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SentieriUrbani

9 Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale 70% NE/TN - anno IV - numero 9 - novembre 2012 - € 10,00

Rio+20 e lo Sviluppo Sostenibile 1972 - 2012

Urbani Sentieri

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LA RIVISTA DELLA SEZIONE TRENTINO DELL’ISTITUTO NAZIONALE DI URBANISTICA

Issn: 2036-3109

In questo numero

Rio+20 e lo Sviluppo Sostenibile 1972 - 2012


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SentieriUrbani LA RIVISTA DELLA SEZIONE TRENTINO DELL’ISTITUTO NAZIONALE DI URBANISTICA

Sentieri Urbani rivista quadrimestrale della Sezione Trentino dell’Istituto Nazionale di Urbanistica

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Editoriale di Bruno Zanon

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Città, Territorio, Sostenibilità. Un'intervista ad Edo Ronchi a cura di Alessandro Franceschini

nuova serie anno IV - numero 9 novembre 2012 registrazione presso il Tribunale di Trento n. 1376 del 10.12.2008 Issn 2036-3109 direttore responsabile Alessandro Franceschini direttore@sentieri-urbani.eu redazione Elisa Coletti, Paola Ischia, Luca Paolazzi, Giovanna Ulrici, Bruno Zanon redazione@sentieri-urbani.eu hanno collaborato a questo numero Marco Avanzini, Roberto Barbiero, Sara Cattani, Matteo Conci, Flavio Guella, Antonio Lumicisi, Simone Ombuen, Christian Passeri, Piero Pelizzaro, Lucia Piani, Daniele Saguto, Isabella Salvador, Giovanna Sartori, Susanna Sieff, Alessandra Tanas, Chiara Zanotelli progetto grafico Progetto & Immagine s.r.l. - Trento

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Dossier: Rio+20 e lo Sviluppo Sostenibile a cura di Paola Ischia

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Cronologia

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Lo Sviluppo Sostenibile

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Prospettive e ruolo del progetto nella sostenibilità di Paola Ischia

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Rio+20 The future we want

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Partecipando alla Rio+20

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I temi/1 Lo Sviluppo Sostenibile come green economy di Sara Cattani

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I temi/2 Lo Sviluppo Sostenibile e le giovani generazioni di Matteo Conci

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I temi/3 Uno sguardo sulla realtà delle Favelas durante il Summit di Daniele Saguto e Giovanna Sartori

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I temi/4 La Conferenza delle Donne sullo Sviluppo Sostenibile di Chiara Zanotelli

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Da “RIO mais 20” a “Venezia2012” di Lucia Piani

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I percorsi della ricerca, le esperienze di applicazione

concessionaria di pubblicità Publimedia snc via Filippo Serafini, 10 38122 Trento 0461.238913

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Il patto dei sindaci ed i Piani d’azione per l’energia sostenibile di Antonio Lumicisi

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Pensare globalmente, agire localmente. European Energy Award di Christian Passeri

© Tutti i Diritti sono riservati

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Il paesaggio tra risorse ambientali, biodiversità e servizi ecosistemici di Marco Avanzini e Isabella Salvador

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La disciplina del settore delle energie rinnovabili a livello di Unione Europea di Flavio Guella

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Strumenti finanziari e programmatici per la strategia di adattamento ai cambiamenti climatici: rischi ed opportunità di Piero Pelizzaro

I testi e le proposte di pubblicazione che pervengono in redazione sono sottoposti a valutazione secondo competenze specifiche e interpellando lettori esterni

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Questioni di energia e clima nella recente attività dell'INU di Simone Ombuen

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Operatività e strumenti della provincia autonoma di Trento

contatti www.sentieri-urbani.eu 328.0198754

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Verso l’opzione zero: riconvertire e recuperare Intervista a Roberto Bombarda a cura di Giovanna Ulrici

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Un PA.S.S.O avanti per le politiche ambientali del Trentino di Susanna Sieff

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Il percorso della Pat sul tema dei cambiamenti climatici di Roberto Barbiero

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Il fondo per lo Sviluppo Sostenibile della Pat di Luca Paolazzi

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Il Piano d’Azione per le Biomasse, allegato del nuovo PEAP 13-20 di Alessandra Tanas

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La best practice di Habitech a cura dell’Ufficio Comunicazione Habitech

prezzo di copertina e abbonamenti Una copia € 10 - Abbonamento a 3 numeri € 25 Per ricevere Sentieri urbani è sufficiente inviare una e_mail indicando i dati postali di chi desidera abbonarsi alla rivista: diffusione@sentieri-urbani.eu

editore Bi Quattro Editrice via F. Serafini, 10 38122 Trento Istituto Nazionale di Urbanistica Sezione Trentino Via Oss Mazzurana, 54 38122 Trento direttivo 2012/2014 Giovanna Ulrici presidente Bruno Zanon vice presidente Elisa Coletti segretario Alessandro Franceschini tesoriere Davide Geneletti consigliere Marco Giovanazzi consigliere Paola Ischia consigliere

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Verso il PTC: il caso dell’Alta Valsugana e Bernstol

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Osservatorio sui Piani territoriali di Comunità

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A nord di Trento, a sud di Bolzano: una mostra, un convegno

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Spazio all’integrazione! Un’iniziativa dell’Inu Trentino

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Biblioteca dell'urbanista


Le declinazioni dello Lo sviluppo sostenibile rappresenta la sfida della nostra generazione. Si tratta di acquisire piena consapevolezza della precarietà degli equilibri che governano la vita sulla terra e di intervenire in modo appropriato in relazione al consumo di risorse, alla produzione di cibo, al degrado ambientale, alla qualità delle condizioni di vita. La necessità di perseguire la sostenibilità dello sviluppo – le cui origini possono esser fatte risalire alla Conferenza Onu sull'Ambiente Umano, che si tenne a Stoccolma nel 1972 – venne affermata con forza dal documento “Il nostro futuro comune” della Commissione delle Nazioni Unite sull'ambiente e lo sviluppo (“Commissione Brundtland”) nel 1987 e tale impegno è stato in seguito ribadito da eventi di grande rilevanza, come le Conferenze di Rio de Janeiro (1992 e 2012) e di Johannesburg (2002), oltre che da numerosi altri documenti di livello internazionale, e non vi è ormai campo di intervento umano che non sia chiamato a rispondere in modo

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consapevole a tale sfida. Va sottolineato, a questo riguardo, come l'Unione Europea abbia posto la ricerca dello sviluppo sostenibile tra i propri fondamenti (art. 3 del trattato UE). Il termine “sostenibilità” rischia però di essere abusato e di suonare come una parola vuota se non diventa un parametro per valutare le pratiche relative all'uso delle risorse, alla costruzione dello spazio di vita delle comunità, a consentire alle persone di avere diritti e voce nel merito delle decisioni di interesse collettivo. Per questo, altri termini vengono utilizzati come sinonimi. In particolare, “durabilità” è il termine che, dal francese, è stato spesso esteso ad altre lingue. Indica, in modo pregnante, che l'obiettivo è quello di garantire un futuro alle prossime generazioni adottando modi di produrre, di consumare e di muoversi che siano in equilibrio con l'ambiente, garantiscano efficienza economica, sostengano la crescita degli individui e delle comunità. Altro termine che si sta diffondendo è “resilienza”. Dal linguaggio scientifico


Editoriale

(delle discipline fisiche, biologiche, ecologiche) traspone al linguaggio comune e ai programmi politici l'impegno a garantire che le azioni che si esercitano sul sistema ambientale, ma anche sul sistema territoriale (le città, in particolare) e su quello sociale, non comportino impatti tali da non consentire il ripristino delle condizioni preesistenti. Questo significa da un lato controllare le azioni, dall'altra rendere più resistenti, o meglio reattivi, tali sistemi. Più passa il tempo, più la prospettiva si fa impegnativa e gli orizzonti sono segnati ora da azioni di sviluppo orientate alla “green economy”, da un lato, dalle visioni politiche orientate alla “decrescita”, dall'altro. Pur nella differenza degli approcci, in entrambi I

abitano, delle loro aspettative, dei loro diritti, modificando quindi sia gli oggetti di interesse sia i metodi, le procedure e gli strumenti. Questo numero di Sentieri Urbani intende affrontare tale complessità, contribuendo a segnalare le linee di tendenza più significative. L'apertura è lasciata alla voce di Edo Ronchi, personaggio che ha segnato delle tappe fondamentali nell'innovazione del governo dell'ambiente in Italia. Un primo blocco di articoli è dedicato alla Conferenza di Rio de Janeiro delle Nazioni Unite (Rio+20), nella quale è emerso l'impegno verso la “Green economy”. Alla conferenza ufficiale si sono affiancati degli incontri di comunità (“Cupula dos povos”) e di

sviluppo sostenibile casi i paradigmi consueti dell'economia sono messi alla prova, ponendo in luce le potenzialità di modelli di produzione e di consumo che rispettino l'ambiente in un caso, mettendo in dubbio che si debba cercare un incremento continuo delle quantità, nel secondo. Gli impegni descritti appaiono particolarmente rilevanti per chi si occupa di ambiente, di territorio, di città, con un approccio di pianificazione. Comportano infatti un aggiornamento della disciplina urbanistica verso nuovi compiti, integrando competenze che a lungo sono state distanti da chi si occupava principalmente di disegno urbano e di regolazione degli usi del suolo. Si tratta, infatti, di valorizzare conoscenze che negli ultimi anni hanno visto una rapida evoluzione e che aiutano a guardare lo spazio dell'urbanista con ottiche diverse, mettendo in primo piano l'ecosistema, la biodiversità, la produzione di cibo, il paesaggio, l'energia, ecc. E' necessario inoltre considerare lo spazio insediato dal punto di vista delle comunità che lo

donne che hanno marcato la necessità di un approccio plurale al tema della sostenibilità. I temi di Rio hanno avuto una eco significativa a Venezia, in un evento che proponeva la prospettiva della decrescita. Gli altri contributi compongono un quadro articolato dei diversi temi coinvolti, che vanno dall'energia e i cambiamenti climatici (con i relativi compiti della pianificazione energetica) alla biodiversità e al paesaggio. Infine, alcuni approfondimenti riguardano il contesto trentino, dove l'amministrazione provinciale si era segnalata per una precoce attenzione ai temi della sostenibilità, e che ora vede una pluralità di azioni di grande interesse ma non sempre adeguatamente raccordate e impegnative per la pianificazione territoriale e urbanistica. La consapevolezza di tali sfide emerge con chiarezza nell'intervista a Roberto Bombarda. Bruno Zanon Vice presidente della Sezione Trentina dell'Inu

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Città, Territorio, Sostenibilità Un’intervista a Edo Ronchi a cura di Alessandro Franceschini

Presidente, nel documento «The future we want», approvato a Rio+20, si afferma, tra le altre cose: “Registriamo le esperienze positive di alcuni paesi, anche di paesi in via di sviluppo, nell'adottare politiche di green economy”, sottolineando così che si tratta di un processo in atto, promosso e accelerato dallo stato di crisi che stiamo attraversando. Quali sono le principali novità di questo documento? «La prima rilevante novità della green economy, è proprio costituita dal fatto che essa ha ricevuto un forte impulso dalla necessità di affrontare le due crisi contemporaneamente (quella climatica e quella economica, iniziata con la recessione del 2008-2009 e in molti paesi ancora in corso) e in maniera congiunta e, altra novità, che ha dovuto farlo, e lo sta facendo ora e non in un tempo rinviato al futuro. La crisi climatica sta già producendo impatti preoccupanti, avvertiti come tali da una larga parte dell'opinione pubblica mondiale che teme anche ulteriori pericolosi aggravamenti, colpendo direttamente la gran parte della popolazione con ondate di calore e siccità prolungate, nonché con maggiore frequenza e intensità di eventi atmosferici estremi».

Edo Ronchi, classe 1950, è laureato in Sociologia all'Università di Trento. Docente di progettazione ambientale presso l’Università la Sapienza di Roma è stato Ministro dell’Ambiente dal maggio 1996 all’aprile 2000 nei Governi Prodi e d’Alema. Dal settembre del 2008 è Presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile.

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Quali possono essere gli effetti principali di queste azioni? «Tutto ciò, inevitabilmente, innalza anche il livello di attenzione e di disponibilità della popolazione a modificare modelli di consumo e stili di vita che danneggiano il clima. È cresciuta inoltre, non solo per la crisi climatica, una consapevolezza ecologica più generale in larga parte della popolazione che, un po' ovunque, si trova fare i conti con frequenti crisi ecologiche e a constatare che non si può andare avanti a inquinare e consumare risorse naturali a ritmi sempre più veloci. Tutto ciò favorisce, da una parte, una domanda, di peso crescente, di nuovi consumi di beni e servizi di più elevata qualità ambientale, e, dall'altra, un contesto, locale e internazionale, più favorevole a una direzione green sia per le politiche, attente al consenso, sia per le imprese, attente alle possibilità di nuovi mercati». Perché avviene tutto questo? «Le misure green incrementano la produttività delle risorse naturali, ormai scarse, rafforzano la fiducia degli investitori, aprono nuovi mercati, contribuiscono al risanamento dei conti pubblici con misure di fiscalità


Le misure green incrementano la produttività delle risorse naturali, rafforzano la fiducia degli investitori, e riducono i rischi degli impatti delle crisi ambientali

ecologica e attraverso l'eliminazione dei sussidi pubblici dannosi per l'ambiente e riducono i rischi degli impatti delle crisi ambientali. Nei paesi industriali maturi, dove la crescita economica, anche quando c'è, è bassa, è ormai scarsa la fiducia nelle possibilità di un rilancio dell'attuale tipo di economia, basato su crescita veloce e consumismo, che ha caratterizzato i decenni passati, e sul fatto che possiamo puntare su un maggiore benessere, di migliore qualità e più equamente esteso, semplicemente facendo crescere, o ricrescere, il Pil». Eppure l'attenzione dei media è sempre rivolta alla crescita del Pil… «Certamente crescita e sviluppo economico servono, ma devono essere di qualità diversa, sia dal lato della riduzione degli impatti ambientali e della tutela del capitale naturale, sia del benessere, dei consumi e degli stili di vita. La green economy comincia a proporre risposte anche alla domanda di nuove qualità dello sviluppo, sollecitando nuovi indicatori che non prescindono dal Pil, ma che siano capaci di andare oltre il Pil e di dare indicazioni più ampie e complete sul benessere reale. Visti i potenziali elevati di sviluppo della green economy, particolare attenzione è richiesta sia nell'individuazione di ostacoli e barriere, che si oppongono alla sua affermazione, sia nell'adozione di strumenti economici utili alla sua diffusione». Si tratta, naturalmente, di una strada non priva di ostacoli… «Tra gli ostacoli va innanzitutto citata l'inerzia dei vecchi e consolidati modelli di produzione e di consumo che sono in grado spesso di avere costi diretti minori, anche perché non vengono contabilizzati né i maggiori costi, né i minori vantaggi ambientali. La prima parte di questo Rapporto si conclude con un'analisi del ruolo dei servizi ecosistemici e del patrimonio naturale e ambientale in una green economy, in generale e anche in particolare, in Italia. In fondo si tratta di avere ben chiaro perché questa nuova economia venga chiamata green. Non c'è molto da inventare sull'argomento perché esiste ormai un'elaborazione internazionale consolidata».

Ma come può concretizzarsi questo concetto nella prassi? «La green economy valorizza e investe nel capitale naturale preservandone e aumentandone gli stock e tutelando e valorizzando i servizi ecosistemici, principalmente fruiti sotto forma di beni e servizi pubblici, invisibili dal punto di vista economico, circostanza che è stata, fino a ora, una delle ragioni principali per la loro sottovalutazione e per la loro cattiva gestione. In accordo con la proposta europea di “roadmap”, là dove prevede che ogni paese individui un numero limitato di tematiche che, sulla base di una serie di azioni precise, contribuiscono allo sviluppo di una green economy, questo Rapporto ha focalizzato, per lo sviluppo della green economy in Italia, sei settori strategici: l'eco-innovazione; l'efficienza e il risparmio energetico; le fonti energetiche rinnovabili; gli usi efficienti delle risorse, la prevenzione e il riciclo dei rifiuti; le filiere agricole di qualità ecologica; la mobilità sostenibile. L'analisi di questi settori strategici, arricchita da dati, riferimenti e confronti internazionali ed europei, evidenzia come una svolta economica in chiave green sia di particolare interesse e abbia rilevanti potenzialità proprio in Italia». Perché proprio in Italia? «Perché l'Italia è un paese dove è necessario un maggior sviluppo di un'eco-innovazione che darebbe una forte spinta a incrementare il cambiamento e a combattere la rassegnazione al declino. Perché è un paese che paga una bolletta energetica salata e che importa gran parte dell'energia che consuma e ha quindi un grande interesse a sviluppare efficienza, risparmio energetico e fonti rinnovabili. Perché dispone di un'industria manifatturiera che ha bisogno di ingenti quantità di materiali e che avrebbe vantaggio da un forte sviluppo dell'industria del riciclo, che fra l'altro contribuirebbe anche a risolvere le crisi della gestione dei rifiuti ancora presenti in diverse regioni. Perché ha subito un consistente abbandono di superficie agricola utilizzabile ma potrebbe sviluppare importanti filiere agricole di qualità ecologica. Perché soffre di una crisi di una delle industrie storiche nazionali più importanti, quella dell'auto, che potrebbe avere un rilancio attraverso i numerosi e diffusi interventi e i nuovi mezzi

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Una “smart city” dovrebbe rappresentare in primo luogo un'eccellenza nella ricerca e sperimentazione di un modello urbano sostenibile

per una mobilità sostenibile. In questi settori vi sono non solo risposte a problemi italiani ma anche potenzialità di sviluppo: ne viene un quadro di un'Italia vocata alla green economy». Quali sono le risorse che il nostro paese può mettere in gioco? «L'Italia dispone di un capitale naturale e culturale fra i più importanti del mondo; il “made in Italy” è ancora, in buona parte, associato e associabile a valori green: la qualità, la bellezza, il vivere bene. Nei settori strategici per una green economy l'Italia dispone di buone qualità: di una discreta industria manifatturiera, di capacità e professionalità per gli usi efficienti dell'energia, di una buona industria del riciclo; comincia inoltre ad avere anche un settore rinnovabili di una certa dimensione, dispone di eccellenze nelle produzioni agroalimentari, nei sistemi di mobilità, infrastrutture e mezzi di trasporto, dispone infine di capacità tecnologiche, professionalità ed esperienze di primissimo livello, anche se oggi compresse dalla crisi. Dalla ricognizione di questi settori strategici emerge un potenziale importante per affrontare la crisi italiana e contribuire ad aprire una nuova fase di sviluppo: quello della green economy». L'esperienza delle Agende 21locali, avviata all'inizio di questo millennio, non ha prodotto i risultati attesi. Come è possibile raccogliere e attualizzare quell'esperienza? «In effetti quell'esperienza non è stata all'altezza delle attese, ma ha consentito di sperimentare un nuovo modello di “governance” (basato su partecipazione pubblica, pianificazione basata sull'utilizzo di target e indicatori, creazione di strumenti di verifica e controllo ecc.) a cui in vario modo si rifanno le iniziative più recenti. Tra queste va senza dubbio segnalata quella del “Patto dei Sindaci”, che si propone l'obiettivo della riduzione delle emissioni di gas serra. Un'esperienza lanciata nel 2008 che, in pochi anni, è arrivata a coinvolgere più di quattromila enti locali e 160 milioni di cittadini». Al Patto dei Sindaci si è affiancata la proposta delle città intelligenti, le “smart cities”: un progetto più fluido, non codificato attraverso un percorso in gran parte predeterminato,

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come invece avviene nel Patto dei Sindaci o nelle Agende 21 locali». Può spiegare meglio quali sono le potenzialità di quest'ultima proposta? «Per capire bene occorre partire dalla definizione di “smart city” data dalla Commissione europea nell'ambito del piano sulle tecnologie energetiche del 2009 (Set Plan), quando scrive che “…la presente iniziativa supporterà città e regioni nell'affrontare misure ambiziose e pioneristiche atte a condurre al 2020 verso una riduzione delle emissioni serra del 40%… dando prova ai cittadini che… possano migliorare la qualità della vita e l'economia locale”. Quindi, al centro dell'iniziativa stanno gli obiettivi di sostenibilità, a cominciare dalla lotta al cambiamento climatico. In seconda battuta si ritrovano gli obiettivi di benessere e qualità della vita che collocano l'iniziativa all'interno di un dibattito aggiornato sull'economia. C'è infine il ruolo – trasversale – delle tecnologie, che diventano uno degli strumenti privilegiati per perseguire gli obiettivi indicati. In pratica: una “smart city” dovrebbe rappresentare in primo luogo un'eccellenza nella ricerca e sperimentazione di un modello urbano sostenibile». Presidente, cambiamo argomento. Crede che l'Italia sia in grado di realizzare i suoi obiettivi di riduzione delle emissioni di gas di serra senza il nucleare? «Le emissioni di gas serra in Italia sono diminuite da 516,9 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti nel 1990 a circa 485,8 milioni di ton. nel 2010, con un calo di circa il 6%, sostanzialmente in linea con il nostro obiettivo fissato dal Protocollo di Kyoto (-6,5% come media del periodo 2008-2012). Attuando la direttiva europea, vincolante, per lo sviluppo delle energie rinnovabili e l'obiettivo europeo di risparmio energetico, andremmo oltre l'obiettivo di ridurre le nostre emissioni del 20% entro il 2020, senza alcun bisogno di centrali nucleari. L'Italia è ben posizionata, sia per la ricerca sia per le prime realizzazioni sperimentali, nelle tecniche di cattura e sequestro dell'anidride carbonica. È molto più interessante per l'Italia sviluppare questa tecnologia, anche in vista di suoi possibili sviluppi internazionali. Per il nucleare sono in corso diversi progetti di ricerca per tecnologie più sicure e con una minore produzione e


una minore pericolosità dei rifiuti: è utile partecipare a queste ricerche, anche se sono prevedibili possibili esiti significativi solo fra qualche decennio». Però l'energia nucleare è un mantra, spesse volte evocato come modello di efficienza. Crede che il territorio italiano possa essere compatibile con questa scelta energetica? «Il territorio italiano è il meno adatto, in Europa, per ospitare centrali nucleari. L'Italia è un paese europeo, la sua rete elettrica è integrata con quella europea. Ragionamenti puramente nazionali sul mix delle fonti elettriche sono solo il frutto di vecchie visioni, non aggiornate alla nuova realtà europea. Ciascun territorio europeo deve puntare su uno sviluppo armonizzato con gli altri territori, valorizzando le proprie specificità e qualità, anche in campo energetico. Il territorio Italiano è densamente popolato, con una vasta porzione montuosa, con vaste aree a rischio sismico, con 6.600 comuni, circa l'80%, esposti al rischio idrogeologico, di alluvioni o frane. Il territorio italiano, per condizioni climatiche e geografiche, dispone del patrimonio naturale più ricco d'Europa, con vaste porzioni tutelate perché siti di importanza comunitaria, zone di protezione speciale europea, parchi e aree naturali protette: il territorio soggetto a protezione naturalistica è oltre il 19%. L'Italia ospita il patrimonio storico, artistico, culturale e archeologico più importante del mondo: un patrimonio importante per tutta l'Europa». Ergo: l'Italia è il Paese europeo meno adatto ad ospitare centrali nucleari… «Infatti. E non è un caso che, anche prima del referendum, di nucleare in Italia se n'era fatto ben poco: mentre in Francia c'erano già 58 reattori funzionanti, in Italia il nucleare era del tutto marginale, con una sola centrale funzionante, a Caorso, due vecchie e piccole centrali avviate a chiusura, a Latina e a Trino, e una sola nuova centrale in costruzione, a Montalto di Castro. E non è nemmeno un caso che i cittadini che vivono sul territorio, che gli enti locali e le regioni, più vicine al territorio, siano così diffusamente e ampiamente contrari al nucleare».

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Dossier: Rio+20 e lo Sviluppo Sostenibile a cura di Paola Ischia

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Questo numero di Sentieri Urbani affonta un tema multidisciplinare che ha richiesto un inedito framework multiattoriale per la rivista, volto a coinvolgere voci accademiche, amministrative, produttive, progettuali, attente al sociale ed alla formazione dei giovani, in un esercizio di bilancio, autovalutazione e razionalizzazione, di quanto sia correlabile al tema della Sostenibilità (efficienza energetico-ambientale, green economy, welfarewelbeing, diritti umani, smart cities, mitigazione ed adattamento al cambiamento climatico, etc…). Il dossier è diviso sostanzialmente in tre parti. Nella prima è contenuto un resoconto della Rio+20 redatto a più voci da un gruppo di giovani che ha partecipato, grazie ad un'iniziativa della Provincia autonoma di Trento, all'Agenzia di Stampa Giovanile Internazionale a Rio +20. I cronisti, coordinati da Susanna Sieff, ci offrono una finestra sulle principali problematiche affrontate in quella sede. Conclude la sezione anche un articolo di Licia Piani che, a Venezia, ha seguito la III Conferenza internazionale per la decrescita e la sostenibilità ecologica: la grande transizione, la decrescita come passaggio di civiltà. Nella seconda parte intitolata “I percorsi della ricerca, le esperienze di applicazione” sono raccolte alcune esperienze di respiro nazionale ed internazionale di sperimentazione di buone pratiche tese ad implementare lo sviluppo sostenibile dentro le prassi disciplinari e specialistiche. In particolare si è posta attenzione all'esperienza de “Il patto dei sindaci ed i Piani d'azione per l'energia sostenibile”, al tema del paesaggio inteso come supporto ai servizi ecosistemici, alla disciplina del settore delle energie rinnovabili a livello di Unione Europea e agli strumenti finanziari e programmatici per la strategia di adattamento. La terza sezione, dal titolo “Operatività e strumenti della provincia autonoma di Trento” vuole essere una finestra su quanto avviene in Trentino, dove l’ente provinciale articola l'azione di sostenibilità attraverso strutture come il Dipartimento Territorio Ambiente e Foreste ed APPA Agenzia provinciale per la protezione dell'Ambiente ed interagisce con il Museo delle Scienze, Fondazioni Bruno Kessler ed Edmund Mach, Cnr-Ivalsa, e coordina l'operatività attraverso “PA.S.SO. Patto per lo Sviluppo Sostenibile del Trentino 2020 ed oltre”, documento di indirizzo rielaborato dal precedente Atto sullo Sviluppo Sostenibile del 2000, e con un decennio di azioni finanziate dal “Fondo per lo Sviluppo Sostenibile dell'Ambiente” (Agenda21 ed iniziative locali). Il risultato ha evidenziato la difficoltà di disporre di valutazioni ex-post, procedure davvero non ampiamente frequentate ma estremamente utili ad apprendere e poter selezionare l'efficacia delle azioni future. La raccolta, certo non esaustiva e la diffusione di buone pratiche e nuove strumentazioni, è stato uno dei contenuti di questo numero. Riattivare una disciplina che nella programmazione, pianificazione, progettazione urbanoterritoriale, ritrovi gli strumenti per l'organizzazione socio-economico-ambientale (anche attraverso il recupero del concetto di “responsabilità sociale di impresa”), rigenerando ed imparando dagli errori commessi, è il nostro obiettivo.

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Cronologia 1972-2012 1972

1980

1992

1993

1972, Stoccolma, Conferenza ONU sull’Ambiente Umano Si afferma l’opportunità di intraprendere azioni tenendo conto non soltanto degli obiettivi di pace e di sviluppo socio-economico del mondo, per i quali «la protezione ed il miglioramento dell’ambiente è una questione di capitale importanza», ma anche avendo come «obiettivo imperativo» dell’umanità «difendere e migliorare l’ambiente per le generazioni presenti e future».

1980, Strategia Mondiale per la Conservazione L’Iucn, International Union for Conservation of Nature elabora il documento Strategia Mondiale per la Conservazione nel quale si delineano i seguenti obiettivi: mantenimento dei processi ecologici essenziali; salvaguardia e conservazione della diversità genetica nel mondo animale e vegetale; utilizzo sostenibile degli ecosistemi.

1992, Rio de Janeiro, Conferenza ONU su Ambiente e Sviluppo Vengono confermati i contenuti della Dichiarazione della Conferenza ONU di Stoccolma del 1972 «cercando di considerarla come base per un ulteriore ampliamento». Si pone l'accento su temi quali: il diritto allo sviluppo per un equo soddisfacimento dei bisogni sia delle generazioni presenti che di quelle future; la tutela ambientale; la partecipazione dei cittadini; il principio del chi inquina paga. Dalla Conferenza di Rio de Janeiro scaturiscono due iniziative di rilievo: il Programma d'azione Agenda 21 e la Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici

1993, Italia, Piano Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile Nel 1993 viene messo a punto, dal Ministero dell'Ambiente, un piano per l'attuazione dell’Agenda 21, approvato dal CIPE il 28 dicembre, «per realizzare uno sviluppo compatibile con la salvaguardia dell'ambiente».

Sostenibilità economica

Sostenibilità sociale Sviluppo sostenibile

Sostenibilità istituzionale

Sostenibilità ambientale

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Dossier: Rio+20

1983

1987

1994

1996

2000

2001

2002

2012

1983, Commissione Mondiale su Sviluppo e Ambiente Viene istituita dall'ONU la Commissione Mondiale su Sviluppo e Ambiente, presieduta dall'allora premier norvegese Gro Harlem Brundtland, che elabora il «rapporto Brundtland».

1994, Aalborg, 1° Conferenza Europea sulle Città Sostenibili Viene approvata dai partecipanti la Carta di Aalborg, Carta delle città europee per uno sviluppo durevole e sostenibile: un impegno delle «città e regioni europee ad attuare l’Agenda 21 a livello locale e ad elaborare piani d’azione a lungo termine per uno sviluppo durevole e sostenibile, nonché ad avviare la campagna per uno sviluppo durevole e sostenibile delle città europee».

2000, Hannover, 3° Conferenza Europea sulle Città Sostenibili Viene elaborato l’Appello di Hannover delle autorità locali alle soglie del 21° secolo: un «bilancio sui risultati conseguiti nel fare diventare le nostre città e comuni sostenibili, nonché per concordare una linea d’azione comune alle soglie del 21° secolo» e, quindi, un impegno per il proseguimento nell’azione di Agenda 21 Locale.

2002, Johannesburg, Vertice Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile Le novità di questo summit sono sostanzialmente le seguenti: la crescita economica non è la base dello sviluppo; è opportuno distinguere tra crescita e sviluppo; nella piramide dei valori, il pilastro sociale è al vertice dei pilastri economico ed ambientale; comunque nessuno dei pilastri potrà essere considerato a sé stante; è prioritario lo sviluppo rispetto alla crescita economica; è necessario valutare i costi sociali ed ambientali delle politiche.

1987, Our Common Future Our Common Future (conosciuto anche come Rapporto Brundtland) è un documento elaborato dalla Commissione mondiale sull'ambiente e lo sviluppo (WCED) in cui, per la prima volta, viene introdotto il concetto di sviluppo sostenibile.

1996, Lisbona, 2° Conferenza Europea sulle Città Sostenibili Viene approvato dai partecipanti il Piano d'azione di Lisbona: dalla Carta all'azione: una valutazione dei progressi fatti dalla 1ª Conferenza di Aalborg e la discussione sull’avvio e l’impegno nel processo di attivazione di una «Local Agenda 21 e sull’attuazione del locale piano di sostenibilità».

2001, Unione Europea, VI Piano d'Azione Ambientale 2002/2010 Vengono perseguiti i principi di Natura e biodiversità, Ambiente e salute e Uso sostenibile delle risorse naturali e gestione dei rifiuti.

2012, Rio De Janerio, Conferenza ONU su Ambiente e Sviluppo Il documento approvato riafferma gli impegni della Dichiarazione di Rio e degli altri accordi precedenti, ed esprime la volontà di accelerare ulteriori accordi e impegni vincolanti, in particolare nel campo della finanza, del debito, del commercio e del trasferimento tecnologico. Fortemente voluto dal gruppo G77 e dalla Cina, è stato inoltre riaffermato il principio di «responsabilità comuni, ma differenziate» per i vari Paesi. 15


“Lo sviluppo sostenibile soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri” Gro Harlem Brundtland “Our Common Future”, 1987

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Dossier: Rio+20

25 anni dopo “Our Common Future” Prospettive e ruolo del progetto nella sostenibilità di Paola Ischia

A venticinqe anni, ben un quarto di secolo dalla pubblicazione del rapporto curato da Go Harlem Brundtland, “Our Common Future” (WCED, World Commission on Environment and Development, 1987) che proclamava lo Sviluppo Sostenibile, tale da soddisfare i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri, il succedersi di conferenze internazionali, dichiarazioni, atti programmatici, ha delineato criteri e strumentazioni per ottimizzare assetti ambientali, sociali ed economici e, soprattutto, determinare l'equilibrio ed integrazione tra gli stessi, senza peraltro riuscire a conseguire l'equità auspicata. La tensione alla rielaborazione degli sforzi condotti è oggi rigorosa urgenza nell'affrontare lo stravolgimento globale incalzante. Il 2012 segna inoltre il ventennale dalla Conferenza UNCED United Nations Conference on Environment and Development del 1992 di Rio de Janeiro ed il quarantennale dalla Dichiarazione di Stoccolma del 1972. Nel 1992 sono state poste le basi per la redazione di Agenda 21, protocollo d'intesa messo a punto da ICLEI, International Council for Local Environmental Initiatives, con l'obiettivo di trasferire i concetti dello Sviluppo Sostenibile a livello di amministrazioni locali. Si celebra inoltre l'ulteriore ventennale dall'UNFCCC United Nations Framework Convention on Climate Change per la lotta al Cambiamento Climatico. Dopo la sequenza di incontri, scandita con il decennale del 2002 a Johannesburg, si è svolto dunque a giugno il vertice internazionale “Rio+20 The future we want”, United Nations Conference on Sustainable Development. Tra una generale indifferenza, sovrastata dall'attenzione rivolta prevalentemente alla crisi finanziaria, sono state trattate tematiche suddivise nei settori: disastri ambientali, oceani, acqua, cibo, città, energia, posti di lavoro. L'auspicio era prefigurare una nuova governance della sostenibilità (inserendo ad esempio la salute nei nuovi documenti sullo sviluppo sostenibile, così come le idee emergenti sul buon vivere e su modelli alternativi di prosperità) ma gli apporti tecnicoscientifici non hanno trovato sintesi in un assunto politico che sapesse innescare concretezza ed efficacia. Green economy, mitigazione ed adattamento al cambiamento climatico, diritti umani, partecipazione, assunzioni di responsabilità (come la Strategia Europea 2020 per una crescita intelligente-sostenibileinclusiva), possono sembrare inermi proclami a fronte della cronaca quotidiana. Ancora non può dirsi elaborata la frustrazione, generata dal Summit COP15 Conference of Parties di UNFCCC United Nations 17

Framework Convention on Climate Change sui cambiamenti climatici di Copenaghen, del dicembre 2009 per la riformulazione del protocollo di Kyoto del 1997 (che prevedeva la scadenza del periodo di verifica al 31/12/2012) ed i successivi incontri di Cancun, Durban e Doha. Dopo il 1994 ad Aalborg, il succedersi delle Conferenze Europee sulle Città Sostenibili ha prodotto interessanti prefigurazioni, parzialmente concretizzate. E' necessario riattivare una cultura della responsabilità e contemporaneamente superare i luoghi comuni: è significativo evidenziare che gli impatti dell'agire sostenibile sono stati rilevati proprio dall'Accademia Governativa delle Scienze Sociali Cinese che ha lanciato l'allarme calcolando nel 9% del PIL il danno annuale causato all'economia dal degrado dell'ambiente, o dalla stima della Banca Mondiale che ha calcolato per l'India i danni causati solo dall'inquinamento delle acque, equivalere al 6% del PIL. (v Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile). In un contesto simile non c'è alternativa al “ripartire da zero”. Il cambiamento è l'unica prospettiva ...certa! Orientare, declinare questo cambiamento è la sfida che ci attende, per la quale armarsi di lucida consapevolezza e capacità di superare schemi desueti ed inefficaci. Chiedersi a livello politico, sociale, economico “di cosa abbiamo veramente bisogno?” consente di prefigurare vie di rigenerazione. Riflettere dunque sul compito delle discipline progettuali, chiamate ad incrementare le capacità analitiche e previsionali con contributi immaginativi e prefigurativi che vanno supportati da conoscenze scientifiche integrate e continue verifiche, attiva programmazione ed organizzazione, capaci di ripristinare stati di equilibrio ed evitare sprechi di risorse. La disciplina deve poter ritrovare autorevolezza ed efficacia senza prevaricare l'iniziativa privata, attraverso strumenti snelli, supportati da competenze scientifiche integrate. Il ruolo del progettista può tornare ad essere determinante nella sostenibilità anche per il saper leggere e recuperare quell'intrinseca storica efficienza energetico-ambientale di insediamenti urbani nati come principi di organizzazione “anti-entropica”, anti-dispersiva dell'energia disponibile (v. in P.L. Cervellati “La città bella. Il recupero dell'ambiente urbano” 1991 e “L'arte di curare la città” 2000). E' necessario inoltre saper superare i recinti accademici e confrontarsi con l'operatività concreta, in un virtuoso interagire che consenta una verifica delle teorie ed una selezione tra le pratiche. Può sembrare ovvio l'assunto esposto ma se riflettiamo sulla condizione quotidiana contemporanea possiamo capire di quanto ce ne sia realmente bisogno! Al contempo paradossalmente, non


emerge una concreta richiesta di progetto e sembra prevalere un ossessivo rifugiarsi in rassicuranti strumenti di certificazione, sicuramente utili ma che devono allora essere prontamente coadiuvati affinché non introducano elementi di rigidità ma si articolino in settori tali da accogliere e sviluppare anche la sperimentazione di virtuosi processi innovativi. E' corretto osservare che la mancanza di fiducia nel progetto in sé è dovuta alla contemporanea incertezza dell'iter progettuale, gravato da sovrapposizionecommistione di responsabilità e competenze che non consente una regia unitaria, un'efficace quantificazione di tempi di realizzazione, una reale integrazione delle conoscenze. A ciò si aggiunga il difficilissimo compito di gestire le imprescindibili procedure della partecipazione, spesso arenate in interminabili esperienze assembleari con inevitabili oggettive frustrazioni e quel che è peggio tali da introdurre il rischio dell'indebolire il coinvolgimento responsabile, autorevole ed operativo di competenze pluridisciplinari. Oggi parlare di cicli ed attendersi un ripristino di assetti del passato è sottostimare la realtà, mentre saper cogliere i fattori positivi della trasformazione in atto è consentire di crescere dai propri errori ed evolvere. La XIII Biennale di Architettura di Venezia 2012 ha per titolo “Common Ground” e cerca, come dalla presentazione del Presidente Paolo Baratta, il punto comune di intesa per restituire operativamente alla società il ruolo del progettista,“…rimediare allo scollamento tra architettura e società civile”. Documenti come “RI.U.SO Rigenerazione urbana sostenibile”, elaborato nella primavera 2012 dalla filiera delle costruzioni (Consiglio Nazionale degli Architetti PPC, Ance, Legambiente), integrati a strumentazioni della programmazione, pianificazione, progettazione urbanoterritoriale, devono prefigurare prospettive win-win nel rapporto pubblico-privato, senza prescindere dal patrimonio culturale che, solo, può garantire compiutezza e responsabilità del progetto. Recuperare dialogo ed efficace interazione tra programmazione, pianificazione, progettazione urbano-territoriale, consente inoltre di prevenire gli insostenibili costi dovuti alle calamità idrogeologiche e sismiche. Senza dimenticare naturalmente quanto il progetto dei cicli idrici sia una risorsa non solo in termini di autotutela ed ecologia ma anche di qualità della vita. Il progetto di suolo, declinato e differenziato tra più livelli (di sottosuolo e coperture comprese) e con differenti gradi di proprietà, può aprire a moltiplicatori di utilizzo, capaci di azzerarne l'ulteriore improprio consumo. La mixitè delle funzioni (in particolare in aree “produttive” intendendo il termine in senso esteso), può divenire tale da generare quella fluida dinamicità di cui necessita l'innovazione (green economy, blue economy, slow economy,...). L'attenzione progettuale per il microclima urbano (con azione incisiva di acque e venti), può innescare efficienze strategiche (gestioni associate, riutilizzo di cascami termici, etc..) e “democraticamente” offrire condizioni di comfort non onerose (in particolare per raffrescamento passivo e captazione solare) all'intera collettività. In questo la progettazione del verde può recuperare la qualità ed il ruolo di definizione dell'ambiente urbano: estetico, accogliente, rilassante, capace di incidere sulla scala di

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percezione degli spazi, capace di costituire massa architettonica ed elemento topologico nella definizione di spazi, bordi, sky-line, senza dimenticare la storica valenza orticolo-alimentare. La riflessione sul concetto di paesaggio ha consentito di maturare un superamento dell'approccio progettuale demiurgo-narcisistico che ha generato talvolta esiti decisamente impropri ma non va comunque sottovalutato il ruolo di un così definibile “direttore d'orchestra” che sappia tessere una trama, cogliere il palinsesto in cui inserire il progetto in una continuità spazio temporale, esprimere sintesi propositive e comuni nell'anarchia degli interessi giustapposti. Così per la sostenibilità è giunto il momento di uscire dall'ambiguità dell'aggettivare in sostenibilità ambientale, sostenibilità economica, sostenibilità sociale, per focalizzare invece la centralità dell'equilibrio tra le componenti. Verifiche pluridisciplinari, autovalutazioni ed indicatori di monitoraggio, devono poter accompagnare le simulazioni e prefigurazioni in un'unica regia che sappia dialogare con le diverse istanze. Vincoli, premialità, processi perequativi-compensativi, non possono essere generici ma devono trovare senso compiuto in obiettivi condivisi e chiaramente delineati. Modelli fluidodinamici (acque, venti, viabilità e trasporti) e masteplans multilivello e multi progressione temporale, possono essere strumenti di agile fruizione collettiva, capaci di prefigurare scenari anche contrapposti e consentire dunque scelte condivise. Tornare a pretendere in primo luogo una progettazione coerente dello spazio aperto collettivo, valorizza e qualifica le realizzazioni private (l'insediamento a corte ha già di per sé una valenza microclimatica ed un ruolo sociale). E' dimostrato come attraverso una densificazione intelligente il recupero urbanistico possa conseguire enormi approvvigionamenti ed efficienze energetico-ambientali, privi di rischi e costi sociali. Il recupero della matrice storico insediativa consente inoltre di ripristinare tessuti e reti ad esempio per canalizzazioni irrigue, anticamente assai funzionali. Ecco che il progettare risulta la migliore interfaccia tra scienza e politica e per questo non può essere accettata l'avvilente attuale attribuzione di incarichi per massimo ribasso o suddivisione-parzializzazione dei progetti, tale da non consentire una regia complessiva. Lo squilibrio nella possibilità di autosostentamento di figure intellettuali che svolgono prestazione di consulenza nell'interesse privato e pubblico e, soprattutto, nella ricerca di convergenza di tale interesse, danneggia la collettività. E' necessario riabilitare il ruolo delle libere professioni chiedendo al contempo un rigore nella cultura del progettare; ciò consente di recuperare nell'innovazione le conoscenze della tradizione e saper cogliere dinamiche sociali, economiche ed energetico-ambientali come elementi determinanti della generazione di assetti paesaggistici. Recuperare e riconcettualizzare l'esistente porta ad una riflessione capace di riaffermare ed al contempo rigenerare l'identità. Dovremmo tornare ricchi …ma non di soldi. Non è strettamente necessario prevedere investimenti monetari, quanto liberare opportunità. È ora di passare dalle parole all'operatività, anche perché come scrisse Johann Wolfgang Goethe, anticipando Woody Allen, riguardo alla conoscenza: “tutto è già stato scritto ….peccato nessuno l'abbia letto!”


Rio+20 The future we want

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Partecipando alla...

Quattro giovani trentini sono stati a Rio de Janeiro dal 10 al 24 giugno 2012 per partecipare alla Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile (Rio+20), a vent'anni dalla prima conferenza mondiale sul tema. I quattro, Chiara Zanotelli, Sara Cattani, Daniele Saguto e Matteo Conci, tutti con alle spalle esperienze all'estero e di comunicazione giornalistica, sono risultati vincitori del concorso 'Racconta la Rio +20', promosso dall'associazione Jangada di Trento nonché dall'Assessorato alla Solidarietà internazionale e Convivenza e dall'Assessorato all'Ambiente della Provincia autonoma di Trento, in partenariato con la brasiliana Viração Educomunicao.

Per la prima volta dal 1992, anno della prima conferenza ONU sullo sviluppo sostenibile, la società civile ha partecipato in modo attivo alla conferenza ONU organizzata nel giugno del 2012. Per l'occasione la città si è riempita di eventi e si è tinta letteralmente di verde: potenti riflettori a led illuminavano di verde gli alberi del viale del centro e il monumentale “Cristo Redentor” che guarda distaccato la metropoli carioca dall'alto. E noi, quattro giovani trentini in trasferta, siamo stati a Rio per documentare tutto questo. Con altri cento giovani provenienti da diverse parti del mondo formavamo l'“Agenzia jovem de notizia”, la più grande agenzia di stampa presente a Rio+20. Abbiamo così potuto assistere al vertice da una posizione privilegiata. Abbiamo camminato nelle favelas pacificate, dove il governo brasiliano sta attuando dei piani di rivalorizzazione urbana: orti urbani, eventi culturali e musicali. Abbiamo raccontato la cupola dei popoli, il gigantesco social forum che si teneva a “tierra de flamengo”, un parco lungo piú di due chilometri che si affaccia sul mare. Un arcobaleno di persone che ti accoglievano sorridenti mentre camminavi tra le tende che ospitano conferenze e laboratori. C'erano associazioni, teologi, sociologi, indios, giornalisti dei media indipendenti, famiglie e bambini (un sacco di bambini!), tutti riuniti per discutere di un modello di sviluppo ormai chiaramente insostenibile.

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E siamo stati anche a Rio Centro, il gigantesco polo fieristico in cui si è tenuta la parte ufficiale della conferenza. In linea d'aria dal summit dei popoli non erano che 30 Km, ma sembravano 3000. Lo si raggiungeva con un servizio di autobus dedicato, creato apposta per l'evento. Automezzi nuovi, climatizzati. Passeggeri eleganti, giacche, cravatte. Qualche abito tradizionale, soprattutto africano. Tutti i cavalcavia lungo il percorso erano presidiati da militari. Appena passati i controlli di sicurezza si era fagocitati da un evento di dimensioni oceaniche, con oltre 500 eventi paralleli, come li chiamano qui. Conferenze e workshop organizzate da ONG, agenzie e strutture dell'ONU, governi, universitá. Si è parlato di green economy, di sviluppo sostenibile, di diritti umani, di degrado ambientale e di speranza. Ma più che a conferenze, si ha l''impressione di aver assistito ad un monologo. Gli interlocutori, capi di stato e delegazioni sono sempre stati lontani lontani. Mentre tutti pensavano a come cambiare i paradigmi su cui si basa la nostra idea di sviluppo i negoziatori, a porte chiuse, discutevano i termini di un documento fiacco, senza impegni concreti, che ha rappresentato per molti aspetti un passo indietro rispetto all'orizzonte dell'Agenda 21. Gli elementi più concreti e positivi di questa Rio + 20 vengono dagli impegni volontari che molti governi, associazioni e privati si sono presi nei giorni successivi alla chiusura del vertice. Piccoli passi, sopratutto locali, che se da una parte mettono in evidenza la difficoltà di affrontare il tema dello sviluppo sostenibile attraverso una pianificazione globale e verticale, dall'altra dimostrano che “si può cambiare”. Solo bisogna cominciare a farlo dal basso, coinvolgendo tutti i cittadini, ognuno al suo livello. C'è bisogno di comunicare, di fare rete, di lavorare assieme per un mondo migliore. Bisogna, in somma, ricominciare a fare Politica, nel senso più autentico del termine. Ed è proprio qui che probabilmente Rio+20 è fallita. Non si è creata una Agorà, una piazza in cui scambiarsi idee. Ve n'erano tante, una per ogni pezzo della società civile che si interessa allo sviluppo sostenibile. Rio centro, il Summit dei popoli... quando ci sei dentro hai l'impressione che il mondo sia tutto lì, ad ascoltarti. Ma il mondo è fuori. E' distante da Rio Centro migliaia di chilometri, guarda ai politici con tristezza e sfila indifferente a fianco dei cortei di protesta. C'è bisogno di collegare i punti, di riallacciare legami tra associazioni, cittadini, industriali, politici. C'è bisogno di una nuova politica che riesca a "chiamarsi dentro", e non fuori, dalle situazioni di disagio e di protesta. Ed é una sfida a cui tutti noi cittadini siamo chiamati a rispondere.


Dossier: Rio+20

I temi della Conferenza/1 Lo Sviluppo Sostenibile come green economy di Sara Cattani

C'è una comune aspirazione che accomuna l'umanità: avere una vita felice. Ci sono molti elementi che determinano la felicità, ma quasi sempre afferiscono il settore delle cose materiali. L'umanità ha perseguito lo sviluppo e la crescita per garantire la prosperità materiale, producendo così articoli di massa e portando all'eccesso i consumi. Come sappiamo, la crescita economica dell'ultimo secolo, basata soprattutto sull'uso dei combustibili fossili, non ha portato altro che l'aumento delle emissioni dei gas serra nell'atmosfera compromettendo, poco a poco, il funzionamento dell'ecosistema. Nel 1992 i leader mondiali decisero che fosse giunto il momento di intervenire, per cercare di fermare questo processo di distruzione e questa incuranza per il degrado ambientale. Si riunirono a Rio de Janeiro con lo scopo di cercare delle soluzioni per questi nuovi grandi problemi: si inizia così a parlare di ambiente crescita - sviluppo, introducendo nel vocabolario quotidiano nuovi termini, oggi molto di moda, come “sostenibilità ambientale”, “sviluppo sostenibile” e “green economy”. Vent'anni dopo questo primo Summit sulla Terra, la città di Rio ritorna ad esser la protagonista della Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile, sede delle negoziazioni per affrontare i nuovi (o vecchi) problemi legati al disequilibrio ambientale e climatico del nostro pianeta. A Rio+20 due dei principali obiettivi erano promuovere un Governo Ambientale Mondiale e consolidare il concetto di “economia verde”, attirando l'attenzione dei governi, degli imprenditori e delle organizzazioni ambientaliste. Uno dei grandi temi trattati appunto alla Conferenza è stato “the green economy in the context of sustainable development and poverty eradication”, dunque lo sviluppo di un'economia verde legata ad uno sviluppo sostenibile e alla lotta alla povertà. Questo non solo dal punto di vista di un miglioramento ambientale, ma anche come percorso che bisogna intraprendere per arrivare ad un'economia verde, un nuovo paradigma che cerchi di alleviare

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minacce globali come il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità, la desertificazione e l'esaurimento delle risorse naturali. Si voleva cercare una strada comune per raggiungere l'obiettivo che il concetto di green economy si propone. Ma non esiste una sola via, ogni paese dovrebbe adottare la propria strategia verso uno scopo comune: lo sviluppo sostenibile mondiale. Ma cos'è la “green economy”? Il termine green economy, nato nel 1989, ha iniziato ad acquisire sempre più significato a partire dagli anni Novanta. Sebbene sia un concetto molto utilizzato in ambito accademico, per la diplomazia internazionale è un termine ancora nuovo. Una definizione precisa di ciò che la green economy veramente non esiste. A differenza dello sviluppo sostenibile, concetto chiaro che include anche la sfera sociale, il termine green economy non trova una spiegazione che delimiti esattamente il suo campo d'azione. Il Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (UNEP) la definisce come “un'economia che produce benessere umano ed equità sociale, riducendo allo stesso tempo i rischi ambientali e le scarsità ecologiche. […] La crescita del reddito e dell'occupazione sono guidati da investimenti pubblici e privati che mirano alla riduzione dell'inquinamento, all'aumento delle energie rinnovabili, all'efficienza delle risorse ed a evitare la perdita di biodiversità. Tali investimenti devono essere supportati da riforme politiche e cambiamenti delle regole da parte delle istituzioni”. In questi termini perciò si può pensare ad una economia che consente di ottenere basse emissioni di carbonio, un'efficiente utilizzo delle risorse e, allo tempo stesso, che sia socialmente equa. Alcuni paesi industrializzati credono che la green economy possa cambiare il modo di organizzare le economie nazionali e mondiali, ad esempio, rendendo “più verde” l'economia con l'aumento della spesa pubblica per i programmi ambientali, investendo in tecnologie per la produzione di energia pulita e promovendo i cosiddetti “green jobs”, visti


L'attuale sistema è preoccupante e conduce al totale sfruttamento e inquinamento del nostro Pianeta: sono necessari al più presto una svolta ed un cambio di programma e di abitudini da parte di tutti

ultimamente come stimoli importanti dai quali partire al fine di neutralizzare lo stato di crisi economica che interessa i grandi paesi industrializzati. Di tutt'altro avviso sono i Paesi in via di sviluppo, piuttosto preoccupati che l'economia verde ostacoli il loro percorso di industrializzazione, in quanto vincolato dagli aiuti e dai prestiti per lo sviluppo provenienti dai enti e paesi che premono verso questo modello di economia. Nella stesura del documento finale di Rio +20 le delegazioni di questi stati hanno infatti cercato di smorzare l'importanza dello sviluppo di un'economia verde. Nel documento finale “the future we want” ancora una volta infatti non è stato definito il termine green economy: lo si è fatto rientrare solamente nella sfera dello sviluppo sostenibile, parlandone sempre in termini generali, ricordando solamente che deve essere un modello economico che rispetti le leggi internazionali in primis e in particolare il principio di sovranità nazionale, nascondendo così le vere intenzioni. Questo processo di “salvataggio della Terra” attraverso la green economy è stato fortemente contestato anche da parte della società civile organizzata, da scienziati e professori. Sembra quasi che il recupero del nostro pianeta attraverso i meccanismi tradizionali del mercato sia legato esclusivamente ai benefici che il capitale può portare. Il testo “O lado B da Economia Verde” pubblicato dalla Fondazione brasiliana “Heinrich Boll” riporta come il termine green economy sia ricco di contraddizioni e non aiuti a migliorare la situazione ambientale: dietro a ogni progetto per la tutela dell'ambiente e per il monitoraggio del cambiamento climatico si nasconde, nella maggior parte dei casi, una questione monetaria piuttosto che alberi da salvare. Non è possibile che la sola pena prevista per chi inquina troppo sia esclusivamente il pagamento di un'ammenda, che, una volta assolta, permette di continuare indisturbato l'inquinamento: lo Stato ci guadagna, ma l'ambiente no! A Rio+20 erano in molti a criticare questo modello di economia verde promosso dalle Nazioni Unite. Il fulcro della contestazione lo si poteva trovare alla Cupola dei Popoli, il grande social forum che radunava organizzazioni, indios, società civile, movimenti sociali, campesinos… a pochi chilometri da RioCentro, sede invece delle negoziazioni ufficiali. Il parere di molti esperti presenti ai seminari è stato molto ostico nei confronti della green economy e di tutto il meccanismo che sta alla base delle discussioni istituzionali. Giuseppe de Marzo, rappresentante di Rigas, la Rete Italiana per la Giustizia Ambientale e Sociale, in un incontro nel Parco do Flamengo ha accusato la green economy di non poter costituire la soluzione ai problemi attuali. Egli sostiene che questo modello di sviluppo è portatore di quel modello di accumulazione originaria del capitale che ha creato la crisi, in cui il capitale si

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appropria della biosfera, della terra, dell'acqua, della biodiversità e accumula plusvalore attraverso la privatizzazione dei beni comuni. Boaventura de Sousa Santos, professore di Sociologia all'Università di Coimbra (Portogallo), ha paragonato l'ipocrisia dell'economia verde al “un cavallo di troia”, nella cui pancia sono appostate le stesse corporation economiche pronte a sferrare altri attacchi contro i diritti ambientali e sociali. Moacir Gadotti, sociologo brasiliano, ha sottolineato più volte come i governi stiano facendo molto poco per cercare delle soluzioni a questi problemi, “preferiscono spendere un trilione di dollari in armi da guerra, preferiscono continuare a pensare l'economia come un qualcosa di totalmente distaccato dalla società e dall'ambiente”. Sostiene che poter aspirare ad un miglioramento globale, bisogna cambiare il paradigma civilizzatore, il modello capitalista, che è sempre focalizzato al lucro e al guadagno: “la green economy può essere considerata una vera economia verde solo se è veramente solidale e sostenibile, e non se viene vista come una nuova via di commercio per guadagnare di più”. In conclusione al vertice dei Popoli erano tutti d'accordo nel definire l'economia verde nient'altro che il lifting del capitalismo, voluto dall'attuale sistema per dare un volto verde all'economia capitalista. Il documento finale redatto dalle paranegoziazioni della Cupola dei Popoli dichiara infatti che la cosiddetta economia verde non è altro che una delle espressioni dell'attuale fase finanziaria del capitalismo, caratterizzata dall'utilizzo di meccanismi vecchi e nuovi, come l'aumento dell'indebitamento pubblicoprivato, la spinta eccessiva ai consumi, l'appropriazione e la concentrazione nelle mani di pochi di nuove tecnologie, i mercati del carbonio e della biodiversità, l'accaparramento di terre spesso da parte di stranieri, i partenariati pubblico-privato. Il tutto può essere sintetizzato nell'appello della Cupola diretto al Vertice dell'Onu: “No all'Economia Verde – Sì alla Giustizia Sociale e Ambientale”. L'attuale sistema è preoccupante e conduce al totale sfruttamento e inquinamento del nostro Pianeta: sono necessarie al più presto una svolta ed un cambio di programma e di abitudini da parte di tutti. Bisogna smettere di parlare di green economy in termini propagandistici: è il momento di agire e di prendere decisioni importanti contrastando la speculazione sulla crisi ecologica. La soluzione non è mettere un prezzo sulla natura.


Dossier: Rio+20

I temi della Conferenza/2 Lo Sviluppo Sostenibile e le giovani generazioni di Matteo Conci

Sostenibile è una parola che pian piano si è fatta largo nel nostro vocabolario di uso comune. La associamo al riciclaggio, al risparmio di risorse, alle energie rinnovabili, alla mobilità. Richiama l'immagine di un mondo nuovo, dove l'uomo riesce a vivere più in armonia con la natura. È una parola il cui suono è così attuale che è difficile immaginare possa essere vecchia di vent'anni. Eppure la sua definizione risale proprio alla conferenza ONU del 1992. Il mondo, appena uscito dall'incubo della guerra nucleare, cominciava a fare i conti con l'impatto delle attività umane sul pianeta e a chiedersi quale futuro costruire per le prossime generazioni. E la cosa forse più interessante è scoprire che la risposta che i governi allora diedero a questa domanda non è solo ambientale. Per le Nazioni unite, infatti, il concetto di sviluppo sostenibile è indissolubilmente legato a quelli di inclusione sociale, di partecipazione alla vita istituzionale e di crescita economica. Non si tratta più solo di risparmiare energia e risorse. È necessario coinvolgere i cittadini in un processo più ampio, che affianchi al rispetto dell'ambiente anche la dimensione sociale e quella istituzionale. Proprio per questo motivo, oltre alla pianificazione territoriale ed energetica e alla ricerca scientifica anche la dimensione educativa assume un'importanza fondamentale in questo processo. Chiaramente, così come lo sviluppo sostenibile non riguarda la sola componente ambientale, lo stesso deve valere per l'educazione allo sviluppo sostenibile. Un approccio esclusivamente nozionistico e scientifico, come quello che siamo spesso abituati a vedere sulle pagine dei giornali e delle riviste, rischia di rafforzare la (falsa) convinzione che la salvaguardia dell'ambiente sia una questione più legata alla tecnologia e alla ricerca che al nostro stile di vita. D'altro canto, non possiamo nemmeno prescindere dalle evidenze scientifiche e ridurre la sostenibilità al benessere sociale. Per questo l'UNESCO, che nel 2004 ha istituito il decennio sull'educazione allo sviluppo sostenibile, associa quest'ultima all'immagine di un “ombrello che raccoglie tutta l'educazione rivolta al benessere delle persone e del pianeta”. Una definizione ambiziosa, che non esclude nessun ambito educativo e, anzi, li chiama in

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causa tutti: dalla scuola alla famiglia, dalle associazioni ai media. Lo sviluppo sostenibile cessa quindi di essere un tema dell'educazione e diviene piuttosto una chiave di lettura per tutte le azioni, non solo educative, della società in cui viviamo. In Italia questo percorso è sostenuto principalmente da iniziative locali: ONG, associazioni, istituzioni locali, scuole ed enti che si occupano di ambiente propongono progetti, percorsi, incontri di sensibilizzazione sui temi ambientali. Centinaia di persone che si spendono, spesso a titolo gratuito, per garantire un futuro migliore al pianeta. E i risultati ci sono e si vedono. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una vera esplosione della sensibilità verde: si sta più attenti all'alimentazione, i prodotti biologici stanno uscendo dalle boutique di alimentari per arrivare nei supermercati più popolari ed è aumentata la sensibilità rispetto ai temi dei prodotti a chilometri zero e la filiera corta. Casa Clima, coibentazione, pannelli solari e fotovoltaici non sono più parole astruse legate ad un linguaggio tecnico ma cominciano ad entrare nel gergo quotidiano (o almeno in quello delle ristrutturazioni). E, novità del 2012, sembra che anche gli italiani stiano riscoprendo la bicicletta per i brevi spostamenti, complice probabilmente anche il caro benzina e l'innegabile fascino delle biciclette "a scatto fisso", secondo la moda di San Francisco. Di tutti questi cambiamenti si sono accorti bene anche le aziende, che ormai invadono gli scaffali dei supermercati con linee eco e bio. Non dobbiamo però farci trarre in inganno da questa carrellata di buone notizie e pensare che il peggio sia passato, che siamo nella direzione giusta e le cose si aggiusteranno da sole, con poco sforzo. Le brutte notizie ci sono e, sfortunatamente, sono più di quelle buone. Rispetto a vent'anni fa, la situazione ambientale del mondo in cui viviamo è molto peggiorata. Molti ecosistemi sono a rischio collasso, non siamo ancora riusciti ad invertire il trend di deforestazione in reforestazione (che sarebbe il sistema più semplice ed economico per limitare gli effetti del riscaldamento globale) e la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera non è mai stata


La strada è ancora lunga e non priva di ostacoli. Ma solo se avremo il coraggio di spenderci fino in fondo nella costruzione di una società sostenibile potremo garantire un futuro migliore

così alta negli ultimi seicentomila anni. La risposta dei governi a questa situazione a Rio +20, la conferenza ONU del 2012 per lo sviluppo sostenibile, è stata fiacca e poco decisa. Mesi di dibattiti e mediazioni il cui unico risultato è stato quello di scoprire (e dichiarare) che nessuno ha una ricetta magica per uscire da questo problema. Quest'ultimo punto può sembrare una sconfitta ma si tratta in realtà di una svolta nell'approccio a queste tematiche. Se fino a qualche anno (mese?) fa si poteva immaginare che la risoluzione dei problemi potesse venire solo da un coordinamento globale, alto ed estraneo alla vita delle piccole comunità, ora è chiaro che ogni cittadino deve, anche con fatica, fare la sua parte. Non esiste nessun ente, nessun organismo, nessun governo in grado di progettare nei dettagli la transizione verso una società sostenibile. Troppe le possibili strade verso la soluzione, troppe le variabili in gioco. E non si tratta di un discorso valido solo sul piano internazionale: anche nel

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piccolo è difficile progettare e realizzare iniziative che cambino lo stile di vita di una comunità. Ma è proprio per questo motivo che l'educazione allo sviluppo sostenibile assume un ruolo così importante. Non si tratta più solo di fare delle iniziative ad hoc, legate alle tematiche ambientali. È necessario rileggere ogni azione in chiave sostenibile. Festival, concerti, conferenze sono occasioni per promuovere buoni esempi di eventi ad impatto zero ma ogni nuovo progetto non può più permettersi di non contenere una voce "sostenibilità". Certo, la strada è ancora lunga e non priva di ostacoli. Ma solo se avremo il coraggio di spenderci fino in fondo nella costruzione di una società (e non solo di un'economia) sostenibile potremo garantire un futuro migliore alle prossime generazioni.


Dossier: Rio+20

I temi della Conferenza/3 Uno sguardo sulla realtà delle Favelas durante il Summit delle Nazioni Unite di Daniele Saguto e Giovanna Sartori

Per iniziativa dello Stato di Rio de Janeiro, durante la Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile (Rio +20), si è realizzato il progetto “Rio + 20 nelle Comunità”: attraverso il coinvolgimento diretto dei suoi abitanti, le Favelas pacificate (Cidade de Deus, Vidigal, Rocinha, Cantalago/Pavão – Pavãozinho, Babilônia/Chapéu Mangueira e Complexo do Alemão) hanno aperto le porte a cittadini e turisti e hanno presentato attraverso vari eventi gli sviluppi che hanno vissuto in questi anni e le attività sociali nate tra le strette vie che si arrampicano tra i morros, le colline di Rio. Dopo la pacificazione delle favelas del centro, infatti, il governo ha investito in programmi per la promozione dell'inclusione sociale attraverso l'integrazione urbana delle favelas e, in vista del Summit di Rio+20, il piano ha incluso una vasta parte focalizzata sul rispetto per l'ambiente e la sostenibilità. Il governo parla già di favelas eco-sostenibili ma il cammino per giungere a questo ambizioso obiettivo appare ancora distante e retoriche politiche eccessivamente ottimistiche appaiono evidentemente demagogiche e semplicistiche. Bisogna comunque ammettere come tale evento abbia permesso di rafforzare i legami tra le differenti organizzazioni che lavorano all'interno delle favelas e di creare canali di comunicazione tra questi organismi e le istituzioni dello Stato di Rio de Janeiro. Durante il Summit di Rio+20 abbiamo avuto l'opportunità di visitare tre delle sei Favelas pacificate di Rio, tra loro molto diverse in quanto dimensione, densità demografica, assetto abitativo e politiche sociali svolte al loro interno. Babilônia/Chapéu Mangueira La favela Babilonia cominciò a farsi conoscere qualche anno fa con il film “Tropa de Elite – Gli squadroni della morte”, pellicola cruenta sul narcotraffico che nel 1997 controllava la favela e sulla violenta conseguente risposta del BOPE (Batalhão de Operações Policiais Especiais, ovvero battaglione per le operazioni speciali di polizia). Oggi il fotogramma di Babilonia è notevolmente cambiato. La favela, che si arrampica sul ripido Morro Babilonia, tra Copacabana e il quartiere di Botafogo, nel 2009 è stata pacificata ed ora vi si può accedere con relativa tranquillità. Camminando per le sue vie si respira quell'aria di familiarità tipica delle piccole comunità, dove ci si saluta all'incrociarsi per strada e dove si vive insieme condividendo lo spazio e la quotidianità. L'unica nota stridente del contesto rimangono i poliziotti che girano con i fucili in mano,

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simbolo di un passato violento e allegoria di un presente caratterizzato da una situazione di precarietà e incertezza. Il processo di pacificazione, infatti, è avvenuto prima con un violento intervento armato del BOPE, incaricato di sradicare il narcotraffico, ed in seguito con l'instaurazione permanente della polizia pacificatrice (UPP). L'operazione è stata vissuta da buona parte della popolazione come un'invasione militare, a testimonianza della quale le ricerche svolte dallo “Human Rights Watch” denunciano la ferocia e la brutalità delle pratiche adottate dai cosiddetti “squadroni della morte”. Rio de Janeiro ha investito molto su Babilonia dopo la pacificazione e con il supporto del governo sono stati installati all'interno della favela un nuovo sistema di compostaggio, una rete di orti organici e un progetto di cucina organica (Favela Organica). A Giugno il morro si presentava come un enorme cantiere a cielo aperto, con centinaia di operai al lavoro. L'obiettivo, ambizioso, era quello di ultimare le opere di rinnovamento prima dell'inizio del Summit dell’Onu. Probabilmente già adesso il volto del morro sarà cambiato: le strade d'ingresso alla favela saranno asfaltate, i vecchi tralicci in legno degli impianti elettrici saranno sostituiti da piloni in fibra e vari giardini urbani saranno nati, rigogliosi, tra le strette e ripide vie. La speranza è che con la conclusione di Rio+20 non terminino anche i fondi per la sostenibilità ambientale nelle favelas. Rocinha Il piano ambientale del governo promosso per la Rio+20 ha decisamente avuto un grosso successo a Babilonia. Lo stesso non si può purtroppo dire per Rocinha, la favela più grande e conosciuta dell'America Latina (circa 120.000 abitanti) che visitiamo il giorno seguente. I segni del progetto qui sono quasi impercettibili e molta della gente che incontriamo non è a conoscenza né del programma né del Summit di Rio+20. La vastità degli spazi e la densità della favela hanno reso la diffusione del progetto e l'inclusione degli abitanti molto più difficile. Risaliamo il morro fino in cima: qui la vista è impressionante, toglie il fiato. Si può ammirare quasi tutta la città, anche quella parte dove le strade sono asfaltate (“asfalto”…così la gente delle favelas chiama il centro della città), quella parte dove si è svolto il Summit e dove sorgono i palazzi del governo, così vicini a livello fisico, così lontani nella percezione degli abitanti.


La favela è di per sé sostenibile: in essa una famiglia produce in media 600 grammi di rifiuti al giorno contro i 4 chili di una famiglia altolocata. Perché vivere con poco significa anche avere una minore impronta ambientale

Cidade de Deus Strade animate e polverose, bambini che giocano per strada, la tranquillità di un vecchietto che guarda la tv sul marciapiede e la frenesia di un carretto carico di verdure trainato da un cavallo. Motorini, biciclette e venditori di strada. Cani che rovistano i rifiuti disseminati per le vie e maiali che razzolano sulle rive del fiume. Questa volta siamo a Cidade de Deus, altra favela di Rio nota per il suo violento passato di narcotraffico (raccontato nel bel film del 2002 di Fernando Meirelles) che oggi, dopo la pacificazione del 2009, sta vivendo un momento di sviluppo sociale e culturale. Qui la conformazione del territorio è differente, questa favela si sviluppa in piano invece che sui pendii di una collina e tra le case variopinte si apre un dedalo di vie in cui è facile perdersi. A guidarci in questo intreccio è Ricardo Fernandes, un giovane abitante della favela che produce cortometraggi sulla vita della comunità per la versione online di “O Globo”, un importante quotidiano nazionale. Nei suoi video si confronta con tematiche sociali della vita nella favela: “attraverso il mio lavoro cerco di dare visibilità agli abitanti di Cidade de Deus che sono sempre stati invisibili

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agli occhi della città”. Ricardo ci racconta della forte vena artistica che anima Cidade de Deus: tra poeti e musicisti è qui che è nato il famoso rapper MV Bill, impegnato socialmente per allontanare i giovani dalla droga e dalla violenza. Il cantante è fondatore della rete di ONG CUFA, Central Unica das Favelas, un progetto che vuole dare ai ragazzi un'alternativa alla droga offrendo corsi di hip-hop, breakdance, teatro ed altre attività educative. MV Bill è anche l'autore del documentario sul narcotraffico giovanile “Falcão – Meninos do Tráfico”, che con la sua pubblicazione nel 2006 ha scosso l'opinione pubblica e innescato una serie di cambiamenti nelle politiche governative per risolvere il problema del massivo coinvolgimento dei giovani nel traffico di droga. Mentre camminiamo per le vie si vedono molte più biciclette che auto e cominciamo a discutere di sostenibilità ambientale: “oggi la creazione di una coscienza collettiva ambientale passa soprattutto attraverso l'educazione nelle scuole che sensibilizza i bambini a rispettare la natura”. “La favela - continua Ricardo - è di per sé molto più sostenibile di un quartiere borghese: mentre in una favela di Rio una famiglia produce in media 600 grammi di rifiuti al giorno, una famiglia di classe medio-alta ne produce 4 chili…perché vivere con poco significa anche lasciare una minore impronta ambientale”. In questo senso la favela diventa esempio di sostenibilità ambientale, non correlato purtroppo, nella maggioranza dei casi, a una concreta giustizia sociale. Chiediamo al neo-regista che cosa è cambiato secondo lui dopo la pacificazione e ci spiega che, anche se il traffico di droga esiste ancora, è sparita la violenza e sono sparite le armi: “oggi i bambini di cinque anni non crescono più con il riferimento di fratelli maggiori che maneggiano un'arma, ma vivono una realtà più serena”. Un punto dolente del progetto però è che “la violenza armata si è spostata dalle favelas pacificate del centro alle favelas più periferiche, dove la criminalità armata non aveva tanta incidenza e dove il governo non sembra avere altrettanto interesse nel contrastarla”. Negli ultimi anni il Governo di Rio ha deciso di dare un nuovo volto alle favelas e più in generale alla città: ha rafforzato l'apparato militare e portato avanti diverse operazioni per estirpare il narcotraffico, ha investito nel rinnovamento urbano e in nuove infrastrutture, ha appoggiato e sostenuto le politiche sociali e culturali. Però, come sottolinea anche Ricardo, l'impressione è che “il governo stia investendo per chi viene e non per chi resta”, creando un'immagine di facciata in occasione degli eventi di Rio+20 , dei mondiali del 2014 e delle Olimpiadi del 2016. A tal proposito risulta interessante constatare come il Comitato organizzatore olimpico abbia previsto come sito per la costruzione del nuovo Olympic Park un terreno dove attualmente sorge una favela che ospita circa 4.000 abitanti, conosciuta come Vila Autodromo: è evidente che scelte governative di questo tipo ostacolino un rapporto di dialogo e fiducia tra le istituzioni e la popolazione delle favelas.


Dossier: Rio+20

I temi della Conferenza/4 La Conferenza delle Donne sullo Sviluppo Sostenibile di Chiara Zanotelli La Conferenza sullo Sviluppo Sostenibile, “Rio+20”, è alle mie spalle ormai da più di due mesi; sono tornata a studiare e per un po' di tempo non ho dedicato alcuna attenzione a quelle intense settimane passate nella città carioca, lasciando così sedimentare i miei pensieri. Ricordo l'ultimo giorno, mentre i capi di stato e di governo si incontravano a Rio Centro, noi giovani giornalisti dell'Agenzia di Stampa Giovanile Internazionale, dopo due faticose settimane da reporter, abbiamo deciso di guardare la metropoli di Rio dalla cima del Parco Nazionale di Tijuca Corcovado, dalla quale anche il Cristo Redentore sorveglia la città, allontanandoci il più possibile, quasi involontariamente, dal potere che si stava concentrando nell'altro polo della città. Mentre salivo le scale per arrivare in cima, pensavo con rabbia all'impegno che io, come giovane donna, avevo riposto in questo vertice e come invece la dichiarazione, che stava per essere firmata a Rio Centro, e che sarebbe stata l'eredità di noi giovani adulti per il futuro, fosse debole e non rispecchiasse affatto il FUTURO CHE VOLEVAMO. Il documento finale “The Future We Want” tocca molte importanti questioni- i cambiamenti climatici, l'energia, la salute, il lavoro, i possibili obiettivi dello sviluppo sostenibile (SDGs)- ma si sofferma su ben pochi di questi temi. Il testo decorativo della dichiarazione é molto ricco nell'uso del vocabolario ma scarno e mancante nella sostanza. Ricordo al liceo i temi di italiano: i giudizi della nostra professoressa erano divisi in tre parti- rispetto della traccia, forma/stile e contenuto. Credo che i nostri rappresentanti chiamati a firmare la dichiarazione abbiano raggiunto la sufficienza con l'asterisco, un debito, che invece che ripagare a settembre, hanno

lasciato cadere pesantemente sulle nostre spalle giovani, forti ma ancora un po' inesperte. Molto sono le questioni critiche che restano irrisolte: è riuscito Rio+20 a rappresentare adeguatamente tutti i cittadini del mondo? Migliorerà i diritti e la condizione della donna a livello globale? Il documento finale fa riferimento all'eguaglianza di genere descritta in 44 paragrafi. Leader di tutto il mondo hanno affermato che l'eguaglianza di genere e la partecipazione delle donne “sono importanti per un'azione effettiva in tutti gli ambiti dello sviluppo sostenibile”. La dichiarazione incoraggia stati e ONG a integrare gli impegni presi e le considerazioni compiute sull'eguaglianza di genere e il rafforzamento del potere delle donne nei programmi di sviluppo e nelle scelte di policy; esorta ad “una piena ed effettiva attuazione della Piattaforma d'Azione di Pechino e del Programma di Azione della Conferenza Internazionale sulla Popolazione e lo Sviluppo”. Eppure espressioni come “riconoscere” e “prendere nota” sono state usate al posto di “obblighi” e “decisioni”. Gli stakeholder sono stati “invitati” a prendere una posizione sulle questioni di genere ma non “spronati”. Vorrei a questo punto ripercorrere brevemente i motivi che hanno portato a Rio+20. A vent'anni dalla Conferenza di Rio sulla Terra, capi di stato e di governo, policy-maker, studiosi, esperti, ONG ed esponenti della società civile si sono riuniti per dare forma ad un piano globale per un futuro sostenibile in un evento che avrebbe dovuto culminare con un documento politico che indicasse, tra le altre cose, come ridurre la povertà, come avanzare l'equità

IL LESSICO Sviluppo sostenibile: approccio multilaterale per migliorare le vite delle persone nonché concetto intrinsecamente consapevole della questione di genere, che considera l'avanzamento delle donne come un elemento chiave per raggiungere con successo lo sviluppo sostenibile. Genere: costrutto della società, secondo il quale determinati ruoli sociali sono assegnati alle donne e agli uomini attraverso una serie di fattori, tra i quali la storia, la religione, la cultura, l'economia e l'etica. Quando il ruolo della donna in una determinata società è definito in termini che le impediscono di essere capace di partecipare attivamente allo sviluppo sostenibile, sia che questo contributo avvenga a livello decisionale o riguardi

invece il diritto di voto, la partecipazione a progetti, l'appartenenza a gruppi della società civile, l'accesso alla giustizia e all'informazione, il possesso e l'accesso alle risorse oppure la possibilità di diventare una parte attiva della governance sostenibile nel proprio paese, allora gli obiettivi dello sviluppo sostenibile sono frenati e ostacolati in quella determinata società o contesto sociale. La capacità della legge di essere strumento che permetta alle donne una maggiore partecipazione e la possibilità di raccogliere i frutti e condividere i vantaggi dello sviluppo sostenibile è un elemento chiave che innesca una catena di reazioni a livello sociale.

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Diritti alla riproduzione (“reproductive rights”): vengono definiti per la prima volta in uno strumento di diritto internazionale nel 1994, nel Programma d'Azione del Cairo. Un anno dopo la Dichiarazione e Piattaforma d'Azione di Pechino indica i diritti alla riproduzione quali strumenti per la valorizzazione economica, sociale e politica delle donne. Questi documenti non sono legalmente vincolanti per gli Stati e vengono inclusi nella vasta categoria di dichiarazioni e convenzioni che i giuristi chiamano soft law; essi sono tuttavia estremamente importanti perché costituiscono spesso una piattaforma di partenza e una fonte di ispirazione per le scelte di policy in questioni riguardanti i diritti alla riproduzione adottati da molti paesi.


sociale e assicurare la protezione ambientale in un contesto di costante crescita della popolazione mondiale. Lunga e difficile è stata la battaglia per riproporre nella Dichiarazione gli impegni politici in tema di diritti umani già assunti durante il Vertice sulla Terra di Rio 1992 e nelle conferenze che si sono succedute negli anni. Durante la Conferenza Ufficiale, una coalizione formata da Vaticano, Russia, Siria, Egitto e altri tra gli stati più conservatori del Sud America, è riuscita a scardinare gli accordi internazionali degli anni Novanta, opponendosi all'inclusione dei diritti alla riproduzione (cd. “reproductive rights”) nel testo finale. E così, l'unica menzione al diritto alla riproduzione nei 283 paragrafi che formano la Dichiarazione è stata succintamente riassunta come una “questione inerente alla salute”. Questa mancanza di leadership, come ha detto Mary Robinson, il primo presidente femminile dell'Irlanda, potrebbe avere degli effetti devastanti su alcune tra le donne più povere e indifese. Sembra quasi che a Rio+20 dovesse essere raggiunto un accordo in un periodo delicato di crisi mondiale, e che questo abbia dunque portato ad un minimo comune denominatore che lasciasse tutti soddisfatti. Soddisfatti di essere riusciti a varcare il traguardo di Rio+20 con una nuova dichiarazione, qualunque fosse poi il contenuto della stessa. Rio+20 ha invece iniziato a smantellare importanti traguardi ed impegni che erano stati raggiunti dolorosamente al Cairo e a Pechino negli anni 1994-1995 in materia di sviluppo sostenibile e di attenzione ai diritti della donna. Gro Harlem Bruntland, ex primo ministro della Norvegia che nel 1987 coniò, nel rapporto che da lei prenderà il nome, il concetto di Sviluppo Sostenibile e poi guidò la Commissione sull'Ambiente e lo Sviluppo, a Rio ha parlato di “una scivolata indietro nel tempo”. Molto tempo è stato speso per evitare di inserire nel testo espressioni che promuovessero una sana pianificazione familiare, il sesso sicuro, una sana gravidanza, bambini e famiglie sane. È difficile capire perché il linguaggio sulla salute riproduttiva e i diritti alla riproduzione potesse causare così tanti problemi in una conferenza dedicata a cercare delle soluzioni ad uno sviluppo insostenibile. Un numero crescente di ricerche conferma qualcosa che il

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buon senso ci suggerisce da anni: la salute riproduttiva stimola investimenti nel capitale umano. Il riconoscimento dei diritti riproduttivi protegge l'accesso di donne e ragazze a servizi e informazione di qualità, i quali, a loro volta, possono portare ad un miglioramento della salute generale delle donne e ragazze, nonché dei loro figli. Questo permette ad un importante cerchio economico e di sviluppo di continuare a girare: migliori risultati a livello di salute per i bambini creano incentivi più forti per investire nell'educazione- sia della madre che del figlio. Una migliore educazione può portare a migliori opportunità economiche e risultati produttivi. La frase “equità di genere come economia intelligente” non è solamente diventata il recente cavallo di battaglia di donne potenti, come il Segretario di Stato americano, Hillary Clinton, e il Direttore Esecutivo del Gruppo Gonne delle Nazioni Unite, Michelle Bachelet. È anche il punto focale del Rapporto sullo Sviluppo Mondiale (WDR) della Banca Mondiale dedicato all'Eguaglianza di Genere e allo Sviluppo. Infatti, come ha enfatizzato il presidente della Banca Mondiale, Robert Zoellick, nel giorno della pubblicazione del rapporto, “l'eguaglianza non è solamente la cosa giusta da fare, ma è smart economics. Come è possibile raggiungere il pieno potenziale economico se si ignora, si accantona, o non si investe in oltre metà della popolazione?”. Dopo aver individuato nel lungo testo della Dichiarazione finale alcuni dei punti cruciali per capire lo stato delle cose in tema di diritti delle donne, spero di essere riuscita con questo articolo a presentarveli e a creare una mappa virtuale nella mente di voi lettori. Possa questo essere un primo passo per ogni persona, sia questa un architetto, un imprenditore, un medico, un contadino, e non invece un giurista o un attivista dei diritti umani, per riflettere e attuare nel proprio ambito professionale quello che è in nostro potere decidere, in una prospettiva di sviluppo sostenibile che consideri l'eguaglianza di genere un elemento a questo intrinseco ed essenziale e non solo un fattore esterno e parallelo.


Dossier: Rio+20

Tra sviluppo sostenibile e decrescita Da “RIO mais 20” a “Venezia2012” di Lucia Piani

La sessione plenaria finale della Cupula dos Povos (Rio 2012) Foto L. Piani

Rio+20 A vent'anni di distanza dalla Conferenza di Rio de Janeiro del 1992 e a dieci dalla Conferenza di Johannesburg è stata convocata nella città brasiliana la conferenza delle Nazioni Unite “RIO mais 20” nella quale i rappresentanti dei governi si sono ritrovati nuovamente per affrontare il tema di una crisi ambientale sempre più grave e per valutare i risultati rispetto agli obiettivi sottoscritti nel 1992 e nel 2002 a Johannesburg. In giugno, a Rio de Janeiro, si sono tenuti parallelamente due eventi: l'evento “ufficiale”, vale a dire quello dei governi (United Nations Conference on Sustainable Development), che si è tenuto in un'area periferica e blindata della città, e il summit alternativo denominato “Cupula dos Povos” (l'incontro dei popoli), ospitato nella preziosa baia Aterro do Flamengo, nel centro della città. La distanza tra i due eventi, anche logistica, ha impedito che ci fosse una contaminazione tra i dibattiti in corso, quello dei governi e quello della gente, che ha coinvolto migliaia di persone riunite in centinaia di momenti di discussione su vari temi che hanno riguardato l'uomo, la convivenza tra gli uomini, l'economia, il rispetto della natura, la spiritualità. Nel primo evento si sono incontrati i rappresentanti istituzionali dei popoli, nel secondo si sono incontrati movimenti, associazioni, persone singole. La contemporanea presenza di questi due momenti distinti segnala, in maniera forte, le difficoltà che le rappresentanze, anche democratiche, dei popoli stanno attraversando. Da un lato si è

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collocata la democrazia rappresentativa, spesso in crisi, dall'altro ha trovato spazio la democrazia partecipativa, con le sue molteplici difficoltà. Accanto a governi e popoli, anzi dentro, si può forse dire, entrambi i momenti e i luoghi degli incontri, era comunque presente un terzo soggetto, che non è né popolo né governo: il potere economico, che non conosce confini di stato, non si riconosce nei popoli, è privo di una identità non solo di luogo ma anche di “persona”. Negli incontri del Summit ufficiale di RIO +20 è stato prodotto un documento dal titolo,”The future we want”, nel quale i governi si sono riconosciuti e che rappresenta le esigenze di intervento rispetto ai gravi problemi connessi con le crisi ambientale, economica e sociale. Si tratta di una sorta di dichiarazione di intenti che, a molti, è apparsa meno incisiva rispetto alla dichiarazione e ai documenti sottoscritti nel 1992. Il documento1 si compone di 283 paragrafi raggruppati in 6 parti. Nella prima parte sono proposte le visioni per il futuro (our common vision): in una sintesi di 13 paragrafi si delineano i temi, le strategie e gli indirizzi che sono descritti estesamente nelle 5 successive parti. In particolare si riaffermano i principi della Carta Costituitiva delle Nazioni Unite, quelli della Dichiarazione Universale sui diritti dell'uomo e le dichiarazioni precedentemente sottoscritte, tra le quali si sottolinea nella II parte quella di Stoccolma del 19722, di Rio del 19923, di Johannesburg del 20024, e


quella sugli Obiettivi del Millennio5 (Millennium Development Goals), riconoscendo le disparità nello sviluppo dei paesi a livello mondiale e quindi la discontinuità nel perseguimento degli obiettivi posti nei precedenti incontri. Il documento pone in maniera forte fin dall'inizio (par. 4) l'accento sull'obiettivo della crescita economica sottolineando, in diverse parti, come lo sviluppo sostenibile sia perseguibile solo promuovendo una crescita economica che sia inclusiva ed equa, creando maggiori possibilità per tutti, riducendo le disuguaglianze, aumentando gli standard di vita e “…promuovendo la gestione delle risorse naturali e degli ecosistemi che supportano lo sviluppo economico sociale e umano6…” Il capitolo III è dedicato alla “green economy”, che viene indicata come uno degli strumenti fondamentali per raggiungere lo sviluppo sostenibile (par. 56) e per eliminare la povertà, coinvolgendo gli stakeholder e ponendo l'accento sull'importanza del mondo del business e dell'industria nel promuovere forme di economia verde (par. 69-71), e sull'importanza della tecnologia per garantire uno sviluppo anche nelle società in via di sviluppo. I temi e gli impegni sono numerosi e di grande rilievo: si parla poi di sicurezza alimentare (non di sovranità) e di agricoltura sostenibile, di acqua, di energia, di turismo sostenibile, di trasporti sostenibili, di città, di sanità e popolazione, di lavoro, di mari e oceani, di paesi e continenti, di riduzione dei disastri, di cambiamento climatico, di foreste, di biodiversità, di montagne, di rifiuti, di desertificazione, di consumo sostenibile e di produzione, di genere, di estrazioni minerarie, di educazione. Il documento approvato contiene quindi molti spunti di riflessione sul “futuro che vogliamo”, ma tali spunti non si traducono sempre in impegni concreti, come ad esempio in merito alla percentuale di riduzione di prelievi di risorse e di produzione di inquinanti. Non sono quantificati gli obiettivi, non sono previste date entro le quali monitorare i risultati da raggiungere e condivisi a livello internazionale, non vi sono impegni chiari sul rispetto del lavoro, sui cambiamenti climatici, sulla biodiversità, sulla proprietà delle risorse, rimandando spesso ad altri e successivi momenti la definizione di accordi vincolanti. L'impressione che si ha nella lettura è quella di essere di fronte a un documento che da un lato dimostra una presa coscienza su quello che sta succedendo, sui “sintomi della malattia” ma dall'altro appare dichiarare una impotenza o una non volontà nel tentare di costruire un percorso politico chiaro che affronti questi problemi, la “causa della malattia”.

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La cupula dos povos La “ cupula dos povos” è stato un evento partecipato da molte persone da varie parti del mondo, con una prevedibile prevalenza di provenienze dall'America Latina ed è stato organizzato attraverso centinaia di incontri tenuti nelle tende approntate per l'occasione e 5 sessioni plenarie che hanno riunito assieme molti dei partecipanti. Da questi ultimi incontri plenari sono stati prodotti cinque documenti7 riassuntivi delle riflessioni scaturite che hanno riguardato: 1) i diritti per la giustizia sociale e ambientale; 2) la difesa dei beni comuni e contro la mercantilizzazione; 3) la sovranità alimentare; 4) l'energia e le industrie estrattive; 5) per un'altra economia e nuovi paradigmi della società. Questi documenti hanno voluto mostrare un'altra lettura rispetto a temi affrontati, almeno in parte, anche nel summit dell'ONU. Sulla base dei 5 documenti è stata approvata una dichiarazione finale unica, critica verso le politiche concordate nel documento ONU, e nel quale si sottolineano il problema del rispetto dei beni comuni, il tema dell'ingiustizia ambientale - che colpisce soprattutto i poveri sfruttati nei loro territori -, la critica verso “la cosiddetta green economy”, che viene definita nei termini seguenti: “l'altra faccia della fase finanziaria attuale del capitalismo, che si avvale di meccanismi vecchi e nuovi, come ad esempio l'approfondimento del debito pubblico-privato, l'iper-stimolazione del consumo, la concentrazione della proprietà delle nuove tecnologie, i mercati di carbonio e della biodiversità, il land grabbing, con un aumento della concentrazione della proprietà della terra a stranieri e l'incremento dei partenariati pubblicoprivato”. Il documento afferma poi che “le alternative reali si trovano nella nostra gente, la nostra storia, i nostri costumi, le conoscenze, le pratiche e i sistemi di produzione, che dobbiamo mantenere, migliorare e incrementare riconoscendo una valenza antiegemonica e trasformativa”. La proposta nasce dal rafforzamento delle economie locali e della gestione comunitaria e democratica delle risorse. Da Rio a Venezia In questo stesso anno 2012 si sono tenute in differenti parti del mondo, a Montreal in Canada in maggio e a Venezia in settembre, due importanti appuntamenti/conferenze che hanno coinvolto studiosi, associazioni, rappresentanze di cittadini in un ampio dibattito sui temi della


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La sessione inaugurale della III conferenza Internazionale per la Decrescita al teatro Malibran di Venezia (Venezia 2012) Foto L. Piani

decrescita. In Canada si è tenuta la conferenza internazionale “Degrowth in the Americas”8, mentre a Venezia si è tenuta la “III Conferenza internazionale9 per la decrescita e la sostenibilità ecologica: la grande transizione, la decrescita come passaggio di civiltà”10 organizzata attraverso una collaborazione tra mondo accademico ( IUAV di Venezia e Università di Udine), enti locali (Comune di Venezia) e associazioni (Research and Degrowth, Associazione per la Decrescita, ARCI, coop Sesterzo, associazione Spiazzi Verdi, Kuminda). Il percorso di preparazione della conferenza stessa, è stato indirizzato alla costruzione di momenti di riflessione comune tra varie parti della società, consci che i temi affrontati necessitano di un confronto di teorie, di esperienze, di pensieri diversi. Da qui l'idea di proporre una “call” per definire le proposte dei temi di discussione da affrontare nei Workshops e l'idea di studiare modelli innovativi per agevolare i dibattiti all'interno degli stessi Workshops, modelli che permettessero la partecipazione e il contributo di tutti all'interno della discussione. Alla fine le aspettative degli organizzatori rispetto alla partecipazione sono state di gran lunga superate con più di 700 iscritti da 47 differenti paesi del mondo, un centinaio di volontari, 60 workshops e 10 assemblee plenarie; un evento organizzato facendo propri i principi della decrescita, rinunciando a

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sponsorizzazioni commerciali, utilizzando materiali riciclati e riciclabili con una bassa produzione di rifiuti, stimolando l'utilizzo di mezzi di trasporto sostenibili, cercando un coinvolgimento della città nell'aprire anche le case ai partecipanti, proponendo cibi vegetariani e a chilometro zero, e infine, chiedendo ai partecipanti di contribuire a questa impostazione portando “il piatto” da casa. Una scommessa per dire che si può fare in “altro modo” che non tutto è dovuto e che le scelte personali vanno a comporre la dimensione del collettivo. La concomitanza nello stesso anno degli eventi di RIO ha amplificato il senso del dibattito sviluppatosi a Venezia attorno al tema della decrescita, che è stato affrontato all'interno di tre contenitori: quello del lavoro, quello della democrazia e quello dei beni comuni riconoscendo in questi tre ambiti i nodi importanti sui cui centrare le riflessioni e le proposte. Quindi, mentre a RIO le Nazioni Unite ribadivano la centralità della crescita economica con il contributo della green economy, a Montreal e a Venezia si è discusso di decrescita che vuol dire innanzitutto assumere la consapevolezza dell'impossibilità di perseguire modelli di sviluppo con livelli di consumo di risorse e immissioni di rifiuti come quelli attuali (soprattutto nel mondo sviluppato) e quindi con una crescita infinita in un mondo finito. La sfida, come ricorda Latouche11, è quella di “decolonizzare


l'immaginario”, di essere capaci di vedere le cose diversamente, di vedere altro per poter proporre qualcosa di diverso e originale, di andare al di là del mito dell'economia fine a se stessa, ricercando nuovi/vecchi valori e in questo la crisi che stiamo vivendo può essere pedagogica, anche le catastrofi possono insegnare molto . E questa riflessione iniziale sulla necessità di cambiamento apre numerosi filoni di approfondimento che coinvolgono la giustizia ambientale e sociale, la necessità di ripensare a modelli di gestione delle risorse e di costruzione del bene comune, la sovranità alimentare ed energetica, il diritto, l'educazione, la dimensione della sostenibilità, il denaro... Per questo a Venezia non è stato

prodotto un documento finale ma si sono aperti molti ambiti di discussione con la volontà che il dibattito possa proseguire ed estendersi dopo Venezia per coinvolgere la società nella costruzione di un cambiamento condiviso. La domanda che rimane aperta passando da RIO a Venezia riguarda quale ruolo possano ancora giocare le organizzazioni internazionali scollegate dalle reti dei popoli, in un momento in cui è proprio il modello di una economia globale, gestita spesso al di fuori degli spazi della “politica” da grandi gruppi multinazionali, che viene contestato e che viene considerato una delle principali cause della odierna crisi.

1. Il l documento è scaricabile all'indirizzo: http://sustainabledevelopment.un.org/futurewewant.html 2. La dichiarazione di Stoccolma è scaricabile al sito: http://www.minambiente.it/export/sites/default/archivio/allegati/educazione_ambientale/stoccolma.pdf 3. Sito: http://www.un.org/documents/ga/conf151/aconf15126-1annex1.htm 4. Sito: http://www.un.org/esa/sustdev/documents/WSSD_POI_PD/English/POI_PD.htm 5. Sito: http://www.un.org/millenniumgoals/ We also reaffirm the need to achieve sustainable development by promoting sustained, inclusive and equitable economic growth, creating greater opportunities for all, reducing inequalities, raising basic standards of living, fostering equitable social development and inclusion, and promoting the integrated and sustainable management of natural resources and ecosystems that supports, inter alia, economic, social and human development while facilitating ecosystem conservation, regeneration and restoration and resilience in the face of new and emerging challenges. Tratto da the future we want (RIO 2012) 6. I documenti sono scaricabili da: http://cupuladospovos.org.br/en/ 7. http://montreal.degrowth.org/ 8. Le due precedenti conferenze si sono tenute a Parigi nel 2008 e a Barcellona nel 2010. 9. www.venezia2012.it 10. Serge Latouche professore emerito di scienze economiche all'Università Paris Sud, è uno dei principali studiosi del tema della decrescita, di lui tra gli altri: Latouche S. 2011, Come si esce dalla società dei consumi, Bollati Boringhieri; Latouche S., 2012 Limite, Bollati Boringhieri

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I percorsi della ricerca, le esperienze di applicazione

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Covenant of Majors Il Patto dei sindaci ed i Piani di azione per l'energia sostenibile di Antonio Lumicisi Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare

La strada da percorrere è ancora lunga, ma il dinamismo dei Governi locali nel nostro Paese è un buon segnale per il futuro

A fine 2012 risultano in Italia oltre 2.000 Comuni aderenti al Patto dei Sindaci (Covenant of Mayors) con oltre 600 Comuni che hanno già approvato il PAES (Piano d'Azione per l'Energia Sostenibile) nel proprio Consiglio Comunale al fine di pianificare il proprio sviluppo sostenibile puntando sulla riduzione delle emissioni di CO2, in linea con le disposizioni europee e, quindi, migliorare l'efficienza energetica degli edifici, aumentare il ricorso alle energie rinnovabili, promuovere l'uso razionale dell'energia e aumentare la mobilità sostenibile. Le città utilizzano circa l'80% dell'energia consumata in Europa, generando alti livelli di emissioni di CO2, ed è per questo che la Commissione europea e il Parlamento europeo hanno lanciato nel 2008 il Patto dei Sindaci, consapevoli che nessun obiettivo sulla sostenibilità potrà essere raggiunto se non vengono coinvolti gli attori del territorio, in primis le città. Il legame tra gli obiettivi vincolanti che gli Stati membri dell'UE si sono assunti nell'ambito della politica europea 20-20-20 (pacchetto Clima ed Energia) e gli obiettivi di natura volontaria inerenti il Patto dei Sindaci risiede nella decisione 406/2009, denominata Effort Sharing, che impone una riduzione media del 10% (13% per l'Italia) delle emissioni di CO2 per i settori non coinvolti nel sistema EU ETS (Emission Trading Scheme), cioè quei settori quali il residenziale, l'agricoltura, la piccola e media impresa, i trasporti, che sono di diretta competenza degli Enti locali. Con l'adesione al Patto dei Sindaci, alle città viene riconosciuto il loro ruolo nella lotta ai cambiamenti climatici e con la redazione del PAES dimostrano il concreto contributo che possono fornire nella riduzione delle emissioni di CO2. Con l'adesione al Patto e la successiva redazione del PAES le città si assumono, difatti, l'impegno di ridurre le emissioni di CO2 sul proprio territorio di almeno il 20% entro il 2020, in particolare attraverso azioni che riguardano la promozione delle fonti rinnovabili e dell'efficienza energetica. Il successo del Patto dei Sindaci in Italia (circa la metà degli oltre 4.000 Comuni aderenti a livello europeo riguarda Comuni italiani) è dovuto anche alla presenza sul territorio di oltre 70 Strutture di Supporto (per lo più Provincie) che forniscono supporto tecnico e finanziario ai Comuni per la redazione del PAES che deve essere redatto seguendo le Linee guida preparate dalla Commissione europea (e disponibili anche in lingua italiana). Nel secondo semestre 2012, il Ministero dell'Ambiente, attraverso il progetto PONGAS, è concentrato nel promuovere il Patto dei

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Sindaci nelle Regioni dell'obiettivo convergenza (Calabria, Campania, Puglia, Sicilia) ove il numero delle adesioni non è ai livelli del resto del Paese. Con una serie di azioni di formazione in 7 città delle quattro Regioni promuove l'adesione al Patto fornendo al contempo la possibilità a tecnici e funzionari delle pubbliche amministrazioni locali di migliorare le proprie competenze sui temi della pianificazione energetica. Tra le diverse opportunità di natura finanziaria, a disposizione degli aderenti al Patto dei Sindaci, troviamo il Fondo ELENA (European Local Energy Assistance) finanziato dalla Banca Europea degli Investimenti. Nel corso dei Moduli formativi organizzati nell'ambito del progetto PON GAS e negli oltre 20 incontri organizzati nell'ambito del “Ciclo di convegni e seminari sul Patto dei Sindaci – 2012”, sono stati presentati i migliori esempi di utilizzo di tali risorse finanziarie, soprattutto i casi di successo che riguardano soggetti istituzionali italiani, come ad esempio le Provincie di Modena, di Milano e di Chieti che sono riuscite a ottenere ingenti risorse dal Fondo ELENA. Interessanti anche le sinergie che si stanno sviluppando tra gli Enti locali e le università attive sul territorio che offrono competenze e supporto tecnicoscientifico ai Comuni per la predisposizione dei PAES. La strada da percorrere è ancora lunga, ma il dinamismo dei Governi locali nel nostro Paese è un buon segnale per il futuro. Ci auguriamo che anche a livello nazionale si possa presto “far tesoro” degli innumerevoli stimoli che provengono dai singoli territori e che, tutti insieme, si possa percorrere con maggiore facilità la strada della sostenibilità. Uno dei nodi da affrontare è senz'altro quello relativo al Patto di stabilità che non permette ai Comuni di fare investimenti oltre un certo limite. Uno sforzo andrebbe fatto per distinguere la tipologia degli investimenti e dare la possibilità ai Comuni più virtuosi di poter sviluppare i propri progetti sostenibili. Per quanto riguarda il Trentino-Alto Adige risultano 13 Comuni aderenti: Bolzano da gennaio 2009, Isera da marzo 2010, Rovereto da marzo 2011 e dal 2012 Mezzocorona, Montagne, Fiavè, Caderzone Terme, Campitello di Fassa, Canazei, Mazzin, Preore, Ragoli, Pozza di Fassa. Tra questi, solo il Comune di Isera e quello di Rovereto hanno redatto il PAES. A breve, anche grazie all'azione di supporto che sta portando avanti la Provincia autonoma di Trento, saranno diversi i Comuni che potranno redigere il proprio PAES e molti altri che aderiranno al Patto dei Sindaci.


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Pensare globalmente, agire localmente. European Energy Award di Christian Passeri Ökoinstitut Südtirol/Alto Adige

Uno sforzo andrebbe fatto per distinguere la tipologia degli investimenti e dare la possibilità ai Comuni più virtuosi di poter sviluppare i propri progetti sostenibili

Ambiente, sviluppo sostenibile, ecologia, gas serra. Concetti che sempre più spesso fanno parte della terminologia in uso nei rotocalchi televisivi e cartacei per descrivere la febbre che avvolge il pianeta. Parole che, ciononostante, ancora troppo spesso risultano astratte finendo così in qualche cassetto dimenticato della nostra memoria. Risultato di questo processo è il fatto che i cittadini, la gente comune, si scontra da un lato con la difficoltà di comprendere davvero la tematica e le sue implicazioni, dall’altro con la sensazione di impotenza di fronte a un fenomeno, il riscaldamento globale, così vasto e dipendente da tante, forse troppe, variabili. Negli ultimi venti anni tuttavia, la consapevolezza riguardante i cambiamenti climatici, dovuti in buona parte alle attività umane, si sta lentamente e faticosamente consolidando a livello internazionale. Primo passo è stata la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), prodotta nel 1992 durante la Conferenza di Rio de Janeiro ed entrata in vigore nel 1994, che prevede “la stabilizzazione delle concentrazioni dei gas serra in atmosfera a un livello abbastanza basso per prevenire interferenze antropogeniche dannose per il sistema climatico”. Da allora, ogni anno si svolgono, in parti diverse del pianeta, le cosiddette COP – Conferenze delle Parti. La più nota di esse (COP-3) risale al 1997 e si è tenuta nella città giapponese di Kyoto. In quell’occasione è stato adottato il celeberrimo Protocollo di Kyoto, entrato poi effettivamente in vigore solo il 16 febbraio 2005 a seguito della ratifica della Russia. Per l’entrata in vigore, il Protocollo doveva essere infatti ratificato da almeno 55 paesi, tra i quali un numero di paesi industrializzati (Allegato I) che nel 1990 avessero emesso almeno il 55% della CO2eq totale. Attualmente, tra i paesi industrializzati, solo gli Stati Uniti non hanno ancora aderito al Protocollo di Kyoto, sebbene siano responsabili (dato 2001) del 36,2% delle emissioni globali. L’Italia ha invece ratificato il Protocollo con la legge n. 120 del 1 giugno 2002 (governo Berlusconi-bis). Il trattato, che rappresenta il primo strumento di attuazione della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici, prevede il vincolo per i paesi industrializzati di ridurre le emissioni dei gas serra del 5,2% nel periodo 2008 – 2012 rispetto alle emissioni del 1990, considerato come anno base. Il Protocollo non implica impegni per i paesi in via di sviluppo in osservanza del principio di equità. Per l’Unione europea il Protocollo di Kyoto prevede invece un

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taglio delle emissioni di gas serra dell’8% rispetto alle emissioni del 1990, e l’Italia si è impegnata a ridurre del 6,5% le sue emissioni rispetto al periodo e all’anno di riferimento sopra citato. Per rispettare gli impegni assunti con il protocollo di Kyoto, la Commissione europea ha lanciato nel giugno 2000 il Programma europeo sui cambiamenti climatici (ECCP) avente l’obiettivo di consentire la partecipazione di tutte le parti interessate ai lavori preparatori delle politiche e delle misure destinate a ridurre le emissioni di gas serra al fine di individuare, insieme ad esperti degli Stati membri, dell’industria e delle ONG, quelle politiche e misure europee più promettenti ed efficaci in termini di costi e benefici. Ne sono scaturite quasi trentacinque iniziative legislative o di altra natura, la maggior parte delle quali è in fase di attuazione. L’iniziativa più importante e più innovativa è forse il sistema europeo di scambio delle quote di emissione di gas a effetto serra, entrato in vigore nel gennaio 2005. In questo contesto, nel marzo 2007 l’Unione europea ha fissato gli obiettivi del “20-2020”. Essi prevedono che, entro il 2020: - le emissioni di gas serra dell’UE siano inferiori almeno del 20% rispetto a quelle del 1990; - almeno il 20% del consumo energetico dell’UE provenga da fonti di energia rinnovabili; - portare al 20% il risparmio energetico attraverso il miglioramento dell’efficienza energetica. Questo pacchetto clima–energia, che comprende tra le altre cose dei provvedimenti sul sistema di scambio di quote di emissione e sui limiti alle emissioni delle automobili, è divenuto legge nel giugno 2009. E’ sulla base di questi obiettivi che il 29 gennaio 2008, nell’ambito della seconda edizione della Settimana europea dell’energia sostenibile (EUSEW 2008), la Commissione europea ha lanciato il Patto dei sindaci (Covenant of mayors), un’iniziativa che coinvolge direttamente e attivamente le città europee nel percorso verso la sostenibilità energetica e ambientale e che si svilupperà in collaborazione con il Comitato delle regioni. La consapevolezza che sta alla base del Patto è che gli obiettivi che l’Europa si è data sono raggiungibili solamente attraverso lo sforzo congiunto degli enti locali e regionali. L’iniziativa, cui si può aderire volontariamente, impegna le municipalità europee a predisporre un Piano di Azione per l’Energia Sostenibile (SEAP) al fine di raggiungere gli obiettivi del 20-20-20. Attualmente (12 ottobre


L’elevato comfort di cui gode la societ? occidentale le impedisce di cambiare sebbene viva sotto la “spada di Damocle” dei cambiamenti climatici.

2012) sono 4.348 i comuni in tutta Europa che hanno aderito al Patto dei Sindaci, di cui 2.200 in Italia. “Think global, act local”. Questa frase (“pensa globalmente, agisci localmente”), nata, guarda caso, nel mondo dell’urbanistica di inizio ‘900, è divenuta, qualche decennio dopo, un manifesto del movimento ambientalista mondiale. Uno slogan che calza a pennello con il modus operandi dell’Ökoinstitut Südtirol/Alto Adige, una piccola associazione (attualmente composta da nove collaboratori) senza scopo di lucro nata nel 1989 su intuizione di Hans Glauber, già ideatore dei Colloqui di Dobbiaco. Da più di 20 anni l’attività di Ökoinstitut punta al coinvolgimento dei comuni e degli enti locali, così come del mondo delle imprese, per dare il proprio contributo alla salvaguardia del clima e dell’ambiente attraverso progetti di varia natura, da studi di fattibilità ad azioni di sensibilizzazione passando per analisi e calcoli statistici. Piccole azioni e interventi possono fornire un forte contributo alla collettività, talvolta anche inaspettati. Dal locale al globale, appunto. Spesso si è portati a pensare che qualsiasi cambiamento nel nostro agire quotidiano risulti inutile, che si tratti solo di una goccia nel mare. Perché il singolo dovrebbe rinunciare all’uso della macchina se altrove le industrie emettono comunque migliaia di tonnellate di gas serra in atmosfera? Eppure la realtà è che, se nessuno si sentisse una semplice goccia nel mare, questo mare non potrebbe mai divenire più limpido. Viene da se che la sensibilizzazione e il coinvolgimento dei cittadini, della popolazione, soprattutto di coloro che, per cause sociali, economiche e culturali non hanno facile accesso a queste tematiche, sia prioritaria perché avvenga quello che Hans Glauber definiva, con una forte concezione anche estetica (l’ecologismo visto come un piacere, non come una sofferenza) un “cambio di paradigma”. Ovvero un cambiamento non solo per quel che concerne le soluzioni tecniche, ma soprattutto le soluzioni culturali, e che non riguardano solo il settore dell’energia, ma “l’agricoltura, l’industria, la mobilità, le costruzioni, i rifiuti, gli stili di vita e gli stili di consumo”. Attraverso ad esempio corsi di bicicletta dedicati a persone anziane, che dopo una certa età non

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si trovano più al sicuro alla guida di un mezzo motorizzato, o pensati per cittadini migranti, soprattutto donne che si trovano alle prese con delicate barriere culturali, si avvicinano fasce di popolazione in qualche modo svantaggiate all’uso di mezzi di trasporto ecosostenibili e, in fin dei conti, economici. Dimostrazione inoltre di come gli aspetti ambientali vadano a braccetto con quelli sociali. L’educazione ambientale nelle scuole, svolta sia attraverso lezioni frontali che attività pratiche, è invece il mezzo migliore per sensibilizzare le generazioni future, che ancora non hanno una forma mentis consolidata e che quindi possono essere più ricettive nei confronti di tematiche importanti quali lo smaltimento dei rifiuti, il risparmio energetico, l’impronta ecologica dei propri stili di vita. Va sottolineato come la mera informazione, anche se impiegata su larga scala, non sia sufficiente a spingere le persone a cambiare il proprio stile di vita, come teorizzato dallo psicologo sociale tedesco Harald Welzer. L’elevato comfort di cui gode la società (almeno quella occidentale) impedisce infatti a quest’ultima di cambiare sebbene viva sotto la spada di Damocle dei cambiamenti climatici. La soluzione va quindi ricercata nel proporre alternative che possano migliorare ulteriormente la qualità della vita, alternative che sarebbero valide anche in assenza di un pericolo ecologico imminente. E le alternative vanno mostrate, sperimentate, vissute in prima persona dalla popolazione. Come accennato in precedenza, un ruolo fondamentale per il “cambio di paradigma” professato da Glauber è svolto dai comuni, dando così dei buoni esempi. Vettore privilegiato per raggiungere ampie fasce di popolazione, essi possono tornare, attraverso progetti ambientali di varia natura, a dialogare con i propri cittadini abbandonando un ruolo talvolta troppo istituzionale e burocratico. Prova di ciò è il sistema di gestione dell’energia a livello comunale European Energy Award®, che coinvolge non solo gli amministratori e tecnici comunali, ma anche le associazioni e i cittadini interessati. Durante la Giornata senz’auto invece, che si svolge ogni anno in occasione della Settimana europea della mobilità, le


Dossier: Le esperienze

municipalità coinvolte (40 solo in Alto Adige nell’ultima edizione) hanno esortato anche nell’edizione odierna la popolazione a evitare l’utilizzo della propria vettura, proponendo in alternativa tutta una serie di manifestazioni ed eventi volte ad aumentare la consapevolezza dei vantaggi derivanti dalla scelta di forme di mobilità “dolce”. Il concetto di sostenibilità, proprio come sostenuto da Glauber, non si lega però unicamente ai settori della mobilità e dell’energia. Ne è testimonianza un progetto in corso di svolgimento in seno alla Provincia di Trento che intende sensibilizzare i cittadini a un’alimentazione a basso impatto ambientale attraverso una campagna informativa in alcune mense della città di Trento. Difatti una parte non trascurabile dell’inquinamento a livello globale deriva dall’industria alimentare, dalla produzione delle materie prime fino al consumo dei cibi nei nostri piatti. Basti pensare che in Gran Bretagna, secondo

uno studio di WWF UK pubblicato nel 2010, la quota di emissioni imputabili all’industria alimentare è pari al 30% sul totale. Scegliendo però una dieta vegetariana basata su prodotti biologici, locali e stagionali questa percentuale può essere drasticamente ridotta, dando così un grande contributo alla salute dell’ambiente. “Think global, act local”, si diceva. Pare essere proprio questa la filosofia da seguire se si vogliono limitare i danni che le attività umane stanno causando al nostro piccolo pianeta. Proprio come in un mosaico, in cui sono i singoli tasselli a dare forma a un’immagine d’insieme omogenea e facilmente riconoscibile, sono gli interventi provenienti dal basso, le piccole azioni quotidiane, le singole scelte, a contribuire al “cambio di paradigma” su scala globale. Parafrasando ancora una volta Hans Glauber, potrebbe proprio essere “una grande soddisfazione sapere che si sta facendo qualcosa di sensato”.

GBCQuartieri Italia: il protocollo di certificazione di sostenibilità ambientale L’Italia si trova a dover fronteggiare numerose sfide legate alla crisi economica, alla disoccupazione ed al rilancio della competitività. Per rispondere adeguatamente a questa crisi è necessario aggiornare i paradigmi di riferimento del mondo delle costruzioni, del settore immobiliare e dello sviluppo urbano. L’introduzione di sistemi di riferimento che certificano la qualità e la sostenibilità ambientale degli immobili non è più una questione di nicchia ma una condizione indispensabile per riuscire a competere e rimanere nel mercato. Sono ormai noti anche al grande pubblico i vari sistemi di certificazione energetica e di sostenibilità ambientale per gli edifici: tra quelli più conosciuti esistono a livello nazionale ed internazionale LEED, BREAM, Energy Star,

ecc. mentre a livello nazionale: ITACA, Casaclima, DGNB, HQE, ecc. Sono meno conosciuti e diffusi i sistemi di certificazione legati a porzioni di territorio ed aree più vaste del singolo manufatto architettonico che valutano la sostenibilità di una porzione di città. In questo senso GBC Italia sta lavorando per la stesura di un protocollo “GBC Quartieri” che promuova la creazione di quartieri salutari, sicuri e sostenibili, riqualificando o realizzando un’area compatta e opportunamente connessa sia al suo interno sia con la realtà circostante. GBC Italia attraverso GBC Quartieri sviluppa a livello nazionale un sistema di certificazione allineato con le normative e il mercato italiano, utilizzando come ispirazione il protocollo internazionalmente riconosciuto LEED for

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Neighborhood Development (LEED® ND), sistema di certificazione sviluppato da USGBC con Congress for the New Urbanism e Natural Resources Defense Council. Il protocollo si articola in sezioni esattamente come tutti gli altri protocolli della famiglia LEED e GBC: Localizzazione e collegamenti del sito, Organizzazione e programmazione del quartiere, Infrastrutture ed edifici sostenibili, Innovazione nella progettazione e priorità regionali. I progetti interessati possono candidarsi a “casi studio”, segnalando la loro candidatura a GBCItalia che è a disposizione per tutte le informazioni preliminari che si rendessero necessarie.


Il Paesaggio tra risorse ambientali, biodiversità e servizi ecosistemici di Marco Avanzini e Isabella Salvador Muse - Museo delle Scienze di Trento

Uno sforzo andrebbe fatto per distinguere la tipologia degli investimenti e dare la possibilità ai Comuni più virtuosi di poter sviluppare i propri progetti sostenibili.

In passato ecologia ed economia si sono spesso contrapposte in base al pregiudizio che la difesa dell'ambiente potesse costituire un freno allo sviluppo economico. Negli ultimi anni, l'economia ecologica (Barret e Farina, 2000; Brown, 2001; Antrop, 2006) sta cercando di far dialogare in modo costruttivo queste due discipline nell'esigenza di adattare gli attuali modelli di sviluppo nella direzione della sostenibilità ambientale e sociale (Bengston, 1994; O'Riordan and Stoll-Kleemann, 2002). Fa parte di questo approccio il tentativo di stimare i servizi che derivano dagli ecosistemi: l'unità base utilizzata dagli ecologi per definire i paesaggi naturali (Costanza et al., 1997, Costanza 2008). I servizi ecosistemici (“ecosystem services”), sono, secondo la definizione data dal Millenium Ecosystem Assessment (MA, 2005), “i benefici multipli forniti dagli ecosistemi al genere umano”. Secondo quanto proposto dal MA (Fig. 1), i servizi ecosistemici si possono distinguere in quattro grandi categorie: servizi di supporto alla vita (es. formazione del suolo), servizi di approvvigionamento (es. produzione di cibo), servizi di regolazione (es. controllo dell'erosione), servizi culturali (es. estetici o ricreativi). Un concetto di fondamentale importanza affermato e sviluppato nel MA è il legame fra i Servizi Ecosistemici e il benessere della società. Il concetto di base è quello che in generale il nostro benessere dipende dai servizi forniti dalla natura. Ne deriva che il concetto di conservazione viene oggi saldamente ancorato a benefici diretti e indiretti di carattere socio-economico, da “conservare”, ma soprattutto da riqualificare. La percezione da parte della comunità è quindi un aspetto importante: mentre nell'ecologia classica la “funzione ambientale” si riferisce genericamente a un impatto connesso alla presenza di risorse ambientali (a prescindere dalla percezione che di questo può avere la comunità), il nuovo concetto di “servizio ecosistemico” ha una stretta relazione con le condizioni di benessere della società che quel determinato luogo utilizza. Avere una buona dotazione di servizi ecosistemici significa avere una maggior “ricchezza” procapite in termini di capitale naturale, ma anche una maggiore salute e resilienza dei territori (sistemi socioecologici). La

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consapevolezza relativamente a questa correlazione positiva è significativamente cresciuta negli ultimi anni ed ha coinvolto in una visione diversa molti aspetti del nostro ambiente di vita: tra essi il paesaggio. Oggi vi è un diffuso consenso relativamente all'idea che “il paesaggio assolve una molteplicità di funzioni diverse, fornendo alla umanità sia beni che servizi intangibili, come quelli relativi alla regolazione della qualità ambientale o alla qualità estetica” (MA 2005; Kienast et al. 2009). Questo nuovo ruolo del paesaggio ha causato una modifica delle aspettative e delle esigenze degli utilizzatori che, a sua volta, ha imposto di riconsiderare, in un'ottica più ampia e più completa, le politiche rivolte alla sua gestione e conservazione. Per aiutare i decisori politici, ai diversi livelli (locale, regionale, nazionale), nella precisazione di queste strategie è necessario fornire loro informazioni corrette circa il valore, anche economico, che il paesaggio assume (Goio e Gios, 2012). Avendo presente che, nonostante la definizione fornita dalla Convenzione del paesaggio (Art. 1, a), il termine paesaggio è, oggi, frutto di interpretazioni e considerazioni diverse ed eterogenee. Anche alla luce del fatto che lo stesso “è influenzato dal contesto nel quale è inserito” (Bengston, 1994), ed “evolve continuamente in modo più o meno caotico, riflettendo i bisogni sociali ed economici di una data società in un dato momento” (Antrop, 2006). Il valore del paesaggio “Con il termine paesaggio intendiamo l'insieme della realtà visibile, o meglio ancora della realtà sensibile, che riveste e compone uno spazio più o meno grande intorno a noi: una realtà materiale, concreta, che si sostanzia di forme, o per meglio dire di fattezze sensibili riportabili a forme definite” (L. Gambi, 2000). L'idea di una pluralità di forme sensibili, che attraverso relazioni spazio-temporali compongono il paesaggio, è alla base di questa definizione. Considerato in questo senso il paesaggio è pensato come l'insieme degli elementi, d'origine antropica e/o naturale, che interagiscono in un territorio. Essi valgono non solo sotto l'aspetto funzionale e


Dossier: Le esperienze

Servizio ecosistemici Produttivi Prodotti derivati dagli ecosistemi Cibo Acqua potabile Legno Fibre Prodotti biochimici Risorse genetiche...

Di regolazione Benefici ottenuti dal potere di regolazione degli ecosistemi

Servizi di supporto Servizi necessari alla produzione Formazione di suolo Ciclo dei nutrienti Produzione primaria

Regolazione climatica Stabilizzazione idrogeologica Contenimento delle epidemie Regolarizzazione dei cicli idrologici Depurazione delle acque

Culturali Benefici immateriali derivati dagli ecosistemi Estetici Ricreativi (ecoturismo) Educativi Patrimonio culturale Inspirativi Senso identitario Spirituali e religiosi

quantitativo ma anche morfologico e qualitativo in quanto “i paesaggi rispondono a esigenze di identificazione e riconoscibilità, di ancoraggio spaziale, di radicamento e deposito collettivo di valori” (Gambino, 1997). Il paesaggio come palinsesto diacronico, custode dell'identità storico culturale della società, è quindi considerato un deposito di valori sedimentati nella coscienza collettiva (Tosco, 2009): una risorsa primaria da custodire e conservare. Tentandone una sintesi potremmo dire che le valenze odierne del paesaggio possono essere riassunte in cinque grandi ambiti tutti vitali e rilevanti: 1) valore estetico – esalta la bellezza delle vedute panoramiche e la qualità percettive 2) valore ambientale – rispetta i caratteri naturali, la biodiversità e la sostenibilità degli ambienti antropici di pianificazione 3) valore sociale – riconosce nel paesaggio un fattore

di identità collettiva, un sedimento di civiltà, un frutto del lavoro delle popolazioni che hanno organizzato e vissuto il territorio 4) valore economico – considera il paesaggio come ricchezza, un giacimento di risorse agroalimentari, abitative e relazionali; rientrano in tale ambito le capacità di attrarre investimenti e progetti di sviluppo di un sito tutelato in senso paesaggistico, non solo di tipo turistico ma anche abitativo e di rappresentanza di enti e associazioni impegnati nella valorizzazione del patrimonio 5) valore storico culturale – che considera il paesaggio come un deposito della memoria collettiva, una stratificazione di testimonianze del passato, di valori condivisi e di beni culturali diffusi. Il paesaggio è da considerarsi in definitiva come uno spazio di integrazione di valori, che concorrono al processo di comprensione, di salvaguardia e di tutela

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del patrimonio. Negli ultimi anni l'Unione Europea ha sviluppato una valida politica culturale nel settore del paesaggio che promuove la tutela e la valorizzazione del patrimonio conservato sul territorio delle diverse nazionalità. Nel campo giuridico disponiamo oggi di due strumenti fondamentali per la tutela del paesaggio: la Convenzione europea del paesaggio e il codice dei beni culturali e del paesaggio. La Convenzione europea del paesaggio - trattato internazionale adottato il 19 luglio 2000 dal comitato dei ministri del consiglio di Europa - è in vigore in Italia dal 1 settembre 2006. La finalità è promuovere la salvaguardia e la pianificazione dei paesaggi nel rispetto delle aspirazioni delle popolazioni organizzando la cooperazione europea nel settore. In apertura (art.1, lett. a) il testo propone una definizione del concetto base: “Il termine paesaggio designa una determinata parte del territorio, cosi come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”. In definitiva è quindi riconosciuta sia la dimensione soggettiva (percepita dalle popolazioni) sia quella oggettiva (parte del territorio). Un tema vitale è rappresentato dal ruolo del paesaggio come “fondamento dell'identità” (art. 5 lett. a), concepito non solo come un bene culturale della nazione ma piuttosto come patrimonio condiviso delle comunità locali. Nello stesso documento è evidenziata l'importanza delle iniziative volte a favorire la conoscenza e la ricerca. Secondo la convenzione (art.6, lett. b) i paesi aderenti promuovono lo studio del paesaggio a livello scolastico e universitario, con l'apporto della varie discipline riguardanti la salvaguardia, la gestione e la pianificazione. Il Codice dei beni culturali e del paesaggio – entrato in vigore in Italia con decreto legge 42 del 22 gennaio 2004 e integrato con decreti legislativi 156 e 157 del 24 marzo 2006 e 62, 63 del 26 marzo 2008 - riordina una legislatura complessa e frammentaria e rappresenta uno strumento efficace e aggiornato che accoglie le indicazioni della convenzione europea. Il ruolo della natura e dell'uomo sono considerati comprimari: “per paesaggio si intende il territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e umani e dalle loro interrelazioni” (art.131 c.1). Il patrimonio nazionale è ora considerato nel suo insieme come composto di beni culturali e paesistici in una visione unitaria (di sistema). In tale prospettiva ogni bene culturale mantiene il suo senso solo se inserito nel suo ambiente di appartenenza. L'adozione del codice ha sancito la centralità assoluta del bene paesaggio e la valorizzazione è la grande novità in campo giuridico perché offre agli operatori del settore, e in definitiva ad ogni cittadino, uno strumento di intervento per promuovere le potenzialità del bene nel rispetto delle esigenza di tutela come recita il codice “La repubblica favorisce e sostiene la partecipazione

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da parte di soggetti privati, singoli od associati, alla valorizzazione del patrimonio culturale” (art. 6, c.3). In tale quadro la ricerca è considerata fondamentale nel processo di valorizzazione (art.118 del codice). Lo studio del paesaggio diventa imprescindibile nel processo di valorizzazione e tutela e la ricerca assume una profonda funzione civile diventando servizio offerto alla collettività. “Non vi sono soltanto i giovani da alfabetizzare ex-novo alla stregua di tabulae rasae. Anche gli adulti, affetti da crescenti sindromi di analfabetismo di ritorno, vanno alla ricerca di sicurezze ed appigli identitari che il paesaggio è in grado di restituire. Tali sforzi di incorporazione del paesaggio possono concorrere a far meglio conoscere i luoghi ed a renderci meno stranieri a noi stessi”. (Salsa, 2007; 2010) La divulgazione dei risultati delle ricerche alle popolazioni locali e l'inserimento delle conoscenze acquisite anche all'interno dei processi di pianificazione sembra inevitabile e necessario. Il paesaggio è un fenomeno stratificato, formato da livelli diversi che si sono accumulati nel tempo modificando e rielaborando senza sosta quelli precedenti. In tale continuo si sono però mantenuti elementi sia di origine antropica sia naturale che perdurano in modo più o meno evidente fino ad oggi. Sta a chi studia il paesaggio riuscire a riconoscerli e utilizzarli quali caposaldi su cui ancorare una ricostruzione dinamica e coerente. L'idea di base è che il paesaggio del passato continui ad agire sul presente. Si può parlare d'inerzia del paesaggio, della sua tendenza a mantenere linee più profonde e tenaci che hanno segnato la storia nonostante gli interventi di trasformazione dell'uomo (Tosco, 2009). Il paesaggio non è un semplice contenitore di beni culturali ma coincide con il sistema che collega tra loro i singoli beni, diventando esso stesso un valore culturale di portata generale. La complessità di un paesaggio è data dall'eterogeneità degli elementi che lo compongono e dalla molteplicità delle relazioni che li legano. La complessità, in una prospettiva di valorizzazione è quindi una grande ricchezza. Il paesaggio è da considerare il bene culturale più condiviso: mentre i singoli beni hanno gradi diversi di accessibilità, estensione, fruibilità, il paesaggio per sua natura è un bene aperto alla percezione di tutti. Sul piano operativo siamo in presenza di un patrimonio strutturato e organizzato nello spazio, di una grande risorsa che appartiene alla collettività, e in primo luogo, alle comunità locali. In buona parte si tratta di un patrimonio latente composto di tracce labili e talvolta minacciate, non sempre individuato e catalogato, diffuso sul territorio e in attesa di progetti integrati di conservazione. La promozione storicoculturale coinvolge in modo diretto le attività di fruizione e di utilizzo di un territorio. Un ruolo primario è oggi rappresentano dalle forme di turismo alternativo tra le quali l'ecoturismo- che contribuisce


Dossier: Le esperienze

alla valorizzazione delle qualità naturali - e il turismo culturale – che costruisce modelli di fruizione più attenti alle specificità locali. E' forse questa la risposta più adeguata alla fruizione estesa dei beni culturali. Le risorse delle culture tradizionali, le abilità artigianali, i mestieri conservati fino alle soglie dell'impatto industriale rappresentano valori collettivi. Tra le qualità tutelate un ruolo di primo piano è riconosciuto dal paesaggio e dalle sue caratteristiche, in rapporto alle sue forme insediative, al patrimonio storico e alle risorse ambientali. Il paesaggio diviene cosi un museo diffuso, un bene comune da valorizzare e da difendere. Oggi l'impegno internazionale nella difesa della bio-diversità concede sempre più spazio all'importanza della diversità bio-culturale. E' questa la diversità che costituisce la ricchezza, il “capitale”, su cui basare lo sviluppo sostenibile del territorio. Soprattutto nei territori europei la naturalità con cui abbiamo a che fare è quella storicamente determinata dalle vicende pregresse dell'appropriazione antropica dello spazio: non solo quella che ci ha lasciato un patrimonio ineguagliabile di paesaggi culturali ma anche quella che è partita dalle spinte omologatrici che hanno investito la campagna omogeneizzando e banalizzando i paesaggi agrari, presidi preziosi della diversità paesistica e della stabilità ecosistemica. Il paesaggio è stato spesso utilizzato come bandiera della difesa e rafforzamento delle culture e economie locali anche con funzioni di resistenza alle spinte omologatrici della globalizzazione. Poiché sistema di valori identitari il paesaggio interpreta non solo le peculiarità e le differenze di un territorio ma anche le sue potenzialità evolutive. Da qui l'importanza crescente attribuita al paesaggio ai fini della difesa della biodiversità ed ancor più della diversità bioculturale su cui l'UNESCO ha recentemente richiamato l'attenzione. Da qui il tentativo di contribuire con le politiche del paesaggio alla riscoperta delle culture, delle colture e delle

economie locali (slow food, km zero). Ma i singoli luoghi non sono frammenti autonomi e indipendenti: essi sono “schegge di mondo” (Gambino 2011). La loro capacità di conservare i propri caratteri identitari dipende, non meno che dalle chiusure dei sistemi locali, anche dall'apertura verso il cambiamento e quindi dalla loro capacità di affacciarsi efficacemente alle reti di relazioni che agiscono sul contesto territoriale (Gambino, 2010). Il paesaggio è fondamentale giacché lega luoghi e attività tangibili e intangibili variamente dislocati nello spazio territoriale, in contesti tendenzialmente coesi in cui le comunità locali possono riconoscersi ed interagire più o meno efficacemente. Il paesaggio è anche riflesso e strumento di competitività, nella misura in cui conferisce ai sistemi locali un'immagine caratterizzata e riconoscibile che gli consente di partecipare con speranza di successo ai confronti che si profilano a tutti i livelli, mobilitando insiemi strutturati di risorse diversificate dando voce al “territorio degli abitanti” o investendo nel marketing territoriale. La tutela del paesaggio come quella della natura ha a che fare con l'affermazione di sistemi di valori. Nel secondo caso contano quelli presidiati dalle scienze dure come la biologia e la geologia in termini quasi da annullare ogni possibilità di scelta circa le misure di tutela da adottarsi. Nella tutela del paesaggio entrano in gioco valori assai più incerti che lasciano ampio spazio alla interpretazione e alla valutazione soggettiva. La qualità del paesaggio si può associare quindi alla salvaguardia di quei territori che mantengono beni e servizi funzionali al benessere anche dell'uomo, ed a cui deve essere riconosciuta questa funzione come valore reale per il territorio. In questi ambienti, il rapporto con le azioni di pianificazione e di sviluppo, cioè il peso delle azioni antropogeniche, deve necessariamente considerare il mantenimento dello spazio per l'evoluzione delle dinamiche ecologiche pena la perdita di funzioni e la conseguente riduzione e/o alterazione della qualità delle risorse e dei servizi ecosistemici.

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La disciplina del settore delle energie rinnovabili a livello di Unione Europea di Flavio Guella Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università di Trento

Nella ricerca di un equilibrio tra tutela ambientale e sviluppo (sostenibile) il livello di governo ottimale al quale gestire le esternalità delle emissioni è spesso un livello sovrastatale

1. Il governo multilivello delle tematiche ambientali, dalla regolamentazione sovranazionale a quella europea Il problema generale dei livelli di governo nei quali affrontare le tematiche ambientali, posto che la dimensione delle questioni legate all’inquinamento trascende i confini nazionali, si pone anche per il settore delle energie rinnovabili, rispetto al quale gli interventi normativi dell’Unione europea hanno assunto un ruolo sempre più centrale. Nella ricerca di un equilibrio tra tutela ambientale e sviluppo (sostenibile) il livello di governo ottimale al quale gestire le esternalità delle emissioni – legate (anche) all’impiego di energia – è spesso un livello sovrastatale. La comunità internazionale, con atti quali la Dichiarazione di Stoccolma (16 giugno 1972), i documenti della Conferenza di Rio (1992) e del Vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg (2002), il Protocollo di Kyoto (1997), o l’Accordo di Copenaghen, ha affermato principi di uso equo e sostenibile delle risorse naturali, equità intragenerazionale e intergenerazionale, responsabilità comuni ma differenziate nel contrasto al riscaldamento globale, nonché di precauzione; principi tutti che mirano ad essere recepiti ed attuati a livello statale, spesso con un’intermediazione sovranazionale di dimensione regionale. In questo quadro anche l’Unione europea svolge un ruolo di concretizzazione delle esigenze di governance ambientale di livello sovrastatale. Ciò, in un primo momento, senza una base espressa nei Trattati, ma solo per esigenze strumentali alle singole politiche comunitarie o mediante esercizio dei poteri impliciti (attraverso “programmi ambientali” europei, avviati fin dal 1973); successivamente, con la formalizzazione di una base positiva nell’Atto unico europeo (tramite disposizioni sulla tutela dell’ambiente), nel Trattato di Maastricht (che prevedeva quale obiettivo dell’Unione una crescita economica sostenibile e non inflazionistica), e nel Trattato di Amsterdam (con l’integrazione della protezione ambientale nella definizione e attuazione delle singole politiche europee). 2. La disciplina del settore dell’energia tra livello internazionale e Unione europea

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Il settore dell’energia – in particolare per le fonti rinnovabili – si presenta come un caso emblematico di intervento regolativo funzionale allo sviluppo sostenibile, promosso (anche) a livello sovranazionale. In particolare quella dell’energia si pone come una tematica di interesse geopolitico primario, in ragione delle problematiche di sicurezza energetica (in ragione della stretta interdipendenza tra Stati che le esigenze di approvvigionamento determinano) e di incidenza sull’inquinamento transfrontaliero; interesse che giustifica una considerazione (in sussidiarietà) del settore delle energie rinnovabili a livello anche internazionale, con interventi sovrastatali ad hoc quali la Conferenza di Bonn sull’energia rinnovabile del 2004. Per quanto riguarda specificamente l’ambito europeo, le disposizioni in materia – assunte dapprima in forma di accordi internazionali – si sono manifestate in interventi di soft law, quali la Carta europea dell’energia del 17 dicembre 1991 (resa poi vincolante con il successivo Trattato sulla Carta e il Protocollo sull’efficienza energetica del 17 dicembre 1994), o in interventi settoriali, quali la Convenzione delle Alpi del 1991 e il relativo Protocollo energia del 1998, nonché il Trattato istitutivo della comunità dell’energia del 25 ottobre 2005. A livello di Trattati generali dell’Unione, invece, una base esplicita è prevista dopo Lisbona all’art 194 TFUE, dove si afferma che la politica dell’Unione nel settore dell’energia è intesa – ex lett. c) – a promuovere il risparmio energetico, l’efficienza energetica e lo sviluppo di energie nuove e rinnovabili; obiettivo questo che può essere perseguito dalle istituzioni dell’Unione europea attraverso misure deliberate secondo la c.d. procedura legislativa ordinaria, ma con strumenti normativi i quali non devono incidere sul diritto di uno Stato membro di determinare le condizioni di utilizzo delle sue fonti energetiche, la scelta tra varie fonti energetiche e la struttura generale del suo approvvigionamento energetico (salva l’eccezione, a maggior limitazione della sovranità statale, di una delibera con procedura legislativa speciale, assunta all’unanimità, oppure del perseguimento delle finalità previste proprio alla lettera c). La promozione dello sviluppo del settore delle energie rinnovabili legittima, quindi,


Dossier: Le esperienze

un’ingerenza dell’Unione nelle scelte di politica energetica nazionali, in punto di composizione dell’approvvigionamento. 3. L’azione dell’Unione europea specificamente rivolta al settore delle energie sostenibili L’evoluzione della normativa europea in materia di “energia sostenibile” si è sviluppata – nel dettaglio – in tre “Pacchetti energia” approvati a livello europeo, con politiche di settore introdotte, anche in assenza della base fornita dal Trattato di Lisbona, negli anni 1996-98; 2003-05; 2007-09. Dall’esame del complesso della normativa, sembrano individuabili due linee di azione significative in tema di “energia sostenibile”, costituite dalla tematica dell’efficienza energetica e dal settore delle energie rinnovabili, la cui regolamentazione è stata preceduta da strumenti partecipativi di soft law, ed in particolare da una serie di libri bianchi e verdi che si sono succeduti dal 1995 ad oggi, sulla cui base sono stati adottati strumenti normativi (vincolanti) specifici. Per quanto riguarda l’efficienza energetica, l’Unione è intervenuta in particolare con alcune direttive di prima generazione, quali la direttiva sul rendimento energetico nell’edilizia, del 16 dicembre 2002, e la direttiva sull’efficienza degli usi finali dell’energia e i servizi energetici 5 aprile 2006, 2006/32/CE, con seguente relativo Piano di azione del 2007 (nel Pacchetto integrato energia del 2007). Inoltre, in prospettiva, l’Unione interverrà ulteriormente nel settore con l’approvazione della proposta di nuova direttiva sull’efficienza energetica, del 22 giugno 2011, la quale prevede un’azione articolata in due fasi, al fine di rispettare la sussidiarietà e la proporzionalità delle misure (per cui, solo se gli obiettivi non saranno raggiunti autonomamente dagli Stati interverranno politiche europee vincolanti nel dettaglio). In particolare il piano di efficienza energetica dell’8 marzo 2011 articola l’azione futura in materia di efficienza energetica in due fasi: nella prima, gli Stati membri fissano autonomamente obiettivi specifici e strumenti, mentre nella seconda, nell’ipotesi in cui nel 2013 l’obiettivo generale 20 per cento di risparmio energetico non fosse ritenuto plausibilmente

raggiungibile entro il 2020 (impiegando gli strumenti adottati autonomamente dagli Stati), interverrà direttamente la Commissione, fissando obiettivi nazionali sostitutivi e giuridicamente vincolanti. Per quanto riguarda specificamente le energie rinnovabili, invece, l’origine delle politiche europee in materia è rinvenibile in strumenti di soft law specifici, quali la Comunicazione 26 novembre 1997 “Energia per il futuro: le fonti energetiche rinnovabili” (Libro bianco per una strategia e un piano d’azione della Comunità), che innalzava la quota obiettivo per le rinnovabili dal 6 al 12 per cento, e la Comunicazione 16 febbraio 2001, sull’attuazione della strategia e del piano di azione della Comunità sulle fonti energetiche rinnovabili (1998-2000). A tali interventi programmatici sono seguite una direttiva di prima generazione, la 2001/77/CE su promozione dell’elettricità prodotta da fonti di energia rinnovabili sul mercato interno dell’elettricità, che ha fissato la quota-obiettivo del 21 per cento del consumo globale di energia da rinnovabili, e una direttiva di seconda generazione, la 2009/28/CE, inserita nel nuovo (e ultimo) Pacchetto clima e energia (c.d. Pacchetto 20-20-20, riferito a riduzione del 20 per cento delle emissioni di gas serra, raggiungimento di una quota del 20 per cento di energie rinnovabili, e abbattimento del 20 per cento dei consumi mediante risparmio energetico). Di tale Pacchetto, più in generale, fanno anche parte la direttiva 2009/29/CE sul sistema di scambio delle quote di emissione, la direttiva 2009/31/CE su cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica, la decisione “condivisione degli oneri”, con obiettivi nazionali vincolanti per le emissioni non rientranti nei settori ETS (emission trading system), il regolamento 443/2009 sull’abbattimento delle emissioni co2 da auto nuove, e la direttiva 2009/30/CE sulla riduzione di emissioni addossata ai fornitori di combustibili (con l’obiettivo del 6% per cento). Le due generazioni di direttive si caratterizzano per gli stessi contenuti ma, strutturalmente, per un diverso approccio normativo. In particolare, di massima si passa da formulazioni per obiettivi, con scarsa sanzionabilità

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in caso di mancato raggiungimento, a disposizioni dettagliate e dotate di meccanismi di verifica ed enforcement (nello specifico, agli artt. 22 ss. dell’ultima direttiva citata, con la previsione di una vigilanza articolata in relazioni periodiche presentate dagli Stati membri, e una funzione di controllo sugli stessi svolta dalla Commissione). 4. I contenuti della disciplina europea in materia di energie rinnovabili Per quanto riguarda l’esame dei contenuti, nella direttiva 2009/28, la disciplina è articolata in sei punti fondamentali, relativi a quote-obiettivo, procedure amministrative, informazione e formazione, garanzie di origine, accesso alla rete, e biocarburanti. 4.1. In primo luogo (artt. 3-12), vengono fissati obiettivi nazionali riferiti a quote di energia da fonte rinnovabile, che devono essere raggiunti entro il 2020. Questi sono obiettivi vincolanti, da perseguire con misure di sostegno (comunque rispettose della disciplina in materia di aiuti di Stato), e secondo piani di azione nazionali autonomamente adottati (ma sulla base di schemi predisposti dalla Commissione). In questo ambito, va notato che l’Unione ha fissato quote obiettivo differenziate per livello di sviluppo pregresso dello sfruttamento delle rinnovabili e capacità economica degli Stati, al fine di tenere conto dei diversi punti di partenza e delle possibilità concrete di adeguamento. Inoltre, per raggiungere gli obiettivi fissati sono ammessi scambi di quote (secondo meccanismi analoghi a quelli previsti dal protocollo di Kyoto) sia con trasferimenti statistici di quote tra Stati membri, sia con realizzazione di impianti in collaborazione tra stati membri o con paesi terzi, consentendo così la ricerca e lo sfruttamento dei siti a più alta efficienza (come ad es. sarebbe possibile con i programmi di area mediterranea per il fotovoltaico). Questi ultimi profili, in particolare, saranno oggetto di rafforzamento ai sensi di una recente comunicazione della Commissione del 6 giugno 2012.

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4.2. Un secondo intervento contenuto nella direttiva riguarda le procedure amministrative (art. 13), per le quali si dispone che gli Stati membri possano porre in essere procedimenti di autorizzazione, certificazione o concessione in materia di rinnovabili solo se necessari e proporzionati, di modo che da tale disposizione deriva per gli Stati un onere generale di semplificazione amministrativa (da svolgersi ad esempio nelle forme del procedimento autorizzatorio c.d. unico). In materia di procedimento amministrativo, i settori suscettibili di disciplina sono molteplici, ma è possibile ricordare in particolare quello dell’urbanistica ed edilizia, anche con i connessi problemi di localizzazione dei siti e relativa competenza a livello di enti territoriali (ripartendo il potere di definizione delle aree interessate tra Stato, Regioni ed enti locali), e il settore degli appalti, o dell’evidenza pubblica in generale, nel quale valutare l’ammissibilità di clausole di favore per lo sviluppo dell’impiego delle energie rinnovabili. In materia la Corte di giustizia si è pronunciata ad esempio sulla prima questione, con la sentenza 21 luglio 2011, C-2/10, in riferimento a un divieto imposto dalla Regione Puglia con la legge n. 31 del 2008 di installare impianti eolici (non destinati all’autoconsumo) in siti di importanza comunitaria, soggetti a un regime vincolistico di protezione speciale, e ciò in assenza di una preventiva valutazione dell’effettiva incidenza del progetto sull’ambiente. La Corte ha ritenuto il divieto conforme al perseguimento degli stessi obiettivi dalle direttive 92/43 e 79/409 (in materia di habitat naturale e avifauna), che peraltro ammettono l’adozione di misure nazionali più rigorose rispetto alle stesse; e, d’altro lato, non vietando gli aerogeneratori finalizzati all’autoconsumo, tale divieto sarebbe stato inidoneo a ostacolare in termini assoluti l’obiettivo dell’Unione di incentivare lo sviluppo di energie nuove e rinnovabili sancito dalle direttive 2001/77 e 2009/28, che a parere della Corte di giustizia non venivano quindi disattese dalla regione Puglia. Posta tale coerenza con il diritto comunitario derivato, tuttavia, a parere della Corte di giustizia – nel caso descritto – al giudice nazionale (del rinvio) spettano due ulteriori valutazioni. In primo luogo, se sia violato il principio di non discriminazione e disparità di trattamento fra i progetti di costruzione di impianti eolici e quelli riguardanti altre attività industriali proposte su siti di protezione speciale, nonché, in secondo luogo, se

sia stato violato il principio di proporzionalità, di cui all’art. 13 della stessa direttiva 2009/28, il quale richiede che le misure adottate dagli Stati membri non superino i limiti di ciò che è appropriato e necessario per il conseguimento degli scopi legittimamente perseguiti dalla normativa di tutela paesaggistica. Infatti, in ogni caso, in materia di limiti alle autorizzazioni inerenti lo sfruttamento di energie rinnovabili, qualora sia possibile una scelta fra più misure appropriate si deve ricorrere alla misura meno restrittiva, e gli ostacoli e i divieti apprestati a danno dello sviluppo delle rinnovabili non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti. Sulla seconda questione, degli appalti pubblici, nella sentenza 4 dicembre 2003, C-448/01, la Corte di giustizia ha invece affermato che la normativa comunitaria in via di principio non osta a che un’amministrazione aggiudicatrice adotti (nell’ambito della valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per assegnare un appalto di fornitura di elettricità) un criterio di aggiudicazione premiale per i fornitori di energie rinnovabili, che impone la fornitura di elettricità ottenuta da fonti rinnovabili in un coefficiente del 45 per cento. Tale requisito sarebbe tuttavia inammissibile se non accompagnato da meccanismi che consentano un effettivo controllo dell’esattezza delle informazioni contenute nelle offerte (circa quote e dispacciamento), oppure se il meccanismo di calcolo non fosse rispondente ai principi di parità di trattamento e di trasparenza. 4.3. Un terzo intervento previsto dalla direttiva, strumentale alla politica di promozione delle rinnovabili, attiene all’ambito dell’informazione e formazione (art. 14), con previsione di un onere per gli Stati di promuovere nella società civile una maggiore sensibilità alle esigenze ambientali connesse all’impiego di fonti di energie rinnovabile, accompagnata dalla massima pubblicizzazione dei vantaggi economici ed incentivi finanziari disponibili. Si prevede poi, ai fini della più ampia diffusione delle energie rinnovabili, l’introduzione di meccanismi di garanzia di origine dell’energia rinnovabile (art. 15), con onere per gli Stati di predisporre sistemi di certificazione affidabili e soggetti a mutuo riconoscimento, nonché – come quinta misura – disposizioni di favore per l’accesso alla rete dell’energia prodotta da fonti rinnovabili (art. 16), con ammissione prioritaria (o quantomeno garantita) al sistema di rete di distribuzione e con priorità nel dispacciamento riconosciuta agli impianti di produzione che utilizzano energie rinnovabili. 4.4. Infine, si prevedono norme speciali per il settore dei biocarburanti (artt. 17 ss.), sostitutive di quanto già previsto dalla direttiva 2003/30, rispetto alla quale la Corte di giustizia (nella causa C 201/08)

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aveva avuto modo di precisare il carattere plurale dei mezzi di promozione dei biocarburanti, potendosi ricorrere in particolare ad un regime di esenzione fiscale, all’assistenza finanziaria alle industrie di trasformazione (comunque nel rispetto della normativa sugli aiuti di Stato), o alla fissazione di una percentuale obbligatoria di impiego di biocarburanti per le società petrolifere (soluzione rafforzata dalla nuova direttiva, che prevede quote-obiettivo ad hoc per il settore dei biocarburanti). Per concludere sui contenuti della direttiva in materia di carburanti verdi, va notato che gli Stati membri dispongono – in via di principio – di un ampio potere discrezionale in merito ai singoli prodotti che intendono promuovere (tra le diverse tipologie di biocarburanti), potendo quindi tenere conto, nella scelta, del proprio bilancio climatico ed ecologico, della redditività relativa, e della sicurezza dell’approvvigionamento; tuttavia, a bilanciamento dell’ampia sfera di autonomia, tale potere discrezionale viene limitato dalla direttiva nella parte in cui si prevedono norme di tutela per le colture e gli ecosistemi più sensibili, sui quali lo sfruttamento a fini di produzione di biocarburanti non può incidere. 5. Dal livello sovranazionale europeo all’attuazione nei singoli ordinamenti nazionali In conclusione, con le politiche promozionali descritte l’Unione europea sostiene l’impiego di energie rinnovabili in quanto strumentale ad uno sviluppo ritenuto sostenibile e di comune interesse per gli Stati membri. L’implementazione di tali politiche di sostegno presuppone però un costante bilanciamento con altri valori, come emerge ad esempio dalle sentenze citate sulla localizzazione degli impianti eolici e sui criteri premiali di aggiudicazione. Il ruolo della sussidiarietà, quale possibile chiave di lettura dello sviluppo della

normativa europea, scioglie quindi la questione nell’ambito della normativa europea, ma la ripropone a livello nazionale, nei rapporti tra Regioni e Stato, rinviando la decisione nel dettaglio di quei bilanciamenti, coordinando a seconda dei casi la sostenibilità energetica con altri beni tutelati dall’ordinamento (quali il paesaggio, la concorrenza, o la libertà di commercio e di iniziativa economica). In questo senso, nell’ordinamento italiano, non sono mancate importanti pronunce sul punto, che hanno chiarito aspetti controversi della disciplina relativa al settore degli impianti da energia rinnovabile. La Corte costituzionale, con la sentenza 9 novembre 2011, n. 308, ha affermato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, c. 1, lett. a) e b), della legge della Regione Molise 23 dicembre 2010, n. 23, per violazione del riparto delle competenze (concorrenti) previsto dall’art. 117, co. III della Costituzione. In particolare la Regione aveva adottato un atto contrastante con il principio fondamentale fissato dall’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003, che prevede l’adozione di linee guida nazionali per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili; tali linee guida, a parere della Corte, costituirebbero – per quanto informate al principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni – corretta proiezione, sul piano normativo e nonostante la loro natura non legislativa, delle competenze costituzionali rilevanti nel settore. Il divieto arbitrario, generalizzato e indiscriminato di localizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili previsto dal legislatore regionale è stato quindi posto in essere in assenza di un’adeguata istruttoria diretta alla raccolta di tutti gli interessi coinvolti, realizzando per tale via non solo un contrasto con le legittime Linee guida nazionali ma, in aggiunta, nel vietare radicalmente lo sviluppo del settore delle energie rinnovabili in Regione, costituendo violazione degli obblighi promozionali previsto dalla normativa posta dall’Unione europea.

URBANPROMO Curata dalla società urbIT Urbanistica Italiana srl, Presieduta dal Professor Strefano Stanghellini su mandato di INU Istituto Nazionale di Urbanistica, si è svolta a Bologna a novembre 2012 la nona edizione di Urbanpromo con retrospettiva sulle precedenti otto “Urbanpromo, città trasformazioni investimenti”. Dal 2004 al 2010 infatti a Venezia ogni anno è stato organizzato l’evento di marketing urbano in cui INU, attraverso convegni, mostre, workshops, discussioni, ha promosso l’incontro con le realtà economiche,

finanziarie, accademiche, amministrative e progettuali, italiane ed europee. Nell’ottobre 2011 inoltre è stata promossa a Torino la preview Urbanpromo Social Housing (politiche abitative, progetti di nuovi insediamenti, innovazioni tecnologiche, risorse e strumenti finanziari, aspetti sociali, questione fiscale) con notevole seguito, tanto da consolidare nel 2012 l’esperienza in un ulteriore incontro volto alla revisione e completamento del “Manifesto Social Housing”. L’istant report del seminario di implementazione

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del manifesto, promosso da Compagnia di San Paolo, può essere scaricato dal sito internet di UP. Come nel 2011 sintesi delle elaborazioni di Torino sono state presentate nell’edizione bolognese del 2012 rinominata “Urbanpromo rigenerazione urbana” e volta alla stesura di un Libro Bianco sui patrimoni immobiliari pubblici e privati (www.urbanpromo.it). Per informazioni: Paola Ischia referente territoriale UP per Trentino-Alto Adige.


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Strumenti finanziari e programmatici per la strategia di adattamento ai cambiamenti climatici: rischi ed opportunità di Piero Pelizzaro Responsabile GdL Politiche di adattamento Kyoto Club

È evidente che l'approccio alle politiche di adattamento è estremamente complesso e necessita di elevati livelli di governance, soprattutto nella pianificazione di quelle politiche e quei servizi che non saranno forniti dal mercato, in quanto i benefici dell'adattamento saranno sia pubblici che privati. È dunque fondamentale chiarire il ruolo della politica pubblica e degli operatori privati nel processo adattivo alle nuove condizioni climatiche. L'orientamento che emerge dalla strategia per l'adattamento dell'UE (attuabile dal 2013) è quello di un approccio integrato di tipo top-down per l'inserimento delle misure necessarie nelle politiche settoriali, insieme ad attività di tipo bottom-up che comprendono piani di adattamento regionali (RASRegional Adaptation Strategies). Le strategie principali di un'azione pubblica richiedono quindi di aumentare la capacità adattiva del sistema socioeconomico in sincronia con la riduzione della vulnerabilità, fornire informazione, conoscenza e formazione adeguate e di alta qualità (rischi, vulnerabilità e costi dell'inazione), integrare l'adattamento nelle politiche esistenti soprattutto quelle climatiche, evitando una sovrapposizione di strumenti e cercando di sfruttare le potenzialità di adeguamento di strumenti già operativi. A tal proposito l'UE, nell'elaborazione del nuovo budget comunitario, sta definendo investimenti ed interventi che rispettino il principio del “Climate Proofing”, il quale, a partire dalle informazioni acquisite sulle principali minacce (rischi climatici) ed il loro impatto nei diversi settori economici, determini misure volte alla riduzione della vulnerabilità nei settori produttivi (climate changerisk). La metodologia adottata per la sua applicazione mira a potenziare l'orientamento, la formazione e le capacità materiali per un'efficace implementazione nella Politica Agricola Comunitaria. Come nelle Politiche di Coesione e di Sviluppo Regionale. Se per i finanziamenti alle misure di adattamento il ruolo delle istituzioni

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sembra delinearsi, tra i privati un ruolo fondamentale lo avrà il sistema assicurativo. Per capire come dovranno intervenire le compagnie assicurative è importante distinguere tra i diversi tipi di fornitori dei servizi finanziari, tenendo in considerazione che i singoli rami assicurativi differiscono significativamente in termini di tipologie di rischio (assicurazioni, rischi di credito e di investimento) e orizzonti temporali (da ore e giorni ad anni e decenni). Di conseguenza, i loro bisogni informativi sul cambiamento climatico, si differenziano in modo significativo: le previsioni e le analisi dovranno essere personalizzati per il tipo, la posizione e la base clienti dell'istituto finanziario in questione. Le compagnie di assicurazione dovrebbero dunque condividere le loro competenza di base per contribuire a creare una società clima-resiliente, rafforzando gli strumenti finanziari esistenti, con una ridefinizione degli strumenti assicurativi e aumentando le riserve economiche per eventi catastrofici. Se consideriamo in prima istanza le misure preventive, bisognerà fornire maggiori informazioni per la gestione del rischio per il settore pubblico e privato (Indice assicurativo climatico) e creare servizi alla clientela per prevenire le perdite. Per quanto riguarda invece le misure post-emergenza si dovrà aumentare la tempestività nei pagamenti ai clienti: sarà dunque necessario potenziare le struttura di emergenza ed i servizi di risposta per le richieste di risarcimento. È importante ricordare che la politica e le aziende dovrebbero tenere in maggiore considerazione le esternalità nel lungo periodo ed evitare i fenomeni cosiddetti di maladaptation, proprio perché, avendo a disposizione tutte le informazioni sulle varie politiche esistenti, la politica pubblica, in sinergia con il settore privato, può meglio valutare le eventuali sinergie e trade-off tra le varie misure messe in atto.


Le sempre più evidenti conseguenze dei cambiamenti climatici hanno obbligato le città a dotarsi di strumenti di pianificazione per la riduzione delle emissioni di CO2 e per adattarsi alle nuove condizioni atmosferiche

Le sempre più evidenti conseguenze dei cambiamenti climatici hanno obbligato le città a dotarsi di strumenti di pianificazione per la riduzione delle emissioni di CO2 e per adattarsi alle nuove condizioni atmosferiche. La situazione italiana che emerge dall'analisi effettuata, denota un grande impegno da parte delle città nel diffondere le fonti rinnovabili e nel promuovere interventi di risparmio energetico, pur in assenza di un piano energetico nazionale che dovrebbe essere il quadro generale entro le quale questi interventi vengono pianificati. I Comuni e Città italiani aderenti al Patto dei Sindaci (Covenant of Mayors) risultano essere un'altissima percentuale rispetto alla sommatoria degli aderenti europei. Il Patto dei Sindaci è ad oggi l'iniziativa comunitaria di pianificazione energetica più diffusa ed ha il grande pregio di vincolare le amministrazioni a sviluppare una Baseline Emission Inventory, strumento conoscitivo energetico-ambientale indispensabile per la redazione del PAES Piano d'Azione per le Energie Sostenibile, utile a meglio definire il livello di emissioni di CO2 e di criticità ambientali dei territori. Il PAES è diventato dal 2008, anno d'avvio del Patto dei Sindaci, lo strumento di programmazione energetica e di riduzione delle emissioni di CO2 più diffuso tra le municipalità italiane. Molte amministrazioni hanno saputo cogliere l'occasione per vincolare il proprio territorio e le amministrazioni future, ad obiettivi di riduzione dei gas climalteranti ambiziosi, andando oltre il 20% richiesto dalla Commissione Europea. Basti pensare che città come Torino si sono poste l'obiettivo di riduzione al 40%, Bari del 35% e Forlì del 25%. La grande diffusione del Patto e la volontà di raggiungere obiettivi importanti, denota una sempre maggiore consapevolezza da parte degli amministratori di dotarsi di strumenti per la mitigazione dei cambiamenti climatici, investendo risorse economiche e professionali per l'installazione di “centrali diffuse” sul territorio per la produzione di energia elettrica e termica da fonti rinnovabili. È altresì importante segnalare come le misure per

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l'efficienza energetica in molti casi hanno avuto il merito non solo di ridurre i costi della bolletta energetica delle amministrazioni ma anche di mettere in sicurezza e riqualificare scuole, impianti sportivi e centri per le attività ricreative da troppo tempo abbandonati a se stessi. Se sul versante della mitigazione ai cambiamenti climatici molto si è fatto e si farà, per gli aspetti di adattamento le città italiane soffrono maggiormente la mancanza di una strategia nazionale. Va ricordato che il nostro paese risulta essere tra i paesi fondatori della Comunità europea l'unico che non si è dotato di questo strumento di programmazione, necessario non solo a dare il quadro generale per gli interventi di adattamento ma per fornire maggiori informazioni sul tema, ancora oggi poco conosciuto. Se infatti guardiamo alle buone pratiche implementate negli ultimi anni, si evince come la maggior parte delle attività si siano concentrate sulla sensibilizzazione degli stakeholders da coinvolgere e per la formazione delle amministrazioni locali sulle pianificazione delle azioni. Tra questi vanno segnalati il progetto InterregIII AMICA e CRES Climaresilienti (finanziato dal MATTM), progetti di sensibilizzazione, informazione e formazione sulla progettazione climatica integrata. AMICA, concluso nel 2005, ha realizzato una metodologia ed un tool per la pianificazione integrata climatica, dove l'adattamento e la mitigazione sono visti come aspetti congiunti e non separati tra loro. Grazie a queste prime esperienze si evince che la pianificazione delle misure di adattamento risulta complicata a causa dell'elevato livello di incertezza degli scenari climatici futuri, troppo spesso scenari globali, non locali e di un'insufficiente quantificazione dei costi dell'inazione e delle misure stesse. A tal fine negli ultimi anni molteplici progetti di ricerca internazionali e nazionali sono stati implementati per sopperire a questa mancanza di dati certi su scala locale. L'elevato interesse che si è sviluppato in merito ai risultati dei Progetti CIRCE


Dossier: Le esperienze

L'oramai sempre più evidenti conseguenze derivanti dalla pressione antropica delle attività umane sull'ambiente terrestre, ci pongono davanti alla necessità di saper cogliere quelle opportunità di rigenerazione urbana necessarie per ridurre i costi ambientali

(6° UE Programma Quadro) e CIRCLE 2 (7°Programma Quadro) dimostrano la forte esigenza di queste informazioni. In particolare CIRCE ha permesso un downscaling degli scenari climatici per l'area del mediterraneo aumentando il livello di conoscenza dell'impatto dei CC a livelli locali. In entrambi i progetti i principali centri di ricerca italiani (ENEA, CNR, INGV, CMCC) hanno saputo portare un contributo importante non solo alle attività di ricerca ma anche alle città toscane e pugliese, beneficiare delle attività di progetto. Grazie ai finanziamenti del Settimo Programma Quadro dell'UE è stato possibile realizzare il progetto CLIMATECost (Partner italiano la Fondazione Eni Enrico Mattei di Venezia), che dimostra come i costi per le misure di adattamento ai cambiamenti climatici siano decisamente molto più convenienti rispetto ai costi che comporterebbe la mancata realizzazione di interventi per prevenire conseguenze catastrofiche, in termini di vite umane, danni alle infrastrutture energetiche e di trasporto, costi per la ricostruzione e per la sanità pubblica, a causa dei sempre più frequenti eventi atmosferici estremi. Basti pensare che nel solo 2010 le richieste delle regioni per lo stato d'emergenza corrisponde a quasi 574 milioni di € (Fonte: Legambiente), una cifra ben al di sopra dei costi per interventi di prevenzione del danno. Grazie al sempre maggiore flusso di conoscenza ed informazioni generato grazie a queste esperienze, tra la comunità scientifica e le istituzioni è stato possibile la realizzazione delle prime strategie e piani per l'adattamento ai cambiamenti climatici in Italia. Con i finanziamenti del programma INTERREG IVC si è dato vita al progetto GRABs - Green and Blue Space - che ha permesso alla fine del 2011 la finalizzazione del piano di adattamento ai cambiamenti climatici per la Provincia di Genova e di Catania e del toolkit ADAPTO, che permette di venire incontro alle esigenze di tenere conto delle modifiche dei fattori naturali in atto e previste, al fine di operare scelte indirizzate verso un miglioramento

dei rapporti tra le componenti antropiche e l'ambiente in cui queste sono inserite. ADAPTO valuta lo stato attuale di un territorio, “fotografato” mediante indicatori e permette successivamente la valutazione della vulnerabilità di alcuni parametri ambientali utili nel campo della pianificazione. Questo toolkit potrà essere utilizzato anche in altre territori urbani, così come il toolkit LAKS sviluppato dal Comune di Padova e di Reggio Emilia, prodotto grazie ai fondi del programma LIFE+LAKS – Local Accountability for Kyoto Goals – ha il pregio di integrare la metodologia adottata dal Patto dei Sindaci per la definizione dell'inventario delle emissioni e del PAES, con le esigenze conoscitive del territorio per la definizione di misure di adattamento, quali le opere di forestazione urbana e le infrastrutture blue; questi interventi possono avere il doppio vantaggio di ridurre le emissioni di CO2 e prepararci per l'aumento delle temperatura media e per l'intensificazione delle precipitazioni. Il progetto GRABs e LAKS rappresentano oggi le due possibile strade da intraprendere per non farsi cogliere impreparati negli anni avvenire. Infatti se GRABs propone la definizione di Piani di Adattamento, LAKS suggerisce l'integrazione delle azioni resilienti di adattamento con gli strumenti di pianificazione già esistenti, andando quindi a completare i PAES previsti dal Patto dei Sindaci. L'oramai sempre più evidenti conseguenze derivanti dalla pressione antropica delle attività umane sull'ambiente terrestre, ci pone davanti alla necessità di agire non solo per cercare di ridurre l'impatto delle nostre azioni quotidiane ma anche per saper cogliere quelle opportunità di rigenerazione urbana necessarie per ridurre i costi delle continue emergenze ambientali che si propongo nel nostro territorio.

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I temi della sostenibiltà Questioni di energia e clima nella recente attività dell'Istituto Nazionale di urbanistica di Simone Ombuen*

*Testo dell’audizione alla CNSS Consulta Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile istituita da CNEL Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro nell'ottobre 2011 per contribuire alla implementazione della Strategia Europea per lo sviluppo sostenibile e partecipazione al Tavolo di lavoro degli enti locali per il clima.

A partire dal convegno nazionale di Senigallia del novembre 2007 l'INU ha posto nuova attenzione ai temi dell'energia e degli effetti dei cambiamenti climatici, ed alle implicazioni che da tali temi conseguono sulle dinamiche territoriali. Questa attenzione ha portato alla formazione della Commissione nazionale Ambiente, energia, clima, consumo di suolo. Molte le iniziative da allora intraprese, fra le quali ricordo la partecipazione dell'INU al Tavolo nazionale per il Clima. L'Italia è di per sé un paese segnato da fragilità e rischi territoriali (sismici, idrogeologici), purtroppo gravemente sottovalutati, per cui la crescita insediativa, in particolare dagli anni '70 del '900 in poi, è andata costruendo un sistema territoriale che oggi si presenta gravemente esposto a problemi da molteplici punti di vista. Disordine ed irrazionalità che hanno portato a produrre un sistema insediativo paradossalmente connotato nel contempo da bassa densità, eccessivo consumo di suolo e da elevata congestione, e che si presenta oggi esposto a rischi che il procedere del cambiamento climatico sta sempre più amplificando. Irrazionalità insediative e fragilità infrastrutturale sono insieme causa e conseguenza di un modello di mobilità impostato sul trasporto privato e sulle fonti fossili, che oggi rappresenta una doppia criticità, sia per l'insostenibile livello di emissioni che per l'aggravio finanziario che produce sulla bilancia dei pagamenti. È per questi ed altri motivi che oggi è di fatto impossibile affrontare le emergenze del governo del territorio in Italia senza operare in modo congiunto su tutti e tre i pilastri individuati dalla pianificazione di struttura: sistema insediativo, infrastrutture, ambiente.Ma per i medesimi motivi è proprio il tema energia/clima ad apparire prioritario, per la sua capacità di produrre, attraverso le azioni ispirate alle sue priorità, trasformazioni che presentino contemporaneamente una molteplicità di positività: la capacità di produrre riordino insediativo, la riqualificazione e l'efficientamento del patrimonio edilizio, la riduzione del consumo di suolo, la riduzione delle emissioni climalteranti, la riduzione della bolletta energetica del Paese, la riduzione strategica della dipendenza energetica, la liberazione di risorse finanziarie. E non ultimo l'offerta di occasioni di nuovo lavoro e di nuovi campi di ricerca applicata e di sviluppo industriale, riportando il Paese a

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competere nella divisione internazionale del lavoro che proprio su queste prospettive sta definendo il campo della competizione globale. Fra le attività compiute dalla Commissione su questi temi si segnala una elaborazione svolta nel luglio 2012 nell'ambito della partecipazione dell'INU ai lavori della Commissione IV del CNEL per le reti infrastrutturali, i trasporti, le politiche energetiche e l'ambiente. Al fine di giungere sui temi energetici ad una posizione ampiamente condivisa fra le parti economico-sociali che formano la sua base costitutiva, Il CNEL ha posto a vari interlocutori una serie di quesiti, rispondendo ai quali la Commissione ha avuto modo di mettere a fuoco e condividere alcuni approcci generali ai temi climatico-energetici, che risulteranno anche utili per esprimere un punto di vista dell'INU sul documento di Strategia Energetica Nazionale, prodotto dal Governo e oggi in consultazione pubblica. I concetti centrali di tale elaborazione sono riconducibili ad alcune parole chiave, che nel documento - a cui per brevità si rimanda - sono opportunamente anche se sinteticamente dettagliate. Esse sono: tendenziale autosufficienza energetica; decarbonizzazione; innovazione tecnologica e di processo; andare oltre Europa 2020; distrettualizzazione energetica del territorio; strategie per la mitigazione e l'adattamento. Quanto alla SEN, se rappresenta un importante atto di rinnovamento rispetto all'ultimo ed insoddisfacente Piano Energetico Nazionale, fa registrare la compresenza di obiettivi pienamente condivisibili a fianco di elementi degni di critica. l'INU intende presentare un documento di osservazioni alla proposta del Governo; alcuni elementi, derivati dall'impianto concettuale già messo a fuoco in sede CNEL, meritano comunque di essere qui segnalati in anteprima. È impossibile promuovere l'Italia ad hub meridionale del gas per l'Europa, come propone la SEN, senza aver esplicitamente concordato tale aspetto all'interno di una strategia europea in materia di energia. Non è possibile assumere i pur condivisibili obiettivi di riduzione dei consumi energetici del 20% entro il 2020, basato su interventi in materia di efficienza energetica, senza dare a tale obiettivo le opportune gambe operative, in particolare in considerazione del fatto che la larghissima maggioranza delle riduzioni possibili di consumi energetici


Dossier: Le esperienze

inefficienti va sviluppata attraverso interventi che riguardano il sistema insediativo e le infrastrutture di mobilità. Così come già viene indicato per la rete elettrica, anche la rete gas nazionale va promossa a rete di compensazione territoriale, rendendola capace non solo di distribuire gas proveniente dai giacimenti o dalle importazioni, ma anche di ricevere la produzione locale di metano proveniente dagli impianti terminali dei cicli territoriali di rifiuti, acque reflue e biomasse agricole che siano in grado di darsi standard produttivi di qualità (depurazione dei gas prodotti). Tale razionalizzazione va condotta assieme al disegno di una nuova rete nazionale di distributori di biocombustibili per autotrazione, potenziando la rete metano già esistente. Se poi si osserva la nuova SEN con uno sguardo di più lungo periodo e di più ampi orizzonti, un elemento risalta più di altri. Si tratta di una imperdibile occasione per affermare un nuovo paradigma produttivo. La transizione alla decarbonizzazione, ad una economia a basse emissioni climalteranti, chiede un diverso modo di guardare alla città ed al territorio. Il concetto di chiusura dei cicli (acque, rifiuti, materia) va esteso all'energia, nella prospettiva di una valutazione euristica delle retroazioni sistematiche fra le diverse componenti sistemiche. Gli stessi concetti di “ecologia industriale” o di “metabolismo industriale” vanno opportunamente ricompresi nel quadro di un sistema territorializzato di interdipendenze, non solo al fine di individuare una “capacità di carico” delle componenti ambientali congruente al footprint prodotto dalle componenti di pressione, ma più latamente per individuare congiuntamente le risorse ecosistemiche e quelle antropiche che si dimostrino utilizzabili per la realizzazione di nuovo e diverso sviluppo. Occorre un radicale cambiamento di paradigma logico ed attraverso la metodica chiusura dei cicli portare a esito progetti di valorizzazione basati su concrete applicazioni del paradigma della auto sostenibilità. Occorre uscire dalla logica degli impatti ammissibili, quella che ha sostenuto la nascita della VIA, dato che il livello di pressione sulle risorse ritenuto ammissibile è in realtà destinato a variare (a ridursi) al variare delle condizioni di contesto. Da oggi è invece necessario entrare in una modalità valutativa nella quale l'integrazione sistematica dei

cicli è in grado di produrre sistemi ad impatto tendenziale zero, o addirittura a contro impatto (in grado di produrre benefici ambientali). La città è il luogo storico di concentrazione della domanda di energia, e la forma della città è sempre stata in relazione con il suo ciclo energetico. La città della ultima trascorsa fase era strettamente connessa al pervasivo ed insostenibile utilizzo della mobilità privata di massa. Ma l'insostenibile livello di consumo di suolo ad essa connesso non è ammissibile in futuro, e non basta rimpiazzare fonti fossili con FER: occorre ridurre il consumo energetico globale, ridurre l'intensità energetica del Paese ed incrementarne l'efficienza, in coerenza con le prospettive tracciate a livello di Unione Europea nella prospettiva della roadmap al 2050 (vedi grafico, da Rapporto REF-E 2012), che prevedono una diminuzione della domanda globale di energia, ed una espansione dell'elettrico da rinnovabili destinato a coprire quote sempre più ampie dell'offerta, fino all'estinzione dell'elettrico da fonti fossili, sostituito da accumulo e biomasse nella sua funzione di compensazione del rapporto fra offerta e domanda. L'Italia è già uno dei paesi del Mondo a più bassa intensità energetica, e il più energeticamente efficiente del G20; lungi dal gratificarci, ciò va visto come una grande opportunità, in termini di capacità di consolidare una leadership mondiale già esistente, nel momento in cui i più grandi Paesi (Stati Uniti, Cina, Germania, Giappone) stanno lanciandosi su questo terreno per definire la competizione globale e ridurre la loro dipendenza estera da fonti fossili. Applicare questo pensiero alla città vuol dire individuare concreti terreni nei quali inserire elementi propositivi. Un primo tema è quello della gestione energetica della città. La riduzione dei consumi energetici degli immobili si gioca su due dimensioni fondamentali: riduzione delle dispersioni ed efficienza nella produzione e nell'uso dell'energia, soprattutto negli usi termici (riscaldamento e raffrescamento). Mentre per la prima occorrono soprattutto interventi di coibentazione di coperture, murature, infissi e impianti, che si svolgono essenzialmente alla scala dell'edificio, per la seconda, servono unità di gestione di scala maggiore, da gruppi di edifici e isolati a interi quartieri, a causa di tipiche soglie nell'efficienza dei sistemi (recupero di calore,

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geotermia a bassa entalpia, trigenerazione, ecc.). Si tratta di indicazioni già contenute nei Piani Energetici Comunali più avanzati, che abbisognano di strumenti operativi e gestionali adeguati, quali i distretti energetici (urbani o territoriali), all'interno dei quali operare le valutazioni di efficienza ed economicità, e successivamente la gestione operativa delle diverse operazioni necessarie all'efficientamento. Occorre poi includere nel novero delle possibilità anche programmi di demolizione e ricostruzione del patrimonio più inefficiente e di scarsa qualità edilizia, considerando in tali occasioni anche le opzioni di trasferimento insediativo che sono in grado di assommare all'innalzamento della intrinseca efficienza energetica edilizia anche una più elevata efficienza insediativa, con l'abbattimento dei consumi energetici connessi a mobilità, accessibilità, economie nella gestione delle reti. Demolire e ricostruire un edificio vale di più se nell'occasione lo si trasferisce da una zona di difficile accessibilità ad un ambito a ridosso dei sistemi di trasporto pubblico su ferro e già servito da sistemi avanzati di gestione dei reflui (con incremento della produttività dell'investimento pubblico). C'è inoltre una riflessione da compiere sul patrimonio edilizio delle città, soprattutto di quelle da una certa dimensione in su, che vede oggi lo sviluppo di un impressionante processo di dismissioni funzionali, che sotto l'incalzare della crisi coinvolge non solo una parte sempre più importante delle attività produttive, ma anche sezioni crescenti delle strutture pubbliche, sia di amministrazione che di welfare. E queste nuove dismissioni si vanno ad aggiungere al già rilevantissimo patrimonio di brownfields che il ciclo di deindustrializzazione e di trasformazione del welfare ci ha lasciato, che in gran parte ancora giace abbandonato nelle periferie interne delle nostre città. Occorre pensare differentemente al destino di tali realtà, anche in una prospettiva di governo trans-scalare della trasformazione urbana (Ombuen 2005). Guardando realisticamente alla prospettiva, non è pensabile di continuare a riempire di residenze tutte le aree dismesse d'Italia. Esse hanno spesso delle caratteristiche che le rendono molto importanti per il nostro futuro. Si trovano in buona parte situate nelle prime periferie a ridosso delle parti compatte delle città; hanno un buon grado di infrastrutturazione (strade, fognatura, connessioni

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ferroviarie, energia, TLC); sono a proprietà accorpata, non frazionate; in alcuni casi sono già di proprietà pubblica; il permanere dell'abbandono costituisce un problema sociale ed ambientale; inoltre per un uso residenziale necessiterebbero spesso di bonifica integrale, mentre per molti dei nuovi possibili usi industriali sarebbero sufficienti interventi di messa in sicurezza e stabilizzazione, con l'arresto delle emissioni. Tale rilevante (e crescente) patrimonio, stante la bassa o nulla tensione produttiva nella trasformazione urbana prodottasi con il blocco del mercato immobiliare, può oggi trovare un ruolo determinante nella prospettiva della chiusura a livello territoriale dei cicli energetico-ambientali. Tali complessi immobiliari possono (devono) diventare i caposaldi dei distretti urbani di efficientamento, assommando funzioni nel ciclo delle acque, nel ciclo dei rifiuti, nella produzione energetica nelle FER (eolico, fotovoltaico, biomasse, geotermico a bassa entalpia), gangli della rete di distribuzione termica agli edifici privati. È per questi motivi che è necessaria l'affermazione di nuovi paradigmi della de carbonizzazione e della economia solidale verde, ben oltre una visione settoriale: perché in essi è possibile rintracciare i riferimenti per dare al Paese la possibilità di una riconquista di un suo possibile futuro. Un atto oggi indispensabile perché, come dice Seneca, “nessun vento è propizio per il marinaio che non sa dove andare”.

Bibliografia Cutaia L., Morabito R. (2012) “Sostenibilità dei sistemi produttivi. Strumenti e tecnologie verso la green economy”, ENEA, Roma De Pascali P. (2008) “Città ed energia. La valenza energetica dell'organizzazione insediativa”, Angeli, Milano Fitoussi J.P., Laurent E. (2009) “La nuova ecologia politica. Economia e sviluppo umano”, Feltrinelli, Milano Ombuen S. (2005) “LUDA: nodi delle reti europee per una governance trans-scalare” in Urbanistica Dossier n. 74, INU Edizioni, Roma Rapporto REF-E per il WWF Italia (2012), “Obiettivo 2050. Per una roadmap energetica al 2050”


OperativitĂ e strumenti della Provincia autonoma di Trento

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Verso l'opzione riconvertire e recuperare

zero:

Intervista a Roberto Bombarda a cura di Giovanna Ulrici

Presidente, questo numero di Sentieri Urbani mette di nuovo al centro temi ambientali: siamo convinti che siano di fondamento al successo della riforma urbanistica. Dieci anni fa la Provincia autonoma di Trento commissionò uno Studio sullo Sviluppo Sostenibile all'Università di Trento, studio che aveva relativizzato alcune convinzioni in tema di impatti e per la prima volta, aveva raccolto misure e dati concreti intersettoriali. Da allora tanti programmi e iniziative hanno preso forma, noi vorremmo tentare un bilancio di queste azioni, passando attraverso uno sguardo anche extralocale, per esempio attraverso la testimonianza dei giovani che hanno partecipato all'ultimo forum di Rio. Quale il suo punto di vista?

Roberto Bombarda, Consigliere della Provincia autonoma di Trento è presidente della III commissione permanente del Consiglio

Io una proposta, forse un po' provocatoria, l'ho fatta, ed è l'opzione zero: non espandersi e non utilizzare nuovo suolo, ma solo riconvertire e recuperare. Questo criterio può essere impiegato ovunque. Mi sembra che ci sia molto effetto cartolina in Trentino. È giusto presentare ciò che è bello e che funziona, ma si tralasciano una quantità infinita di contraddizioni: i problemi dei fondovalle e la devastazione della Busa tra Arco e Riva ad esempio. È possibile fermare questo scempio? Luca Mercalli, nel bel libro “Le mucche non mangiano cemento”, dimostra come si sia giunti ad un punto non più sostenibile. Sul piano dei proclami e dei progetti a livello teorico il Trentino non ha uguali. L'Atto di sviluppo sul turismo è un testo meraviglioso, ma poi emergono troppe contraddizioni nella politica concreta. Il Trentino è oggettivamente una delle aree con i più elevati parametri di tutela, ad avvantaggiarci c'è però una bassa pressione antropica, con una grande quantità di turisti concentrati in pochi luoghi e quindi con impatti più gestibili. Il tema delle contraddizioni si lega al tema del consenso e dei meccanismi di voto e di governo. Lei presiede la III Commissione Legislativa, deputata ad occuparsi dei temi ambientali, urbanistici e della mobilità. In questo ultimo scorcio di legislatura stanno maturando contributi ai temi della sostenibilità? Va tenuto presente che la Terza commissione non

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Dossier: Il Trentino

La Valutazione Ambientale Strategica non deve ridursi a passaggio procedurale, fine a se stesso: è un processo culturale prima ancora che metodologico

propone, agisce sulla base delle proposte di legge che giungono dagli organi provinciali. Il Consiglio provinciale funziona sulla base del principio della programmazione, definita nell'ambito della conferenza dei capigruppo. Le priorità vengono assegnate alle Commissioni, che agiscono quindi sulla base di questi indirizzi e proposte. Con questo principio abbiamo licenziato alcune leggi importanti, come quella più recente sull'energia e sulle fonti rinnovabili. Tema complesso, sette disegni di legge da unire, un iter molto lungo e una tematica che intreccia direttive nazionali con un riordino sulle competenze in materia di energia tra Provincia, Comuni e Comunità. Questa legge potenzia la ricerca, la formazione e l'educazione; il risparmio energetico nel pubblico; la formazione per i tecnici e allarga l'erogazione dei contributi della Provincia alle nuove tecnologie ecc. Il trentino ha buone leggi ma dobbiamo vedere se riusciamo a coniugare la bontà dell'idea con la sua piena attuazione. In Trentino al Consiglio competono gli Atti di indirizzo e alla Giunta la potestà regolamentare ma con l'obbligo di parere della Commissione su regolamenti e delibere attuative: nei campi dei trasporti, dell'urbanistica e ambientale, il parere c'è ed è un modo per mantenere il controllo del legislatore. Un'amarezza? In Commissione si svolge moltissimo lavoro ma di questo poco si sa. Si tratta di un lavoro difficile, anche per le alte competenze richieste, ma purtroppo questo è vanificato da un'opinione imperante molto negativa sulla politica. La Riforma urbanistica provinciale: dal punto di vista dell'ambiente, come valuta approccio e strumenti introdotti con la Legge Provinciale 1/2008 e con il Piano Urbanistico Provinciale? I nuovi strumenti mi paiono interessanti ed appropriati. La Valutazione Ambientale Strategica non deve ridursi a passaggio procedurale, autoreferenziale: è un processo culturale prima ancora che metodologico. Ci sono tempi lunghi, anche per nuovi strumenti, per introdurre nuove modalità, che sono molto partecipative. I processi partecipati, per loro natura, fanno emergere

contraddizioni o visioni diverse che possono generare conflitti e quindi allungamenti di tempi e questo si scontra con il primo comandamento del dover fare presto e decidere, dare risposte veloci. Invece il processo partecipativo fa risparmiare, crea consenso a monte, evitando conflitti e sospensioni dei processi a valle delle decisioni. Ho concorso alla formazione della riforma urbanistica, lavorando nella III Commissione legislativa. Abbiamo svolto un lavoro molto impegnativo nella scorsa legislatura: sono andate avanti insieme la L.P. 11/2007, la L.P. 1/2008 e il PUP. Questo spiega anche i tempi lunghi per passare dal Disegno di legge 77 del 2004 sui nuovi parchi alla Legge 11 del 2007: tempi necessari anche per il procedere parallelo di tutte queste norme. La comprensione della legge urbanistica non può però prescindere da un cardine introdotto con la riforma amministrativa: la L.P. 3 del 2006 ha ribaltato il modo di governare il Trentino, oggi la Provincia detta il quadro di riferimento ma riconosce alle comunità locali l'iniziativa su alcuni settori, come l'istituzione delle aree protette. Per fare un esempio, con la legge 3 del 2006 non è più possibile istituire parchi “dall'alto”: ora l'iter della 11/2007 prevede un processo dal basso, l'iniziativa degli stessi territori. Le nuove Comunità di Valle hanno ampi spazi di manovra: questo esercizio di governo è già nei fatti? È tuttora una scommessa. Per questo trovo sia paradossale che oggi lo Stato tolga poteri ai livelli locali. Per quanto riguarda le novità nel settore delle aree protette, con il disegno di legge n 335 si chiariscono meglio i diversi ruoli, mantenendo la possibilità che la PAT riconosca l'elevato valore di un territorio e lo dica in legge, demandando poi la nascita dell'istituto di tutela ad un accordo di programma. Oggi la legge è ancora in fase di revisione e trattativa. La modifica specifica meglio nuovi istituti, come quello del Parco fluviale e del Geoparco, che potrebbe funzionare per i siti Unesco: aree protette ma non Parchi (è il caso delle aree di Catinaccio, Marmolada, Lagorai) anche per superare certe resistenze al termine “parco”. Il Geoparco è un

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istituto riconosciuto a livello mondiale, un'area che tutela in particolare siti di valore geologico e geomorfologico. Non possiamo omettere di osservare come l'atteggiamento dello Stato centrale, anche su questi temi, sia recentemente cambiato: per erodere le competenze regionali, sembra ambire ad impossessarsi delle tutele ambientali e dell'urbanistica. Certo che un Decreto non è sufficiente per annullare autonomie costituzionali. Ciò è evidente anche nel campo dell'energia, dove ci sono espliciti attacchi alle competenze provinciali, per un mero interesse economico. Abbiamo attuato il PGUAP, introdotto principi sul deflusso minimo vitale, ottenuto i canoni idroelettrici per il ripristino ambientale dei danni dovuti a decenni di sfruttamento idroelettrico e ora si mette in discussione l'autonomia? Come è cambiato l'atteggiamento delle popolazioni locali nei confronti della istituzione di un'area protetta? Non si può negare che ancora esistano forme anche accese di opposizione, generate dall'idea del parco come vincolo, come possibile blocco dello sviluppo. La prima opposizione viene dal mondo della caccia: i cacciatori sono profondi conoscitori del territorio. La provincia di Trento, sulla base della sua autonomia, ha creato un sistema di gestione delle aree protette, nelle quali – anche perché sono nate molto tempo dopo che si praticava la caccia di selezione – in determinati casi l'attività venatoria è consentita, con regole, piani e controlli. I cacciatori dicono: se lo Stato impone che anche nei parchi provinciali, in quanto parchi, valgono le norme nazionali, non possiamo più cacciare. L'Adamello Brenta, un decimo del territorio trentino, potrebbe non poter permettere la caccia. Ecco quindi spiegata la loro contrarietà ai parchi e va tenuto presente che si tratta di una lobby gigantesca non tanto per l'economia ma per la diffusa presenza di cacciatori tra le fila degli amministratori locali. Al contrario ritengo che l'altra principale ragione di opposizione, legata all'idea che non si può più costruire, sia stata fortemente ridimensionata. Nei parchi si può ricostruire, c'è la possibilità di partire da un sedime di un edificio presente in catasto e legare la ricostruzione ad una manutenzione del territorio circostante, come

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l'obbligo dello sfalcio dei prati. Ritengo queste forme molto positive. Anche il settore turistico immobiliare ha capito certi divieti e certe logiche di tutela. La normativa si è evoluta, nella direzione di ammettere molto ma agendo con buon senso, con una progettazione attenta, con una valutazione degli impatti a lungo termine, con compensazioni: ora c'è attenzione sia nelle modalità, sia nel quando ri-costruire, sia nell'impegno di presidio del territorio. Il parco sicuramente aiuta la gestione anche nelle aree esterne al parco: le zone protette sono aree di sperimentazione di buone pratiche, dove sviluppare un modo di costruire, un uso di materiali più coerente con il territorio, una maggiore attenzione sul tema dell'uso dell'energia con basso consumo o con fonti rinnovabili, facendo una sperimentazione utile per tutto il territorio. Torniamo allo Studio sullo Sviluppo Sostenibile: i dati di quello studio dimostravano il sacrificio del Trentino in termini di inquinamento da traffico stradale. Parlare di mobilità oggi significa partire dal progetto Metroland, al quale vorrei tanto venisse cambiato il nome, per ripartire dall'inizio dimenticando una semplificazione progettuale che ha impoverito e confuso il fortissimo messaggio iniziale. Chiamiamolo “Progetto di Mobilità ecologica”, ma riconosciamo che l'idea di una mobilità trentina su ferro è fantastica. Metroland è apparso fra la prima e la seconda adozione del PUP, il che è di per se una bestemmia: la prima adozione aveva aperto il termine per le osservazioni - furono oltre mille – mentre la seconda andava concepita solo per i dettagli, mentre venne inserita l'idea di Metroland che non cambia solo la mobilità ma il modo di vivere del Trentino. Riconosco a questa invenzione un contenuto geniale, ma nel metodo è stata una cosa calata dall'alto senza partecipazione. Siamo in un territorio alpino, nel quale la mobilità costa. Quale è il vettore più ecologico? Il ferro. Come hanno agito altre realtà alpine? Con la mobilità ferroviaria. Se quello su ferro è un sistema di mobilità alternativa per il Trentino, è anche un sistema per cambiare la vita a migliaia di trentini,


Dossier: Il Trentino

Il limite più grosso del Trentino è l'autoreferenzialità Ma la forza dell'autonomia è nell'apertura non nella chiusura Ce l'ha insegnato Alcide Degasperi

ridurre risorse energetiche, ecc. All'inizio si proponevano gallerie a doppia canna, con un impatto devastante, costi di realizzazione giganteschi. Io mi prendo il merito di avere proposto con Marco Danzi della Qnex di Bolzano la rielaborazione della proposta di Metroland, dimostrando ai fini della mobilità complessiva come quel primo progetto fosse tecnicamente sbagliato. La versione attuale, ancora da perfezionare, è fortemente ridimensionata. Per esempio, per la mobilità ferroviaria all'interno delle valli, i mezzi di trasporto non devono e non dovranno mai viaggiare a velocità superiore a 120-130 Km/h: ciò per fare più fermate e per raccogliere più gente possibile. La prima versione aveva pochissime fermate, per avere grande velocità, ma necessitava di una sezione dei tunnel di grande dimensione. Nella nostra versione invece si possono avere gallerie come le vecchie gallerie di Fiemme, meno della metà di quelle stradali, rinunciando inoltre alla doppia canna ma ricorrendo ad un interscambio all'uscita dei tunnel. Risultato economico: il costo lo riduci ad un terzo delle previsioni iniziali. Inoltre: il Trentino ha già assi ferroviari su valli laterali, manca verso le Giudicarie, la Busa (Arco - Riva) e le valli dell'Avisio. Metroland deve prima di tutto valorizzare e migliorare quello che c'è. Il nuovo collegamento con il Garda, con tratti rettificati, dovrebbe muoversi in superficie: in termini di mobilità ferroviaria locale, occuperebbe il terreno di una ciclabile. Basti pensare che oggi la ciclabile Nago -Torbole- Rovereto viaggia sul sedime della vecchia ferrovia. Fa più danno mettere migliaia di persone su auto e autobus inefficienti o su una rete ferroviaria? Se Metroland fosse ciò che ti dico, sarebbe la migliore idea di sviluppo del Trentino nei decenni passati e futuri. Il discorso merci l'abbiamo approfondito, per esempio per la Rovereto-Riva abbiamo pensato uno scalo merci. Con i treni ad alta velocità le merci sono incompatibili. Ma con velocità minore puoi scegliere: puoi fare viaggiare di notte le merci. Metroland è stato pensato in funzione dell'asse del Brennero, per cogliere l'occasione di non essere solo luogo di transito.

Ci aiuti a capire le potenzialità della Convenzione delle Alpi e il peso che può avere per il Trentino la delega nazionale alla sua valorizzazione. Il tema della Convenzione l'ho sempre citato come modello di buone pratiche. Fu un mio ordine del giorno (rif. OdG 113 del 17.12.2009) ad impegnare la Giunta provinciale ad adeguarsi agli obiettivi dei Protocolli attuativi della Convenzione. Nel mio lavoro mi avvalsi anche del supporto di Cipra: anche in questo le associazioni svolgono un ruolo sussidiario rispetto alle istituzioni, che non sempre ne tengono conto. Cipra, per ogni protocollo, aveva confrontato lo stato di attuazione nelle varie regioni alpine: anche qui ci aveva lavorato Fulvio Forrer con Gigi Casanova. Con questo lavoro ho dimostrato che era necessario un adeguamento in campo turistico, urbanistico, delle politiche agricole e l'ordine del giorno impegnava la Provincia di Trento “come se” i Protocolli fossero già stati ratificati. Sono convinto oggi che la realtà della Convenzione si sposi con il tema della Macroregione delle Alpi, altro tema che sta passando sotto silenzio, nella indifferenza del nostro Stato nazionale. La macroregione delle Alpi non sarà una nuova istituzione, ma consentirà - e sollecito il Trentino ad essere protagonista in questo - di costituire una lobby di alpigiani e pesare di più a Bruxelles nelle politiche europee. Il quadro in cui deve agire il Trentino è quello alpino, da cui può imparare delle buone pratiche. Ho pure proposto un progetto Erasmus delle Alpi, per favorire interscambi e per far nascere le Alpi dal basso. Come l'Erasmus ha consentito di creare un sentimento di europeismo dal basso, così si può creare un nuovo spirito “alpino”. Tutti i processi hanno bisogno di spinte dal basso e in questo l'Erasmus è stato eccezionale. Noi dobbiamo fare la stessa cosa per le Alpi e fare girare i nostri studenti con scambi. Non abbiamo che da imparare, e dobbiamo imparare da situazioni simili alla nostra. Il limite più grosso del Trentino è l'autoreferenzialità e l'idea che non ci siano esempi all'esterno da cui imparare. Ma la forza dell'autonomia è nell'apertura non nella chiusura, ce l'ha insegnato Alcide Degasperi.

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Un PA.S.SO. avanti per le politiche ambientali del Trentino di Susanna Sieff Assessorato all'Ambiente, Provincia autonoma di Trento

Il primo “Atto di indirizzo sullo sviluppo sostenibile” è stato adottato nel giugno 2000 dalla Giunta provinciale per definire i caratteri specifici dello sviluppo sostenibile del territorio trentino nel decennio 2000/2010. Concluso il suo periodo di validità si è manifestata la volontà di proseguire assumendo nuovi impegni per il futuro, in una prospettiva di miglioramento continuo che faccia dei risultati conseguiti le precondizioni per raggiungere obiettivi sempre più ambiziosi. Nasce da questo presupposto il nuovo PA.S.SO. – “Patto per lo Sviluppo Sostenibile 2020 e oltre”, che intende quindi fornire indicazioni e impegni su strategie sostenibili di lungo periodo, fungendo da “lente di ingrandimento” che parte dalle politiche promosse dall'Europa per puntare l'attenzione sull'Italia e infine sulla provincia di Trento, sulle sue peculiarità e sui rapporti con territorio e istituzioni. Il PA.S.SO. offre infatti agli attori territoriali trentini un quadro strategico complessivo, da qui al 2020, che trova i suoi punti di forza nella condivisione dei contenuti attraverso la partecipazione attiva dell'amministrazione provinciale, della cittadinanza e del territorio (Associazioni, Enti di ricerca, Associazioni di Categoria, Università, Musei, Amministrazioni Pubbliche e portatori di interesse) e nel sistema di valutazione della sua efficacia nel tempo (attraverso 22 indicatori), facendo proprie le tendenze internazionali che si muovono verso una “governance della sostenibilità” più operativa, misurabile, coordinata e diffusa che incrementi i processi di innovazione territoriale. Il documento, come si presenta attualmente, comprende 5 strategie (Agenda, Biodiversità, Cicli di vita, Democrazia ed Energia) che contengono 24 obiettivi, a loro volta dettagliati in 108 azioni concrete. Le tematiche affrontate nel PA.S.SO. rispecchiano una nuova concezione della sostenibilità non più legata esclusivamente alle tematiche strettamente ambientali, ma rivolta all'innovazione sociale e sinergica rispetto al contesto socioeconomico, culturale e democratico di un territorio. Il PA.S.SO. è una documento costruito con quegli attori

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territoriali che saranno chiamati ad attuarlo nel tempo. L'individuazione di azioni e obiettivi è scaturita da un lungo processo di coinvolgimento e condivisione del documento da parte dei competenti uffici provinciali, che hanno saputo tradurre obiettivi strategici specifici in un contesto più coordinato di azioni sinergiche. È un documento in divenire e quindi ancora modificabile, è infatti attivo un blog www.passo.tn.it, nel quali i cittadini possono proporre integrazioni e miglioramenti ad azioni, obiettivi ed indicatori. Grande successo ha riscosso anche la chat attivata, che ha permesso ai cittadini di interfacciarsi direttamente con l'Assessore all'Ambiente della Provincia, Alberto Pacher. Alla conclusione di questa fase di confronto, quando il documento sarà definitivo, attori e portatori di interesse potranno sottoscriverlo, impegnandosi così ad agire congiuntamente per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità che essi stessi hanno contribuito a definire e che assicureranno un territorio vivibile e qualificato per le generazioni future. Il tema della partecipazione, dell'accesso all'informazione e della comunicazione ambientale e la promozione della edemocracy rappresentano riferimenti sempre più presenti nel quadro normativo e programmatico comunitario, internazionale e nazionale sullo sviluppo sostenibile. La capacità di apertura delle istituzioni pubbliche per rendere trasparenti i processi decisionali, innescando meccanismi di coinvolgimento dei cittadini e dei diversi attori, è alla base del nuovo modo di concepire l'azione pubblica e l'elaborazione delle politiche, improntato sui principi di trasparenza, apertura e partecipazione che, secondo l'Unione Europea, definiscono la lungimirante gestione di un territorio. Il Trentino si pone quindi come Provincia all'avanguardia, capace di affrontare le sfide del futuro e di promuovere una società dell'informazione inclusiva, i cui benefici sociali economici e ambientali possano e devono essere allargati a tutti


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Il percorso della Provincia autonoma di Trento sul tema dei cambiamenti climatici di Roberto Barbiero Osservatorio Trentino sul Clima

Il tema dei cambiamenti climatici è divenuto argomento di dominio pubblico specie a seguito della pubblicazione del rapporto “Climate Change 2007” dell'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) contenente le evidenze scientifiche del riscaldamento in atto e della responsabilità del ruolo antropico. Del resto i cambiamenti climatici a livello planetario rappresentano il segnale più evidente di una più generale modifica e trasformazione dell’ambiente naturale avvenuta dall’inizio dell’era industriale a causa dell’azione dell’uomo. Le proiezioni climatiche indicano tra l’altro come le Alpi saranno tra le zone del pianeta dove le conseguenze del mutamento climatico si manifesteranno con maggiore intensità producendo effetti significativi sugli ecosistemi terrestri e acquatici e sulla salute umana con importanti conseguenze anche sulle componenti primarie dell’economia e della società quali l’agricoltura, il turismo e le infrastrutture. Anche nella nostra regione il tema dei cambiamenti climatici è pertanto diventato di fondamentale interesse e la Provincia autonoma di Trento ha avviato un percorso che ha avuto inizio con una prima analisi della conoscenza sui cambiamenti climatici in atto e attesi per valutare di conseguenza quali settori risultassero maggiormente vulnerabili per gli impatti indotti. I risultati di questa analisi sono stati presentati nel corso della manifestazione Trentino Clima 2008, tenutasi a Trento dal 20 al 24 febbraio 2008, assieme ad una pubblicazione “Previsioni e conseguenze dei cambiamenti climatici in Trentino”- che ha raccolto la sintesi degli studi condotti. Dall’analisi dei dati disponibili tale sintesi ha permesso di identificare prima di tutto lo stato dell’arte sulle variazioni climatiche in atto; quindi di identificare i settori maggiormente vulnerabili quali la gestione delle risorse idriche, il turismo, l’energia e l’industria, l’ambiente e la pianificazione e in funzione dei possibili scenari futuri ha consentito di tracciare delle possibili linee di azione sia per quanto riguarda l’adattamento ai cambiamenti climatici sia per quanto riguarda la mitigazione delle emissioni di gas serra. Questa prima fase ha permesso di identificare anche alcune criticità e ha fatto emergere in particolare la necessità di garantire il coordinamento delle realtà impegnate a vario titolo sul territorio Trentino nello studio dei cambiamenti climatici e dei relativi impatti.

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Gli strumenti normativi e organizzativi Un primo passo importante è stato fatto con l’introduzione di un apposito “Fondo per il Cambiamento Climatico” (L.P. 21 dicembre 2007, n. 23) che ha permesso di finanziare una serie di attività: eventi, convegni, manifestazioni a carattere informativo e formativo; campagne di informazione e di educazione ambientale sul tema dei cambiamenti climatici; attività di studio o ricerca a carattere sperimentale ed innovativo nel settore dei cambiamenti climatici. In seguito per orientare e disciplinare in modo adeguato le azioni per fronteggiare il cambiamento climatico la Provincia si è dotata di una apposita legge, unica in Italia, denominata “Il Trentino per la protezione del clima”, (L.P. 9 marzo 2010, n. 5) che prevede la definizione delle strategie e degli interventi della Provincia per fronteggiare il cambiamento climatico adottando appropriate misure di adattamento e di mitigazione. Tra gli obiettivi della Legge vale la pena menzionare i seguenti: Istituisce la rete di monitoraggio climaticoambientale, basata sulle stazioni di rilevamento presenti nel territorio provinciale, per garantire la costanza e la qualità della raccolta, della validazione, del controllo e della distribuzione dei dati sul clima e l'ambiente. Definisce specifici obiettivi da conseguire nel medio e lungo periodo, per ridurre la dipendenza da fonti energetiche non rinnovabili, conservare la biodiversità e aumentare la biomassa, in particolare quella boschiva, per incrementare la capacità di assorbimento della CO2 e degli altri gas climalteranti da parte degli ecosistemi. Orienta le attività e gli strumenti di pianificazione e di programmazione provinciali per raggiungere l'autosufficienza energetica entro il 2050, puntando sul contributo delle fonti rinnovabili interne e mira al conseguimento dell'obiettivo "Trentino Zero Emission" (riduzione delle emissioni di CO2 e degli altri gas climalteranti del 50% rispetto ai livelli del 1990 entro l'anno 2030). Introduce il concetto di Valutazione dell'impatto energetico e sul clima, nell'ambito della VIA e della VAS, per valutare preventivamente e ridurre il consumo complessivo di energia e le emissioni di gas climalteranti delle grandi opere, pubbliche e private. Al fine di promuovere gli obiettivi indicati nella Legge introdotta si è provveduto a istituire


due importanti strumenti organizzativi: l'Osservatorio Trentino sul Clima e il Tavolo provinciale di coordinamento e di azione sui Cambiamenti Climatici. L’Osservatorio Trentino sul Clima ha in capo il coordinamento tecnico e scientifico delle realtà impegnate sul territorio Trentino in attività di ricerca e di monitoraggio delle variabili climatiche, nonché impegnate in attività di divulgazione scientifica, di campagne di informazione e di educazione ambientale. L’Osservatorio è costituito dalle seguenti strutture: Dipartimento Protezione Civile, Fondazione Edmund Mach, Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente, Università degli studi di Trento, Museo di Scienze Naturali, Fondazione Bruno Kessler e Comitato glaciologico trentino. Il Tavolo Provinciale sui Cambiamenti Climatici funge invece da strumento di coordinamento delle strutture provinciali per l’individuazione delle misure appropriate di mitigazione e di adattamento; declina la strategia complessiva da proporre alla Giunta provinciale per fronteggiare gli impatti derivanti dai cambiamenti climatici; indirizza, in funzione degli ambiti predefiniti e delle priorità, l’utilizzo delle risorse finanziare previste dal Fondo per il cambiamento climatico. La strategia della Provincia autonoma di Trento La strategia generale adottata dalla Provincia di Trento riguarda una complessa serie di iniziative che si possono riassumere in alcune aree di intervento: il monitoraggio e la ricerca, le misure di mitigazione, le misure di adattamento, l’informazione e la sensibilizzazione della cittadinanza. Una strategia che comunque intende armonizzarsi sia alle direttive dell’Unione Europea e nazionali che alle linee guida condivise nell’ambito delle iniziative di cooperazione alpina quali la Convenzione delle Alpi, la comunità di ARGE ALP e dell’EUREGIO, dato che rivestono fondamentale importanza i rapporti di collaborazione tra i Paesi confinanti che presentano caratteristiche fisiche e geografiche simili e problematiche comuni al fine di garantire una maggiore efficacia delle azioni da intraprendere. Il monitoraggio e la ricerca Sono numerose le reti di monitoraggio in Trentino che misurano parametri meteorologici (temperature e precipitazioni), idrologici e nivologici, ed effettuano i rilievi dei ghiacciai e del permafrost. Numerose sono le misure in atto anche di parametri e indici indiretti che

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sono associati ai cambiamenti climatici e che riguardano ad esempio gli ecosistemi terrestri (fauna, foreste e vegetazione) e acquatici (laghi e fiumi) ma anche settori socio economici (produzione idroelettrica, gestione acqua, turismo, trasporti). I dati provenienti da queste reti di monitoraggio sono alla base di ogni studio sul clima, sulle variazioni in atto e sugli impatti. Nell’ambito delle attività svolte dalle realtà dell’Osservatorio Trentino sul Clima sono in fase di realizzazione numerosi e importanti progetti: l’analisi aggiornata e completa del patrimonio di dati storici attualmente disponibili di precipitazione e temperatura con particolare riguardo allo studio di eventi estremi (piogge intense, ondate di calore, gelate,…) anche per individuare ed eventualmente confermare la significatività di trend in atto; la realizzazione di un Atlante climatico del Trentino; la realizzazione di un data base condiviso dei dati climatici disponibile per la comunità scientifica locale e internazionale e per l’utenza interessata. Sono attive importanti collaborazioni finalizzate a costruire reti condivise di monitoraggio dei dati e tra esse vale la pena menzionare i progetti ArCIS e PermaNET. Il progetto ArCIS (Archivio Climatologico per l’Italia Settentrionale) è promosso dalle Agenzie Regionali e Provinciali per la Protezione dell’Ambiente del Nord Italia (ARPA e APPA) e dai Centri Funzionali di riferimento. ArCIS ha come obiettivo quello di costruire un data-base di dati climatologici giornalieri per il Nord Italia per consentire studi e analisi sul clima con riferimento anche alle variazioni degli indici estremi. Il progetto PermaNET (Permafrost long-term monitoring network) si è occupato del permafrost e della sua degradazione dovuta ai cambiamenti climatici. La degradazione del permafrost porta infatti con se un maggior rischio di pericoli naturali che possono influire sulle strade e vie di transito, sulle aree turistiche, sugli insediamenti umani e sulle infrastrutture. Il progetto ha permesso di avviare una strategia comune dei Paesi dello Spazio Alpino per affrontare il problema permafrost e le relative situazioni di pericolo creando una rete di monitoraggio coordinata che copre tutto l’arco alpino. Le azioni di mitigazione Sul fronte della mitigazione continua l’impegno della Provincia che si trova già in una situazione di punta per quanto riguarda l’elevato utilizzo delle rinnovabili


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e la collaudata politica sul versante dell’efficienza energetica. Le sfide ambientali ed energetiche impongono ormai un salto di qualità nelle politiche di riduzione dei consumi e di aumento del ruolo delle rinnovabili ed è quello che si propone di raggiungere con l’adozione del nuovo Piano energetico ambientale per il periodo 2013-2020 attualmente in fase di discussione. Il nuovo Piano tiene in considerazione che sul fronte delle rinnovabili rispetto alla tradizionale forte produzione di energia idroelettrica e al largo utilizzo delle biomasse nel settore civile, si aprono spazi notevoli di intervento sia in questi stessi due comparti che di crescita su altri fronti, come il solare termico e fotovoltaico e le pompe di calore.Va inoltre messo in evidenza il notevole potenziale di riduzione dei consumi del comparto civile (un potenziale “giacimento energetico”) e il trend di riduzione dei consumi nella nuova edilizia necessario per giungere alla fine del decennio alle soluzioni “nearly zero energy” richieste dall’Europa. n Piano infine che prevede la prosecuzione del calo in atto delle emissioni di CO2 grazie alla riduzione delle emissioni nel settore civile e con ulteriori ampi margini nel comparto edilizio. Le azioni di adattamento Se le politiche di mitigazioni coinvolgono le responsabilità nazionali e internazionali, le politiche di adattamento coinvolgono invece le responsabilità più locali e regionali per la loro specificità. Occorre tuttavia tenere presente che per un intervento di pianificazione adeguato sono ancora in corso studi e ricerche per quantificare meglio gli impatti attesi a livello trentino. In tal senso sono stati avviati studi per le proiezioni climatiche alla scala locale sia delle temperature che delle precipitazioni per valutare meglio gli impatti su ciclo idrico, sui ghiacciai, sui regimi delle precipitazioni, sulla variazione degli eventi estremi, sui rischi idrogeologici. L’appartenenza ad un territorio di montagna con caratteristiche fisiche simili e interdipendenti rende inoltre indispensabile un approccio condiviso e coordinato nell’affrontare gli impatti in atto e attesi che i cambiamenti climatici inducono e di conseguenza per avviare le necessarie e più adeguate misure di adattamento a vantaggio di tutti i Paesi interessati dell’arco alpino. Da evidenziare i settori più coinvolti ed esposti: la gestione delle risorse idriche; la produzione energetica (idroelettrico,

solare, eolico); la gestione delle foreste, aree protette e servizi ecosistemici; la produzione agricola; i trasporti; la gestione del rischio idrogeologico e della protezione civile; il turismo. Tutti settori che necessitano di strategie comuni e condivise e anche di strumenti normativi opportunamente integrati tra loro pur nelle differenze nazionali. A tal fine vale la pena citare alcuni esempi di progetti di cooperazione finalizzati allo studio degli impatti nel settore agricolo e nel settore della produzione idroelettrica. Un progetto che si è da poco concluso è “Envirochange”, finanziato dalla Provincia autonoma di Trento, e che ha visto protagonista un team di ricercatori della Fondazione Edmund Mach in collaborazione con i colleghi della Fondazione Bruno Kessler, dell’Università degli Studi di Trento e di due prestigiosi centri di ricerca internazionali come il Politecnico Federale di Zurigo ed il Volcani Center in Israele, ha avuto proprio lo scopo di capire quale potesse essere l’impatto dei mutamenti climatici sull’agricoltura in Trentino nei prossimi vent’anni e di mettere a punto soluzioni sostenibili per contrastarne gli eventuali effetti negativi. In questo caso-studio ci si è concentrati sul Trentino in quanto rappresenta una situazione tipica di ambienti alpini antropizzati sui quali il previsto cambiamento climatico potrebbe avere impatti importanti sulla qualità e sulla produzione agricola. Nello specifico è stato realizzato uno strumento hi-tech, chiamato “Enviro”, fruibile sia dai ricercatori, sia da altri utenti non necessariamente esperti di informatica, che necessitano di accedere alle informazioni sui possibili effetti del cambiamento climatico sull’agricoltura che permette di accedere alle serie di dati climatici del passato e alle proiezioni per il futuro e simulare il possibile andamento futuro di patogeni e parassiti, permettendo quindi di gestire al meglio questo fenomeno così complesso (www.envirochange.eu). Un progetto invece da poco avviato è "Orientgate - A structured network for integration of climate knowledge into policy and territorial planning”, che intende fornire un supporto al coordinamento delle azioni di adattamento ai cambiamenti climatici nelle regioni del Sud Est Europa per quanto riguarda in particolare gli impatti sul ciclo idrico e sugli

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ecosistemi agroforestali. I principali obiettivi del progetto sono sviluppare una metodologia globale e coerente per la valutazione dei rischi provocati dalla variabilità del clima e dal cambiamento climatico; armonizzare la valutazione di questi rischi; favorire la diffusione della conoscenza e delle esperienze relative all'adattamento ai cambiamenti climatici nella pianificazione territoriale e di sviluppo; rafforzare la capacità di conciliare i rischi e le opportunità di cambiamenti ambientali, tra cui il surriscaldamento globale. Il leader del progetto è il Centro EuroMediterraneo per i Cambiamenti Climatici e la Provincia partecipa con un progetto pilota, che coinvolge il Dipartimento Protezione Civile e il Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale della Facoltà di Ingegneria (Università di Trento), e che prevede l’analisi dell’effetto dei cambiamenti climatici sulla disponibilità della risorsa idrica finalizzata allo sfruttamento idroelettrico. Il fine del progetto pilota è la realizzazione di strumenti decisionali integrati che consentano una gestione sostenibile della risorsa idrica, riducendo contemporaneamente i conflitti che insorgono tra i diversi utilizzatori (civile, agricoltura e turismo). Informazione e sensibilizzazione La possibilità di una azione efficace per affrontare le problematiche connesse ai cambiamenti climatici passa attraverso la partecipazione e il coinvolgimento della cittadinanza innanzitutto perché sia presa coscienza delle responsabilità del ruolo antropico e quindi perché siano messe in pratica le necessarie azioni sia a livello individuale che collettivo. Esistono numerose iniziative in Trentino in questa direzione e vale la pena menzionare il ruolo dell’Agenzia Provinciale per la Protezione dell’Ambiente che supporta e realizza programmi e progetti per la sostenibilità ambientale, orientati ai singoli componenti del sistema sociale ma anche al territorio nel suo complesso, nella consapevolezza che solo il concorso di comportamenti

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"virtuosi" diffusi può davvero contribuire al miglioramento della qualità dell'ambiente. Occorre poi evidenziare che le strategie legate al clima si collocano in una progettualità più ampia che si intende adottare e che viene espressa nel nuovo “Patto per lo Sviluppo Sostenibile “2010-2020 e oltre” (Pa.S.So.), in fase di realizzazione attraverso un percorso partecipativo della cittadinanza, che intende fornire indicazioni e impegni su strategie sostenibili di lungo periodo, aperte alla partecipazione di tutti gli attori territoriali. Esso offre un quadro strategico complessivo che trova i suoi punti di forza nella condivisione dei contenuti e nel sistema di valutazione della sua efficacia nel tempo. Cinque sono le strategie di fondo: sostenibilità dell’appartenenza e della responsabilità; biodiversità, ecosistemi, paesaggi; sostenibilità nel produrre e nel consumare; innovazione sociale (democrazie, informazione, partecipazione); energia, trasporti e appunto clima. Un ruolo fondamentale è costituito poi dalla corretta e puntuale informazione verso la cittadinanza. Per questo la Provincia ha investito in momenti di incontro con il pubblico, come la settimana “Climatica…mente cambiando – Trentino Clima 2011” organizzata nel settembre del 2011 con un grande riscontro di pubblico, che hanno contribuito a rendere Trento di fatto la “capitale del clima”, una piazza unica in Italia per confrontarsi sulle tematiche dei cambiamenti climatici e le loro implicazioni. Si prevede pertanto di dare continuità a queste occasioni di aggiornamento e approfondimento sia per gli addetti ai lavori che per amministrazione pubblica e per il pubblico. Infine la Provincia si è dotata di uno nuovo portale, www.climatrentino.it, interamente dedicato alle tematiche del clima e dei cambiamenti climatici con dati e rapporti a livello trentino, nazionale e internazionale. Sarà proprio sulle pagine di questo nuovo sito che si potranno trovare gli aggiornamenti delle azioni svolte dalla Provincia di Trento per affrontare e gestire i cambiamenti climatici.


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Il fondo per le iniziative e gli interventi di promozione dello sviluppo sostenibile dell’ambiente della Provincia autonoma di Trento di Luca Paolazzi*

* L'autore ringrazia la dott.ssa Susanna Sieff per la preziosa consulenza.

Sostenibilità, sussidiarietà e governance sono tra i concetti teorici che più di tutti hanno orientato la costruzione di politiche territoriali, ambientali e di sviluppo negli ultimi due decenni. Il concetto di sostenibilità, variamente declinato, inerisce all’idea del limite e “alla ricerca di sinergie tra il sistema ambientale, quello socio-culturale e quello economico-produttivo” , tali da garantire la coerenza tra gli obiettivi dello sviluppo economico e quelli di miglioramento ambientale e coesione sociale. Il principio di sussidiarietà si riferisce invece alla distribuzione delle competenze, prevedendo la preferibilità della gestione in capo all’ente più vicino al cittadino e al territorio. Il concetto di governance fa invece riferimento ad una modalità di azione e di governo caratterizzata da una pluralità di attori interagenti tra loro secondo logiche flessibili e di competenza, in alternativa a strutture di government fondate su strutture gerarchiche e logiche autoritative. A questi tre principi, fortemente valorizzati in senso istituzionale ed ordinamentale dal combinato della legge provinciale di riforma istituzionale (lp. 3/2006) e del Piano urbanistico provinciale (PUP), è ispirata la costituzione del Fondo per le iniziative e gli interventi di promozione dello sviluppo sostenibile dell’ambiente della Provincia Autonoma di Trento. Al fine dell’attuazione degli indirizzi e delle strategie provinciali relative allo sviluppo sostenibile, con particolare riferimento agli indirizzi strategici di cui al Patto per sviluppo sostenibile del trentino (PASSO), del Programma di sviluppo provinciale (PSP), del PUP, del Piano energetico ambientale, della normativa in materia di tutela ambientale, del Piano provinciale di smaltimento dei rifiuti e dei Piani provinciali di tutela della qualità dell’aria e delle acque, a decorrere dal 2002 è attivo il Fondo per le iniziative e gli interventi di promozione dello sviluppo sostenibile dell’ambiente. Questo, disciplinato dall’art. 12 bis della l.p. n. 28/1988, così come introdotto dalla l.p. 1/2002 e successivamente modificato dalla l.p. n. 11/2006, è finanziato mediante risorse della PAT e da eventuali risorse provenienti da soggetti pubblici e privati, ed è destinato al finanziamento di iniziative, progetti ed interventi realizzati dalla Provincia o da altri enti e soggetti di diritto pubblico o privato. In particolare il Fondo, tramite l’attività di finanziamento, mira a: - realizzare attività di sensibilizzazione in materia ambientale; - realizzare progetti volti alla riduzione e alla differenziazione dei rifiuti, alla riduzione del

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consumo di acqua e al trattamento dei residui zootecnici; - promuovere agende 21, certificazioni ambientali, attività di formazione e good practice; - promuovere progetti volti in generale alla protezione dell’ambiente; - sostenere interventi in materia di scarichi dei rifugi alpini. Alla luce del succitato principio di sussidiarietà, ed in particolare alla luce della governance istituzionale derivante dall’implementazione della l.p. 3/2006 e dall’istituzione delle Comunità, la disciplina del Fondo prevede, in alternativa alla gestione diretta, che la Provincia possa delegare ad enti locali ed altri enti pubblici la realizzazione di iniziative ed interventi d’interesse provinciale. Con delibera 493/2005 la Giunta provinciale ha provveduto a disciplinare, come ulteriore meccanismo di utilizzo delle risorse del Fondo, l’istituto del bando, quale possibile soluzione per fissare, in base alle iniziative previste, i criteri generali e specifici di ammissibilità a finanziamento e le modalità di selezione delle domande presentate. In particolare nel corso degli anni è stato promosso il bando per la realizzazione di iniziative, progetti ed interventi di promozione dello sviluppo sostenibile rivolto alle associazioni senza scopo di lucro. La stessa delibera ha provveduto a definire, al fine di consentire una corretta gestione dell’erogazione dei finanziamenti per l’attuazione degli obiettivi in materia di sviluppo ambientale sostenibile, i criteri e le modalità di gestione del fondo, disciplinando in particolare le tipologie di spesa ammissibili, le modalità di presentazione delle domande di contributo e i criteri di valutazione delle stesse in base alla coerenza con gli indirizzi di politica ambientale adottati dalla Giunta provinciale, specificando che possono fruire delle risorse sia soggetti pubblici che privati. I criteri e le modalità di gestione del Fondo sono poi stati rivisitati, in base all’esperienza maturata nei primi anni di gestione, con deliberazioni della Giunta provinciale 1200/2009 e 1536/2011, con particolare riferimento all’ammissibilità della spesa, al periodo entro il quale presentare le domande di finanziamento a valere sul Fondo, la documentazione da presentare ed i criteri di valutazione delle domande. La delibera 1536/2011 ha anche introdotto lo strumento dell’Accordo quadro di programma come nuova modalità di gestione del fondo e di concessione dei


finanziamenti. Tale modalità di erogazione dei finanziamenti, fortemente improntata ad una logica di governo collaborativa e multilivello, è rivolta al Territorio Val d’Adige e alle Comunità istituite con l.p. 3/2006 al fine di “valorizzare le peculiarità delle comunità locali e di favorire uno sviluppo sostenibile che tenga conto delle principali problematiche ambientali che si riscontrano sul territorio”, obiettivo precipuo delle Comunità. In prima applicazione, tenuto conto delle maggiori criticità ambientali riscontrate sul territorio provinciale e sentito il Consiglio delle autonomie locali, la Provincia ha sottoscritto gli accordi di programma per la realizzazione di iniziative in materia ambientale con le Comunità della Valle di Sole, della Valle dei Laghi e della Valsugana e Tesino. In particolare i progetti finanziati hanno riguardato: Comunità della Valle di Sole: studio ambientale integrato relativo al fiume Noce; riqualificazione delle aree marginali del bosco e sviluppo di strategie energetiche; installazione di filtri antiparticolato sugli impianti termici civili; valutazione della potenzialità geotermica a bassa entalpia del territorio; stage per formazione in materia ambientale. Comunità Valsugana e Tesino: piano per la gestione dei rifiuti inerti; progetto per l’introduzione della raccolta porta a porta degli imballaggi leggeri; campagna informativa sulla raccolta differenziata; valorizzazione della mobilità sostenibile; razionalizzazione segnaletica ambientale; studio di fattibilità per la realizzazione di un impianto per la produzione e cogenerazione di biogas da deiezioni zootecniche; progetti di valorizzazione ambientale. Comunità della Valle dei Laghi: riqualificazione e valorizzazione della fascia lago in funzione della balneabilità dei laghi; realizzazione di un percorso partecipato per la realizzazione di un biodigestore; riqualificazione e valorizzazione della fascia lago in funzione delle pedonabilità circumlacuale. Successivamente, con delibera 1418/2012, la Giunta provinciale ha integrato la delibera 1536/2011, approvando i criteri per la selezione delle proposte progettuali presentate dalle Comunità a valere sul Fondo. In particolare è stato stabilito che la selezione dovrà essere improntata al principio di rotazione ed effettuata sulla base di criteri oggettivi di valutazione, tali da consentire un’analisi schematica dello stato di fatto delle principali caratteristiche ambientali e territoriali oltre alla valutazione di coerenza degli interventi proposti con le politiche ambientali della Provincia e dell’ente proponente medesimo, le criticità ambientali dei territori e le ricadute dei progetti sulla comunità trentina. Sono stati inoltre disciplinati i criteri di valutazione e rendicontazione dei progetti. Gli indicatori oggettivi individuati al fine dell’assegnazione di un punteggio da 0 a 65 e alla compilazione della graduatoria sono: - la quota di contributi pro-capite già assegnati dalla PAT a favore di Comuni e Comunità (con preferenza verso i valori più bassi); - la percentuale di enti certificati EMAS e ISO 14001 (con preferenza verso valori più alti); - la percentuale di raccolta differenziata (con preferenza verso i valori più bassi);

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- la qualità dei corsi d’acqua (con preferenza verso i valori più bassi); - la qualità dell’aria (con preferenza verso i valori più bassi); A questi si aggiungono ulteriori indicatori per l’assegnazione di un punteggio da 0 a 60: - obiettivi dell’iniziativa; - coerenza dell’iniziativa con le politiche ambientali della PAT e dell’ente proponente; - criticità ambientali del territorio; - ricadute sulla comunità trentina. Per il 2012 con delibera 1983/2012 sono stati selezionati, sulla base della graduatoria compilata, cinque Comunità. Uno dei progetti ammessi doveva obbligatoriamente riguardare iniziative in materia di mobilità sostenibile. In particolare, le Comunità ed i progetti selezionati sono: Comunità di Primiero: progetto per la realizzazione di una piattaforma di bike sharing (cinque postazioni); creazione di un dispositivo per l’utilizzo di acqua calda da solare termico in lavatrice; creazione di un dispositivo automatico di scolleggamento delle periferiche PC a PC spento, TV e apparecchi collegati; applicazione di elettrofiltri antiparticolato tra comignoli e canna fumaria. Magnifica Comunità degli Altipiani Cimbri: progetto per la costituzione della riserva locale della Vigolana orientale e della aree da valorizzare come parchi naturali agricoli; riqualificazione delle aree marginali del bosco e sviluppo di strategie energetiche sostenibili; realizzazione di un sistema integrato territoriale di distribuzione della risorsa idrica degli altipiani; individuazione di una rete di percorsi ciclo-pedonali sicuri e agevoli verso uffici e strutture di interesse pubblico; campagna d’indagine per il potenziamento della raccolta differenziata. Comun General de Fascia: studio per il risparmio idrico e la razionalizzazione dell’uso della risorsa idrica potabile; progetto per la creazione di un sistema di mobilità integrata, sostenibile ed elettrica; costituzione della rete di riserve della Val di Fassa; sensibilizzazione al tema della sostenibilità ambientale. Comunità della Val di Non: progetto per la realizzazione di una piattaforma di bike sharing (sette postazioni); progetto per la valorizzazione del verde raccolto nel circuito RSU; progetti di mobilità sostenibile; sensibilizzazione al tema della sostenibilità ambientale. Comunità della Valle di Cembra: mappatura della rete dell’acqua potabile in Valle di Cembra; realizzazione di una piattaforma di bike sharing (tre postazioni); sensibilizzazione al tema della sostenibilità ambientale; promozione della filiera corta dei prodotti tipici cembrani; analisi della biodiversità agricola e sviluppo della filiera dell’agricoltura biologica; progetti di collaborazione con l’International Alliance for Terraced Landscape; realizzazione del coordinamento degli eventi di promozione del territorio; realizzazioni di un concorso di idee per lo sviluppo economico sostenibile della Valle, con premio per start-up.


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Il Piano d’Azione per le Biomasse, allegato del nuovo Piano Energetico Ambientale Provinciale 2013-2020 di Alessandra Tanas ApE Agenzia provinciale per l’Energia

“Di fronte alla crescente dipendenza dell'Europa dai combustibili fossili, il ricorso alla biomassa rappresenta una delle soluzioni principali per garantire la sicurezza dell'approvvigionamento energetico e la sostenibilità dell'energia in Europa” Comunicazione della Commissione del 7 dicembre 2005 - Piano d'azione per la biomassa Le sfide ambientali ed energetiche impongono un salto di qualità nelle politiche di riduzione dei consumi e di aumento del ruolo delle rinnovabili. La Provincia autonoma di Trento è ben posizionata rispetto alla possibilità di raggiungere l'obiettivo al 2020 sulla quota di energia verde indicata dal Governo nazionale nel decreto Burden Sharing (35,5% dei consumi finali). Infatti, considerando i dati sui consumi ricostruiti nel documento del nuovo Piano Energetico Provinciale in fase di approvazione, la percentuale delle rinnovabili nell'anno di riferimento 2010 è risultata pari al 28.6%, mentre al 2020 dovrebbe giungere al 35.5%. Inoltre, la Provincia Autonoma di Trento sta sviluppando una proposta di scenario più ambiziosa, all'interno della quale la percentuale delle rinnovabili dovrebbe addirittura arrivare al 45%, se questa crescita venisse realizzata, la Provincia potrebbe far valere in sede nazionale il suo comportamento virtuoso. Rispetto alla tradizionale forte produzione di energia idroelettrica e al largo utilizzo delle biomasse nel settore civile, si aprono spazi di intervento in questi stessi due comparti (ad esempio valorizzando ed innovando la gestione delle foreste, limitando la quantità di biomassa legnosa esportata, sviluppando nuove impianti a biogas) e di crescita su altri fronti, come il solare termico e fotovoltaico e le pompe di calore. La disponibilità di nuovi strumenti di incentivazione (fondo di rotazione di Kyoto, innalzamento del valore dei certificati bianchi, opportunità per le rinnovabili termiche) che si affiancheranno a quelli già disponibili da parte della Provincia, favoriranno lo sviluppo di soluzioni innovative e creeranno un largo mercato. La Provincia Autonoma di Trento sta sviluppando il

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nuovo Piano Energetico-Ambientale 2013-2020, strumento di pianificazione indispensabile per il raggiungimento degli obiettivo dell'Europa 2020. Tra le varie iniziative che la Provincia Autonoma di Trento sta portando avanti per il raggiungimento degli obiettivi del decreto Burden Sharing, si segnala il progetto europeo BIO-EN-AREA che ha come obiettivo principale la condivisione di soluzioni innovative tra regioni europee in materia di bioenergie, considerate non solo come fonti alternative di energia ma anche come catalizzatori di sviluppo locale. Il progetto, coordinato dalla regione spagnola di Castilla y Leon, si avvale della collaborazione di altri cinque partner di progetto provenienti, oltre all'Italia, dall'Irlanda, dalla Svezia, dall'Estonia e dalla Grecia. Il progetto BIO-EN-AREA intende scambiare buone pratiche ed esperienze tra le varie regioni ed i territori coinvolti nel progetto, per arrivare alla definizione di un Piano d'Azione per le Biomasse (PAB). Tale piano sarà un'importante allegato del nuovo Piano Energetico-Ambientale Provinciale per il periodo 2013-2020 e al suo interno, verranno evidenziati gli obiettivi e le strategie provinciali per lo sviluppo delle Biomasse. Il piano presenterà anche alcuni scenari strategici e proposte d'intervento al fine di ottimizzare l'utilizzo della biomassa locale trentina e lo sviluppo della filiera locale. Infatti, una delle attività fondamentali del progetto è l'individuazione, nelle Regioni Partner, di aree svantaggiate che agiscano come “aree pioniere” nello sfruttamento sostenibile di bio-risorse a fini energetici per promuovere lo sviluppo socio-economico di questi territori. A questo scopo, il progetto ha previsto l'implementazione di sotto-progetti territoriali all'interno delle Regioni Partner di BIO-ENAREA. I sotto-progetti hanno approfondito nel corso degli ultimi due anni tematiche che vanno dalla produzione e utilizzo del Biogas, all'implementazione di un sistema di Certificabilità dei combustibili soldi; dalla preparazione di manuali e metodologie per il


Impianto di biogas

miglioramento delle politiche locali in materia di bioenergie, all'analisi delle culture energetiche delle regioni partners; dallo sviluppo di sistemi distrettuali di riscaldamento alla creazione di filiere locali di qualità. In Trentino sono stati sviluppati cinque sotto-progetti che hanno coinvolto numerose realtà locali: comuni, comunità di valle, gruppi di produttori e istituti di ricerca. Alcuni risultati dei sotto progetti: -BIOPATH è stato coordinato dalla Fondazione Bruno Kessler, obiettivo principale del sottoprogetto era l'identificazione e l'implementazione di un metodo per la tracciabilità dei combustibili solidi in termini di qualità energetica, ambientale ed economica. Il partenariato a quindi messo a sistema: un metodo sostenibile per la tracciabilità dei combustibili solidi e un metodo per la certificazione dei parametri di qualità che riguardano l'energia, l'ambiente e il valore economico. Oltre ad ottenere risultati importati in termini di divulgazione, di crescente consapevolezza ed interesse da parte degli stakeholders nella qualità dei combustibili solidi e della biomassa, è altrettanto importante sottolineare che il metodo per la tracciabilità, è già stato parzialmente convalidato da attività sperimentali sul campo. Il sotto-progetto BIOPATH ha quindi contribuito a fornire elementi interessanti di input per lo sviluppo delle nuove politiche regionali sulla biomassa e per la creazione di catene di valore certificate dei combustibili solidi, sia in termini di tariffe incentivanti che di regolamentazioni. Infine, a livello europeo, e attraverso il collegamento diretto con TC CEN 335, BIOPATH ha delineato una soluzione in linea con la futura politica europea ed i quadri legali. -L'importante esperienza e le buone pratiche accumulate in Svezia durante le ultime quattro decadi, provano che le soluzioni locali di sviluppo della biomassa su scala medio-piccola sono: disponibili, sicure, mature ed economicamente

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fattibili. Di conseguenza, il sotto-progetto BISYPLAN sostiene che gli ostacoli che sono stati incontrati in altri Paesi devono essere, almeno in parte, dovuti ad una insufficiente conoscenza e sono anche probabilmente dovuti alla cosiddetta sindrome di NIMBY, Not In My Backyard, cioè “non nel mio cortile”. Lo scopo del progetto BISYPLAN, che ha visto la partecipazione del CNR-IVALSA di San Michele all'Adige oltre ad altri quattro partners provenienti dalla Grecia, dell'Irlanda, dalla Svezia e dall'Estonia, è stato quello di produrre una guida per le persone responsabili di pianificare e decidere sulle infrastrutture energetiche regionali e locali. Il manuale dovrebbe permettere ai decisori “non tecnici” di fare scelte adeguate in materia di sviluppo locale delle biomasse. La guida che è ora disponibile online (http://bisyplan.bioenarea.eu/), può essere scaricata in PDF, contiene 25 capitoli, 300 pagine e copre la maggioranza degli aspetti della tecnologia bioenergetica. Inoltre, molti capitoli comprendono una sezione intitolata “Aspetti di pianificazione” dove possono essere consultati esempi concreti e check-list utili per i nuovi progetti. -Il sotto-progetto BAN ha visto in Trentino il coinvolgimento della Comunità della Val di Non e il sostegno scientifico della Fondazione Edmund Mach. Nel corso degli ultimi due anni di lavoro, il consorzio del progetto ha prodotto, per ciascuna regione, una relazione sullo stato attuale del consumo di biogas, evidenziandone il potenziale futuro di sviluppo. Inoltre, sono stati organizzati seminari e workshop per discutere sui migliori modi per sviluppare il Biogas al livello locale e condividere le Best practices identificate all'interno del progetto. A livello locale, i partecipanti del progetto hanno fornito supporto alle amministrazioni pubbliche per migliorare le strategie locali a favore di un aumento dell'utilizzo del biogas. Infatti, l'esperienza del progetto BAN dimostra che i network locali per la cooperazione, lo scambio di conoscenze e sviluppo all'interno dell'area della


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bioenergia sono molto efficaci. Se un'organizzazione con una grande varietà di stakeholders tra i suoi membri può collaborare attivamente a livello locale e regionale, i comuni e le regioni in quell'area avranno un'ottima opportunità di sviluppare le loro attività concernenti il biogas. La creazione e l'espansione di attività e ricerca all'interno del campo della bioenergia saranno un'opportunità per il miglioramento locale sia in termini di nuove green companies che di nuove opportunità di lavoro create. -L'obiettivo chiave del progetto RBBD era quello di sostenere lo sviluppo regionale del business bioenergetico nella regione del sud-est dell'Irlanda; nella regione del sud-est della Svezia, nella Magnifica Comunità di Fiemme e nella regione di Voru in Estonia, attraverso il supporto allo sviluppo di imprese operanti nella catena di fornitura bio-energetica e da biomassa. Il progetto ha quindi lavorato con i gruppi di produttori, fornendo supporto ai proprietari di risorse di biomassa (principalmente proprietari di foreste private) creando nuovi gruppi di produttori di legname e aiutando a sviluppare ulteriormente quelli già esistenti. In un secondo momento, sono stati coinvolti anche i possibili clienti ed il progetto ha confermato che, se i potenziali clienti hanno fiducia nei nuovi sistemi di filiera locale, i target per l'utilizzo di biomassa locale possono essere raggiunti. In particolare, la MCF ha utilizzato il progetto RBBD per lo sviluppo di un gruppo di produzione e per migliorare la visibilità del mercato locale attraverso seminari e attività di divulgazione. Sia i produttori di combustibili da legname che i potenziali clienti sono ora maggiormente consci dell'importanza commerciale di avere combustibili da biomassa di qualità. - I problemi che sono stati affrontati dal sottoprogetto EBIMUN sono: come assistere le municipalità nel prendere decisioni che riguardano piani energetici locali, come rendere disponibile agli individui, alle famiglie, alle imprese e alle comunità locali le informazioni relative alle differenti forme di

energia disponibile e come aumentare la conoscenza e l'esperienza dell'utilizzo delle risorse di biomassa. Al livello trentino è stata coinvolta la Comunità di Valle del Primiero che, assieme agli altri sette partecipanti del sotto-progetto, hanno realizzato tre importanti protocolli messi a disposizione degli enti locali. Tramite la messa in atto dei protocolli, le municipalità rurali potranno essere assistite nella decisione se creare impianti locali piccoli oppure centralizzati; le piccole cittadine potranno essere assistite nella decisione di unirsi alla loro zona rurale per creare i loro impianti; le città di grandi dimensioni potranno sviluppare protocolli per implementare le migliori tecniche disponibili per la gestione della biomassa prodotta nelle zone verdi urbane. In conclusione, i partecipanti ai sotto-progetti hanno collaborato per trasferire nuovi approcci, strumenti, metodologie e progetti, ed i risultati ottenuti, provenienti dagli stakeholders locali coinvolti, potranno influenzare le politiche locali e regionali al fine di creare un ambiente favorevole per lo sviluppo della bioenergia. Per questo motivo, i risultati dei sotto progetti saranno integrati nei rispettivi Piani d'Azione per le Biomasse (PAB) in corso di realizzazione. A livello trentino, i sotto-progetti hanno portato i primi importanti risultati concreti ottenuti nell'ambito di questo progetto europeo, i territori e gli enti coinvolti hanno avuto la possibilità di esprimere i propri specifici bisogni e di studiare le proprie potenzialità, avviando contatti ed instaurando relazioni. Infine, grazie progetto BIO-EN-AREA, si è rafforzata la consapevolezza rispetto all'utilità di agire in maniera sistemica, con un obiettivo condiviso, anziché in maniera settoriale. La cooperazione europea, oltre a creare esperienze per l'ente regionale coinvolto in primo luogo nell'implementazione del progetto funge anche da effetto moltiplicatore per i territori beneficiari, nei quali si sviluppa una cultura condivisa e una sensibilità europea, altrimenti difficile da costruire: “pensare globale, agire locale”.

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Edilizia eco-sostenibile e riqualificazione immobiliare. La best practice di habitech a cura dell’Ufficio Comunicazione Habitech

La nascita di Habitech L’edilizia è responsabile di circa il 40% delle emissioni di CO2 mondiali. In Italia, non molto diversamente dal resto d’Europa, il settore edile, che rappresenta circa l'11% del Pil, è molto frammentato (più del 50% sono imprese individuali e più del 90% sono micro imprese, cioè con meno di 10 addetti), con forme collaborative non strutturate e tendenzialmente poco propenso all’innovazione. In Trentino, dove la metà delle imprese che operano rientrano nel settore edile, si è provato a dare una risposta a questi problemi a livello sistemico. La Provincia autonoma di Trento ha attivato nel 2005 una nuova politica industriale orientata alla specializzazione e alla valorizzazione delle risorse locali, con lo scopo di creare una rete specializzata di piccole e medie imprese. Con un’intuizione politica, che ha anticipato di qualche anno lo sviluppo della Green Economy a livello globale, il Trentino ha infatti avviato un progetto di sviluppo di sistema che ha posto il suo focus sui temi della sostenibilità ambientale. È in questo contesto che nel 2006 nasce Habitech, il Distretto Tecnologico Trentino per l'Energia e l'Ambiente, riconosciuto dal Ministero dell'Università e della Ricerca, con l’obiettivo di realizzare in Trentino reti di imprese e filiere produttive specializzate nei settori dell’edilizia sostenibile, della produzione di energia da fonti rinnovabili e delle tecnologie intelligenti per la gestione del territorio. Una società consortile privata che raggruppa oltre 300 imprese e pochi selezionati enti di ricerca e agenzie pubbliche, per un totale di 8.000 addetti e un volume d’affari generato di circa 1 miliardo di euro. Edilizia, energia e mobilità sono i tre settori in cui opera Habitech ma è sull’edilizia che la società ha focalizzato le risorse in questi primi anni di attività, anche perché il 50% dei suoi soci e dei suoi stakeholders appartengono a questo settore. La trasformazione del mercato dell’edilizia verso la sostenibilità. Habitech si è quindi posto il problema di come portare innovazione e creare reti nell’edilizia. La società ha mantenuto un focus sistemico finalizzato all’innovazione del sistema di mercato nel suo complesso e alla creazione di reti attraverso la definizione e la diffusione di linguaggi condivisi, come standard, regolamenti tecnici per la misura

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della sostenibilità e della qualità. Nel 2008 Habitech ha fondato il Green Building Council Italia, l’associazione che promuove lo standard LEED nel nostro Paese e che oggi è un network nazionale di più di 500 aziende leader nell’edilizia sostenibile. Attraverso la partecipazione volontaria a comitati, i soci del GBC Italia definiscono dinamicamente lo standard, con un approccio bottom-up, rendendolo uno strumento competitivo teso a qualificare e valorizzare le loro competenze. I comitati, formati su base volontaria, hanno l’incarico di sviluppare gli standard di certificazione edilizia promossi dall’associazione stessa coerentemente con il sistema internazionale, garantendo nel contempo la trasparenza del processo di creazione dei differenti sistemi nella loro evoluzione. E così funziona anche all’estero: sono infatti oltre 100 i Green Building Council sparsi in giro per il mondo. I servizi per la sostenibilità La società ha supportato la certificazione di 11 dei 20 edifici certificati ad oggi nel nostro paese ed una pre-certificazione. Ha guidato in Europa la prima certificazione LEED di un edificio scolastico e in Italia le prime due certificazioni LEED EB&OM (terza e quarta in Europa) di edifici esistenti, la prima LEED Commercial Interiors e la prima Platinum, il massimo livello della certificazione LEED. A ottobre 2011 la società ha promosso “greenmap”, il primo database italiano di prodotti per le costruzioni conformi ai requisiti dei crediti LEED e più in generale con caratteristiche di eco sostenibilità, consultabile online (www.greenmap.it). Nuove prospettive: riqualificazione, gestione e conduzione degli edifici esistenti Le emissioni di CO2 devono essere ridotte del 20% entro il 2020 per rispettare gli impegni europei e dell’80% entro il 2050 per mitigare i danni dei cambiamenti climatici in corso. Gli immobili contribuiscono per il 40% delle emissioni. I nuovi progetti rappresentano al massimo il 2% all’anno degli edifici già realizzati. Anche se tutti i nuovi progetti da oggi fossero ad emissioni zero, l’obiettivo di riduzione dell’80% entro il 2050 non


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può essere raggiunto se non intervenendo in modo radicale sugli edifici esistenti. Inoltre, il portafoglio immobiliare italiano è il secondo più vecchio d’Europa: una famiglia su due vive in abitazioni obsolete e il patrimonio di molti fondi immobiliari sta subendo pesanti svalutazioni. Anche per questo motivo grande attenzione deve essere posta sugli edifici esistenti. Partendo da queste premesse, Habitech assieme a Progetto Manifattura e a Riva del Garda Fierecongressi hanno dato vita a REbuild, un nuovo progetto volto a trasformare il sistema di mercato della riqualificazione e della gestione sostenibile dei patrimoni immobiliari, diffondendo le migliori pratiche e i casi di successo che in Italia e all’estero stanno aprendo nuove traiettorie di sviluppo. Nils Kok (docente

Università di Maastricht cofondatore GRESB), Sergio Tirado Herrero (Ricercatore 3CSEP), Thomas Beyerle (Managing Director IVG), Gay J. Saulson (Vicepresidente esecutivo e Direttore del Corporate Real Estate PNC), Fraser Thompson (Senior fellow McKinsey Institute), Gianni Silvestrini (Direttore scientifico Kyoto Club, CNR) hanno parlato degli aspetti tecnici e finanziari che riguardano la rivalorizzazione immobiliare e delle opportunità offerte al settore immobiliare per uscire dal momento di stagnazione in cui giace da tempo. Quattro i marco temi affrontati: conduzione sostenibile, valorizzazione e retrofit, rigenerazione urbana e gestione del patrimonio pubblico, organizzazione del mercato.

LA SCHEDA Con delibera del 2008, la Giunta provinciale ha approvato il progetto Verso una Provincia a emissioni zero, bando per la presentazione di Progetti compensativi, volontari ed aggiuntivi, attraverso interventi forestali nei Paesi in via di sviluppo, nell'ambito delle iniziative volte ad implementare il Protocollo di Kyoto, rivolto agli organismi volontari di cooperazione allo sviluppo accreditati presso la PAT. Il piano energetico provinciale stabilisce in 300.000 le tonnellate di CO2 da ridurre. Si tratta dei gas serra, che le foreste del trentino non riescono a riassorbire. La Provincia ha scelto di non perseguire la strada del mercato dei crediti di carbonio, ma di “compensare” una parte del proprio debito, attraverso il finanziamento di progetti di forestazione e/o di lotta alla deforestazione. Il progetto fissa nel 10% del debito di CO2 provinciale il valore ottimale da perseguire con azioni compensative (aggiuntive

quindi agli impegni di riduzione locale). Tra il 2010 ed il 2011 sono stati finanziati 5 progetti: un Progetto di forestazione a sostegno della salvaguardia del patrimonio forestale del Distretto di Koboko, West Nile (Uganda), presentato dall'Associazione ACAV, un Progetto REDD per la compensazione delle emissioni tramite prevenzione della deforestazione in Tanzania e Amazzonia presentato dall'Associazione Trentino Insieme, un Progetto compensativo di riforestazione in Kenya presentato dalla Fondazione Fontana Onlus, un Progetto in Karamoja (Uganda) per salvaguardare l'ambiente tramite la forestazione con acacie presentato dall'Associazione ASSFRONAssociazione Scuola Senza Frontiere ed un Progetto di riforestazione in Somalia su terreni salati presentato dall'Associazione Acqua per la VitaWater for Life. Nel 2012 è stato attivato un nuovo Bando per il finanziamento di nuovi progetti a

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tutela delle foreste e della biodiversità mondiale. Questo bando è stato accompagnato da un corso di formazione per le associazioni interessate, tenuto presso il Centro di Formazione alla Solidarietà internazionale. Le novità hanno destato interesse nel mondo del mercato volontario del carbonio: il progetto è stato presentato al workshop “Il mercato volontario dei crediti di carbonio: opportunità metodi e strumenti” organizzato a novembre a Padova dall'INEA (Istituto Nazionale di Economia Agraria). I vincitori del 2012 risultano: Koboko-Uganda (ACAV), Irupa de los Yungas Bolivia (Amici Trentini), Pehunco-Benin (Atout African), Cabo DelgadoMozambico (EDUS), Plateau central-Haiti (Nuove energie) Paranà e Libera - Brasile (Shishu) Monti Rubeho Tanzania + Xixuau Brasile (Trentino insieme).


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Il legno di pregio del Trentino per un’architettura di qualità

pregio. Si tratta di una formula che prende spunto da esperienze d'Oltralpe, diffuse soprattutto in Svizzera, Germania e Francia. In Baviera – ad esempio – le aste di legname di pregio, organizzate da soggetti pubblici e privati, sono occasioni di festa per la comunità. Esse assumono finalità che oltrepassano il semplice aspetto commerciale. La partecipazione delle scuole, delle bande di paese, la competizione fra i proprietari per chi spunta il prezzo migliore, trasformano l'asta in un vero e proprio evento che vanta radici profonde nelle tradizioni locali. Non è raro imbattersi in vendite dove sono proposti tronchi di rovere che arrivano fino a 400 anni d'età: il valore dei prodotti offerti e l'ampia partecipazione popolare La Camera di Commercio e accentuano il senso di appartenenza della comunità al territorio alimentando il rispetto per il bosco quale la Provincia ripropongono, per il patrimonio collettivo dall'alto valore socio-culturale ed prossimo 22 febbraio 2013, ad ore 14.30, economico. Muovendo da questi esempi lo scorso 1° marzo l'Ente la seconda edizione della vendita camerale e il Servizio foreste e fauna della P.A.T. hanno organizzato la prima asta trentina di legname pregiato. A di legname trentino di pregio presso differenza delle vendite tradizionali i 259 lotti, ospitati nel la Federazione Allevatori di Trento piazzale della Federazione trentina Allevatori, erano rappresentati da singoli tronchi di essenze nobili. Un'occasione apprezzata dagli operatori di settore che Da sempre il legno è una risorsa economica importante per hanno potuto acquistare legni speciali per la propria le comunità montane. Senza di esso sarebbe difficile attività. immaginare la storia delle nostre valli, anzi, la storia stessa Fra i materiali accuratamente selezionati e in gran parte della civiltà umana. Dal semplice consumo per il certificati PEFC figuravano abeti rossi di alta montagna, riscaldamento all'edilizia, dall'artigianato all'industria, il anche con caratteristiche di risonanza, abeti bianchi, legno offre una risposta a molteplici bisogni. larici, pini cembri, cedri; faggi, frassini, tigli e roveri. Anche la Camera di Commercio di Trento, come molti altri Circa il 30% del legname a disposizione è stato soggetti pubblici e privati, opera per la tutela e la aggiudicato in sede d'asta a prezzi superiori di un 20-25% valorizzazione di questo asset ambientale e culturale. Fin rispetto alla base, il restante 70% è stato venduto dagli anni Novanta organizza in collaborazione con gli enti comunque a prezzi interessanti. locali (Asuc e comuni) le aste del legname all'imposto su Le specie che hanno riscosso maggior interesse sono state strada incentivando la commercializzazione e l'uso della il larice e il cirmolo. Forte la domanda anche per l'abete materia locale. rosso, in particolare quello di risonanza, che è stato Il vigente Accordo di programma, che regola i rapporti fra completamente venduto durante l'asta e le successive Ente camerale e provinciale, inquadra gli interventi trattative. promozionali a favore del settore in una cornice che mira a A seguito del positivo esito che ha avuto questa prima fornire agli operatori una rete di strumenti in grado di esperienza, Camera di Commercio e Servizio Foreste e aumentare la visibilità della produzione locale e di agevolare Fauna della Provincia autonoma di Trento ripropongono l'incontro fra domanda e offerta. Gli obiettivi fissati per il prossimo 22 febbraio 2013, ad ore 14.30 la seconda nell'Accordo trovano realizzazione nella implementazione edizione della vendita di legname trentino di pregio c/o la di un “Osservatorio del legno trentino” che prevede Federazione provinciale Allevatori di Trento, che a attraverso il portale www.legnotrentino.it la divulgazione differenza della prima vedrà oltre alla vendita di tronchi di informazioni, dati e progetti imprenditoriali relativi alla singoli di legname di risonanza anche quella di lotti filiera foresta-legno: dalle aste agli eventi promozionali, minimi (4-5 tronchi) di legname della stessa specie e dalle analisi di mercato alle iniziative formative. provenienza. Fra le iniziative che la CCIAA di Trento in collaborazione La partecipazione è aperta ad aziende e privati interessati con la PAT sta riproponendo, per una maggiore all'acquisto di legname trentino di pregio e costituisce qualificazione della materia legnosa, rientra anche la un'occasione anche per tutti i progettisti per i quali il seconda edizione della vendita di legname trentino di legno è un elemento distintivo della propria attività.

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Verso il Piano Territoriale della Comunità: il caso dell'Alta Valsugana e Bernstol di Elisa Coletti*

*L’autrice ringrazia Anita Briani e Silvia Alba per aver messo a disposizione materiali e articoli liberamente richiamati dal presente testo.

Il piano territoriale della comunità (PTC) assume il ruolo di strumento che definisce sotto il profilo urbanistico e paesaggistico, le strategie per uno sviluppo sostenibile del territorio di ciascuna comunità di valle. L'obiettivo del piano è quello di conseguire un elevato livello di competitività del sistema territoriale, di riequilibrio e di coesione sociale, valorizzando le identità locali. Il processo propedeutico alla redazione dei PTC è stato avviato da tutte le comunità. Entro il panorama delle diverse esperienze di pianificazione condotte dalle varie comunità è singolare il percorso condotto dalla Comunità dell'Alta Valsugana e Bernstol; un percorso costituito da numerosi passaggi, tutti strettamente concatenati, che qui cerchiamo di ripercorrere. La Comunità ha promosso la redazione del Documento preliminare, che, a partire da un'analisi del territorio, giunge a definire indirizzi generali, strategie e obiettivi da cui partire per elaborare il PTC. L'obiettivo principale è quello di sostenere l'avvio del processo di pianificazione territoriale, fornendo un quadro interpretativo e propositivo relativamente ai compiti ed alle modalità di conduzione della pianificazione territoriale. Il documento è suddiviso in due parti. La prima, partendo da una lettura di come il Piano Territoriale si colloca nel sistema della pianificazione provinciale, sviluppa l'analisi degli esiti e dell'efficacia della pianificazione locale individuando i problemi emergenti e le principali risorse/opportunità del territorio. La seconda parte definisce la cornice degli indirizzi per la stipula dell'Accordo di Programma, ponendo particolare attenzione alla “visione” della Comunità Alta Valsugana-Bersntol: la comunità, infatti, oltre a richiamare, riconoscendosi in essa, la “vision” del Piano Urbanistico Provinciale, enuncia la propria “vision”. Lo fa proponendosi come un territorio: - forte di una propria identità basata sulla integrazione di diverse culture e di diverse tradizioni; - che conserva, valorizza e trasforma in modo appropriato i quadri ambientali e paesaggistici, gli insediamenti di antica origine e il patrimonio storicoculturale; - che persegue una efficace e misurata organizzazione del sistema insediativo, delle infrastrutture e delle attrezzature collettive al fine di consentire condizioni adeguate per la crescita umana, intellettuale e sociale delle persone residenti in ciascuna delle aree della Comunità; - che favorisce la promozione personale e la inclusione sociale; - che sostiene lo sviluppo e l'innovazione delle attività economiche.” La redazione del Documento preliminare è stata

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condotta dal prof. Bruno Zanon in stretto raccordo con gli amministratori della Comunità, in particolare l'assessore Anita Briani ed i funzionari del Servizio urbanistica, in particolare l'arch. Paola Ricchi. Oltre alla redazione del Documento, la comunità ha attivato il Tavolo di confronto e consultazione, un percorso di partecipazione organizzato e moderato dall'arch. Silvia Alba. Si è trattato di momenti di informazione e discussione rivolti ai rappresentanti della società locale ed ai cittadini, nonché di 'focus group' su temi specifici. I partecipanti si sono cimentati in cinque laboratori (workshop metodologia EASW) distinti per ambiti territoriali: Vigolana, Valle dei Mòcheni e Vignola Falesina, Pergine, Zona Laghi e Pinetano. Tale percorso ha messo a punto scenari che sintetizzano, per ciascun ambito omogeneo, la visione del futuro assetto territoriale della Comunità. Il lavoro è stato condotto chiedendo ai portatori di interesse di esprimersi sui contenuti del documento preliminare, nell'intento di definire, concertandoli, gli obiettivi e le scelte strategiche oggetto dell'Accordo-quadro di programma. Gli attori che hanno preso parte ai cinque laboratori si sono poi riuniti in due incontri plenari di conclusione e di sintesi per individuare le tematiche e le azioni prioritarie da perseguirsi: sono state individuate le 'scommesse' per il territorio della Comunità. Questa fase del percorso partecipativo si è da poco conclusa con una serie di incontri informativi pubblici, che hanno interessato i 5 ambiti, durante il quale sono stati divulgati i risultati finali del Tavolo di confronto e consultazione, sono state riportate le testimonianze di alcuni partecipanti ed è stato portato anche il contributo, sulle tematiche di maggior interesse, di soggetti esterni. A breve la stesura del Documento di sintesi del Tavolo di confronto e consultazione; verrà discusso, insieme al Documento preliminare, nella Conferenza per la stipulazione dell'Accordo quadro di programma. La Conferenza metterà a confronto la comunità, i comuni e, con funzione di supporto conoscitivo, la Provincia e si chiuderà con la stipula dell'accordo, propedeutico alla redazione del PTC. Già all'atto della approvazione del Documento Preliminare definitivo potrà dirsi compiuto un grande passo: da quel momento la Comunità assumerà anche funzioni oggi spettanti alla Provincia. Lo farà attraverso la propria Commissione per la pianificazione territoriale ed il paesaggio delle comunità che sarà chiamata a esprimere pareri obbligatori ai fini dell'adozione dei piani regolatori generali (e relative varianti) dei comuni del territorio della Comunità Alta ValsuganaBersntol.


Osservatorio sui Piani territoriali di Comunità a cura dei Servizi della Provincia autonoma di Trento

Comunità territoriale della Val di Fiemme: l'ufficio di Piano, al fine dell'ultimazione del documento preliminare, sta procedendo alla realizzazione degli studi relativi all'analisi del contesto territoriale, urbanistico e paesaggistico e alla compilazione del bilancio degli effetti prodotti dagli strumenti di pianificazione vigenti. Il rapporto di ricercazione, prodotto sulla base di interviste agli stakeholder e contenente le idee di sviluppo per il territorio della Comunità, è stato concluso. Grazie alla collaborazione della STEP è stato realizzato un workshop formativo avente ad oggetto la valorizzazione del paesaggio negli atti di pianificazione e la traduzione delle scelte pianificatorie in progetti attuativi. Comunità di Primiero: l'attività del tavolo di confronto e consultazione territoriale è in fase conclusiva. Questo ha trattato le tematiche relative all'agricoltura e all'allevamento, alla filiera del legno, all'energia, all'artigianato e all'industria, al turismo, al terziario, al tema dell'abitare e alle infrastrutture. Le indicazioni del Tavolo sono attualmente oggetto di sintesi al fine di produrre un quadro organico di strategie, indirizzi ed azioni da proporre al decisore per l'approvazione del documento preliminare definitivo. Grazie alla collaborazione della STEP è stato realizzato un workshop sulla pianificazione integrata in Primiero. Comunità Valsugana e Tesino: sulla base degli indirizzi approvati nella prima bozza di documento preliminare la Comunità ha istituito e nominato il tavolo di confronto e consultazione. Sono in fase di realizzazione un'attività di ricerca territoriale basata su interviste ad attori locali e un'attività tecnica volta all'analisi delle potenzialità e delle

studi per la predisposizione dei documenti tecnici relativi all'analisi territoriale, urbanistica e paesaggistica della Comunità. È stato sottoscritto un protocollo con i comuni dell'alta valle per Comunità Alta Valsugana e Bernstol: è attivare lo studio relativo alla vocazionalità dei territori dei comuni stata approvata la Proposta di documento preliminare per la redazione dell'Alta Val di Non, volto alla del PTC. È terminata anche l'attività dei valorizzazione delle peculiarità del territorio e alla sua salvaguardia focus group tematici, istituiti al fine del paesaggistica. In collaborazione con la coinvolgimento della cittadinanza attraverso la discussione organizzata per STEP è stato realizzato un workshop formativo avente ad oggetto la gruppi. È stato poi istituito il tavolo di pianificazione integrata della Valle di confronto e consultazione i cui lavori sono recentemente terminati: questi sono Non. stati organizzati sulla base di cinque workshop divisi su base geografica e due Comunità della Valle di Sole: il documento preliminare strategico è sessioni plenarie di sintesi. Sono in fase concluso ed è in fase di costituzione il di predisposizione i documenti per la Tavolo di confronto e consultazione. Sono stipula dell'accordo quadro di in fase di elaborazione le cartografie programma. territoriali ed urbanistiche di base, la mappatura dei siti di interesse Comunità della Valle di Cembra: sulla base di un atto di indirizzo strategico per architettonico e culturale, uno studio l'elaborazione del Piano territoriale della avente ad oggetto le piste ciclabili e Comunità, è in corso la rielaborazione dei l'elaborazione di un manuale tipologico a supporto della pianificazione. È documenti strategici sugli assi di terminato il lavoro avente ad oggetto la sviluppo del territorio della Valle di predisposizione di un regolamento Cembra elaborati nell'ambito della edilizio unificato. È in fase conclusiva lo progettazione del Patto Territoriale. studio relativo all'elaborazione delle linee Questi, integrati con le analisi del guida e degli indirizzi strategici per contesto territoriale, urbanistico e l'attività e l'assetto turistico di Valle e per paesaggistico, saranno alla base del la creazione di un parco fluviale sul fiume documento preliminare. È inoltre Noce. prevista la ricostituzione, opportunamente integrato, del tavolo di Comunità delle Giudicarie: la Comunità concertazione del Patto territoriale, già ha attivato il progetto di pianificazione rappresentativo delle categorie partecipata “Giudicarie 2020” al fine di economiche e sociali della Comunità. analizzare l'efficacia degli strumenti di pianificazione vigenti e definire nuove Comunità della Valle di Non: è stata elaborata una prima bozza di documento strategie di indirizzo per lo sviluppo. L'attività di analisi socio-economica è preliminare. Questa sarà integrata per terminata, così come l'attività di ascolto mezzo di un'attività di ricercazione territoriale sui temi dello sviluppo socio- del territorio e la definizione degli economico locale, in fase di realizzazione. obiettivi e delle proposte per la costruzione del Piano. La Comunità ha Sono inoltre in fase di realizzazione gli problematiche di rilevanza urbanistica e di governance territoriale oltreché all'elaborazione di linee strategiche generali per lo sviluppo del territorio.

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inoltre completato l'elaborazione di una proposta di Piano stralcio per la viabilità e la mobilità di Comunità ed è in fase di realizzazione l'attività di specificazione cartografica delle aree agricole di pregio del PUP. Questi elementi costituiscono l'impianto del documento preliminare e saranno alla base dei lavori del Tavolo di confronto e consultazione, che è in fase di costituzione.

responsabile e le politiche turistiche per le destinazioni dolomitiche. È stato ultimato il rapporto di ricercazione, prodotto sulla base di interviste agli stakeholders, il quale pone le basi per la definizione delle strategie e delle idee di sviluppo per il Piano. Queste, assieme alle analisi tecniche in via di realizzazione, saranno alla base del documento preliminare. Sono in fase di avvio gli incontri sul territorio con le categorie al fine della presentazione del Comunità Alto Garda e Ledro: sulla base di un atto di indirizzo strategico per rapporto di ricercazione e l'elaborazione del Piano territoriale della dell'individuazione dei componenti del Comunità sono stati raccolti ed elaborati i Tavolo. dati cartografici e statistici necessari ai fini della predisposizione del documento Magnifica Comunità degli Altipiani preliminare. Questo includerà, Cimbri: è stato ultimato il rapporto di soprattutto per quanto concerne ricercazione prodotto sulla base di l'impianto metodologico e l'analisi interviste ad attori territoriali urbanistica e paesaggistica, il progetto rappresentativi. Il rapporto è stato vincitore del bando istituito nell'ambito oggetto del Workshop “Fuori la tua del Fondo per il paesaggio della Provincia idea”, il cui scopo era quello di fare Autonoma di Trento, avente ad oggetto il emergere, mediante la partecipazione dei “riordino e la riqualificazione del nesso residenti, idee di sviluppo per la urbano Riva del Garda - Arco”. Comunità. Sono in corso di realizzazione le analisi relative al paesaggio della Comunità e al bilancio degli strumenti di Comunità della Vallagarina: il pianificazione vigenti. Nell'ambito delle documento preliminare è stato completato e integrato con le linee guida strategie programmatorie individuate è sulla pianificazione della mobilità di valle. stato avviato, in collaborazione con l'Associazione Artigiani e Piccole È stato prodotto il disciplinare per la imprese, un progetto per la formazione e costituzione ed il funzionamento del la certificazione di competenze in tavolo territoriale, che è in fase di attivazione. Sono iniziati gli incontri sul materia di edilizia e pianificazione territorio con le categorie economiche e sostenibile. sociali al fine della presentazione del documento preliminare e Comunità Rotaliana-Königsberg: dell'individuazione dei componenti da l'elaborazione del documento nominare al Tavolo. preliminare è in fase di conclusione. L'analisi dei dati statistici socioeconomici è conclusa. Si è conclusa Comun General de Fascia: grazie alla anche la fase di ricerca qualitativa, collaborazione della STEP è stato realizzato un workshop formativo avente sostanziatasi in un'attività di intervista a ad oggetto la valorizzazione del paesaggio soggetti territoriali qualificati. La Comunità ha svolto un'indagine relativa negli atti di pianificazione, lo sviluppo

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alla situazione delle aree produttive al fine di verificare la disponibilità di spazi già destinati. È stata realizzata, a conclusione di uno studio di ricognizione paesaggistico-territoriale a cura degli studenti del Laboratorio di Tecnica Urbanistica dell'Università di Trento, la mostra “Progetti per la Comunità Rotaliana-Königsberg”. Comunità della Paganella: l'elaborazione del documento preliminare è in corso. Sono in fase conclusiva gli studi finalizzati alla descrizione del contesto territoriale e all'analisi dell'assetto paesaggistico della Comunità, oltre all'analisi dei PRG dei comuni della Comunità. Sono infine in fase conclusiva anche le attività legate alla realizzazione di focus group ed interviste ad opinion leader territoriali, finalizzate alla realizzazione della mappatura della situazione socio-economica della Comunità. Comunità della Valle dei Laghi: La proposta di documento preliminare è completata. Questa integra le indicazioni strategiche e le idee di sviluppo contenute nel rapporto di ricercazione con le analisi tecniche e quantitative relative alla situazione socio-economica della Comunità, al suo assetto urbanistico, territoriale e paesaggistico e al bilancio degli effetti prodotti dagli strumenti di pianificazione e programmazione vigenti. Il tavolo di confronto e consultazione è in fase di avvio. Nell'ambito delle strategie programmatorie individuate è stata avviato, in collaborazione con l'Associazione Artigiani e Piccole imprese, un progetto per la formazione e la certificazione di competenze in materia di edilizia e pianificazione sostenibile.


A nord di Trento, A sud di Bolzano una mostra, un convegno

Inu/Trentino Chi siamo, cosa vogliamo, come partecipare COSA È L’INU? L’Istituto Nazionale di Urbanistica è stato fondato nel 1930 per promuovere gli studi edilizi e urbanistici, diffondendo i princìpi della pianificazione. Lo Statuto, approvato con DPR 21.11.1949, definisce l’Inu come “Ente di diritto pubblico ... di alta cultura e di coordinamento tecnico giuridicamente riconosciuto” (art. 1). L’Inu è organizzato come libera associazione di Enti e persone fisiche, senza fini di lucro. In tale forma l’Istituto persegue con costanza nel tempo i propri scopi statutari, eminentemente culturali e scientifici: la ricerca nei diversi campi di interesse dell’urbanistica, l’aggiornamento continuo e il rinnovamento della cultura e delle tecniche urbanistiche, la diffusione di una cultura sociale sui temi della città, del territorio, dell’ambiente e dei beni culturali.

La valle dell’Adige è una delle valli più interessanti dell’arco alpino. Non solo per il suo essere canale di comunicazione, con il valico del Brennero, tra l’Italia e la mitteleuropa, ma soprattutto per la sua struttura naturale e antropica, caratterizzata da grandi e fertili aree agricole e da un originario sistema insediativo, storicamente ordinato in piccoli borghi lungo il fiume e allo sbocco dei solchi vallivi secondari. Un sistema insediativo e agricolo con forti potenzialità identitarie, simboliche ed espressive ha in parte ceduto il passo a una forte pressione antropica, sfociata in un’urbanizzazione e infrastrutturazione che talvolta ha compromesso il suo fragile equilibrio. È cogliendo questi aspetti che Ambiente Trentino e l’Istituto Nazionale di Urbanistica (INU), sezioni Trentino e Alto Adige, hanno concentrato l’attenzione su questo territorio, troppo raramente oggetto di studi unitari anche in ragione dei moderni confini e della separazione amministrativa legata alle due province autonome. La lettura di questo contesto è stata affidata alla capacità di restituzione per immagini di otto fotografi, trentini e altoatesini: Leonhard Angerer, Luca Chistè, Ivo Corrà, Erich Dapunt, Anna Da Sacco, Hugo Munoz (sua la foto in alto), Francesca Padovan e Paolo Sandri, in mostra dal 23 novembre all’8 dicembre scorsi, presso il Centro Direzionale Interporto Trento. Con il supporto dell’indagine degli otto fotografi, INU ha poi curato il convegno, tenutosi il 30 novembre, che riflette in una prospettiva regionale sulle peculiarità contemporanee e l’evoluzione in atto o incipiente in questo territorio, con particolare attenzione alle identità culturali tedesche e italiane, e alle trasformazioni delle periferie industriali dei due capoluoghi regionali e del territorio interposto. Su questi temi sono stati chiamati a confrontarsi esponenti del governo locale, amministratori, tecnici, legislatori, docenti, studiosi e giornalisti, coordinati prima da Giovanna Ulrici, di INU Trentino, e Marco Molon, di INU Bolzano e poi da Paolo Campostrini, Caporedattore del quotidiano Alto Adige. Il convegno si è tenuto il 30 novembre, e gli atti e i contributi dei relatori saranno pubblicati sul prossimo “Sentieri Urbani”. (e.c.) 76

LA SEZIONE “TRENTINO” Dopo molti anni di “affiliazione” alla sezione della Regione Veneto i membri effettivi presenti in Regione hanno costituito, nel 1985, la sezione Trentino-Alto Adige dell’Istituto, inizialmente suddivisa in due “comitati” per poter rispondere meglio alle specificità normative e legislative delle due provincia autonome. Per questo, nel 1993 i due comitati si costituiscono in sezioni autonome provinciali. L’attività della Sezione Trentino si concentra nella promozione di convegni, seminari di studi, corsi di formazione, studi che abbiano come oggetto le trasformazioni del territorio. La sezione è storicamente dotata di un foglio informativo che nel 2008 è diventata rivista riconosciuta dal tribunale: Sentieri Urbani. COME ASSOCIARSI Per associarsi all’Istituto Nazionale di Urbanistica occorre presentare al Presidente della Sezione di competenza (per residenza o luogo di lavoro) una domanda sottoscritta da due Membri effettivi dell’Istituto e accompagnata da un breve curriculum e dalla ricevuta di pagamento della quota associativa per il primo anno. Per contatti e ulteriori informazioni: Segreteria INU Sezione Trentina (arch. Elisa Coletti, elisa_coletti@alice.it ). DIVENTA “AMICO” DELL’INU Da oggi sarà più facile seguire le iniziative dell’Inu/Trentino grazie al costante aggiornamento della pagina web (www.inu.it/trentino) e al social network (www.facebook.com/InuSezioneTrentino). Entrambe le pagine sono curate da Marco Giovanazzi.


Spazio all’integrazione! Un’iniziativa dell’Inu del Trentino Ormai un cittadino su dieci residente in Provincia di Trento è di origine straniera. La seconda e terza generazione di stranieri sta mettendo radici in Trentino. Le provenienze sono le più disparate, le potenzialità di questa risorsa culturale in gran parte inesplorate. Come sfruttarle affinché siano di arricchimento nel disegno degli spazi pubblici? E viceversa: una vera convivenza plurietnica, culturale e religiosa, dipende da una buona pianificazione dei luoghi, siano essi strade, piazze, parchi, ma anche centri scolastici, culturali, sportivi, religiosi? Per affrontare questi temi, lo scorso 17 novembre, presso la Sala della Fondazione Caritro a Trento, si è tenuto un forum pubblico intitolato “Spazio all'integrazione!”, organizzato dalla Sezione Trentino dell'Istituto Italiano di Urbanistica (INU) con la Fondazione Alexander Langer di Bolzano, ideatrice dell'iniziativa. Tra i numerosi ospiti sono intervenuti – per il Comune di Trento - il Vicesindaco e assessore all'urbanistica Paolo Biasioli e l'assessore alle politiche sociali Violetta Plotegher, l'Assessore provinciale alle politiche sociali Lia Giovanazzi Beltrami, la consigliera comunale di Rovereto Aicha Mesrar. Insieme a urbanisti, architetti, sociologi e operatori sociali hanno affrontato il tema “Quali spazi urbani per quale società interculturale?”. La giornata ha voluto mettere a confronto gli addetti ai lavori, i politici, gli operatori che devono animare i vari quartieri e i cittadini di tutte le origini e provenienze che degli spazi sono i fruitori, per provare a dare una risposta e costruire una rete di confronto. Veri protagonisti dell'evento sono stati tutti i partecipanti al Forum, che hanno avuto un ampio spazio di discussione gestito da Riccardo Acerbi, in cui sono emerse problematiche, idee, prospettive e proposte. Urbanisti come Bruno Zanon dell'Università di Trento hanno espresso l'importanza da parte dell'urbanistica di tenere in considerazione le diverse esigenze e le diverse percezioni degli spazi da parte di persone provenienti da ambienti e culture differenti. Allo stesso tempo è necessario guardare al futuro con lungimiranza e alle esigenze che cambiano rapidamente, come hanno voluto sottolineare l'urbanista milanese Elena Granata e la psicologa di origini tunisine Afef Hagi. E che il problema della

“Quali spazi urbani per quale società interculturale: cittadinanza, condivisione, responsabilità”: questo il sottotitolo dell’iniziativa svoltasi a Trento lo scorso 17 novembre. Nelle fotografie di Giovanni Melillo Kostner alcuni momenti dell’incontro.

convivenza non possa semplificarsi in un approccio inclusivo è stato ben evidenziato dal sociologo Andrea Mubi Brighenti. Il bagaglio culturale e architettonico del passato che ha dato forma a una città come Trento, che è fatta di strade chiuse e spazi stretti - come ha illustrato sapientemente l'architetto Sergio Giovanazzi - deve e può essere un punto di partenza da coordinare con le nuove esigenze e culture che costellano il nuovo tessuto cittadino. Dei problemi di cui si fanno carico i poli sociali e le associazioni attive capillarmente sul territorio, devono essere coscienti amministratori e urbanisti, come hanno sostenuto Maria Rosa Grossa, coordinatrice del polo sociale di Trento centro e Stefano Petrolini, per Atas/Kaleidoscopio: la concentrazione è spesso frutto di politiche residenziali miopi, non sempre deriva dalla necessità di poter vivere accanto ai propri familiari da parte di chi si è trasferito da paesi lontani per iniziare una nuova vita. Il comune di Bolzano, come hanno raccontato Rosita Izzo e Giorgio Marchi, di INU AltoAdige, ha appunto scelto questa linea d'azione, facilitata anche da una maggiore densità della città: distribuire la popolazione straniera (oggi al 14% contro il 3% del 2002) su tutto il territorio cittadino, a favore di un più alto grado di convivenza e accoglienza. Certo la città interculturale (come auspicava un assessore all'urbanistica lungimirante come Silvano Bassetti) è un lungo e faticoso percorso fatto di politiche attive. D'altro canto le nostre città sono il frutto dell'influenza interculturale sviluppatasi nei secoli come ha precisato il sociologo di origini irachene Adel Jabbar,

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con aspettative e visioni proprie, prima che di un determinato background culturale. E sul bisogno di dare visibilità alle diverse identità, anche tramite i luoghi di culto si è soffermato l'urbanista Francesco Minora. Nei laboratori in gruppi, a cui tutto il pubblico ha potuto partecipare diventando protagonista della discussione, è emerso come la scuola sia ormai rimasto l'unico luogo veramente interculturale, un luogo franco, in cui tutti sono legittimati a recarsi, a conoscere e a farsi conoscere. I processi di partecipazione, soprattutto per la rivalutazione di spazi già esistenti, sono stati presentati tra l'altro dall'arch. Sivia Alba come possibile strumento di coinvolgimento di tutti Trasparenza e chiara comunicazione da parte delle istituzioni sono prerogativa essenziale per non disilludere la partecipazione vera e impegnata dei cittadini, di qualsiasi provenienza essi siano. Il progetto si è avvalso della collaborazione dell'Università degli Studi di Trento, dei Poli Sociali del Comune di Trento, della Circoscrizione di Gardolo, delle Associazioni CarpeDiem, Atas onlus, ConSolida, Cooperativa Arianna, del ForumTrentino per la Pace, della Cooperativa Quater, dell'associazione culturale Professional Dreamers. L'iniziativa è stata possibile grazie al contribuito della Fondazione Caritro, della Provincia Autonoma di Trento e del Comune di Trento, ed è stata patrocinata dall'Ordine degli Architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori della Provincia di Trento. (g. u.)


Biblioteca dell’ rbanista

Corrado Diamantini (a cura di) “Temi e indicatori di sostenibilità ambientale in una regione alpina”

Wolfgang Sachs e Marco Morosini “Futuro sostenibile. Le risposte ecosociali alle crisi in Europa”

Christian Felber “Economia del Bene Comune. Un modello economico che ha futuro”

Temi editrice, Trento 2005, 18 euro

Edizioni Ambiente, Milano 2011, 28 euro

Tecniche nuove, Roma 2011, 14,90 euro

Il volume non è recente ma rappresenta una pietra miliare degli studi sullo Sviluppo sostenibile nei contesti alpini. La scala regionale è ritenuta da più parti quella più adeguata ai percorsi di sostenibilità dello sviluppo. E proprio in questa prospettiva, della saldatura cioè tra sviluppo sostenibile e politiche regionali, si colloca il Progetto per lo sviluppo sostenibile del Trentino, redatto da Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale dell’Università di Trento su incarico dell’Agenzia Provinciale per la Protezione dell’Ambiente e adottato dalla Giunta della Provincia autonoma di Trento. Il volume raccoglie gli esiti cui sono pervenuti gli studi prodotti nell’ambito della redazione di questo progetto, oltre che una descrizione dell’approccio seguito per giungere a una valutazione condivisa della sostenibilità ambientale dello sviluppo economico locale e quindi alla selezione dei temi e degli indicatori da utilizzare nei processi decisionali. Con scritti di Stafano Amato, Gianni Andreottola, Paolo Baggio, Alberto Bellin, Michele Bernabé, Andrea Cemin, Marco Ciolli, Corrado Diamantini, Alessia Daprà, Massimo De Marchi, Barbara Facchinelli, Giulio Lazzerini, Paola Mattolin, Marco Ragazzi, Riccardo Rigon, Bruno Zanon e Giuliano Ziglio.

Si tratta della versione italiana di uno studio che ha avuto grande successo in Germani, condotto da Wolfgang Sachs e dal Wuppertal Institut. La sua prima edizione è stata presentata a Berlino nel 1996 da Angela Merkel, all'epoca ministro dell'ambiente. La versione italiana, finanziata tra gli altri da Banca etica, Acli, Caritas, Cisl, è stata adattata al nostro Paese eliminando i riferimenti alla Germania e aggiungendo riferimenti all'Italia e all'Europa, nonché note e bibliografia aggiornate al 2011. Le riforme proposte da Wolfgang Sachs e dai trenta autori dello studio potrebbero impegnare i governi di un Paese europeo per le prossime due generazioni e rispondono a una domanda sempre più drammatica: come ospitare degnamente gli abitanti della Terra senza stravolgere gli equilibri ecologici su cui si fondano l'alimentazione, il benessere e l'intera economia? “In questo momento storico – scrive Sachs – il conflitto tra ecologia e giustizia palesa la sostenibilità come vero e proprio programma di sopravvivenza, perché la drammatica alternativa è: sostenibilità o autodistruzione”. “Lungi dal servire solo alla protezione dei panda e delle balene, l'ecologia è l'unica opzione per garantire sulla Terra il diritto d'ospitalità a un numero crescente di esseri umani”.

L'idea su cui si basa l'economia del bene comune è la seguente: il successo delle aziende ed organizzazioni non viene valutato soltanto secondo criteri finanziari, ma anche secondo quello che rende per il bene comune. L'economia del bene comune si basa sugli stessi valori fondamentali che portano alla riuscita delle nostre relazioni interpersonali: formazione della fiducia, cooperazione, stima, democrazia, solidarietà. Secondo le più recenti scoperte scientifiche, le relazioni funzionanti sono quanto porta la massima felicità e la massima motivazione alle persone. Christian Felber mostra la strada verso un'economia nella quale il denaro ed i mercati tornano a servire gli uomini, e non il contrario. I periodi di crisi sono eventi drammatici e infelici ma proprio in queste circostanze spesso si generano idee e concetti nuovi come risposta. L'economia del bene comune descrive un modello economico nuovo, concreto e applicabile. Il progetto vuole essere una forma di economia di mercato nel quale le motivazioni e gli obiettivi delle aziende private sono sovvertiti: dall'orientamento al puro profitto e competizione alla ricerca del bene comune e della collaborazione.

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