tempo di fare un breve resoconto di quanto fatto breve arco di tempo. - Assemblea elettiva il 19 luglio 2007 (direttivo in carica). - Primi mesi per la sistemare varie questioni interne alla sezione. - Collaborazione con la Pat alla edizione del Rapporto dal Territorio “Il Trentino 2007”. - Partecipazione al Convegno nazionale “Il nuovo Piano” con l’esposizione di due casi significativi: Il cambiamento climatico nelle Alpi (in collaborazione con CIPRA Italia), ed il Master Plan per la riqualificazione del bacino di S. Giustina (Comprensorio Valle di Non). - Organizzazione e gestione del corso 2008 INUPAT-FA di aggiornamento professionale dal titolo “Prospettive di innovazione nella pianificazione urbanistica e nelle pratiche di governo del territorio”, Trento marzo-aprile 2008. - Commemorazione per la scomparsa di Silvano Bassetti (maggio 08 ), quella Hans Glauber e di Walter Micheli. - Il seminario INU-Provincia Autonoma di Bolzano dal titolo “Pianificazione urbanistica e la valutazione strategica”, Bolzano novembre 2008. - Consulenza e supporto tecnico scientifico al Consorzio dei Comuni per l’organizzazione del corso 2009 dal titolo “Gli strumenti della Pianificazione: indicazioni operative alla luce del nuovo quadro normativo”, Trento maggio-giugno 2009. Pubblicazione dei Sentieri urbani n. 7/07, n. 8 /08, n. 1/09 e n. 2/09. ***

A

lla intensa attività nazionale abbiamo affiancato valide iniziative locali. La collaborazione con la Provincia Autonoma di

Trento per la redazione e per la pubblicazione del “2° Rapporto dal territorio: il Trentino” mi sembra l’impostazione di un rapporto che si sta consolidando, basato sulla conoscenza e sull’approfondimento utile alla PAT, ma anche a noi, nell’ottica del rapporto fattivo, collaborativo e di piena fiducia reciproca sia scientifica che dei reciproci ruoli istituzionali. Tale rapporto si è poi sviluppato con il corso di formazione e aggiornamento organizzato nel 2008 che noi abbiamo promosso, e che la Pat ha di buon grado fatto proprio e sostenuto. Dato l’onere e l’impegno che ciò ha comportato l’evoluzione del corso stesso avuta con il Consorzio dei Comuni ci ha confermato il ruolo di prestigio scientifico-culturale e ci ha permesso di lasciare il testimone, almeno in parte, in buone mani. La collaborazione poi con INU Alto Adige e la Provincia di Bolzano è il risultato del buon lavoro fatto: al corso ’08 alcuni funzionari della Pab hanno voluto partecipare per prendere visione del corso, di qui l’impostazione per iniziative analoghe nel Tirolo del sud concretizzatesi poi, con nostro altissimo interesse, nel seminario di Bolzano sul delicato tema della valutazione ambientale strategica. ***

I

nfine anche il rapporto con le associazioni ambientaliste si consolidato: la nomina di Fulvio Forrer, presidente della nostra sezione, nel Comitato Provinciale per l’Ambiente, quale rappresentante del mondo delle associazioni, impegna ad avere un rapporto di grande attenzione, anche culturale, proprio a salvaguardia del quel patrimonio pregiato e limitato, il territorio, che il nostro mestiere ci porta a pianificare e a gestire nelle sue differenti sfaccettature. Al prossimo direttivo un augurio di buon lavoro consapevole che la mole di attività già attivate impegnerà e graverà a titolo personale in maniera significativa e generosa sull’intero Direttivo.


Vita associativa

Sentieri Urbani

/ 49

La NOTA del Presidente di Fulvio Forrer

A

conclusione di questo periodo mi sento di manifestare il mio disagio, ovvero di un operatore del settore fortemente impegnato nell’innovazione della disciplina, per dare attuazione ai principi generali, ma anche risposte alle esigenze degli amministratori quanto dei cittadini. Disagio legato ai difficili rapporti con quanti sono attenti quasi esclusivamente alle istanze dei cittadini (consenso) anziché alla buona gestione del territorio (le scelte scomode). Buona gestione è conoscere, capire, anche problematiche che urtano la propria sensibilità e i propri interessi. Ad esempio la questione del rischio idrogeologico, così fortemente sentito in questi giorni a seguito degli episodi siciliani, ha sollevato in sede locale pochi mesi fa (pubblicazione della carta del rischio) reazioni negative, che nello sforzo di INU per dare concreta risposte a tali istanze, ci ha portato a scontrarci con la ritrosia a manifestare queste perplessità preferendo strade più sotterranee e capaci di rimuovere i vincoli ed gli ostacoli alla

edificazione. Non è una lamentala generalista e qualunquista, ma è vero che nella visione di molti (troppi) l’urbanistica è l’esercizio del dispensare l’edificabilità ai suoli, come dentro ad una logica illuminata di favori. Ma ciò nulla a che fare con la disciplina urbanistica. Essa è l’approfondimento delle tante variabili che compongono la complessità della realtà socioeconomica, ambientale e organizzativa di un territorio, dentro ad una logica di risparmio delle risorse prime, un loro uso razionale e parsimonioso, una elevata, la maggiore possibile, qualità della vita per chi vive negli ambiente pianificati, nell’indispensabile e fondamentale soddisfacimento di bisogni individuali, anche alla luce del contenimento dei costi della macchina pubblica. Non può essere la sottomissione alle sole istanze private: è l‘esercizio equilibrato di coniugare istanze, le più diverse, e le visioni, quelle scelte dagli strumenti della democrazia, in una prospettiva generale e lungimirante.

Attività in Commissione nazionale di Paola Ischia

L

a sezione Trentino dell’Istituto Nazionale di Urbanistica non trascura di mantenere contatti e confronti propositivi con altre sezioni regionali e con esperienze europee in campi interdisciplinari di ricerca ed innovazione. Nel precedente Consiglio Direttivo, dal 2004, è stata definita la delega “Urbanistica e Paesaggio”, in questo, dal 2007, è stata delineata la delega “Urbanistica ed Energia”. INUTrentino ha cosi partecipato attivamente al Forum (giugno-novembre 2007) per la stesura del Piano Energetico “Trento per Kyoto”, promosso dal Comune di Trento. La delegata ha partecipato inoltre (novembre 2007) ai lavori del Convegno Nazionale INU a Senigallia “Pianificazione energetica e politiche del clima nel nuovo piano. L’integrazione delle politiche

locali energetiche e di protezione climatica nei processi di governo del territorio”. Di seguito è stato dato avvio, nel 2008 alla Commissione Nazionale “Piano, Ambiente ed Energia” (oggi rinominata “Ambiente, energia, clima, consumo di suolo”) che si è riunita in prima seduta ad Urbanpromo, evento di marketing urbano e territoriale, a novembre 2008 a Venezia, in occasione del convegno “Pianificazione, contabilità ambientale e cambiamenti climatici”. La Commissione ha proseguito i lavori a dicembre 2008 a Bologna in occasione della Conferenza Nazionale “Il clima delle città, le città per il clima”, organizzata con Coordinamento Agende21 locali, Regione EmiliaRomagna, Provincia di Bologna, Università degli studi di Bologna, con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente e della

tutela del Territorio e del Mare, ANCI,UPI. La delegata è stata invitata a marzo 2009 a prendere parte attiva ai lavori di “Pianificazione energetica e progetto di territorio sostenibile”, iniziativa organizzata dalla sezione INUFriuliVeneziaGiulia, presentando l’intervento “Energia nella pianificazione territoriale della Provincia autonoma di Trento” ed ha avviato contatti e segnalazioni per la predisposizione di un workshopseminario-laboratorio su tali temi in Trentino. La Commissione ha di seguito promosso l’incontro “Governare il territorio. Quali politiche per limitare il consumo di suolo” a Verona a settembre 2009, in occasione de “Il Piano al tempo della crisi” e prevede un prossimo incontro a Venezia ad Urbanpromo 2009.


50 /

Sentieri Urbani

Vita associativa

Gli strumenti della pianificazione

Breve resoconto del ciclo di incontri dedicati al nuovo quadro normativo di Giovanna Ulrici

P

er l’Istituto Nazionale di Urbanistica l’attività di approfondimento disciplinare e divulgazione scientifica rappresenta uno dei principali obiettivi e coinvolge molteplici attività e tematiche: INU persegue per fini statutari la ricerca nei diversi campi di interesse dell’urbanistica, l’aggiornamento continuo e la diffusione di una cultura sociale su temi della città, del territorio e dell’ambiente. La recente riforma legislativa provinciale – amministrativa e urbanistica – chiama la sezione trentina di INU a intensificare gli sforzi nel servizio di supporto culturale su queste tematiche strategiche e cruciali per lo sviluppo del territorio trentino. Già nella primavera del 2008 è stato promosso, in collaborazione con la Provincia, un corso di formazione a carattere laboratoriale, “Prospettive di innovazione nella pianificazione urbanistica e nelle pratiche di governo del territorio” corso che, a numero chiuso, è riuscito a soddisfare una minima parte delle domande di partecipazione. Tale esperienza, molto impegnativa sotto l’aspetto organizzativo per le poche risorse di INU locale, ha comunque animato il dibattito fra chi si occupa – amministratori e tecnici – di gestione del territorio e ha rappresentato l’occasione di costruzione di una rete di rapporti e confronti che urgeva approntare in questa fase di innovazione. Prova del bisogno di questa rete di confronto è anche la recente attivazione di uno Sportello in materia urbanistica da parte del Consorzio dei Comuni Trentini, da sempre attento alle tematiche della pianificazione. Facendo seguito all’esperienza del 2008, nel desiderio di recuperare il puro ruolo di promozione culturale, INU ha aderito alla proposta del Consorzio dei Comuni Trentini di elaborare il progetto scientifico di parte della sua offerta formativa in campo urbanistico. Con l’originalità tematica che ha contraddistinto anche il lavoro del corso precedente, il dott. Fulvio Forrer, Presidente della Sezione trentina, ha elaborato un programma di formazione articolato su quattro giornate, che si sono volute dedicare ad approfondimenti monotematici con un taglio applicativo ed operativo sui temi della perequazione, della strumentazione cartografica a supporto dei piani, degli adempimenti in materia ambientale.

Per inquadrare lo scenario disciplinare nazionale ed europeo sui temi della perequazione è stato interpellato il Professor Stefano Stanghellini, Ordinario di estimo presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia nonché riconosciuto come il massimo esperto dei temi della perequazione in Italia. Stanghellini ha subito affrontato il tema dell’attuale fase di applicazione della perequazione, che da un avvio pionieristico è ora tecnica pianificatoria affermata e diffusa. Puntualizzando che “la perequazione è unica, molteplici le tecniche perequative” è stata richiamata la necessità di protezione da distorsioni, introdotte sia dai privati -varie forme di mercanteggiamento di indici-, sia dal pubblico. In questo caso è stato ricordato soprattutto il rischio di perdita di controllo del dimensionamento del Piano, nella distribuzione di crediti edilizi contraddittori con il mercato e con la pianificazione, o non legati alla realizzazione di progetti precisi (significativo il paragone con i titoli tossici della Borsa nella recente crisi economica globale). È stato anche ricordato il dovere di trasparenza nell’applicazione dell’istituto della perequazione, sia nel rapido coinvolgimento dei privati proprietari dei terreni ricordandone l’utilità ai fini della verifica di fattibilità - sia nella pubblicizzazione in ogni fase, sia nel perseguire forme di equità collettiva (“perequazione verticale”). Anche il prof. E. Micelli, professore associato di Estimo allo IUAV di Venezia, intervenuto nella seconda giornata, ha ricordato le leve che hanno portato a formule quali la perequazione, leve essenzialmente riferite al bisogno di adeguare la strumentazione di gestione del territorio allo sviluppo più intenso della città privata rispetto alla città pubblica. L’istituto dell’esproprio ha infatti rivelato nel tempo limiti evidenti, non tanto quando finalizzato alla realizzazione di infrastrutture, quanto nel perseguire obiettivi di riqualificazione urbana. Nel ribadire che la perequazione non è l’unico strumento per la pubblica amministrazione per avere accesso alla disponibilità di suolo, ne ha anche rimarcato alcune condizioni: la perequazione si applica solo ad aree di trasformazione urbanistica, non si applica nei completamenti e nei centri storici, così come nel settore primario. Rimarcabile anche il richiamo agli attori coinvolti nei progetti di riqualificazione, che servendosi della perequazione non possono però essere i soli proprietari: serve una ricomposizione della proprietà fondiaria, e serve che l’ente pubblico si faccia imprenditore sociale anche


Vita associativa

nell’individuazione di altri soggetti con alte professionalità. Il dott. P. Mattei, Dirigente del Servizio Urbanistica e Tutela del Paesaggio della Provincia Autonoma di Trento ha ripreso la traccia della riforma urbanistica ed amministrativa provinciale approfondendo gli aggiornamenti più recenti, le problematiche riferite agli adempimenti e alle fasi operative per le singole Amministrazioni comunali. Questo intervento ha così permesso di fare luce su alcune storture interpretative della norma, cui la PAT sta ponendo rimedio con una serie di circolari esplicative: molto efficace la 4138/09, del 6.5.2009, che rimarca l’uso improprio del termine “perequazione” in casi di semplice elaborazione di piani di lottizzazione, che già implicano l’acquisizione di diritto ad edificare a fronte della cessione di parte delle aree o della realizzazione delle relative opere di urbanizzazione. Un passaggio imprescindibile dell’istituto della perequazione è infatti la classificazione dei suoli, anche in regime di perequazione semplificata, applicabile in attesa delle Varianti generali. Questi concetti sono stati ribaditi dall’arch. Giorgio Melchiori della PAT: la perequazione come introdotta nella L.P. 16/2005 non solo è facoltativa, se ne prevede l’applicazione parziale, ad ambiti da assoggettare alla pianificazione attuativa anche non contigui in cui procedere alla classificazione dei suoli. Fra i casi più frequentemente riferiti alla perequazione in modo improprio: la cessione di superfici per urbanizzazioni e la monetizzazione del valore dato dal cambiamento della destinazione d’uso dei suoli. Il pubblico ha seguito con molta attenzione la presentazione di alcune esperienze trentine di applicazione della perequazione: oltre al caso del Comune di Predazzo, presentato dall’arch. G. Melchiori della PAT, sono stati portati ad esempio: Il Comune di Pergine (arch. E. Miorelli), che, rifacendosi ad analoga esperienza del Comune di Casalecchio (BO) ha proceduto alla classificazione dell’intero territorio comunale in tre classi (Territorio Urbano, Agricolo e Periurbano), applicando indici ICE (interpolando valori di mercato, vocazione alla trasformazione e con ‘pesature’ tra i vari centri abitati), compresi nel totale dimensionamento del PRG.; Il Comune di Rovereto (Arch. B. Simoncelli) dove

Sentieri Urbani

– con la consulenza del prof. Stanghellini- si è applicatala perequazione solo in alcuni ambiti (Lizzana, S.Giorgio, Zona ai Fiori) come strumento per ovviare ad una preesistente carenza di servizi pubblici. Interessante l’aver ricorso al coinvolgimento dei privati nella fase di elaborazione delle ipotesi di sviluppo delle aree, mediante poi accordi firmati che hanno assicurato l’attuabilità dei programmi. Anche il Comune di Trento (arch. L.Codolo) ha portato la sua esperienza di trasferimento di crediti edilizi, ed un interessante excursus storico ricordando come in Trentino non è ancora acquisito e scontato l’istituto della lottizzazione (nel 1989 il PRG di Trento ribadiva la necessità di assicurare la dotazione di standard nelle zone C di espansione residenziale!). Il tema dei nuovi strumenti informatici, non solo cartografici, è stato alla base di uno dei quattro incontri, occasione per aggiornamenti sullo stato di avanzamento del progetto di informatizzazione del catasto (dott. R.Revolti, Dirigente del Servizio Catasto, PAT), urgente ma purtroppo reso complesso dalla mole di lavoro e dal lungo iter di riconoscimento giuridico, che comprende una revisione del libro fondiario. A breve il catasto informatizzato risulterà di assoluta necessità per l’armonizzazione cartografica in caso di classificazione dei suoli. Sempre alla luce delle direttive contenute nella nuova legge urbanistica, il dott. G.De Paris ha presentato il materiale elaborato e messo a disposizione dal SIAT, Sistema Informatico Ambiente e Territorio della PAT per stabilire standard comuni nella pianificazione comunale, ma anche nuova cartografia di base, fra cui la carta numerizzata catastale ed il modello digitale LIDAR. Due le esperienze comunali: il Comune di Trento (dott. Zanolli, geom. Bonmassar) che hanno presentato le potenzialità del servizio cartografico messo a disposizione di qualunque utente sul sito del Comune. Il Comune di Pergine (dott. Ferrari) ha invece mostrato i significativi risultati, nella tempistica e nello snellimento burocratico, venuti dall’introduzione di un sistema informatico di mappatura delle pratiche edilizie messo a disposizione dei tecnici esterni. E’ stata quindi l’occasione per riflettere sul fatto che i tempi siano ormai maturi per concepire e introdurre (il problema non è più di tipo tecnico) la dematerializzazione dell’intera pratica edilizia ed urbanistica. Un impatto crescente nella pianificazione avrà la

/ 51


52 /

Sentieri Urbani

Vita associativa

componente ambientale, già prevista nella normativa provinciale precedente, ma destinata – con l’approvazione e l’entrata a regime del Regolamento sulla Valutazione Ambientale Strategica previsto dalla L.P. 1/2008 - a potenziali nuovi ruoli strutturanti le scelte di pianificazione. L’intervento del dott. Davide Geneletti, ricercatore di Analisi e Valutazione Ambientale alla Facoltà di Ingegneria di Trento ha contribuito ad inquadrare in un ambito più vasto le politiche ambientali applicate alla pianificazione, ricordando che ad oggi è possibile approcciare questi temi servendosi – da un punto di vista metodologico dell’esperienza maturata in applicazioni VAS pluridecennali. La procedura VAS non prescinde dall’applicazione di fasi ben precise: - la individuazione dei soli ambiti di incidenza (per non approcciarsi ad un generico studio su tutti i tematismi); - lo studio di base che individui le maggiori criticità; - la previsione degli effetti, che presuppone l’individuazione di indicatori; - la valutazione, che obbliga al superamento del solo approccio analitico e che affronti anche gli aspetti legati agli impatti cumulativi; - la partecipazione, che implica accesso ai dati e alle informazioni; - il monitoraggio, che va pianificato nelle risorse e nei ruoli. Geneletti ha introdotto una serie di esempi di buone pratiche legate all’utilizzo della VAS nel direzionare le scelte di localizzazione di servizi pubblici basate sull’uso di strumenti GIS e concludendo, provocatoriamente, che la VAS migliora la pianificazione ancora prima di introdurre i temi ambientali, nel costruire partecipazione e nell’avviare processi di monitoraggio. Il tema della Valutazione Ambientale Strategica (VAS) in Trentino è stato introdotto dal dott. Fabio Scalet, Diriente Generale Servizio Urbanistica e tutela del Paesaggio PAT, con un utile e-

xcursus sull’evoluzione dell’approccio ai temi ambientali nella struttura normativa urbanistica provinciale: dalla fine degli anni ’80, in tragica concomitanza con gli eventi di Stava, il PUP e la legge sulla VIA introdussero la valutazione applicata alle grandi opere. La prima legiferazione sulla VAS (2001) rappresentò una sorta di VIA riversata nella pianificazione. Con l’introduzione del Regolamento (15/2006) alla Legge omnibus i Piani sono stati sottoposti alla VAS: Con il nuovo Regolamento, che sta per essere licenziato dalla PAT; applicativo della L.P. 1/2008, vengono esplicitate le sequenze procedurali contenute nelle Linee guida (Allegato 3), elaborate e presentate dall’arch. Angiola Turella, Capo Ufficio per la pianificazione subordinata, PAT con il supporto dell’ing. A.Orsi. Dal punto di vista metodologico la Valutazione poggia sul principio di Autovalutazione, finalizzato alla semplificazione dell’iter pianificatorio ma anche alla integrazione delle analisi ambientali nella pianificazione stessa. La VAS è parte integrante dell’iter di formazione del PUP, dei Piani di Comunità e dei Piani di Settore, mentre per Piani dei Parchi e Piani comunali – oltre che per alcune tipologie di Varianti -ne viene prevista una forma più snella e semplificata, la Rendicontazione (previa verifica di assoggettabilità).

In questa occasione si è voluto che a partecipare al corso non fossero solo i rappresentanti degli Enti associati al Consorzio, ma anche professionisti ed amministratori coinvolti nello sforzo di innovazione nella pratica di governo del territorio. Dei circa 200 partecipanti, però, la stragrande maggioranza è stata rappresentata da tecnici comunali e comprensoriali: un dato che forse può essere letto come indicativo del fatto che ad occuparsi continuativamente e quindi approfonditamente della materia urbanistica siano in Trentino ancora troppi pochi professionisti.


Vita associativa

Sentieri Urbani

Inu/Trentino Chi siamo, cosa vogliamo come PARTECIPARE COSA È L’INU? L’Istituto Nazionale di Urbanistica è stato fondato nel 1930 per promuovere gli studi edilizi e urbanistici, diffondendo i princìpi della pianificazione. Lo Statuto, approvato con DPR 21.11.1949, definisce l’INU come “Ente di diritto pubblico ... di alta cultura e di coordinamento tecnico giuridicamente riconosciuto” (art. 1). L’INU è organizzato come libera associazione di Enti e persone fisiche, senza fini di lucro. In tale forma l’Istituto persegue con costanza nel tempo i propri scopi statutari, eminentemente culturali e scientifici: la ricerca nei diversi campi di interesse dell’urbanistica, l’aggiornamento continuo e il rinnovamento della cultura e delle tecniche urbanistiche, la diffusione di una cultura sociale sui temi della città, del territorio, dell’ambiente e dei beni culturali. Inu aderisce a CIPRA sia formalmente che con contributi ed elaborazioni di significativo valore disciplinare. La stessa composizione della sua base associativa caratterizza l’INU come luogo di scambio e di libero confronto culturale, attraverso le diverse esperienze di cui ciascun socio è portatore: da quelle scientifiche, accademiche e della ricerca a quelle tecniche, professionali e della pubblica amministrazione. L’attività sociale propria dell’Istituto si articola in prevalenza intorno alle sue numerose iniziative

nazionali, regionali e locali (rassegne, convegni, seminari e simili), che nell’arco dell’anno, sono diverse decine. A queste si aggiungono le attività finalizzate alle pubblicazioni e alla ricerca, svolta sia in proprio che – anche sotto forma di consulenze – per conto di Enti pubblici. L’INU ha sede a Roma ed è articolato in diciannove Sezioni regionali. Gli Enti associati sono Regioni, Province, Comuni, Iacp, aziende ed enti economici pubblici e privati, dipartimenti universitari, Ordini e associazioni professionali, imprese, cooperative e loro associazioni, Istituti di ricerca, studi professionali, associazioni culturali. I Soci (Membri effettivi e Soci aderenti) sono docenti e ricercatori, professionisti, dirigenti e funzionari delle pubbliche amministrazioni, studenti. Agli architetti, ingegneri e urbanisti, si affiancano giuristi, economisti, geologi, geografi, agronomi, cartografi, ecologi, archeologi e medici. Le Sezioni locali possono attivare – anche su proposta di gruppi di soci – proprie Commissioni (o gruppi di lavoro), su temi analoghi o complementari a quelli trattati dalle Commissioni nazionali, ovvero su altri temi, o per lo studio di situazioni e problemi locali. Le Sezioni locali partecipano comunque con propri rappresentanti alle attività degli Osservatori nazionali e, qualora ne abbiano interesse, ai lavori delle Commissioni nazionali di studio.

/ 53

COME ASSOCIARSI Per associarsi all’Istituto Nazionale di Urbanistica (INU) occorre presentare al Presidente della Sezione di competenza (per residenza o luogo di lavoro) una domanda sottoscritta da due Membri effettivi dell’Istituto e accompagnata da un breve curriculum e dalla ricevuta di pagamento della quota associativa per il primo anno. Il Consiglio direttivo locale approva le domande e le trasmette alla sede nazionale per la ratifica e la registrazione. Per gli Enti pubblici che intendono associarsi è sufficiente inviare alla sede nazionale dell’Istituto la delibera degli organi competenti (di cui potete scaricare il modello) contenente anche l’impegno di spesa per la prima quota annuale, oppure anche solo una copia della ricevuta del versamento della quota associativa. Informazioni e modelli per iscriversi sono sul sito: http:// www.inu.it/ informazioni/ associarsi_inu.html Il pagamento della quota associativa può essere effettuato con bollettino postale n. 97355002 intestato a “INU c/Soci” o mediante bonifico bancario sul conto n. 000000581551 intestato a “INU” – Banca di Roma – Filiale 112 – ABI 03002 – CAB 03256. Per contatti e ulteriori informazioni: Segreteria INU Sezione Trentina (arch. Giovanna Ulrici, giovanna.ulrici@tiscali.it cell. 393.2292378).

AAA - Sentieri Urbani cerca collaboratori Ti interessi di urbanistica e ti piacerebbe collaborare alla redazione di questa rivista? Contattaci! redazione@sentieri-urbani.eu - direttore@sentieri-urbani.eu


54 /

Sentieri Urbani

Recensioni

Biblioteca dell’urbanista

Carlo Aymonino Origini e sviluppo della città moderna

Michael Jakob Il paesaggio

Pino Scaglione (a cura di) High_Scapes - Alps

Marsilio edizioni, Venezia, 2009 (14^ edizione)

Il Mulino edizioni, Bologna, 2009 (1^ edizione)

List, Barcelona (Spain), 2009 (1^ edizione)

Il libro rappresenta un classico della produzione teorica di Carlo Aymonino. Pubblicato per la prima volta nel 1965, costantemente ri-editato è giunto ora alla 14^ edizione. Aymonino legge la città entro i confini del sistema marxista della società. Pur essendo un approccio in parte datato e sicuramente da riferire agli anni in cui fu scritto, il libro può essere di stimolo anche per chi, oggi, si appresta a trattare aspetti teorici della città. Scrive l’autore: «è soprattutto dalla individuazione delle contraddizioni interne alla stessa città che bisogna partire per fare leva per prefigurare una città di tipo diverso». Come sottolinea Guido Canella nella prefazione «nel rinnovato interesse teorico per i problemi della città l'autore illumina il rapporto tra urbanistica e teoria politica soffermandosi sulle enunciazioni della teoria socialistica relative all'assetto della società futura, e in particolare alla polemica tra i socialisti utopisti e il socialismo scientifico. Aymonino prospetta nel quadro della dialettica marxista, una concezione nuova della città basata sulla rottura del diaframma che separa la vita pubblica dalla vita privata, il lavoro dai consumi, la cultura dal tempo libero. E dove l'architettura abbia di nuovo una sua autonoma forma espressiva». Il libro è arricchito dai disegni dello stesso Aymonino che conservano ancora una grande forza espressiva.

Fra le numerose pubblicazioni in tema di paesaggio si segnala l’ultima fatica editoriale di Michael Jakob (Professore di storia e teoria del paesaggio al Politecnico di Losanna e presso la Scuola di Ingegneria di Ginevra-Lullier). Il volume contiene una originale lettura teorica del paesaggio in bilico tra il tempo e il significato, tra il pittoresco e il post moderno, senza dimenticare di riservare uno spazio per i possibili sviluppi della disciplina. Come scrive l’autore «la nostra epoca è decisamente quella del paesaggio, della circolazione vertiginosa di immaginipaesaggio. Ostentato e svelato, discusso e adulato, conservato e protetto, venduto e rivenduto, il paesaggio, che in passato aveva il ruolo di codice sociale e segno distintivo di élites accomunate dalla condivisione di luoghi emblematici, oggi è diventato un fenomeno onnipresente ed universale. Ma che cosa nasconde questa sovraesposizione culturale? Che cosa intendiamo oggi con il termine "paesaggio"? Il volume fa chiarezza intorno a un dibattito che investe ecologia, filosofia, letteratura, arte, geografia, sociologia, antropologia, archeologia, e illustra come si è venuto costruendo il discorso sul paesaggio come esperienza estetica in età contemporanea, fra retoriche dell'autentico e dell'inautentico, dell'esotico e del quotidiano, dell'artificiale e del naturale».

Il libro è la raccolta di “atti” della prima Biennale dei paesaggi alpini e montani tenutasi a Trento nel 2008. Le attività di questo primo ciclo si sono sviluppate con un seminario di due giorni, una mostra di architetture alpine e proiezioni di video, lavorando su un modo di intendere il paesaggio come vera grande risorsa economica, culturale, ambientale del territorio trentino, e delle intere Alpi. Dai piani paesaggistici delle regioni alpine, ad alcune architetture che seguono la tradizione, fino ad altre che innovano profondamente, il volume illustra diverse posizioni e ricerche, e prova a dare risposte e rilanciare questioni, dedicando appunto agli “Alti Paesaggi” - alti in senso sia geografico-fisico che di eccezionalità - nelle diverse sezioni in cui sviluppa, diverse tematiche. Nel libro è contenuto anche il dvd del film-documentario “Dentro il paesaggio, le Alpi”, girato per l’occasione della Biennale, che rilancia i temi del paesaggio alpino, ma in generale l’attualità e la centralità di questo argomento e le questione ad esso legate, attraverso immagini e contributi di protagonisti delle ricerche in corso. Con saggi di: Pino Scaglione, Corrado Diamantini, Renato Bocchi, Claudio Lamanna, Giovanna Massari, Antonio Frattari, Alessandro Franceschini, Thomas Demetz, Massimo Angrilli ed altri.


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.