Annuario 2019 - CAI Morbegno

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ANNUARIO 2019

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SOMMARIO

CAI

ANNUARIO 2019

Club Alpino Italiano Sezione di Morbegno

Via San Marco Tel. e fax 0342 613803 e-mail: info@caimorbegno.org www.caimorbegno.org

ALTAJ

di Andrea De Finis

Redazione:

Alessandro Caligari, Lodovico Mottarella, Marco Poncetta

CON GLI SCI SULLE NEVI ELLENICHE di Maurizio Zambelli

Hanno collaborato: Monica Bacchiega, Alberto Benini, Sara Biasini, davide bonzi, Alessandro Caligari, Giovanni Cerri, Pietro Corti, Andrea De Finis, Alice Gaggi, Cristina Gusmeroli, Riccardo Marchini, Veronica Patetta, Marco Poncetta, Anna Strizzi, Maurizio Zambelli, Cristina Zugnoni

PIERANGELO MARCHETTI "KIMA" di Anna Strizzi

Fotografie: Sara Biasini: 23, 25, 26, 27 Giovanni Cerri: 84, 85, 88, 91, 96, 97, 98, 99 Arch.Alice Gaggi: 35, 36 Cristina Gusmeroli, Monica Bacciega: 20, 21 Riccardo Marchini: 43(sopra),59-59, 61, 62, 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 71, 72, 73 Lodovico Mottarella: I, II, III, IV di copertina, 1, 2, 3, 4, 30, 31, 34, 37, 38, 39, 41, 42, 43, 44, 45, 46, 47, 48, 49, 74-75, 100-101, 103,104 Marco Poncetta: 81, 82, 83, 93, 94, 95 Franco Scotti: 6-7, 8, 9, 10, 11, 12-13, 14, 15, 16-17, 18, 19

LE MIE CORSE IN MONTAGNA di Alice Gaggi

IL SENTIERO CITTÁ ALPINA 2019 di Alessandro Caligari

ALFONSO VINCI E I MONTI DEL MASINO di Alberto Benini

ALPINISMO GIOVANILE di Riccardo Marchini

Progetto grafico e realizzazione: Mottarella Studio Grafico www.mottarella.com

Stampa: Tipografia Bonazzi

ATTIVITÀ Corso di scialpinismo Alpi Marittime Val Grosina Cevedale

Groppera Corno di Grevio Gruppo 2008

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E D I T O R I A L E di Marco Poncetta

Il 2019 è stato un anno importante per la discussione sull’ambiente: i giovani di tutto il mondo si sono mobilitati seguendo la coraggiosa protesta della giovanissima studentessa svedese Greta Thunberg. è stata per tutti un esempio di successo di come il messaggio sulla urgenza del cambiamento possa raggiungere i cuori e le coscienze. L’appuntamento settimanale delle proteste, i cosiddetti “Friday for Future”, lo sciopero globale del 15 marzo, giornata di mobilitazione contro la catastrofe climatica, sono solo alcuni esempi di come è stata richiamata l’attenzione su queste importanti tematiche. Nella battaglia per il clima in prima fila deve stare l’educazione ambientale. Come membri del Club Alpino Italiano è nostro dovere farci portavoce di questo messaggio, soprattutto nel nostro Paese. L’Italia infatti ha una forte matrice montana e forestale: oltre un terzo del territorio è classificato come montano, con notevoli diversità di ordine ambientale, geologico, climatico, sociale, economico e istituzionale. Si tratta di una peculiarità che deve essere conosciuta e gestita in modo adeguato. I cambiamenti climatici in atto si concretizzano in un aumento della temperatura media globale e in una variazione di intensità e frequenza delle precipitazioni. Gli effetti del riscaldamento nelle aree montuose del Pianeta sono evidenti, tra questi ci sono il regresso dei ghiacciai, l’intensificazione dei processi di erosione e conseguenti variazioni negli ecosistemi di alta quota. Questi fenomeni sono responsabili di situazioni di rischio e di pericolosità ambientale, di cui deve essere ben consapevole chi frequenta l’ambiente di alta quota, sia per periodi brevi come alpinisti, turisti ed escursionisti, sia permanentemente come le popolazioni locali, gli agricoltori, gli allevatori. Il nostro Club si impegna da sempre nella diffusione delle conoscenze relative agli aspetti naturali e antropici del territorio, nonché a quelle necessarie per frequentare la montagna in modo responsabile e consapevole. Come frequentatori della montagna è ugualmente importante essere in prima persona esempi virtuosi non solo per l’ambiente e le persone che ci circondano, ma anche per noi stessi. è importante essere consapevoli dei fenomeni di pericolosità e rischio incrementati dai cambiamenti climatici in atto, sia per evitare inutili tragedie sia per preservare il nostro territorio. Piccoli accorgimenti quotidiani possono fare la differenza: limitare l’uso massiccio di veicoli a motore a combustione, non inquinare e cercare, per quanto possibile, di ripulire il territorio dai comportamenti irresponsabili degli altri frequentatori. Il buon escursionista rispetta l’ecosistema, preservando la flora e la fauna locale; gode della montagna mantenendosi sui sentieri tracciati e preservandoli; vive la quotidianità con un occhio sempre attento alla sostenibilità. In montagna come al mare, in fin dei conti, due semplici regole contano: cautela e buon senso. 6 CAI MORBEGNO


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ALT

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AJ

in Mongolia con gli sci

di Andrea De Finis

Per il 2019 Paolo lancia l'idea Mongolia: la destinazione è il parco nazionale Tavan Bogd negli Altaj meridionali, una sorta di Pizzo dei Tre Signori nel cuore dell’Asia che definisce i confini tra, appunto Mongolia, Cina e Russia Siberiana. CAI MORBEGNO 9


La pianificazione della logistica è univocamente vincolata ai voli interni tra la capitale Ulaanbaatar e la cittadina di Ulgyi, capoluogo della regione degli Altaj: due a settimana, solo a partire da primavera, vengono normalmente confermati entro gennaio. Io, di mio, sto cambiando lavoro e mi faccio mettere nero su bianco che ad aprile potrò godere di due settimane di ferie non ancora maturate. Quest’anno però il piano voli tarda a comparire, probabilmente causa dismissione dei vecchi Fokker in servizio fino alla stagione precedente, tanto che sembra quasi saltare il banco; poi finalmente tutto si risolve e ai primi di febbraio si innesca la macchina organizzativa. Il 7 aprile, via Mosca, atterriamo ad Ulaanbaatar: Sonia, Giulia, Paolo, Franz, 10 CAI MORBEGNO

Roger, Emanuele, Valerio, Doc, Mirco ed io. La capitale, eufemisticamente, non mi entusiasma: ospita 1,4 milioni di persone, vale a dire più di un terzo della popolazione mongola, e la sua crescita esponenziale degli ultimi anni pare non essere stata accompagnata da alcuna pianificazione. Le ger, le tipiche tende mongole, definiscono la periferia, mentre la zona centrale appare come un’accozzaglia di tristi vestigia della passata influenza sovietica e di ancor più tristi contaminazioni occidentali, tanto che in una delle piazze principali campeggia un tributo ai Beatles! Il volo, che quasi aveva messo a rischio il viaggio, ci gioca un altro scherzo e viene posticipato di 24 ore; veniamo quindi dirottati a meno di 50 km di distanza dalla capitale, in una

splendida valle violentata da finti campi ger in cui dormiamo con riscaldamento a pavimento dopo aver visitato un tempio buddista al cui ingresso alcuni cartelli ci avvisano della possibile presenza di borseggiatori. Trascorsa la seconda notte ad Ulaanbaatar, finalmente inizia la “nostra Mongolia”. Atterriamo ad Ulgyi, dove ci attendono i nostri supporti locali Erke e il marito Gana, gli autisti factotum e i due UAZ di matrice sovietica, pura essenza meccanica. Un passaggio obbligato al supermercato locale dove, con consenso unanime, stabiliamo il budget destinato agli alcolici considerando tutti i possibili margini di sicurezza e approssimazioni per eccesso, e finalmente siamo pronti per essere inghiottiti dal deserto. Nemmeno tre ore di marcia


però, e saltano tutti i bulloni di una ruota; con aplomb britannico i nostri mongoli, che si erano fatti prendere la mano lanciando al massimo gli UAZ, sono in grado di farci ripartire in poco più di mezzora dandoci una lezione, la prima di tante, sul come “fare di necessità virtù” e questa volta adottando un’ andatura meno energica. Una sosta all’ultimo avamposto di civiltà, Tsengel, villaggio abitato dalla minoranza Kazaka, e quindi musulmana, che popola questa parte di Mongolia. Da ora, privi della copertura telefonica, iniziamo a salire dolcemente il deserto che da roccioso gradualmente si copre di neve di ghiaccio, tanto che per vari tratti la sola possibilità di avanzare è rappresentata dal fiume fattosi pista: qui l’ essenza del nostro viaggio: il viaggio stesso! E’ quasi notte quando

Nella pagina a fianco: sulla morena del ghiacciaio Granje In alto: si sale, sci ai piedi, verso il Peak 3842 m Sopra: carovana verso il campo base Nelle pagine precedenti: all'ingresso del ghiacciaio Potanin

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raggiungiamo la winter cabin messa a disposizione dai pastori locali. L’indomani percorriamo un ultimo breve tratto con gli UAZ e poi il trasbordo di viveri e attrezzature sui cammelli. Segue una giornata di cammino che, a posteriori, spesso dubito di aver vissuto, ma di aver solo sognato: una carovana di cammelli divisa in gruppi di tre o quattro e ciascun gruppo guidato da una cavallo, che risale la valle avanzando sulla superficie gelata del fiume; come cornice la cime che si stagliano nel cielo terso a demarcare Russia e Cina. Il nostro campo, ottimamente allestito dai pastori è costituito da quattro ger: la cucina/refettorio, due per il pernotto e la quarta adibita a doccia, unica senza riscaldamento e ragione principale che ci ha fatto optare per un utilizzo estremamente parsimonioso degli indumenti intimi, cioè… non ci siamo lavati per nove giorni! Le stufette, alimentate con lo sterco secco degli animali che qui han pascolato in estate e con il carbone trasportato dai cammelli, ci permettono di addormentarci con il tepore. Purtroppo le conseguenze del ricorso serale alle scorte alcoliche ci obbligheranno spesso ad abbandonare nella notte sacchi a pelo e tende e a sfidare i -25°C esterni. In tale contesto le aspettative sci-alpinistiche differiscono rispetto ai canoni abituali: non polvere, pendenze e adrenalina, bensì fame di esplorazione, vastità degli spazi e drammaticità degli ambienti. Raggiungiamo due ’cimette’ oltre i 3800 m nel 12 CAI MORBEGNO


mezzo dei ghiacciai Alexander e Granje, su cui probabilmente mai nessuno prima di quel momento aveva messo piede; dalla sommità dello “Snow Leopard“ individuiamo le creste che idealmente definiscono la linea di frontiera con la Cina; varchiamo il confine con la Russia mettendo piede in Siberia meridionale; godiamo delle lente sciate sfruttando le pendenze dei corsi d’acqua che in questo periodo si sono trasformate in docili lingue di ghiaccio. A coronamento di un’ esperienza già unica, la possibilità di aver condiviso scorci di vita mongola. Se infatti 1,4 milioni di mongoli vivono a Ulaanbaatar, buona parte dei restanti due milioni e passa continua a praticare la vita nomade tipica delle tribù dell’ Asia centrale e, uniche tra queste tribù, quelle mongole non hanno conosciuto l’ influenza prima musulmana,

poi russa e sovietica ed oggi occidentale. Imperniate sullo sciamanesimo, la pratica spirituale più antica conosciuta dall’ uomo, conducono un’ esistenza in apparente armonia con uno degli ambienti più estremi al mondo, relegando a quotidianità quella che è avventura per il viziato europeo del terzo millennio. A possibile conferma di una “Mongolia ancestrale” ci sarebbero dei recenti studi di genetica: Gengis Khan, durante le sue scorribande fino in Europa a cavallo del 1200, oltre a dimostrarsi abilissimo stratega e condottiero, fu inarrivabile generosissimo elargitore di seme, tanto che il suo cromosoma è facilmente rintracciabile anche alle nostre coordinate.

Sopra: preparativi al campo base Nella pagina a fianco: sopra, discesa con gli sci lungo il fiume ghiacciato Sotto, verso il colle del Malchin

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Pindo...

Re dell'Epiro di Maurizio Zambelli

22 febbraio 1967 Seconda media inferiore... professoressa di storia. "Oggi parliamo di Pirro, Re dell'Epiro! ...figlio di Eacide, in lotta contro la Macedonia per l'indipendenza, fu attaccato da Lisimaco e perse gran parte dei suoi possedimenti. Affascinato da una politica di potenza, intervenne in aiuto di Taranto contro Roma etc,etc.

Quella che però è passata alla storia è l'espressione "una vittoria di Pirro" che però ha un significato negativo: vuol dire che uno scopo è stato raggiunto pagando un prezzo troppo alto. In sintesi: ad Eraclea si era svolto il primo scontro tra le legioni romane e le truppe epirote. Una battaglia CAI MORBEGNO 15


violenta e sanguinosa conclusa in favore di Pirro non solo per il coraggio dei suoi mercenari, ma soprattutto per l'uso di un'arma "segreta": gli elefanti. I romani erano stati duramente sconfitti, perdendo circa 15.000 uomini. Ma Pirro aveva dovuto contare la morte di ben 13.000 suoi soldati: cos'era successo? Era successo che un elefante ferito aveva cominciato a scorrazzare impazzito tra le truppe epirote, coinvolgendo anche gli altri pachidermi e causando caos e distruzione tra i vincitori. 22 febbraio 2019. Con questi ricordi scolastici di cinquantadue anni fa, ecco che ci imbarchiamo ad Ancona con destinazione Igoumenitsa. I traghetti per la Grecia, in estate affollatissimi, in inverno sono dominio di camionisti di tutti i tipi e dalle più svariate 16 CAI MORBEGNO

destinazioni (Balcani, Asia e nazioni ex URSS) Pochissime auto nella stiva, ma tutti i piani inferiori sono colmi di mezzi pesanti con le targhe più disparate alla cui guida spiccano autisti a dir poco eclettici. Sui ponti passeggeri, praticamente deserti, aleggia un non so che di nostalgicoromantico ricordo forse di altri tempi o forse di altre storie. Le nostre sacche degli sci suscitano subito dubbi e fanno scattare controlli e richiami da parte dell'equipaggio del traghetto in quanto scambiate per contenitori di armi da caccia. Una volta chiarito che non vogliamo vendicare i Romani battuti da Pirro, bensì solo andare a sciare nel Pindo, tutto torna tranquillo. Tranquilla anche la traversata

dell'Adriatico durante la quale mettiamo a punto un minimo di programma per i giorni seguenti. Ruggero, nominato all'unanimità "responsabile della logistica" indica sulle mappe, le possibili gite scialpinistiche da poter effettuare e gli eventuali spostamenti in auto per raggiungere le località di partenza. Si decide di allestire due "punti base" da cui poi salire le cime più invitanti e significative della zona, considerando in questo modo di esplorare più territorio possibile. 23 Febbraio Sbarchiamo a Igoumenitsa, ci dirigiamo verso nordest passando da Giannina (capoluogo dell'Epiro) per poi puntare decisamente a nord


fino a Konitsa che sarà per qualche giorno la nostra base. Konitsa è a 600 mslm e conta circa 6000 abitanti, è sovrastata dal massiccio del Grammos che segna il confine con l'Albania a solo 10 km e dallo Smolikas (2637 m) il gruppo montuoso più alto della Grecia dopo il Monte Olimpo. Il Monte Smolikas rappresenta la cima più elevata della catena montuosa del Pindo che si allunga da sud-est a nord-ovest per circa 180 chilometri in area balcanica comprendendo parte l'Epiro, la Tessaglia e la Repubblica di Macedonia del Nord. Appena scesi dalle auto ci rendiamo subito conto che la temperatura è di parecchi gradi sottozero nonostante la quota relativamente bassa e la latitudine pari a quella del Gargano. Dopo vari tentativi

di accensione del camino in dotazione alla nostra casa, ci rassegniamo ad un più comodo e meno fumoso metodo di riscaldamento. Quello elettrico! Dalle finestre si vedono montagne innevate in tutte le direzioni e la nostra voglia di sciare ci fa dimenticare la temperatura molto bassa, ma le previsioni meteo per il giorno seguente non sono incoraggianti per l'utilizzo degli sci, sopratutto per l'arrivo di forti venti freddi da nord.

Nelle pagine precedenti: al riparo di un enorme pino loricato sotto il Bogdanj Nella pagina a fronte: salendo al Gomara Qui sopra: bosco da fiaba salendo al Bogdanj Nelle pagine successive: magnifica polvere sotto il Bogdani

24 Febbraio Decidiamo quindi di esplorare la valle lungo il corso del fiume Aoos fino al Monastero di Stomiou, arroccato in un punto panoramico eccezionale. La visita a questi monasteri da sempre lascia un non so che di pace interiore, di tranquillità, CAI MORBEGNO 17


e di ammirazione per come sia organizzata e autonoma la vita all'interno delle mura. Nel pomeriggio ci trasferiamo in auto a Papigo e Mikro Papigo, due borghi tutti di case in pietra ai piedi delle pareti strapiombanti del Tymfi, molto simili alle nostre nostre Dolomiti. Caricati di ottimismo e constatato che il vento da nord-est è in calo, decidiamo la destinazione per il primo assaggio di neve greca. 25 Febbraio Località di partenza è Samarina, sulla carta dista solo una cinquantina di chilometri da Konitsa, ma subito dobbiamo fare i conti con la viabilità invernale 18 CAI MORBEGNO

greca. Dopo diversi chilometri su una strada tortuosa che si imbianca sempre di più dopo ogni tornante, nonostante il 4x4 dobbiamo rinunciare alla meta a causa dello stop forzato a pochi km da Samarina. Ritorniamo a valle e, per un percorso più lungo ma meno innevato, la raggiungiamo. La quantità di neve fresca della notte presente sul terreno è davvero tanta, almeno 50 cm e allora? Pronti via! Alternandoci nel battere traccia risaliamo il rado bosco che porta alla cima del Bogdani 2100 m e al limite superiore del bosco, "spelliamo" preparandoci ad una discesa nelle radure del bosco davvero appagante! Nell'unica taverna di Samarina, davanti ad una

birra, pensiamo alla penuria di neve in cui abbiamo lasciato le nostre amate Orobie. 26 Febbraio Viste le fantastiche condizioni della neve, decidiamo di ritornare in zona Samarina puntando alla Cima Gomara 2131 m, anche perché non c'è una nuvola in cielo e sappiamo per certo che il sole ben presto muterà la favorevole situazione della neve e sopratutto farà cadere dagli alberi tutta quella coltre bianca che rende il paesaggio a dir poco fiabesco. Sulla cima ci accoglie un rudere fatiscente e abbandonato, ma sopratutto un panorama a 360° davvero spettacolare. Nonostante la quota modesta, la visuale spazia per decine


di chilometri, non essendovi elevazioni di rilievo nelle vicinanze, e arriva fino al Monte Olimpo verso est e al Tsoukarela verso sud. Cerchiamo di anticipare la discesa il più possibile per non perdere le condizioni della "polvere" constatate durante la salita. Presi dalla euforia e dalla foga delle carvate, ci abbassiamo ben oltre la nostra traccia di salita , ma... per la ri-pellata fuori programma! Comunque ne è valsa sicuramente la pena! 27 Febbraio Dopo aver visto in lontananza il gruppo dello Tsoukarela, decidiamo di trasferire la nostra base a Metsovo

(gemellata con Ballabio, il mio paesello!) prendendo occasione nel tragitto di visitare le gole di Vikos e la bellissima foresta fossile appena sopra il paese di Monodendri. Notevole anche il ponte a tre archi di Plakidas i cui riflessi generano sull'acqua tre cerchi perfetti. Metsovo è ambiziosamente descritta dai greci come la “Cortina Ellenica” in quanto sono presenti 2-3 piccoli impianti di risalita. Ad onor del vero è molto più simile alla nostra Premana sia come conformazione che come disposizione delle abitazioni. Siamo a 1200 mslm e il paesotto conta circa 7000 abitanti. Saputo dai miei documenti

che sono residente a Ballabio, in hotel mi riservano (con Ruggero, il leader della logistica) una sorta di "suite" con un letto matrimoniale a testa e veranda-salottino coperta e riscaldata con vista su tutto il paese. Inutile dire lo stupore degli altri quatto del gruppo! La cucina greca è apprezzata da tutti e in tutte le sue varianti, dall'ouzo come aperitivo, alle carni, verdure, salse e formaggi per poi sconfinare nei dolci. Apprezzata anche la consuetudine nell'Epiro di offrire un bicchierino di tsipouro a qualsiasi ora del giorno e della notte . (tsipouro=grappa bianca 45° minimo) CAI MORBEGNO 19


28 Febbraio Ben nutriti dalla abbondante cena e rifiutando lo Tsipouro alle 7,30 del mattino, partiamo per quella che sarà la gita più bella e appagante di tutta la trasferta. Lo Tsoukarela 2314 mslm è ben visibile da Metsovo e il sole del mattino che lo illumina aumenta la bellezza dei pendii perfettamente sciabili del versante E-NE. Il dislivello e sopratutto lo sviluppo sono di tutto rispetto (anche per un errore di percorso) e dopo pendii sostenuti, avvallamenti, ripidi traversi, eccoci sulla cima. Ancor più che sul Gomara, la visuale verso sud sembra non aver fine e l'impressione è quella di essere almeno 1000 m al di sopra della reale quota della cima. Il sole scalda, il vento è quasi 20 CAI MORBEGNO

nullo e ci concediamo un po di svago. Umberto gioca con il drone mentre Franco filma, Riccardo fotografa ed erudisce il gruppo sulla geologia della zona, Paolo medita, Ruggero consulta le sue mappe e il Garmin ed io... io memorizzo e mi godo il momento veramente bello. Per la discesa, decidiamo di evitare il largo giro della salita e di puntare diretti a valle per ripidi pendii rassicurati dalla qualità della neve ormai tutta trasformata. Arriviamo alle auto che ormai il sole è calato e il freddo comincia ad essere pungente. Adesso sì che accettiamo lo Tsipouro al nostro rientro in Hotel! 1 Marzo Location ed esposizione vincenti non si cambiano...

avrebbe detto Vujadin Boskov, per cui direzione Kakoplevri 2137 mslm. Il dislivello è minore di quello di ieri, ma la qualità della neve e i pendii finali sono altrettanto belli. Per chiudere onorevolmente la trasferta sci alpinistica, ecco che dallo zaino di Riccardo spunta una bella fetta di Storico Ribelle che sparisce in men che si dica! 2 Marzo Caricati in auto bagagli, sci e attrezzature varie dello skiman nonché formaggi tipici, ci dirigiamo a sud verso le Meteore. Nonostante la stagione invernale, siamo in compagnia di parecchie persone che visitano questi monasteri arroccati su falesie di conglomerato strapiombante. Il significato di Meteore è "in mezzo all'aria" dal greco


Nella pagina a fronte: salendo al monte Gomara A fianco sopra: traverso sotto il Tsoukarela Sotto: sosta sotto il Kakopleuri

LE ESCURSIONI 24/02/2019

Moni Stomiou

Sviluppo 11.0 km, dislivello 470 m Tempo totale 4:07 Quota minima 433 m, massima 679 m Partenza da Konitsa, ponte sul fiume Aoos (gita a piedi) 25/02/2019

Bogdani

Sviluppo 7.3 km, dislivello 680 m Tempo totale 3:08 Quota minima 1435 m, massima 2110 m Partenza da Samarina 26/02/2019

Gomara "METÀ", "in mezzo a", e "AER", aria. Oggi sono visitabili sei monasteri (Agios Stefanos, Agia Triada, Gran Meteora, Varlaam, Roussanou e Agios Nikolaos), mentre altri sono stati distrutti. Questi monasteri erano raggiungibili con scale a pioli o con sistemi a carrucola, invece oggi sono agibili tramite scale in muratura o passaggi scavati nella roccia. La visita è molto interessante e necessiterebbe di approfondimenti ulteriori, ma il traghetto da Igoumenitsa ad Ancona partirebbe anche senza di noi, per cui... Imbarco senza problemi di sci o pseudo-armi al seguito, di sicuro se avessimo avuto degli elefanti al guinzaglio come il mitico Pirro, avremmo suscitato qualche dubbio o perplessità!

3 Marzo La tratta di rientro in Italia è ancor meno affollata che quella dell'andata e per la colazione, in vista delle coste pugliesi, sul ponte più alto ci ritroviamo solo noi sci alpinisti e un gruppetto di camionisti italiani al rientro dal Medio Oriente. Come durante tutte le altre esperienze in luoghi "non convenzionali" per lo scialpinismo, emerge una mia convinzione. Lo scialpinismo non è solo una disciplina sportiva fine a se stessa, ma anche uno stile di vita, un viaggiare per il mondo, piu o meno vicino a noi, con la voglia di sciare su nuove montagne ma anche di apprezzare, integrarsi con nuove culture e abitudini, ma sopratutto conoscere, conoscere il piu possibile!

Sviluppo 9.6 km, dislivello 750 m Tempo totale 5:03 Quota minima 1555 m, massima 2135 m Partenza dalla strada tra la stazione sciistica di Vasilitsa e Samarina 28/02/2019

Tsoukarela

Sviluppo 19.7 km, dislivello 1440 m Tempo totale 7:03 Quota minima 1080 m, massima 2317 m Partenza da Antochori (villaggio a SO di Metsovo) 01/03/2019

Kakoplevri

Sviluppo 7.8 km, dislivello 860 m Tempo totale 3:23 Quota minima 1300 m, massima 2140 m Partenza poco prima del villaggio di Milià (venendo da Metsovo)

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di Cristina Gusmeroli e Monica Bacchiega

NORWAY neve, birra e salmone “Å være midt i smørøyet” significa in norvegese trovarsi in una situazione confortevole, letteralmente “essere al centro dell’occhio del burro”, così è stata la nostra esperienza norvegese, unica, inaspettata e da togliere il fiato. L’idea di partenza era quella di organizzare una vacanza scialpinistica tra amici vista fiordi al nord della Norvegia, utilizzando come punto di partenza della nostra avventura artica la città di Tromso, 350 kilometri a nord

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del Circolo polare artico, la più grande città della Norvegia del nord e facile punto di accesso per la penisola di Lyngen, zona da noi prescelta per la sua abbondanza di escursioni scialpinistiche di varia difficoltà. Già nelle ultime fasi di volo prima di atterrare a Tromso il paesaggio che si presentava ai nostri occhi era davvero emozionante: distese imbiancate in contrasto con il blu del mare. Essendo noi in 7 la scelta del furgone si è rivelata particolarmente


azzeccata; spazioso, confortevole e versatile, con gomme chiodate che ci hanno garantito la massima sicurezza nel raggiungere le varie mete lungo le imbiancate strade artiche. Giunti a Tromso nel tardo pomeriggio la prima sfida consisteva nel trovare l’abitazione che avevamo affittato, una graziosa casetta sul fiordo, nel cuore della penisola di Lyngen. La casa era ben oltre le nostre aspettative: situata in un posto incantevole, accogliente e molto particolare con il suo arredamento tipico norvegese old style, logisticamente perfetta per raggiungere facilmente le mete scialpinistiche della zona. Subito la prima sera siamo stati accolti da una bellissima sorpresa che ha lasciato tutti noi senza parole, la magia dell’aurora boreale, uno spettacolo affascinante di luci e colori. Ogni sera ci dedicavamo alla scelta dell’itinerario per il giorno successivo, avvalendoci di guide locali, cartine, blog e siti internet norvegesi per consultare le previsioni nivo meteorologiche. La mattina, dopo un’abbondante colazione, si partiva per l’avventura! Il meteo, dobbiamo ammettere, è stato particolarmente favorevole, cosa non scontata a certe latitudini! Nevischio notturno e sereno al mattino, temperature in linea di massima intorno allo zero e visibilità, quasi sempre ottima, che ci ha permesso di godere di panorami meravigliosi. Le gite che abbiamo scelto erano tutte particolarmente panoramiche con un dislivello dai 1000 ai 1500 m, con itinerari mediamente poco tecnici,

ma spesso caratterizzati dalla presenza di notevole sviluppo visto che, prima della risalita vera e propria, c’erano sempre alcuni kilometri di avvicinamento. Post sciata, nell’unico pub della zona, ci attendevano gamberetti appena pescati e ottima birra locale prodotta nel birrificio più settentrionale del mondo! Prima dell’irrinunciabile sauna, a disposizione nella nostra casa, era d'obbligo una tappa dal pescatore di fiducia. Tommy e la sua famiglia sono

diventati ben presto nostri amici e fornitori di pesce fresco e affumicato, una vera leccornia! Con dei presupposti del genere (amici, ottimo cibo e una fantastica giornata alle spalle) anche le serate casalinghe erano particolarmente piacevoli ricche di racconti, aneddoti e aspettative per la sciata dell’indomani. Con i suoi spazi immensi, le sue ricchezze paesaggistiche, la tranquillità che si respira e il suo fascino artico la Norvegia ci è rimasta nel cuore.

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PATA GONIA 2019 di Sara Biasini

A tre giorni dal rientro a casa mi fermo a pensare a quello che è stato in assoluto il viaggio più incredibile mai fatto prima d'ora. Ho trascorso quarantotto giorni in Patagonia fra Cile e Argentina. Ho scrutato i comportamenti umani di turisti e local e quelli inumani degli alpinisti. Parto da Milano il 5 gennaio con i due Matteo destinazione Londra, Buenos Aires, El Calafate e infine El Chaltén, dove una animata combriccola ci aspetta per la cena, il giorno dopo la nostra partenza. El Chaltén è la capitale del trekking, il punto di partenza delle spedizioni nelle valli del Torre e del Fitz Roy. Un bar Monica fatto a paese per intenderci: zaini enormi, corde, rinvii, biciclette, vento (molto vento!). Abituata alla vita brianzola faccio un po’ fatica ad adattarmi ai ritmi argentini, 24 CAI MORBEGNO

tutto è molto tranquillo, nessuna fretta e nessuna ansia, del resto c’è tempo: le ore di luce vanno dalle 5 del mattino alle 10 di sera. Da Chaltén partono dei meravigliosi trekking dove si possono ammirare da vicino il Fitz Roy e il Cerro Torre. Le camminate sono lunghe ma alla portata di tutti, o meglio, tutti in qualche modo arrivano a destinazione. Ho incontrato persone talmente fuori luogo che quasi spezzavano simpaticamente il romanticismo del posto: chilometri di sentieri con padri e passeggini caricati sulle spalle, giovani con chitarre e fisarmoniche, enormi sacchi a pelo legati a tracolla, eleganti scarponcini e cappotti più adatti ad un pomeriggio di shopping invernale. Fortunatamente la sera tornavo in ostello nella mia comfort zone, in 2mq di container

condiviso con quelli che sarebbero diventati i punti di riferimento della prima metà del mio viaggio: Riki e Dimitri, un fotografo sardo-milanese e un lecchese nervoso. Le giornate, durante la “dura vita patagonica degli alpinisti” (cit. S.Pedeferri), si svolgono in genere in questo modo: colazione con the, dulce de leche, facturas, controllo previsioni meteo, giretti intorno a El Chaltén, controllo previsioni meteo, trave, empanadas, falesia, controllo previsioni meteo, cena, film, letto. Ho girato in lungo e in largo il parco nazionale de Los Glaciares, dal ghiacciaio Perito Moreno al lago del Desierto. È il mio quinto giorno a El Chaltén ed è l’inizio della prima finestra di bel tempo: per gli alpinisti che soggiornano in paese è tempo di preparare gli zaini. Riki e Dimitri mi


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propongono di accompagnarli alle basi delle pareti, accetto entusiasta e con un po’ di ingenuità: era solo un metodo gentile per alleggerire i loro zaini e appesantire il mio. Partiamo con calma dopo un pranzo a base di pasta alla carbonara e la prima parte di avvicinamento in taxi. Iniziamo a camminare con il sole, poi un po’ di pioggia e al primo rifugio nevica: tutto nella norma. Continuiamo fino ad arrivare al campo Piedra Negra alla base del Fitz Roy. È ormai sera, ci godiamo l’ultimo raggio di sole, cena liofilizzata e poi in tre ci addormentiamo nella tenda da due (del resto la mia presenza non era prevista quindi non ho nemmeno diritto di lamentarmi). Aprire la tenda e trovarsi davanti al Fitz Roy forse riesce a superare la gioia delle mattine di primavera valtellinesi quando il cinguettio degli uccelli mi sveglia. Riki e Dimitri sono usciti da ore, intorno a me montagne e tende vuote, sbrigo le faccende domestiche (metto all’aria i sacchi a pelo) e vado al Paso del Cuadrado dove la vista è più ampia che il turista medio definirebbe “aver fatto il Fitz e il Torre in giornata”. Nella seconda notte in tenda sveglio i miei compagni con un semi-ironico-disperato “Voglio tornare a casa”. Il bel tempo in quota era durato solo una giornata, nella notte il vento aveva spostato la nostra tenda che chiudiamo con fatica per poi ritornare in paese. Lascio per qualche giorno il paese per tornare a El Calafate: tre ore di auto in mezzo al deserto, lungo la strada 26 CAI MORBEGNO

solo qualche autostoppista e guanachi. Altre due ore di bus per arrivare al più famoso e turistico ghiacciaio al mondo: il Perito Moreno che si affaccia sul lago Argentino con una superficie di 250 km, lungo 30km e alto 170m. Quello che mi ha stupito di più non è stato l’immensità del ghiaccio con le sue mille guglie, ma i colori che cambiano al susseguirsi delle nuvole e del sole e poi i rumori che riesce a creare con le sue fratture interne. È il 13 gennaio e nel giorno più ghiacciato del mio viaggio, qualche chilometro più in su, nel Campo de Hielo Norte, Luchino e Paolino sono in cima al Cerro Mangiafuoco. Al mio ritorno a El Chalten c’è solo Aaron. Sveglia all’alba per andare alla Laguna Sucia, ha voglia di volare e sale in solitaria il Mojon Rojo per poi decollare dalla cima con il parapendio. Vederlo volare mi incuriosisce, ha parlato per giorni di gare e di voli incredibili, gli propongo un giretto ma le condizioni sono “decisamente troppo grezze”, rimandiamo il mio volo oltreoceano. Avete presente i comportamenti inumani degli alpinisti di cui parlavo prima? Ecco. Parto con Korra Pesce destinazione Campo Noruegos “Tanto cammino tranquillo e facciamo tante pause” aveva detto. Conclusione: 9 ore di cammino con una pausa. Consapevole di non essere in grado di tornare a casa da sola senza perdermi in mezzo a qualche ghiacciaio, resto al campo due notti ed il finale non è più una novità: il vento ci sveglia e siamo costretti a tornare a El Chaltén.

Il 30 gennaio inaspettatamente arriva anche per me il momento di riempire davvero lo zaino con tutto quello che (non) mi ero portata da casa: ramponi di Korra, casco del Luchino, piccozza di Dimitri. Claudio e Giampaolo ripartiranno a giorni e mi propongono di fare una cima insieme a loro nel gruppo del Fitz Roy. È un’offerta irrinunciabile, quando mai mi capiterà di fare una cima in Patagonia insieme a una guida e un fotografo?! Partenza ore


6, 33 km di cammino, 2300m di dislivello, tantissima neve in questa estate Patagonica e tantissimo vento (ovviamente). Cumbre del Mojon Rojo, 2163m. Ritorno a casa a mezzanotte e mezza da chi preoccupato aveva già chiamato il taxi per venirci a recuperare. La stagione a El Chaltén sta per finire e da lì a poco tutti gli italiani sarebbero tornati a casa. Sono da trenta giorni oltreoceano, io e Luchino siamo

all’aeroporto di El Calafate con destinazione Ushuaia, la città più a sud del mondo, capitale della Terra del Fuoco, punto di partenza per le crociere verso l’Antartide. Qui inizia il viaggio vero e proprio, quello pianificato dopo essermi licenziata da un lavoro fisso rinunciando così ad un inverno caldo seduta ad una scrivania comoda. Il nostro viaggio da Ushuaia a Puerto Montt percorrendo il Cile sulla Carretera Austral

per circa 1240km. Ushuaia è la prima città che visitiamo, è un porto nel bel mezzo del nulla, tra il canale di Beagle e i Monti Martial. Il tempo per un paio di trekking su quelle che d’inverno diventano le piste da sci e la visita a migliaia di pinguini per poi ripartire verso nord per Punta Arenas, Puerto Natales e quindi Parco Nazionale Torres del Paine. Il tempo non è dei migliori ma non possiamo rinunciare a vedere da vicino i tre pilastri di CAI MORBEGNO 27


granito più famosi del mondo. Fortunatamente (non grazie alla mia presenza) abbiamo un permesso da alpinisti e possiamo montare la tenda ovunque, evitando i super affollati campeggi del parco. Quando il cielo è limpido il panorama è mozzafiato ma abbiamo solo pochi minuti per ammirare l’alba, nella notte è caduta un po’ di neve e da lì a poco le montagne si sarebbero riavvolte nelle nuvole. C’è chi dice che in Patagonia puoi vivere quattro stagioni in un solo giorno e che le improvvise piogge e raffiche di vento facciano parte dell’iniziazione a questi luoghi. Proseguiamo verso Coyhaique per poi salire verso Chaitén, un piccolo paese grigio cenere devastato una decina di anni fa dall’eruzione di un vulcano addormentato, erano in pochi fino a quel giorno a credere davvero che fosse un vulcano. Da Chaitén riprendiamo uno dei bus che percorrono le infinite tratte tipiche della Patagonia: sette ore di viaggio con i cileni che aspettano tranquilli l'ora dell'arrivo bevendo mate tutto il tempo, solitamente non si muovono senza aver nella borsa almeno due litri di acqua calda per rabboccare la tazza. Traghettiamo verso Hornopiren per poi deviare dalla Carretera verso est, autostop verso Caleta Puelche, bus per Rio Puelo e un ultimo autostop con dei simpatici pescatori (ed enormi pesci annessi come vicini di posto) per arrivare dopo 13 ore di viaggio nella valle del Rio Cochamó, la Yosemite del Cile. Il giorno dopo percorriamo il sentiero che conduce a La Junta, una vallata sovrastata da picchi di granito, mi sembra 28 CAI MORBEGNO

di essere in una Val di Mello ancora selvaggia e conosciuta da pochi. Nelle ultime due settimane ho dormito su un materassino ma (s)fortunatamente questa volta il campeggio è pieno e siamo costretti a dormire in rifugio. Ripartiamo prima dell’alba per salire a vedere il panorama dall’Arco Iris ma nel buio perdiamo in continuazione il sentiero e alla fine rinunciamo a salire in cima alla montagna. Usciamo dalla valle, il tempo di due empanadas e prendiamo l’ennesimo sovraffollato bus lungo il nostro ultimo tratto di strada fino a Puerto Montt. Qui inizia la Carretera Austral, la strada che segue la costa del Pacifico verso sud fino alla fine del Sudamerica (che noi abbiamo seguito in senso opposto) e finisce la strada Panamericana; con soli 25750km potremmo

arrivare direttamente in Alaska ma decidiamo di prenotare una notte in ostello. Ostello che anche il mio compagno di viaggio esploratore non è riuscito a trovare così facilmente: una semplice casa travestita da ostello, con qualche camera in più per ospitare noi, una brasiliana e un messicano. Una cena tutti insieme come una grande famiglia italoamericana, telegiornale e televendite in tv e poi ci salutiamo, il giorno seguente usciremo presto. Ritorniamo in Argentina dopo 8 ore di bus da Puerto Montt a Bariloche, la Svizzera argentina (giusto per ricordarci che fra tre giorni si riparte!). Ci concediamo i lusso di una notte in hotel e il giorno seguente raggiungiamo dopo 4 ore di cammino il rifugio Frey. Nessuna guida racconta la bellezza di questo posto: un piccolo rifugio, le vie d’arrampicata ed un lago


caldo racchiusi da una cornice di guglie granitiche. È il tipico rifugio delle gite scialpinistiche, mi rendo conto solo ora che l’inverno sulle Alpi inizia un po’ a mancarmi. Dormiamo in tenda sotto una luna piena gigantesca e di nuovo sveglia all'alba, ci resta pochissimo tempo ma vogliamo ancora scalare un'ultima volta. Giriamo intorno all’Aguja Frey fino a trovare un versante riparato dal vento e poi iniziamo a salire senza seguire una via precisa fino alla cima dove ci sleghiamo e scendiamo a piedi scivolando come se ai piedi avessimo degli sci e invece solo delle scarpe piene di sabbia. Torniamo di nuovo a Bariloche, ci aspetta un ultimo giorno

per rifare i bagagli, visitare la città, fare decentemente una doccia ed indossare dei vestiti puliti (o almeno i meno sporchi che ci erano rimasti). E poi così, senza quasi rendercene conto arriva davvero il momento di ripartire: Buenos Aires, Madrid, Milano Malpensa. Di nuovo a casa, di nuovo inverno, con un po' più di neve rispetto a quando sono partita. Rifaccio lo zaino, la stagione scialpinistica qui è appena iniziata... quando si riparte? Perchè è andata così, oltre calze rotte e un paio di scarpe ormai inutilizzabili, in Patagonia ci ho lasciato anche un pò di cuore.

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KIMA Pierangelo Marchetti A venticinque anni dalla scomparsa dell'amico Pierangelo vogliamo ricordarlo con le parole della moglie Anna

di Anna Strizzi

DAL GIOCO DEI SASSI AL MESTIERE DI GUIDA Pierangelo iniziò sin da ragazzo, per gioco, ad arrampicare in libertà sui bei massi di granito che abbondano attorno a Filorera. La Val Masino si sa, offre un vasto “parco giochi” ed è una palestra naturale di sassismo e di arrampicata. Col tempo, quel gioco diventò sempre più importante, fino a spingerlo a lasciare gli studi universitari ed effettuare una scelta decisiva per il suo futuro. La vita di città gli stava stretta, e da spirito libero qual era decise di fare della sua passione un lavoro. Quindi si dedicò alla preparazione degli esami previsti per conseguire il titolo di Guida Alpina iniziando così il suo lavoro in montagna ed entrò anche a far parte del Soccorso Alpino. Per lui era scontato mettere a disposizione la propria abilità professionale per 30 CAI MORBEGNO

aiutare chiunque fosse in difficoltà. A questa scelta di vita, non solo professionale ma fondamentalmente morale, rimarrà sempre fedele dedicandosi con coraggio e serietà all’ attività di guida e soccorritore. IL VALORE UMANO Ho conosciuto Pierangelo quando nel 1984, mentre vivevo a Milano, mi sono iscritta ad un corso di una settimana: è stato il mio istruttore di arrampicata. E’ stato per me un grande privilegio conoscere, con la sua guida la montagna in tutti i suoi aspetti ed in particolare la sua valle, che conosceva come le sue tasche. In quegli anni Pierangelo era molto impegnato anche in tante altre attività, alcune delle quali si correlavano col suo lavoro di Guida Alpina: collaborava con il Nucleo Valanghe di Bormio, con alcune associazioni per la difesa del

territorio e la promozione turistica, con le scuole e gli enti che si occupavano dell’educazione dei bambini, con enti privati o pubblici per la diffusione di eventi di alpinismo e arrampicata. Inoltre sviluppava sempre nuovi interessi e progetti da realizzare; ne ricordo alcuni: era entrato a far parte attivamente della vita politica nel Comune di Val Masino; si era iscritto all’associazione apicoltori di Sondrio allevando circa 40 cassette di api; aveva avviato una coltivazione, tra le prime in provincia, del mirtillo gigante con 100 piante; aveva effettuato uno studio di fattibilità e costituito un consorzio per l’allevamento di ovo-caprini. Insomma era una pentola perennemente in ebollizione e talvolta questa sua voglia di fare, di andare, di promuovere, di organizzare, creava in famiglia qualche dissapore.


A CAI MORBEGNO 31


Nella fretta di vita che aveva, non sempre era facile seguirlo in tutti i suoi sogni, anche se erano affascinanti. Aveva molto a cuore la tutela del territorio della Val Masino, e cercava di creare nuove opportunità di lavoro, per evitare l’abbandono della montagna. Una caratteristica della sua personalità era la capacità di aggregare e non di dividere, dote che lo aiutava molto nel raggiungere e realizzare i suoi intenti e nel coinvolgere nei suoi progetti amici e conoscenti. Era un aspetto estremamente positivo del suo carattere, che gli consentiva di superare gli egoismi individuali e di farsi voler bene dalle persone. Era un riferimento sicuro anche per i suoi genitori che hanno sempre dimostrato molta fiducia nei suoi confronti. Era per loro una 32 CAI MORBEGNO

figura fondamentale con cui confrontarsi per qualsiasi decisione. Porto sempre dentro di me il suo senso di umanità e il suo spirito di solidarietà. Ho potuto toccare con mano, negli anni passati assieme, quella forza interiore, quello stimolo così forte che lo portava a lasciare la sua famiglia, a qualsiasi ora del giorno o della notte, per andare a soccorrere chi in quel momento in montagna era in difficoltà ed aveva bisogno di aiuto. Questa forza d'animo l’ho sempre considerata come la capacità di vedere lontano, di andare oltre i propri limiti ed i propri egoismi; e per questo l’ho sempre ammirato. Non è facile, non è da tutti avere questo spirito di solidarietà che contraddistingue tante Guide Alpine o Angeli del Soccorso, come mi piace chiamarli. E’

proprio di persone che più di altre appartengono a una comunità e non solo alla propria famiglia, perché oltre alla sfera privata si sentono moralmente coinvolte da un ideale comune. Pierangelo ha effettuato tantissimi soccorsi, anche molto difficili, dando tutto se stesso pur di salvare l’infortunato. Paradossalmente fu durante un intervento di elisoccorso apparentemente semplice che si ruppe il cavo al quale era assicurato. La sua vita, così, si è fermata a 31 anni. Molti sono stati i riconoscimenti tributati a lui dopo la sua morte, anche a livello nazionale. Tra questi una medaglia d’oro alla memoria, nell’ambito del Premio Internazionale di Solidarietà Alpina di Pinzolo (Tn), un importante riconoscimento a coloro


che si sono dedicati senza risparmiarsi alle attività di soccorso e di aiuto al prossimo. UOMO CORAGGIOSO NON SIGNIFICA UOMO DURO Ricordo Pierangelo come una persona generosa, sensibile, leale, ma anche conviviale e capace di scherzare amichevolmente. Amava la compagnia e sapeva intrattenere gli amici raccontando avventure realmente vissute; talvolta abbelliva le sue storie con particolari fantasiosi per renderle più appetibili. Sapeva anche entrare istintivamente in empatia con chi lo ascoltava, con aneddoti divertenti che lo vedevano protagonista in prima persona. Per intenderci: era capace di sdrammatizzare e anche di ridere di se stesso. Ricordo ancora le serate passate con lui e due amici di Morbegno, Giorgio ed Axel: stare ad ascoltarli era uno spasso unico. Al di là delle risate fatte insieme, tra loro si percepiva un sentimento di forte amicizia, di solidarietà e di stima, dovuto anche al loro comune impegno nel soccorso. KIMA E I BAMBINI Pierangelo aveva un’attenzione particolare per i bambini che, stando con lui, si divertivano ed imparavano a rispettare la montagna. Durante le sue attività didattiche, alla lezione teorica tenuta a scuola o in colonia seguiva l’esperienza pratica. Particolare successo ebbe, oltre ai corsi di arrampicata, l’attività di orientamento con ricerca del tesoro. Si trattava di trovare una tavoletta di cioccolato nascosta nel bosco con l’ausilio della bussola. CAI MORBEGNO 33


Allora non c’era ancora il GPS ! I bambini erano affascinati da questa guida “giocherellona” ed imparavano divertendosi e facendo tante domande. Vederli entusiasmarsi e scorrazzare “liberi” nel bosco, alla ricerca del tesoro, era uno spettacolo bellissimo. Anche Pierangelo si divertiva. In alcuni momenti sembrava anche lui un bambino. L’INTITOLAZIONE DELLA SCUOLA DI CATAEGGIO Ci sono gesti ed esempi che vanno oltre il tempo e vanno preservati per le generazioni future. Il 15 settembre del 2019 il Comune di Val Masino ha intitolato a Pierangelo Marchetti la Scuola Primaria e dell’Infanzia di Cataeggio. Alla cerimonia, oltre ai rappresentanti istituzionali, hanno partecipato i bambini della scuola primaria. Lo hanno fatto in modo attivo, leggendo alcune loro frasi commoventi, come se stessero parlando 34 CAI MORBEGNO

direttamente con Pierangelo. Questa intitolazione è particolarmente significativa proprio perché arriva dalla sua gente, dalla sua valle; quella valle che tanto amava e per la quale tanto si è prodigato. CHI LO HA CONOSCIUTO ED AMATO HA CONTINUATO CON IL “SUO” KIMA Tante sono state le persone che hanno manifestato il loro affetto per Pierangelo dopo la sua scomparsa, e tante le ritrovo ancora oggi. Amici e parenti hanno continuato la loro strada dopo la sua scomparsa… e ciascuno ha portato dentro di sé il suo Kima e l’esempio che ha lasciato. Ciascuno col tempo ha cercato di trasformare il dolore in nuova esperienza di vita per riempire il vuoto lasciato. Ognuno a modo suo, ha continuato a ricordare Pierangelo, realizzando qualcosa che trova ispirazione nel suo ricordo. Tante sono state le iniziative

realizzate in suo nome. C’è chi è entrato nel Soccorso Alpino quasi a voler dare una continuità all’attività di Pierangelo. C'è chi ha fondato l’Associazione Kima che lo ricorda principalmente con una gara ormai famosa, che si svolge lungo lo splendido sentiero Roma. C’è chi ha scalato montagne in suo nome. C’è chi ha scritto su di lui frasi bellissime, poetiche… C’è chi come me... ha abbandonato purtroppo, e forse per forza di cose, il mondo dell’arrampicata, ma conserva sempre nella mente immagini e sensazioni uniche, vissute durante le ascensioni e le camminate fatte insieme a lui nello splendido scenario dei paesaggi di montagna: luci, colori, profumi ed emozioni che si son fissati per sempre nel cuore (albe silenziose, cieli stellati e granito maestoso). Non riesco a dimenticare, in particolare, il canto libero e stonato di una Guida Alpina felice, che mi aspettava pazientemente in sosta. Non potevo sapere che da lì a poco la mia montagna sarebbe stata un’altra: quella di cercare di andare oltre la morte di Pierangelo e di continuare a vivere con le nostre due bambine. Non è stato facile, ma mi sono sentita accompagnata, anche in questa faticosa scalata, dalla sua forte presenza. Tutti noi, ognuno a modo proprio, vogliamo non dimenticarlo mai, e continuare così a raccontare della sua breve ma intensa vita a chi non l’ha conosciuto.


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ALICE GAGGI le mie corse

in montagna di Alice Gaggi

E’ un piacere poter scrivere qualche riga sull’annuario del CAI, per gente che ama e vive la montagna. La montagna è talmente grande, maestosa e presenta la sua bellezza in molteplici forme che credo che non esista un unico modo per viverla, ma anzi infiniti e…beh, vi racconto il mio. Il fatto di essere nata (e poi di vivere) in Valtellina non può che aver aiutato a formarsi la mia passione per la montagna: sin da piccola bastava uscire di casa per trovarsi davanti a scenari naturali davvero belli e ancora oggi, senza fare tanta strada, natura e montagna sono a portata di mano. Trascorrendo parte delle mie vacanze estive nella casetta di montagna di famiglia mi divertivo a correre nei prati, 36 CAI MORBEGNO

a catturare farfalle. I miei genitori sin da piccola mi hanno coinvolto nelle prime camminate in montagna, con pazienza e rispettando i miei ritmi, insegnandomi ad apprezzare la montagna e che quasi sempre ci vuole fatica

e impegno per raggiungere i propri obiettivi. Alle scuole medie ho partecipato ai campionati studenteschi di corsa campestre e da lì ho iniziato ad appassionarmi al podismo. Inizialmente lo vivevo come un momento di stacco dallo studio, gli allenamenti erano pochi e poco specifici. Poi, gradualmente, ho cercato di fare sempre meglio e di conseguenza ho aumentato gli allenamenti, sono passati gli anni e le categorie, le distanze si sono allungate. Ho sempre praticato vari tipi di gare, dalle campestri, alle corse su strada a quelle in montagna. Queste ultime sicuramente hanno un fascino particolare. Vari sono i motivi per cui lo dico: per i percorsi davvero belli e vari, per gli scenari


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spettacolari, per l’atmosfera, per il divertimento e la soddisfazione personale, per i tifosi e anche per il rapporto con le avversarie: solitamente c’è una competizione sana in gara e poi tutti amici quando questa finisce. In questi ultimi anni correre in generale e in montagna in particolare ha avuto una grande diffusione, sono aumentati sia i partecipanti alle competizioni che le gare stesse. Ci sono poi varie tipologie di gare, che si differenziano a seconda di lunghezza e tecnicità del percorso. Di solito io partecipo alle gare con distanze brevi o medie e spesso i percorsi sono veloci e filanti. Esistono gare di sola salita e salita e discesa, queste ultime sono le mie preferite, perché credo di riuscire ad esprimermi al meglio e mi piace la velocità e il gusto di libertà che ti dà correre in discesa. 38 CAI MORBEGNO

Correre in montagna ti permette di capire quanto è dura una salita e di gustarti in picchiata una discesa, ti insegna a fare fatica per conquistare il tuo obbiettivo, ma allo stesso tempo a goderti il viaggio senza pensare esclusivamente alla meta, ti spinge vicino ai tuoi limiti, ma ti ricorda che sei piccolo piccolo di fronte alla grandezza della natura. Una cosa che mi piace particolarmente del correre in montagna è che si attivano tutti i sensi: se gli occhi sono quasi sempre impegnati ad osservare dove metterai i piedi e possono dedicarsi poco ad osservare i panorami mentre sei in moto, gli altri sensi ti offrono tante informazioni. È bellissimo ascoltare i rumori della natura (non corro mai con la musica), dall’acqua che scorre allo scricchiolio delle foglie sotto i piedi, sentire i profumi che cambiano di zona in zona…da

quelli più terrosi e umidi del bosco a quelli meno marcati delle zone aperte. Percepire i sassi, l’erba, la neve sotto i piedi, l’aria fresca, il vento e la pioggia. Sono consapevole che vivere la montagna di corsa ha anche “dei contro”: quello più grande penso sia che ti perdi tante cose che il vivere la montagna in maniera più lenta ti permetterebbe di cogliere. Per ora mi godo qualche passeggiata quando non sono di corsa. La corsa in montagna per ora mi ha permesso di vedere tanti posti che credo non avrei visto altrimenti: dalle pendici del Cerro Bayo in Argentina, alla cima dello Skaala in Norvegia, scoprire le montagne della Turchia, cogliere il legame che alcuni popoli hanno con la montagna come quello Sloveno. Spostarsi per le gare non lascia molto tempo per vedere in maniera approfondita la zona,


ma comunque ti permette di farti un’idea di com’è un posto e poi chissà che non riuscirò a tornarci. Ho avuto la fortuna di condividere queste esperienze con mio marito Giovanni. Condividere con lui questa passione credo sia una fortuna, mi capisce e mi sostiene, a volte riusciamo ad allenarci insieme e a condividere le trasferte. Anche alcune delle mie amicizie più profonde sono nate grazie alla corsa in montagna. Credo che condividere la fatica e alcune di queste esperienze creano dei legami forti, di quelli che non ci vogliono molte parole per capirsi.

Alice Gaggi, chi è? Nata a Sondrio l’8.09.1987, residente a Morbegno Sposata con Giovanni Tacchini e mamma di Fabio. Laurea in Valorizzazione e Tutela dell’Ambiente e del Territorio Montano Risultati Sportivi: Esordio in nazionale: • 2004, memorial Germanetto, incontro internazionale cat. allievi • 2006 mondiali Bursa (Turchia) cat. junior Dal 2010 al 2018 ha vestito la maglia azzurra ai Campionati Mondiali ed Europei di Corsa in Montagna per 17 volte. Dopo la pausa per la maternità dal 2018 al 2019, è ritornata a vestire la casacca azzurra in occasione dei recenti Mondiali disputati in Patagonia (Argentina). Tra i risultati più importanti con la maglia della nazionale: • Campionessa Mondiale nel 2013 a Krynica Zdroj (Polonia) • Argento Europeo nel 2016 ad Arco di Trento (Italia) • Vittoria del circuito di Coppa del Mondo nel 2017 Ha collezionato 10 Titoli Italiani nelle varie specialità della Corsa in Montagna: Classic, Lunghe Distanze e Staffetta. Successi inoltre anche alle classiche internazionali di Corsa in Montagna quali: Trofeo Vanoni, Smarnagora e Montée du Gran Balon. Ottima anche l’attività della corsa su strada con i personali di 33'55" sui 10000 e 1h13'40" in mezza maratona

CAI MORBEGNO 39


SENTIERO

MORBEGNO CITTÀ ALPINA 2019

di Alessandro Caligari

Nel 2019 Morbegno è stata insignita del titolo di Città Alpina dell’anno, dall’omonima associazione. In preparazione a questo evento l'amministrazione comunale aveva convocato diverse associazioni, che a titolo diverso operano sul territorio, perchè promuovessero delle attività per celebrare questo anno particolare, ognuna nel proprio specifico campo d'azione. La sezione del CAI di Morbegno ha deciso di muoversi nel campo dell'escursionismo, promuovendo la realizzazione di un nuovo sentiero. I contenuti della motivazione con cui l’Associazione delle Città Alpine ha inteso conferire a Morbegno l'omonimo riconoscimento sono stati incentrati sul ruolo che la 40 CAI MORBEGNO

città ha assunto nel rapporto con la montagna circostante e con la sua storia di porta d’ingresso della Valtellina, testimoniata dalle importanti architetture religiose e civili. E’ stata inoltre apprezzata l’attività di valorizzazione del territorio comunale e di quello circostante con la promozione dei prodotti locali, di quelli agro-alimentari e delle emergenze artistiche e naturali. Proprio in questa direzione si è posta appunto la realizzazione del nuovo Sentiero Città Alpina 2019, come detto promosso dalla sezione del CAI di Morbegno in collaborazione con il Comune di Morbegno ed il contributo economico del Gal Valtellina, Valle dei Sapori. Si tratta di un sentiero che si prefigge di raggiungere tutte le zone del

comune, passando in tutte le frazioni e mettendone in luce gli elementi più significativi. Attraversando anche i luoghi di produzione dei prodotti eno-gastronomici locali (vigneti terrazzati, castagneti, pascoli ecc) ne sottolinea le peculiarità. Il sentiero è un percorso ad anello che si sviluppa sui due versanti opposti e può essere percorso integralmente, oppure diviso in due “sotto-anelli”, cioè quello orobico e quello retico. La parte orobica può essere coperta integralmente in MTB. Inoltre il tratto tra Morbegno, Arzo e il Pitalone può essere fruito anche da persone disabili con joelette; ha infatti una larghezza che consente un accostamento laterale degli accompagnatori al mezzo e delle pendenze non troppo


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quella verticale e le bacheche ne descrive le principali 1400 Carecc illustrative sono state posate emergenze. 1300 1150 da una ditta incaricata 1200 Alla fine del 2019 il sentiero dall'Amministrazione comunale. risulta quasi ultimato e sarà 1105 2020, Contestualmente è stato 1100 percorribile dal marzo realizzato anche un libretto data di1038chiusura dell'Anno Poira di fuori 985 PoiraAlpino, e dell'inaugurazione 1100 illustrativo che riporta 1060 di Mello Poira 1025 di Civo la cartine del percorso e del tracciato.

120

accentuate. Tra l'altro, per la prima volta in Italia, è stata utilizzata una segnaletica specifica che indica questo particolare modo di percorrere il tracciato. Il percorso parte dalla stazione ferroviaria di Morbegno e si addentra nel centro di Morbegno fino ad imboccare l'antica via Priula, che si segue fino al bel sagrato della chiesa di Valle. Da qui si prende un altro sentiero che sale all'area di sosta del Pitalone, punto più alto del sentiero. Si comincia a scendere fino ad Arzo, poi le selve di Ortesida e Gropp e quindi si raggiunge il fondovalle, nei pressi del santuario dell'Assunta. A questo punto si cambia versante, raggiungendo il lungo Adda e da qui la frazione di Paniga. Si sale allora a Desco e qui si prende il tracciato che sale sulla singolare emergenza montuosa della Colmen. Arrivati sulla sommità, punto più alto del versante retico, si percorre tutto il piano della cima e si ridiscende dall'opposto versante Ovest. Raggiunto l'abitato di Dazio ci si sposta fino a Cerido, col suo caratteristico monumentale torchio a leva. Si continua a scendere incontrando prima il nucleo di Cermeledo e quindi l'abitato di Campovico, arrivando nuovamente nel fondovalle. Ci si inoltra quindi nel Parco della Bosca e si riattraversa il fiume Adda attraverso il ponte di Ganda. Da qui si segue per un breve tratto il lungo Adda e poi si punta nuovamente alla stazione ferroviaria. La segnaletica orizzontale è stata interamente realizzata da volontari del CAI, mentre

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LO SCIALPINISMO NEI COMPRENSORI SCIISTICI di Riccardo Marchini

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Domenica 19 gennaio i Carabinieri della stazione di Morbegno, coadiuvati dai militari sciatori della stazione di Chiesa in Valmalenco, sono intervenuti nel comprensorio sciistico di Pescegallo in Valgerola per verificare il rispetto delle norme vigenti in fatto di frequentazione dell’ambiente innevato. Hanno controllato decine di appassionati del fuori pista, tutti – ed è una notizia positiva – equipaggiati con la regolamentare attrezzatura

di autosoccorso, vale a dire artva, sonda e pala. Una quindicina di loro, però, sono stati sanzionati per la violazione dell’Art. 14 della legge regionale 26/2014, perché, risalendo con le pelli foca le piste battute destinate allo sci alpino, interferivano con i fruitori degli impianti di risalita, creando possibili situazioni di pericolo. La domanda che in molti si sono posti è se ci sia stata da parte dei tutori dell’ordine inopportunità


o eccessiva severità. Al di là dell’arrabbiatura per la contravvenzione salata, la risposta non può che essere una sola. L’intervento è stato giusto sia nella forma (il rispetto di una legge) sia nella sostanza (l’incolumità delle persone). Anche se un po’ di tolleranza non avrebbe guastato. Meglio prevenire che punire. L’episodio induce però a fare qualche riflessione. Il comprensorio di Pescegallo, come altre località in provincia, è sempre più spesso preso d’assalto da appassionati di sci alpinismo non solo durante i week end, quando le presenze raggiungono picchi elevati, ma anche lungo il corso della settimana. Le motivazioni possono essere numerose e varie: le condizioni meteo non favorevoli, un manto nevoso altrove pericoloso, la mancanza di tempo. Tutte con un denominare comune, la possibilità di fare attività in un ambiente facilmente raggiungibile e sicuro. Lo sci alpinismo, inoltre, è diventato una disciplina sportiva agonistica che richiede a chi la pratica frequenti allenamenti da svolgere ovviamente in completa sicurezza. Certo però che il problema, qui come altrove, esiste e si dovrebbe fare uno sforzo di buona volontà per trovare una soluzione. Nello specifico di Pescegallo, fermo restando che la stradina che raggiunge il Pianone non è una pista ma un tracciato di servizio, quindi percorribile senza incorrere in sanzioni, rimane la criticità delle interferenze con le piste battute, la Rocca e la Scala. La richiesta che ci sentiamo di rivolgere ai gestori del

comprensorio è di eliminare i punti di conflitto (non sono molti e sono facilmente risolvibili) in modo che la convivenza fra sci alpinisti (ma anche ciaspolatori), e utenti degli impianti sia possibile. In alcune località (Valmalenco,

Aprica) il problema è stato affrontato e risolto, mentre in altre stanno partendo delle petizioni, perché siano predisposti percorsi alternativi per sci alpinisti, a fronte magari del pagamento di un pedaggio. Anche questa potrebbe essere una soluzione.

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ALFONSO

VINCI

E IL SUO MASINO-BREGAGLIA di Alberto Benini e Pietro Corti

Possiamo dire con una certa tranquillità che l’epoca delle alte difficoltà, sui monti del Masino-Bregaglia, ebbe inizio nel 1935 sul versante svizzero con le ascensioni della cresta nord-nord-ovest del Pizzo Gemello Nord Ovest (Frei e Weiss) e del versante nord del Pizzo Trubinasca (Burgasser e Uibrig) cui aveva fatto da anteprima l’ascesa della parete nord-ovest della Sciora di Dentro (Burgasser, Leiss, Noë) ad opera dunque di scalatori provenienti da oltralpe, Ma fu il 1937 il grande anno che vide risolte le due grandi pareti settentrionali (nordest e nord-ovest) del Pizzo Badile, il pilastro del Cengalo, e il realizzarsi del dittico firmato sul versante Masino dal lecchese Mario “Boga” Dell’Oro alla Punta Allievi e

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al Monte di Zocca. Proprio alla fine di questo primo periodo di grandi imprese (nel 1938) prese la penna un poco più che ventenne Alfonso Vinci (era nato nel 1915), promettente scalatore nativo della Valtellina con l’intento di dar conto delle nuove imprese di sesto grado nel gruppo del Masino-Bregaglia. Presto

trasferitosi a Como dove aveva frequentato il liceo, Vinci aveva già al suo attivo una via nuova sul Castello delle Nevere (1936) nel Gruppo del Civetta e stava corteggiando, in collaborazione-concorrenza con lecchesi e comaschi, la parete nord del Pizzo Ligoncio. Sappiamo anche, da sue tarde dichiarazioni, che Mario Molteni aveva tentato di coinvolgerlo nei tentativi di prima ascensione della parete nord-est del Badile, conclusasi, come è ben noto, in modo tragico per Molteni e il suo compagno Giuseppe Valsecchi. L’antecedente necessario al lavoro che di seguito presentiamo era il volume della collana Guida dei Monti d’Italia (CAI-TCI) dedicato al Masino Bregaglia Disgrazia, scritto da Aldo Bonacossa (1885-1975) e


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uscito nel 1936 che registrava come ultime novità le tre vie che abbiamo menzionato per prime e la via di Molteni (1935) sulla parete sud del Badile, ben assolvendo così al suo compito di censire il già fatto e in tal modo di aprire la strada al nuovo. Si dovranno attendere gli anni ’70 per la nuova edizione in due volumi redatta di fatto da Giovanni Rossi, anche lei destinata a raccogliere i primi vagiti del nuovo, senza però poterne immaginare le dirompenti conseguenze. Ma questa è una storia che merita un discorso a parte che ci riserviamo di svolgere in altra occasione. Vinci nel suo articolo dedicato ai Monti del Masino (pubblicato su ”Le Alpi - Rivista Mensile” del Centro Alpinistico Italiano, 1938 (XVI) Roma giugnoluglio vol. LVII, n° 8-9 pp. 421-427, nel seguito “RM”) in sostanza censisce il nuovo nell’ambito del VI grado, lo 48 CAI MORBEGNO

descrive, lo valuta in un’ottica sportiva, ne mette in luce gli aspetti tecnicamente più rilevanti. Peccato alla sua rassegna sfugga la salita del Pilastro nord-ovest del Cengalo realizzata da Gaiser e Lehman, evitando di misura, con la loro velocissima ascensione, la sequela di temporali che avevano abbattuto Molteni e Valsecchi impegnati con Cassin, Esposito e Ratti sulla contigua parete del Badile. Per la cronaca, salvo errori, la notizia ufficiale di questa ascensione (che evidentemente non era nota a Vinci) verrà fornita, corsivamente, al pubblico italiano in una lunga recensione all’annata 1938 del periodico “Bergsteiger” (un vero volume: 764 pagine di testo e 260 di notizie, corredato da 49 foto e parecchi schizzi!) redatta da Carlo Sarteschi (RM 1939-1940, pp. 492-495): “Di Fred Gaiser (vittima di un infortunio

automobilistico) è una bella relazione della scalata allo spigolo della Sciora di Fuori […] mentre il suo compagno di scalata Lehman descrive la salita dello spigolo nord-ovest del Cengalo” (p. 494)”. La funzione di trait d’union fra Bonacossa e Vinci la svolse in qualche modo un altro comasco: Luigi Binaghi (18901978) illustratore della guida di Bonacossa e di quella ancor più recente dedicata alle Grigne da Silvio Saglio, che aveva visto la luce nel 1937, che arricchì con i suoi splendidi ed efficaci schizzi l’articolo di Vinci. Veniamo finalmente, dopo queste informazioni preliminari, all’articolo dal suggestivo titolo di Monti del Masino, regno del granito. La prima impressione che se ne ricava è legata al tono, connotato da una sicurezza di giudizio palese fin dalla parte descrittiva che si dipana prendendo le mosse dal quinto


paragrafo di p. 421 (“Del più puro granito”). Il tono mantiene qualcosa del lirismo dei paragrafi precedenti (“è una fuga… per giungere più in alto” e subito dopo “fiabesca cattedrale del Badile” ) ma gli aspetti tecnici vengono definendosi nel confronto con “le montagne calcaree” per precisarsi meglio a partire dal sesto paragrafo (“La continua verticalità”) dove il confronto con la dolomia (all’epoca la vera terra del progresso tecnico, non scordiamolo), prima soltanto accennato, si sviluppa in tutta la sua completezza, mettendo in campo anche gli interessi geologici dell’autore che lo porteranno qualche anno più tardi ad aggiungere alla laurea il filosofia appunto quella in

geologia, viatico poi alla sua vita errabonda. Il richiamo (da noi già sottolineato in altra occasione) a non farsi fuorviare dai valori che Vinci definisce “extra sportivi” (altitudine, difficoltà di accessi) serve a introdurre il cuore tecnico della trattazione, dove viene sottolineata la necessità assoluta di muoversi in artificiale (che Vinci peraltro smentirà pochi anni dopo, nel 1939, in gran parte col suo capolavoro sulla cresta sud occidentale del Cengalo) dove la parete diventa verticale, osservando di passata (poco prima) che “Così avviene che molte fughe di piodesse inclinatissime che, a prima vista, offrono difficoltà da capre, all’atto pratico divengono difficilissime e

Nelle pagine precedenti: a sinistra, in arrampicata sullo spigolo Vinci al Cengalo, a destra lo stesso spunta dalle nebbie. Nella pagina a fronte: sul Ferro da Stiro alla cresta nord-nordovest dei Gemelli Qui sotto: la Val Bondasca con da sinistra il Pizzo Cengalo, il Pizzo Badile e il Pizzo Trubinasca

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A fianco: in arrampicata sulla via Molteni al Badile Nella pagina a fianco: sopra, la Val di Zocca con a sinistra la Cima di Zocca e a destra la Punta Allievi Sotto: lo spigolo Vinci al Cengalo

talvolta impossibili”. Inevitabile a questo punto “lo sfruttamento fino all’impossibile delle risorse artificiali” con quanto ne consegue in termini di fatica fisica (“il lavoro di chiodatura diventa esasperante, durissimo, interminabile”) e psicologica “poiché così poco ci si vede progredire di fronte all’immensità della parete” pur sapendo che “al di sopra attendono enigmatici centinaia e centinaia di metri di ostacoli”. Molto interessanti, per contrasto, risultano le righe seguenti, dedicate all’arrampicata libera: “Quando qualche rara struttura permette una arrampicata estremamente difficile , ma che sia vera e naturale, allora essa non presenta che le solite conosciute e talvolta esagerate differenze: appigli lontani e scarsi: loro conformazione tendente all’arrotondamento, o piuttosto pianeggiante, dove occorre lavorare di palmo per poter sostenersi. Struttura a grande disegno, quindi arrampicata più atletica, elegante ma più faticosa, e sebbene meno delicata, molto più precisa e misurata che quella in dolomia” Inutile sottolineare qui l’ambiguità del discorso sulle massime difficoltà indotto dalla definizione della scala di Welzenbach (introdotta nel 1926) che parlava di 50 CAI MORBEGNO

VI grado come difficoltà estrema , senza specificare se superata con o senza il ricorso al chiodo di progressione, impiegata per primo su granito da Bonacossa: “Una scala dei gradi di difficoltà non è stata ancora applicata ad una guida descrivente monti non dolomitici o calcari ; in quella delle Alpi Marattime (1934) se ne è fatto un primo timido esperimento, che qui si sviluppa e si precisa”. Ma anche questo potrà essere argomento per future e più approfondite riflessioni. Chiudiamo ritornando a Vinci, onorato fra l’altro, unico alpinista “valtellinese” in uno dei “totem” del recente museo di Castel Masegra, fra Carlo Mauri e Walter Bonatti. Vale qui, per lui come per

mille altri, il detto banale quanto inoppugnabile “la storia non si fa coi se”, ma ci si può immaginare, se vicende di portata mondiale, non gli avessero precluso la strada del Monte Bianco cosa avrebbe potuto realizzare su di un terreno del genere, lui padrone di tutte le tecniche insegnate dai maestri lecchesi, ma padrone anche di una cultura alla quale mai i suoi maestri avrebbero potuto attingere. Lui che proprio su queste montagne segnerà, l’11 luglio del 1938, troppo tardi per inserirla nell’articolo evidentemente già consegnato alla redazione, la via sulla ovest-nord-ovest del Pizzo Ligoncio e il 16 agosto del 1939 la splendida via sulla Punta Angela, anticima meridionale


del Cengalo. Chi, non scoraggiato dalle righe cui qui poniamo fine, proseguirà la lettura dalle pagine di Vinci, compirà un viaggio in quegli incredibili anni, accompagnato oltre che dal suo stile lucido e brillante, neanche un poco spuntato dalla patina degli anni, da una schiettezza di giudizio (si veda quello su Molteni e Valsecchi di p. 422 o quello di p.423 sui Gemelli) che oggi è venuta completamente a mancare, talché personaggi che un tempo non avrebbero osato presentarsi in pubblico, pena un ludibrio incancellabile, oggi imperversano sereni in un mondo alpinistico che, nel mondo della informazione globale, fatica sempre più a scevrare il grano dal loglio. CAI MORBEGNO 51


articolo ’ l l e d a c nastati a a i p o C blicato b u p , i c nso Vin di Alfo Rivista i p l A su ”Le o l Centr e d ” e 8 Mensil no, 193 a i l a t I tico Alpinis glio gno-lu u i g a om (XVI) R 21-427 4 . p p 9 II, n° 8vol. LV

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SPECIALEALPINISMOGIOVANILE di Riccardo Marchini

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ALPINISMO GIOVANILE L’alpinismo giovanile del Club Alpino Italiano e il suo progetto educativo

In seguito ai recenti cambiamenti relativi all’assetto delle regole che, per il Club Alpino Italiano, stanno alla base dell’attività in montagna con i giovani, mi pare doveroso spiegare qual è la realtà operativa di questo settore del CAI che, a livello provinciale fa rete con le sezioni Valtellinese e di Valmalenco e la sotto-sezione di Ponte in Valtellina, nell’ambito della Scuola di Alpinismo Giovanile “Luigi Bombardieri - Nicola Martelli”.

Il Club Alpino Italiano, fra i suoi molteplici settori di intervento, dedica molta attenzione alla condizione dei giovani e alla loro frequentazione della montagna. Il progetto a loro rivolto, per il quale fu scelto il nome di “Alpinismo Giovanile”, partì ufficialmente nel 1984 anche se negli anni precedenti erano già state fatte esperienze in questa direzione, esperienze che tra l’altro avevano visto la presenza attiva anche del CAI Morbegno, con l’istituzione

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di un suo “Gruppo Giovanile”, operativo dal 1976 al 1979 e l’organizzazione, nel 1978, di un Raduno intersezionale in Valtartano. Quattro anni più tardi, il 23 aprile 1988, fu approvato da parte degli organismi centrali ed entrò in vigore il Progetto Educativo al quale si devono attenere tutte le sezioni se vogliono che il loro “far montagna” con i giovani si possa fregiare della denominazione “Alpinismo Giovanile”. Questo importante documento è stato rivisitato di

recente, ma mantiene intatto il suo impianto originario che, sintetizzato in poche parole, si propone di far conoscere e di far piacere la montagna ai giovani avendo come priorità assoluta la loro crescita culturale, umana e sociale. Qui di seguito propongo il testo integrale del Progetto Educativo così come è scaturito dal Congresso nazionale di Alpinismo Giovanile tenutosi a Dolcè (Vr) il 19 e 20 ottobre 2019, riservandomi di integrarne il contenuto con alcune annotazioni.


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L’Alpinismo Giovanile ha lo scopo di aiutare il Giovane nella propria crescita umana, fisica, psicologica e sociale, proponendogli l’ambiente montano per vivere esperienze di formazione, insieme ad altri ragazzi e agli Accompagnatori. IL GIOVANE Il Giovane è il protagonista dell’attività di Alpinismo Giovanile, quindi la proposta dell’Alpinismo Giovanile è pensata e progettata tenendo conto dei suoi bisogni e della finalità educativa dell’Alpinismo Giovanile del Club Alpino Italiano. L’ACCOMPAGNATORE L’Accompagnatore, attore consapevole del processo educativo, è lo strumento tramite il quale si realizza il Progetto Educativo dell’Alpinismo 64 CAI MORBEGNO

Giovanile, attraverso la proposta di stimoli capaci di coinvolgere il Giovane. IL GRUPPO Il Gruppo, come nucleo sociale, per mezzo delle dinamiche che si sviluppano al suo interno, offre al Giovane di fare esperienze relazionali e di crescita. Diviene spazio privilegiato in cui il Giovane può costruire relazioni umane autentiche. LE ATTIVITA’ Le attività con cui si realizzano questi intendimenti sono incentrate sulla frequentazione dell’ambiente montano e sulla pratica delle relative discipline nel rispetto dei valori del CAI e sono finalizzate verso obbiettivi didattici programmati. IL METODO Il metodo di intervento si basa

sull’attivazione del Giovane, coinvolgendolo in attività interessanti, varie e divertenti che gli permettano di “imparare facendo”. L’UNIFORMITA’ L’uniformità operativa di chi svolge attività nell’ambito dell’Alpinismo Giovanile è presupposto indispensabile perché si possa realizzare e riconoscere il Progetto Educativo del Club Alpino Italiano. Quanto sopra ci fa capire che il Progetto Educativo è una sorta di manifesto, il Manifesto dell’Alpinismo Giovanile, il cui scopo è educare il Giovane alla cultura e alla corretta frequentazione della montagna attraverso la scoperta, l’avventura, l’emozione e la solidarietà, dando nel contempo concretezza al


termine “alpinismo” che è la ragione principale per la quale un giovane aderisce alla proposta dell’AG. E’ però necessario corredare il documento, volutamente sintetico nella sua stesura, con alcune integrazioni che lo approfondiscono e lo completano. Fermo restando che il Giovane è il destinatario e il protagonista di tutta l’azione del Progetto e che tale azione non può prescindere da una dimensione educativa, mi soffermo sulle voci successive. Per poter conseguire gli scopi previsti, il CAI deve formare il proprio personale e lo fa rivolgendosi ai Soci che, a titolo volontario, si rendono disponibili a seguire appositi corsi, diversificati su tre livelli, al termine dei quali conseguono la qualifica

o il titolo di Accompagnatori di AG. Accompagnatori, non istruttori, perché devono accompagnare i giovani nella loro crescita umana attraverso l’esperienza della montagna, aiutandoli a camminare con le proprie gambe, a pensare con la propria testa, ad assumersi responsabilità, a saper convivere con gli altri, ciascuno nella propria unicità e originalità. Accompagnatori che si propongano come modello positivo, che sappiano ascoltare e coinvolgere. Che possiedano attitudini organizzative, educative e didattiche, una buona cultura generale e capacità alpinistiche quanto bastano per garantire la sicurezza dei giovani che vengono loro affidati. Che vincano la tentazione di riprodurre ciò che viene fatto a scuola tutti i giorni della settimana ed evitino di imitare ciò che fanno gli istruttori di alpinismo e di sci alpinismo, perché lo scopo non è quello di allevare piccoli alpinisti. E’ in questo senso che l’Accompagnatore è lo strumento attraverso il quale realizzare il Progetto Educativo. Affinché l’azione educativa sia pratica virtuosa, Giovani e Accompagnatori devono poi riuscire a costituire un nucleo sociale coeso e affiatato, il Gruppo, nel quale diventi automatico lo schema ciclico: Comunicazione, Motivazione, Collaborazione, Fiducia. Con quali attività viene data concretezza al Progetto Educativo? Essenzialmente con l’escursionismo di montagna fino ai livelli EEA (Escursionisti Esperti con Attrezzatura di auto assicurazione) ed EAI (Escursionisti in Ambiente

Innevato), integrati con gli elementi base delle discipline specialistiche: i sentieri attrezzati e le ferrate (difficoltà F e PD), l’arrampicata in falesia (monotiri fino alle difficoltà 4A e 4B), lo sci alpinismo (con dislivelli moderati fino alla difficoltà MS), l’ambiente ipogeo e il ciclo-escursionismo. Richiesta in queste ultime attività è la collaborazione sinergica con gli Istruttori di specialità degli altri settori del CAI. Con quale metodo si vuole realizzare il Progetto Educativo? Il più possibile con quello dell’”imparare facendo”, con attività contestualizzate nell’ambiente, che coinvolgano il Giovane nella scelta, nella preparazione e nella conduzione delle attività, con tanto gioco per i più piccoli e tanta pratica per i più grandi, avendo come obbiettivo la valorizzazione delle peculiarità di tutti. Infine, dal momento che Il CAI è un ente riconosciuto dallo stato, questo insieme di regole e di comportamenti deve essere fatto proprio da tutte le sezioni, da nord a sud e da est a ovest, per ottenere uniformità di intenti su tutto il territorio nazionale. Ecco qual è la natura dell’Alpinismo Giovanile. Non un semplice e generico “andare in montagna”, ma un progetto più complesso e ambizioso, unico nel panorama variegato delle attività del Club Alpino Italiano e fiore all’occhiello della sua missione sociale.

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IL 2019 CON LA SCUOLA DI AG BOMBARDIERI–MARTELLI Per i ragazzi del CAI Morbegno, inseriti nella Scuola di Alpinismo Giovanile “Bombardieri-Martelli”, il 2019 rappresenta l’ottava stagione. I giovani quest’anno sono stati 12, pochi per una sezione che sfiora i 500 iscritti, probabilmente a causa di una campagna di reclutamento poco efficace e da rivedere. Ecco in sintesi l’attività della “Bombardieri Martelli” che ricalca quella degli anni precedenti, con due eccellenze di cui diamo a parte un resoconto più dettagliato: il mini trekking regionale in 66 CAI MORBEGNO

Valmalenco e la manifestazione internazionale “Giovani in Vetta”. Alle uscite hanno partecipato, non tutti presenti contemporaneamente, 31 ragazzi assistiti da un numero adeguato di Accompagnatori titolati e qualificati (per le gite prive di difficoltà tecniche il rapporto giovani/ accompagnatori è previsto in 6 a 1 più un coordinatore). Come di consueto negli ultimi anni, il programma è iniziato in gennaio con la mini serie di escursioni “sci + pelli” che hanno raccolto mediamente 7 adesioni. Tutte le uscite si


sono svolte, oltre che con la presenza degli Accompagnatori della Scuola, con l’assistenza di un Istruttore della Scuola provinciale di Alpinismo e Sci Alpinismo “Luigi Bombardieri”. Le mete scelte sono state le nevi del Palù per la verifica in pista del livello di partenza, della Valtartano, di Pescegallo e di Campagneda. L’attività vera e propria è iniziata a marzo con la classica uscita di bassa quota sui terrazzamenti retici della Sassella, per proseguire con i giochi sulla neve nell’area del Pianone di Salmurano che, visti i vincoli rigidi delle norme di comportamento in ambiente innevato imposte dall’Art. 14 della L.R. 26/2014, si sta dimostrando sempre di più una scelta adatta allo scopo. A seguire le altre uscite qui esposte senza rispettarne la cronologia: a Savogno e in Valle Spluga per prendere contatto con le soluzioni urbanistiche e costruttive del passato; al forno fusore della Val Venina, importante reperto dell’estrazione del ferro sulle Alpi Orobie; al ghiacciaio di Fellaria orientale per renderci conto delle trasformazioni in atto da parte dei nostri ghiacciai; al Monte Vago nel Livignasco, passando per il bellissimo laghetto omonimo che sovrasta il passo della Forcola. Né poteva mancare una puntata alla novità dell’anno, il “Ponte nel cielo” che collega l’abitato di Campo agli insediamenti rurali del versante sinistro della Valtartano. Ultima avventura della stagione, influenzata da condizioni meteo decisamente grame, una 2 giorni con pernottamento al rifugio Cristina e successiva traversata

dall’Alpe Campagneda alla Val Poschiavina, sostitutiva come piano B (anzi C, perché il piano B avrebbe dovuto essere la traversata Gianetti – Omio in Valmasino) della prevista trasferta alla Grigna meridionale. La chiusura della stagione è stata celebrata con un’allegra polentata al Pala Castione, preceduta dai tradizionali giochi di arrampicata e di orientamento rispettivamente alla palestra della Sassella e al Parco Bartesaghi. Contemporaneamente all’attività interna con i

propri ragazzi, la Scuola di AG “Bombardieri-Martelli” ha svolto una diffusa attività di collaborazione con le scuole della provincia, come previsto dal protocollo d’intesa CAIMIUR di cui si è trattato diffusamente sull’Annuario 2018: con le Scuole Medie di Ponte in Valtellina e Damiani di Morbegno, le Primarie di Triangia, Sondrio, Teglio e Chiesa in Valmalenco, il Liceo sportivo di Sondrio per il consueto stage di inizio anno scolastico al rifugio GerliPorro.

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MINITREKKING DEL VENTINA

Una bella esperienza di condivisione E’ fuori dubbio che le esperienze di montagna più gradite ai giovani nel passaggio dalla preadolescenza all’adolescenza sono quelle di più giorni con pernottamento in rifugio. L’esigenza di distinguersi e di staccarsi dalla famiglia per gestirsi autonomamente nel gruppo dei coetanei, con i quali trovare nuovi stimoli per costruire la propria identità, rappresenta

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un momento fondamentale del processo evolutivo. E il gradimento è maggiore se queste esperienze coinvolgono giovani provenienti da realtà geografiche diverse con i quali fare conoscenza. E’ questo il caso del minitrekking di tre giorni, tenutosi in Valmalenco dal 3 al 5 luglio, organizzato dalla Scuola di Alpinismo Giovanile “Bombardieri-Martelli” e rivolto ai ragazzi delle sezioni


lombarde del CAI di età compresa fra gli 11 e i 17 anni. Il mini-trekking, ma sarebbe meglio definirlo stage, dal momento che si è svolto avendo come campo base il rifugio Gerli-Porro, ha coinvolto 28 ragazzi provenienti, oltre che dalle sezioni valtellinesi della “Bombardieri-Martelli” (9), da Mantova (6), Calco (4), Vimercate/Arcore (4), Montevecchia (3) e Albino/ Gazzaniga (2), assistiti dai rispettivi Accompagnatori di AG (8). 1° giorno - Trasferimento al rifugio Gerli-Porro passando per le alpi Sentieri e Zocca. Doveva servire come approccio geografico a questo angolo di Valmalenco, sconosciuto ai più, e come occasione per conoscersi reciprocamente. E così è stato, anche se per gradi. Nonostante le presentazioni di rito in partenza, il primo tratto di salita è stato affrontato rigorosamente per gruppi sezionali. Ma già all’Alpe Sentieri, durante il pranzo al sacco, fra occhiate indagatrici e circospetti contatti di sondaggio, qualcosa di più solido ha cominciato a nascere e al pomeriggio, in rifugio, grazie anche alla complicità delle carte da gioco, il gruppo giovani-accompagnatori era una realtà compiuta e coesa. 2° giorno - Salita al Torrione Porro (2435 m) lungo la nuova ferrata. Grazie alle sue difficoltà moderate, la Ferrata del Torrione si presta come poche altre all’attività didattica. Naturalmente era necessario un momento di preparazione. Questo era avvenuto il giorno prima tendendo alcune corde fra i larici contigui al rifugio

per ripassare le modalità di utilizzo dei materiali e le tecniche di progressione e per vincere nel contempo la riluttanza di qualcuno fra i ragazzi. Così tutto è filato nel migliore dei modi. I più grandi, alcuni dei quali già esperti, hanno affrontato i 195 m della via attrezzata con grande abilità e scioltezza, ma anche i più piccoli e i neofiti, adeguatamente seguiti, si sono dimostrati all’altezza della situazione. Il ritorno lungo la via normale al Torrione ha consentito di attraversare il Parco degli alberi secolari dove, tra gli altri, è presente un larice più che millenario, il più vecchio d’Italia con datazione certa. E’ stato interessante poter abbinare a molti di questi monumenti naturali un avvenimento o un periodo storico legato alla loro nascita. Il falò serale, con distribuzione di frittelle di mele offerte dal buon Floriano, gestore e anima del rifugio Gerli-Porro, ha concluso degnamente la bella giornata. 3° giorno - Traversata del Passo

Ventina (2675 m). E’ stata la tappa indubbiamente più impegnativa dal punto di vista fisico. Sia per la salita, non tanto a causa del dislivello, contenuto in poco più di 700 m, quanto per il tracciato dapprima ripido sui sassi di frana poi sul nevaio di accesso al passo. Sia, soprattutto, per la discesa di oltre 1400 m di dislivello fino a Primolo, anch’essa su pendii ripidi e oltremodo accidentati. Solo la sosta per il pranzo al sacco ai laghetti di Sassersa, con relativo pediluvio ristoratore, ha alleviato la fatica del percorso. Comunque l’ambiente rupestre da “pianeta rosso” per via delle serpentine attaccate dall’ossido e la bella giornata di sole (la pioggia è arrivata solo al nostro arrivo alle automobili), unitamente ai momenti di condivisione dei due giorni precedenti, hanno fatto sì che questo minitrekking possa essere messo nel cassetto dei ricordi più piacevoli.

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GIOVANI IN VETTA

Per il terzo anno consecutivo i ragazzi della Scuola di Alpinismo Giovanile “Bombardieri-Martelli” hanno partecipato alla manifestazione internazionale “Youth at the top”, curata da ALPARC, la rete di aree alpine protette in Francia, Svizzera, Italia, Germania, Austria e Slovenia, di cui il Parco delle Orobie Valtellinesi fa parte. L’obbiettivo principale di ALPARC è la messa in atto del protocollo “Protezione della natura e tutela del paesaggio” della Convenzione delle Alpi, firmata da Germania, Austria, Francia, Italia, Principato di Monaco, Principato di 70 CAI MORBEGNO

Liechtenstein, Slovenia e Svizzera nel 1991 e sottoscritto anche dall’Unione Europea. Mi piace ricordare che la Città di Morbegno è dal 2014 “infopoint” della Convenzione assieme a Domodossola, Caporetto e Bolzano, scelta come sede italiana. La manifestazione si svolge in due giornate, sempre l’11 e 12 luglio, nelle quali, contemporaneamente in tutte le aree protette dell’arco alpino, i ragazzi (mediamente sono 700), oltre a sviluppare il tema proposto di volta in volta, devono raggiungere una vetta. Quest’anno il tema era “Miti e leggende della montagna”

e la cima, concordata con il Parco delle Orobie, era il Monte Legnone (2609 m). I ragazzi partecipanti sono stati 16, seguiti da 8 Accompagnatori della Scuola, dalla responsabile dei giochi e da un delegato del Parco. Giovedì 11 luglio, allora, appuntamento a Delebio dove ci attendevano alcuni mezzi messi a disposizione dal Parco per raggiungere la località di Osiccio (922 m), all’ingresso della Val Lésina. Qui è iniziata la nostra avventura con la salita a piedi all’Alpe Legnone (1690 m), meta prevista per la cena e il pernottamento nel rifugio omonimo.


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Il programma delle attività è stato ricco, vario e stimolante. A Osiccio i ragazzi, divisi in piccoli gruppi, si sono sparpagliati per il borgo facendo a gara nel cercare, fra i tanti affreschi del pittorescultore Abram presenti sulle case, quello raffigurante San Michele che sconfigge Satana. La seconda tappa è stata Piazza Calda per un nuovo gioco: dar vita con carboncini e colori spray, rigorosamente ad acqua, quindi degradabili in poco tempo, a un grosso drago stilizzato, disegnato sul cemento della stradina dall’artista morbegnese Anna Papini. Se la caccia all’affresco ha trovato gradimento, l’opera di pittura del drago ha riscosso un consenso ancora maggiore, perché, gioco nel gioco, il divertimento è consistito nello sporcarsi il più possibile con la polvere di carbone. L’attività è proseguita all’Alpe Legnone con nuove proposte della inesauribile Anna: storie di folletti, di streghe e di uomini selvatici da riprodurre sulle rocce dei dintorni con colori e pennelli e sul prato contiguo al rifugio con bombolette spray. Il fatto ha creato qualche malinteso allorquando un autorevole rappresentante di ERSAF (Ente Regionale per i 72 CAI MORBEGNO

Servizi all’Agricoltura e alle Foreste), giunto dal basso e ignaro di quanto stesse accadendo, ha protestato energicamente (e giustamente) per lo scempio arrecato all’ambiente. C’è voluto un bel po’ per spiegargli che era tutto concordato con il Parco e che le pitture si sarebbero disciolte alla prima pioggia. Come del resto è avvenuto grazie all’acquazzone serale che ci ha costretti a rintanarci in rifugio. La mattina del 12 luglio ci ha accolti con un cielo completamente sereno e terso, situazione ideale per la salita al Legnone, balcone panoramico senza uguali con vista a 360° su tutto l’arco alpino, sui laghi di Lugano e di Como, sulla Valtellina e la Valchiavenna. Percorrendo le pendenze moderate della mulattiera tracciata dagli alpini durante la 1° Guerra Mondiale abbiamo dapprima raggiunto la Forcella Alta (2340 m) e da qui, lungo la cresta sud, rocciosa a tratti, la vetta del Legnone. La salita, con quasi 1000 m di dislivello, si è rivelata impegnativa, ma è stata affrontata con grande determinazione da tutti, anche perché il tragitto ha offerto numerosi spunti per osservazioni geografiche,

ambientali e naturalistiche, fra cui alcuni miti stambecchi e persino una pernice in divisa mimetica che solo l’occhio attento ed esperto di uno degli accompagnatori ci ha fatto individuare e rivedere poi attraverso il potente zoom della sua fotocamera. La sosta sulla cima per il pranzo al sacco e per le foto di rito è stata appagante, ma necessariamente breve per via della lunga discesa che


ci attendeva per raggiungere località Panzone (1400 m) da dove, con i soliti fuoristrada siamo scesi a Delebio. Il bilancio di queste due intense giornate non può che essere positivo. Sia per il tema trattato, i miti e le leggende delle nostre montagne, sia per la bellezza degli ambienti alpini attraversati e la maestosità della vetta salita. E quindi arrivederci al 2020 con una nuova avventura. CAI MORBEGNO 73


CORSO PER ACCOMPAGNATORI SEZIONALI

DI ALPINISMO GIOVANILE

Sabato 2 febbraio si è concluso il 2° Corso per Accompagnatori Sezionali di Alpinismo Giovanile (ASAG), organizzato dalla Scuola di AG “Bombardieri-Martelli”. Nella bella struttura del Parco Scalini a Dongo c’è stata la consegna degli attestati di qualifica, seguita da un’ottima cena conviviale, non prima di aver ripreso, a cura dell’AAG Silvia Bonari della Scuola di Legnano, i concetti principali contenuti nel documento guida dell’Alpinismo Giovanile, il Progetto Educativo. Il Corso era iniziato nel 2018 e, come prescritto dal regolamento, era stato spalmato sull’arco di un intero anno. Suddiviso in moduli, teorici in aula e pratici in 74 CAI MORBEGNO

ambiente, è stato seguito da 13 candidati alcuni dei quali già aiutanti nelle attività con i ragazzi presso le relative sezioni di appartenenza. La partecipazione è stata assidua, sentita e convinta da parte di tutti, così che i risultati sono stati più che soddisfacenti. Questa la scansione temporale dei moduli che hanno toccato tutti gli aspetti inerenti alla conduzione in montagna di gruppi giovanili. 16 gennaio 2018, presso la sede del CAI Morbegno – Presentazione del cronoprogramma da parte del direttore del Corso, ANAG Mauro Gossi, per la Scuola “Bombardieri-Martelli” e del tutor, ANAG Pino Cortinovis di Calolzio Corte, designato

dalla Scuola Regionale; storia del Club Alpino Italiano a cura dell’AAG Riccardo Marchini; test d’ingresso e colloqui motivazionali. 6 febbraio 2018, presso la sede del CAI Valtellinese – L’Accompagnatore di AG, responsabilità civile e penale, a cura dell’Avv. Lucia Foppoli, past president del CAI Valtellinese. 27 febbraio 2018, presso la sede del CAI Colico – La sicurezza in montagna e il pronto soccorso con particolare riguardo ai giovani, a cura del Dott. Franco Scotti, ISA della Scuola provinciale di Alpinismo “Luigi Bombardieri”; la meteorologia di montagna e la nivologia, a cura del Dott. Riccardo Scotti, membro


del Servizio Glaciologico Lombardo. 4 marzo 2018, Alpe Culino in Valgerola – Uscita pratica in ambiente innevato, a cura dell’ANAG-INV Pierangelo Tognini coadiuvato dall’AAG Giorgio Beltramini della Scuola AG “Bombardieri-Martelli”. 27 marzo 2018, presso la sede del CAI Valtellinese – Psicologia dell’età evolutiva, a cura del Dott. Paolo Messina, psicologo e aiuto Istruttore presso la Scuola di Alpinismo “Luigi Bombardieri”. 7 aprile 2018, presso il Parco Bartesaghi di Sondrio – Il gioco come strumento didattico nella pratica, a cura dello psicologo Dott. Paolo Messina. 10 aprile 2018, presso la sede del CAI Valtellinese – La cartografia e l’orientamento, a cura dell’ANAG Massimo Gualzetti della Scuola AG “Bombardieri-Martelli”. 17 aprile 2018, presso la sede del CAI Colico – La conduzione di un gruppo, a cura dell’ANAG Pino Cortinovis, tutor del Corso, e dell’ANAG Mauro Gossi, direttore del Corso. 24 aprile 2018, presso la sede del CAI Colico – Lettura del paesaggio, la flora e la fauna, a cura dell’AAG Riccardo Marchini e dell’ANAG Mauro Gossi della Scuola AG “BombardieriMartelli”. 6 maggio 2018, uscita in ambiente sulla Costiera dei Cèch per accompagnare i ragazzi della Scuola AG “Bombardieri-Martelli”. 16 e 17 giugno 2018, Salmurano-Tronella in Valgerola – Modulo tecnico: catena della sicurezza e materiali, didattica del movimento, progressione in conserva, corda doppia, corda fissa, tecniche di assicurazione, a cura dell’INA Cesare Romano

della Scuola di Alpinismo “Noseda Pedraglio-Muschialli”, dell’IAL Moreno Libera della Scuola di Alpinismo “Luigi Bombardieri”, con la collaborazione dell’AAG Mauro Bellina del CAI Colico, dell’AAG Marco Beltramini e dell’ASAG Rita Bertoli della Scuola AG “Bombardieri-Martelli”. 23 giugno 2018, presso la sede del CAI Colico – la comunicazione e le abilità relazionali, la figura dell’ASAG, i corsi di AG; test e colloqui finali, a cura dell’organico docenti della Scuola AG “Bombardieri-Martelli”. Come da regolamento, nel restante periodo dell’anno ciascun candidato, collegato ad un tutor, ha svolto attività con i giovani nella realtà del proprio gruppo sezionale. Hanno ottenuto la qualifica di Accompagnatore Sezionale di Alpinismo Giovanile (ASAG) • Daniele Abbiate – Sezione di Colico • Sergio Abbiate – Sezione di Colico

• Hamid Bouzhar – Sezione di Colico • Luigi Buriola – Sezione di Colico • Mara Cavallotto – Sezione di Morbegno • Orlando Ceni – Sezione di Chiavenna • Roberto Del Lorenzi – Sezione di Dongo • Ivan Manzi – Sezione di Dongo • Giacomo Mossini – Sezione di Colico • Giuseppe Pozzi – Sottosezione di Berbenno • Alessandro Rampoldi – Sezione di Dongo • Riccardo Tagni – Sezione Valtellinese • Daniela Tanera – Sezione di Dongo Tredici nuovi Accompagnatori che, mettendo a disposizione il loro tempo e le capacità acquisite, si aggiungono al patrimonio insostituibile dei volontari, senza i quali il Club Alpino Italiano non potrebbe dare concretezza ai propri scopi istituzionali.

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CAIMORBEGNOATTIVITÀ

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IL MIO CORSO DI

SCIALPINISMO

di Veronica Patetta

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Sicuramente vi sarà capitato di vedere una fotografia di uno scialpinista in cima a una montagna bianca e immacolata con lo sfondo di un cielo blu. Magari eravate di fretta in un negozio di articoli sportivi o stavate sfogliando una rivista di montagna come questa, ma se vi foste soffermati sulla foto avreste potuto vedere il sorriso di quello scialpinista pieno di felicità, scorgere le tracce lasciate nell’arrivare alla meta e persino immaginare di essere lì al suo posto a godere di un così bel panorama. C’è chi, vedendo una simile fotografia, potrebbe pensare di non esserne mai capace, chi potrebbe dire: «Non ho

mai messo neanche un paio di sci, figuriamoci arrivare fin là!», chi potrebbe pensare alla fatica fisica e desistere immediatamente al solo pensiero di provarci. Io, il giorno che mi soffermai a pensare davanti a quella foto, mi dissi: «So sciare bene, possibile che non abbia ancora provato lo scialpinismo?! Magari un giorno arriverò anch’io fin là.». Beh, quel giorno per me non era poi così lontano.Circa un anno fa mi informai per i corsi di scialpinismo del CAI: avevo la fortuna di vivere in mezzo alle montagne, il tempo e tanta voglia di mettermi in gioco in qualcosa di nuovo.


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Qualche timore di non essere all’altezza c’era, ma avevo passato anni a sciare sui piccoli impianti di Pescegallo e da ragazzina mi ero più volte divertita con i fuoripista. Mi armai di quel pizzico di coraggio, che serve ogni volta che si inizia una nuova avventura, e mi iscrissi. La mia prima uscita scialpinistica al Piz Albana fu una divertentissima impresa: ero l’unica dei partecipanti al corso che non aveva mai messo un paio di pelli sugli sci! La fatica per salire fu tanta, e riuscii anche a cadere su un breve tratto ripido durante la salita, rotolando all’indietro tirata a terra dal peso dello zaino per la gioia di quelli che mi succedevano! (E degli amici che sentirono i miei racconti!!). Ma la gioia che provai arrivata in cima e durante la spassosa discesa 80 CAI MORBEGNO

fu impagabile: arrivai a casa sfinita, ma volai per tre giorni di fila per la felicità che provavo! Ero arrivata alla meta e mi ero anche divertita. Nelle uscite successive migliorai la tecnica in salita e con un po’ di allenamento arrivarono anche fiato ed energie per salire dislivelli maggiori. Salendo passo dopo passo scoprii i miei limiti e, imparando a dosare energie e pause ristoratrici, di volta in volta divenni più consapevole di come raggiungere l'obiettivo. Non so se fu la mia presenza, ma il sole ci accompagnò in quasi ogni uscita e la neve in discesa fu sempre una goduria: soffice e polverosa, anche la meno innevata Val Tartano ci regalò una discesa molto piacevole. Sia in presenza di canalini stretti sia di dolci dossi di neve fresca, all’inizio di ogni discesa, sapevo che se


ce l’avevo fatta a fare quello che, guardando le fotografie, a stento immaginavo di poter fare (salire!!), di sicuro sarei riuscita ad affrontare bene ciò per cui avevo le capacità. Giunti in fondo c’era sempre la voglia di risalire ancora! Tra gite in Engadina, nelle Orobie valtellinesi e nella fiabesca Val Viola, le giornate si allungarono e con la primavera giunse anche la fine del corso: un corso per imparare a praticare questo bellissimo sport in sicurezza, scoprire che siamo noi i nostri stessi limiti e che dobbiamo conoscerli bene per trarre la maggior soddisfazione; un modo per scoprire che, come nella vita, è la fatica fatta durante la salita a rendere emozionante il meraviglioso panorama che si gode dalla cima e a colmare di felicità i sorrisi degli scialpinisti. CAI MORBEGNO 81


ALPI MARITTIME scialpinismo e “portage”

di Davide Bonzi

Per la classica gita scialpinistica di due giorni quest’anno il consiglio ha scelto le Alpi Marittime e precisamente la Val di Gesso, anche su proposta della guida alpina Cristian Candiotto (Cinghio), esperto della zona, che ci ha accompagnato nelle due uscite in programma. Le Alpi Marittime sono una sezione della catena alpina appartenenti alle Alpi sudoccidentali e in particolare la Val di Gesso, il cui territorio è interamente compreso nella provincia di Cuneo all’interno del Parco Naturale delle Alpi Marittime, è caratterizzata dal vasto bacino del torrente Gesso, modellato dall’azione dei ghiacciai e dalla presenza delle cime più alte delle Alpi Marittime. Questa vallata, per le sue caratteristiche morfologiche, si presta in 82 CAI MORBEGNO

modo particolare all’attività scialpinistica, per i suoi numerosi valloni e canali di ogni difficoltà. Partiti di buon mattino in 16 persone con due pullmini presi a noleggio, i nostri due brillanti autisti, Marco e Attilio, ci hanno portato in 5 ore di viaggio alle terme di Valdieri, luogo previsto per l’incontro con la nostra guida e punto di partenza per raggiungere il rifugio Valasco, nostra base d’appoggio. Dopo le presentazioni tra la nostra guida ed il gruppo, è stata fatta una breve descrizione degli itinerari in programma accompagnata da alcune raccomandazioni. Quindi con gli sci sullo zaino, (“portage” per usare un termine sofisticato) per assenza di neve sul versante dove passa il sentiero, in un ora di cammino


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abbiamo raggiunto il rifugio a quota 1763 m, situato in ampia zona pianeggiante. Questa costruzione, prima di essere riconvertita in una struttura ricettiva all’inizio degli anni 2000, è stata in passato la casa di caccia dei re d’Italia. Arrivati al rifugio, il tempo di alleggerire gli zaini, gustarci un panino e siamo pronti per l’escursione prevista per il pomeriggio di sabato; la meta è il passo del Prefouns a quota 2600 m. Il percorso nella prima parte ha impegnato il gruppo nella risalta di un canale innevato, con attraversamento di un piccolo corso d’acqua con gli 84 CAI MORBEGNO

sci in spalla, che ha dato un tocco alpinistico al percorso, senza difficoltà per nessuno. Risalito il canale, l’itinerario prosegue in un ampio vallone fino a raggiungere il passo. In discesa non abbiamo seguito fedelmente l’itinerario di salita. Sia per questioni di sicurezza che per il percorso più adatto alla discesa con gli sci, abbiamo evitato il canale risalendo un breve tratto con gli sci ai piedi, per poi riprendere l’itinerario percorso in salita fino al rifugio. Nei rifugi, il momento che precede la cena è solitamente dedicato al riassetto personale, a una telefonata a casa,


a un breve riposo o una chiacchierata con gli amici, per i meno stanchi. L’ottima cena e il dopo cena sono serviti sia per un momento conviviale che come spunto per una riflessione sul comportamento che ogni componente di un gruppo deve adottare durante l’attività in montagna, in presenza di una figura professionale o capo gita, responsabile del gruppo stesso. Come solito nei rifugi le luci si spengono presto e comincia così il riposo notturno, ma non per tutti… Personalmente la notte trascorre sempre in una sorta di dormiveglia, per poi prendere sonno quando è il momento di alzarsi. Il mattino, più o meno riposati, dopo l’abbondante colazione iniziamo la salita in una bella giornata primaverile al colle di Fremamorta quota 2615 m, “ovviamente” in Val Morta, inquietante però solo nel nome; si tratta infatti di un ampia valle con canali e cime ideali per lo scialpinismo. Il percorso in salita non presenta difficoltà, tranne l’ultimo tratto ripido con neve ghiacciata, che abbiamo risalito con i rampanti (coltelli da ghiaccio). In cima, dopo un momento di pausa per mangiare e per la foto di gruppo, la nostra guida ci richiama all’ordine pronti per la discesa, che inizia subito lungo un ripido canalino con neve dura, per poi proseguire lungo un vallone con neve primaverile perfettamente trasformata e per un bosco rado fino ad una strada innevata che ci porta fino al parcheggio. Il ritorno a casa contenti e soddisfatti è sempre preceduto da una birra in compagnia e da un augurio di ritrovarci alla prossima… CAI MORBEGNO 85


VAL GROSINA Anello di Pian del Lago di Alessandro Caligari

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Conoscevo la Val Grosina per la sua architettura, fatta di baite in legno e pietra ben conservate e per le sue chiese. In particolare mi aveva sempre incuriosito, pur senza averla mai vista dal vero, la chiesa della Madonna della Neve, a Malghera nella Val Grosina Occidentale. Le sue fattezze e le sue dimensioni sono quanto meno inusuali per un edificio religioso a 2000 metri, quasi in mezzo al nulla. Ho pensato quindi di unire la curiosità architettonica a quella per un’escursione in

un posto per me abbastanza nuovo. E così il 2 giugno siamo partiti in una ventina di persone, con l’intento di percorrere l’anello del Pian del Lago. La programmazione fatta nell’autunno passato, a tavolino, prevedeva un giugno quasi estivo, in uno scenario fatto di pascoli fioriti e laghetti azzurri. Non avevamo fatto i conti con un innevamento quantomeno anomalo e un maggio decisamente freddo, con la conseguente presenza, sul nostro itinerario, di un manto


bianco quasi continuo dai 2300 m. La strada carrabile ci ha lasciati proprio a Malghera, davanti alla “chiesona”. La troviamo aperta e scopriamo che oltretutto è un santuario, consacrato dal vescovo Macchi. Visitata la chiesa, partiamo per la nostra escursione, addentrandoci nella val di Sacco. Primo tratto senza problemi ma poi, quando arriviamo al Pian del Lago la situazione cambia: neve ovunque e del lago neppure l’ombra, sepolto sotto uno spesso strato di ghiaccio e neve. Oltretutto siamo in ritardo sulla nostra tabella di marcia di un’ora e mezza abbondante, rallentamento causato da una pausa forzata di pari durata, a sua volta dovuta ad un blocco stradale per una gara ciclistica di gran fondo, con il passaggio di 3000 concorrenti! Questo ritardo ha fatto sì che, pur attrezzati per la presenza della neve, ci troviamo a sprofondare continuamente fino al ginocchio ed oltre. Così, una volta raggiunto il bivacco posto sulle rive di un lago che possiamo solo immaginare, ci guardiamo attorno e decidiamo di cambiare meta. Anzichè percorrere le settentrionali pendici del monte Farinato, decidiamo di addentrarci ulteriormente nella val di Sacco, muovendoci sulla sponda soliva e puntando ad un altro bivacco, dedicato all’alpinista Strambini. La prima parte dell’itinerario ha qualche difficoltà, sempre dovuta alla neve cedevole e alla presenza di torrentelli, nascosti sotto il manto in quasi tutte le vallette che attraversavamo. Poi, abbassandoci un poco di quota, ecco spuntare a

tratti dal bianco un sentiero ben marcato, recentemente tracciato per la percorrenza di mountain bike. Lo seguiamo fino ad un ampio altipiano, evidentemente un pascolo estivo. Qui il gruppo si divide: il grosso del gruppo si ferma per mangiare qualcosa e cercare di far asciugare degli scarponi disperatamente zuppi d’acqua. In cinque saliamo le ripide balze finali, per raggiungere il bivacco. Tra erba scivolosa su pendii ripidi, roccette e neve molle, ecco che all’improvviso ci appare l’arancione scatolone, preannunciato da un’alta asta di una bandiera non più presente. Il bivacco è in buone condizioni. L’ingresso è la porta di recupero di una cella frigorifera, ma all’interno ci sono materassi nuovi con addirittura dei soffici piumini al posto delle solite coperte,

ammuffite e pesantissime. Firmiamo il registro, beviamo un the dai termos, e scendiamo verso il resto del gruppo. La compagnia è oziosa: c’è chi dorme, chi è intento a scommettere sui blocchi di neve che coprono il torrente, che poi si staccano e danno vita a piccoli iceberg, chi sta ancora mangiando e chi guarda, rassegnato, le proprie calze ed i propri scarponi fradici, che da li a poco dovrà rimettere. Infatti dopo poco, scattate le foto di gruppo, si riparte verso Malghera. La discesa è dolce, sempre sul sentiero per biciclette, affiancati da marmotte allarmate ma al contempo curiose. Raggiungiamo il baitone delle Casere Vegie e in lontananza l’alto campanile del santuario ci avverte che stiamo arrivando ormai alle auto.

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di Alessandro Caligari

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La trasferta in alta valle non inizia sotto i migliori auspici: il “Ruinon”, la frana che da anni incombe sulla Valfurva come una spada di Damocle, in questi giorni sembra voler spezzare il cavo che la tiene appesa al soffitto e rovinare a valle. Così la strada è stata chiusa per cautela e noi avremmo dovuto passare dalla Val Camonica e risalire il passo del Gavia per arrivare a Santa

Caterina e quindi alla valle dei Forni, inizio del nostro avvicinamento alla vetta del Cevedale. Fortunatamente la Prefettura concede una finestra oraria, dalle 18 alle21, per poter accedere da Bormio, e così eccoci al parcheggio dei Forni, verso le sette di sera. La fortuna gira subito, e infatti il cielo diventa nero in un attimo e pioggia e vento si scatenano nel fondovalle. In più anche


LA SALITA AL CEVEDALE il motore dell'auto ci pianta in asso e quindi ci troviamo a spingere il mezzo sotto l'acqua. Siamo partiti alla spicciolata e ci siamo dati appuntamento al rifugio Pizzini; alle 20 ci ritroviamo tutti assieme per la prima volta, direttamente con le gambe sotto il tavolo. Il gruppo è eterogeneo, non tutti si conoscono, ma in breve si creare un buon clima. Silvano è stato qui, per un

certo tempo, quarant'anni prima, ed è stupefatto dai cambiamenti dei ghiacciai; per tutto il week end continuerà infatti ad esternare questo suo stupore, non capacitandosi di questa (effettivamente) notevole regressione dei ghiacci. Dopo la cena, che mi ha piacevolmente stupito per quantità e qualità, abbiamo fatto un breve breefing in cui sono stati illustrati i

dettagli tecnici e pratici della giornata successiva. Una veloce occhiata al cielo che si stava aprendo, nella sera che da fresca si trasformava in fredda, e poi tutti a cercar di dormire. Alle 4 tutti in piedi, e un'oretta più tardi stavamo pestando i ghiaioni del conoide che ci porta alla ripida salita alla Casati. Sul Gran Zebrù vediamo le lampade di alcuni alpinisti che hanno CAI MORBEGNO 89


appena superato il “collo di bottiglia”. Non è ancora del tutto giorno, ma per noi c’è abbastanza luce per spegnere i frontalini. Ci imbattiamo in matasse di filo spinato, che ci ricordano l'insensatezza di una guerra combattuta a quote ed in condizioni impensabili, un secolo fa. Cominciamo a pestare neve, e risaliamo il tracciato invernale fino al rifugio, ai piedi del ghiacciaio. Qui formiamo quattro cordate da tre persone e cominciamo a risalire il pendio. Sappiamo che verso le 11 il tempo sarebbe peggiorato così procediamo senza soste verso la cima, dove abbiamo previsto di arrivare verso le 9. Proseguiamo con un buon ritmo, superando alcune 90 CAI MORBEGNO

cordate, sul facile ghiacciaio. Sul finale il pendio diventa decisamente più ripido, ma senza problemi attraversiamo la crepaccia terminale e raggiungiamo la cresta, che in breve ci porta ai 3768 metri della cima del Cevedale. Alcune foto, il tempo di guardarci un minimo attorno, e poi subito indietro, guardando con qualche apprensione i nuvoloni che cominciano a radunarsi. Proseguiamo con ordine in discesa, dove siamo un po' rallentati dalle cordate che stanno salendo. Tra queste un improbabile quintetto (dieci piedi e tre ramponi in tutto) con corda a tracolla come cowboys e abbigliamento da inizio autunno, che ci fa fare alcune considerazioni sulla sicurezza

in montagna. Li lasciamo al loro precario destino e scendiamo velocemente. Siamo tentati dal passare dal ghiaccio del Cedek, in cui è evidente la traccia lasciata da un paio di cordate che avevamo visto salire qualche ora prima, ma poi preferiamo prudentemente ripercorrere la via originale. Raggiunto il rifugio Casati, arriva anche il previsto brutto tempo. Comincia un po' a nevicare quando stiamo togliendo l’imbragatura e riponendo picozza e ramponi. Un vento fastidioso ci maltratta un po', poi la neve diventa pioggia e quindi cessa del tutto. In breve la perturbazione si allontana e la giornata torna sui binari giusti. Arrivati alla Pizzini il cielo è


ormai azzurro, ed il Gran Zebrù rispunta dalle nebbie che lo avvolgevano da tempo. Attorno il paesaggio è uno zebrato che alterna neve ad erba che fatica a crescere, dato il precedente maggio nevoso. E' presto, così decidiamo di scendere subito al fondovalle, per poter anticipare il rientro a casa. Purtroppo il Ruinon questa volta non ci dà scampo: l'alternativa è aspettare la riapertura della strada per più di quattro ore, oppure affrontare il Gavia e quindi, passando da Ponte di Legno e l'Aprica, rientrare in Valtellina. Scegliamo quasi tutti quest'ultima opzione. Un fantozziano rientro di tre ore e mezza non guasta comunque il piacere di un bel week-end tra i ghiacci in alta quota. CAI MORBEGNO 91


L'ANELLO DEL

GROPPERA

di Giovanni Cerri

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Domenica 4 agosto 2019 escursione ad anello del CAI di Morbegno al Pizzo Groppera, passo di Angeloga, rifugio Chiavenna e rientro a Motta di Madesimo. Al mattino a Motta ci aspettano Domenico e Anna che ci guideranno in questa che è una delle più classiche

gite della Valchiavenna. L’aria frizzante e la voglia di salire lungo la rocciosa Cresta di Fortezza ci fanno partire di buon passo e in breve dimentichiamo la levataccia ci lasciamo alle spalle l’enorme e dorata Madonna d’Europa. Prima che l’impegno della salita assorba tutta la mia


attenzione, mi sovviene un riferimento libresco, si tratta del volume uscito nel 1985, che per me rappresenta la “bibbia” dell’escursionismo locale: A PIEDI IN VALTELLINA DI Alessandro Gogna e Giuseppe Miotti che tra i suoi 40 imperdibili itinerari, includeva anche l’escursione ai “dolci laghi azzurri” del Passo dell’Angeloga ed al pizzo Groppera. La suggestione letteraria lascia il posto all’impegno fisico di un’ascesa, che senza traccia precisa tra le pietre, ci costringe sempre a seguire il filo di cresta con una piacevole arrampicata tra i grossi blocchi accatastati fino a raggiungere la croce di vetta (2948 metri) da cui possiamo gustare un magnifico panorama circolare grazie alla posizione molto centrale ed isolata della cima del Groppera. Dopo esserci riposati ed aver scattato innumerevoli foto in ogni direzione, iniziamo la lunga discesa verso il passo dell’Angeloga. Il primo tratto ci mette a confronto con lo squallore estivo della pista da sci che scende verso la Val di Lei, poi, per fortuna, la traccia gira decisamente verso sud e ci fa trovare uno splendido e assolato balcone con vista laghi su cui sostare per la meritata colazione. Con calma proseguiamo la discesa ammirando i dolci laghi azzurri e la fioritura dell’erba iva. Al rifugio Chiavenna la scena è animata da numerosi escursionisti, ma noi preferiamo ammirare la mole imponente del pizzo Stella con i suoi canaloni innevati e farci avvolgere dalla calma idilliaca del lago di Angeloga.

Dal rifugio parte il bellissimo sentiero che a mezza costa disegna la lunga traversata che ci riporta a Motta e alle auto accaldate. Siamo un po’ provati dalla lunga e bellissima escursione, ma ricorderemo a lungo la dolcezza del paesaggio alpino che abbiamo attraversato nel nostro giro ad anello. CAI MORBEGNO 93


CORNO DI

GREVIO di Cristina Zugnoni

Poche ormai le occasioni di mettere le mani sulla roccia, che mi manca.. La mia opportunità è l’uscita alla ferrata E. Arosio che, segno del destino, viene rinviata per brutto tempo dal 28 luglio di una domenica, in cui sono libera. Subito mi prende l’entusiasmo ma allo stesso tempo la paura di essere di peso al gruppo perché la via è segnata tutt’altro che facile, “impegnativa dal punto di vista fisico e mentale” leggo. Si devono conoscere i propri limiti per stare sempre in sicurezza e per non essere d’impiccio al gruppo. Cerco qualche informazione in più. La Ferrata del Corno di Grevo è una via attrezzata tra le più impegnative del panorama alpino. La via è 94 CAI MORBEGNO

caratterizzata da una forte esposizione lungo tutto il percorso che si sviluppa su una frastagliata cresta. La lunghezza, il dislivello, la verticalità, l’aerea esposizione insieme ai favolosi scorci sull’intero Gruppo dell’Adamello fanno di questo itinerario uno dei percorsi attrezzati più meritevoli delle Alpi Centrali. Vedere le immagini dell’ambiente e del filo di cresta non fanno che aumentare il mio entusiasmo. Devo andare. E così decido di iscrivermi. Il punto di partenza è il parcheggio nei pressi di Malga Licino (1621 m). Per raggiungere questa malga, si deve risalire la strada per la Valcamonica in provincia di Brescia. Il viaggio da Morbegno


CAI MORBEGNO 95


richiede poco più di due ore per cui la partenza è fissata alle sei. Sei sono anche i componenti del gruppo. Forse il rinvio dell’uscita alla domenica seguente ha costretto qualcuno a rinunciare, con l’indubbio vantaggio di aver snellito non poco le solite procedure per cui in quattro e quattr’otto carichiamo partiamo e giungiamo alla Malga Licino. La meteo è favorevole, il cielo blu e la temperatura gradevole. Le premesse sono ottime e le aspettative tante. Inoltre siamo nei luoghi della ‘Guerra Bianca’ e anche questo carica l’atmosfera in queste tormentate montagne. Il rifugio Città di Lissone a 2017 m s.l.m., cui siamo diretti, 96 CAI MORBEGNO


venne usato come caserma e ricovero durante la Guerra Bianca in Adamello (ovvero la Prima Guerra Mondiale ad alta quota). Raggiungiamo il rifugio Lissone attraverso un bel sentiero, percorriamo la traccia che si nota alle spalle del rifugio e salendo ripidamente vediamo sulla sinistra il massiccio del Corno di Grevo. La ferrata (800 m di sviluppo) è ricca di diverse tipologie di passaggi e poca attrezzatura artificiale come piace a me!! E’ tutta arrampicabile divertente aerea! Davvero ripaga il cuore tanta bellezza! E se quando arrivi in cima, una parte di te vorrebbe che ce ne fosse ancora sei tanto soddisfatto ora del bel traverso, prima

dello stretto caminetto (in cui non sono mancate le risate!) poi del passaggio aereo che decidi che dopo quasi tre ore dall’attacco sei in pace e puoi scendere! La ferrata termina sul prato sommitale, non porta alla cima del Corno di Grevo ma alcune decine di metri più sotto. Alcuni di noi sono saliti alla croce di vetta (2827 m) ad ammirare la vista sull’Adamello con qualche compagno di viaggio trovato per strada a cui abbiamo commissionato le foto di rito. La discesa da un canalino franoso utilizzando a tratti funi e catene ha reso il rientro non banale e ha dato una degna conclusione alla giornata. CAI MORBEGNO 97


IL GRUPPO 2008 di Giovanni Cerri

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Il Gruppo 2008 del CAI Morbegno ha svolto nel corso dell'anno una intensa attività di montagna con una cinquantina di uscite effettuate nelle giornate di mercoledì e di domenica. Tra quelle su neve, con ciaspole e sci, voglio citare quelle in territorio svizzero al Piz Arpiglia e al Sassal Mason, ma anche quella al bivacco Cecchini e al Pizzo Melasc. Durante la primavera dapprima abbiamo esplorato le montagne sul lago come il Sasso di Musso, quello di

San Martino ed il Grignone dalla via del Caminetto, poi ci siamo dedicati alle nostre valli andando a scoprire il Pizzo della Scala in Valtartano, la base del Torrione di Mezzaluna in Valgerola, il Pizzo di Val Carnera raggiunto per cresta dal passo San Marco e la cavalcata delle creste dal monte Pisello al monte Piscino. Poi quando l'estate si e' fatta piu' intensa e calda, abbiamo aumentato l'altitudine delle nostre escursioni con il giro ad anello della Bocchetta di Caspoggio e l'ascensione al Piz


ma dall'altro ti richiede anche molto in cambio. Per amare la montagna devi saper annullare o sopportare molte avversita': la fatica, la fame, la sete, il caldo ed il freddo, il sole cocente, il vento gelido, la vertigine, la paura, il dolore, lo smarrimento ed infine il confronto con il vero te stesso. Deve essere un amore maturo, il romanticismo e l'improvvisazione devono lasciare il posto a scelte razionali: lo studio accurato dell'itinerario e delle condizioni del momento, l'attenzione al meteo, la scelta dell'abbigliamento e del materiale appropriato, la valutazione della propria preparazione tecnica e della condizione fisica, la scelta dei compagni d'avventura e la verifica delle proprie motivazioni. Quando si e' in montagna si ritorna padroni del proprio tempo e capaci di una Languard. Alle prime avvisaglie autunnali abbiamo rivolto la nostra attenzione alla Val Lesina con un giro ad anello, alla durissima risalita al Corno del Colino dal ripido canale Sud ed alla conquista del Cervino di Sondrio, la Corna Mara, con la cresta finale innevata. Qualche riflessione in ordine sparso che abbiamo elaborato durante le nostre gite, ma soprattutto nei momenti di relax al rientro dalle escursioni davanti ad un buon caffe' o un boccale di birra. L'amore per la montagna è un sentimento molto esigente, che da una lato è in grado di cancellare tutto quanto rimane al piano: problemi, ansie e fastidi di ogni tipo, CAI MORBEGNO 99


completa sintonia con la natura e la sua bellezza. Quando si esce in vetta, l'euforia e la gioia della conquista, non devono farci dimenticare che siamo solo a meta' dell'opera, dalla cima dobbiamo ridiscendere e spesso affrontare altri pericoli facendo i conti con la crescente stanchezza. In montagna dobbiamo ricordarci che non siamo superuomini, ma come tutti gli esseri umani abbiamo lacune, manifestiamo debolezze, facciamo errori e per questo saranno fondamentali la solidarieta' e l'aiuto dei compagni, ma anche noi dobbiamo essere pronti a far

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sentire agli altri la nostra empatia e a condividere le nostre risorse. Da soli si va piu' veloci, insieme si va piu' lontano. La scienza fissa a 75 anni l'eta' in cui comincia la vecchiaia, ma evidentemente questi scienziati non conoscono Antonio, altrimenti avrebbero alzato questo limite almeno a 90 anni. Infatti Antonio, che di anni ne ha 82, si muove in montagna come un sessantenne in buona forma fisica. Certo, bisogna che si alimenti piu' di frequente, ma per il resto e' ancora un alpinista validissimo e instancabile. Cito questo esempio perche'

anch'io penso, che in realta' si cominci veramente ad invecchiare, quando non si hanno piu' sogni da realizzare e obiettivi da raggiungere. Poi e' vero anche il fisico dice la sua: piccoli infortuni, recupero piu' lento, indolenzimenti, fastidiosi malanni stagionali, eccetera, ci fanno capire che non dobbiamo esagerare e quindi affrontare dislivelli piu' contenuti ed escursioni con tempi di percorrenza ragionevoli. Tuttavia, io penso che la perseveranza dell'attività in montagna, sia una valida garanzia di mantenimento di una buona forma fisica.


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NOTIZIE DALLA SEZIONE

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NOTIZIE DALLA SEZIONE I NUMERI DEL C.A.I. MORBEGNO Alla data del 31.12.2019 gli iscritti sono 513 così suddivisi: 361 ordinari di cui 33 ordinari juniores, 109 famigliari e 43 giovani. Ricordiamo che le iscrizioni si effettuano in sede e presso gli sportelli del Credito Valtellinese di Via Ambrosetti. CONSIGLIO DIRETTIVO Presidente Marco Poncetta Vice Presidente Alessandro Caligari Segretario Davide Bonzi Consiglieri Domenico Del Barba Rita Bertoli Andrea Borromini Alda Maffezzini Francesco Spini Emil Del Nero Chiara Piatti Mirco Gusmeroli DELEGATI Marco Poncetta Domenico Del Barba ISTRUTTORI DI ALPINISMO E DI SCI ALPINISMO E ARRAMPICATA LIBERA Enrico Bertoli (ISA) Giulio Gadola (ISA) Marco Riva (ISA) Franco Scotti (ISA) Cesare De Donati (IA+INSA) Moreno Libera (IAL)

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ISTRUTTORI SEZIONALI DI ALPINISMO, SCI ALPINISMO E ARRAMPICATA LIBERA Danilo Acquistapace Andrea De Finis Mirco Gusmeroli Emil Del Nero Moreno Libera Riccardo Scotti Mario Spini Chiara Piatti Marco Mazzolini Alessandra Tagliabue ACCOMPAGNATORI SEZIONALI DI ALPINISMO GIOVANILE (ASAG) Rita Bertoli Mara Cavallotto Riccardo Marchini Claudia Ponzoni ACCOMPAGNATORI DI ESCURSIONISMO Davide Bonzi (AE) Alessandro Caligari (AE) I CORSI Corso di ginnastica presciistica Tenuto dall’insegnante Loredana Pantaleo si è svolto da novembre 2017 al marzo 2018 presso la palestra provinciale del Liceo Artistico e presso la palestra di via Prati Grassi. Corso base di sci-alpinismo Si è svolto da gennaio a marzo, articolato in 7 lezioni teoriche presso la sede CAI e 6 esercitazioni pratiche in montagna. Il corso ha visto

Giulio Gadola direttore. Le Uscite: • Albana Engadina 19 gennaio • Munt Musella 26 gennaio • Munt de Sura 10 febbraio • Passo Porcile 24febbraio • Tambò (parte sciistica) Valle Spluga 3 marzo • Pizzo Dosdè 9/10 marzo Corso di arrampicata • Sass Negher 15 settembre • Zucco Angelone 29 settembre • Finale Ligure 5/6 ottobre • Sasso Remenno 14 ottobre • Sasso Bianco Prata 27 ottobre • Palestra indor di Piuro 11 novembre ALPINISMO GIOVANILE Con la Scuola di Alpinismo Giovanile “BombardieriMartelli” della Provincia di Sondrio. Mini corso di scialpinismo con 3 uscite. Attività da marzo a settembre con 13 uscite. LE GITE Gite sezionali • Scialpinismo Piz Arpiglia, Tour della Valtartano, Alpi Marittime Val Gesso. • Uscita notturna scialpinistica e ciaspole alla Rosetta • Ciaspole Campagneda, Val di Campo Vie ferrate Corno di Grevo, • Escursionismo Val Grosina, Piz la Margna, Anello del Groppera, 2 giorni in Dolomiti di Brenta, Monte Duria • Alpinismo Monte Cevedale


Gruppo 2008 Uscite tutti i mercoledì e alcune domeniche, meteo permettendo, per una sessantina di uscite. I MARTEDÌ DEL CAI Per gli incontri del martedì sono stati proiettati i seguenti film • Panaroma • La nord del Pizzo Badile • Mount Sant Elias • Non così lontano

I RITROVI CONVIVIALI • Venerdì 21 giugno CENA D’ESTATE momento conviviale informale nei giardini del palazzo Malacrida • Venerdì 18 ottobre CASTAGNATA • Venerdì 20 dicembre AUGURI NATALIZI ISTITUZIONALE • Venerdì 8 marzo Assemblea Annuale di Sezione FORMAZIONE • Sicurezza sulla neve con lezione teorica in sede e prova pratica a Pescegallo

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