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SentieriUrbani LA RIVISTA DELLA SEZIONE TRENTINO DELL’ISTITUTO NAZIONALE DI URBANISTICA

Sentieri Urbani rivista quadrimestrale della Sezione Trentino dell’Istituto Nazionale di Urbanistica

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Editoriale di Giovanna Ulrici

nuova serie anno V - numero 11 settembre 2013

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Paesaggio, Percezione, Comunità. Un'intervista a Corrado Diamantini a cura di Pietro Degiampietro 12

Dossier: Paesaggio e pianificazione territoriale a cura di Pietro Degiampietro e Alessandro Franceschini

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Il paesaggio al centro: per una nuova stagione urbanistica in Trentino di Pietro Degiampietro

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Tanti piani, tanti paesaggi: le letture dei piani urbanistici del Trentino di Alessandro Franceschini

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Riconoscere e rappresentare il valore del paesaggio: le indicazioni metodologiche per la carta del paesaggio dei PTC di Angiola Turella

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Uno sguardo teorico

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Il paesaggio come espressione delle culture che abitano un territorio di Cristina Mattiucci

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Il paesaggio nella metafora di degni e disegni di Enrico Ferrari

concessionaria di pubblicità Publimedia snc via Filippo Serafini, 10 38122 Trento 0461.238913

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La pianificazione del paesaggio in Alto Adige di Peter Kasal

© Tutti i Diritti sono riservati

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Comunità Alta Valsugana e Bersntol e Comunità della Paganella Metaprogetti di paesaggio di Furio Sembianti

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Comunità territoriale della Valle di Fiemme e Comunità di Primiero Temi di paesaggio per i PTC di Giorgio Tecilla

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Comunità della Val di Non Landscape calling di Cesare Micheletti e Loredana Ponticelli

registrazione presso il Tribunale di Trento n. 1376 del 10.12.2008 Issn 2036-3109 direttore responsabile Alessandro Franceschini direttore@sentieri-urbani.eu redazione Elisa Coletti, Paola Ischia, Luca Paolazzi, Giovanna Ulrici, Bruno Zanon redazione@sentieri-urbani.eu fotografia e sito web Luca Chistè web@sentieri-urbani.eu hanno collaborato a questo numero Vittorio Curzel, Pietro Degiampietro, Enrico Ferrari, Peter Kasal, Cristina Mattiucci, Cesare Micheletti, Loredana Ponticelli, Furio Sembianti, Giorgio Tecilla, Angiola Turella progetto grafico Progetto & Immagine s.r.l. - Trento

37 Le esperienze

prezzo di copertina e abbonamenti Una copia € 10 - Abbonamento a 3 numeri € 25 Per ricevere Sentieri urbani è sufficiente inviare una e_mail indicando i dati postali di chi desidera abbonarsi alla rivista: diffusione@sentieri-urbani.eu I testi e le proposte di pubblicazione che pervengono in redazione sono sottoposti a valutazione secondo competenze specifiche e interpellando lettori esterni contatti www.sentieri-urbani.eu 328.0198754

59 Appendice: una ricerca sul paesaggio

editore Bi Quattro Editrice via F. Serafini, 10 38122 Trento Istituto Nazionale di Urbanistica Sezione Trentino Via Oss Mazzurana, 54 38122 Trento direttivo 2012/2014 Giovanna Ulrici presidente Bruno Zanon vice presidente Elisa Coletti segretario Alessandro Franceschini tesoriere Davide Geneletti consigliere Marco Giovanazzi consigliere Paola Ischia consigliere

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Paesaggi storici e architetture contemporanee come costruzioni identitarie di Vittorio Curzel

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Il porfido e le pietre del Trentino, per uno spazio urbano di qualità

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A nord di Trento. A sud di Bolzano. Un anno di attività di Giovanna Ulrici e Luca Paolazzi

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Questi sono i miei fiumi: una giornata in ricordo di Fulvio Forrer di Giovanna Ulrici

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Biblioteca dell'urbanista


Progettando il paesaggio

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Editoriale Proiettandosi sul futuro della pianificazione provinciale, questo numero di Sentieri Urbani curato dai soci Alessandro Franceschini e Pietro Degiampietro recupera un racconto interrotto, quello dei piani comprensoriali, e in qualche misura ricostruisce un ponte con il processo di avvio della pianificazione provinciale al quale è stato dedicato

luoghi da esse abitati e costruiti, l'identità rimarrà una mera petizione di principio, vuota, sterile, persino controproducente». Il lavoro in fieri delle Comunità presentato in questo numero della rivista sembra proprio evitare queste secche, e affronta e reagisce a tanti rischi e difficoltà: per esempio al rischio di

come un bene comune SU8, sulla formazione del primo Piano Urbanistico del1967. Il laborioso lavoro di interpretazione, ascolto e restituzione degli autori dei Piani di Comunità è dedicato ad una terra sorprendentemente florida e avanzata, a volte compiaciuta del proprio status conquistato con l'esercizio della disciplina, non sempre austera nell'uso delle risorse naturali, finanziarie, di prossimità o di scala ed ora preoccupata, molto preoccupata, per il proprio futuro. Tutto questo, comprese le recenti difficoltà, è tracciato nelle forme del territorio, è visibile nello spazio che gli abitanti hanno dato al proprio stare sulla terra, Ma c'è anche altro. Fare del Paesaggio il luogo di sintesi e

cercare nella rappresentazione collettiva una forzata condivisione che si riduca ad un minimo comune multiplo di banalizzazione, oppure, all'opposto, che la rappresentazione non riesca o non voglia ascoltare tutti e persegua un disegno del territorio raffinato, colto ma non condiviso. La possibilità di conoscere in questo numero di SU la misura e la densità delle ricerche preparatorie affrontate per dare forma a una nuova stagione di pianificazione paesaggistica mette in luce la quantità di definizioni date alla parola “paesaggio”, tutte declinate certamente a partire dalla formula della rappresentazione di valori condivisi obbliga a fare Convenzione europea, in alcuni casi ancora traguardanti un approccio protettivo se non i conti innanzi tutto con i presupposti identitari rappresentati in tre narrazioni (Vittorio Curzel) sulla vincolistico, ma prevalentemente permeate dal concetto di “paesaggio bene comune”. In storia della terra trentina, riferite al suo possibile questa definizione si riconoscono le premesse destino italiano, al suo destino autonomista e ad una ondivaga nostalgia tirolese: racconti dai quali per difendere il paesaggio identitario dal disegno di un manifesto di marketing territoriale non si può prescindere nella ricerca di una più condizionato da forme esasperate di “tipicità” generale identità collettiva perché alimentati da commerciale, così come vi si ritrova la possibilità un conflitto ancora irrisolto che tende a condizionare anche i rapporti con i nuovi cittadini. che la percezione dei luoghi rispetti ciò che la componente naturale ha da dire in termini, per Il rischio è di mettere al centro della nuova pianificazione una rappresentazione retorica della esempio, di depauperamento della complessità storia locale attraverso una forzata interpretazione ecosistemica o di rischio idrogeologico. Nella lettura delle premesse che gli autori dei suoi segni e simboli: in questo senso è dedicano al temi della Invarianti e della carta significativo e liberatorio leggere sul documento delle Regole sorgono ancora molti interrogativi ufficiale (non cogente) delle linee guida provinciali il testo di Annibale Salsa, in cui trovano sugli strumenti di rappresentazione che veicoleranno i loro contenuti: dovranno posto affermazioni chiare e forti quali «la nozione comunicare ai non addetti ai lavori, di identità è il risultato di dinamiche di contatto, rappresentare valori ed emozioni, trasferire ibridazione, meticciamento fra elementi diversi. informazioni sui luoghi e proiettare il disegno del L'errore più grave, dal punto di vista paesaggio futuro che le comunità sceglieranno; antropologico, è quello di attestarsi a definizioni anche sul fronte documentale sarà utile provare statiche, immutabili, stereotipate e “idealnuovi linguaggi e forme comunicative. tipiche”». E ancora «Occorre, a questo punto, Vi invito quindi alla lettura di questo numero di andare oltre il rischioso appello all'identità Sentieri Urbani: racconta di noi, del bisogno di territoriale e sociale, intorno a cui ci si interroga legami con la comunità e di appartenenza alla nella redazione dei progetti urbanistici e terra che ci accoglie, che la si abiti da paesaggistici (…) Se viene meno la capacità, da generazioni o da pochi anni. parte delle comunità, di potersi identificare con i Giovanna Ulrici 05


Paesaggio, Percezione, Comunità Un’intervista a Corrado Diamantini a cura di Pietro Degiampietro

Corrado Diamantini è professore ordinario di Tecnica e pianificazione urbanistica nell’Università di Trento. Attualmente è impegnato nella redazione del Piano territoriale della Comunità Rotaliana-Königsberg.

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In Trentino sta iniziando una nuova fase della pianificazione con l'implementazione del Piano Urbanistico Provinciale del 2008 e con i nuovi piani territoriali che le Comunità stanno avviando. Pur nel momento così complesso che stiamo attraversando, il paesaggio tende a ricoprire un ruolo sempre più centrale nel piano. Perché? Intanto, perché non vedo alcun attrito tra azioni rivolte a sostenere la crescita e azioni rivolte a migliorare i luoghi. Si tratta di azioni che devono sinergere, partendo dal presupposto che il paesaggio è insieme una risorsa e un bene comune. In quanto risorsa ne può essere fatto un uso razionale, che non ne comporti cioè il depauperamento; in quanto bene comune ne va preservata, se non migliorata, la qualità. Inoltre, credo che siano rimasti in pochi a pensare che la crescita in sé sia una variabile indipendente alla quale va sacrificato tutto il resto. Questa è la stessa logica che ha portato alla crisi, ritagliando addirittura all'interno dell'economia un ruolo separato alla finanza. Pensiamo di uscire dalla crisi allo stesso modo con cui ci siamo entrati, ossia separando dimensioni – l'economia, la società, l'ambiente – la cui interazione è vitale? E poi, è sufficiente osservare quali effetti ha prodotto sull'ambiente e sul paesaggio un atteggiamento accondiscendente, da parte delle amministrazioni chiamate a presiedere il territorio, nei confronti di quale che fosse l'investimento di turno. Si tratta di incoraggiare gli investimenti facendoli però dialogare con i luoghi. La chiave di uno sviluppo del territorio che sia sostenibile può quindi essere il paesaggio, dicevamo. Si tratta però di un paesaggio che tende ad assumere un nuovo senso. Quale è oggi il suo ruolo, nel piano? Distinguerei due livelli. Quello, al quale siamo oramai abituati, delle norme di legge e quello, che ha fatto il suo ingresso più di recente, della percezione. Il primo si pone in continuità, nel nostro paese, con un'azione di tutela che risale a quasi un secolo fa, ossia a una legge del 1922 che si proponeva di proteggere il paesaggio italiano da quelle che il legislatore definiva ingiustificate devastazioni. Si tratta di un'azione di tutela che diventa obbligatoria a metà degli anni ottanta del secolo scorso quando, con la Legge Galasso, viene redatto un elenco di ciò che va tutelato e, ancora, viene imposto di redigere, con il piano


Il paesaggio è allo stesso tempo un luogo e la sua immagine, ossia l'aspetto dei luoghi, che ciascuno può osservare e giudicare. Esso è l'esito formale di complesse trasformazioni, in cui ognuno può riconoscersi o meno

territoriale, anche il piano paesaggistico. Parlerei quindi di obbligo di legge che però trova riscontro, oggi, in una più diffusa consapevolezza, rispetto al passato, del senso e del valore del paesaggio. Oltre al livello dei vincoli, esiste quindi anche un altro livello del paesaggio, quello che viene percepito dagli abitanti. L'altro livello lo ricondurrei proprio a questa nuova consapevolezza del paesaggio in quanto valore. Direi che riferirsi al paesaggio è diventato un modo, più immediato ed efficace, di trattare il territorio. Mi spiego. Il territorio è il risultato di trasformazioni complesse, riconducibili a diritti radicati e a necessità vitali, a processi economici e sociali oltre che a regole e prescrizioni che cercano di tenere insieme l'interesse privato con quello pubblico. L'esito di queste trasformazioni non è semplice da decifrare per un abitante. Come lo misura? In termini di vantaggi personali? Di utilità collettiva? Di sicurezza dei luoghi? Di efficienza di sistema? Il rischio è che ciascuno soppesi cose diverse, per cui alla fine si ottengono giudizi non confrontabili o, più spesso, si è di fronte a una totale assenza di giudizio Nella costruzione territoriale poi, ogni abitante è per certi versi un portatore di interessi per cui è abbastanza difficile che riesca a guardare al territorio in modo disinteressato, come per altro dovrebbe essere visto che la costruzione territoriale dovrebbe esprimere un equilibrio tra i molteplici interessi privati e l'interesse pubblico. E qui entra in ballo il paesaggio che, per certi versi, viene già percepito dagli abitanti e da chi frequenta un luogo come bene comune. E in che modo il paesaggio può diventare un parametro di giudizio comune agli abitanti di un luogo? Il paesaggio è allo stesso tempo un luogo e la sua immagine. Rimanendo all'immagine, il paesaggio non è altro che l'aspetto dei luoghi, che ciascuno può osservare e giudicare. Questo aspetto non è altro che l'esito formale di quelle complesse trasformazioni cui ho fatto riferimento, in cui ognuno può riconoscersi o meno. Accade che

entrando nella dimensione del paesaggio, si perda quell'ottica utilitaristica con cui si guarda al territorio per assumerne un'altra, spogliata dell'interesse personale e attenta appunto alla presenza o all'assenza di valori formali. E' un tipo di giudizio che da quantitativo, ossia legato a una sorta di funzione di utilità, diventa qualitativo, ossia legato alle sensazioni che suscitano le forme dei luoghi, indipendentemente dalla parte che si ricopre nella loro organizzazione. Il territorio cessa di presentarsi come un groviglio di interessi per diventare, allo sguardo d'insieme di chi quei luoghi li abita o li frequenta, un unico spazio collettivo. Quali sono questi valori formali a cui fa riferimento? Anche qui distinguerei due livelli. C'è quello della percezione individuale, in cui questi valori possono riflettersi in un gradimento suscitato dalla bellezza o dalle forme armoniche dei luoghi, oppure in una sintonia che si viene a stabilire con gli stessi luoghi per le emozioni o le riflessioni che suscitano. C'è poi il livello della percezione collettiva, in cui questi valori possono riflettersi in significati simbolici, in un senso di appartenenza ai luoghi, oppure in un senso di orgoglio per questi stessi luoghi da parte di una comunità consapevole, all'interno della quale includo chi ci è nato e chi è venuto a viverci. A questo proposito diverse indagini hanno rilevato che chi va ad abitare in un luogo prescelto anche per la sua piacevolezza è più interessato di uno che ci è nato a preservarne i caratteri. In entrambe le dimensioni gioca ovviamente anche il senso di indifferenza o di ripulsa che i luoghi possono suscitare. Quindi il paesaggio non è più solo l'espressione di un luogo ritenuto comunemente bello. Esistono anche i paesaggi della quotidianità e i paesaggi del degrado e dell'abbandono. Nel modo di intenderlo oggi, il paesaggio nella sua dimensione percettiva è la forma dei luoghi, di tutti i luoghi. Anche, se non soprattutto, di quelli della vita quotidiana. Mi riferisco ai luoghi che si intravedono nel percorso che ogni giorno 07


Il paesaggio è fatto di luoghi costruiti, oppure spazi aperti. Strade, gruppi di case oppure aree industriali. O ancora profili di montagne, distese di boschi e quant'altro. E questo riporta alle sensazioni che suscita la vista di questi luoghi e ai giudizi di valore che accompagnano queste sensazioni viene compiuto per recarsi a scuola o al lavoro o in qualsiasi altro posto. Oppure a quelli su cui ci si sofferma stando a casa o in qualsiasi altro punto di osservazione. Sono luoghi costruiti, oppure spazi aperti. Sono strade, gruppi di case oppure aree industriali. O ancora profili di montagne, distese di boschi e quant'altro. E questo riporta a quanto ho detto in precedenza, ossia alle sensazioni che suscita la vista di questi luoghi e ai giudizi di valore che accompagnano queste sensazioni. Se il tema è posto nei termini di un paesaggio onnipresente, questi giudizi di valore possono esprimere il soddisfacimento o meno nei confronti dell'esito di un processo complesso come quello della costruzione territoriale. Voglio dire che chiunque, nei confronti dei luoghi che frequenta, può esprimere un giudizio che rimanda, attraverso la qualità delle forme, alla qualità appunto dello spazio collettivo. Da un punto di vista operativo, come intervengono questi due livelli nel piano? Intanto va detto che si tratta di due livelli ancora distanti tra loro e che solo il primo, quello della tutela, ha valore di legge. Ha anche una lunga storia alle spalle che, ai fini di questo nostro ragionamento, vale la pena riassumere. All'inizio del secolo scorso la tutela del paesaggio è un problema che si pongono solo alcuni intellettuali, tra i quali Benedetto Croce ed è sostenuta da una concezione altrettanto elitaria, quella per cui il paesaggio è solo quello di luoghi carichi di bellezza e di storia. Questa azione di tutela, anche per la scarsa convinzione di tutti, non produce grandi risultati. Anzi, negli anni sessanta e settanta del secolo scorso, quando nel paese si intensificano le trasformazioni territoriali, appare del tutto inefficace. Si corre ai ripari con la Legge Galasso che senza preoccuparsi di entrare nel merito del concetto di paesaggio sottopone a vincolo paesaggistico ambiti territoriali sulla base delle loro caratteristiche morfologiche, oppure della copertura o dell'uso del suolo. In altri termini, si tutela territorio e non paesaggio. Tanto che la Corte Costituzionale, un anno dopo l'approvazione della legge, segnalò che non tutti gli ambiti territoriali sottoposti a tutela e in

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particolare quelli contermini ai fiumi, avevano rilevanza a fini paesaggistici. Nella letteratura sull'argomento si propende a parlarne come di una legge attenta agli aspetti naturali e ambientali del territorio. In ogni caso si tratta del primo, importante provvedimento legislativo a tutela dell'ambiente e del territorio e, indirettamente, del paesaggio. Un provvedimento dettato da un'urbanizzazione indiscriminata oltre che da un dilagante abusivismo edilizio. La tutela in blocco di alcuni ambiti paesaggistici ha però consentito le trasformazioni territoriali e urbanistiche di altri ambiti, ritenuti meno importanti. Esattamente. La logica sottesa alla legge è quella dello zoning. Questa logica ha inciso sul modo con cui da quel momento si è guardato al paesaggio, ossia selezionando e separando, in continuità con il passato, alcuni ambiti territoriali dal resto del territorio. Come avverrà specularmente dopo un paio d'anni con la legge quadro sulle aree protette che ritaglia a sua volta gli ambiti naturalistici da sottoporre a tutela. Aggiungo che la legge Galasso, ponendo l'accento esclusivamente sui luoghi, finisce con il distogliere l'attenzione dalla loro percezione, tema che ricorreva invece nella legge del 1939, erede di quella del 1922. Se guardiamo ai piani paesaggistici o ai piani territoriali con valenza paesaggistica redatti dalle Regioni queste due cose, ossia la suddivisione del territorio in ambiti paesaggistici e non e la disattenzione per la percezione del paesaggio da parte delle popolazioni, le ritroviamo sempre. Questo non significa che si sia operato male. Anzi, sono stati presidiati in questo modo ambiti territoriali che altrimenti ci apparirebbero oggi irriconoscibili. Oggi, a partire dal Piano Urbanistico Provinciale, le Comunità stanno avviando le pianificazioni paesaggistiche dei propri ambiti territoriali. Nella fase attuale, questi due livelli sono destinati a rimanere separati o possono interagire tra loro? Intanto direi che il secondo livello va costruito. Non è sufficiente che se ne condivida oggi la rilevanza, sancita all'alba di questo secolo dalla Convenzione Europea sul Paesaggio. Una volta appurato che anche i luoghi vissuti o frequentati abitualmente rimandano a paesaggi capaci di rappresentare, agli occhi delle


popolazioni, il proprio ambiente di vita oltre che la propria identità collettiva, dobbiamo raccogliere e sistematizzare queste rappresentazioni e trasferirle nelle pratiche di piano. Questa raccolta e sistematizzazione è un'operazione per certi versi inedita, il cui avvio sconterà inizialmente approcci sperimentali. Anche il trasferimento dei suoi esiti nelle pratiche di piano dovrà seguire altre strade rispetto a quelle percorse dalla tutela. Si tratterà di operare non tanto con campiture che rimandano a vincoli, quanto con progetti capaci di dare un nuovo impulso e una nuova immagine ai luoghi. Con l'obiettivo di garantire una qualità diffusa. Ed è qui che può intervenire la sinergia con la crescita o, più precisamente, con le iniziative imprenditoriali. Quanto al modo con cui i due livelli possono interagire, vedo in questa costruzione una duplice utilità. Deve servire da un lato a fornirci un quadro della percezione del paesaggio da parte degli abitanti, con riferimento ai luoghi del vivere quotidiano. Dall'altro ad accreditare dal basso quei presìdi territoriali ai quali hanno rivolto la loro attenzione, nel corso di decenni, le azioni di tutela sancendone per certi versi la condivisione. In questo modo si realizza l'interazione più efficace tra i due livelli. Vale anche in questo caso il principio per cui si presidia con maggiore convinzione ciò di cui si riconosce il valore. Questo rinvenimento della percezione del paesaggio da parte degli abitanti è la sola operazione innovativa rispetto a pratiche pianificatorie altrimenti consuete o ce ne sono delle altre? Ce ne sono, a mio avviso, almeno altre due. La prima operazione la ricondurrei all'opportunità che si offre, sia al piano che al progetto di paesaggio, di interagire oggi con l'attenzione del tutto nuova rivolta al tema della funzionalità e della connettività degli ecosistemi. Anche con riferimento alla tutela degli ambiti naturalistici si assiste da qualche tempo a questa parte a un fatto nuovo, analogo per certi versi a quello accaduto con il paesaggio. L'abbandono, cioè, dell'ottica dello zoning o della separazione delle funzioni, in favore di una concezione che estende opportunamente la presenza di ecosistemi o di

corridoi capaci di connetterli ad ambiti territoriali che travalicano le aree protette, fino a lambire o ad attraversare il territorio urbanizzato se non le stesse città. Integrare lo sguardo rivolto al paesaggio con questa nuova concezione può consentire di ottenere sinergie determinanti ai fini non solo della tutela, ma anche della rigenerazione del paesaggio. E l'altra? L'altra operazione investe un ambito strettamente disciplinare, se non addirittura tecnico. Si tratta di affrontare in modo nuovo il tema della rappresentazione del paesaggio. Qualcosa in questa direzione si sta facendo, ma rimane il fatto che il paesaggio, oggi, viene rappresentato attraverso campiture policrome che rimandano appunto ai vincoli o alle interdizioni di legge. Si tratta di un paesaggio bidimensionale, appiattito su una mappa e per questo irriconoscibile. Certamente funziona nella regolamentazione dell'uso del suolo, ma non nella comunicazione. Il paesaggio è composto da forme volumetriche, da colori, da luci e ombre che mutano nel tempo, per non parlare del movimento. Nella prospettiva, pratica, del coinvolgimento delle popolazioni nella costruzione paesaggistica, queste forme dovrebbero essere adeguatamente rappresentate, anche perché in tal modo diventa più agevole prospettare soluzioni progettuali condivise. In questa rappresentazione vedo essenziale il rapporto con altre figure, a partire dai fotografi. Certo, anche la tridimensionalità può essere considerata non risolutiva, ma intanto cerchiamo di compiere questo primo passo.

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Dossier: Paesaggio e pianificazione territoriale a cura di Pietro Degiampietro e Alessandro Franceschini

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In Trentino, la storia della pianificazione territoriale di area vasta è scandita dai momenti in cui sono stati approvati i diversi piani urbanistici provinciali. Nel 1967 vede la luce il primo Piano urbanistico provinciale, vent'anni dopo, nel 1987, ne viene approvata la prima revisione e ad un'ulteriore distanza di vent'anni nasce il piano provinciale con cui ci misuriamo oggi. Se il primo Pup del 1967 si poneva l'obbiettivo dello sviluppo socio-economico del Trentino, dotando il territorio di infrastrutture, insediamenti produttivi e attrezzature di servizio tali da garantire una qualità di vita urbana diffusa e la presenza dei residenti anche nelle valli più lontane, il secondo allargava il suo ambito dall'aspetto urbanistico a quello territoriale in senso più lato, sviluppando il tema della tutela ambientale su ampie porzioni del territorio provinciale, nelle zone agricole e forestali, nelle aree delle montagne e in quelle dei bacini e dei corsi d'acqua. Il piano provinciale oggi in vigore mira ad integrare sviluppo sostenibile e paesaggio a partire dai principi enunciati dalla Convenzione europea del 2000. Attraverso i suoi elaborati, in particolare la Carta del Paesaggio, dà un quadro generale della pianificazione paesaggistica di area vasta demandando poi ai piani delle singole Comunità il compito di definire nel dettaglio gli strumenti e le regole per garantire non più solo la tutela ma anche la progettazione di un paesaggio di qualità nei vari territori. A partire da qui stanno muovendo i primi passi i piani territoriali di Comunità, ponendo al centro il tema del paesaggio. Questo numero della rivista apre alcuni sguardi sui lavori in corso in tema di pianificazione del paesaggio in alcuni piani territoriali delle Comunità. Non ha la pretesa di dare sistematicità ad un lavorio che allo stato attuale risulta ancora difficile da definire. Offre semplicemente uno spaccato su una fase di avvio dei nuovi piani territoriali e sui percorsi in divenire mediante i quali alcune Comunità, a partire dai documenti di pianificazione sociale ed economica, stanno elaborando la pianificazione paesaggistica all'interno del documento preliminare che verrà poi sottoposto ad un processo di partecipazione pubblica per sfociare infine nei PTC. Il dossier “Paesaggio e pianificazione territoriale” tenta di delineare le tracce dei diversi percorsi e di individuare dei temi comuni ai piani in corso di elaborazione da parte di alcune Comunità, con un pensiero rivolto anche al ruolo del paesaggio nell'evoluzione della disciplina della pianificazione di area vasta più in generale. Dopo i testi introduttivi, il dossier si compone di tre sezioni. Nella prima si pongono alcune premesse di carattere teorico, a partire dalla percezione del paesaggio da parte delle popolazioni che condividono il territorio. Di seguito, uno dei protagonisti del piano urbanistico provinciale racconta l'evoluzione della vision dal PUP del 1987 a quello del 2008 fino alle prime fasi della pianificazione di Comunità. Infine, una piccola parentesi sullo stato della pianificazione paesaggistica in Alto Adige. La seconda parte riporta lo stato dei lavori in corso nella pianificazione di alcune Comunità da parte degli stessi urbanisti li stanno elaborando. I piani dei cinque territori (Alta Valsugana, Paganella, Fiemme, Primiero e Val di Non) si trovano in diverse fasi di avanzamento. I contesti e gli autori dei piani sono diversi come sono diversi sono i presupposti, gli strumenti e i metodi di lavoro; il confronto tra i tre contributi consente tuttavia di individuare dei percorsi simili e dei temi comuni, che andranno verificati nel prosieguo delle elaborazioni. Infine, la terza parte si configura come un’appendice che contiene un contributo più generale alla pianificazione paesaggistica di Comunità, ed in particolarte una ricerca sul rapporto tra paesaggio identitario ed architettura contemporanea.

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Il paesaggio al centro: per una nuova stagione urbanistica in Trentino di Pietro Degiampietro*

* Pietro Degiampietro, Architetto, laureato a Venezia nel 1992, ha svolto attività di libero professionista occupandosi tra l'altro di pianificazione urbanistica in ambito montano, elaborando i piani regolatori di alcuni comuni del Trentino. Dal 2009 ricopre il ruolo funzionario tecnico interno alla pubblica amministrazione in Val di Fassa, occupandosi di gestione del paesaggio in ambito Dolomiti Unesco. Si è diplomato in pianificazione e paesaggio nel 2010 per il ruolo di esperto nelle Commissioni per il Paesaggio delle Comunità ed ha frequentato il master in gestione dei siti naturali Unesco istituito da TSMStep. È socio dell'Istituto Nazionale di Urbanistica, sezione di Trento.

Da qualche anno in Trentino stiamo vivendo una fase di transizione complessa e fertile verso una nuova governance territoriale e quindi verso un nuovo assetto della pianificazione. La riforma istituzionale disegnata dalla legge provinciale n. 3 del 2006 ha operato un re-scaling del sistema di governance dei territori, dando un'applicazione, calata sulla specificità locale, al principio della sussidiarietà indicato dal quadro europeo. La complessità dei temi che investono il governo del Trentino ha suggerito l'istituzione di una diversa stratificazione delle competenze proprie degli enti locali, immaginando la Comunità di Valle come livello intermedio capace di dare risposte vicine ai cittadini ma anche di interloquire attraverso l'ente provinciale con il sistema delle relazioni a scala più vasta. Nello stesso periodo, la nuova legge urbanistica provinciale n. 1 del 2008 e il Piano Urbanistico Provinciale, approvato con legge provinciale n. 5 dello stesso anno, hanno ridisegnato le suddivisioni amministrative dei territori e indicato un nuovo meccanismo della pianificazione territoriale che, dopo aver elaborato gli elementi strutturali delle previsioni sull'area vasta provinciale, individua come momento centrale il processo di elaborazione del Piano Territoriale di Comunità. Le comunità stanno lavorando da qualche tempo ai rispettivi documenti preliminari che formeranno la base dei nuovi piani territoriali. Tra i contenuti del PTC, il piano provinciale ha posto al centro il tema del paesaggio, dando evidenza agli «aspetti ambientali e paesaggistici che hanno rilievo nel caratterizzare l'identità del Trentino e dei suoi territori». La visione del paesaggio che il PUP indica ai piani di comunità è quella derivata dalla Convenzione europea del paesaggio del 2000, per la quale «il paesaggio rappresenta un bene indipendentemente dal suo valore estetico, storico o culturale». Dopo il PUP del 1967 di Kessler e Samonà, centrato sull'obiettivo dello sviluppo del Trentino, dopo quello del 1987 che tendeva a salvaguardare e tutelare gli aspetti ambientali rilevanti attraverso meccanismi basati su un sistema di vincoli, tali da limitare gli eccessi di quello stesso sviluppo, l'ultimo PUP si pone il tema di integrare sviluppo e tutela all'interno di

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una nuova visione del paesaggio, fondata sulla Convenzione europea: «… una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, ... la Convenzione si applica a tutto il territorio delle Parti e riguarda gli spazi naturali, rurali, urbani e periurbani. ... Concerne sia i paesaggi che possono essere considerati eccezionali, sia i paesaggi della vita quotidiana, sia i paesaggi degradati». La visione del paesaggio come contesto della vita quotidiana delle popolazioni costringe l'urbanista ad un profondo cambiamento di pensiero. La storia del pensiero sul paesaggio in Italia si forma attraverso le leggi di tutela dei beni culturali e paesistici visti come «eccellenze» da proteggere, separandole dai percorsi seguiti dallo sviluppo del territorio. La legge per la «Tutela delle cose di interesse artistico e storico» n. 1089 del 1939 è seguita di lì a poco dalla legge n. 1497 del 1939 che ha per titolo «Protezione delle bellezze naturali» e si occupa delle «cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale o di singolarità geologica» e delle «bellezze panoramiche considerate come quadri naturali e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze». Dalle due «leggi gemelle» (Settis, 2010) emerge un'idea di un paesaggio visto come un quadro, una cartolina ritagliata all'interno di uno spazio privo di forma, disponibile ad essere consumato dall'espansione delle città. La legge urbanistica del 1942 completa il sistema della pianificazione e degli interventi sul territorio separando nettamente lo sviluppo dalla tutela, ponendo i piani paesistici e i piani urbanistici sotto le giurisdizioni di due Ministeri (quello dell'Educazione Nazionale, ora dei Beni Culturali, e quello dei Lavori Pubblici) assolutamente separati e obbedienti a logiche divergenti. «Nel periodo tra le due guerre l'Italia perde contatto con la pratica urbanistica europea, inseparabile dalla democrazia politica» (Benevolo, 2012). La guerra interrompe bruscamente il ventennale programma fascista verso un assetto coerente della pianificazione territoriale. La tumultuosa ricostruzione postbellica si trova a seguire una logica duale nata in un contesto radicalmente differente e, nell'emergenza della necessità, il conflitto tra edificazione e paesaggio si risolve quasi sempre a favore della prima, comprimendo e deprimendo il secondo. Gli esiti del dibattito più fecondo che si è sviluppato


Dossier: Il paesaggio

nell'architettura e nell'urbanistica europea tra le due guerre sono rimasti lontani dal contesto italiano. È mancata nel nostro paese «un'impostazione equilibrata» (Benevolo, 2012), la formulazione di un'ipotesi di integrazione tra urbanistica e paesaggio che guidasse la pianificazione della ricostruzione. I risultati della separazione tra sviluppo e tutela non sono quasi mai stati positivi. Hanno lasciato sul territorio una serie di segni, di oggetti, di progetti interrotti, di residui di pianificazioni che si sovrappongono, si intersecano, entrano in conflitto tra di loro; un paesaggio fatto in parte di eccellenze, di fatti naturali importanti, di oggetti storici rilevanti, ma anche di residui, di relitti, di pezzi di paesaggio attraverso cui fluisce la vita quotidiana delle popolazioni. È questo il paesaggio che costituisce «componente fondamentale del contesto di vita delle popolazioni». È questo il paesaggio che può diventare «fattore competitivo», piattaforma dello sviluppo sostenibile del Trentino, «elemento strutturante per l'assetto futuro del territorio provinciale … spazio dell'economia e della produzione» (Tecilla). È questo il paesaggio contemporaneo che attraversa la nostra vita quotidiana, fatto di situazioni variegate, restio all'unificazione, alla codificazione, alla riduzione formale, all'omogeneità di un territorio ordinato e facilmente comprensibile. È fatto, nella migliore delle ipotesi, di parti, di strati, di dettagli o di frammenti, specchio di una società plurale, articolata, dispersa. «Dispersione, frammentazione, eterogeneità, frammistione, accostamento paratattico e anacronistico di oggetti, di soggetti, di loro attività e temporalità» (Secchi, 2000) sono i materiali posti di fronte ad un progetto di paesaggio che voglia essere concettualmente coerente e fondato sulla contemporaneità, un «territorio rifugio» ma anche un «luogo dell'invenzione possibile» (Clèment, 2005). Non si tratta di tutelare un paesaggio del passato o di riproporlo. Non possiamo non considerare, ad esempio, le esperienze della modernità che ci hanno mostrato lo spazio aperto come gioco dei rapporti tra volumi architettonici, figure naturali e il vuoto. È proprio lo spazio aperto che consente di definire le parti del territorio e i loro rapporti entro il paesaggio agrario, di dare forma al paesaggio «temperandone la frammentarietà e l'accostamento paratattico. Svolgendo questo compito i diversi spazi aperti definiscono con maggior chiarezza la loro natura di fondamentali materiali» del paesaggio mettendo in relazione «i differenti frammenti» (Secchi, 2000). Pensiamo a «disegnare un'organizzazione del territorio per maglie larghe e permeabili» che rende possibile «la comunicazione tra i frammenti» (Clèment, 2005), che «prende forma e struttura dal disegno degli spazi aperti», in cui vengono distinti e precisati i contorni degli elementi che punteggiano il territorio, configurando una forma del paesaggio «che riesca nuovamente a

chiarire i caratteri dei diversi materiali, la struttura formale dei diversi frammenti», tendendo a «porre limiti, segnando confini e soglie, cercando di costruire nuove differenze tra la città e il suo esterno, di ritrovare una sua figura» (Secchi, 2000). A partire dal territorio di oggi, per giungere ad un «progetto collettivo e consapevole di creazione dei paesaggi del futuro» (Tecilla) il PUP prevede, per i piani territoriali delle Comunità di Valle, il superamento del sistema vincolistico su singoli interventi verso un'integrazione tra lettura del paesaggio, pianificazione territoriale e valutazione delle possibili trasformazioni. L'idea

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Piano urbanistico provicniale, 2008 Carta del Paesaggio Particolare dei Comuni di Trento (in alto) e di Arco (in basso)


collettiva del paesaggio, la volontà di dare al territorio un disegno unitario e coerente, il progetto consapevole con cui una comunità dà forma allo spazio in cui intende vivere pongono la carta del paesaggio come elemento fondamentale della struttura del piano, da quello provinciale a quelli delle comunità. Si tratta di capire quali possano essere i passaggi che vanno dalla carta del paesaggio del PUP ai documenti dei futuri PTC: l'approfondimento e l'interpretazione della carta del paesaggio specifica del singolo ambito territoriale della comunità e la carta di regola del territorio, comprendente gli elementi cardine dell'identità dei luoghi e le regole generali di trasformazione del territorio della comunità tali da garantirne lo sviluppo sostenibile. Anche dai lavori presentati in questo numero di Sentieri Urbani emerge il tema della lettura e della rappresentazione: il paesaggio richiede uno sguardo plurale, multidisciplinare; non può essere uno sguardo fisso, statico, perché si tratta di guardare ad un processo di trasformazione, da comprendere e guidare attraverso le sue dinamiche e le cause che ne stanno alla base. Si tratta quindi di utilizzare gli strumenti della lettura del paesaggio per aprire il dibattito intorno al tavolo di confronto e di consultazione a cui partecipano tutti i portatori di interesse interni alla comunità. Se la definizione di paesaggio per la Convenzione europea verte sulla sua percezione da parte delle popolazioni, si tratta quindi di individuare quale sia la popolazione che percepisce il paesaggio trentino, di quali strati sia composta, di come le varie percezioni si intersecano, si sovrappongono e danno luogo a paesaggi diversi all'interno dello stesso paesaggio. Nel pensare al paesaggio come processo collettivo di costruzione dello spazio di vita delle popolazioni vanno compresi e governati i meccanismi che danno come esito la produzione di paesaggi. Se si vuole pensare ad un progetto di paesaggio, va acquisita la capacità di orientare questi meccanismi verso una conformazione di paesaggio che consideriamo desiderabile. Risulta pertanto fondamentale instaurare la corretta relazione dinamica tra pianificazione strategica della comunità e pianificazione paesaggistica, tra sviluppo socio-economico e assetto del paesaggio che tende a derivarne. Alcune tematizzazioni sembrano comuni ai vari PTC: il contenimento del consumo di suolo, la riqualificazione di alcuni tratti del paesaggio costruito, la definizione dei bordi e delle parti, il

disegno delle superfici aperte utilizzate dall'agricoltura, il rapporto tra il bosco e il suo margine, gli spazi aperti e i bordi del costruito, i rapporti e le relazioni tra le parti di territorio, il recupero dei paesaggi degradati. Si tratta quindi di ipotizzare strategie e azioni che, insieme all'immaginazione del loro esito sulla forma del paesaggio in divenire, diano un indirizzo ad un possibile sviluppo sostenibile della comunità nel suo insieme. Così, per esempio, il progetto di paesaggio degli spazi aperti va legato ad un nuovo ruolo di un'agricoltura «multifunzionale», in cui siano correttamente considerate le valenze economiche della manutenzione dello spazio coltivato quale fattore strutturale dell'economia e della qualità della vita di una valle. Così, ancora, il tema del riuso e della riqualificazione di molti complessi edilizi obsoleti e inutilizzati, lascito di uno sviluppo economico trascorso e interrotto, va legato ad un programma di ristrutturazione dell'intero settore dell'artigianato edile, da formare verso la riqualificazione ambientale, urbanistica, architettonica ed energetica dell'esistente piuttosto che verso la costruzione di nuovi insediamenti nello spazio aperto. Nel periodo in cui le comunità stavano già elaborando le bozze preliminari dei loro piani paesaggistici, il Servizio Urbanistica della Provincia autonoma di Trento ha pubblicato le «Indicazioni metodologiche per l'elaborazione della carta del paesaggio e della carta di regola del territorio», come ad evitare di condizionare da subito in modo troppo pressante il lavoro in corso presso gli enti intermedi, come a voler dare più un termine di paragone laterale che non un indirizzo obbligatorio. I piani di comunità in corso di elaborazione tentano invece di trovare una propria direzione autonoma, che non li faccia discendere in maniera diretta e banale dal piano superiore, ma trovare nel paesaggio del proprio territorio le radici delle proprie scelte. Ci troviamo ad una soglia di passaggio ad una nuova fase della pianificazione territoriale trentina. È come se la Provincia autonoma di Trento avesse dichiarato in qualche modo esaurito un certo suo ruolo pervasivo e avesse consegnato in eredità alle comunità nate da poco un ricco patrimonio di analisi, piani, studi, tentativi, proiezioni e correzioni, ripensamenti e aggiustamenti, nella prospettiva che i territori delle valli sappiano utilizzarli per progettare autonomamente il paesaggio del proprio futuro. Si tratta di una nuova stagione: continuiamo ad osservarla con attenzione per coglierne i frutti.

Bibliografia Leonardo Benevolo, Il tracollo dell'urbanistica italiana, Laterza 2012 Gilles Clèment, Manifesto del terzo paesaggio, Quodlibet 2005 Rem Koolhaas, Junkspace, Quodlibet 2006 Bernardo Secchi, Prima lezione di urbanistica, Laterza 2000 Salvatore Settis, Paesaggio Costituzione Cemento, Einaudi 2010

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Dossier: Il paesaggio

Tanti piani, tanti paesaggi Una lettura dei piani urbanistici del Trentino di Alessandro Franceschini

La pianificazione come metafora della cultura Ogni piano urbanistico è figlio del proprio tempo. Non si tratta di una questione di mode intellettuali o di tendenze nelle pratiche professionali: l'urbanistica è, a ben guardare, il prodotto di una certa maniera di fare cultura territoriale e questa non può prescindere dalle situazioni economiche e sociali che attraversa. Di più: l'urbanistica è, infondo, una delle modalità con la quali una società si attiva per costruire quello che vorrà diventare. Una «scienza del futuro», per usare una felice espressione di Giovanni Astengo (2011) che imprime su un territorio, parafrasando Schwind (1950), «l'impronta del proprio spirito». Anche l'esperienza del Trentino rappresenta, in questo senso, un piccolo laboratorio, dentro al quale maniere d'intendere la trasformazione del territorio si sono concretizzate in piani urbanistici capaci di influenzare significativamente lo sviluppo economico e culturale di una provincia. Questo breve scritto, sviluppo di note precedenti (Franceschini, 2011), analizza il percorso dell'urbanistica in Trentino a partire dall'attenzione che gli strumenti hanno avuto nei confronti del «paesaggio». Si tratta di una semplificazione che non vuole banalizzare i contenuti dei piani trentini - che hanno fatto “scuola” nella disciplina - ma che vuole fornire una visione sintetica, focalizzando il tema centrale che gli strumenti urbanistici hanno via via concorso a sviluppare.

Vent'anni dopo la carica propulsiva di quel piano aveva esaurito i suoi effetti. Il Trentino, però, era diventato economicamente più stabile, grazie allo sviluppo del turismo e dell'industria e si era trasformato in una terra ricca, capace di attirare immigrazione. Così, dal piano pensato per promuovere lo sviluppo si passò – grazie alla prima revisione dello strumento urbanistico, firmata da Franco Mancuso e politicamente promossa da Walter Micheli – ad un piano di controllo dell'attività edilizia, d'incentivo per il recupero del patrimonio edilizio storico, di tutela dell'ambiente. Infine, nel 2008, è stata approvata la seconda revisione generale del Pup, questa volta senza la firma di un urbanista “responsabile”, ma frutto del lavoro degli uffici della Provincia autonoma con le consulenze scientifiche, fra gli altri, di Roberto Gambino, Paolo Castelnuovi e Bruno Zanon. Il documento raccoglie esperienze maturate nel corso degli ultimi dieci anni, a partire dal «Progetto per lo Sviluppo Sostenibile del Trentino», coordinato da Corrado Diamantini (2005). Questa nuova revisione del Piano urbanistico provinciale affronta le problematiche del contesto trentino dando attuazione ai princìpi di sostenibilità, sussidiarietà responsabile, competitività ed integrazione sul territorio delle reti infrastrutturali, ambientali, economiche e socio-culturali.

Il paesaggio come bene da tutelare: il piano di Giuseppe Samonà Per quanto riguarda il tema del paesaggio, il La pianificazione in Trentino Piano approvato nel 1967 «non poteva La pianificazione urbanistica in Trentino vanta prescindere dal porre le basi per tutelare mezzo secolo di attività. Nel 1967, infatti, l'ambiente paesaggistico da interventi in Giuseppe Samonà firmava assieme al presidente contrasto con la sua configurazione della Provincia autonoma di Trento Bruno caratteristica». La nuova forma di tutela è Kessler, il Piano urbanistico provinciale (Pup). Il concepita in stretto collegamento con i settori di Pup del Trentino rappresentava, allora, il primo intervento paesaggistico nel paesaggio e delinea strumento del genere in Italia – reso possibile dalla speciale autonomia del territorio – destinato «un primo rapporto con tali settori mediante l'indicazione, in sede di piano, dei territori che a diventare un “classico” della pianificazione territoriale su area vasta. Il piano aveva lo scopo di dovranno essere sottoposti a tutela con una specifica disciplina legislativa» (Samonà, 1968). incentivare lo sviluppo in un territorio depresso, La tutela del paesaggio rappresenta una delle caratterizzato da importati fenomeni di emigrazione e che rischiava di diventare «piccolo e grandi innovazioni presenti in questo strumento urbanistico in quanto il Piano «si propone di solo», secondo una forte immagine forgiata operare abbandonando il criterio di bellezza proprio dallo stesso Kessler. 17


‘67 Piano urbanistico del Trentino, 1967 Carta di Piano

Particolare dell’area del Lago di Caldonazzo

naturale o paesistica e attribuendo invece all'ambiente naturale un contenuto più autentico e moderno» (Zanon, 1993). Nel Piano gli autori hanno ritenuto che fossero «meritevoli di essere tutelati» quei settori naturali o trasformati dall'opera dell'uomo che presentano «singolarità geologica, florifaunistica, ecologica, di cultura agraria», ovvero che costituiscano «strutture insediativa, urbane o non urbane, di particolare pregio per i loro valori di civiltà», nonché quelli che per «la loro bellezza sono o potranno essere apprezzati come luoghi di particolate attenzione turistica». Conseguentemente a questi criteri, una gran parte del territorio provinciale è stata indicata dal Piano come da sottoporsi a «tutela paesaggistica» e nel piano urbanistico il paesaggio è inteso come unità inscindibile tra territorio storico urbanizzato e territorio naturale. L'obiettivo della tutela è quello di limitare la dispersione edilizia, salvaguardando la chiarezza dell'impianto insediativo, e valorizzare le bellezze naturali presenti sul territorio. Il paesaggio come ambiente naturale: il piano di Franco Mancuso «Oggi che la programmazione economica 18

provinciale e quella di settore è oramai avviata – scriveva Mancuso nella relazione della prima revisione del piano provinciale – il Pup può assumere necessariamente un ruolo più specifico, più essenzialmente urbanistico e di coordinamento territoriale» (Mancuso, 1991). L'esperienza programmatoria provinciale è infatti proseguita nel 1987 con la revisione generale dello strumento provinciale, nella quale si passò da un piano «per promuovere l'espansione» ad uno «finalizzato alla tutela e alla salvaguardia dei valori ambientali» dentro ad una visione strategica di valorizzazione turistica del territorio. In particolare si riteneva concluso il ciclo dell'abbandono delle aree periferiche e il Trentino si proponeva come un'area pienamente integrata con quelle più sviluppate del nord Italia. Una filosofia, quella del Piano di Mancuso che «non è opposta a quella del 1967 ma che anzi la completa e continua un identico atteggiamento progettuale rispetto alle tensioni del presente» (Mancuso, 1991). Nel Pup, curiosamente, scompare la parola «paesaggio» sostituita da quella di «ambiente». Il Piano «intende classificare tutto il territorio provinciale come meritevole di tutela, pur precisando alcune aree di particolare delicatezza da gestire secondo modalità rigorose» (Zanon, 1993). La grande novità del piano è costituita dalle carte del «Sistema ambientale»


‘87

Piano urbanistico provinciale 1987 Carta del Sistema ambientale Particolare dell’area del Lago di Caldonazzo

dove confluiscono tutte le indicazioni e i vincoli che hanno a che fare con la tutela e la protezione del territorio (e del paesaggio). Il Piano considera l'ambiente come una componente indissolubile dell'azione urbanistica generale e individua planimetricamente sia singoli «beni ambientali» (naturalistici, paesistici e culturali), sia gli insieme di tali beni costituenti «unità ambientali». Il paesaggio come elemento identitario: il Piano urbanistico provinciale vigente L'ultima revisione del Piano urbanistico provinciale (approvata nel maggio 2008) ha ulteriormente fatto un passo nel solco tracciato dai due strumenti che lo avevano preceduto, lavorando in particolare su due aspetti: la sussidiarietà (ovvero il decentramento della responsabilità di pianificazione) e il paesaggio (elemento di costruzione identitaria consapevole). Il nuovo piano urbanistico, a differenza del piano di Samonà e di Mancuso, persegue nuovi obiettivi di sviluppo: rinuncia dichiaratamente alle decisioni centralistiche preferendo delegare alle comunità locali (in particolare ai Comuni e alle Comunità) le scelte di sviluppo che devono avvenire in un'ottica di partecipazioni condivisa. Il concetto che sta alla base della costruzione della seconda revisione del Pup è quello di «paesaggio»: un tema visto non solo come qualcosa da tutelare

ma come un'occasione di progetto e di sviluppo. Non a caso la cartografia di piano si arricchisce, per la prima volta, di tavole di lettura e interpretazione del paesaggio. Questa enfasi sul paesaggio è giustificata da una visione moderna di questo concetto inteso qui non solo come aspetto estetico ma come «contenitore di valori condivisi». La Carta del Paesaggio contenuta nel piano, anticipata qualche anno prima da uno studio sulle «unità di paesaggio» intese come «ambiti morfologici, caratterizzati da peculiari sistemi di relazioni ecologiche, percettive e culturali» (Castelnovi, 2003), rappresenta un'evoluzione della carta del Sistema Ambientale prevista nella precedente revisione dello strumento urbanistico. L'obiettivo del piano è quello di introdurre il concetto di «paesaggio» come elemento strutturante il processo di pianificazione e di tutela. La Carta del Paesaggio «risponde alla necessità di permettere di intervenire più correttamente nel paesaggio sia urbanisticamente che architettonicamente grazie alla conoscenza dei caratteri identitari». Questa carta nasce inoltre con la conoscenza degli ambiti e dei limiti che riguardano la scala provinciale e che «riservano alle scale inferiori, di Comunità e comunale, le necessarie precisazioni e i dettagli» (Ferrari, 2007). Più che una ricostruzione rigorosa e rigida del Trentino secondo classificazioni paesistiche, queste carte contengono una serie di elementi grammaticali 19


‘08 Piano urbanistico provinciale 2008 Carta del paesaggio

Particolare dell’area del Lago di Caldonazzo

capaci di trasformare la realtà. Da una pianificazione fortemente centralista che dota il territorio di infrastrutture anche pesanti, si passa, attraverso un “triplo salto” (territorioambiente-paesaggio), ad una pianificazione decentralizzata, che intende delegare alle «comunità locali» le trasformazioni del paesaggio in un'ottica di sviluppo economico tanto leggero quanto incisivo. Un tema qui semplicemente accennato e che merita di essere approfondito. Un tema che ci obbliga ad interrogarci - in un tempo di crisi economica che ha invecchiato velocemente tutto un modo Un invito all'approfondimento di immaginare i cambiamenti del territorio – Questi tre piani urbanistici sono paradigmatici per raccontare la trasformazione di un territorio e sulle nuove teorie che attendono l'aperto e sulle le modalità con cui la disciplina, di volta in volta, caratteristiche dei piani che dovranno esprime concetti teorici tramite azioni progettuali trasformarlo. e relazioni fra essi che dovranno essere sviluppati e implementati nei piani sott'ordinati. «Dalla lettura – si legge nella relazione illustrativa del Pup – di quest'insieme di segni, forti e fragili, antichi e moderni, naturali e artificiali, si ricavano indicazioni metodologiche che dovranno essere applicate e sviluppate nei piani locali. La ricerca sul paesaggio nasce dunque come presa di conoscenza dell'esistente e si concretizza in una serie di atti responsabili per garantire sostenibilità, permanenza e identità».

Bibliografia minima Astengo G. (2011), Urbanistica, la scienza del futuro, La Finestra editrice, Lavìs. Castelnovi P. (a cura di) (2003), Progetto di Revisione del piano urbanistico provinciale, Provincia autonoma di Trento, Trento. Diamantini C. (a cura di) (2005), Temi e indicatori di sostenibilità ambientale in una regione alpina, Temi editrice, Trento. Ferrari E. (2007), “La carta del paesaggio nel nuovo Piano Urbanistico della Provincia autonoma di Trento”, in Castiglioni B. (a cura di), Paesaggio, Sostenibilità, Valutazione, Quaderni del dipartimento di geografia, Università di Padova, Padova. Franceschini A. (2011), L'enigma del paesaggio nel Piano Territoriale della Comunità, in Sentieri Urbani, nr. 5. Mancuso F. (a cura di) (1991), L'urbanistica del territorio, Marsilio editore, Padova. Samonà G. (1968), Piano Urbanistico del Trentino, Marsilio editore, Padova. Schwind M. (1950), “Senso ed esperienza del paesaggio” in Tellus, VI Zanon B. (1993), Pianificazione territoriale e gestione dell'ambiente in Trentino, Città studi, Padova.

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Riconoscere e rappresentare il valore del paesaggio: le indicazioni metodologiche per la carta del paesaggio dei PTC di Angiola Turella*

*Angiola Turella Architetto, laureata a Venezia nel 1995, è Direttore dell'Ufficio per la Pianificazione Urbanistica e il Paesaggio della Provincia autonoma di Trento.

Il nuovo Piano urbanistico provinciale ha posto il paesaggio al centro delle politiche territoriali, riconoscendo in esso lo spazio costruito dall'uomo per vivere, produrre, muoversi e insieme l'espressione di una cultura che proprio attraverso il paesaggio si rappresenta. Assunto del Piano è che il paesaggio è prodotto dell'operare progressivo dell'uomo e al contempo senso profondo di una comunità, in quanto i segni lasciati sul territorio rispecchiano l'uomo, le sue esperienze e le sue scelte. Derivano da qui due concetti ricorrenti nel Piano e nelle politiche territoriali innestate nella riforma istituzionale e urbanistica, quello di paesaggio come spazio di vita e quello di paesaggio come espressione dell'identità territoriale. Nel nuovo sistema urbanistico che vede nel piano territoriale della comunità lo strumento per lavorare intorno all'idea di sviluppo dei territori, il paesaggio e le risorse territoriali sono elementi cardine per la riconoscibilità e l'attrattività del territorio. L'elaborazione del piano territoriale da parte della comunità è quindi l'occasione, alla scala di valle, per conoscere e individuare questi elementi e le relative relazioni rispetto al territorio della valle, e ancora riconoscere i processi di trasformazione naturale e il sovrapporsi delle tracce dell'operare umano. In sostanza, la carta del paesaggio del piano territoriale si propone come lo strumento per ragionare sui valori del proprio territorio, riconoscendo le trame che disegnano il paesaggio, dando forma ed espressione al territorio di una comunità. Questo lavoro di interpretazione è inoltre la sede per ricostruire le modalità con cui l'assetto paesaggistico di un territorio si è andato consolidando, per definire le regole condivise - in questo senso la Legge urbanistica provinciale introduce la carta di regola del territorio - che possono assicurare la permanenza dei caratteri identitari e insieme la loro coerente evoluzione. Nel suo disegno di lungo periodo, finalizzato a comporre la matrice per la programmazione dello sviluppo a scala provinciale e territoriale, il PUP ha introdotto per la prima volta nella strumentazione urbanistica la Carta del paesaggio per la lettura degli elementi identitari 21

e di valore dei luoghi e per il governo delle relative trasformazione. Questa impostazione, finalizzata a ricercare il significato degli elementi distintivi di un territorio e a valorizzarli come parti sostanziali delle scelte pianificatorie, è tesa a superare il solo regime autorizzatorio degli interventi ricadenti nelle aree di tutela ambientale, anticipando nel piano la considerazione di quanto dà forma e sostanza all'assetto del territorio. Tale condizione risulta peraltro determinante perché il Trentino, con la sua particolarità geografica e morfologica, si collochi nelle reti interregionali ed europee, rispondendo in termini di competitività e di attrattività alla crisi dei modelli di sviluppo tradizionali come approfondito nel Pup: è nel paesaggio e nei suoi processi evolutivi che vanno ritrovati i nessi identitari che legano popolazione e luoghi nonché i valori strategici necessari per la riconoscibilità del territorio a livello globale. In questo quadro il piano della comunità, strumento finalizzato a coniugare territorio e sviluppo, è dunque chiamato in primo luogo a riconoscere e integrare nella pianificazione i propri valori costitutivi – gli elementi identitari –, per assicurare una coerente pianificazione dello sviluppo, assumendo il compito di individuare una prospettiva di vivibilità del territorio, capace di connettere consapevolmente il passato e il futuro. Per supportare le comunità nel lavoro di predisposizione del piano territoriale, nel giugno scorso è stato presentato un documento, elaborato dal Servizio Urbanistica e tutela del paesaggio della Provincia, finalizzato a fornire “Indicazioni metodologiche per l'elaborazione della carta del paesaggio e della carta di regola del territorio”. Il documento – consultabile sul sito internet del Servizio Urbanistica e tutela del paesaggio (www.urbanistica.provincia.tn.it) nella sezione Pianificazione territoriale - intende presentare una serie di contributi ed esempi per riconoscere, rappresentare e disciplinare gli elementi e il sistema di relazioni che compongono il paesaggio di una comunità e costituiscono il senso profondo del vivere in un determinato territorio. Il documento si articola in una prima parte che ripercorre gli elementi cardine del quadro


Veduta di Sanzeno (Tn) e, sotto, la sua rappresentazione cartografica nella Carta del Paesaggio del Piano urbanistico provinciale.

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Dossier: Il paesaggio

strutturale e strategico delineato dal Piano urbanistico provinciale e sui compiti della pianificazione territoriale, e in una seconda parte dedicata a esempi di lettura e analisi delle trasformazioni del paesaggio, al fine della redazione della carta del paesaggio e della carta di regola nell'ambito del piano della comunità. La linea seguita è quella del ragionamento, tesa alla raccolta, alla divulgazione delle conoscenze e al confronto sui temi del paesaggio ed esemplificata dagli studi elaborati nel 2011-2012 nell'ambito del Fondo del paesaggio, al fine di proporre strumenti di riferimento, a supporto della pianificazione. L'analisi del territorio di una comunità è la prima fase per comprendere l'evoluzione del paesaggio e riconoscerne le regole fondamentali e passa attraverso la rilevazione delle azioni concrete che lo hanno via via modificato nel tempo sulla base di continui intrecci e sovrapposizioni. Il documento procede attraverso una sorta di ricerca stratigrafica che, nella rilevazione dei principali elementi che quasi per sedimentazione delineano la struttura e la forma dei luoghi - dalla morfologia fisica, alla copertura agricola o boschiva, agli insediamenti storici, ai tracciati viari -, ripercorre la storia di una comunità attraverso la sua impronta sul territorio e ne evidenzia gli elementi più significativi per la 23

permanenza dei caratteri distintivi. Attraverso questa ricerca emerge necessariamente la valenza del rapporto tra uomo e paesaggio, dove l'interpretazione delle relazioni tra elementi fisici, storici e antropici del territorio, fornisce la lettura dei rispettivi legami interni che determinano forma e valore del paesaggio. Emerge altresì la responsabilità dell'azione umana che con il suo carico di segni, plasma il territorio, ne determina l'assetto paesaggistico e in esso si rappresenta. Rispetto a questa lettura il PUP ha proposto un primo contributo, rappresentando forme e dinamiche del territorio nell'Inquadramento strutturale, dove dalla sovrapposizione dei segni fisici e antropici, storico-culturali, connessi con i principali usi del suolo o significativi delle maggiori gerarchie territoriali, è possibile cogliere gli elementi e le relazioni di lunga durata tra uomo e ambiente. Con i “sistemi complessi di paesaggio” (edificato tradizionale, urbano, rurale, forestale, alpino, fluviale), rappresentati nella Carta del paesaggio, il PUP ha quindi fornito il metodo per rilevare le principali relazioni tra gli elementi territoriali. Partendo da questi strumenti, finalizzati a costruire il quadro conoscitivo per valutare responsabilmente le dinamiche di cambiamento, le “Indicazioni metodologiche” propongono un approfondimento - attraverso una serie di esempi - degli elementi distintivi e delle relative relazioni alla scala territoriale nonché la definizione di possibili regole condivise per la permanenza di questi elementi. Le grandi strutture geomorfologiche e idrografiche che danno forma e incidono il territorio, le aree agricole e quelle boscate, considerate sia per il loro valore intrinseco di paesaggio rurale o alpino che per le relazioni con gli insediamenti, la struttura insediativa dalla sua morfologia storica alle sue espansioni e trasformazioni, le vie storiche e panoramiche, sono i temi attraverso i quali si è proposta una lettura stratigrafica per riconoscere segni e relazioni e codificarne possibili modi per gestirne la trasformazione. L'osservazione diretta, l'analisi delle cartografie e delle immagini storiche, la lettura dei dati più recenti, il confronto sui temi del piano, sono i passi che consentono di leggere la trama delle modificazioni e delle opere umane in un determinato contesto, cogliendo i rapporti tra uomo e ambiente, cultura e natura. Obiettivo è


quello di individuare le regole consolidate, attraverso le quali il paesaggio locale si è andato configurando per l'azione di una comunità, ricercando quegli elementi di permanenza che possono assicurare la struttura e la riconoscibilità di un territorio. Si pensi alle aree agricole che, oltre al valore intrinseco colturale e paesaggistico dei contesti rurali, assumono valore identitario rispetto alla configurazione degli abitati, per cui il mantenimento dell'equilibrio tra ambito agricolo e insediamenti assicura leggibilità e identità, o ancora prefigurano una trama significativa per ridefinire i bordi urbani dove le espansioni si

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affacciano sulla campagna. O ancora i nuclei storici dove la definizione di coerenti modalità di gestione richiede di considerare questi insediamenti in termini di tutela del valore testimoniale dei singoli edifici storici ma anche di componenti di un contesto edificato da valorizzare nella sua complessità, allargando quindi l'esame dai caratteri delle unità edilizia alle regole della tessitura storica, alla gerarchia dei fronti e alle relazioni tra le diverse parti urbane. La pianificazione territoriale ha il duplice obiettivo di definire il quadro urbanistico per i piani regolatori comunali e di fornire elementi


Dossier: Il paesaggio

L’abitato di Preore (Tn): la sua rappresentazione nella carta del paesaggio del PUP e l’evidenziazione dei valori del fronte storico e dell’area agricola.

per la coerente progettazione delle trasformazioni. Anche le “Indicazioni metodologiche” si muovono quindi su un doppio registro, quello pianificatorio e quello edilizio, evidenziando come il piano territoriale ha l'opportunità di analizzare e individuare i sistemi paesaggistici e le relative regole urbanistiche e di fissare specifiche indicazioni per la gestione delle loro trasformazioni. Nel documento uno spazio particolare è dedicato al tema della forma degli insediamenti, in quanto centrale nel disegno del piano. Il paesaggio costruito è espressione concreta della cultura, delle modalità organizzative e delle dinamiche

sociali di una comunità. In un generico abitato trentino il centro storico e le sue prime zone di espansione rivelano solitamente vita comunitaria e continuità dell'insediamento attraverso un adattamento secolare che va interpretato e integrato con le nuove tracce in modo da rispondere alle esigenze di sviluppo della comunità e insieme al recupero di significato dei luoghi. Il piano territoriale della comunità ha l'opportunità, attraverso la carta del paesaggio, di analizzare le modalità (localizzazioni, assi di espansione) che storicamente hanno dettato la crescita dei vecchi nuclei, per fissare specifiche indicazioni

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(tipologie insediative, indicazioni per la densificazione o la rarefazione del costruito, tipologie edilizie) per i nuovi interventi insediativi. Il “limite di espansione degli abitati” è stato introdotto nella Carta del paesaggio del PUP al fine di ragionare sulle modalità di crescita degli insediamenti, evitando trasformazioni indifferenziate rispetto al nucleo originario e ai sistemi paesaggistici di riferimento. Rispetto al problema di come perseguire interventi insediativi qualificati sia rispetto al contesto edificato che agli spazi di relazione, il piano territoriale – attraverso la carta di regola – può fornire modalità o indicazioni, da approfondire poi nei piani regolatori o nella pianificazione attuativa. Il rapporto tra un nuovo edificio e l'insediamento esistente è necessariamente un tema urbanistico che va affrontato per assicurare proporzione volumetrica tra i manufatti, infrastrutture di servizio, spazi di relazione, ricercando un chiaro disegno urbano. Le molteplici relazioni tra gli elementi che compongono il paesaggio impongono in definitiva un ragionamento per sistemi di relazioni – come nel caso della Carta del paesaggio del PUP –, secondo un approccio che non si limita al singolo bene ma guarda alla molteplicità di elementi che compongono il paesaggio da pianificare e gestire complessivamente. Il tema identitario riporta peraltro l'uomo e la comunità al centro di queste relazioni, in quanto soggetto nell'uso del territorio e fruitore del quadro paesaggistico che egli crea. Annibale Salsa, nel prezioso contributo contenuto nelle “Indicazioni metodologiche”, spiega che consapevolezza del valore del paesaggio, responsabilità nell'uso del territorio e

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voglia di restituzione nei confronti degli ospiti sono gli atteggiamenti che contribuiscono a misurare il senso di appartenenza ai luoghi e la capacità di ancorarvi positivamente scenari futuri. Come detto, il piano territoriale della comunità e le sedi di confronto – il tavolo di confronto e di consultazione - previste per la sua elaborazione rappresentano l'occasione per ragionare sul senso dell'operare sul territorio e per indicare le modalità più coerenti per trasformarlo. Questo compito richiede ovviamente un approccio responsabile, consapevoli che il paesaggio è il risultato delle modalità di uso del suolo che una comunità ha determinato in un tempo lungo che spazia oltre la durata di attuazione del piano. La capacità di leggere il paesaggio e le modalità con cui storicamente si sono andati configurando va dunque esercitata nelle diverse fasi di elaborazione del piano territoriale, per riflettere su potenzialità e rischi che ogni nuovo scenario può avere sul paesaggio di riferimento e sulla propensione della comunità a sentirlo come proprio. In quest'ottica il piano si configura come fattore di progettualità e di mediazione tra conoscenza del territorio, identificazione rispetto ai luoghi, capacità di valutazione delle proprie decisioni in relazione alle risorse e alle opportunità. Il paesaggio è allora chiave interpretativa, seguendo la visione del Piano urbanistico provinciale, per verificare attraverso il piano territoriale le modalità del vivere in quel contesto e strumento di riflessione critica per ponderare le dinamiche socio-economiche locali nonché per fornire prospettive concrete rispetto al tema del consumo e del recupero del territorio.


Uno sguardo teorico

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Il paesaggio come espressione delle culture che abitano un territorio di Cristina Mattiucci*

* Cristina Mattiucci, architetto, laureata a Napoli nel 2004, dove frequenta il Master di primo livello in Architettura del Paesaggio, è dottore di ricerca in ingegneria ambientale presso l'Università di Trento dove è attualmente assegnista di ricerca, in partnership con il Laboratorio “Architecture, Milieu, Paysage” dell’Ensa Paris La Villette - con una tesi sulla percezione del paesaggio, specializzata in pianificazione, paesaggio ed edilizia sostenibile. Le sue ricerche fanno riferimento ad un approccio “sociale” e guardano al paesaggio vissuto e abitato per comprendere i processi di assegnazione di valori e di significati da parte della popolazione e per la costruzione di politiche e di progetti per il paesaggio.

Questa riflessione intende intercettare alcuni dei temi che, oltre dieci anni dopo la scrittura e l'emanazione della Convenzione Europea del Paesaggio (CEP, Firenze, 2000), appaiono ancora attuali e solo parzialmente risolti. Molti di essi emergono dalla frizione inevitabile che si genera ogni qualvolta si provi a ricondurre la rilettura di alcune riflessioni teoriche, spesso maturate in una prospettiva interdisciplinare, alla dimensione operativa propria delle discipline e delle azioni di trasformazione del territorio che quelle stesse riflessioni dovrebbero informare. Tale frizione ha animato ed anima i numerosi momenti di aggiornamento che da anni si organizzano a livello internazionale intorno al grande tema del paesaggio che - quantomeno per quanto riguarda i paesi che l'hanno ratificata dovrebbe giocoforza misurarsi con gli indirizzi culturali di questo importante documento comunitario. Istituzioni come Uniscape - the European Network of Universities for the implementation of the European Landscape Convention, per esempio, che nasce per costituire una rete di Università “dedicate all'implementazione della Convenzione Europea del Paesaggio”, tentano infatti di dare luogo in modo costante e continuativo a questi momenti di confronto e aggiornamento, per costituire una piattaforma per la condivisione delle esperienze e dei risultati di progetti di ricerca e per incrementare i momenti di formazione e di informazione. La rete ha lo scopo di sostenere e rafforzare la cooperazione interdisciplinare in materia di paesaggio, in particolare nei settori della ricerca e dell'istruzione, dapprima per indagare cosa sia paesaggio, alla luce degli assunti della Convenzione, quindi per fare di esso un obiettivo effettivo di politiche e progetti. Infatti, uno degli obiettivi prioritari di Uniscape, ovvero quello dell'implementazione della CEP, si 28

traduce in azioni sostanzialmente “culturali”, per supportare e rinforzare la cooperazione scientifica, mediante la promozione di attività di studio e di sperimentazione che abbiano come oggetto i paesaggi, nella loro evoluzione e trasformazione. La prospettiva di contemplarne molteplici aspetti è centrale. Anche solo osservando le immagini che si susseguono nel banner del sito istituzionale, (www.uniscape.eu), si può avere un'idea della grande varietà e della complessità dei paesaggi che - all'indomani della CEP - si possono riconoscere a pieno titolo come tali: situazioni dense di skyline metropolitani, aree industriali, foci di fiume, montagne deserte, litorali turistici, bidonville e quartieri popolari...in ciascuno di essi si riconosce la dimensione generativa della presenza antropica, non solo per i materiali non esclusivamente naturali che presentano, o per la prospettiva dello sguardo che nella rappresentazione dà luogo a quei paesaggi, ma proprio per la dimensione delle realtà quotidiane e non eccezionali (quando non addirittura critiche) che appartengono ai contesti ordinari delle popolazioni. Del resto, una delle conseguenze più evidenti e condivise della Convenzione è che essa invita a superare una concezione esclusivamente selettivo/monumentalistica del paesaggio. Rispetto a contesti legislativi e culturali europei che - così come era avvenuto fino ad allora in Italia con strumenti come le leggi del 1939 sui monumenti e sulle “bellezze naturali” o con la Legge Galasso del 1985 che ha introdotto la centralità della dimensione ambientale concepivano il paesaggio come sistema di emergenze dotate di particolare valore settoriale (estetico o ambientale, secondo una concezione via via più sistematica della sua identificazione), attribuito secondo criteri di selezione che definiscono quelle emergenze quali oggetti di


Dossier: Le teorie

tutela nella loro eccezionalità, la Convenzione europea del Paesaggio introduce l'attenzione al territorio in tutte le sue manifestazioni, identificando i contesti ordinari come paesaggi a pieno titolo. Eppure, quando si tenta una valutazione dell'effettiva “applicazione” degli assunti della CEP nella prassi di progetti e politiche per il paesaggio, nel panorama più locale - ovvero italiano - la voce critica è ancora oggi quella più consistente. Sebbene la portata del dibattito, sin dall'indomani della ratificazione del documento anche da parte del nostro Paese, abbia stimolato interpretazioni e posizioni significative (Clementi et al., 2002; Maciocco et al., 2008) e applicazioni sperimentali interessanti, come per esempio gli Atlanti dei Paesaggi o la costruzione di un “Osservatorio nazionale per la qualità del paesaggio” mediante “Osservatori del paesaggio” locali dalle potenzialità spesso ancora inesplorate, è nella prassi che tuttavia si lavora con una strumentazione che opera su elementi selezionati ed eccezionali, secondo una concezione di azione a prevalenza vincolistico/protettiva, e spesso con le difficoltà operative che rendono difficile il coinvolgimento - nei piani paesaggistici, seppur nella specificità di ciascun contesto regionale - dei processi territoriali che determinano i paesaggi (Peano, 2011). Queste criticità sono, per certi versi, strutturali alla dimensione (non) cogente-legislativa di un documento come una convenzione, che è sostanzialmente un riferimento culturale, e quindi soggetto a molteplici interpretazioni. Del resto, è probabilmente a questa indeterminatezza che si possono ascrivere molte delle questioni aperte dalla stessa CEP e che emergono nelle sfumature di una questione culturale che vede diverse discipline e diverse interpretazioni far emergere in ciascun contesto

socio-temporale diverse tematiche, prima fra tutte quella della definizione di cosa sia (o meno) paesaggio e di cosa occuparsi quando si intende lavorare con il paesaggio. La sua stessa definizione - ovvero quel suo essere “un'area così come percepita dalle popolazioni”, i cui caratteri sono determinati dall'interazione di fattori umani ed antropici (CEP, art. 1) - non può essere applicata in modo deterministico e questo permette di “maneggiare” la condizione en mouvance (Berque et al., 1998) di un paesaggio (del paesaggio) che si manifesta, si reifica, si forma all'atto della sua rappresentazione, assumendo di volta in volta i caratteri che le rappresentazioni determinano. Superate le visioni della dimensione percettiva come dimensione meramente estetico/visiva, e introducendo paradigmi interpretativi come quello del paesaggio percepito/esperito (Zube et al, 1982) che meglio interpretano i paesaggi ordinari, la comprensione delle molteplici rappresentazioni del paesaggio percepito da parte delle popolazioni si connota di numerose incognite, di fronte alle quali ogni ricerca, ogni caso di studio, ogni sperimentazione può contribuire alla costruzione di un sistema di riferimenti per progettisti/e e professionisti/e che intendono misurarsi con la complessità del paesaggio, pur operando nelle maglie rigide degli strumenti di piano e progetto a propria disposizione. L'auspicato coinvolgimento delle popolazioni nei processi di definizione del paesaggio non può ridursi alla sola applicazione delle pratiche partecipative, ma merita un ragionamento più complesso sulla relazione società/territori. D'altra parte, se il paesaggio esprime il quadro di vita di una cultura, nella condizione contemporanea ove la residenzialità ha assunto forme e temporalità molteplici, occorre interrogarsi sulle figure “legittimate” ad 29


esprimere la propria appartenenza ad un luogo. La molteplicità dei soggetti - dagli insiders (ovvero coloro che abitano e quotidianamente un luogo) agli outsiders (ovvero coloro che frequentano occasionalmente un luogo, come per esempio i turisti o i pendolari) ciascuno con i propri differenti codici comportamentali ed interpretativi (Cosgrove, 1984) - e delle forme di relazione con i luoghi, fanno registrare la rottura del nesso tra società e territori (Mattiucci, 2010), ovvero il dato che il paesaggio è rappresentato e percepito da singolarità cui fisicamente esso appartiene sempre meno. Non è possibile infatti presupporre una comunità ed un'etica condivisa per ciascun contesto. Nell'articolazione dei processi di comprensione del paesaggio, a partire dalle percezioni delle società locali, dobbiamo dunque immaginare una pluralità di sguardi situati nei confronti dei quali siamo chiamati ad un atto di responsabilità interpretativo-politico-progettuale, nella ricostruzione dei punti di vista emergenti, dei luoghi e delle prospettive che essi esprimono, delle ragioni che li costituiscono, delle interazioni (non sempre morbide) fra le molteplici visioni e soprattutto nella codificazione dei temi in comune. Se è vero infatti che immaginare una comunità territoriale coesa è senz'altro lontano dal reale, il paesaggio ha la potenzialità di costituire di fatto un protocollo di comunicazione (Lanzani, 2008) tra le popolazioni che vi coabitano e tra diverse culture dell'abitare che esse esprimono. Culture molteplici, che tuttavia condividono un tempo e un luogo, contaminandosi, inevitabilmente, e contaminando allo stesso tempo il paesaggio con attributi ibridi.

Il paesaggio, con gli elementi e le relazioni che lo connotano, esprime infatti i modi dell'organizzazione abitativa ed economica delle società insediate in un dato contesto nonché la loro relazione con la dimensione meno antropica del territorio - e tale espressione è influenzata dagli immaginari prodotti dalle reti sovra-locali ove i contesti sono collocati. Aldilà di queste consapevolezze, che rendono attuale e significativa ogni esperienza operativa che si interroghi su cosa sia paesaggio, nell'espressione materiale delle culture dell'abitare - ovvero “dell'essere sulla terra” (nello spazio, ndr) come aveva sintetizzato Martin Heidegger nel 1951 - nel paesaggio è inoltre possibile cogliere temi di progetto, perché esse esprimono valori e immaginari che si reificano e producono luoghi (Lefevre, 1974). Temi aperti che, nelle mutazioni in corso, interpretano temi progettuali “resistenti”, come quello del riconoscimento del paesaggio come spazio in comune (Mattiucci, 2013) nella condizione dilatata e metropolitana che caratterizza lo spazio di vita di ciascuno di noi. Rinunciare a comprendere il paesaggio in questa prospettiva, seppur nell'indeterminatezza interpretativa di questi assunti, che vanno misurati di volta in volta con le dimensioni contingenti, e ricondurlo ai soli dati ambientali o a condizioni eccezionali determina un'inevitabile rinuncia alla sostenibilità sociale di un progetto di territorio che, per quanto debba essere continuamente aggiornata, possa fare affidamento alla cura collettiva di chi lo sta abitando.

Bibliografia Berque A., Roger A., Conan M., Donadieu P., Lassus B., (1998). Mouvance - Tome 1, Cinquante mots pour le paysage, Paris, Ed. La Villette. Clementi, A., ed. (2002). Interpretazioni di paesaggio, Roma, Meltemi. Cosgrove, D. E. (1984). Social formation and symbolic landscape, London, Croom Helm. Heidegger, M. (1951). Costruire Abitare Pensare, in Martin Heidegger. Saggi e discorsi, G. Vattimo (ed.), Milano, Mursia. Lanzani, A. (2008). Politiche del paesaggio, in Paesaggi Culturali - Cultural Landscapes, R. Salerno and C. Casonato (eds.), Roma, Gangemi. Lefebvre, H. (1974). The production of space, Oxford, Wiley-Blackwell. Maciocco, G., ed. (2008). Urban and Landscape Perspectives, Berlin Heidelberg, Springer Verlag. Mattiucci, C. (2012). Kaleidoscopic visions of perceived landscapes. A methodological proposal to grasp the ordinary landscape's perception, Saarbrücken, Lambert Academic Publishing. Mattiucci, C. (2013). “Exploring the ordinary to understand landscapeness”, in Proceedings of the International Conference on “Changing Cities“: Spatial, morphological, formal & socio-economic dimensions, A. Gospodini (ed.), Volos: Department of Planning and Regional Development, University of Thessaly: 1588-1595. Peano A., (2011), Ancora lontani della Convenzione europea (in Decennale della Convenzione europea del paesaggio), Urbanistica Informazioni, 235: 43-45. Zube, E. H., J. L. Sell, et al. (1982), Landscape perception: research, application and theory, Landscape Planning 9(1): 1-33.

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Dossier: Le teorie

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Il paesaggio nella metafora di segni e disegni di Enrico Ferrari*

* Enrico Ferrari, architetto, fino al 2008 è stato dirigente per la qualità del paesaggio della Provincia di Trento, responsabile per più di venti anni dei settori della Tutela del paesaggio e dei Centri storici. Come urbanista ha elaborato la Carta del paesaggio del PUP 2007. Componente di numerose commissioni tecniche si è occupato di piani regolatori e di settore, piste e impianti da sci, restauri, arredo urbano, parchi, verde e ripristino. Attualmente è membro della Commissione per il paesaggio della Comunità di Fassa.

Il paesaggio è un insieme di segni (segno è ogni impronta visibile lasciata da qualcuno) che, rappresentati con punti, linee, superfici danno luogo a disegni. L'uomo si è trovato fin dall' inizio della sua avventura al cospetto di segni che lo sovrastavano, dis/umani, come i segni celesti, le montagne, i boschi, i fiumi, il mare, segni che ha cercato di interpretare ma anche di modificare secondo un suo personale disegno, come testimonianza della sua presenza. Dallo studio dei segni da cui l' uomo si scopriva attorniato sono via via nati molti disegni che hanno caratterizzato epoche e civiltà: pittura, scultura, architettura, urbanistica. Lo studio dei segni ha portato anche a studiarne i significati profondi, a capirne la genesi, a ricavarne concetti come armonia, bellezza. I segni e i disegni del paesaggio richiedono quindi attenzione, conoscenza, tutela, progetto. Parlare di paesaggio in Trentino significa conoscere e tener conto di un patrimonio vasto e articolato di studi di alta qualità che hanno riguardato settori diversi dalle foreste alla geologia, dalle acque, all' architettura e ai centri storici, insomma una miriade di segni. Il PUP 1987, riconosciuto dal Ministero dei Lavori Pubblici come piano paesaggistico, aveva riportato tutti questi temi nelle tavole del Sistema ambientale. Ma già nel primo PUP del 1967 si parlava di centri storici e di paesaggio, temi che accompagnano tutta la vicenda dell' autonomia trentina. Basti ricordare che la legge sul paesaggio è del 1971, seguita dalla legge sugli insediamenti storici del 1978, con oltre 18 pubblicazioni fino al 2008 che documentano

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studi, metodologie, interventi. Se oggi si parla ancora di paesaggio e di centri storici non è per moda, ma è perché ci si rende conto che le trasformazioni, sempre avvenute, hanno subìto accelerazioni importanti e stanno causando fenomeni non più controllabili dall' uomo che li ha provocati. Per questo, oltre a tener conto degli studi già fatti negli anni e in coerenza con gli strumenti di pianificazione territoriale provinciale (Pup 2007) che ribadisce la centralità del paesaggio e dei centri storici, occorre oggi un impegno ancora maggiore che richiede la collaborazione tra l'amministrazione pubblica, cui spetta la programmazione, coloro che, come l'Osservatorio del paesaggio si occupano di studiarne tendenze e suggerirne soluzioni e coloro che intendono, come Step, dedicarsi alla divulgazione, posto che il progetto di paesaggio, che in Trentino coincide in buona parte con i centri storici, coinvolge tutta la popolazione, così come i problemi, i rischi e i disegni. I tanti segni che l'uomo ha tracciato sul territorio, secondo un disegno culturale volto al benessere e allo sviluppo, terrazzamenti, strade, monumenti isolati, insediamenti storici, architetture, coltivazioni, devono essere governati dalla pianificazione, per armonizzare interessi contrapposti e per cercare una sintonia con il paesaggio, non astratta costruzione mentale ma concreta presenza territoriale. Gli addetti ai lavori sanno che la disponibilità di suolo libero, come la sua fertilità, è sempre minore, come tante altre risorse, tanto che la Comunità europea ha fissato il 2050 come soglia per il consumo zero di suolo. Tale limite temporale è tanto lontano che non


Dossier: Le teorie

«La pianificazione contemporanea - scrive Ferrari - deve rivedere i metodi consueti dell'espansione continua che caratterizza tutti i piani, con gli evidenti risultati di ridurre la campagna, svuotare i centri storici, creare periferie prive di qualità». Nei disegni è rappresentata, in maniera metaforica, l’evoluzione del paesaggio trentino.

pare molto attendibile ma tuttavia indica una tendenza di cui anche da noi si deve tener conto, posto che il suolo libero, a meno di scelte originali di tornare a costruire sugli alberi, come i primitivi, corrisponde al solo 10% del totale. La pianificazione contemporanea deve quindi rivedere i metodi consueti dell'espansione continua che caratterizza tutti i piani, con gli evidenti risultati di ridurre la campagna, svuotare i centri storici, creare periferie prive di qualità. Occorre ripartire dal cuore del centro storico e dai suoi simboli come la chiesa, il sagrato, le piazze, aggiornando una pianificazione che risale al 1978. Occorre anche tracciare un nuovo netto segno tra città e campagna, una sorta di perimetrazione dell'ambito urbano per separarlo da quello rurale. Tale perimetrazione sarebbe l'espressione di una nuova attenzione al paesaggio, al ruolo della campagna, all'avanzare del bosco, al mantenimento dei fronti liberi dei centri storici. All'interno della perimetrazione e dell'ambito urbano ci sarebbe spazio e gloria per tutti: per chi ritiene che si debbano salvaguardare ancora i centri storici, la più alta espressione della cultura trentina, e per chi ritiene che le periferie, espressione invece dell' architettura contemporanea, possano o debbano essere riqualificate. Quello che ci attende dunque è una sfida nuova rispetto al passato, più impegnativa, più urgente, che richiede quindi maggiore sapienza, diversa sensibilità e nuova qualità progettuale.

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La pianificazione del paesaggio in Alto Adige

di Peter Kasal*

* Peter Kasal è agronomo, laureato a Vienna nel 1992. Prima di entrare in pubblica amministrazione è stato libero professionista, mentre dal 2008 è direttore dell'Ufficio ecologia del paesaggio della Provincia di Bolzano. I compiti principali del suo ufficio riguardano la redazione dei piani paesaggistici (al livello comunale), la gestione delle zone protette, biotopi e monumenti naturali eccetto i grandi parchi naturali, la progettazione di interventi per la riqualificazione ecologica ed infine iniziative didattiche e pubblicazioni riguardanti paesaggio, natura, ecologia e biodiversità.

Quando sentiamo la parola “paesaggio” non pensiamo tutti alla stessa cosa. Il paesaggio è una realtà che si forma nelle nostre teste, è connesso alla nostra cultura, alle nostre esperienze, alla nostra storia personale. Quando si parla di paesaggio, molti pensano esclusivamente al paesaggio naturale, quello incontaminato, puro. In effetti, quel paesaggio esiste ancora. Ma per la maggior parte di noi incontra quel tipo di paesaggio– forse – soltanto il fine settimana o durante le vacanze. Il paesaggio con il quale abbiamo a che fare tutti i giorni è quello dove si intersecano paesaggio urbano, paesaggio colturale ovvero le zone rurali, e, di solito percepito soltanto da lontano, il paesaggio naturale, che si riduce a qualche cima di montagna che riusciamo a vedere dal fondovalle. Il paesaggio rurale può essere quello classico, “da cartolina”, come per esempio le vigne del lago di Caldaro e i lariceti di San Genesio; ma anche le monocolture di frutta nella bassa atesina o i prati intensivi concimati con il liquame sono paesaggio rurale, anche se dal punto di vista estetico ed ecologico rappresentano il lato opposto della stessa medaglia. Bisogna stare attenti di non fraintendere il paesaggio colturale 34

come una visione antica, idealizzata del paesaggio che invece nella realtà non esiste più. Ogni epoca è caratterizzata dalle sue tecniche e dal proprio stato dell'arte. Vivere in un museo non è compatibile con il necessario sviluppo del territorio. Estendere la propria visione di paesaggio ad altre realtà, al di fuori del paesaggio naturale, per molte persone non è semplice. Però per poter raggiungere uno sviluppo del territorio completo questo è indispensabile. Strutture tecniche ovvero opere stradali, ponti, centri abitati, fanno parte del paesaggio come gli elementi rurali. Una strada o un ponte non devono costituire a priori un elemento che contamina il paesaggio, che lo influenza in modo negativo. Se le opere realizzate dall'uomo vengono attuate in una scala opportuna, in modo sensibile e con rispetto verso il territorio circostante possono addirittura contribuire alla valorizzazione del paesaggio, possono formare dei “landmarks”, punti di riferimento, e trasformarsi in monumenti per i decenni e i secoli. La Convenzione europea del Paesaggio (2000) ha avuto una forte ripercussione sulla pianificazione del paesaggio in Alto Adige. Molto importante è stata la visione che si


Dossier: Le teorie

potrebbe esprimere con lo slogan “Tutto è paesaggio” e che il paesaggio è qualcosa che nasce dalla nostra percezione: "Paesaggio" designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni; ... la Convenzione si applica a tutto il territorio delle Parti e riguarda gli spazi naturali, rurali, urbani e periurbani. Essa comprende i paesaggi terrestri, le acque interne e marine. Concerne sia i paesaggi che possono essere considerati eccezionali, sia i paesaggi della vita quotidiana, sia i paesaggi degradati. In attuazione della convenzione, in Alto Adige, fin dal 2002, è stato redatto il piano di settore del paesaggio, le linee guida che hanno come obiettivo l'applicazione dei contenuti della convenzione europea. In Provincia di Bolzano convivono due strumenti di pianificazione, sin dagli anni settanta: il piano urbanistico e il piano paesaggistico. Entrambi hanno come contenuto il territorio di un singolo comune (in Alto Adige attualmente ne esistono 116). Il ruolo dei comprensori invece nella nostra provincia è molto ridotto in confronto all'importanza che le Comunità di Valle hanno in Provincia di Trento. I due strumenti coesistono da quando sono stati creati, quindi dall'inizio

degli anni settanta. Il piano urbanistico è incentrato soprattutto sui centri abitati, mentre il piano paesaggistico si focalizza di più sul paesaggio extraurbano e naturale. I contenuti del piano paesaggistico comunale comprendono: a) una cartografia della copertura del suolo b) le categorie di tutela - biotopi - monumenti naturali - le zone di rispetto - le zone di tutela paesaggistica - giardini e parchi (di importanza storica) - aree Natura 2000 - zone con vincolo archeologico In sintesi, il piano paesaggistico ha due obiettivi principali: 1) tutelare l'ecologia, che si protegge tramite la designazione di biotopi, e 2) conservare l'aspetto estetico del paesaggio, con la designazione delle zone di rispetto nelle quali vige und divieto assoluto di costruzione. Le categorie di tutela del piano paesaggistico devono poi essere recepite nel piano urbanistico. Una nuova via percorsa da alcuni anni è quella della tutela degli insiemi. Gli insiemi non sono singoli oggetti: essi raffigurano la storia 35

A sinistra la complessità del paesaggio sudtirolese. In alto una simulazione fotografica che interrompe l’equilibrio visivo - caratterizzato da spazi costruiti e spazi aperti - del paesaggio in Alto Adige.


In alto: un “bombardamento visivo” di segnali stradali che entrano in conflitto con il paesaggio circostante.

dell'uomo e della natura e contribuiscono alle caratteristiche locali e regionali. Molti Comuni possiedono un ricco patrimonio di valori culturali e storici, però non tutti sono tutelati tramite la sovrintendenza per i beni culturali o dalla tutela paesaggistica. Pertanto, va contrastato il rischio della standardizzazione e della perdita di diversità e tipicità. Per la tutela degli insiemi sono necessari interventi su misura. Per designare un'insieme devono sussistere almeno due dei seguenti criteri: 1) valore storico 2) carattere pittoresco 3) carattere monumentale delle costruzioni in rapporto reciproco e col paesaggio 4) connotazione stilistica, e cioè unitarietà stilistica oppure voluta commistione di stili diversi 5) figurabilità, quali leggibilità, appariscenza, capacità di orientare 6) panoramicità, quali vedute focalizzate e scorci prospettici verso l'esterno e prospettiva 7) memoria collettiva 8) permanenza dell'impianto urbano che ha

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determinato la morfologia insediativa 9) permanenza della tipologia edilizia 10) elementi naturali e di geomorfologia, carattere naturale se collegato all'opera dell'uomo La natura e il paesaggio hanno bisogno di forti alleati, la tutela della natura e lo sviluppo di un paesaggio ben strutturato e vario sono un obbligo e un compito. Siamo consapevoli che la tutela della natura e del paesaggio si compie principalmente tramite l'azione degli stessi utilizzatori del paesaggio. Abbiamo raggiunto un altissimo livello tecnico riguardante gli strumenti per monitorare e guidare gli sviluppi sul territorio. Ma la tecnica migliore non dà risultati se ci manca una visione condivisa, ed è proprio questo il livello su cui oggi dobbiamo concentrare i nostri sforzi. Auspichiamo che la rielaborazione delle leggi sull'urbanistica e sulla tutela del paesaggio, attualmente in corso da parte della Provincia di Bolzano, possa fornire la base per raggiungere gli obiettivi che ci stiamo ponendo.


Le esperienze

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Comunità Alta Valsugana e Bersntol Comunità della Paganella Metaprogetti di paesaggio

di Furio Sembianti*

* Furio Sembianti, architetto, laureato a Venezia, è stato direttore dell'Ufficio del Piano Urbanistico Provinciale dal 25 novembre 1991 al luglio 2009 e successivamente titolare dell’Incarico speciale per le metodologie di formazione degli strumenti urbanistici e di tutela del paesaggio. Attualmente è membro della Commissione per il Paesaggio della Comunità Rotaliana – Koenigsberg. Svolge attività libero professionale e di consulenza in tema di pianificazione paesaggistica.

Logiche di Progetto per il paesaggio Esplorando le opportunità offerte dalla scelta di proporre la centralità del paesaggio nel processo di redazione del PTC come linea strategica di pianificazione, emergono nelle logiche disciplinari interessanti conseguenze. La più immediata è che il paesaggio, da semplice contesto della progettazione infrastrutturale territoriale ed edilizia, assume il ruolo di primario oggetto di progettazione. Date le relazioni che ciascun paesaggio ha con ambiente, territorio e società ed il suo indubbio valore collettivo, è indispensabile che i progetti di paesaggio siano largamente condivisi, perché possano produrre effetti utili e duraturi. Solo così il paesaggio, posto al centro dei piani e cointeressato a risolvere in modo sostenibile problemi di fondo, legati alla qualità della vita della popolazione, potrà elevare le qualità che costituiscono indici adatti a misurare l'armonia degli equilibri territoriali. Soluzioni corrette delle problematiche produttive e dei conflitti insiti nell'uso delle risorse territoriali stimolano e richiedono attenzione alla qualità dei luoghi, cosa indispensabile perché il paesaggio sia percepito positivamente. A scala regionale, il PUP sottolinea le relazioni fra 38

paesaggi, individuando a grandi linee i diversi sistemi di paesaggio che caratterizzano il Trentino, e che, con i loro confini, disegnano l'immagine del territorio secondo varie configurazioni e commistioni; mette in rilievo i sistemi agricolo, fluviale, boscato, alpino, e fissa per quello insediativo i necessari limiti all'espansione; indica panorami di grande pregio, significativi anche nel contesto generale. Tutto ciò va interpretato a scala locale, nel quadro dei pregi paesistici riconosciuti dall'insieme dei documenti e convenzioni urbanistiche, per valorizzare molte categorie di beni territoriali, tipologie edilizie tradizionali e specialistiche, riconoscendo valore culturale e scenografico, per esempio a castelli e chiese, e valore paesistico ai luoghi a cui l'inconscio collettivo della popolazione attribuisce valore simbolico. La compatibilità paesistico-ambientale è requisito di fondo di ogni progetto che integra il paesaggio nelle proprie logiche, curando la percezione dei valori paesistici assieme a quelli di vivibilità. È così indispensabile conoscere le condizioni di salubrità ambientale, il carattere del microclima, l'importanza di attività inquinanti nelle aree insediate, l'accessibilità dell'abitato, la qualità di arredo negli spazi pubblici, del verde disponibile,


Dossier: Le esperienze

ecc. Anche le funzionalità intermodali, l'accessibilità ciclo-pedonale e del trasporto pubblico ai luoghi centrali, con i parcheggi di attestamento, se organicamente risolte, contribuiscono a migliorare la percezione del paesaggio. Per converso, gli squilibri nel quadro delle risorse, come lo spreco del suolo urbanizzato, il ridotto uso di fonti energetiche rinnovabili, la perdita di terreni agricoli con l'avanzamento del bosco, l'occupazione impropria dei suoli, l'uso non ottimale dei volumi esistenti comportano direttamente o indirettamente, a lungo termine, perdita di identità territoriale e di senso del paesaggio. Ne sono esempi i quartieri dormitorio, gli eccessi di seconde case e di volumi inutilizzati, l'abbandono di strutture antiche, antropografiche, culturali. È necessario riconoscere la struttura delle relazioni insediative e la forma in cui si presentano, per il modo in cui gli edifici si aggregano negli abitati. L'analisi tipologica aiuta a riconoscere valori da sostenere e le problematiche da affrontare, per esempio quando si punta a riutilizzare le infrastrutture tradizionali o a reinserire ragionevolmente nel contesto paesaggistico quelle recenti, oppure

quando si classifica l'edilizia in base ai livelli di congruenza rispetto al paesaggio locale. La visione urbanistica e paesaggistica d'assieme richiede anche di conoscere i legami di ciascun insediamento con quelli vicini, per cogliere i nessi di continuità, prossimità, affaccio visuale, e per collocare correttamente nel contesto territoriale l'assetto paesistico-panoramico, che dipende anche dalla organicità infrastrutturale dei margini insediativi. È importante l'immagine dei luoghi di interesse socio–paesistico: luoghi dell'arte, della cultura materiale, della storia, della memoria dell'aggregazione. Nell'analisi della percezione è importante anche scoprire quale sia la “lettura panoramica” dell'insediamento dalle strade più frequentate, individuando punti, luoghi e percorsi panoramici rivolti verso aree ed elementi che assumono elevato pregio paesistico. Comunità della Paganella, alcune impostazioni preliminari Nel caso del territorio della Comunità di Valle “Paganella” si è ritenuto necessario riuscire ad introdurre già all'inizio del processo di pianificazione misure che valorizzassero l'identità generale del territorio, proponendo metodici interventi chiave sulle reti e sui bordi di 39

Alcune prove di valutazione delle trasformazioni del paesaggio. In alto: orizzonti da mantenere sgombri per evitare il radicale mutamento della percezione del paesaggio In basso: introdurre volumi nell'ambito, produrrebbe effetti “barriera”, che renderebbero residuali i legami panoramici fra abitato ed area boscata, producendo così addizioni edilizie definibili come “sprawl”.


Evoluzione dell’insediamento dell’abitato di Molveno, nell’omonimo comune.

delimitazione dei sistemi di paesaggio. Accanto al rispetto dei valori ambientali espressi nel Parco Naturale Adamello Brenta, si è puntato a collocare sulla rete stradale di sostegno misure strategiche in grado di sostenere le identità locali valorizzando i luoghi abitati ed il loro radicamento paesistico nel territorio e nell'ambiente. Si è così articolata la strategia di valorizzazione della percezione dei panorami lungo le strade che sono in Paganella la principale “vetrina paesaggistica” del territorio, tenendo presenti le logiche di frequentazione ambientale, ed anche quelle del marketing territoriale. Si è proposto, per esempio di valorizzare gli orizzonti panoramici da mantenere sgombri per evitare il radicale mutamento della percezione del paesaggio aperto, ma anche di utilizzare scenograficamente l'ambiente insediativo per valorizzare le relazioni fra l'abitato, le aree agricole, i confini del bosco, e contenere lo “sprawl” edilizio. Per ciascuno degli insediamenti è stata proposta un'azione che, sulla base dello studio dell'evoluzione dell'insediamento, dei valori paesistici di rilievo e delle problematiche dell'area centrale, in una sintesi da approfondire 40

nel PTC, entro il programma di riorganizzazione paesaggistica del sistema stradale e di accessibilità territoriale, riprogetti il paesaggio dell'area dove la gente vive e lavora. Si tratta di ampie operazioni di riqualificazione e riorganizzazione per ampliare l'aggregazione sociale, la pedonalizzazione, l'arredo, la messa in sicurezza, la riconnessione con il verde esterno di preziosi poli urbani. Si tratta di azioni congiunte di razionalizzazione urbanistica e valorizzazione paesaggistica. Comunità Alta Valsugana Bersntol, progetto territoriale e carte paesistiche Dopo aver “disegnato” l'assetto delle politiche territoriali della Comunità, attraverso l'accordo quadro di programma e il conseguente documento preliminare, il problema è tradurre il senso del processo di trasformazione del paesaggio nelle carte di piano. Questa fase del processo di pianificazione è stata sperimentata esemplificando la redazione delle cartografie a tenore paesistico con gli elementi appropriati alla progettazione tematica, nelle legende della carta del paesaggio e della carta di


Dossier: Le esperienze

regola, di un'area campione che comprende la parte entrale della Comunità di valle “Alta Valsugana Bersntol”. Carta del paesaggio Nella carta del paesaggio sono stati individuati gli assetti e le dinamiche delle invarianti, delle risorse culturali e naturali, i processi storici di ampliamento insediativo, le direzioni ed i fronti di espansione edilizia, l'avanzamento e l'arretramento dei limiti del bosco negli ultimi 150 anni, riportando gli elementi utili a valutare le possibili attuali dimensioni del bosco di pregio, in base a necessità di protezione, a standard di elevata biodiversità, a rarità delle essenze, alla produzione di legname ed alle necessità paesistiche di effetti panoramici ed ambientali di continuità. Riportati i contenuti paesistici della Carta del Paesaggio del Piano Urbanistico Provinciale, si sono individuati i luoghi di maggiore interesse paesistico e quelli che offrono le migliori esposizioni panoramiche. Carta di Regola paesaggistica Nella carta di Regola paesaggistica, scegliendo i fenomeni da assecondare e quelli da contenere, sono state poste le premesse per ridurre

Valori paesistici di rilievo nell’abitato di Molveno.

progressivamente il consumo suolo entro termini che garantiscano la compatibilità fra elementi del territorio, l'integrazione degli elementi del paesaggio, la definizione dei confini del costruito e la valorizzazione della identità storica dei luoghi. Ciò è stato promosso indicando anche cinture verdi attrezzate e stabili di protezione, opportune al limite degli abitati, ma anche di raccordo con gli spazi aperti. La finalità è quella di ricostruire il limite dell'area boscata con fasce ecotonali e definire le relazioni figurative fra i sistemi di paesaggio agricolo e forestale, anche lungo le piste da sci. Un altra operazione prevista nella carta di regola è quella di restituire identità alle aree agricole, come prodotto storico della cultura materiale, recuperando le murature di sostegno ai terrazzamenti. La carta di regola, oltre ad operazioni diffuse, basate sull'applicazione delle buone pratiche territoriali e paesaggistiche, pone obiettivi strategici di progetto paesistico da attuare a medio lungo termine, nei piani, con programmi 41


Sintesi da approfondire nel PTC per l'area di Molveno, entro un programma di riorganizzazione paesaggistica del sistema stradale e di accessibilità territoriale.

di coordinamento paesistico. Alcuni esempi, basati su un'attenta ricerca urbanistico - antropologica con interviste e incontri, sono stati messi a punto con la collaborazione della dott.ssa Cristina Orsatti, ricercatrice antropologa, delle sociologhe Laura De Giorgi, Tania Giovannini, Manola Travaglia, degli architetti Giuseppe Altieri e Francesca Postal e della geografa Martina Calovi e della naturalista Daniela Ferretti. L'analisi antropologica ha selezionato le pratiche migliori da utilizzare, scelto strade condivise dalla popolazione, individuato le qualità che la popolazione chiede al paesaggio di domani. Ne sono uscite proposte orientate a sostenere i pregi delle risorse territoriali, definire i confini del territorio costruito, riqualificare il territorio a fini paesistici, riaprire gli orizzonti dei paesi, recuperare i terreni agricoli storici. Queste proposte hanno assunto, nella carta di regola, la forma di “programmi di coordinamento paesistico”, offrendo ventagli di proposte da approfondire nei PRG con opportune “mappe di Comunità” a scala comunale, sviluppando punti centrali, come: 1) a Baselga di Pinè, la problematica delle serre sul lungolago analizzata con studi di visibilità

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panoramica dove si richiede di riqualificare il lungolago schermando le serre con fasce ecotonali ed accorpandole territorialmente recuperando le ex cave di porfido; 2) a Tenna, il recupero di area agricola, con produzioni appropriate, sull'intero colle lungo il lago di Caldonazzo, valorizzando i percorsi storici e il forte austroungarico, in un complessivo riuso del territorio da sviluppare con analisi apposite nel PTC e quindi da precisare con ricerche mirate per la fase esecutiva nel PRG. Sia le strategie paesistiche proposte per l'accordo quadro di programma sia i programmi di coordinamento paesistico nel PTC costituiscono ipotesi di nuovi paesaggi emerse entro ricerche partecipate dalla popolazione e da essa condivise; esprimono gli elementi fondamentali dell'immagine che gli abitanti propongono per sé e per i loro luoghi nel futuro verso cui sono proiettati.


Dossier: Le esperienze

ComunitĂ Alta Valsugana e Bersntol: Carta del paesaggio

ComunitĂ Alta Valsugana e Bersntol: Carta di Regola paesaggistica del territorio

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Comunità territoriale della Valle di Fiemme Comunità di Primiero Temi di paesaggio per i Ptc

di Giorgio Tecilla*

* Giorgio Tecilla, architetto, laureato a Venezia, è stato direttore dell'Ufficio Tutela del Paesaggio e dei Centri storici della Provincia di Trento. Attualmente è titolare dell'Incarico speciale di supporto alle attività di studio e ricerca in materia di paesaggio e coordina le attività dell'Osservatorio del Paesaggio in coerenza con i programmi di ricerca e formazione della Scuola per il governo del territorio e il paesaggio (STEP).

Questo testo riprende alcune riflessioni emerse durante il lavoro di consulenza alle Comunità di Valle di Fiemme e del Primiero che sto svolgendo nel contesto del processo in corso per la redazione dei Documenti preliminari al Piano territoriale (PTC). La natura del Documento preliminare, e il suo caratterizzarsi come luogo deputato a definire le strategie che dovranno indirizzare la successiva elaborazione del Piano territoriale di Comunità, impone di attribuire a questo documento un carattere sintetico e programmatico, sia relativamente agli aspetti descrittivi e analitici (che vanno limitati a tracciare le linee principali del paesaggio di valle e le relazioni di scala tra il futuro PTC e il Piano urbanistico provinciale) sia con riferimento alla visione di paesaggio futuro, che andrà riassunta in indirizzi generali. Il Documento preliminare deve, infatti, delineare quella che sarà l'ossatura del futuro PTC, definendone le priorità e consentendo l'avvio di quel percorso di condivisione con la cittadinanza che costituisce una fase ineludibile del processo di redazione del Piano. Il Piano urbanistico provinciale e la legge urbanistica, ed ancor prima la Convenzione europea del Paesaggio, che

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ha ispirato questi strumenti normativi, pongono il paesaggio al centro dello sviluppo sociale aprendo la strada ad un processo che attribuisce alla tematica paesaggistica il ruolo di elemento strutturante per l'assetto futuro del territorio provinciale. Questa centralità implica una visione innovativa del concetto di paesaggio che integri gli aspetti strettamente estetico –percettivi (tipici della gestione dei tradizionali strumenti di tutela) con valutazioni di natura socio economica (attraverso il riconoscimento al paesaggio di valenze identitarie e di fattore di produzione) e ambientali (attribuendo ad un paesaggio correttamente gestito anche la funzione di fornitore di “servizi ecosistemici”). L'auspicio di una progressiva integrazione tra paesaggio, ambiente e territorio espresso dal Piano urbanistico provinciale dovrà quindi estendersi alla ricerca di una visione unitaria del paesaggio inteso come luogo di vita e in quanto tale interpretato con una chiave di lettura che sia in grado di superare distinzioni tematiche e approcci disciplinari settoriali, troppo spesso artificiosi e quasi sempre controproducenti. Se il paesaggio è il luogo delle nostra vita lo dovremmo affrontare in tutta la sua valenza di


Dossier: Le esperienze

ecosistema e di spazio della convivenza con le altre specie, di spazio dell'economia e della produzione, di spazio delle relazioni sociali e di spazio simbolico carico di valori affettivi in grado di generare quel senso di appartenenza che con un termine oggi alla moda definiamo “identità”. La tradizionale conflittualità tra istanze di conservazione degli elementi ai quali è riconosciuto un valore storico, culturale o “identitario” e spinte alla trasformazione, deve confluire in un progetto collettivo e consapevole di creazione dei paesaggi del futuro. I meccanismi partecipativi previsti all'interno del processo di generazione dei Piani dovrebbero garantire quegli aspetti di condivisione e progettualità collettiva che, soli, possono garantire il successo ai nuovi Piani delle Comunità. In questa prospettiva, anche alla luce degli scenari delineati da Trentino Sviluppo nella sua azione di supporto alle Comunità e rappresentati nei due Rapporti ricerca-azione per l'elaborazione del documento preliminare di programmazione, si sono approfonditi alcuni temi scaturiti da una lettura critica dell'assetto attuale del “paesaggio - territorio” delle due

Comunità. La situazione di crisi profonda e strutturale che stiamo attraversando in questi anni rappresenta un'occasione per riflettere sui processi di tumultuosa trasformazione che hanno investito il mondo, coinvolgendo, soprattutto negli ultimi cinquant'anni, anche i territori delle nostre vallate. È, questa, una fase di bilanci e di elaborazione di nuove idee per il futuro. Da questa riflessione, pure se in modo contraddittorio, pare emergere la consapevolezza della necessità di instaurare un rapporto con il territorio meno orientato allo spirito di conquista di nuovi spazi fisici e al consumo di risorse e sempre più diretto alla ricerca di una maggiore armonia con il mondo che ci ospita. Non fossero ragioni etiche a suggerirci questa strada pare sarà la drammaticità della crisi dell'ecosistema mondiale a imporcelo, con scadenze ed effetti che la scienza ci mostra essere sempre più prossimi e allarmanti. Il paesaggio è da sempre un elemento fortemente dinamico, ma le trasformazioni che hanno investito le nostre valli dal secondo dopoguerra ad oggi sono state dirompenti: non hanno solo

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Dinamiche di trasformazione dei suoli agricoli nel territorio di Mezzano (Ricerca Fondo paesaggio - UNITN PAT 2013)

riguardato i fenomeni legati all'urbanizzazione, ma anche quelli dell'abbandono di vaste porzioni di territorio connesso al mutamento del sistema produttivo dovuto al tramonto dell'agricoltura e della zootecnia tradizionali. Dobbiamo prenderci cura di questo paesaggio così drammaticamente modificato per “assestarlo”, “ricucirlo”, “riequlibrarlo” e “ricomporlo” dopo le radicali trasformazioni che lo hanno investito. Assume, qui, un ruolo centrale la vocazione turistica della nostra provincia e la valenza di “prodotto” che in questa prospettiva il nostro paesaggio rappresenta. Nei ridotti spazi dei fondovalle analizzati per il lavoro qui esposto si sono concentrate quasi tutte le trasformazioni connesse al nuovo modello di sviluppo economico e sociale, mentre le nuove attività legate al turismo invernale hanno investito i territori in quota in modo spesso dirompente. Il tutto ha generato grandi benefici di natura economica e ha assicurato la permanenza delle popolazioni sul territorio, realizzando il successo delle politiche lungimiranti di programmazione e pianificazione del territorio degli anni '60 e '70. Questo modello di sviluppo, però, ha nel contempo prodotto ferite

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e squilibri dei quali dobbiamo prenderci carico per assicuraci buoni livelli di qualità della vita e per proporre un prodotto turistico in grado di rispondere alle nuove sensibilità dei nostri potenziali ospiti, sempre più alla ricerca di paesaggi di pregio, bellezza e significato. In questa prospettiva la nostra azione di cura dovrà indirizzarsi verso alcune criticità che mostrano carattere di priorità; tra esse: Il consumo di suolo Il tema del consumo di suolo rappresenta una drammatica priorità per ogni strumento di pianificazione. Un recente studio realizzato in collaborazione tra la Facoltà di Ingegneria dell'Università di Trento e l'Incarico speciale di supporto alle attività di studio e ricerca in materia di paesaggio del Dipartimento Territorio Ambiente e Foreste della PAT, nel contesto della ricerca Analisi dell'evoluzione del paesaggio trentino conclusa nel gennaio del 2013, ha esaminato i caratteri delle dinamiche di trasformazione nell'uso del suolo in alcune parti della provincia, a partire dalla metà dell'800 ad oggi. Lo studio ha avuto come oggetto di approfondimento i territori dei


Dossier: Le esperienze

Evoluzione dell'insediamento di Cavalese (Ricerca Fondo paesaggio - UNITN PAT 2013)

comuni di Mezzano, Cavalese e Folgaria, ritenendoli casi rappresentativi di alcune modalità di trasformazione che hanno investito molte vallate del Trentino. Tra i tanti dati interessanti che emergono dallo studio, quello del consumo di suolo pare essere tra i più eclatanti, con valori di suolo urbanizzato, incrementati da 5 a 10 volte nell'intervallo 1850-2008 e valori medi del rapporto tra superfici urbanizzate ed abitanti attestati tra i 300 e 350 mq/ab. Altri studi in corso presso il Servizio Urbanistica della PAT e alcuni “Uffici di piano” delle Comunità di valle confermano questi valori, con punte in alcuni casi di molto superiori e valori allarmanti quando all'urbanizzato di oggi si sommano i dati relativi all'”urbanizzabile” previsto dai Piani regolatori generali (PRG) comunali. Alla luce della evidente insostenibilità di questo modello insediativo a crescita illimitata, i Piani di Comunità dovranno elaborare strategie territoriali che indirizzino le energie di sviluppo espresse dal territorio verso azioni di recupero del patrimonio edilizio esistente (storico e non), di razionalizzazione d'uso degli insediamenti produttivi e di riqualificazione dei suoli urbanizzati.

Il riuso e la riqualificazione degli spazi urbanizzati e del costruito L'obiettivo della razionalizzazione di uso della aree destinate ad insediamento e di riqualificazione del patrimonio edilizio esistente ha valenza strategica per il nostro territorio. Tale obiettivo, oltre a garantire la tutela dei suoli da nuove forme di urbanizzazione, si lega all'esigenza di garantire una migliore qualità della vita delle popolazioni residenti e di offrire elementi di richiamo per il turismo, assicurando la conservazione e riqualificazione dei centri storici e aumentando la sostenibilità ambientale degli insediamenti attraverso la riduzione dei consumi energetici e l'introduzione di modalità costruttive innovative ed “ecocompatibili”. In questa prospettiva i Piani territoriali di Comunità dovranno elaborare strategie finalizzate a garantire il recupero prioritario dei centri storici (anche in ragione della loro elevata valenza culturale e identitaria). Su questo aspetto i Piani dovranno effettuare un bilancio sull'efficacia delle politiche di conservazione e rivitalizzazione del tessuto storico attuate

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dagli anni '80 in poi, con particolare riferimento alla valutazione delle potenzialità rappresentate dagli insediamenti storici in termini di soddisfacimento della domanda di alloggi, ed elaborare nuove strategie e orientamenti per i PRG comunali. La scelta strategica di promuovere il riuso piuttosto che la creazione di nuovi insediamenti rende per i tessuti storici ancora più complessa la ricerca di equilibrio tra l'istanza della conservazione e quella della trasformazione connessa alla necessità di adeguare i contenitori edilizi storici alle nuove funzioni e ai nuovi standard tecnico prestazionali imposti in particolare dalle normative in materia energetica e antisismica, senza che questo comporti una perdita della valenza storico-culturale dei fabbricati antichi e dei loro spazi di pertinenza pubblici e privati. Negli ultimi decenni si è assistito ad un progressivo allentamento del controllo qualitativo sugli interventi di recupero, in un processo che partendo dal trasferimento (avvenuto a partire dagli anni '90) dalla Tutela del paesaggio ai Comuni, delle competenze autorizzative in centro storico, ha successivamente visto nei PRG comunali una tendenza generalizzata al declassamento degli edifici verso categorie sempre meno conservative, per giungere alla possibilità generalizzata di procedere alla demolizione degli edifici assoggettati alla categoria della “ristrutturazione” introdotta recentemente nella normativa provinciale. Questo processo rischia di compromettere un patrimonio edilizio storico che rappresenta una risorsa culturale e turistica di assoluto rilievo. Non è peraltro proponibile una politica generalizzata di “museificazione” dei centri storici, soprattutto se agli stessi si vuole attribuire una funzione centrale sotto il profilo del soddisfacimento della domanda di alloggi. I PTC dovranno pertanto elaborare strumenti utili a governare questo fenomeno, promuovendo la riscoperta della funzione progettuale delle “schede” (che nei PRG sono destinate a classificare gli edifici e ad individuare puntualmente gli interventi compatibili) e attivando un'azione generalizzata di responsabilizzazione e crescita culturale dei 48

professionisti e dei tecnici comunali verso la ricerca di soluzioni improntate ad una maggiore qualità progettuale in grado di governare gli spazi di trasformabilità che si riterrà opportuno introdurre. I margini: il nuovo volto degli insediamenti Il tema dei margini che separano gli insediamenti dal “territorio aperto” assume sempre più una valenza strategica nel disegno del paesaggio del futuro. I nostri paesaggi soffrono di un generalizzato senso di disordine riconducibile principalmente alla non chiara distinzione tra “dentro” e “fuori”. Le ferree regole basate sulla necessità di razionalizzare al massimo l'uso delle risorse produttive, che hanno caratterizzato il nostro paesaggio rurale fino agli anni '50 dello scorso secolo, hanno imposto forme e assetti territoriali basati su una chiara distinzione tra aree insediate, aree agricole, boschi e pascoli. Le logiche che governavano tale organizzazione degli spazi erano semplici e consolidate e producevano un paesaggio ordinato il cui senso era immediatamente comprensibile, con una evidente distinzione tra le diverse parti che lo costituivano. Il tumultuoso sviluppo del secondo dopoguerra e la complessità tipica della nostra società hanno prodotto un paesaggio contraddittorio e disordinato il cui significato è più difficile da cogliere e le cui regole più difficili da individuare. Un'azione sempre più necessaria di ricomposizione del nostro paesaggio non può che partire dal recupero di senso dei concetti di “dentro” e “fuori” e, quindi, da una chiara distinzione tra spazi insediati e territorio aperto. In questa prospettiva il margine che delimita gli insediamenti assume una rilevanza particolare e una valenza strategica per la nuova struttura del nostro paesaggio. Il modello di sviluppo basato sulla crescita continua e illimitata che caratterizza la contemporaneità attribuisce al margine una valenza provvisoria: è infatti il momentaneo limite dell'edificato in attesa di un suo ulteriore spostamento in avanti. La presa di coscienza sulla limitatezza delle risorse e sulla


Dossier: Le esperienze

Evoluzione dell'insediamento di Cavalese (Ricerca Fondo paesaggio - UNITN PAT 2013)

insostenibilità di questo modello di sviluppo ci impone ora di ragionare su margini assestati e definitivi, che rappresenteranno il nuovo volto degli insediamenti: il loro fronte visibile per il futuro. Questo dato implica una particolare responsabilità nel governare le trasformazioni che investono queste speciali porzioni degli insediamenti, siano essi di natura residenziale o produttiva. Di tale responsabilità la cittadinanza deve essere cosciente e il PTC dovrà fornire agli amministratori, e ai tecnici gli strumenti utili per garantire una corretta gestione del problema. Un nuovo ruolo per l'agricoltura? L'agricoltura ha avuto ed ha ancora un ruolo centrale nella creazione del paesaggio. La crisi dell'agricoltura di montagna ha generato molte delle criticità paesaggistiche che oggi ci troviamo ad affrontare. A livello sociale manca ancora la coscienza della funzione che l'agricoltura svolge per il paesaggio e, conseguentemente, non viene adeguatamente riconosciuto il ruolo sociale dell'agricoltore nella sua veste di insostituibile manutentore di paesaggi. Nell'ultimo secolo il settore agricolo ha subito una trasformazione radicale che ha inciso pesantemente sugli assetti

paesaggistici delle nostre valli. A lato del fenomeno di urbanizzazione e alla conseguente erosione di molti suoli fertili definitivamente sottratti all'attività agricola, nel corso degli ultimi cinquant'anni si è verificata la quasi totale sparizione delle colture orticole, che tradizionalmente occupavano l'interfaccia tra ambiti agricoli e insediamenti, e la perdita totale della tradizionale ricchezza nella pluralità di attività agricole a favore di una sorta di monocoltura prativa finalizzata allo sviluppo di un'attività zootecnica d'impronta prevalentemente industriale. Accanto al fenomeno dell'abbandono della zootecnia in quota e alla conseguente perdita di numerose superfici prative preme qui sottolineare come il ruolo marginale attribuito oggi ai suoli agrari di fondovalle delle vallate poste a quote di “mezza montagna” abbia portato a considerare tali spazi non più come luoghi da preservare e valorizzare in funzione delle loro potenzialità produttive ma come aree interessanti solo in vista di un loro possibile utilizzo a fini edificatori o per ospitare infrastrutture. Le cause di questo fenomeno sono note ed originate principalmente dalla scarsa

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reddittività dell'attività agricola, da una generale prevalenza di attribuzione di valore al “costruito” piuttosto che al “coltivato” e dalla concentrazione nei fondovalle, oramai sopra la soglia critica, di infrastrutture diverse, spesso, peraltro, realizzate in assenza di corretti criteri di inserimento nel paesaggio e di tutela dei suoli fertili. Nella difficile ricerca di un “nuovo senso” per il paesaggio agrario di media quota, che trovi riscontro anche nell'attribuzione di un diverso valore produttivo ed economico al territorio coltivato, si potrà trovare una risposta alla perdita di equilibrio di questa significativa porzione di territorio. I PTC dovranno mettere in campo strategie generali in grado di ridare centralità di ruolo agli spazi inedificati di fondovalle, e quindi primariamente agli ambiti agricoli, anche attraverso accorte politiche di integrazione con l'attività turistica in grado di incrementare la redditività delle aziende agricole. Andrà sostenuto lo sviluppo di attività produttive svolte a carattere professionale non sottovalutando, peraltro, l'incidenza delle iniziative di natura semi-professionale o hobbistica, quali la reintroduzione di colture orticole a carattere domestico che potrebbero aiutare a ricomporre i margini tra edificato e territorio aperto, oltre a costituire una risorsa culturale ed economica interessante nell'ambito delle economie domestiche e dell'affermazione di modelli di sviluppo più sostenibili.

conseguente cultura dello “zoning” in urbanistica hanno prodotto delle forzature nella specializzazione delle diverse parti del territorio: abbiamo quindi le “aree del bello” (zone sottoposte a vincoli paesaggistici e storico culturali), le “aree della natura” (parchi naturali, biotopi, ecc.) le “aree della produzione” (zone artigianali, cave, ecc), “le aree dell'abitare”, ognuna con proprie regole distinte, quasi come fossero elementi isolati e autoreferenziali. In una logica di riconnessione tra gli ambiti in cui, spesso, è artificiosamente strutturato il territorio, andrà rivisto questo “disegno per parti” ricercando una stretta integrazione tra i diversi contesti. Oltre a potenziare la valenza ecologica e di offerta per tempo libero e turismo connettendo le aree ad elevata valenza paesaggistica e ambientale (aree a parco, aree boscate, SIC, ecc), il PTC dovrà declinare questa prospettiva in strategie e progetti che consentano di leggere il territorio come un'unità in cui, ad esempio, anche le zone specializzate alla produzione riacquistino, per quanto possibile, una loro funzionalità ecologica, le aree agricole divengano anche luoghi dell'offerta turistica e del tempo libero e le strade vengano reinterpretate nel contesto di un progetto generale di “infrastrutturazione verde”, che consenta di esaltare le potenzialità ecologiche, ricreative e di offerta turistica.

La ricomposizione del “paesaggio – territorio” e la creazione di un “paesaggio in rete” I fenomeni di urbanizzazione degli ultimi cinquant'anni hanno creato, spesso incidentalmente, spazi privi di precisa funzione e chiaro “senso” (lotti inedificati inseriti in aree di espansione, spazi risultanti dalla creazione di strade e tratti di viabilità dismessa, piazzali ad uso saltuario, ecc.). Questi “ritagli” di paesaggio costituiscono spesso elementi di degrado, ma possono rappresentare una risorsa qualora venga loro attribuita una nuova funzione e un nuovo ruolo territoriale. Nel Piano territoriale di Comunità questo tema andrà sviluppato elaborando strategie in grado di proporre nuovi assetti per queste “aree perdute” e creando connessioni funzionali e percettive tra i “pezzi” di paesaggio privi di identità e funzione ecologica che lo sviluppo a volte disorganico degli ultimi anni ha prodotto. L'individuazione di elementi di connessione (corridoi a verde, percorsi ciclabili e pedonali, collegamenti funzionali all'attività agricola, corsi d'acqua) deve tendere a “mettere in rete” questi spazi oggi disarticolati, anche nella prospettiva di garantire il superamento delle numerose barriere (in particolare strade e corsi d'acqua arginati) che rendono sempre meno permeabili per uomini e animali le diverse porzioni del nostro paesaggio. L'organizzazione “funzionalista” e la

Il degrado paesaggistico e la scarsa compatibilità ambientale delle aree produttive I paesaggi delle nostre vallate spesso si offrono alla vista di chi percorre le principali vie di collegamento con un'immagine gravemente condizionata dal degrado paesaggistico che caratterizza molte delle nostre aree produttive. Una visione semplicistica e priva di prospettiva ha considerato per troppi anni questi spazi come ambiti che, in quanto destinati alla produzione, potevano essere gestiti come delle isole poste nel nulla, indifferenti al contesto in cui si collocavano, in un processo di rimozione di ogni attenzione per la cura dell'assetto paesaggistico. Esperienze geograficamente a noi vicine ci mostrano come una zona artigianale può anche essere un luogo bello e integrato nel contesto paesaggistico che lo ospita senza condizionare la propria produttività. La natura delle nostre produzioni industriali e artigianali sempre più orientate verso la “sostenibilità” e il radicamento sul territorio, potrebbe giovarsi di molto in termini promozionali e di “immagine” da una generalizzata riqualificazione paesaggistica dei siti della produzione da operarsi attraverso: - una migliore qualità architettonica dei nuovi fabbricati e, soprattutto, una diffusa azione di riqualificazione dell'esistente; - l'estesa introduzione del verde al fine di

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Dossier: Le esperienze

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migliorare la qualità e vivibilità interna alle aree produttive e di creare elementi con funzione di filtro, mascheramento e mitigazione dell'impatto visivo. Ove possibile andranno valutate soluzioni di utilizzo di coperture a verde considerata l'accentuata visibilità dall'alto che caratterizza molti insediamenti produttivi di fondovalle; la ricomposizione dei margini di contatto con lo spazio agricolo e naturale attraverso la creazione di fronti architettonicamente curati o di fasce di verde o corridoi di connessione tra le parti. Tale ridefinizione dei margini deve valere anche come segnale di limite rispetto a ipotesi di ulteriore sviluppo degli insediamenti che spesso hanno raggiunto espansioni eccessive, a volte accompagnate da sottoutilizzi delle superfici impegnate o abbandono delle strutture produttive; l'utilizzo delle superfici già impegnate e in particolare delle coperture per la produzione energetica da fonti rinnovabili e, in generale, l'introduzione di soluzioni energeticamente sostenibili ed economicamente redditizie che consentano di creare consenso per gli interventi di riqualificazione e di trovare risorse per la loro realizzazione, contribuendo all'immagine del Trentino come “territorio della sostenibilità”; la riattribuzione alle aree interessate dagli insediamenti produttivi di livelli accettabili di “funzionalità ecologica” in grado per quanto possibile di inserire anche questi ambiti nel contesto dei “paesaggi in rete”.

L'avanzata del bosco Il bosco è una risorsa di grande importanza, ma la sua crescita, costantemente registrata in questi ultimi anni, ha portato ad una sorta di “rivoluzione silenziosa” che nell'ultimo secolo ha sovvertito gli equilibri dei paesaggi di valle. Il paesaggio del bosco è un paesaggio di notevole valenza ecologica e con importanza economicoproduttiva ancora significativa per l'economia di molte vallate, ma un suo eccessivo sviluppo può portare alla compromissione di quei tratti di gradevolezza e umanizzazione del territorio tipici della presenza estesa del prato pascolo. I nostri paesaggi tendono così, progressivamente, a divenire più “ostili” e a perdere quel sedimentato rapporto tra natura e uso agricolo che così fortemente caratterizza l'identità del territorio alpino. Come ovunque, il paesaggio riflette fedelmente (pure se con qualche inerzia) il modello economico che lo genera e l'attuale struttura del territorio è la materializzazione di un assetto produttivo in cui l'uso agricolo e la zootecnia tradizionale di alta quota hanno assunto un ruolo marginale e forme di gestione radicalmente mutate rispetto al passato. In tale prospettiva, e non essendo proponibile né sensato un recupero della struttura paesaggistica del passato, sarà necessario valutare se e quanto sia

opportuno intervenire per riequilibrare l'attuale rapporto tra boschi e pascoli tenuto conto dei diversi fattori in gioco (funzione economica e di protezione idrogeologica del bosco, immagine turistica della valle, trasmissione di un modello insediativo storico legato allo sfruttamento delle aree di versante, aspetti psicologici e percettivi legati al senso di ostilità tradizionalmente associato al bosco, ecc.). Le strategie da individuare relativamente a questo tema e le eventuali politiche di incentivazione alla manutenzione degli spazi aperti non possono prescindere da una valutazione di fattibilità e sostenibilità economica delle proposte. Le risorse disponibili vanno pertanto concentrate solo negli ambiti in cui l'esigenza di mantenere o ripristinare coltivi e aree prative si riveli più sensata e destinata al successo. Ciò anche nella prospettiva di un rilancio delle attività di alpeggio integrata strettamente alle politiche di offerta turistica del nostro territorio; I paesaggi dell'acqua Sotto il profilo culturale e del “sentire comune” pare essere giunto a maturazione il passaggio da una visione dei corsi d'acqua , comprensibilmente monopolizzata dal tema della protezione dai rischi di natura idrogeologica, ad un approccio più integrato che riconosca a fiumi e torrenti anche un ruolo ecologico e culturale in funzione del loro essere insostituibili elementi strutturanti il paesaggio, componenti centrali dell'ecosistema e spazi privilegiati per il tempo libero. Questa diversa prospettiva deve essere tradotta in scelte di tipo gestionale e pianificatorio che i Piani territoriali di Comunità dovranno affrontare in termini approfonditi, in coerenza con i piani di settore di scala provinciale. La natura lineare dei corsi d'acqua ben si presta a garantirne la funzione di elementi connettivi tra le polarità che costruiscono il “paesaggio in rete” in particolare nel contesto del sistema provinciale delle aree protette. Fattori diversi (problematiche idrogeologiche rese evidenti dai fatti del '66, espansioni degli insediamenti, sfruttamento a scopo idroelettrico, difficile rapporto con le infrastrutture viarie) producono, però, contrasti e criticità che le politiche di piano dovranno affrontare elaborando strategie e fissando specifici obiettivi di qualità paesaggistica. Rinaturalizzazione, estensione e riqualificazione delle fasce di vegetazione riparia, eventuale possibilità di fruizione pubblica e conseguente realizzazione di attrezzature, sono i temi che andranno affrontati per i diversi contesti fluviali che interessano le Comunità.

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Comunità della Val di Non Landscape calling

di Cesare Micheletti e Loredana Ponticelli*

* Cesare Micheletti e Loredana Ponticelli si occupano di progettazione e pianificazione del paesaggio in aree ad alta vocazione turistica e di ricerca applicata al paesaggio alpino. Hanno elaborato numerosi progetti pilota finanziati dal Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale sui temi dello sviluppo sostenibile nell'ambito montano.

Il punto centrale della riflessione1 sul ruolo del paesaggio nella pianificazione delle Comunità di Valle non è tanto la predisposizione degli “elaborati cartografici” richiesti dalla normativa urbanistica, oppure l'assunzione di una definizione, seppure un po' datata, quale quella della Convenzione Europea del Paesaggio2, quanto piuttosto chiarire il senso che il termine paesaggio ha/può avere oggi nello spazio alpino. Lungi dall'essere meramente uno scenario di tipo estetico o naturalistico, il paesaggio alpino, e quindi anche quello trentino, è prima di tutto il luogo di una tensione dialettica tra naturalità e antropizzazione. Il limite apparentemente netto tra lo spazio utilizzabile per le attività umane e lo spazio naturale è invece il risultato di un costante processo di adattamento/modificazione, prodotto di matrici di tipo naturale e culturale. Per questo, se si vuole che il paesaggio assuma nei piani territoriali un ruolo effettivamente 3 strutturale e strategico , è necessario praticare un approccio olistico chiamando il paesaggio per ciò che è: un sistema di sistemi, una piattaforma che permette a vari ecosistemi (tra cui quello antropico) di costruire e strutturare relazioni4. 52

Perciò riteniamo necessario andare oltre gli studi che ricostruiscono semplicemente lo stato dell'ambiente e ne descrivono le forme, considerando invece i processi che costruiscono il paesaggio e ne determinano i valori. Allo stesso modo, se si vuole che l'analisi paesaggistica sia efficace e produca effetti sulla programmazione, deve essere ben presente il meccanismo con cui verrà formato il PTC per mezzo della cornice istituzionale e normativa che il Legislatore Provinciale ha tracciato. Il punto di partenza Per fortuna la riflessione sul paesaggio non parte da zero ma da due. Infatti si può appoggiare su due strumenti messi a disposizione delle Comunità dal Piano Urbanistico Provinciale : la carta del paesaggio e le unità di paesaggio percettivo. Queste cartografie hanno come riferimento specifico la Convenzione Europea del Paesaggio, che è stata esplicitamente richiamata nel PUP 2008, allineando così la pianificazione del Trentino a quella di altri territori avanzati, sia nazionali che europei. Tuttavia, trattandosi di due cartografie descrittive dello stato di fatto, fotografano il


Dossier: Le esperienze

Immagine concettuale 1: Val di Non = territorio policentrico

Immagine concettuale 2: Val di Non = territorio multitasking

Immagine concettuale 3: Val di Non = territorio di frontiera

Immagine concettuale 4: Val di Non = territorio verde

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Struttura insediativa storica ed aree agricole

Reti di comunicazione materiale ed immateriale

paesaggio trentino del 2008, basandosi metodologicamente sul principio, sancito dalla CEP, per cui il paesaggio è definito sulla base di 5 una percezione essenzialmente visiva . Si tratta pertanto di carte inevitabilmente statiche. Questa “visione” non ci soddisfa pienamente e sfugge alle matrici poligenetiche che stanno alla base dei meccanismi di produzione del paesaggio; ma soprattutto elude la ricerca e l'individuazione di quei processi relazionali fra uomo e territorio che sono assai più significativi ai fini della programmazione territoriale. Gli obiettivi Occuparsi concretamente della programmazione territoriale di una valle, e quindi dell'ineludibile processo di adattamento/modificazione del territorio rispetto alle scelte di trasformazione, implica lavorare sulla resilienza del paesaggio trentino. Questo significa introdurre nel PTC quelle capacità e quelle conoscenze che permettano di trasformare il paesaggio senza trasfigurarlo, ossia senza perderne le qualità e la natura. Va premesso che l'obiettivo dell'analisi del paesaggio della Val di Non, che abbiamo condotto 54

in questa fase iniziale, è costruire uno strumento informativo ed interpretativo del territorio anaune sufficientemente approfondito, seppure preliminare e sintetico, su cui possa essere impostato il lavoro del Tavolo di Confronto e Consultazione previsto dalla legge urbanistica nel processo di formazione del PTC. Dunque quali sono le conoscenze utili ad orientare la discussione collegiale sul modello di sviluppo della valle? Tre sono gli aspetti da individuare e mettere a fuoco per conoscere i processi relazionali: 1. le dinamiche dirette, ossia i meccanismi secondo cui si forma e si trasforma il paesaggio, sia nella serie storica che nell'evoluzione recente (trasformazione dell'uso del territorio, morfologia dell'edificato / morfologia del suolo, struttura rete viaria / ambiti di influenza, organizzazione fondiaria). 2. le dinamiche indirette, ovvero le relazioni fra le parti che determinano il valore del paesaggio (ambiti geografici / culturali / funzionali; dinamiche demografiche / poli attrattori, servizi / infrastrutture / politiche sociali, sistema turistico-ricreativo / attrattività); 3. I servizi (eco)sistemici, ossia le funzioni e le attività che il paesaggio permette di svolgere (reti


L'insieme di tutti gli elementi "invarianti" (aree agricole di pregio, biotopi e rete Natura 2000, PNAB, Patrimonio UNESCO, la rete idrografica, le foreste demaniali) pone in evidenza gli ambiti territoriali dove la trasformazione è possibile (aree bianche). Data l'estensione e la qualità delle coltivazioni, queste aree corrispondono agli insediamenti ed ai loro ambiti immediatamente contermini.

ecologiche, risorse ambientali come le riserve d'acqua, qualità dell’aria, biodiversità , risorse culturali, insediabilità potenziale) La vision Il processo di costruzione del PTC non può che partire da una visione di sviluppo condivisa a livello di comunità di valle. La definizione di questa vision avviene attraverso una progressiva focalizzazione degli argomenti e prende avvio dalla sintesi di vari “punti di vista”, che rappresentano un significativo spaccato della comunità anaune6. Questi si configurano come visioni settoriali di tipo politico, sociale, ambientale, urbanistico ed economico. Nel dare forma al modello di sviluppo sostenibile della Val di Non, abbiamo ritenuto utile individuare delle figure di riferimento, che aiutano a

tracciare una rappresentazione concettuale della valle (concept); su queste immagini sarà poi possibile costruire, mediante l'approccio partecipativo ed il confronto dialettico, delle visioni di futuro condivise. Le quattro figure che sono state isolate intendono sintetizzare i caratteri identificativi del territorio noneso e propongono una visione trasversale che si riflette direttamente sul paesaggio, qualificandolo attraverso delle semplici equivalenze: I territorio policentrico/ paesaggio = spazio di relazioni L'immagine complessiva della Val di Non è quella di un territorio diffusamente abitato, con buone possibilità di equilibrio e con molteplici centralità. Si tratta di un territorio policentrico che si appoggia su di un sistema insediativo nettamente riconoscibile e costituito da nuclei a grappolo, separati da distanze ponderate (oltre 100 paesi). A questa struttura corrisponde un'articolazione in distretti scolastici, commerciali, socio-sanitari distribuiti sul territorio e una suddivisione per ambiti turistici. Questa organizzazione insediativa reticolare, ha l'effetto di stabilizzare 55


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La “vision” alla base del Piano

gli equilibri territoriali e depotenziare la predominanza esecitata dai capoluoghi vallivi che si riscontra in altre situazioni. II territorio multitasking/ paesaggio = infrastruttura La Val di Non si caratterizza per essere un territorio economicamente multifunzionale. Contrariamente all'immagine di territorio specialistico (agricolo) che le viene abitualmente associata, la valle si distingue invece per la forte competitività di tutti i settori economici, dovuta ad un tessuto micro-imprenditoriale diffuso, organizzato e fortemente radicato nel territorio7. Allo stesso modo il territorio è qualificato da un considerevole patrimonio storico-architettonico e da un vasto patrimonio rurale che evidenzia la diversificazione funzionale e la potenziale integrazione, favorendo la contemporaneità di usi diversi. III territorio di frontiera/ paesaggio = struttura liquida La Val di Non è un territorio di frontiera sia dal punto di vista degli accessi rispetto ai confini provinciali, che per quanto riguarda la presenza

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di frontiere su cui si affacciano modelli socioculturali ed insediativi diversi. La più significativa è quella che distingue Val di Non e Deutschnonsberg, la parte della valle di lingua tedesca. Si tratta di una “frontiera” culturale che corre internamente al territorio orografico della valle, in uno spazio del tutto omogeneo e continuo ma profondamente diverso sotto il profilo organizzativo. Per questo è percepita dalla Val di Non come una frontiera interna al proprio territorio e non come un vero confine. Questa “frontiera nascosta” va letta come un limite poroso, uno stimolo continuo al confronto ed uno strumento interattivo di riorganizzazione sociale. In prospettiva futura: una risorsa su cui elaborare, attraverso le “proprie” diversità socioculturali, forme specifiche di organizzazione territoriale. IV territorio verde / paesaggio creatore di servizi ecosistemici L'estensione del territorio coltivato (campi, frutteti, coltivi e pascoli) ed il grande patrimonio naturale della Val di Non (Aree protette, particolarità geologiche, corsi d'acqua, boschi e foreste, emergenze ambientali (Patrimonio


UNESCO) rappresentano componenti diverse di un unico sistema ecologico di supporto alla vita, indispensabile per garantire la riproducibilità delle risorse del territorio vallivo e necessario alla sua qualità paesaggistica. I servizi ecosistemici hanno un valore economico importante (riserve d'acqua, legname, foraggio, energia elettrica, prodotti agricoli, ma anche varietà del paesaggio, qualità dell'ambiente e del clima) in grado di fare la differenza rispetto all'attrattività della valle. Tuttavia per dare prospettiva a queste visioni, serve profondità. La profondità può/deve essere fornita proprio dalla lettura e dall'interpretazione del paesaggio anaune, inteso come processo collettivo di attribuzione di senso. Questo “prodotto” di sintesi delle relazioni e delle attività umane è - in quanto tale - luogo di produzione di segni e significati culturali che, attraverso immagini e forme, costituiscono il radicamento identitario al territorio. Gli indicatori In questo approccio al PTC i processi relazionali

b)Carte Carte di di descrizione descrizione interpretativa b) interpretativa dell’assetto paesaggistico, paesaggistico, ossia dell’assetto ossia dei dei caratteri paesaggistici paesaggistici del del territorio caratteri territorio:

X

X X

c) Carte di descrizione interpretativa c) Carte di descrizione interpretativa dell’assetto insediativo, ossia delle dell’assetto insediativo, ossia delle matrici matrici culturali ed antropologiche del culturali ed antropologiche del territorio territorio:

a)Carte Carte di di descrizione descrizione interpretativa interpretativa a) dell’assetto naturale naturale,ossia ossiauna una serie serie di di dell’assetto aspettifisici fisici del del territorio: territorio aspetti

assetto fondiario (proprietà private, collettive e pubbliche) aree agricole (uso coltivo, pascolo, bosco) insediamento (c.s., residenziale, produttivo) habitat reti di collegamento (ferroviario, stradale I, stradale II, antropico forestale) assetto ecclesiastico (pievi + parrocchie + conventi) assetto storico (sistema di incastellamento + giurisdizioni) assetto turistico (aree sciistiche, impianti vari, sistema ricettivo) morfologia strutturale (altimetria orografia + ambiti omogenei) habitat semiologia naturale (morfologia + idrografia + copertura naturale boscata) esposizione (clivometria + orientamento dei versanti) semiologia antropica (ambiti paesaggistici “rappresentativi” + elementi semiologici strutturali) visibilità relativa (ambiti visuali + elementi morfologici principali) visibilità assoluta (marcatori del paesaggio + elementi fisici quadro strutturali) di sintesi unità tipologiche di paesaggio (ambiti paesaggistici omogenei + morfologia di base) matrice comparativa dei caratteri del paesaggio insediabilità potenziale (gradi di acclività+ morfologia + prossimità reti di comunicazione)

X X X X X X

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sono studiati sulla base di indicatori e modelli in grado di monitorare il sistema territoriale alle diverse scale spazio-temporali. Secondo il principio delle proprietà emergenti, per cui un tutto organico è superiore alla somma delle sue componenti, la metodologia di studio applicata al paesaggio anaune si basa sull'integrazione di vari caratteri. La struttura e le funzioni indagate fanno a capo a due tipi fondamentali di habitat: l'habitat umano e l'habitat naturale. Gli habitat sono a loro volta suddivisi in vari apparati paesistici8, ovvero in sistemi di pattern capaci di formare una configurazione riconoscibile. Nell'habitat umano sono state ricomprese quelle porzioni di territorio in cui l'uomo svolge la maggior parte delle sue attività (abitare, coltivare, reperire cibo, lavorare, ricrearsi, ecc.), e che si mantengono tali solo grazie all'intervento dell'uomo. Sono riconducibili all'habitat umano i seguenti apparati paesistici: - apparato protettivo (elementi capaci di influire sulla regolazione microclimatica, l'isolamento acustico e la strutturazione degli

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spazi negli insediamenti, sulla regolazione e la protezione dei coltivi agricoli, sulla ricreazione della popolazione); - apparato produttivo (elementi del paesaggio con alta produzione di biomassa ed, in generale, funzione agricola: orticola, seminativa, foraggera e zootecnica, frutticola e vinicola, vivaistica, ed altri organici); - apparato abitativo (elementi dell'ecosistema urbano, come funzioni di servizio, funzioni insediative residenziali compatte rade ed isolate, piccoli orti-giardini di casa, verde urbano e sportivo); - apparato sussidiario (elementi con funzione industriale, trasformazione dei materiali industriali, produzione di energia, capannoni commerciali, aree di grande deposito, infrastrutture territoriali e di grande mobilità). Nell'habitat naturale sono state individuate quelle parti di territorio che solo saltuariamente vengono frequentate dall'uomo e che, comunque, non sono luogo di attività umane permanenti. Sono riconducibili a questo habitat i seguenti apparati paesistici: - apparato scheletrico (elementi del paesaggio le cui funzioni paesistiche e biotiche sono dominate dai processi geomorfologici, quali aree rocciose, ghiacciai, ghiaioni, forre ecc.); - apparato connettivo (elementi con un'importante funzione di connessione nel mosaico ecosistemico, necessari per connettere le principali aree naturali del paesaggio); - apparato stabilizzante (elementi di alta

metastabilità con particolare resilienza, a cui spettano generalmente le funzioni regolatrici e protettive dominanti rispetto gli altri ecosistemi, come tratti di foresta climax, biotopi di area umida, di montagna ecc. ); - apparato resiliente (elementi con grande capacità di ripresa, ecosistemi formati da comunità pioniere o in stadi giovanili, oppure da foreste a bassa metastabilità); - apparato escretore (reticolo di corridoi fluviali, del quale viene utilizzata la capacità di trasporto e depurazione). Le letture L'obiettivo delle letture territoriali in questa fase propedeutica deve andare oltre la semplice descrizione della conformazione fisicogeografica o la immediata indicazione delle soluzioni a problemi insediativi o distributivi, ma costruire delle chiavi di lettura che sostanzino la discussione al Tavolo di Confronto e Consultazione, dove occorre lavorare per la costruzioni di reti discrete, ovvero sulla connettività sociale, culturale ed economica ma anche territoriale e strutturale. In particolare occorre riconoscere l'importanza fondamentale della dimensione spaziale delle reti e cioè distinguere come la loro struttura pluridimensionale interagisca con lo spazio tridimensionale. Ciò equivale a comprendere, gestire ed indirizzare i meccanismi di localizzazione, distribuzione e forma dei vari assetti (naturale, insediativo, culturale).

Note al testo 1. Il progetto del Documento Preliminare per il PTC della Val di Non nel periodo marzo-agosto 2013. 2. cfr. la presentazione del convegno “Il paesaggio nei piani territoriali delle comunità”, Trento 19.04.2013. 3. cfr. art. 21 c.1 della L.P. 1/2008 dove viene specificato che il PTC definisce “[...] sotto il profilo paesaggistico, le strategie per lo sviluppo sostenibile, nell'obiettivo di conseguire un elevato livello di competitività del sistema territoriale, di riequilibrio e di coesione sociale e di valorizzazione delle identità locali [...]”. 4. L'analisi territoriale si inquadra disciplinarmente all'interno dell'Ecologia del Paesaggio e riguarda pertanto la struttura naturale, gli assetti e le funzioni del paesaggio, ricavando indicazioni attraverso le loro trasformazioni nel tempo. 5. cfr CEP art. 1 lett. a: “[...] "Paesaggio" designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni;[..]”. 6. La pre-visione viene tratteggiata tenendo presenti: - programmazione di comunità (statuto di Comunità, certificazione EMAS, Distretto famiglia, piano gestione RSU, protocolli d'intesa, studi vocazionali); - pianificazione locali (patti territoriali, indagine propedeutica alla formazione del PTC della Commissione assembleare urbanistica della Comunità, ...); - programmazione economica (piano strategico APT, rapporto di Trentino Sviluppo,...); - programmazione socio-culturale (piano sociale di comunità, piano giovani, iniziative a sostegno dell'ambiente.... ). 7. In VdN si trova un'impresa attiva ogni 4 persone in età lavorativa, cioè la maggiore incidenza d'imprese per abitante di tutto il Trentino. 8. Ingegnoli V. Giglio E.; Ecologia del paesaggio. Manuale per conservare, gestire e pianificare l'ambiente, 2005.

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Appendice: unaricercasulpaesaggio

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Paesaggi storici e architetture contemporanee come costruzioni identitarie di Vittorio Curzel*

* Laurea in Psicologia e Dottorato di ricerca in Scienze Sociali a Padova, con una tesi su architettura ecologica, modelli di sviluppo e costruzioni identitarie nelle Alpi. Ha insegnato nelle Università di Bologna e di Trento. Autore di vari saggi e di film documentari. Dal settembre 2012 è Direttore con incarico speciale per la ricerca e la documentazione sul territorio presso la Step, Scuola per il governo del territorio e del paesaggio, a Trento.

Quando si parla di pratiche insediative in ambito alpino, il ricorso a modelli esplicativi che rinviano alla cultura germanica da una parte e a quella latina o reto-romancia dall'altra è prassi consueta e consolidata da tempo1. Tuttavia questi modelli esplicativi, che pure hanno avuto un' indubbia capacità euristica nella comparazione fra i diversi approcci adottati dalle politiche pubbliche trentine e sudtirolesi, fra le differenti visioni, intenzionalità e scale di priorità che le hanno animate e orientate (cfr. Diamantini, 1996, 2013), sembrano insufficienti per comprendere il perché tali politiche siano negli ultimi decenni fra loro meno distanti, mentre appaiono spesso divergere le pratiche progettuali, il modo di affrontare i temi della sostenibilità, del cambiamento climatico, del rapporto fra costruito e paesaggio, della crisi dell'economia e in particolare del settore edile. Né, d'altra parte, tali modelli sono di aiuto nel dare conto delle ragioni per cui molti progettisti altoatesini sembrano avere oggi più strumenti dei loro colleghi trentini per intraprendere con successo strade nuove nell'ambito dell'architettura alpina e sembrano maggiormente a loro agio nello sperimentare interazioni produttive fra design contemporaneo, tecnologie d'avanguardia e specializzazione artigianale, tra materiali innovativi e della tradizione locale. Per esemplificare in maniera emblematica le differenze più appariscenti nelle politiche territoriali così come nelle forme del paesaggio, si è detto e ancora oggi spesso si dice, che in Sudtirolo tutto in qualche modo ruota intorno al sistema del “maso chiuso”. Si asserisce questo non tanto perché si considera la rilevanza di questo istituto nell'economia agri-turistica e nella gestione del territorio e non solo per l'impatto che, sulla sorte dei fondi agricoli, hanno le particolari regole successorie che lo caratterizzano, quanto per la sua capacità di attrarre attorno a sé una costellazione di 60

significati e di essere al contempo simbolo e radice di una particolare modalità di attaccamento alla terra e di appartenenza al luogo, che in qualche modo avrebbe nel tempo plasmato l'“identità” sudtirolese. Ma sono veramente il “maso chiuso” e “il libero contadino tirolese” il centro dell'universo simbolico sudtirolese? O, per meglio dire, lo sono ancora? Forse è necessario andare alla ricerca di altre tessere del mosaico, per rispondere alle domande che ci poniamo oggi quando proviamo ad analizzare le non molte analogie e le numerose diversità che caratterizzano il paesaggio dei due territori vicini del Trentino e dell'Alto Adige. In questo scritto tenterò di tracciare i contorni di una riflessione che prende le mosse da ipotesi diverse e per certi versi nuove. Il punto di partenza è una ricerca che ho condotto negli ultimi quattro anni in Trentino e in Alto Adige sui temi dell'architettura cosiddetta “ecologicosostenibile” e sulle correlazioni fra questa e i modelli di pianificazione territoriale e di sviluppo economico. Tale ricerca ha preso avvio da cinquanta interviste in profondità ad altrettanti progettisti: architetti, ingegneri, pianificatori, dei gruppi linguistico-culturali italiano, tedesco e ladino. Per comprendere meglio i significati che le parole degli intervistati veicolavano, l'analisi delle interviste mi ha portato molto presto a confrontarmi prima con la storia dei due territori, poi con i percorsi formativi dei progettisti, infine con alcune interdipendenze che sembravano collegare culture professionali e particolari “costruzioni identitarie”, che trovano nel sentimento di appartenenza e nel “legame con i luoghi” elementi costitutivi particolarmente significativi. Di questa ricerca, in via di pubblicazione, mi limiterò qui a richiamare solo alcuni fra i passaggi conclusivi, insieme ad altri spunti di ragionamento.


Dossier: Una ricerca

Il Trentino, attraverso il primo Piano Urbanistico Provinciale (1967) ha inteso contrastare lo spopolamento della montagna e delle valli periferiche “urbanizzando” la campagna tramite la diffusione di servizi, attività produttive e infrastrutture sul territorio provinciale

1. Modelli insediativi e scelte di sviluppo in ambito alpino. La “cultura” come spiegazione delle differenze Lo scorso numero di “Sentieri Urbani”, nell'analizzare lo “spazio di mezzo” della Valle dell'Adige fra Trento e Bolzano, riprende e aggiorna alcuni rilevanti ragionamenti su queste tematiche. Le differenze, si ricorda, sono anche il prodotto delle scelte politiche locali che a loro volta riflettono le trasformazioni nella composizione della società, le sue aspirazioni, le sue esigenze di auto-rappresentazione, che si materializzano anche nelle modalità dell'abitare, del progettare e del costruire. Se in antico regime sono state in primo luogo le opere di regimazione delle acque e di bonifica nonché la realizzazione di infrastrutture a tracciare nuove linee regolatrici del territorio, costituendo un sistema di punti di accesso, di polarità, di margini (Zanon, 2013), in epoca più recente è emerso il ruolo centrale della pianificazione nella definizione dell'assetto del territorio, regolando non solo i diritti d'uso del suolo, ma anche individuando gli obiettivi di sviluppo, le priorità nelle azioni pubbliche, le regole dell'attività privata (Zanon, 1993, 2005). Vari autori hanno evidenziato come diversi modelli di sviluppo e diversi approcci alla correlata pianificazione territoriale abbiano determinato per il Trentino e per l'Alto Adige differenti esiti nella costruzione del territorio e del paesaggio (Diamantini 1996, 1999, Bassetti 1993, Pasquali et al. 2002) Il Trentino, attraverso il primo Piano Urbanistico Provinciale (1967) ha inteso contrastare lo spopolamento della montagna e delle valli periferiche, a causa della crisi dell'agricoltura di montagna e dell'attrazione esercitata da attività considerate più remunerative e meno faticose nell'industria manifatturiera, “urbanizzando” la campagna tramite la diffusione di servizi, attività produttive e infrastrutture sul territorio

provinciale. Nel contempo il Sudtirolo ha perseguito il medesimo obiettivo, in un certo senso “ruralizzando” il territorio attraverso lo sviluppo delle valli e dei centri di valle a maggioranza germanofona, operando tramite i PRG comunali anziché attraverso una pianificazione a scala provinciale, con l'intento di conservare le forme colturali tradizionali, le modalità di gestione e lavorazione della terra, le morfologie storiche degli insediamenti e la loro localizzazione originaria (Pasquali et al. 2002), ed esercitando contemporaneamente un controllo delle dinamiche evolutive del centro urbanoindustriale di Bolzano, abitato in prevalenza da residenti di lingua italiana. Come fa notare Morello (2013), nel Trentino ha prevalso la pianificazione territoriale su quella urbanistica comunale, cioè una visione strategica e strutturale dello sviluppo economico dei territori, che con il passare del tempo e l'avvicendarsi dei PUP si è fatta più attenta alla sostenibilità ambientale e alla tutela paesaggistica (a questo ha evidentemente concorso una maggiore consapevolezza circa i danni arrecati dalle espansioni edilizie eccessive e circa il rischio di dissesto idrogeologico). In Alto Adige/Südtirol, nel quadro di un progetto di società e di territorio incentrato sull'identità sudtirolese, ha prevalso invece una pianificazione comunale puntuale e pragmatica, promossa e controllata centralmente dall'Amministrazione provinciale, con il risultato, dalla seconda metà degli anni '60 e fino a tutti gli anni '80, di un maggior controllo dello sviluppo quantitativo e in parte anche qualitativo degli insediamenti, rispetto alla provincia di Trento (per il raggiungimenti di tali risultati di contenimento dell'uso del suolo agricolo, non sono stati peraltro ininfluenti anche fattori esogeni come la presenza, inizialmente su ampie porzioni di territorio, di servitù militari2). Nella Provincia di Trento, le spinte 61


Pensare al maso come modello insediativo caratteristico delle popolazioni germaniche e al centro nucleato come soluzione più diffusa in ambito latino, se trova riscontro, per la verità non assoluto, nell'acrocoro alpino, non è tuttavia giustificato dall'evidenza della ricerca storica in altri ambiti geografici europei

all'innovazione economica (e all'omologazione nel main stream del modello allora dominante urbano-industriale) sembrano determinare l'evoluzione della pianificazione territoriale, contribuendo anche alla formazione di una nuova “identità” del Trentino nella cornice della “modernizzazione” e del “miracolo italiano” della ricostruzione postbellica. Nei fondovalle, in particolare lungo l'asta dell'Adige e in Valsugana, le istanze di crescita fanno venir meno gli intenti di integrazione fra processi di sviluppo e conservazione dell'ambiente e del paesaggio, che pure il Piano di Samonà, sulla carta, prevedeva. In Sudtirolo invece è la strenua difesa di una cultura identitaria “tradizionale” e dell'economia rurale che la sostanziava a ispirare le regole per la gestione del territorio, finalizzate innanzi tutto alla tutela del “paesaggio culturale” (die Kulturlandschaft) agrario. Tale posizione non deve però essere letta come resistenza al cambiamento tout court, che anzi gli anni '60 -70 sono periodo di aperta modernizzazione dell'agricoltura altoatesina (da una economia di sussistenza all'apertura al mercato, meccanizzazione e diffusione della frutticoltura e viticoltura intensiva, modernizzazione delle tecniche di allevamento, diffusione di attività integrative nell'ambito dell'ospitalità turistica). Va detto, peraltro, che la difesa di modelli economici tradizionali che mettono al centro l'agricoltura e la difesa del suolo agricolo non è strettamente riferibile a caratteristiche specifiche del mondo tedesco, date le differenze riscontrabili nelle politiche territoriali (per es. per quanto riguarda il modello di sviluppo turistico alpino) della vicina Austria o della Baviera, ma va piuttosto interpretata come peculiare reazione della popolazione germanofona dell'Alto Adige al modello urbanoindustriale italiano, forzosamente importato e imposto dal regime fascista dopo l'annessione del Sudtirolo al Regno d'Italia. Cole e Wolf nel loro fondamentale saggio “La frontiera nascosta” 62

(1974), in particolare nel capitolo “Culture a confronto”, evidenziano come una popolazione fortemente radicata in una tradizione contadina si trovasse incorporata nel 1919, in uno stato creato nel XIX secolo da élites urbane, che avevano imposto il loro dominio su varie popolazioni rurali con il proposito di fare di tali popolazioni una nazione, togliendo spazio a qualunque forma di autogoverno, all'interno di una organizzazione amministrativa fortemente istituzionalizzata e centralista. Al contempo sottolineano quanto la linea politica del partito di raccolta sudtirolese abbia supportato con convinzione l' “l'identità dei sudtirolesi come popolazione rurale, patriarcale, cattolica, impegnata nel conservare antichi modelli di autogoverno locale”3 e come tutto questo ben si sia amalgamato con il sentire del ceto contadino di lingua tedesca, consolidando il legame alla terra e la resistenza nei confronti dell'urbanizzazione e dei suoi stili di vita. In questo programma politico si inserisce coerentemente anche un disegno unitario di “conservazione del paesaggio come interprete del sistema di valori tradizionali della popolazione di lingua tedesca” (Diamantini, 2013: 21), perseguito attraverso un articolato insieme di norme, regolamenti e atti amministrativi. Pensare al maso come modello insediativo caratteristico delle popolazioni germaniche e al centro nucleato come soluzione più diffusa in ambito latino, se trova riscontro, per la verità non assoluto4, nell'acrocoro alpino, non è tuttavia giustificato dall'evidenza della ricerca storica in altri ambiti geografici europei. Nel mondo contadino dell'Europa centrale germanofona infatti si sviluppa originariamente un sistema agrario e un correlato modello insediativo che prevede nuclei abitati relativamente densi, non collegati fra loro ed economicamente autosufficienti. Questi insediamenti sono circondati da anelli di terre coltivate, adibiti alle necessità alimentari quotidiane degli abitanti (orti e campi) assegnati alle famiglie originarie in proprietà privata trasmissibile in linea successoria,


Dossier: Una ricerca

Ciò che contraddistingue il Sudtirolo tedesco rispetto al resto delle Alpi italiane non è tanto l'insediamento a maso, quanto piuttosto l'istituto, tipico del diritto germanico, del “maso chiuso”, vale a dire la sua indivisibilità grazie al regime successorio che lo contraddistingue, capace di conservare intatto il fondo agrario e la sua proprietà per secoli

da anelli più ampi e distanti dal gruppo delle abitazioni, destinati a prato e pascolo in proprietà ed utilizzo collettivo, e da un ultimo anello di terreni non ancora dissodati, per lo più boschivi, in comproprietà e fruizione cooperativa all'interno di una “marca” a cui appartengono più villaggi. Questo sistema si espande via via a partire dall'ambito territoriale di origine, assumendo però, talvolta, forme assai diverse, da una parte rarefacendo e disperdendo abitazioni e proprietà agricole private sul territorio e riducendo al minimo le proprietà collettive, dall'altra, in specie in ambito alpino, dando all'Almende (pascolo comune) un assoluto predominio5. Nel territorio delle due attuali province di Bolzano e di Trento ritroviamo entrambi gli esempi. In Trentino, terra di colonizzazione romana e reto-romancia troviamo una presenza ancora molto consistente di forme di proprietà collettiva (ad es. la “Magnifica Comunità di Fiemme” o le “Regole di Spinale e Manez”6 ) che abbiamo visto caratterizzare il mondo agricolo originario dei germani dove prevalevano insediamenti a villaggio, mentre in Alto Adige/Südtirol, terra di colonizzazione retoromancia e più tardi, generalmente a una altitudine più elevata e in particolare nelle valli nord-orientali, germano-baiuvarica numerosissimi sono ancora i “masi”, derivazione dei “mansi” germanici, ma in forma insediativa dispersa, insieme a una presenza molto ridotta di terreni di fruizione comune (privilegiando così la proprietà privata, come avviene nel diritto latino). Questo sembrerebbe dirci che modelli insediativi differenti in ambito alpino, che solitamente vengono considerati correlati con la cultura germanica da una parte e con quella romanza dall'altra, così come le diverse forme giuridiche nella proprietà e nella fruizione della terra7, a ben vedere potrebbero anche avere un'origine comune, o più probabilmente risultare da una integrazione fra i due modelli. Dunque, lungi dal considerarli “connaturati” con

una data cultura, dovremmo forse ritenerli correlati con due “progetti adattivi” e connessi, in modalità co-evolutiva, con vari fattori fra cui, una strategia di adattamento a un certo tipo di ambiente; le tecniche di coltivazione che all'interno di questa strategia si sono sviluppate; diverse modalità di rapporto fra classi (per es. i diversi rapporti che si sviluppano fra la signoria feudale e il ceto contadino sulla montagna alpina e nell'entroterra continentale); il periodo storico in cui è avvenuta la colonizzazione di un dato territorio (chi arriva prima può scegliere le condizioni di insediamento più favorevoli); le abitudini alimentari di una popolazione, conseguenti anche alle opportunità offerte dal territorio di insediamento e che, per altro verso, permettono a una popolazione di insediarsi in territori a latitudini e altitudini che altri popoli considererebbero inospitali o comunque inadatti alla vita della comunità. Portare l'attenzione sulla complessità delle stratificazioni storiche e delle condizioni ambientali che hanno fatto da contesto alle diverse modalità insediative significa non dare per scontate queste scelte, considerandole come semplicemente correlate con la “cultura” di una data popolazione o tanto meno “connaturate” con essa. Piuttosto, seguendo Bätzing (1991), dovremmo considerare le differenze nell'ambito dell'agricoltura di montagna (e le diverse modalità insediative correlate) tra cultura di tipo latino e germanico come la distinzione fra due modelli che hanno “un differente rapporto con la natura”, che dà “un'impronta diversa all'intero comportamento economico e sociale”, cioè che dà luogo a differenti “progetti complessivi” riguardo all'economia, alla società, alla visione della natura, al rapporto con l'ambiente8. Tenendo peraltro presente l'esistenza di aree di impronta culturale “latina” ma di forma economica “germanica”, come le valli ladine dolomitiche, o viceversa di aree germanofone che dal punto di vista economico 63


Lingue diverse utilizzano per nominare la stessa cosa vocaboli diversi, che al di la delle differenze nella grafia e nel suono, possono portare con sé connotazioni diverse. Le parole che utilizziamo quotidianamente contribuiscono a formare le mappe mentali con cui esploriamo la realtà

mostrano un'influenza “latina”, come il Vallese orientale. Ciò che contraddistingue il Sudtirolo tedesco rispetto al resto delle Alpi italiane non è tanto l'insediamento a maso, quanto piuttosto l'istituto, tipico del diritto germanico, del “maso chiuso”, vale a dire la sua indivisibilità grazie al regime successorio che lo caratterizza, capace di conservare intatto il fondo agrario e la sua proprietà per secoli, costituendo così le premesse per un forte legame degli abitanti con il territorio, non solo di carattere giuridico e materiale, ma anche di natura immateriale, emotiva, affettiva, identitaria9. Se volessimo approfondire la ricerca delle radici del particolare legame di appartenenza alla terra e al territorio che caratterizza la popolazione sudtirolese, dovremmo forse riferirci anche ad alcuni significati veicolati dalla lingua tedesca. 2. La lingua come visione del mondo. Le lingue parlate nella vita quotidiana dalla popolazione altoatesina/sudtirolese assumono un ruolo significativo riguardo al tema di questo scritto. Soffermo l'attenzione sulla lingua italiana e su quella tedesca, tralasciando in questo passaggio del ragionamento la lingua ladina, di origine reto-romancia10, dunque assimilabile al gruppo delle lingue neolatine. Prendiamo il vocabolo “abitare” – “wohnen” e analizziamone l'etimologia. Il lemma italiano abitare (ma la stessa cosa si potrebbe dire per il francese habiter o lo spagnolo habitar) deriva dal latino habitâre: tenere, iterativo di habçre: avere, possedere, abitare, vivere11. Il significato originario sembra dunque essere quello del dimorare nel senso di avere un luogo come propria sede, occupare uno spazio, possedere. Il vocabolo tedesco wohnen proviene dalla stessa radice dell'avverbio wo, wohin, woher: dove, da dove, insistendo dunque sull'abitare come essere in un determinato luogo. Nel suo testo Bauen Wohnen Denken12 Heidegger 64

definisce l'abitare come “essenza dell'essere umano”: “essere un essere umano significa…abitare”. Ma in che cosa consisterebbe l'essenza dell'abitare? Per spiegare il vocabolo wohnen, il filosofo tedesco si rifà alle sue radici etimologiche individuate in due parole, una il sassone antico wuon, l'altra del periodo gotico, wunian, dal significato analogo, sebbene la seconda esprimerebbe più distintamente il “restare”, lo “stare in un posto”. Heiddegger propone che wunian, cioè l'esperienza del rimanere, significhi “stare in pace, essere portato alla pace, rimanere in pace”. Questo sarebbe appunto il significato originario dell'abitare nella lingua tedesca, cioè che nel luogo dove si dimora si è protetti e si protegge, si è salvaguardati e si salvaguarda, dal male e dal pericolo. Abitare è stare in un luogo dove da una parte si è protetti e dall'altra, rimanendovi, ci si prende cura delle cose che appartengono a quel luogo, al posto in cui si abita. Occupiamoci ora di un'altra parola: “casa”. Il vocabolo italiano casa deriverebbe, attraverso il greco êÜóÜò (pelle, coperta da cavalli) e il latino casa (capanna, luogo coperto), dalla radice ska (sanscrito c'ha), con il significato di coprire. Nella lingua italiana “casa” indica un edificio utilizzato per abitazione, ma anche la famiglia, la stirpe, la dinastia nonché il complesso delle sostanze di una famiglia, vale a dire il patrimonio e, per estensione la patria o in generale il luogo dove qualcuno ha stabilito un lavoro, un commercio13. Nella lingua tedesca uno dei vocaboli utilizzati con il significato di casa è Heim (gli altri sono Haus e Wohnung, alloggio). Heim deriva dalla stessa radice di Heimat, vocabolo denso, che porta con sé un viluppo di significati e di connotazioni, che non trova corrispondenza nella lingua italiana. Nel contesto di questo scritto, “terra natia”, una fra le traduzioni possibili, è forse la più adeguata. Potremmo da questa sintetica analisi delle differenti etimologie dedurre che per la cultura italiana queste parole portano con sé una connotazione che ha a che fare più con l' ”avere”, il possedere una dimora, un patrimonio famigliare, e


Dossier: Una ricerca

Il legame “identitario” con la cultura d'oltralpe e la coabitazione della cultura austro-tedesca e della cultura italiana, nella situazione di “confine” dell'Alto Adige/Südtirol, anziché costituire fattore di chiusura o di contrapposizione, sembra oggi per molti tradursi in propensione all'apertura verso altre culture

per la cultura germanofona con l' ”essere” (o meglio con l'esserci) in un luogo famigliare, in quanto avito, che protegge e da proteggere? Ovviamente no, sarebbe un'inferenza davvero affrettata, che tuttavia può offrirci qualche interessante spunto di riflessione e ci invita a un ulteriore approfondimento. Lingue diverse utilizzano per nominare la stessa cosa vocaboli diversi, che al di là delle differenze nella grafia e nel suono, possono portare con sé connotazioni diverse. Le parole che utilizziamo quotidianamente contribuiscono a formare le mappe mentali con cui esploriamo la realtà. Per quanto lacunose, ci serviamo comunque di quelle mappe, utili per orientarci rispetto ai nostri obiettivi14. Ogni lingua, nel costituire l'idioma proprio di una comunità linguistica, costruisce schemi di classificazione, di denominazione e di interpretazione della realtà. Che cosa succede quando due o più culture vivono nel medesimo territorio, come in Alto Adige/Südtirol? O che cosa succede se un abitante di un territorio “di confine” si sente appartenere a entrambe le culture e le correlate lingue, di volta in volta scegliendo la “mappa” che più gli sembra rispondere alle esigenze del momento o magari tentando di sovrapporre una mappa all'altra, cercando in tal modo di completare, se non tutte, almeno alcune delle lacune che entrambe le mappe presentano? 3. Il cosmopolitismo culturale come possibile evoluzione del multilinguismo. Al di là delle politiche territoriali, con il medesimo intento di autotutela della minoranza germanofona, l'azione del Governo della Provincia autonoma di Bolzano/Südtirol per decenni ha spinto vigorosamente nella direzione di un “multiculturalismo” che trova attuazione soprattutto nel campo delle politiche pubbliche dell'istruzione e della cultura, vale a dire negli ambiti dove si esercitano molte delle attività di

produzione simbolica di una comunità, così che i diversi gruppi linguistico-culturale tedesco, italiano e ladino, possano continuare a distinguersi nelle pratiche quotidiane in quanto differenziati nei percorsi educativi e distinti, sulla base di complicati meccanismi (“dichiarazione di appartenenza”, “proporzionale etnica”, etc.), nell'assegnazione dei posti di lavoro e degli alloggi pubblici. Questi percorsi formativi, separati in base all'appartenenza linguistica, tendono tuttavia a ibridarsi una volta varcate le soglie dell'università o dell'alta formazione artistica15. La prima generazione di progettisti altoatesini oggi riconosciuti, anche internazionalmente, come autori della “nuova architettura sudtirolese” ha studiato per lo più negli atenei austriaci. Come molti loro coetanei della generazione di europei e nordamericani nati dopo il secondo conflitto mondiale ed entrati nelle università nella seconda metà degli anni '60 e anni '70, la ricerca del “nuovo” era un modo di affermare la propria distanza dalle generazioni precedenti, da un passato e da una tradizione contestati. Il “nuovo” per questi giovani che studiavano in quegli anni nelle facoltà tecniche austriache era “ecologico” e “sostenibile”, da un punto di vista ambientale, sociale ed economico, perché questo era il tema del dibattito culturale più avanzato e “rivoluzionario” nei seminari e nelle lezioni che si tenevano nei politecnici e nelle accademie di Innsbruck, di Vienna, di Graz16. Da allora in poi, per molti di loro, gran parte delle riflessioni teoriche, delle elaborazioni progettuali, delle scelte tecniche e tecnologiche, come di quelle estetico-formali, sarebbe stata orientata in quella direzione. Così come sarebbe stata forte, nella loro pratica del progettare, l'attenzione al dettaglio costruttivo e alla qualità della realizzazione artigianale dell'edificio, in ogni sua parte nonché all'utilizzo di materiali “naturali” come il legno (tutti aspetti che, si noterà, hanno a che fare con la costruzione di

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Tanto più le costruzioni identitarie coabitano con altre, tanto più sono articolate e complesse, passando sia attraverso momenti di chiusura, di contrapposizione, di stretta osservanza delle regole della comunità di appartenenza, che momenti di apertura, di ibridazione, di reciproca curiosità e attenzione e di valorizzazione delle diversità.

“case passive” o a basso consumo energetico). Questa attenzione è infatti un Leitmotiv nella formazione dei progettisti nei politecnici e nelle accademie austriache fin dalla seconda metà dell'800, derivante dalla stretta connessione fra le attività di progettazione strutturale, le arti figurative, le arti applicate e la manifattura artigianale che percorre la storia d'oltralpe (Wiener Werkstätte, Bauhaus, etc.). Quello che con maggiore evidenza oggi appare come frutto di quella stagione tuttavia, non è soltanto l'attenzione alla sostenibilità, ma una spiccata tendenza al “cosmopolitismo” di molti progettisti altoatesini/sudtirolesi (sia di lingua tedesca che di lingua italiana e ladina, sempre più frequentemente bi-trilingui) e all'integrazione fra le culture progettuali germanofone e quella italiana, non disgiunta dall'interesse per altre culture progettuali del nord e sud Europa. Questo scambio fra le culture si attua non solo nel periodo formativo, ma anche nelle molte occasioni di elaborazione e dibattito culturale, come la rivista turrisbabel17, mostre di progetti, convegni, viaggi di studio. Questo contesto di apertura cosmopolita sembra peraltro caratterizzare in Alto Adige l'intero ambito della “cultura della sostenibilità” e non solo la nuova architettura sudtirolese. Un esempio significativo è rappresentato dai Colloqui di Dobbiaco, che, grazie all'iniziativa di Hans Glauber, hanno rappresentato fin dal 1985 un luogo di fertile interscambio fra l'Europa transalpina e quella mediterranea, un crocevia di sensibilità, competenze tecnico-scientifiche e riflessioni di carattere sociologico, filosofico, politico sulle forme dello sviluppo18. Il legame “identitario” con la cultura d'oltralpe e la coabitazione della cultura austro-tedesca e della cultura italiana, nella situazione di “confine” dell'Alto Adige/Südtirol, anziché costituire fattore di chiusura o di contrapposizione, sembra oggi per molti tradursi in propensione all'apertura verso altre culture, quasi riscoprendo, in versione

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“postmoderna”, la tradizione cosmopolita mitteleuropea. 4. Scelte progettuali come scelte identitarie? La domanda sull'”identità” socioculturale collettiva di una data popolazione si pone laddove l'esistenza di questa identità è vissuta come una dato di fatto da coloro che abitano un determinato territorio (Carle, 2012: 42). Studiare l'”identità” socio-culturale collettiva di una popolazione con riferimento a un territorio, significa cercare di capire come una popolazione rappresenti a sé stessa la propria identità e come tale identità sia rappresentata dagli “altri”, ma anche quale sia il grado di consapevolezza di un'appartenenza. Significa considerare con attenzione la storia di lungo periodo e nel contempo cercare di cogliere le trasformazioni e le modalità con cui queste si manifestano nei tempi a noi più vicini, attraverso le azioni, gli scambi e le interazioni che possono essere oggetto di osservazione diretta. Tali cambiamenti possono esprimersi a diversi livelli, ad esempio nei consumi alimentari, nei flussi commerciali, nel folclore locale, negli stili di comportamento quotidiani, ma anche nella progettazione architettonica e nelle scelte politiche di pianificazione del territorio o della programmazione economica di medio-lungo periodo. Tanto più le costruzioni identitarie coabitano con altre, così come è stato per secoli in questa parte delle Alpi, tanto più sono articolate e complesse, passando nelle varie epoche e in interdipendenza con le vicende della storia, attraverso momenti di chiusura, di contrapposizione, di stretta osservanza delle regole della comunità di appartenenza, ma anche momenti di apertura, di ibridazione, di reciproca curiosità e attenzione e di valorizzazione delle diversità. Le informazioni e la maggiore consapevolezza che attraverso tali analisi si riescono ad acquisire possono rivelarsi utili nella conoscenza di un territorio e nella capacità di intervenire su di esso


Dossier: Una ricerca

Se da una parte l'identità altoatesina/sudtirolese sembra oggi aggregarsi solidamente per i tre gruppi culturali-linguistici intorno alla rappresentazione di un forte legame con il territorio, la costruzione di una identità trentina appare più labile, persino conflittuale

con efficacia. La coscienza di appartenenza può tradursi in contenuti quotidiani, in una sorta di Weltanschauung capace di dare forma a scelte individuali e collettive, a modelli sociali e culturali. “Il modello sociale e la sua comprensione costituiscono il fulcro della dinamica identitaria di una popolazione” (Carle, 2012: 43). Il modello può dunque costituire i contenuti di una identità socio-culturale. Il Sudtirolo appare in questo senso come un territorio caratterizzato da un modello socioeconomico di lungo periodo che si definisce nell'alto medioevo e si stabilizza formalmente nel sec. XVI, fondato sul sistema del “maso chiuso”, unità al contempo di produzione, di abitazione, di ordinamento fondiario, su cui si innestano prima dinamiche di autotutela linguistico-culturale dopo l'annessione all'Italia e l'esperienza traumatica della “italianizzazione forzata”, poi momenti di confronto con la modernità urbano-industriale, infine gli effetti dell'apertura delle barriere politicoamministrative intra-europee, della rivoluzione delle tecnologie della comunicazione e dell'informazione e della globalizzazione dei mercati. Come in altri luoghi vi è una correlazione tra le vicende storiche di lungo periodo del territorio, le sue caratteristiche fisiche e lo stabilizzarsi di un modello sociale specifico19. Si tratta di un modello che si mostra sul lungo periodo come del tutto funzionale alla autoconservazione e alla autoriproduzione in un territorio con una popolazione con forti caratteristiche identitarie, dove gli stessi cambiamenti spesso intervengono proprio in funzione della conservazione del modello stesso (si pensi ad esempio alla modernizzazione dell'agricoltura sudtirolese). Spesso in questi casi politiche di pianificazione e di gestione del territorio consentono non solo di frenare o fermare l'esodo dalle zone rurali

periferiche, ma anche di conservare, adattandolo ai tempi, un modello sociale di lunga durata correlato con specifiche identità socio-culturalilinguistiche. “Un modello sociale tendente ad autoconservarsi e ad autoriprodursi (…) produce nel lungo periodo un patrimonio culturale specifico, inteso nel senso più largo del termine paesaggistico, architettonico, urbanistico, ma anche ad esempio, alimentare e linguistico. Questo nesso indispensabile costituisce la specificità identitaria del territorio stesso” (Carle 2012: 49). Nel caso del Sudtirolo, cioè di un territorio “conteso” anche simbolicamente (si veda ad es. la questione della toponomastica) l'appartenenza dello stesso e allo stesso (“di chi è” il Sudtirolo e “chi” può dirsi di “appartenere” ad esso, di avere pieno diritto a considerarsi sudtirolese o altoatesino) sembra essere alla base di costruzioni identitarie, talora del tutto separate fra i diversi gruppi culturali-linguistici. Oggi, per alcune élites intellettuali, come quella dei progettisti, queste costruzioni sembrano spesso tendere a una nuova e inedita condivisione, nel tentativo di costruzione di un'identità “sudtirolese/altoatesina” nuova, peculiare e autonoma rispetto alle culture originarie di appartenenza. 5. L'“identità” complessa dell'Alto Adige/Südtirol e le molteplici identità del Trentino Oggi il confine del Brennero, che tanto ha contato nel vissuto della popolazione della regione, percepito diversamente dai vari gruppi culturali e linguistici che la abitano, confine al contempo reale e simbolico, capace a sua volta di creare altre frontiere interne altrettanto reali e simboliche, è solo un segno sulla carta, di cui nemmeno ci si accorge quando lo si attraversa con l'automobile anche perché una parte degli edifici doganali ormai dismessi è stata convertita in un centro commerciale20. Nella provincia di Bolzano numerosi progettisti

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Per il Trentino sugli usi di antico regime circa le proprietà collettive si innestano su vicende storiche altrettanto complesse di quelle dell'Alto Adige, che tuttavia agiscono non come forza coesiva, quale è il caso della popolazione di lingua tedesca del Sudtirolo, ma piuttosto come lacerazione del vissuto e della memoria all'interno della popolazione italofona trentina.

sembrano esprimere oggi una disposizione a intrattenere rapporti di scambio culturale e al superamento dei “confini” fra i gruppi linguistici, poiché condividono da una parte le problematiche caratteristiche della professione e la tensione verso soluzioni più efficaci ed efficienti, dall'altra istanze di innovazione culturale e apertura politica, soprattutto in campo ambientale. Sono dunque interessati alla conoscenza dell' altro nel campo condiviso dell'attività professionale, in particolare alle prassi e alle teorizzazioni che l'altro gruppo produce, spesso tendendo verso una possibile sintesi, nella comune ricerca di “buone soluzioni” a problemi comuni. Possiamo in tal senso pensare che in Alto Adige/Südtirol nel campo specifico della progettazione architettonica e urbanistica vada delineandosi una nuova costruzione identitaria? Possiamo ipotizzare che questa nuova costruzione identitaria, a partire da modelli tradizionali su base “etnica” tenda ad evolvere verso un mix dove la permanenza di un radicato sentimento di appartenenza al territorio si mescola con l'aspirazione a una cittadinanza “cosmopolita” e che proprio da questo mix sia nata una cultura progettuale che non esita a intraprendere percorsi innovativi e di accentuata sperimentazione, anche in un contesto sociale spesso orientato alla tradizione e alla conservazione? Nel Trentino, questo sembra, per ora, non verificarsi. Se da una parte l'identità altoatesina/sudtirolese, certo complessa e non priva di contraddizioni, sembra oggi aggregarsi solidamente per i tre gruppi culturali-linguistici intorno alla rappresentazione di un forte legame con il territorio, la costruzione di una identità trentina appare più labile, persino conflittuale, tanto che si possa parlare di più costruzioni, fra loro antagoniste. Nel 2011 sulle pagine di Studi Trentini21 si è aperto un significativo dibattito sulle “grandi narrazioni” che avrebbero contraddistinto la

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ricerca e la divulgazione storica, a partire dalla fine del primo conflitto mondiale e dalla annessione/unificazione (a seconda dei punti di vista) all'Italia ad oggi. Vengono evidenziate tre grandi narrazioni: la narrazione del “destino italiano” del Trentino, quella del suo “destino autonomista”, infine quella della “nostalgia tirolese”, che includerebbe la narrazione della storia trentina in quella del “Tirolo storico”, visto come un territorio alpino caratterizzato da egualitarismo, solidarietà interna, legame con la terra e con la religione, il cui principale nemico sarebbe la modernità. Al tramonto della prima delle narrazioni, tra gli anni '80 e '90 del '900, sarebbe corrisposta la nascita delle altre due, in correlazione a mutamenti della stagione politica che ha visto prima il declino della Regione a favore delle due Provincie autonome e poi il profilarsi di una strategia euroregionale tirolese-trentina, per meglio difendere le prerogative autonomistiche di fronte a un diverso quadro politico-economico nazionale. Si fa inoltre notare che se la prima narrazione, quella “italocentrica”, portava con sé alcune forzature interpretative, anacronismi e semplificazioni, in ottemperanza alle esigenze di un determinato assetto politico e sociale nell'età dei nazionalismi, le altre due non sono certamente al riparo da questi rischi. Anzi, secondo alcuni, non di rado contaminazioni retoriche, quando non l'invenzione di tradizioni e ricostruzioni fantasiose che ignoravano storiografia e fonti, sono state strumentali a un uso politico della storia. Per comprendere come la narrazione del “destino italiano”, dominante per un lungo periodo, non sia diventata l'incontrastata base di una costruzione identitaria condivisa, è necessario risalire alle complesse vicende della popolazione trentina nel primo conflitto mondiale, all'esperienza dello sfollamento di decine di migliaia di profughi, della guerra combattuta da circa 55.000 trentini nei reparti dell'esercito asburgico e da meno di un migliaio come volontari nell'esercito italiano, della distruzione di molti paesi lungo la linea del fronte.


Dossier: Una ricerca

Forse è proprio in quello spazio cangiante fra confini visibili e frontiere nascoste che possono nascere nuove costruzioni identitarie, nuove culture ibride, nuove visioni del mondo, nuove idee, nuovi progetti, da parte di coloro che si trovano ad essere contemporaneamente outsider e insider rispetto alla lingua e alla cultura in un dato territorio

Scrive Quinto Antonelli: “Terminate le ostilità, non si esaurirono gli effetti delle lacerazioni, delle offese e dei torti subiti, delle umiliazioni patite, ma continuarono nel corso del Novecento, a determinare scelte e comportamenti, ad alimentare il conflitto tra narrazioni differenti. La memoria delle dolorose esperienze personali divenne il metro di giudizio non solo per giudicare l'operato dell'Austria o dell'Italia, ma anche per scegliere la propria parte politica, amici ed avversari. Fino ai nostri giorni.”22 La storia del Tirolo e in particolare le prassi consuetudinarie collegate alla diffusione del regime fondiario e al diritto ereditario di fonte germanica costituiscono un valido supporto alle costruzioni identitarie sudtirolesi, radicate nel legame con il territorio, che si rinforza ulteriormente nel corso del '900, per far fronte a un tentativo di annullamento dell'appartenenza culturale-linguistica sudtirolese, dopo l'annessione all'Italia. Per il Trentino sugli usi di antico regime circa le proprietà collettive si innestano, in epoca più recente, vicende storiche altrettanto complesse di quelle dell'Alto Adige, che tuttavia agiscono non come forza coesiva, quale è il caso della popolazione di lingua tedesca del Sudtirolo, ma piuttosto come lacerazione del vissuto e della memoria all'interno della popolazione italofona trentina. L'assenza di un legame altrettanto forte con il territorio e dei presupposti per una costruzione identitaria condivisa nonché la mancanza dell'opportunità di una quotidiana interazione con una cultura “altra”, se non sono stati elementi ostativi, comunque non hanno favorito il formarsi di una cultura progettuale originale e peculiare del territorio. Il Trentino ha avuto nel '900 grandi architetti come Libera, Baldessari, Melotti, Pollini, Sottsass senior e potremmo aggiungere un artista come Depero per il quale le architetture e la città sono state lo sfondo di raffigurazioni pittoriche che sono diventate molto note in

Europa e in Nord America. Se si vanno a vedere le loro biografie si vede che sono tutti nati nel Trentino asburgico, hanno studiato in Italia, a Milano o a Roma, o in Austria, a Innsbruck e a Vienna. Dunque una situazione che presenta alcune similitudini, pur in un contesto storico-sociale profondamente diverso, con i percorsi formativi e professionali di molti progettisti altoatesini/sudtirolesi contemporanei. Come se la condizione dell'essere parte di un gruppo di outsiders alloglotti rispetto alla lingua/cultura dominante del Paese dove si vive, essendo comunque in stretto contatto con il territorio (al di là del “confine”) dove la propria lingua/cultura di riferimento è lingua e cultura nazionale, possa costituire un elemento di continuo stimolo a far interagire le diverse culture e a produrre qualcosa di nuovo, originale, e per certi versi imprevedibile. Confini geo-politici tracciati sulla carta e sul terreno e frontiere mentali visibili solo nell'agire quotidiano e nelle rappresentazioni degli abitanti, possono interagire unendo ciò che ci si aspetterebbe diviso da un confine e separando ciò che invece si potrebbe presumere omologato e omogeneo all'interno di quel confine. Forse è proprio in quello spazio cangiante fra confini visibili e frontiere nascoste, continuamente attraversabili da chi vuole e ha la possibilità di farlo, che possono nascere nuove costruzioni identitarie, nuove culture ibride, nuove visioni del mondo, nuove idee, nuovi progetti, da parte di coloro che si trovano ad essere contemporaneamente outsider e insider rispetto alla lingua e alla cultura in un dato territorio. Secondo la ricerca da me svolta i progettisti sudtirolesi, appartenenti ai tre gruppi linguistico-culturali italiano, tedesco e ladino (in altre situazioni talvolta fra loro confliggenti, soprattutto quando si tratta di poste in gioco simboliche), sembrerebbero partecipare a un gruppo maggiormente inclusivo che favorisce lo sviluppo di un'identità culturale/professionale

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urbano” e “vivere con la natura”. In altre parole un'architettura “autoctona” o “endogena” preoccupata non solo di “segnare” il territorio, ma anche di migliorare l'ambiente di vita e di lavoro (e non solo per il tempo libero) della comunità in cui gli stessi progettisti vivono e lavorano. In questo senso architettura, ambiente, territorio e paesaggio, diventano ambiti di un unico laboratorio, o tentativo di laboratorio, di un nuovo modo di concepire l'abitare e il costruire. Possiamo pensare che, accanto alle metropoli 6. Alcune riflessioni conclusive: l'architettura, il europee di pianura, alcuni spazi dell'arco alpino, come il territorio della Regione Trentino Alto paesaggio, il territorio, le culture. Adige/Sûdtirol, proprio grazie al loro essere Rispetto alla precedente importante fase plurilingui e pluriculturali, e grazie alla dell'architettura alpina che negli anni 50-60 ha caratterizzato per lo più le Alpi occidentali italiane rielaborazione, peraltro ancora in progress, di un passato conflittuale, di profondi pregiudizi e (gran parte dei protagonisti erano di origine separazioni fra i gruppi linguistico-culturali, stia piemontese o lombarda, con poche eccezioni fra sperimentando, tramite una sua élite culturale cui Gellner e Sottsass23), l'architettura come i progettisti, nuovi modi di concepire il contemporanea dell'area centro-orientale delle rapporto fra le culture nella direzione di una nuova Alpi, presenta alcune interessanti novità. forma di cosmopolitismo? Tutto questo può Fra queste una attiene al rapporto fra i progettisti prospettare nel discorso pubblico e politico nuove e il territorio in cui i progetti vengono realizzati. aperture retoriche e operative anche per altri attori Se nel caso dell'architettura alpina delle Alpi sociali? È certamente troppo presto per dirlo, anche occidentali degli anni '50-'60, i più noti e se alcuni segnali in questa direzione si intravedono. prestigiosi protagonisti (fra cui Mollino, Levi Oggi le questioni che ruotano intorno alla necessità Montalcini, Albini, Cereghini, Muzio, Ponti, di elaborare un modello di sviluppo durevole e Portaluppi) provenivano dalle metropoli della sostenibile pongono le città e le valli alpine, al pari pianura, erano nati in città e in città esercitavano degli altri territori d'Europa, di fronte a scelte la loro professione, ora molto spesso gli attori impegnative, forse ancor più difficili e urgenti, principali dell'innovazione vivono in piccoli considerando la particolare fragilità degli equilibri comuni montani, progettano e costruiscono nei in ambiente montano e il fatto che, proprio per luoghi in cui abitano o a pochi chilometri di distanza, pur avendo conquistato, in parecchi casi, questo motivo, in montagna le interazioni fra uomo l'attenzione degli addetti ai lavori anche in ambito e ambiente sono più dirette e gli errori si pagano velocemente. Anche per questo motivo l'attenzione nazionale e internazionale. Anche per questo e la cura per il territorio e per l'ambiente ha sempre motivo le idee progettuali che questi progettisti fatto parte delle culture tradizionali rurali alpine. mettono su carta riguardano molto più spesso In anni recenti, nelle Alpi, prima che in altri luoghi, abitazioni, scuole, ospedali, municipi, edilizia sono nati politiche e progetti innovativi, per la popolare, residenze per anziani, strutture sperimentazione di programmi e di azioni integrate, industriali o laboratori artigiani, biblioteche e quali quelli nell'ambito dell'abitare e del costruire musei, edifici di culto, rifugi alpini, piuttosto che 24 “ecologico sostenibile”, che cercano di integrare alberghi o seconde case per le vacanze . Inoltre, sviluppo economico e sociale con la responsabilità mentre nel caso dell'architettura di montagna del verso l'ambiente e la cura del paesaggio, coniugando resto del Paese degli ultimi 50 anni, si tratta di tradizione e contemporaneità, nella costruzione di progetti che nascono dalla creatività e dalla una nuova identità culturale, in un percorso che competenza professionale di singoli progettisti, forse può dare qualche indicazione e suggerire nel caso dell'Alto Adige/Südtirol, ma lo stesso si qualche nuova possibile prospettiva anche alle altre potrebbe dire per il Cantone dei Grigioni in ben più ampie e popolate regioni europee. Svizzera e per il Vorarlberg in Austria, non è Nel caso dell'Alto Adige/Süd Tirol e del Trentino difficile riscontrare il substrato di una cultura questo percorso si è svolto all'interno di un progettuale comune, anche senza parlare di una contesto storico e sociale del tutto peculiare e vera e propria “scuola sudtirolese”25 . l'indagare questa particolarità, oltre a Un altro aspetto di novità, che sembra contestualizzare scelte ed errori del passato e del caratterizzare il lavoro di questi progettisti, è la maggiore attenzione al paesaggio e una nuova idea presente, può dar conto anche di come “sostenibilità ambientale”, “economica” e “sociale” di “vivibilità”, che anziché importare fra le montagne modelli abitativi delle grandi città della non possano procedere disgiuntamente e che anzi innovazioni positive in un campo, possono pianura, cerca di coniugare, con l'aiuto della riverberare positivamente negli altri. tecnologia, sostenibilità e benessere, “vivere nuova, dove alla riduzione di pregiudizi e stereotipi, corrisponde il sentirsi parte di un modo di fare architettura alpina innovativo, che trova la sua espressione sia nell'attenzione alla sostenibilità che nella ricerca formale, una modalità che se ancora non si identifica in una “scuola sudtirolese”, si riconosce comunque in un territorio, quello appunto dell'Alto Adige/Südtirol, e in una nuova cultura progettuale che attinge dalle varie culture di appartenenza originaria.

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Dossier: Una ricerca Note 1 Si veda ad esempio l'evoluzione del dibattito, a partire dalla seconda metà dell'800, fino agli anni '70 del '900, di cui dà conto Bätzing, 1991; ed. it. 1995, pp. 88-92 2 Nell'immediato secondo dopoguerra, esclusi i Comuni della Bassa Atesina, già accorpati alla provincia di Trento e aggregati alla provincia di Bolzano solo nel 1948, quasi tutti i Comuni altoatesini, compreso parti del territorio del Comune di Bolzano erano classificati di importanza militare. Nel 1974 l'elenco fu ridotto a 22 comuni in prossimità del confine di Stato. Le servitù militari, che in passato gravavano su molte migliaia di ettari di terreno di proprietà privata, interessano ora solo alcune centinaia di ettari. Cfr. Bonell, L., Winkler I., 2010, pp.240-241. 3 Cole, J. W., Wolf, E. R. 1974, The Hidden Frontier. Ecology and Ethnicity in an Alpine Valley. Academic Press, New York & London; trad. it. 1993, p. 293 4 Si vedano ad es. gli studi di M. Baccichet sugli insediamenti a maso di Mezzomonte nelle proprietà feudali della famiglia dei di Polcenigo sulla montagna pordenonese; cfr. M. Baccichet, 1996, pp. 17-28 e id., 1998, pp. 9-30 5 M. Weber, 1923, trad. it. 2007, pp. 19-25 6 Per una descrizione di alcune fra le più importanti proprietà collettive in Trentino si veda ad es. Minora, F. (a cura di), 2012. 7 Fin dal tardo '800 il tema delle “terre collettive” è stato oggetto di un ampio dibattito nell'ambito della storia del diritto, con riferimento alla evoluzione degli istituti e dei concetti, alle possibili motivazioni della loro esistenza, al loro concreto funzionamento. La discussione trovò buone motivazioni nelle argomentazioni degli studiosi germanofoni, riassumibili nell'asserzione che non si possono considerare gli istituti giuridici come una creazione della volontà più o meno arbitraria del legislatore, poiché gli stessi hanno un retroscena storico, culturale e sociale ed è in questo retroscena che vanno ricercati la loro origine e il loro fondamento. La genesi della proprietà collettiva è a tutt'oggi controversa, così come quella del coevo uso civico. Si veda ad es. l'excursus del dibattito riportato in M. Rinaldi, Le proprietà collettive nella montagna del Veneto, in Il diritto della Regione, n. 1, 2011, www.diritto.regione.veneto.it 8 Bätzing (1991), pp. 91-92 9 L'istituto del maso chiuso, per secoli regolato dalla consuetudine, venne ufficialmente formalizzato dalla Tiroler Landesordnung del 1526 e da “Patenti Imperiali” emanate fra il 1770 e il 1795 e, infine, dalla Legge provinciale tirolese del 12 giugno 1900 nr. 47. Quando lo Stato italiano, con i Regi Decreti 4 novembre 1928 n. 2325 e 28 marzo 1929 n. 499, estese alle “nuove province” la legislazione del Regno d'Italia, abrogando formalmente l'istituto del maso chiuso, nella popolazione sudtirolese prevalse l'attaccamento alle regole tradizionali e pochi si avvalsero della nuova normativa: fino alla reintroduzione nel 1954 solo il 6% dei masi vennero sciolti e altrettanti furono ridimensionati a seguito di divisione. Di minima entità fu anche il contenzioso. Dopo la guerra, già nello Statuto di autonomia del 1948 veniva stabilita la competenza esclusiva della Provincia di Bolzano a legiferare in materia di “ordinamento dei masi chiusi e delle comunità familiari rette da antichi statuti o consuetudini”, creando così i presupposti per una legge provinciale ad hoc. L'iter si concluse con l'approvazione della legge provinciale 29 marzo 1954 n. 1, che riprendeva i principi pre-esistenti nelle norme tirolesi. Nell'ordinamento giuridico italiano l'istituto giuridico del maso chiuso ha assunto uno status particolare e rappresenta una peculiarità dell'Alto Adige/Südtirol. Secondo il censimento 2010 del settore agricoltura, in Alto Adige vi sono circa 13.300 aziende iscritte come maso chiuso, su un totale di circa 20.200 aziende agricole. 10 Secondo il Censimento 2011, in base alle “dichiarazioni di appartenenza o di aggregazione per gruppo linguistico” il gruppo linguistico tedesco rappresenta poco meno del 70%, quello italiano circa il 26 %, quello ladino il 4,5. 11 Cortellazzo, M., Zolli, P., 1985, vol.1, p.5 12 Bauen Wohnen Denken è il titolo di una delle tre conferenze che Heidegger tenne a Darmstadt nell'agosto 1951. Il testo è stato successivamente pubblicato in 13 Heidegger,1954; trad it.1976 13 Cfr. Pianigiani, O., Vocabolario etimologico della lingua italiana, edito per la prima volta nel

1907 da Albrighi & Segati; entrato nel pubblico dominio è ora disponibile online su www.etimo.it 14 Mantovani, G., 1998-2005, p. 66. 15 Nel caso del Conservatorio di musica, pur prevedendo la norma statutaria la garanzia dell'insegnamento nella madre lingua degli allievi, la particolarità delle discipline ha suggerito al legislatore di percorrere una via diversa, temendo che la separazione fra la sezione italiana e quella tedesca potesse ripercuotersi negativamente sulla qualità della didattica. Nel 1998 ha iniziato la propria attività accademica la “Libera Università di Bolzano”. I corsi vengono impartiti in italiano, tedesco e inglese. 16 Cfr. Kaiser, G., Platzer, M., 2006 17 Periodico di cultura progettuale della Fondazione dell'Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti, Conservatori della Provincia Autonoma di Bolzano, a cui contribuiscono continuativamente professionisti di tutti i tre gruppi linguistico-culturale dell'Alto Adige/Südtirol e talvolta anche progettisti trentini 18 Si veda ad esempio l'intervento di A. Langer, La conversione ecologica potrà affermarsi solo se apparirà socialmente desiderabile, nell'edizione 1994 dei Colloqui su “Benessere ecologico” (8-10 settembre); ora in Langer. A., 2011, pp. 177-187 19 Si veda ad es. Carle, L. 1989, sul caso dell'Alta Langa, in Piemonte 20 Cfr Heiss, Hans, Confini reali e confine simbolici. Il Brennero 1918-2010, in Di Michele Andrea, Renzetti, Emanuela, Schneider, Ingo, Clementi, Siglinde, Al confine. Sette luoghi di transito in Tirolo, Alto Adige e Trentino tra storia e antropologia, Raetia, Bolzano, 2012, pp. 95-134 21 “Studi Trentini”, rivista della Società di Studi Trentini di Scienze Storiche, fondata nel 1920, ha rappresentato dal momento della sua nascita e per molti decenni, insieme all'allora “Museo del Risorgimento” di Trento nato nel 1923, il principale luogo di elaborazione culturale della “grande narrazione” italocentrica del Trentino. Al dibattito, aperto dall'editoriale del direttore E. Curzel, Gli studi trentini e le “grandi narrazioni”, su Studi Trentini-Storia, A.90 (2011), n. 1., pp. 5-7 hanno successivamente partecipato V. Carrara, A. di Michele, G. Ferrandi, M. Nequirito, M. Saltori, su Studi Trentini-Storia, A.90 (2011), n. 2, pp. 325-346 nonché M. Bonazza, V. Calì, P. Pombeni, su Studi Trentini-Storia, A.90 (2012), n. 1, pp. 11-29 22 Antonelli, Q., 2008, p.41 23 Cfr. Bolzoni, L., 2000 e 2001 24 Cfr. De Rossi A., Dini, R., 2012 25 Per un repertorio della produzione architettonica contemporanea sudtirolese, con la descrizione di un'ampia gamma di progetti accompagnati da documentazione fotografica e tecnica, si veda Schlorhaufer, B. (a cura di), 2006; Albanese, F. (a cura di), 2012

Riferimenti bibliografici Albanese, F. (a cura di), 2012, 2006-2012 Neue Architektur in Südtirol – Architetture recenti in Alto Adige – New Architecture in South Tirol, SpringerVerlag, Wien-New York Antonelli Q., 2008, I dimenticati della Grande Guerra. La memoria dei combattenti trentini 19141920, Il Margine, Trento Baccichet, M., 1996, Indagine preliminare sull'insediamento storico di Mezzomonte, in La Mont, n. 2, pp. 17-28 Baccichet, M.,1998, I masi di Mezzomonte. Un esemplare caso di sopravvivenza dell'insediamento medievale friulano, in La Mont, n. 3, pp. 9-30 Bassetti S.,1993, Trasformazioni territoriali e legislazione nella Provincia autonoma di BolzanoBozen in Salzano E. (a cura di), Cinquant'anni dalla legge urbanistica italiana, Editori Riuniti, Roma Bätzing W., 1991-2003, Die Alpen. Geschichte und Zukunft einer europäischen Kulturlandschaft, Verlag C.H. Beck oHG, München; ediz. it. 2005 (a cura di Bartaletti, F.), Le Alpi. Una regione unica al centro dell'Europa, Bollati Boringhieri, Torino, Bolzoni, L., 2000, Architettura moderna nelle Alpi italiane dal 1900 alla fine degli anni Cinquanta, Priuli e Verlucca, Pavone Canavese (Ivrea) -Torino Bolzoni, L., 2001, Architettura moderna nelle Alpi

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italiane dagli anni Sessanta alla fine del XX secolo, Priuli&Verlucca, Pavone Canavese (Ivrea) – Torino Bonell, L., Winkler I., 2010, L'autonomia dell'Alto Adige, ed. Autonome Provinz Bozen Südtirol Provincia Autonoma di Bolzano Alto Adige, IX edizione agg., Bolzano Carle, L.,1989, L'identité cachée. Paysans propriétaires dans L'Alta Langa, XVII-XIX siècles, EHESS Paris; trad. it. 1992,L'identità nascosta. Contadini proprietari nell'Alta Langa, XVI-XIX secolo, Dell'Orso, Alessandria Carle, L., 2012, Dinamiche identitarie. Antropologia storica e territori, Firenze University Press, Firenze Cole, J. W., Wolf, E R., 1974, The Hidden Frontier. Ecology and Ethnicity in an Alpine Valley. Academic Press, New York & London, 1974; trad. it. La frontiera nascosta. Ecologia e Etnicità fra Trentino e Sudtirolo, Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina, San Michele a.A. (TN), 1993. Cortellazzo, M., Zolli, P., 1985, Dizionario etimologico della lingua italiana, Zanichelli, Bologna, 5 voll. De Rossi A., Dini, R., 2012, Architettura alpina contemporanea, Priuli e Verlucca, Scarmagno (To) Diamantini, C. (a cura di), 1996, Gli ambienti insediativi del Trentino e dell'Alto Adige, Università di Trento - Dipartimento di ingegneria civile e ambientale, Trento Diamantini, C.,1999, Il progetto di società come progetto di territorio: il modello sudtirolese, in Diamantini, C., Zanon B. (a cura di), Le Alpi. Immagini e percorsi di un territorio in trasformazione, Temi, Trento Diamantini, C., 2013, Percorsi di differenziazione territoriale: a nord di Trento, a sud di Bolzano, in Sentieri Urbani , nuova serie, anno V n. 10, pp. 2025 Heidegger, M., 1954,Voträge und Aufsätze, Günther Neske, Pfullingen,; trad it. 1976, Saggi e discorsi, Mursia, Milano, Heiss, H., 2012, Confini reali e confini simbolici. Il Brennero 1918-2010, in Di Michele A., Renzetti, E., Schneider, I., Clementi, S., Al confine. Sette luoghi di transito in Tirolo, Alto Adige e Trentino tra storia e antropologia, Raetia, Bolzano, pp. 95-134 Kaiser, G., Platzer, M., 2006, a_shau. Österrechische Architektur im 20. und 21. Jahrhundert . Herausgegeben vom Architekturzentrum Wien, Birkhäuser – Verlag für Architektur, Basel-Boston-Berlin Langer, A., 2011, Il viaggiatore leggero. Scritti 1961-1995, (a cura di Rabini E. e Sofri A.), Sellerio editore, Palermo Mantovani, G., 1998-2005, L'elefante invisibile. Alla scoperta delle differenze culturali, Giunti, FirenzeMilano Minora, F. (a cura di), 2012, Terre comuni. Percorsi inediti nelle proprietà collettive del Trentino, edizioni professionaldreamers, Trento Morello, P., 2013, Pianificazione urbanistica e forma del territorio fra Trento e Bolzano. Il caso della Bassa Atesina, in Sentieri Urbani , nuova serie, anno V, n. 10, pp. 35-43 Pasquali, G., et al., 2002, Il “modello sudtirolese”: fattori di successo e di criticità. Ricerca interdisciplinare sul rapporto tra economia ed ecologia in Alto Adige –Südtirol, Accademia europea di Bolzano - Raetia, Bolzano Rinaldi, M., Le proprietà collettive nella montagna del Veneto, in Il diritto della Regione, n. 1, 2011, www.diritto.regione.veneto.it Schlorhaufer, B. (a cura di), 2006, 2000-2006 Neue Architektur in Südtirol – Architetture recenti in Alto Adige – New Architecture in South Tirol, SpringerVerlag, Wien-New York Weber, M., 1923, 1923, Wirtschaftsgeschichte. Abriß der universalen Sozial-und Wirtschaftsgeschichte, trad. it. 2007, Storia Economica, Donzelli, Roma Zanon, B., 1993, Pianificazione territoriale e gestione dell'ambiente in Trentino, Città Studi, Milano Zanon, B., 2005, Territorio, urbanistica, ambiente: l'organizzazione del paesaggio umano, in Leonardi. A., Pombeni, P. (a cura di), Storia del Trentino, VI, L'età contemporanea. Il Novecento, il Mulino, Bologna Zanon, B., 2013, Pianificazione urbanistica e forma del territorio fra Trento e Bolzano. Il caso dell'area trentina, in Sentieri Urbani , nuova serie, anno V n. 10, pp. 29-34



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Il porfido e le pietre del Trentino per uno spazio urbano di qualità

«Da tempi immemorabili, in Trentino, sono stati valorizzati i giacimenti di pietra per produrre materia prima lapidea adatta ad essere trasformata in prodotti finiti. Oggi, il Distretto del Porfido e delle Pietre Trentine ha come scopo la valorizzazione e l'armonizzazione del lavoro di estrazione, trasformazione e commercializzazione della pietra trentina». Mariano Gianotti

Trasformata nei millenni dalle abili mani di artigiani e artisti, la Pietra Trentina ha contribuito non solo a creare un solido comparto dell'economia locale, ma ha anche diffuso in Italia e nel mondo un riconoscibile "stile trentino" nel campo delle pavimentazioni urbane e dei rivestimenti di qualità. La tradizionale sobrietà trentina, che si lega all'immagine semplice e diretta dei manufatti del passato (strade, piazze, monumenti, palazzi, chiese, castelli), trova ora in questa diffusione internazionale nuove opportunità per farsi conoscere e apprezzare. Nel mondo globalizzato del terzo millennio l'antico spirito montanaro trentino, riflesso nelle sue pietre e nei suoi artigiani, è ancora un modello riconoscibile di laboriosità. Il progetto speciale di promozione della Pietra Trentina è si legato alle produzioni attuali, ma è soprattutto volto alla scoperta di nuovi modelli, applicazioni e impieghi. Il concetto di "Made in Trentino" che vale in primo luogo per la pietra e tutti i suoi derivati fa sì che non siano i numeri e la quantità che fanno essere vincenti, ma la qualità, l'originalità e quella formidabile capacità di rapporto fra professionisti, imprese e lavoratori che è tipica della produzione italiana. Il Distretto del Porfido e delle Pietre Trentine e l’Ente Sviluppo Porfido lavorano in sinergia per promuovere l’evoluzione della competitività del sistema produttivo locale attraverso la prestazione di servizi a supporto dei processi innovativi delle imprese operanti nell’ambito provinciale. 74

presidente del Distretto del porfido e delle pietre trentine

«Porfido e pietre trentine abbelliscono luoghi ed edifici pubblici in ogni angolo della Terra: da Piazza San Babila a Milano a San Carlo a Torino, da Wall Street a Melbourne. E particolari lavorazioni, impensabili fino a pochi anni fa, permettono un utilizzo anche in spazi interni o su elementi di arredo e di design». Andrea Angheben direttore dell'Ente sviluppo porfido


A nord di Trento A sud di Bolzano Un anno di attività a cura di Giovanna Ulrici e Luca Paolazzi

Fotografia di Luca Chistè

Si è concluso il primo anno di lavoro del progetto “A nord di Trento a sud di Bolzano” con tappa presso la Biblioteca Comunale di Gardolo (Trento), dove un estratto delle fotografie di : Leonhard Angerer, Luca Chistè, Ivo Corrà, Erich Dapunt, Anna Da Sacco, Hugo Munoz, Francesca Padovan e Paolo Sandri ha animato una riflessione sul senso identitario del paesaggio tra le due città capoluogo, introdotta dal contributo di Vincenzo Calì che ha riportato l'attenzione sul tema cruciale del confine invisibile e troppo spesso rimosso, cui hanno partecipato Alessandro Franceschini, curatore del catalogo, Stefano Albergoni, ideatore del progetto e Giovanna Ulrici per l’INU, responsabile delle iniziative di studio collaterali alle immagini fotografiche. Alcuni dati relativi al primo ciclo del progetto, che ha preso avvio un anno fa, nell'autunno del 2012: - Trento, Interporto / mostra fotografica (15 gg) e Convegno regionale - Bolzano, Galleria Fotoforum / mostra fotografica (7gg) e presentazione del progetto - Termeno, Cantina Tramin / mostra fotografica (7 gg) e Seminario regionale - Mezzocorona, Comunità Rotaliana-Königsberg / mostra fotografica (2 gg) e Conferenza - Gardolo, Biblioteca comunale / mostra fotografica (7 gg) e conclusione del progetto. - Un catalogo di fotografie. - Un numero di Sentieri Urbani dedicato alla pubblicazione degli atti del Convegno di Interporto - Un sito in preparazione dove trovare le fotografie e altri materiali di lavoro (per ora veicolato su www.sentieri-urbani.eu). Un lungo e ampio lavoro, in cui sono state gettate le basi di uno studio finalmente unitario di questo territorio, con alcuni contributi strutturali sotto l'aspetto urbanistico, ambientale e storico, in un primo convegno che ha anche raccolto in simmetria rappresentanti delle due Province di Trento e Bolzano in una tavola rotonda dedicata al paesaggio,

all'agricoltura, all'industria. Il convegno è stata occasione per l'innesco di un processo di avvicinamento e coinvolgimento dei rappresentanti delle Amministrazioni locali: proprio i Presidenti di Comunità e di Comprensorio infatti hanno riconosciuto e fatta propria l'utilità di un confronto diretto sui temi sovra locali (Termeno): alta capacità, corridoi energetici, autostrada del Brennero. Un avvicinamento strategico quindi, ma anche culturale e umano, che ha coinvolto poi nell'appuntamento in Rotaliana molti Sindaci locali e gli Assessori provinciali all'urbanistica ed al paesaggio: entrambi concordi nel sottolineare l'utilità di questo percorso e l'importanza di prefigurare la trasformazione del proprio territorio sulla base delle scelte del presente come criterio definitivamente acquisito nel processo decisionale locale. Ambiente Trentino e Istituto Nazionale di Urbanistica, sezioni Trentino e Alto Adige, con la partecipazione di altri partner - in primis l'Ordine degli Architetti di Trento e la Fondazione dell'Ordine di Bolzano, le Amministrazioni della Comunità di Valle Rotaliana Königsberg e del Comprensorio Oltradige Bassa Atesina - hanno concentrato l'attenzione su questo territorio per guardarlo con occhi nuovi e capire come stiamo trasformando i nostri paesaggi e come siamo da essi trasformati, per riaffermare la peculiarità di questi luoghi testimoni della delicatezza e complessità dell'ambiente alpino, contesto di paesaggi sensibili esito di delicate interazioni tra natura e cultura che attingono a pratiche sociali secolari ma al contempo sono obbligate a mutare sempre più velocemente, spesso sotto la pressione di forze esogene che si muovono lungo i tanti vettori di mobilità nord-sud. Il progetto non si conclude qui: Ambiente Trentino ha avviato, con nuovi partner insieme a Inu, un nuovo ciclo di lavoro, questa volta dedicato al tema dell'agricoltura, che ha già preso avvio e i cui primi risultati verranno presentati a breve.

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Questi sono i miei fiumi Una giornata dedicata a Fulvio Forrer

Fulvio Forrer

Da più di un anno, dopo una lunga malattia, è mancato Fulvio Forrer, urbanista e ambientalista, fondatore e presidente per lunghi anni della Sezione Trentino dell’Inu. Lo scorso 14 settembre abbiamo voluto dedicare a Fulvio una giornata per incontrarsi nei modi e nei luoghi a lui cari, invitando tutti quelli che volessero ricordarlo a Lavis, dove ha abitato per anni e tanto si è speso per la valorizzazione e riappropriazione del torrente Avisio. La giornata ha avuto inizio con un convegno all'Auditorium comunale ed è proseguita con un pranzo al sacco e una camminata guidata da Fabio Marcon, Pierpaolo Botteon e Flavio Taufer lungo le roste del torrente Avisio dove a fine giornata è stata scoperta una targa dedicata a Forrer. L'ideazione e preparazione dell'iniziativa non sarebbe stata possibile per Inu senza l'incoraggiamento e l'aiuto di Claudia Forrer; e si è svolta con il fondamentale supporto – tra i tanti - del Canoa Club Trento e dell'associazione culturale Vivilavis, che si è fatta carico anche dell'accoglienza dei partecipanti. Per tre giorni, fino alla data del convegno, è stata allestita una mostra fotografica: un estratto del lavoro “Acqua ed energia” cui partecipò Fulvio anni addietro, con fotografie di Luca Chistè e Michele Vettorazzi. Abbiamo pensato di dedicare il convegno “Questi sono i miei fiumi” al tema dell'acqua, perché ci sembrava il tema che meglio potesse rappresentare lo spirito della giornata, nel suo scorrere e dare vita. Alla valorizzazione dei corsi d'acqua trentini Fulvio, abile canoista, aveva dedicato molte energie, nella sensibilizzazione culturale delle comunità locali e nella redazione di progetti di riqualificazione che affrontassero i conflitti tra salvaguardia della naturalità e sfruttamento idroelettrico. Nel corso del convegno è emersa con forza l'eredità di questo lavoro nella concretezza dei risultati raggiunti e dei processi ancora in corso, grazie alla partecipazione di ambientalisti e tecnici delle istituzioni, che hanno messo a disposizione le loro esperienze e conoscenze per fare il punto sulla pianificazione dei parchi fluviali e sulla valorizzazione ambientale e paesaggistica dei maggiori corsi d'acqua 76

torrentizi trentini in una logica di rete di tutela. Il convegno, patrocinato da Regione Trentino Alto Adige, Provincia di Trento, Comunità di Valle RotalianaKönigsberg e Comune di Lavis, si è composto di due parti: nella prima sono stati chiamati a testimoniare i rappresentanti di alcune associazioni ambientaliste e di urbanistica nelle quali Fulvio ha militato, a testimoniare il lungo lavoro di decenni nel dare forma ad una nuova cultura di sostenibilità ambientale conquistata, come ha ben messo in luce il prof. Bruno Zanon, attraverso l'irrinunciabile e continuo ricorso ad un confronto interdisciplinare e ad un approccio propositivo e concreto. La conoscenza delle dinamiche ambientali alpine non solo a servizio di chi ci vive e il valore della circolazione di esempi di buone pratiche nella gestione dell'acqua tra le Comunità alpine sono state evidenziate da Francesco Pastorelli e Gigi Casanova quali contributi di Cipra (Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi) cui Fulvio ha preso parte quale delegato Inu. Giorgio Rigo, nel testimoniare del lavoro svolto insieme nel Comitato provinciale per l'ambiente, ha avuto modo di fare emergere la forza e coerenza di un percorso professionale dominato dall'amore per la professione e l'ambiente, e dalla tolleranza nell'ispirare il confronto e il superamento dei conflitti. Peter Morello ha ripercorso la parabola professionale di Forrer, dalle difficoltà per un titolo di studi a lungo non riconosciuto nella professione alla non scontata capacità di rappresentare le due culture Altoatesina e Trentina anche nell'approccio alla pianificazione territoriale, fedele al principio di priorità nella valutazione delle ricadute sociali derivanti da scelte di sviluppo e di trasformazione del territorio. Besana, del Canoa Club Trento, ha presentato l'ultimo libro cui ha contribuito Forrer, pubblicato postumo: 'Sostenibile leggerezza-la navigabilità dei corsi d'acqua del Trentino': uno studio, accompagnato da un rilievo gis, sulle caratteristiche dei maggiori torrenti ai fini della loro navigazione, ma anche uno strumento di osservazione dei loro caratteri naturali e artificiali. La seconda parte della mattinata è stata dedicata ad una disamina sullo stato di avanzamento dei programmi di valorizzazione di alcuni bacini fluviali trentini - Vanoi, Sarca, Avisio - ai quali Forrer ha contribuito in modi diversi, tutti comunque accumunati in particolare nelle fasi di avvio da processi di sensibilizzazione “dal basso” e da progetti paradigmatici da un punto di vista ambientale. Come ha evidenziato Paolo Negri, ad oggi i parchi fluviali trentini indipendentemente dall'avere preso forma quali Enti autonomi sono comunque caratterizzati da una complessità di struttura che definitivamente li distingue dalle più banalizzanti visioni di luoghi di vincolo o di allestimento per il tempo libero. Ad oggi, con l'art. 48 della L.P. 11/2007 i parchi fluviali sono stati ricompresi nell'assetto di tutela ambientale provinciale della rete delle riserve: Claudio Ferrari, responsabile Rete aree protette della PAT, ha presentato i progetti in tal senso operativi, e quelli in corso di definizione. Si tratta di realtà che non


Inu/Trentino Chi siamo, cosa vogliamo, come partecipare avrebbero preso forma senza l'avvio di un diffuso lavoro di partecipazione dal basso delle Comunità locali, e che permette di sperare in una adeguata tutela e valorizzazione di parte degli oltre 150 SIC e 19 ZPS presenti sul territorio. Con il progetto TEN inoltre la Provincia sta lavorando alla costruzione di una rete ecologica provinciale in cui i corsi d'acqua siano vettori fondamentali, ed è stata presentata anche la bozza del progetto di adesione al network mondiale delle Riserve della Biosfera, cui il Trentino si candida per il territorio delle Alpi ledrensi e giudicariesi. Micaela Deriu e Giuliano Trentini hanno presentato il lavoro in corso per la Rete del Basso Sarca, nata nel 2009 per dare forma al Parco fluviale con un progetto strategico articolato, in cui riqualificazione e partecipazione sono i capisaldi e dove non sia possibile prescindere dalla considerazione dell'ecosistema fluviale quale luogo di relazioni con il territorio attraversato e in cui la richiesta di deflusso minimo sia accompagnata da un concetto egualmente importante, di riattivazione delle dinamiche ecologiche fluviali. Mauro Cecco, presidente dell'Ecomuseo del Vanoi, ha raccontato le componenti identitarie e culturali del processo di (ri) appropriazione del fiume da parte delle popolazioni locali, spesso spaventate dai pericoli dell'acqua. Si tratta di un approccio al valore culturale e non solo ambientale del fiume cui Forrer ha molto contribuito. Santuari della Rete dell'Alto Avisio ha poi presentato i processi in corso in Val di Cembra, avviati 10 anni fa, per dare concretezza nel lavorare con più amministrazioni e comitati, nel collaborare e nel riconoscere come la frantumazione amministrativa possa essere risorsa ma a volte ostacolo per questi processi diffusi. (Giovanna Ulrici) Fulvio Forrer (Bolzano, 14.2.1957, Lavis, 15.3.2012). Una sintesi biografica

Bolzanino trapiantato in Trentino (ma originario dell'altopiano di Folgaria), Forrer rappresentava in ogni caratteristica di sé questa doppia identità nell'unità, convinto come era che il tempo presente richieda uno sforzo di dialogo e collaborazione oltre e sopra a qualunque distinguo, a qualunque specificità. Laureato in urbanistica nel 1982 con una tesi sul fattore etnico nella gestione dell'edilizia residenziale pubblica in Sudtirolo, avvia da subito l'attività professionale strettamente connessa al forte impegno ambientalista, occupandosi di Valutazione d'Impatto Ambientale e Valutazione ambientale strategica, mediante la stesura di numerosissimi Studi di impatto ambientale e Programmi di miglioramento Ambientale e paesaggistico Impegnato nell'equipe di lavoro coordinata dal prof. M.Vittorini per la redazione del Piano Regolatore Generale di Trento dell'89, città per la quale si occuperà in più occasioni di questioni urbanistiche settoriali cruciali, relative in particolare alla mobilità alternativa e alle piste cicliabili. Numerosi i Piani Regolatori generali e di settore cui ha lavorato in Trentino e che ha seguito quale progettista ma anche quale commissario ad acta. Membro della Commissione Provinciale per la tutela Paesaggisticoambientale, attivo in commissioni e nella promozione di politiche pianificatorie sostenibili declinate sulle specificità dell'ambiente alpino, membro del Comitato Provinciale per l'Ambiente, Forrer ha lavorato su progetti di riqualificazione di alcuni fra i maggiori bacini fluviali trentini (Brenta, Avisio, Vanoi) e sul lago di S.Giustina. Proprio in Val di Non ha promosso il progetto “Comune alpino verso l'impatto zero”, i cui concreti risultati sono presentati in questi giorni in un convegno internazionale a Malosco. Presidente per molti anni della Sezione Trentino dell'Istituto Nazionale di Urbanistica attraverso la quale ha promosso il dibattito sui temi della città, della mobilità, dello sviluppo sostenibile e della innovazione normativa, anche con la stesura di numerosi testi, la partecipazione a convegni e la promozione di corsi di aggiornamento e formazione. Rappresentante INU in Cipra (Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi) , iscritto all'Associazione Nazionale degli Urbanisti, si è dedicato ad una intensa l'attività pubblicistica, contribuendo alla pubblicazione di alcuni testi (Il verde a Trento, Linee guida per la diffusione delle Agende 21 locali in Trentino, Atlante tematico delle acque, ecc.) e di numerosi articoli su riviste di settore.

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COSA È L’INU? L’Istituto Nazionale di Urbanistica è stato fondato nel 1930 per promuovere gli studi edilizi e urbanistici, diffondendo i princìpi della pianificazione. Lo Statuto, approvato con DPR 21.11.1949, definisce l’Inu come “Ente di diritto pubblico ... di alta cultura e di coordinamento tecnico giuridicamente riconosciuto” (art. 1). L’Inu è organizzato come libera associazione di Enti e persone fisiche, senza fini di lucro. In tale forma l’Istituto persegue con costanza nel tempo i propri scopi statutari, eminentemente culturali e scientifici: la ricerca nei diversi campi di interesse dell’urbanistica, l’aggiornamento continuo e il rinnovamento della cultura e delle tecniche urbanistiche, la diffusione di una cultura sociale sui temi della città, del territorio, dell’ambiente e dei beni culturali. LA SEZIONE “TRENTINO” Dopo molti anni di “affiliazione” alla sezione della Regione Veneto i membri effettivi presenti in Regione hanno costituito, nel 1985, la sezione Trentino-Alto Adige dell’Istituto, inizialmente suddivisa in due “comitati” per poter rispondere meglio alle specificità normative e legislative delle due provincia autonome. Per questo, nel 1993 i due comitati si costituiscono in sezioni autonome provinciali. L’attività della Sezione Trentino si concentra nella promozione di convegni, seminari di studi, corsi di formazione, studi che abbiano come oggetto le trasformazioni del territorio. La sezione è storicamente dotata di un foglio informativo che nel 2008 è diventata rivista riconosciuta dal tribunale: Sentieri Urbani. COME ASSOCIARSI Per associarsi all’Istituto Nazionale di Urbanistica occorre presentare al Presidente della Sezione di competenza (per residenza o luogo di lavoro) una domanda sottoscritta da due Membri effettivi dell’Istituto e accompagnata da un breve curriculum e dalla ricevuta di pagamento della quota associativa per il primo anno. Per contatti e ulteriori informazioni: Segreteria Inu Sezione Trentina (arch. Elisa Coletti, elisa_coletti@alice.it). SU: L’ARCHIVIO È ON-LINE Grazie alla collaborazione di Luca Chistè il sito web della rivista (www.sentieri-urbani.eu) è stato completamente ripensato, contemplando anche una sezione dedicata all’archivio. Tutti i numeri di Sentieri Urbani sono da oggi scaricabili nella versione pdf per permetterne una più ampia diffusione.


Biblioteca dell’ rbanista

RobertaPrampolini, Daniela Rimondi “Friendly landscape. La costruzione sociale del paesaggio”

Federica Larcher (a cura di) “Prendere decisioni sul paesaggio”

Paolo D'Angelo “Filosofia del paesaggio”

Editore Franco Angeli, Milano 2013, 21 euro

Editore Franco Angeli, Milano 2012, 29 euro

Quodlibet Studio, Macerata 2010, 18 euro

Tanto nella Convenzione Europea del Paesaggio quanto all'interno del quadro legislativo italiano le relazioni tra il paesaggio e le attività di partecipazione si collocano in uno spazio di chiara evidenza e indiscutibilità, la cui rilevanza diventa un elemento imprescindibile dal quale partire, per chiunque si occupi di territorio. La significativa apertura in direzione sociale assunta dalla Convenzione Europea del Paesaggio non si riscontra soltanto nei termini definitori del paesaggio ma anche nella messa a punto di politiche del paesaggio che mettono in stretta relazione la dimensione paesaggistica del territorio e la partecipazione della popolazione alla definizione di tali politiche, così come espresso nell'art. 5 c. della Convenzione: "Ogni Parte si impegna a predisporre delle procedure di partecipazione del pubblico, delle autorità locali e regionali e degli altri soggetti interessati alla definizione ed alla realizzazione delle politiche del paesaggio". Tenuto conto della innegabile dimensione soggettiva del paesaggio, occorre dunque che le popolazioni siano necessariamente e sistematicamente coinvolte nei processi decisionali pubblici che le riguardano, in quanto la partecipazione e la condivisione (sociale) in questi processi è intimamente legata alla definizione stessa di paesaggio. Assumendo un punto di vista esclusivamente di ambito sociologico, questo testo nasce da un'avvertita necessità di contribuire ai molteplici studi in tema di paesaggio costituendosi attorno ad una serie di considerazioni che si interrogano specificamente sui legami tra paesaggio e partecipazione, muovendosi all'interno di un quadro legislativo che partendo dalla Convenzione Europea del Paesaggio si esprime attraverso le più recenti esperienze delle leggi Regionali italiane in materia di partecipazione.

Prendere decisioni sul paesaggio significa far dialogare interessi e discipline profondamente differenti fra loro per linguaggi utilizzati, fenomeni studiati e metodi di ricerca. È quindi necessario trovare un terreno per il reciproco confronto, allo scopo di paragonare gli esiti delle rispettive indagini e di giungere a esiti condivisi e il più possibile integrati. Il confronto si è svolto affrontando le complesse interrelazioni tra le diverse dimensioni del paesaggio, in particolare quelle agro-ecologica, storico-territoriale, scenica e urbanistica, alle quali sono state affiancate valutazioni di tipo economico e sociale. Il lavoro sinergico e integrato di studiosi dell'Università degli Studi e del Politecnico di Torino rappresenta un esempio concreto di approccio olistico al paesaggio. Il volume si articola in tre parti. La prima tratta gli aspetti metodologici per il riconoscimento esperto dei valori paesaggistici; la seconda si concentra sull'analisi delle ragioni di trasformazione del paesaggio con particolare riferimento al contesto della società rurale e al coinvolgimento degli stakeholder per la valutazione di scenari futuri; la terza e ultima parte affronta la sintesi interpretativa e progettuale, ovvero prendere decisioni sul paesaggio, proponendo un approccio integrato e critico sia sui metodi sia sui risultati. Ciascuna fase di ricerca è stata applicata al caso studio del paesaggio agrario a prevalenza viticola del Monferrato Astigiano, esempio di particolare interesse per il contesto piemontese e italiano. Il volume intende contribuire a livello scientifico e culturale all'individuazione di strategie per la gestione del paesaggio rurale e, nella dimensione locale, supportare le amministrazioni, sempre più investite della necessità di tener conto degli aspetti paesaggistici in piani e programmi, chiamate ad adeguare i piani urbanistici ai nuovi piani paesaggistici e a valutare la compatibilità degli interventi in aree sottoposte a vincolo.

Paolo D'Angelo riassume in un saggio ben articolato la nascita del concetto di paesaggio, come è evoluto nel tempo e i rischi a cui è sopravvissuto, il più recente quello della diffusione della coscienza e consapevolezza ecologista. Non esiste paesaggio senza intenzione, cioè senza volontà. Non esiste paesaggio senza una riflessione quindi senza una teoria. Paesaggio è natura percepita attraverso la cultura che tiene insieme un intreccio di saperi. In questo caso geografia, architettura, ecologia, ma in particolare estetica, perché di fronte a un paesaggio quella che ci troviamo a vivere non è semplicemente una esperienza di natura conoscitiva (capiamo cos'è) o sensoriale (proviamo qualcosa) ma un'esperienza più complessa nella quale organizziamo immagini, stati d'animo, ricordi, conoscenze, arrivando a giudicare, dando valore o non riconoscendone affatto, ciò che è davanti ai nostri occhi. Il paesaggio non si rileva così in quanto pura arte, come un quadro, al punto che non riuscirei ad ammirare l'intrico di canali di Venezia se non conoscessi le vedute di Canaletto. Oppure pura natura, per cui non potrei ammirare e “riconoscere” la meravigliosa presenza di un uno sperone di roccia se non fossi un geologo capace di descriverne i singoli componenti minerali. Il paesaggio non è nemmeno mero ambiente intesto come territorio da salvaguardare tout court, una risorsa come molte altre. E non è neppure puro sentimento. Oggi, sostiene D'Angelo, a conferma che quella era una semplificazione priva di fondamenti, è presente un fortissimo interesse per il valore estetico della natura che ci permette di guardare al paesaggio come identità estetica di un luogo. Bellezza naturale dunque, sapendo che in queste due parole è contenuta anche la ricchezza della vita, della storia, delle azioni che l'hanno determinata.

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www.mezzolombardoincentro.it

Consorzio Rotaliano Promozione Mezzolombardo

NelCastellodellaTorre sifavivolospiritodiNatale

All’interno delle mura del suggestivo Castello della Torre, la seconda edizione del Mercatino di Natale di Mezzolombardo. Un appuntamento con la tradizione, la musica, i sapori e l’atmosfera magica delle festività natalizie.

Provincia Autonoma di Trento

luo ghi

rcio me stor ici del com provincia di Trento

comune di Mezzolombardo

Per info e prenotazioni hotel www.pianarotaliana.it





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