CENTO ANNI DI MONTAGNE IN BASSA VALTELLINA
I montanari Amo al desco seder con questa rude prole robusta della Rezia mia, che nei semplici e franchi usi racchiude tutta l'ingenua libertà natÏa. Alle fosche tormente, all'aure crude essi temprar l'antica gagliardia: per ghiacci insidiosi e rupi ignude frugar sull'Alpe ogni segreta via. Nelle chiuse osterie, sorbendo lieti lo stillato licor, narrano imprese ardue di caccia e i varchi custoditi: ed io fra lor richiamo antiche e miti fantasie: lunghe veglie, inverni cheti‌ Il buono e vecchio amor del mio paese. (Giovanni Bertacchi)
© 2002 CAI Sezione di Morbegno Testi: Riccardo Marchini Progetto grafico e realizzazione: Mottarella Studio Grafico Stampa: Tipografia Bettini Fotografie tratte dagli archivi di: Museo della Val Màsino Credito Valtellinese Giorgio Bertarelli Davide Bonzi Felice Bottani Michele Bottani Ambrogio Caccia Dominioni Giuseppe Caneva Giovanni Cavallini Vera Cenini Alda Corbellini Gino Curtoni Angelo De Donati Ilario De Donati Adriano Del Nero Vitalino Del Nero Lina Della Nave Giuseppe Dell’Oca Oreste Dell’Oca Giovanni Donadelli Dino Fiorelli Giacomino Fiorelli Ugo Fiorelli Elena Gusmeroli Riccardo Marchini Erminia Mazza Tino Mazzoleni Gianpiero Mazzoni Lodovico Mottarella Antonio Passerini Giacomo Perego Giuseppe Piganzoli Pierangelo Piganzoli Luigi Romegialli Ezio Scetti Franco Scotti Vanda Soldarelli Giorgio Spini Mario Spini Ialina Vinci Peppino Volpatti
Quest’opera è stata realizzata con il contributo di:
Comune di Morbegno
Comunità Montana Valtellina di Morbegno
VA L M A S I N O
Comune di Valmasino
AUTOTORINO
Cent’anni di montagna in Bassa Valtellina a cura di: Riccardo Marchini Lodovico Mottarella
Il 2002, Anno Internazionale delle Montagne, ci offre l’occasione per ricordare quello che la montagna ha sempre rappresentato, e rappresenta, per la nostra gente. La Comunità Montana Valtellina di Morbegno ha, perciò, accettato con immenso piacere l’invito rivoltole dalla locale sezione del Club Alpino a partecipare alla realizzazione di un’opera che raccogliesse i ricordi più cari degli alpinisti, degli sci-alpinisti e degli escursionisti della Bassa Valtellina: le fotografie delle loro imprese, custodite gelosamente in vecchi album resi preziosi dal tempo e dalla nostalgia. La ricca raccolta di immagini che viene qui proposta ci permette di ripercorrere un secolo di storia locale attraverso l’ottica particolare di chi si accosta alla montagna non per lavoro, ma per coglierne l’aspetto ricreativo. Ne scaturisce un documento unico e irripetibile che testimonia il profondo legame che la nostra gente ha sempre avuto nei confronti della propria terra. Le immagini che si susseguono sfogliando il volume costituiscono per molti, i più avanti negli anni, un’occasione per riscoprire momenti di vita passati, per altri, i più giovani, uno stimolo per soffermarsi a riflettere sul mondo dei loro genitori e dei loro nonni. Ci auguriamo che questo “album” possa diventare uno strumento utile per invogliare ad accostarsi alla montagna con consapevolezza, per amarla e per apprezzarne le bellezze, nel rispetto di una naturalità delicata, da conservare intatta come patrimonio da tramandare ai nostri figli. Silvano Passamonti Presidente Comunità Montana di Morbegno
“Quanti ricordi, quanti amici, quante giornate indimenticabili, quanta salute e quanta nostalgia per queste visioni.” In questa frase di Renzo Passerini, che troviamo citata, credo si nasconda il significato più autentico di questo bellissimo volume che vede la luce grazie all’impegno e alla dedizione dei soci della sezione morbegnese del Club Alpino Italiano. Album fotografico, innanzitutto, ma anche attenta e puntuale ricostruzione storica della passione degli uomini della Bassa Valtellina per l’alpinismo e la montagna negli ultimi cento anni. Così, se ci colpisce nelle fotografie la bellezza dei paesaggi e degli scorci, restano impressi soprattutto i volti, le persone… generazioni di alpinisti che si sono susseguite, con approcci e stili via via diversi e innovativi, ma tutte ugualmente segnate dal medesimo entusiasmo di fronte alla sfida costante e permanente di una natura forte e affascinante. Non è soltanto la sfida che spinge questi uomini ad imprese ardue e spesso pericolose, ma il gusto per la condivisione di esperienze di volta in volta nuove ed emozionanti. E spesso non è la meta ciò che più importa, ma la preparazione… il cammino. Così questo libro, ricco anche di testimonianze dirette e di vicende particolari, ci regala sprazzi di “sensibilità” e “ricordi” di molti amici. E tra i ricordi non manca (come potrebbe?) quello per gli alpinisti che hanno perso la loro vita in montagna. Montagna ostile, a volte, e incurante di chi più l’ha conosciuta, frequentata e amata. Ben lo sanno tanti nostri alpinisti, impegnati da sempre, meritoriamente, nel far di tutto per migliorare le condizioni di sicurezza, coi loro servizi nei rifugi, come guide, nel Soccorso Alpino. Benché segnata dalle profonde trasformazioni culturali e politiche del secolo passato, la passione per la montagna ha trovato quindi una sua continuità, perché il legame dell’uomo con l’ambiente, il nostro ambiente, è pietra fondante del comune senso di appartenenza e di identità. Ma la montagna vive oggi di un equilibrio delicato. La sua conservazione e la sua valorizzazione sono presupposti indispensabili perché questo legame si mantenga e con esso il senso stesso delle comunità alpine. La passione per l’alpinismo, ancora ben viva e presente nei nostri paesi, sarà garanzia di cura e attenzione a un bene comune davvero prezioso. Giacomo Ciapponi Sindaco di Morbegno
L’O.N.U. ha proclamato il 2002 “Anno Internazionale della Montagna” con precisi fini di tutela dell’integrità dell’ambiente e della cultura delle popolazioni montane. In questo vasto e articolato progetto la Sezione di Morbegno del C.A.I. ha preso lo spunto per la realizzazione di questa pubblicazione, che io definirei un piccolo omaggio alla cultura alpinistica locale. Abbiamo coinvolto tutti i soci nella raccolta di materiale fotografico, testimonianze dirette e documenti riguardanti l’attività alpinistica, sci-alpinistica ed escursionistica dei protagonisti locali, in modo da realizzare un percorso storico che dai pionieri conduce ai nostri giorni, attraverso tutto il secolo scorso. E’ stata documentata la frequentazione della montagna a tutti i livelli, non solo le imprese degli alpinisti locali più noti, ma pure le tradizionali ascensioni classiche della nostra zona, compiute con uguale passione da almeno quattro generazioni. Ne risulta un vero “album di famiglia”, senza la pretesa di raccontare esaurientemente la storia dell’alpinismo locale. Il tema è infatti incentrato non sul territorio geografico, ma sul personaggio, dovunque abbia svolto attività alpinistica, compresa l’extraeuropea. In questa galleria di immagini trovano risalto anche un buon numero di appassionati, magari poco conosciuti, ma che svelano una inaspettata e ricca attività. Momenti gradevoli ci hanno riservato alcune interviste coi nostri personaggi che spesso, nel riesumare le vecchie foto da polverosi archivi, hanno rivelato curiosi aneddoti, commento ideale alle immagini stesse. Non sono mancate le sorprese, come la scoperta di Guide Alpine finora sconosciute che operavano sulle nostre Orobie nei primi anni del ‘900. La scelta delle immagini, quasi tutte inedite, è stata effettuata privilegiando il valore storico e di documentazione, mettendo in secondo piano la qualità e la bellezza della foto stessa. Devo qui ringraziare tutti i soci che hanno fornito il loro materiale compresi quelli che, per motivi vari, non vedranno pubblicate le loro immagini. L’Opera è stata realizzata col contributo del Comune di Morbegno, Comunità Montana di Morbegno, Autotorino s.p.a. di Cosio Valtellino, ai quali la Sezione CAI Morbegno rivolge un doveroso ringraziamento. Franco Scotti Presidente CAI Morbegno
6
CENT’ANNI IN MONTAGNA
Inizieremo a sfogliare il nostro album di famiglia, decennio più decennio meno, dall’alba del ‘900. Chi furono i primi “locali” a frequentare le montagne? Con l’eccezione delle famiglie agiate del fondovalle che dai “freschi” delle località di villeggiatura partivano per escursioni fuori porta, gli alpinisti ante litteram furono sicuramente i cacciatori. Costoro, ovviamente, non lasciarono né diari né resoconti sui giornali, gelosi com’erano delle loro riserve di caccia, ma solo i racconti delle loro imprese, tramandate oralmente a figli, nipoti e amici. Abituati fin da ragazzi ad avventurarsi sulle cenge per recuperare un po’ di magro foraggio per le bestie, erano in grado di competere con i camosci sul loro terreno ad armi pari. Sì, perché la loro caccia, spesso praticata senza fucile, consisteva nel far diroccare i selvatici giù dai dirupi. Non ci dobbiamo meravigliare, perciò, se molte delle cime contese dagli alpinisti negli anni successivi fossero già state visitate in incognito. E’ infatti probabile che durante le loro battute di caccia alle quote più alte, questi montanari, spinti dalla curiosità e dalla competizione con sé stessi, sentissero lo stimolo di arrampicarsi su quei picchi invitanti. Assidui frequentatori delle alte quote furono anche i contrabbandieri che in Val Màsino trasportavano i loro carichi illegali attraversando i passi di Zocca, di Bondo, del Porcellizzo o, addirittura, superando il Monte Sissone dopo aver risalito il ghiacciaio del Forno; itinerari tutti alpinistici, come gli habitué della Val Màsino sanno. Bruno Galli Valerio, grande conoscitore delle montagne di Valtellina, ospite dell’Osteria del Baffo in occasione di una delle sue ascensioni in Val Màsino nei primi anni del secolo scorso, riferisce: “E il Cerasa, divertente proprietario del Baffo, ci racconterà la sua impresa leggendaria di contrabbandiere attraverso il passo di Zocca, quand’era ancora giovanotto. Il maltempo era sì spaventevole che, al di là del passo, supplicava i doganieri di toglierlo d’impaccio”1. Infine vennero le guide alpine. Alcuni giovanotti, principalmente della Val Màsino, ma non solo, si mettevano a disposizione dei “foresti” che da alcuni anni avevano cominciato l’esplorazione alpinistica delle nostre valli, trasformando questa nuova moda in attività economica, senza rendersi conto che lo “spirito della montagna” era anche dentro di loro. Grazie alla conoscenza dei luoghi (spesso erano cacciatori) e all’agilità con cui si muovevano sulle piodesse strapiombanti, impararono presto il mestiere di guida, tanto da essere riconosciuti ufficialmente dal Club Alpino. Fu allora che cominciò la collaborazione di Bortolo Sertori di Filorera con Giuseppe Gugelloni che ne comprese le potenzialità e lo lanciò. Collaborazione che continuò con Francesco Lurani Cernuschi, che della Val Màsino fu il primo a fare l’esplorazione sistematica, e con Aldo Bonacossa che più tardi scrisse la famosa guida “Masino, Bregaglia, Disgrazia” per conto del Club Alpino. Fu allora che nacque, con i fratelli Giulio e Giovanni, anch’essi guide del Lurani, la dinastia dei Fiorelli di San Martino. Scriveva Enzo Gibelli su uno “Speciale Val Màsino” edito dal C.A.I. Milano nel 1954: “Val Màsino: regno del granito: La dinastia regnante, lo sanno tutti, è quella dei Fiorelli: a Valtournanche ci sono i Carrel, i Maquignaz, i Bich, i Pession e i Pelissier; a Courmayeur i Rey, i Petigax, i Croux, i Brocherel; qui ci sono soltanto i Fiorelli”2. Fu allora che iniziarono la carriera quell’Anselmo Fiorelli che nel 1907 scalò, si dice tutto nudo per aumentare l’aderenza al granito, Les Dames Anglaises nel gruppo del Monte Bianco, e Pietro Scetti di Cataeggio, protagonista di alcune prime ascensioni sui Corni Bruciati. Uscendo dalla Val Màsino, si ha notizia anche di Giuseppe Minatti, operante a Morbegno nel 1880, di Pietro e Domenico De Donati di Delebio, riconosciuti dal C.A.I. alla fine dell’800 per la salita al Pizzo Legnone, e di Acquistapace Giacinto (Cinto) di Gerola, in attività nella prima metà del secolo.
Cresta occidentale del Disgrazia.
7
Poi scoppiò la 1a guerra mondiale e il confronto con la montagna si trasferì altrove assumendo, purtroppo, forme meno pacifiche. Dopo il 1918 la ripresa dell’alpinismo avvenne prima timidamente, poi come fenomeno sempre più diffuso, con una differenza dalle conseguenze epocali rispetto al passato: da attività d’élite divenne attività di massa. Probabilmente l’esperienza militare sui monti, depurata dalle brutture della guerra e della trincea, lasciò nei nostri giovani il gusto dell’andare in montagna. Da noi, in Bassa Valtellina, riprese l’attività qualificata delle guide alpine con vecchi e nuovi clienti, alcuni dei quali diventeranno famosi nella storia dell’alpinismo. Ai capostipiti si aggiunsero i rappresentanti delle nuove generazioni: Giacomo Fiorelli, figlio di Giulio e, qualche anno dopo, Virgilio Fiorelli e Pio Dolci di Cataeggio. Per quanto riguarda i “cittadini” si dovette aspettare fino agli anni ‘30. Purtroppo, per ricostruire la loro attività, ci dobbiamo affidare alla scarna documentazione giacente nella Sezione del C.A.I. di Sondrio e alle testimonianze orali di chi li ha conosciuti. Sappiamo che nel 1931 venne fondata, terza in provincia, la Sezione del C.A.I. di Morbegno che ebbe come presidenti Pietro Granera (1931), Italo Romegialli (1932-1934), Dante Milani (1934-1943) ed Ennio Gavazzi (1943-1944). I protagonisti di questo periodo furono, fra gli altri, Enos Moraschinelli, Romano Begalli, Gianni Bondiolotti, Dino Pensa e Battista Tentori che svolsero intensa attività sciistica soprattutto in Val Gerola. E’ superfluo ricordare che lo sci di quegli anni, in assenza di impianti di risalita, altro non era che lo sci alpinismo attuale. Gli stessi personaggi svolsero una discreta attività alpinistica in Val Màsino, con ascensioni al Badile, al Cengalo e al Disgrazia, e in Val Gerola, con salite al Pizzo Varrone e al Torrione di Mezzaluna. A Battista Tentori, in particolare, è attribuita la prima salita del versante Nord Ovest del Torrione di Mezzaluna, salita realizzata nell’agosto del 1937 con i compagni di cordata Gusmeroli e Consonni. Pochi anni più tardi fu la volta di Giacomo (Mino) Perego, Giovanni Donadelli, Giovanni Cavallini, Renzo Passerini, Renzo Cappelletti, Primo Ciapponi, Sandrino Ciapponi, Gino Del Barba (Giagià), Antonio (Tom) Cornali. Questi ragazzi, con l’entusiasmo della gioventù, oltre a proseguire nell’attività sciistica e alpinistica sulle orme dei compagni più anziani, si trovarono coinvolti in tutte le manifestazioni del periodo fascista, prima come avanguardisti, poi come giovani fascisti, fino al momento del richiamo sotto le armi, avvenuto fra la fine del 1942 e l’inizio del 1943. Un posto speciale, in questa carrellata di alpinisti, lo ebbe sicuramente Alfonso Vinci che negli anni 1938 e 1939 portò a termine alcune delle più interessanti salite della Val Màsino: sulla Punta Milano, sul Pizzo Ligoncio, sulla Punta Sertori e sul Pizzo Cengalo spostando il livello delle difficoltà un gradino più in alto. La 2a guerra mondiale interruppe di nuovo ogni progetto. Tutto si rimise in moto nel 1946 con più voglia e determinazione di prima, forse per dimenticare in fretta un passato doloroso e per guardare al futuro con fiducia. Proprio in Bassa Valtellina, qualche anno più tardi, “negli anni a cavallo fra il 1950 e il 1960, l’alpinismo espresso da Morbegno può essere considerato, con pieno diritto, il più moderno e attivo dell’intera provincia”3. Una nuova sfornata di giovanotti pronti a conquistare il mondo cominciò a muoversi sulla scena alpinistica. Aprirono la strada Felice Bottani e Giovanni Riva con la prima valtellinese, nel 1952, alla mitica parete Nord Est del Pizzo Badile, quella di Riccardo Cassin per intenderci, poi seguirono gli altri: Giuseppe Caneva (Chiscio), Giuseppe (Pep) Dell’Oca, Ernesto Passerini, Ezio Angelini, Bruno Bottani, Luigi Bongio, Egidio Ciapponi, Giorgio Bertarelli (futura
In alto: vetta del Disgrazia. Sopra: sul granito della Sfinge.
8
guida alpina), Antonio Passerini, Piero Botta (Gagin), Luigi Romegialli. L’elenco continua con Titta e Giulio Lavizzari, Adriano Del Nero, Arnaldo Zecca e Pinuccio Del Nero. Negli anni successivi si misero in evidenza Peppino Volpatti, Pierangelo Ciapponi, Carlo Milani, Vincenzo Spreafico, Lodovico Mottarella, Franco Scotti, Pietro Bertolini e Michele Bottani, figlio di Felice. In Val Màsino, fra il 1952 e il 1980 questi alpinisti affrontarono tutte le scalate classiche e tracciarono una trentina di nuove vie sul Badile, sul Cengalo e, soprattutto, sulle pareti della Valle dell’Oro, dalla Punta Milano ai Pizzi dell’Oro, dalla Punta della Sfinge alla Punta Fiorelli e alla Punta Medaccio. Grazie a loro Morbegno può fregiarsi di due vie in suo onore: la “Via Città di Morbegno” sulla Punta Medaccio (B. e F. Bottani e P.A. Ciapponi, 1973) e la “Via dei Morbegnesi” sulla parete Nord Est della Punta della Sfinge (Dell’Oca, Passerini, Bottani, Botta, Romegialli, 1964). Sull’altro versante intanto, in Val Gerola, altre vie venivano aperte: sulla parete Nord Est del Pizzo Varrone (1952) con Chiscio Caneva e Luigi Bongio, sul versante Nord del Dente di Mezzaluna (1955) con Pinuccio Del Nero e Valerio Paltrinieri, sulla parete Est della Cima di Pescegallo (1966) con Caneva e Giorgio Bertarelli, sulla parete Nord dei Denti della Vecchia (1968) con Caneva ed Ezio Angelini. Nulla venne trascurato; secondo le tendenze del periodo si affrontarono ascensioni “invernali” e ascensioni “solitarie”, come quelle di Chiscio Caneva sulla parete Nord Ovest del Pizzo Ligoncio (1972) e sulla Nord Est del Badile lungo la via Cassin (1973). E i Fiorelli? Giacomo, attivo ancora per qualche anno, lasciò il testimone a Virgilio fino alla sua prematura scomparsa nel 1965, poi la tradizione proseguì con Attilio, Dino, Giulio e Ugo. Dai rifugi da loro gestiti, continuarono a consigliare, guidare e soccorrere decine di appassionati che annualmente richiedevano le loro prestazioni. In quegli anni, per l’esattezza nel 1960, ebbe luogo la scissione del C.A.I. Morbegno. La contrapposizione interna fra due opposti gruppi di pensiero portò alla nascita del Gruppo Edelweiss Morbegno (G.E.M.), al quale aderirono quasi tutti gli alpinisti sopra citati. Il C.A.I. si dedicò principalmente alla diffusione dello sci, facendosi carico, ad esempio, dell’organizzazione della “Gara di Olano”, mentre il G.E.M. si orientò decisamente verso l’alpinismo, valorizzando in modo particolare l’attività di gruppo. Nacque così il “Collegamento dei Rifugi” che diventò con gli anni la più importante manifestazione della provincia rivolta agli appassionati di montagna. Sempre per iniziativa dei soci del G.E.M., nel 1964 venne posato il Bivacco Tita Ronconi al Passo di Bondo. Dell’alpinismo al di fuori dell’ambiente di Morbegno e della Val Màsino si hanno poche notizie. Negli anni giovanili si dedicò alle ascensioni Camillo Giumelli di Traona (1917-1986), medico e poeta che, come lui stesso scrisse nel suo “autoepitaffio”: “Quando poi fu costretto a stare al piano / perché non poté più calcar le cime / si dilettò di calpestar le rime”. Altri, come Giuseppe Mossini di Ardenno, che affrontavano le scalate in modo non episodico, facevano capo alle associazioni esistenti in Morbegno. Sicuramente ci furono in tutti i nostri paesi dei forti camminatori che frequentarono assiduamente le montagne di casa soprattutto per cacciare, ma i cacciatori, come sappiamo, non lasciano traccia se non in qualche leggenda. L’escursionismo era certamente un fenomeno diffuso, ma praticato solo nei mesi estivi e quasi sempre proposto dai gruppi parrocchiali e sportivi. Dagli anni ‘70 si diffusero anche nell’ambiente alpinistico di Morbegno le spedizioni extra-europee. I primi a cimentarsi con le scalate fuori dalle Alpi furono
Val Gerola: arrampicando sul conglomerato della Mezzaluna.
9
In arrampicata sulla via Amosso Elli alla Punta della Sfinge.
1 B. GALLI VALERIO, Punte e passi (1888-1910), Sondrio, 1998 2 E. GIBELLI, Val Masino, Bollettino mensile C.A.I. Milano, luglio 1954 3 G. MIOTTI, G. COMBI, G. MASPES, Dal Corno Stella al K2 e oltre, Sondrio, 1996
10
Chiscio Caneva e Carlo Milani che nel 1975 presero parte, con amici del C.A.I. di Bergamo e di Erba, alla spedizione “Città di Morbegno” nelle Ande peruviane, precisamente alla vetta inviolata del Puscanturpa Nord. Nel 1978 venne organizzata una nuova spedizione, “Morbegno 78”, al Cerro Fitz Roy nelle Ande della Patagonia. Purtroppo questa nuova avventura fu meno fortunata della prima, perché l’ascensione dovette essere interrotta a 200 metri dalla meta, a causa del maltempo persistente. Altre ne seguirono: nel 1985 la spedizione al Nevado Yerupaya, ancora nelle Ande, in collaborazione con il C.A.I. di Clusone, e nel 1988 la spedizione “Lombardia 88” al Masherbrum Far West in Karakorum, patrocinata dalle sezioni C.A.I. di Morbegno, Valfurva e Bergamo. Il desiderio di misurarsi con quelle montagne così lontane spinse inoltre molti escursionisti locali ad aggregarsi a trekking organizzati negli angoli di mondo più disparati. La prima spedizione, quella vittoriosa al Puscanturpa, determinò un indotto importante per il C.A.I. Morbegno, perché creò i presupposti per la nascita del Gruppo giovanile. I protagonisti morbegnesi dell’impresa, Caneva e Milani, utilizzando le suggestive immagini della loro avventura, poterono svolgere un’importante azione divulgativa presso le scuole del mandamento, riuscendo a coinvolgere e a portare in montagna più di un centinaio di ragazzi. Il Gruppo fu attivo solo per quattro anni e concluse il suo breve, ma intenso ciclo con l’organizzazione, nel 1978, del raduno regionale giovanile in Val Tàrtano. I risultati comunque si videro, perché molti di quei ragazzi non hanno più smesso di andare in montagna. Gli anni ‘70-80 furono anche gli anni dei Rally di sci alpinismo. Il fascino delle escursioni con le pelli di foca, lontano dalle resse delle stazioni sciistiche, e l’ebbrezza delle discese su pendii immacolati, senza i vincoli imposti dalle piste, suggerirono l’idea di proporre manifestazioni che fossero al tempo stesso occasioni per conoscere le nostre montagne e prove di prestanza fisica. Nel 1975 nacque e divenne una classica stagionale il Rally sci alpinistico della Val Tàrtano, organizzato dal Gruppo sportivo locale in collaborazione con il G.E.M., che aveva già fatto qualche tentativo in tal senso sulle nevi della Val Gerola. Nel 1985, con il declino inevitabile del Trofeo di sci Monte Olano, a causa delle mutate condizioni di innevamento del terreno di gara, anche il C.A.I. propose un raduno rivolto ai cultori dello sci alpinismo, che di anno in anno stava assumendo proporzioni sempre più importanti: il Rallino della Rosetta, sulle nevi dell’Alpe Culino in Val Gerola. La formula, però, era diversa: la prova, più breve, era volutamente adatta alle possibilità di tutti e, anziché la velocità, valorizzava la regolarità. Entrambe le manifestazioni sono tuttora vive e vegete. Intanto le nuove generazioni di alpinisti, alcuni dei quali provenienti dal Gruppo giovanile del C.A.I., sostituiti gli scarponi con le pedule, cominciarono ad affinare la loro tecnica sulla palestra del Sasso di Remenno e sulle pareti della Val di Mello, nel gioco-arrampicata del “sassismo”, per usare il termine coniato in Valtellina, senza per questo rinunciare alle scalate classiche in quota. Il diffondersi delle discipline collegate alla montagna produsse in quegli anni una forte richiesta di scuole di alpinismo. Se ne fece carico il C.A.I. che dal 1989 al 1992 organizzò quattro corsi di sci alpinismo e uno di arrampicata. Gli insegnanti furono gli stessi giovani del C.A.I. che avevano seguito con successo i corsi regionali per istruttori. Essi affiancarono i più anziani Franco Scotti e Vincenzo Spreafico, la guida Giorgio Bertarelli e il direttore Pierangelo Marchetti, appartenente alla nuova generazione delle guide alpine della Val Màsino. Il resto è attualità.
Fra ‘800 e ‘900
11
“I montanari non hanno mai apprezzato troppo le montagne; ci vivono, ma in fondo sono sempre del parere di quel mio amico, pastore d’alta quota, il quale, con tutto il rispetto, accusava il Signore di aver fatto il mondo tutto su e giù, mentre poteva benissimo farlo piano”. Così scriveva Bruno Credaro sulla Rivista mensile del C.A.I. nel 1963, ed aveva ragione. I nostri valligiani hanno sempre collegato la montagna al duro lavoro e alla fatica di tutti i giorni, mai al piacere, e per il loro poco tempo libero hanno sempre guardato al piano piuttosto che alle cime. All’inizio le attività ricreative legate alla montagna furono, perciò, passatempi per persone agiate che durante l’estate salivano dal fondovalle alle località di villeggiatura, dove possedevano comode abitazioni, per trascorrervi un periodo di riposo. Le poche gite effettuate sui monti circostanti rappresentavano più che altro occasioni un po’ diverse per riunire la famiglia e gli amici.
12
Valle del Bitto di Albaredo, inizio ‘900. Nella pagina a fronte: escursione sull’Alpe Garzino. Alle spalle dei gitanti le cime di Pedena e Azzarini.
Qui sopra: a cavallo lungo la Via Prìula nei pressi della chiesetta del Dosso Chierico.
13
Un gruppo famigliare di escursionisti posa per una foto ricordo alla Ca’ San Marco. Il periodo è quello a cavallo fra ‘800 e ‘900.
14
Monte Legnone, 1909. Questa immagine parrebbe invalidare la tesi della “montagna poco amata dai montanari”. Non dobbiamo dimenticare, però, quale forte valore simbolico e quale potere di richiamo hanno sempre avuto le croci poste sulle cime delle montagne a protezione delle comunità di valle. A maggior ragione per i cittadini di Delebio, che per la Val Lésina e per il Legnone hanno sempre avuto un vero e proprio culto.
15
La caccia fu senz’altro il primo e più importante stimolo a spingere gli uomini verso l’alto, ben al di sopra del limite delle attività lavorative. Vera e propria fonte di guadagno per alcuni, per altri ha rappresentato, e tuttora rappresenta, il punto d’incontro fra un’attività remunerativa (la selvaggina è pur sempre cibo) e la pratica di una disciplina sportiva. Sopra: cacciatori della Valle di Albaredo posano con la preda nei primi anni del ‘900. Sotto: venticinque, trent’anni più tardi un’altra generazione di cacciatori, in un altro luogo, Delebio, posa con la preda. Uguale, però, il vezzo di immortalare la “povera bestia” come se fosse viva.
16
Le Guide Alpine
17
18
I CAPOSTIPITI Fra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 si formò in Val Màsino il primo nucleo di quelle forti guide che fecero in seguito parlare di sé nell’ambiente alpinistico nazionale e internazionale. I capostipiti furono Bortolo Sertori di Filorera e i fratelli Giovanni e Giulio Fiorelli di San Martino. Incominciarono negli anni delle campagne del conte Francesco Lurani Cernuschi. Scrive Bruno Credaro: “Ebbe - il Lurani - come guida di fiducia in queste imprese Antonio Baroni, bergamasco della Val Brembana, ineguagliabile nello scoprire il punto debole delle montagne … Con il Baroni portava anche i Fiorelli che entrarono allora nel rango di guida e con l’aggiunta di Bortolo Sertori e degli Scetti formarono un gruppo efficiente. In quei tempi, quando l’alpinismo senza guide non era ancora nato, la presenza delle guide era una condizione essenziale per le fortune di una zona alpina”.1 Su Bortolo Sertori (1858-1918) (“…quell’ometto dai grossi baffi trascurati, vestito miseramente di quel fustagno da contadini che non scalda né ripara dall’acqua non aveva nulla del dominatore dei monti” 2) gli aneddoti si sprecano. Rileggiamo la relazione di Giuseppe Gugelloni sulla prima salita della punta alla quale Sertori diede il nome, salita realizzata dal “Burtul” il 17 settembre 1900, attraverso la parete SE del Pizzo Badile, prima da solo, poi assistendo la cordata di Gugelloni stesso: “Di traverso, lungo la parete destra del dente si percorre una cengia, prima in piedi, poi aggrappati colle sole mani a una crepatura abbastanza distinta, quindi di nuovo in piedi per raggiungere una piccola sporgenza e poi la base del canalino, dove si può prendere fiato. Il canalino in discorso, lungo circa dieci metri, è assolutamente verticale e privo di appigli; neppure il Sertori può superarlo. Si attacca invece alla parete e i suoi piedi nudi, quasi fossero ventose, aderiscono alla globosità di quella roccia liscia; è però per lui un passo difficile, faticosissimo e pericoloso. Noi teniamo il respiro mentre sale, ché ci sembra ad ogni istante debba staccarsi dal muro al quale è appiccicato, e quando lo vediamo in luogo sicuro è per noi un respiro di soddisfazione. Noi saliamo il canalino tirati su dal Sertori, come una secchia dal pozzo… Il Sertori ha già costruito l’ometto e noi gettiamo sopra di esso il rhum che ci rimane, battezzando nello stesso tempo quella cima, prima innominata, col nome di Punta Sertori” 3. L’alpinismo di quel periodo era così. Altri giovanotti della valle, nello stesso tempo, alternavano il loro lavoro abituale di cavatore, scalpellino o muratore con quello di guida. Naturalmente molti di loro erano Fiorelli di San Martino: Enrico e Anselmo (medaglia d’argento al valor militare), quindi Giacomo, Gildo (anch’egli decorato in guerra), Emilio, Marcello e Pietro. E poi Giacomo Morè, pure di San Martino, e Pietro Scetti di Cataeggio. Un altro Anselmo Fiorelli, il Cupin, diventò famoso quando, con Antonio Castelnuovo, vinse nel 1907 la più alta delle Dames Anglaises, nel gruppo del Bianco. Ecco cosa scrive di lui Bruno Credaro in un simpatico volumetto edito nel 1955 da un istituto di credito locale: “Di quale stoffa fossero fatti questi giovani della Valmasino, si vide in un lontano episodio, rimasto famoso negli annali dell’alpinismo italiano: c’erano nel gruppo del Monte Bianco, sulla cresta che va dall’Aiguille Noire de Peuterét alla massima vetta, tre punte ardite di roccia, con pareti a spigoli verticali. Un maligno, forse per via degli spigoli, le aveva battezzate Les Dames Anglaises. Attorno a loro s’era scatenata una sarabanda di corteggiatori; due, dopo molti assalti avevano dovuto cedere e ormai portavano sul vertice un minuscolo ometto, testimonio della resa. Ma la centrale, la più alta di tutte, non cedeva; l’avevano tentata con tutti i mezzi: antenne di legno con pioli, scale; avevano perfino cercato di mandare su verso la cuspide palloncini che alzavano cordicelle munite di arpioni. Niente da fare; perfino il Duca degli Abruzzi con le sue guide aveva dovuto rinunciare. Fu allora che partì all’attacco il Castelnuovo, alpinista così tenace che aveva vinto il Dente di Coca dal Versante di Val d’Arigna al settimo tentativo. Egli ebbe una trovata geniale: invece delle per-
In alto: sulla vetta del Badile. Qui sopra: Anselmo Fiorelli detto "Cupin".
19
tiche e dei palloncini, portò con sé ai piedi del grande torrione un ragazzotto della Valmasino; si chiamava Anselmo Fiorelli, aveva diciotto anni e non conosceva del mondo nulla oltre Ardenno. Molti anni dopo, diventato guida di grido, mi raccontava di aver provato una certa paura nel salire il ripido canalone di ghiaccio che dal ghiacciaio della Brenva portava alla cresta; ma appena messo le mani sulla roccia, aveva scoperto che somigliava molto a quella della sua valle e s’era trovato come a casa sua. Provò una prima volta su per uno spigolo, ma gli appigli erano così radi e minuti che non ce la faceva. Allora scese e prese una strana determinazione: per aumentare l’aderenza contro la roccia, si spogliò nudo e riprese a risalire, vestito solo della corda legata alla vita; saliva a stento, tagliuzzando la pelle contro la roccia, ma continuava a guadagnare in altezza; quando fu sulla punta, si alzò come una statua su quel glorioso piedestallo domato: le Dames Anglaises, nella luce del tramonto, erano rosse di vergogna” 4.
LA SECONDA GENERAZIONE
Giulio Fiorelli il Vecchio.
Nel primo dopoguerra la guida più famosa fu senza dubbio Giacomo Fiorelli, figlio di Giulio, custode della Capanna Gianetti. Anche di Giacomo, che da un murale su una casa di San Martino si staglia solenne sullo sfondo delle sue montagne, l’anedottica è ricca. Proponiamo il sintetico ritratto che di lui fece Aldo Bonacossa: “Forse dopo che i vostri piedi avranno fatto una prima conoscenza col durissimo granito della val Màsino sulla sconnessa selciatura vedrete spuntare con fare un po’ da piccolo moschettiere la più famosa guida della valle, il Giacomo. Se gli ispirerete fiducia chiedetegli un po’ del tempo. Una tirata a un solo baffone, l’altra mano a mettere il cappello di traverso, un’occhiata quasi cattiva verso il cielo e poi magari: «Gh’è un vent de sciropp». Sarà questa la vostra prima introduzione nella linguistica della valle” 5. Giacomo si rifiutò costantemente di calzare i ramponi, non volle mai saperne dei chiodi e reagiva scherzando con chi lo stuzzicava sui gradi di difficoltà. La sua unica regola era arrampicare “alla naturale”, vale a dire a piedi nudi come Bortolo Sertori, e con “el spirit”, una miscela di fegato e volontà. Dopo Giacomo altre guide si misero in luce: Guglielmo (1908-2001) e Lao (classe 1917) Fiorelli e Pio Dolci di Cataeggio (1899-1995), specializzato come guida del Disgrazia, della costiera Arcanzo-Remoluzza-Monte Pioda e della zona di Corna Rossa-Cassandra. All’inizio degli anni ‘30 si impose per capacità, professionalità e disponibilità umana Virgilio Fiorelli (1902-1965), figlio di Anselmo (quello delle Dames Anglaises), gestore del Rifugio Antonio Omio, costruito nel 1937 dalla S.E.M. (Società Escursionisti Milanesi) in Val dell’Oro. Le sue qualità di ottimo sciatore-alpinista gli consentirono di collezionare, assieme ad Angelo Calegari di Milano, una lunga sequenza di prime invernali. Un posto nell’album delle guide lo merita sicuramente anche Alessandro Morè (1900-1997). Non era guida patentata, ma nel periodo estivo era sempre pronto a “portar su” escursionisti e alpinisti. Fu proprio il Morè nel 1935 a correre in soccorso, purtroppo inutilmente, di Antonio Omio quando trovò la morte sulla Rasica a causa di un improvviso rovesciamento del tempo.
LE CAPANNE Gli anni del secondo dopoguerra sancirono definitivamente il nuovo modo di affrontare l’alpinismo: cordate autosufficienti che si muovevano “senza guida”, terminologia con la quale era un titolo di merito fregiare in calce le relazioni delle
20
scalate. Di conseguenza diminuirono gli sbocchi professionali delle guide che, viste le scarse richieste di accompagnamento, si riconvertirono in gestori di rifugi. Gestori specializzati, però, e assolutamente insostituibili, perché la loro presenza in rifugio ha sempre significato e significa conoscenza dei luoghi, capacità nel valutare le difficoltà e le condizioni del tempo e, soprattutto, garanzia di tempestività in caso di soccorso. Così i Fiorelli, pur continuando a svolgere la loro professione anche al di fuori della natia Val Màsino, e un’attività alpinistica individuale di tutto rispetto, legarono indissolubilmente il proprio nome alle capanne (termine preferito in valle a quello di rifugio) Omio, Gianetti e Allievi. La Capanna Omio, in Val dell’Oro, a quota 2100 metri, gestita, dopo la morte di Virgilio, da Attilio (1925-2000) e da Dino (classe 1927), valente rocciatore con un palmarès degno di nota, sempre pronto ad ascoltare, a consigliare e ad aiutare. La Capanna Gianetti, in Val Porcellizzo, a quota 2534 metri, regno di Giulio Fiorelli (1927-1984), figlio di Giacomo. Anche Giulio, grazie al suo carattere apparentemente spigoloso, fu personaggio da racconti. Noto per la sua tirchieria (si favoleggia di conti che, fra le diverse voci di spesa, comprendevano anche la data), si divertiva ad assumere atteggiamenti rustici. Ricordo che, quando si saliva alla Gianetti con amici del C.A.I. Morbegno, ci accoglieva con un “Uei, malvagi!”, seguito da qualche battutaccia canzonatoria; lui con le mani in tasca, fresco e riposato dall’alto del piazzale, noi ansimanti lungo gli ultimi metri di salita, senza la forza di poter controbattere per le rime. In realtà Giulio era un “burbero benefico”, guida professionalmente preparata e attenta nel seguire e nell’assistere sia chi affrontava un’ascensione impegnativa sia chi partiva per una semplice traversata. Ha preso il suo posto il figlio Giacomino. La Capanna Allievi, affiancata ora dalla Bonacossa, a quota 2385 metri in Val di Zocca, gestita da Ugo Fiorelli (classe 1936), figlio di Guglielmo. Intrattenitore nato, Ugo è il riferimento sicuro per alpinisti ed escursionisti che frequentano due degli ambienti più severi e suggestivi della Val Màsino: la Val di Zocca e la Val Torrone. I Fiorelli a San Martino, gli Scetti a Cataeggio, dove la montagna di casa è il Disgrazia. Gli Scetti sono sempre stati legati a filo doppio alla Valle di Predarossa, prima come depositari delle chiavi della Capanna Cecilia, poi come custodi della Capanna Ponti, edificata nel 1928 a quota 2559 metri, nei pressi della morena del Ghiacciaio di Predarossa. Cominciò nonno Pietro, poi, alla sua morte nel 1921, continuò, anche senza essere guida, suo figlio Francesco. La tradizione è continuata con Amedea, coadiuvata dal marito Ezio Cassina, perchè il fratello Ezio, espatriato ai Piani Resinelli, era diventato laggiù, su quei monti ai margini della pianura, guida e gestore del rifugio Porta. Dobbiamo arrivare agli anni ’60 per trovare la prima guida cittadina: Giorgio Bertarelli. Nato a Menaggio, ma valtellinese d’adozione, è stato coordinatore della Stazione del soccorso alpino della Bassa Valle dal 1972 al 2001. Tuttora in attività, è responsabile della sicurezza del Sentiero Roma. Quale futuro per le guide della Val Màsino? Il testimone pareva essere passato con successo a Pierangelo Marchetti (Kima) di Filorera che aveva avuto il coraggio di scegliere la carriera di guida nonostante i tempi fossero difficili per questa professione. Purtroppo Kima ha perso la vita nel corso di una sfortunata operazione di soccorso in Val Chiavenna, nel 1994. Le speranze sono attualmente riposte in Daniele Fiorelli, unico per ora ad aver scelto la professione dei suoi avi.
Giacomo Morè.
1 B. CREDARO, Rivista mensile C.A.I., n. 5,6/1963 2 A. BONACOSSA, Rivista mensile C.A.I., 1920 3 G. GUGELLONI, Rivista mensile C.A.I., 1900 4 B. CREDARO, Storie di guide, alpinisti e cacciatori, Sondrio,1955 5 A. BONACOSSA, Val Màsino, Bollettino mensile C.A.I. Milano, luglio 1954
21
22
La guida Pietro De Donati di Delebio. La Valle della Lésina è un valle per intenditori. Ingiustamente bistrattata a causa dei dislivelli “himalayani” che si devono superare per raggiungere le quote superiori, se non facendo ricorso a mezzi fuori-strada, in realtà offre ai pochi frequentatori scorci orobici di insolita bellezza e una cima di tutto rispetto: il Monte Legnone (m 2610) che domina, imponente, la Bassa Valtellina e l’Alto Lario e dalla cui cima si può godere un panorama senza uguali. Pochi sanno che la Valle della Lésina ha avuto un nobile passato di guide alpine e di escursionismo per merito del Circolo Stella d’Alpe di Delebio che, nel 1897, pubblicò anche un sostanzioso opuscolo dal titolo “Delebio e il Monte Legnone”, scritto, fra gli altri, dal Dottor Ercole Bassi. Da questo opuscolo apprendiamo che il Circolo, oltre a organizzare “liete feste - e - attraenti accademie musicali, che diedero splendidi ottimi risultati ” si occupava anche di escursionismo, perché “ basterà citare l’ardua e faticosa opera, testè compiuta, e che un giorno apporterà al paese indiscutibili utilità e benefici, voglio dire il segnalamento completo di nuovi sentieri, che dalla stazione ferroviaria conducono al magnifico Pizzo del Legnone”. Lo stesso opuscolo informa che in quegli anni erano attive a Delebio due “Guide approvate dal C.A.I. per la salita al Pizzo Legnone: Dedonati Domenico e Dedonati Pietro”.
23
24
Nella pagina a fronte: Giacomo Fiorelli sulla soglia di casa a S.Martino. Scriveva Enzo Gibelli nel 1954: “Adesso tutti fanno la montagna come i tedeschi – dice – spigoli e pilastri. Ma lui andava per l’”altessa” - e leva la mano con il dito puntato verso il cielo, un cielo grigio e gonfio di pioggia. Intendiamoci, l’altessa per lui è sinonimo di molte cose: vuol dire fra l’altro piacere della conquista, gioia della scalata, godimento del panorama”. In alto a sinistra: Giacomo Fiorelli sulla cima del Badile con una cliente. Giacomo Fiorelli nel marzo del 1938, oramai sessantenne, effettuò con Virgilio Fiorelli e il forte alpinista milanese Angelo Calegari la prima ascensione invernale del Pizzo Badile, la “sua” montagna, che in 50 anni di attività salì più di 500 volte (l’ultima nel 1946, all’età di 67 anni, come guida di due signorine). In alto a destra: Giacomo Fiorelli negli anni ’30 nei pressi della cascata del Ferro. Sotto: Giacomo Fiorelli sul Pizzo Badile con un cliente.
25
26
Nella pagina a fronte: Virgilio Fiorelli nel 1934 all’attacco della cuspide della Punta Rasica. Raccontava che suo papà Anselmo, quando ancora non esisteva la tecnica “Dülfer” per il superamento di questo delicato passaggio, aveva inventato un originale stratagemma: lanciava una corda alla cui estremità era legata una palla di piombo al fine di ancorarla a un piccolo intaglio della cuspide, per poi issarsi al di sopra del tratto difficile. E lo raccontava con molta ammirazione, ma anche con un po’ di stizza, perché a lui questa operazione non riusciva. Virgilio Fiorelli nel 1934 .E’ con lui Carla Calegari con la quale, prima donna italiana e seconda a livello mondiale, nel 1936 effettuerà l’ascensione dello spigolo Nord del Pizzo Badile. I fratelli Carla, Angelo e Romano Calegari di Milano furono assidui frequentatori dei monti del Màsino e si avvalsero
spesso dei servigi professionali di Virgilio. Soprattutto Angelo, grazie alle buone doti di sciatore della guida, potè compiere molte prime invernali.
27
A fianco: Pio Dolci sul Disgrazia nel 1932.
Sopra a sinistra: Ghiacciaio di Predarossa, inizio anni ‘30. Pio Dolci (a destra in primo piano) reclutato per fare da guida a tre topografi dell’Istituto Geografico Militare di Firenze durante una campagna di rilievi. Ricordiamo che, grazie alla sua posizione disallineata rispetto alla catena principale delle Alpi Retiche, il Monte Disgrazia è un caposaldo trigonometrico. Il segnale è ben visibile sul cippo che si erge sulla cima.
28
Sopra a destra: Francesco Scetti (1904-1975) alla Capanna Ponti nel 1937. Già depositario delle chiavi della Capanna Cecilia assieme al papà Pietro, Francesco Scetti gestì la Capanna Ponti dalla sua edificazione nel 1928, fino al 1974. Lo aiutavano i componenti della sua numerosa famiglia: la moglie Agnese con i figli Pietro, Rita, Ezio, Olimpia e Amedea. Nel 1941 partecipò, con l’accademico Carletto Negri, al recupero di quattro alpinisti milanesi dispersi sul Ghiacciaio di Predarossa dal 1924.
Verrebbe da pensare che la Val Màsino, tanto celebrata per la sua epopea alpinistica, sia stata località turistica al pari delle più rinomate stazioni italiane ed europee. In realtà è sempre stata terra poverissima. Gli alpinisti attirati da queste montagne furono in passato, statisticamente, una presenza non significativa e tale da non garantire il sostentamento ai gestori delle capanne, i quali dovettero costantemente integrare i magri introiti della loro attività con altri lavori. Solo da una trentina d’anni i rifugi possono essere considerati una fonte di guadagno appetibile. Ricorda Ezio Scetti che alla Ponti, negli anni ‘50, gli avventori che pernottavano, per di più con il buono sconto rilasciato dal C.A.I., non arrivavano a 200 nel corso di tutto l’anno, così che lui e i suoi fratelli, una volta scesi a Cataeggio nel mese di settembre, erano costretti a recarsi in Svizzera a “fare la stagione”. Nella pagina a fronte: la guida Pio Dolci (1899-1995) nei pressi della Capanna Ponti nel 1940.
29
30
Nella pagina a fronte: Val Bregaglia, anni ‘60. Giulio Fiorelli sullo spigolo Est del Pizzo Cengalo. Nel 1949, a 22 anni, è stata la più giovane guida d’Italia. Fu compagno di cordata di alpinisti celebri come Claudio Corti e Carlo Mauri. Con il primo tracciò una nuova via sulla parete Nord Est dei Pizzi Gemelli, con il secondo aprì un itinerario sullo spigolo Sud della Punta Torelli. Nel 1974 gli alpinisti De Angeli e Frigerio gli dedicarono una via, la “via Giulio Fiorelli” sulla parete Nord Ovest del Pizzo Badile. Sopra: Val Porcellizzo, anni ‘50. Giulio Fiorelli con una cliente vicino alla croce Castelli-Piatti sulla via normale al Pizzo Badile. Sotto a sinistra: Valle Porcellizzo, anni ‘60. Giulio Fiorelli con la sua famiglia sulla porta della Capanna Gianetti. A destra: Val Porcellizzo, 1995. Giacomino Fiorelli che ha preso il posto del papà Giulio nella gestione della Capanna Gianetti.
31
32
Nella pagina a fronte: Valle dell’Oro, 1956. Dino Fiorelli sulla normale della Punta Milano. Coetaneo di Giulio, ma anche suo nipote per via di secondi matrimoni, con lo zio effettuò nel 1956 la prima ascensione invernale al Pizzo Badile, lungo la Via Molteni, e al Pizzo Cengalo, lungo la Via Bonacossa. Altre importanti ascensioni di Dino furono: nel 1952 la prima invernale alla Punta Milano con Brancati e Montrasio; nel 1956 la via “Dino Fiorelli” sulla NE della Sfinge con G.M. Radaelli; nel 1957 la prima invernale della via “Bonacossa” sulla SSO del Cengalo, con Giulio Fiorelli; nel 1958 la parete SE della Punta Angela al Cengalo con L. Airoldi, R. Gallieni e D. Piazza.
Sopra a sinistra: Val Porcellizzo, 1956. Dino Fiorelli accanto alla Madonnina della Punta Sertori, che lui stesso aveva trasportato sulla cima qualche anno prima. A destra: San Martino, 1996. La guida emerita Dino Fiorelli in occasione della Festa delle guide.
33
Sopra: Capanna Ponti, 1957. La guida Attilio Fiorelli. Con Felice Bottani e Giuseppe Dell’Oca effettuò nel 1961 una delle poche (allora) ripetizioni della NE al Badile. Nel 1966, sempre con Felice Bottani, tracciò una nuova via sul Pizzo settentrionale dell’Oro. Sua anche una via sulla parete Nord del Pizzo del Ferro realizzata nel 1959, anche se ufficialmente fu attribuita ad altri. A fianco: San Martino, 1996. Attilio, Dino e Lao Fiorelli in occasione della Festa delle Guide.
34
Ugo Fiorelli (classe 1936), anfitrione delle capanne Allievi e Bonacossa in Val di Zocca. Guida alpina e cacciatore, secondo la più classica delle tradizioni montanare, conosce alla perfezione i dirupi, i più segreti anfratti e i passaggi più impervi della Val di Mello e della maestosa bastionata di granito che separa la Val Màsino dalla Val Bregaglia. A fianco: al rifugio Allievi con il figlio Antonello. Sotto: nel gruppo del Monte Bianco con Giulio Fiorelli
35
Sopra: la guida Pietro Scetti (classe 1930) alla Capanna Ponti negli anni ‘50. Pietro fu protagonista di un salvataggio letteralmente d’altri tempi. In un giorno di maltempo del luglio del 1951 alla Capanna Ponti scattò l’allarme: un alpinista di Torino era scivolato dalla cresta del Passo Cecilia giù sul Ghiacciaio di Pioda ed era ferito. Ezio, allora dodicenne, partì dalla Ponti e si precipitò in pochissimo tempo a Cataeggio dove sapeva di trovare il fratello Pietro. Alle 12.15 Pietro partì dal paese di gran carriera, salì alla Ponti, proseguì per la Bocchetta Roma, discese sul Ghiacciaio di Pioda e alle 15.15 raggiunse il luogo dell’incidente. Nel frattempo, alle 14.00, erano partiti da Cataeggio altri soccorritori (cugini di Pietro) ai quali si unì, una volta che arrivarono alla Capanna, anche Rita, sorella di Ezio e Pietro. Alle 18.30 i soccorritori poterono finalmente iniziare il
trasferimento a valle del ferito. La discesa lungo la Val di Mello fu drammatica, perché lo stratempo che imperversava dalla mattina, ingrossando i torrenti, rendeva il trasporto della barella quanto mai difficoltoso e pericoloso. Il ferito poté essere caricato sull’ambulanza a San Martino solo alle 22.30, circa 14 ore dopo l’incidente; molte se usiamo come termine di paragone gli interventi di oggi, supportati da radiotelefoni ed elicottero, ma pochissime se si considerano le modalità e le circostanze con le quali avvenne l’operazione di soccorso. Sotto: Ezio Scetti (Classe 1939), al centro, sulla cima del Disgrazia, nel 1958. Ezio, abbandonato il Rifugio Porta ai Piani Resinelli alla fine degli anni ‘70, è ritornato in valle. Dal 1991 è negli organici della Stazione di Soccorso Alpino di Val Màsino, di cui attualmente è il responsabile.
36
Giorgio Bertarelli (classe 1936) di Menaggio. Trasferitosi nel 1938 a Colico e nel 1954 a Talamona per ragioni di lavoro, può essere considerato valtellinese d’adozione. Attualmente vive a Morbegno. E’ diventato guida alpina nel 1967 dopo aver frequentato il Corso guide ai Resinelli, in Val Màsino e in Val Malenco. A sua volta ha fatto per diversi anni l’istruttore di guide assieme a Enrico Lenatti. Membro dal 1962 del Soccorso Alpino, dal 1972 al 2001 è stato coordinatore della Stazione di Morbegno. Tuttora in attività, è il responsabile della sicurezza del Sentiero Roma. Nelle foto: Giorgio Bertarelli durante un’ascensione al Disgrazia nel 1956.
37
Kima in arrampicata sulle falesie delle Calanques della Costa azzurra (a sinistra) e sui seracchi del Ghiacciaio del Ventina (a destra).
Pierangelo Marchetti (Kima), classe 1963, di Filorera. Perito agrario, iscritto alla facoltà di Scienze della produzione, preferì ad una professione sicuramente più remunerativa, quella di guida alpina. Una scelta esistenziale senza ritorno per vivere in modo
38
totale la montagna e la sua valle. Entrato nel Soccorso alpino di Val Màsino nel 1984, fu uno dei promotori dell’elisoccorso, nella convinzione che si dovesse dare un’impronta più professionale all’ente di cui faceva parte, al fine di migliorare l’efficacia degli interventi. Proprio l’elicottero
gli fu fatale, perché nel 1994, nel corso di un’operazione di recupero di un infortunato in Val Chiavenna, il cavo del verricello a cui era appeso si tranciò e Kima precipitò, perdendo la vita assieme al ferito che stava soccorrendo.
Val Màsino, 1969. Vera Cenini nell’Albergo dei Bagni Màsino in occasione della “Festa delle Guide”. Accanto a lei Riccardo Cassin, Guidi Bettini e Dino Doni, il pilota dell’elicottero che trasportò il Bivacco Redaelli in cima al Badile. In seconda fila Fernando Fanoni, Dino Fiorelli, Felice Bottani, Pompeo Marimonti. Vera Cenini merita senz’altro un posto nell’album delle guide. Nel 1956 assunse la direzione dell’Albergo Bagni Màsino che da quel momento diventò il cuore e la centrale operativa del Soccorso Alpino della valle. Da questa postazione strategica seguì e coordinò fino al 1991 le operazioni riguardanti i fatti più drammatici della storia alpinistica del MàsinoBregaglia. Ha conosciuto tutti i grandi alpinisti che hanno reso celebri queste montagne e con essi ha intessuto rapporti di collaborazione e di amicizia. “La montagna mi ha dato molto. – ha sempre detto - Ho arrampicato, ma chi ama la montagna la frequenta indipendentemente dal primo, secondo o terzo grado”. Nel 1972 le venne dedicata la “Via Vera” sulla parete Sud Est del Badile da parte degli alpinisti C. Corti e C. Gilardi.
39
Una cordata sul Ghiacciaio del Ventina lungo l’itinerario di discesa della Corda Molla.
40
L’Alpinismo Senza Guide
41
I RAGAZZI DEL VALLO LITTORIO I moderni sky runner avrebbero trovato degni concorrenti nei coetanei della generazione dei loro nonni. Sì, perché gli alpinisti del periodo compreso fra le due guerre furono innanzi tutto formidabili camminatori. Non dimentichiamo che allora sia i mezzi di trasporto sia le disponibilità economiche, dei giovani soprattutto, erano scarse; per questo motivo gli avvicinamenti a quelli che sono gli attuali punti di partenza per le escursioni o le ascensioni dovevano essere fatti a piedi o tutt’al più in bicicletta, con noiose camminate o pedalate lungo le polverose strade della Val Gerola o della Val Màsino. I dislivelli di 2000 metri e più nell’arco della giornata erano la normalità. La naturale predisposizione di molti giovani alla montagna veniva in quel periodo favorita e valorizzata dalle numerose iniziative proposte dai locali Comandi federali fascisti che, per ordini superiori, intendevano dare il massimo impulso all’alpinismo di massa “per affinare il senso della disciplina e il cameratismo”. In questo contesto si inserirono le Giornate Alpine della G.I.L. (Gioventù Italiana del Littorio), che ogni anno prevedevano escursioni e ascensioni sulle nostre montagne e la “Staffetta Alpina del Vallo Littorio” del 1942.
1941: in vetta al Cengalo.
LE CLASSICHE Negli anni ‘40/50 le gite classiche con partenza da Morbegno (rigorosamente a piedi!) erano tre: il giro della Ca’ San Marco, la salita al Pizzo dei Tre Signori e, nella stagione invernale, l’escursione con gli sci sull’Alpe Olano. Giro della Ca’ San Marco: da Morbegno, per Valle, Albaredo e Dosso Chierico, lungo la Via Prìula e le temute scale d’Orta, si raggiungeva l’ometto del Passo San Marco e, poco più a valle sul versante bergamasco, la Cantoniera. Da qui le possibilità erano diverse: si poteva puntare ai laghetti di Ponteranica, risalire la pietraia e il magro pascolo fino ad un intaglio della cresta Valletto-Ponteranica (Finestrun de Pultranga), scendere a Fenile e, attraverso Gerola, ritornare a Morbegno; oppure risalire fino alla bocchetta di Verrobbio, traversare al Forcellino, costeggiare il Lago di Pescegallo, da dove si scendeva a Fenile e, quindi, a Morbegno; i più allenati proseguivano per i laghetti di Ponteranica, il Passo di Salmurano, il Lago Piazzotti, il Lago Rotondo, il Lago d’Inferno per poi scendere finalmente a valle. Pizzo dei Tre Signori: da Morbegno via Bona Lombarda, Sacco, Rasura e Pedesina (lungo la vecchia strada, ancora percorribile per lunghi tratti a valle del tracciato attuale) fino a Gerola, da dove, risalendo la Valle della Pietra, si raggiungeva il Lago d’Inferno e quindi la cima del Pizzo lungo la cresta di Piazzocco. Escursione sci-alpinistica sull’Alpe Olano. La Guida sciistica delle Alpi Orobie, edita dal CAI Bergamo nel 1939, indicava questi itinerari per il settore della Bassa Valtellina: Val Lunga-Tàrtano; Pizzo Gerlo dalla Val Lunga, con discesa da Vicima; Passo San Marco da Albaredo; Passo di Salmurano da Gerola Alta; traversata Pedesina-M. Rosetta-M. Olano-Morbegno. L’itinerario del Passo San Marco veniva proposto nel 1938 anche dal Console Italo Romegialli nella “Piccola guida sciistica della provincia di Sondrio” curata da Bruno Credaro. Ma l’escursione per eccellenza dei giovani morbegnesi era indiscutibilmente quella alla Corte e all’Alpe Olano lungo la mulattiera che congiunge Morbegno a Sacco attraverso la Bona Lombarda. Le gite classiche per la gioventù degli altri centri della Bassa Valle erano collegate
42
alla posizione geografica delle località di partenza. Mentre in Val Màsino si saliva alle capanne, in Val Tàrtano si puntava ai laghetti di Porcile e al Passo di Tàrtano da dove, spesso, si scendeva fino a Foppolo in bergamasca. In Valle del Bitto erano molto frequentati i laghetti di Pescegallo, Trona e Inferno (naturali fino agli anni ‘40) e il Pizzo dei Tre Signori da Gerola, il Pizzo Rotondo da Pedesina e le cime della Rosetta e della Bianca da Rasura. Sull’altro versante della valle le mete preferite erano il Pizzo Berro e l’Alpe Vesenda da Bema, la Cima di Lago e il Passo San Marco da Albaredo. Le classiche da Talamona erano l’Alpe Pedroria e il Pizzo Pisello; da Delebio il Pizzo Alto e il Monte Legnone in Val della Lésina; da Ardenno e da Buglio le Alpi Granda e Scermendone e dalla Costiera dei Cèch la Bassetta, l’Oratorio dei Sette Fratelli, la Val Toate e l’Alpe Visogno con i Tre Cornini. Molto spesso queste escursioni erano legate alla celebrazione dell’anniversario della posa di qualche croce, targa o cippo.
ALFONSO VINCI L’alpinista probabilmente più all’avanguardia del periodo fra le due guerre fu Alfonso Vinci (1915-1992). Nato a Dazio, si trasferì quasi subito a Como. Laureato in lettere e filosofia e in geologia, fu alpinista, esploratore, cercatore di diamanti in Brasile, Cile e Venezuela. Ebbe anche il tempo di scrivere diversi libri, alcuni dei quali ambientati in Amazzonia, e molti articoli sull’alpinismo, dove poté mettere in evidenza il suo modo di concepire l’arrampicata. Fu il teorico del cosiddetto alpinismo sportivo, rivolto ad una ristretta élite, inteso come ricerca della difficoltà estrema e come esigenza di eleganza nel superamento dei passaggi. In sintonia con i moderni climbers, fu un esteta dell’arrampicata e contribuì a spostare più in alto il livello medio delle difficoltà. Nell’intento di confrontare l’arrampicata su granito e su dolomia Vinci scriveva: “Quando qualche rara struttura permette una arrampicata estremamente difficile, ma che sia vera e naturale, allora essa non presenta che le solite conosciute e talvolta esagerate differenze: appigli lontani e scarsi; loro conformazione tendente all’arrotondamento, o piuttosto pianeggiante, dove occorre lavorare di palmo per poter sostenersi. Struttura a grande disegno, quindi arrampicata più atletica, elegante ma faticosa, e sebbene meno delicata, molto più precisa e misurata che quella in dolomia. La caratteristica particolare del sesto grado sul granito della Val Màsino si compendia non in acrobatismi, ma in fatica bruta, in estremo coraggio, in lunghezza d’itinerari che nascondono sempre sorprese sgradevoli, nell’applicazione di tutte le più raffinate risorse artificiali della moderna tecnica. Per la mancanza di asperità, per la levigatezza delle placche enormi che si accavallano nel cielo, la cuspide di granito è ben più terribile della dolomitica” 1. Le sue “prime” nel gruppo del Màsino rappresentarono la concretizzazione delle sue teorie: • 11 luglio 1938: Pizzo Ligoncio, parete Ovest Nord Ovest, con P. Riva; • 15 luglio 1938: Punta Milano, parete Ovest (Via Vinci), con P. Riva; • 14 agosto 1939: Punta Sertori, parete Est, con E. Bernasconi e P. Riva; • 16 agosto 1939: Pizzo Cengalo, cresta Sud Sud Ovest (via Vinci), con E. Bernasconi e P. Riva. La via lungo la parete ONO del Pizzo Ligoncio venne inserita dallo stesso Vinci nel ristretto novero di scalate di VI grado della regione Màsino-Bregaglia, con un livello di difficoltà appena inferiore a quello della Nord Est del Pizzo Badile e la Via Vinci al Cengalo costituisce ancora oggi una delle arrampicate più eleganti e impegnative della zona.
Spigolo Vinci al Cengalo.
1 A. VINCI, Rivista mensile C.A.I., n. 8,9/1938
43
44
L’impresa più importante di Alfonso Vinci, per la quale ricevette la medaglia d’oro al valore atletico nel 1939, fu la 1a salita alla parete OSO del Monte Agner nelle Pale di San Martino. Parete di 1300 metri, ritenuta l’ultimo problema alpinistico delle Dolomiti, che richiese due giorni di scalata, per di più avversati dal maltempo, e due bivacchi. Fu, però, il granito della Val Màsino a stuzzicare maggiormente l’esigenza di “arrampicata estetica” di Alfonso Vinci. Ecco cosa scrive nella già citata monografia dedicata alla Val Màsino, sulla Rivista mensile del C.A.I. nel 1938: “E’ su quella gigantesca isola di puro granito che sono i monti del Màsino e della Bregaglia che l’impresa di sesto grado ha trovato una delle sue maggiori attuazioni, fuori della cerchia nativa delle Dolomiti. … Nei circhi glaciali della Bondasca, sopra i frantumi delle vedrette, si levano le enormi cattedrali del Badile, della Trubinasca, le sconvolte muraglie della Sciora, le gole e gli antri del Cengalo e dei Gemelli: uno dei complessi più titanici di pareti e di cime in tutte le Alpi. Dall’idilliaco circo della Val Spassato si innalzano, tra le altre innumerevoli ardite strutture, la parete ONO del Ligoncio e l’unica, impressionante placca della Sfinge, per cui nel vocabolario alpinistico esiste, forse, ancora la parola impossibile. … Sopra il numero sterminato delle vie dei gradi inferiori, non sportivi, innumerevoli sono nella regione le scalate di V° grado, delle quali molte racchiudono passaggi accertati di sesto”.
Ci pare appropriato accompagnare le fotografie e gli scritti di Alfonso Vinci con alcuni versi del Dottor Camillo Giumelli di Traona che nel 1936 fu compagno di cordata di Vinci al Castello delle Nevere, nel gruppo del Civetta.
GRANITO Granito, roccia che t’ergi nel cielo profondo, voce di un mondo scomparso nel tempo. Tu balzi dai ghiacci con mille picchi pareti e spigoli vertiginosi affiori tra i prati odorosi che cercano ghiotte le capre a fasce che il piede percorre più lieve, granito fatto liscio dalla neve, spaccato dal gelo, eroso dall’acqua che scava con lento lavoro la fossa. Granito! Regno incantato ove tace nei vasti silenzi la luna e il sole aduna cumuli d’ombra per fratti diedri chiazzati di muschio infido ove il grido dell’avvoltoio feroce e ogni voce (pietra, fiume, vento) suscita una eco e muore. (Da POESIE, di Camillo Giumelli, Sondrio, 1998)
45
46
Nella pagina a fronte: Val Màsino, 1941. Nelle iniziative promosse dai Comandi federali fascisti per “consolidare la passione della conquista della montagna, in tutte le stagioni e in qualsiasi condizione” furono coinvolti anche i nostri giovani. Ecco alcuni avanguardisti affrontare, secondo le direttive del tempo, le placche del Pizzo Cengalo.
Nelle foto in alto: Val Màsino, 1940. A sinistra: Il caminetto lungo la via normale al Pizzo Badile. A destra: Gianni Bondiolotti, Mino Perego e Dino Pensa accanto alla piramide in cima al Pizzo Badile. Sono palesi la soddisfazione e l’orgoglio di avere raggiunto la cima “senza guida”. In Basso: Val Màsino, 1942. Due cordate entrambe di quattro elementi, una di Morbegno (Giovanni Cavallini, Giovanni Donadelli, Renzo Cappelletti e Primo Ciapponi) e una di Val Màsino (in alto a destra Virgilio Fiorelli), incontratesi per caso all’attacco della via normale al Pizzo Badile, si sfidarono in una improvvisata gara di velocità. Vinsero i Morbegnesi. Racconta Giovanni Cavallini che dalla cima sentiva le imprecazioni di Virgilio, rimasto attardato giù nel canale a causa delle difficoltà di progressione di uno dei suoi.
47
48
Nella pagina a fronte: Monte Disgrazia, giugno 1942. Giovanni Donadelli, Renzo Passerini e Mino Perego sulla “Via dei Topografi” che si sviluppa sul versante Sud traversando a destra del Canalone Schenatti per poi salire direttamente in cresta nei pressi della cima. La via, che per un certo tratto rappresentava una novità, venne così ribattezzata, perché nel corso dell’ascensione gli alpinisti
raggiunsero un terrazzino sul quale trovarono i resti di una baracca di legno utilizzata da un gruppo di topografi tedeschi. Dalle macerie della capanna venne fuori una bottiglia contenente un manoscritto in lingua tedesca, datato 1889. Del documento, trasmesso al C.A.I. centrale, si perse ogni traccia.
Sotto: Monte Disgrazia, 1946. Giovanni Donadelli, Renzo Cappelletti e Mino Perego nei pressi della cima. Sul Disgrazia, nel 1946, Mino Perego fu protagonista di una performance di rilievo. Partito alle 5.55 da solo dalla Capanna Ponti, in 2 ore e 10 minuti, percorrendo la morena e la direttissima del canalone Schenatti, superò i 1100 metri che lo separavano dalla cima. Ripresa la via di discesa alle
8.35, alle 9.35 era di nuovo alla Ponti. Un saluto a Francesco Scetti che l’aveva seguito con il binocolo durante tutta la salita e, alle 10.00 via, alla volta di Filorera dove il giorno prima aveva lasciata la bicicletta. Alle 12.15, a Morbegno, salutava l’amico Giovanni Donadelli che stava chiudendo il negozio. “Ma allora – suggerisce Mino - avevo solo 24 anni”.
“… Sul fondo della Valle un torrente, acqua freddissima, acqua di neve, acqua di ghiaccio, bianca e spumeggiante, dapprima è un rivolo che sbuca a fatica dalla morena, poi pian piano si ingrossa, schiva un macigno con tenue rumore quasi avesse paura, poi ingrossandosi il fiume si fa più ardito, qui una cascatella, là una cascata, lì un masso erratico che frena l’irruenza e la baldanza del torrente, una musica. Sembra che tutte le orchestre del creato diano vita ad una sinfonia melodiosa. … Sali per il sentiero di sinistra, cammini con calma tra sassi grandi e piccoli, ansante ti fermi. Sai perché l’hai intravisto in lontananza, più avanti c’è un rifugio, una capanna, la PONTI. No, non è stata la fata Morgana, esiste questa Capanna, ma è in su, bisogna camminare. Ne vale la pena. Arrivi, cinquantenne senza fiato, quanti ricordi. Spari qualche frottola. Ai miei tempi da qui alla Sella di Pioda 15-20 minuti, là, su quella morena ho visto le mie prime pernici bianche. Ti sembra di essere uno scalatore sestogradista, però se il sentiero taglia un burrone tu cammini appoggiato alla montagna, mai sul ciglio. Quanti ricordi, quanti amici, quante giornate indimenticabili, quanta salute e quanta nostalgia per queste visioni”. Da uno scritto di Renzo Passerini (1974).
49
50
Predarossa, settembre 1942. Momenti della “Staffetta Alpina del Vallo Littorio”. Manifestazione rivolta ai giovani della G.I.L. residenti nell’arco alpino che dovevano trasmettere senza interruzioni, dalla estremità occidentale delle Alpi (Mentone) a quella orientale (Fiume), un messaggio scritto di proprio pugno da Mussolini, contenuto in un testimone di latta. Il tratto valtellinese da Colico a Solda, alpinisticamente il più impegnativo, aveva uno sviluppo di 336 km con un dislivello di 16131 metri. I 126 giovani coinvolti nella traversata dovevano compiere il tragitto in un tempo stimato di 124 ore, dal 19 al 24 settembre 1942. Il maltempo che in quei giorni investì la nostra valle con abbondanti nevicate costrinse gli organizzatori a modificare i tratti più pericolosi, come ad esempio quello dalla Gianetti alla Ponti lungo il Sentiero Roma. La squadra composta da giovani di Morbegno e di Val Màsino e dalla guida Virgilio Fiorelli ricevette il testimone a Cataeggio e salì con gli sci alla Capanna Ponti in mezzo alla bufera. Ristabilitosi il tempo, raggiunse la Capanna Desio dove la attendeva il gruppo della Val Malenco. Per la cronaca, la squadra impegnata nella discesa dall’Ortles, durante l’ultima tappa, fu investita da una valanga che spezzò la corda e trascinò a valle quattro alpinisti. Fortunatamente tutti si salvarono. Nelle foto: Alcuni momenti della manifestazione. Nella pagina a fronte i gruppi della Val Màsino e di Morbegno sulla morena del Ghiacciaio di Predarossa. Sopra alla Capanna Ponti, sotto alla Capanna Desio. Pochi mesi più tardi molti di questi giovani partirono per il servizio militare.
51
52
Nella pagina a fronte: Valle dell’Oro, autunno 1943. Dopo l’8 settembre molti militari si trovarono sbandati in giro per l’Italia. Racconta Giovanni Cavallini che i giovani di questa foto, Tersillo Mazzolini, Cavallini stesso, Mino Perego e Renzo Cappelletti, si rifugiarono in una baita nei pressi della Capanna Omio, pronti ad espatriare in Svizzera, per sfuggire all’arruolamento da parte dei tedeschi. La loro presenza era nota a un reparto germanico alloggiato ai Bagni del Màsino, con il quale si era stabilito un “patto di non belligeranza”, perché anche i nostri erano armati e dall’alto riuscivano a controllare chiunque salisse.
Val Màsino, 1949. Ernesto Passerini e Felice Bottani sul Pizzo Badile. Non è difficile immaginare come parte della difficoltà dell’impresa consistesse nel trasportare e maneggiare pesanti e rigide corde di canapa, come quella che unisce i due amici.
53
Il Pizzo dei Tre Signori (m 2554) e il Monte Legnone (m 2610) rappresentano due balconi senza uguali sulle Alpi e sulla Lombardia. Con una carrellata di 360 gradi, la vista può spaziare sui gruppi del Monviso, del Gran Paradiso, del Monte Rosa, del Cervino, dell’Oberland bernese, del Màsino Bregaglia, del Bernina, dell’Ortles e dell’Adamello. Verso sud, oltre la Valsassina e le Grigne, si può abbracciare con lo sguardo tutta la pianura lombarda, chiusa all’orizzonte dall’Appennino tosco emiliano. La tradizione vuole che nelle giornate particolarmente limpide si possa scorgere da entrambe le cime la Madonnina del Duomo di Milano. L’affermazione è azzardata, ma sicuramente, aiutati da un buon binocolo, ci si può orientare nel tessuto urbano cittadino a partire dalla sagoma inconfondibile delle arcate della Stazione centrale, per arrivare a individuare la posizione del Duomo, intuibile dietro la siepe dei grattacieli. Dal Legnone, poi, la vista sui laghi di Como e di Lugano, sulla Val Chiavenna e sulla Bassa Valtellina è quanto mai appagante.
54
Nella pagina a fronte:Pizzo dei Tre Signori, 1940. Cosa ha spinto questa compagnia di baldi giovani e di belle ragazze ad arrampicarsi fin quassù partendo a piedi da Morbegno? Cima storicamente importante il Pizzo dei Tre Signori, perché nodo di confine nel passato fra tre stati, il Ducato di Milano, la Repubblica di Venezia e la Repubblica dei Grigioni, e attualmente, fra le tre province di Bergamo, Lecco e Sondrio. Cima nobile, quindi, che meritava una croce adatta al suo lignaggio: quella che si erge attualmente sulla sua sommità, opera dell’architetto Pasquè, venne benedetta, prima di essere trasportata in quota, dal Cardinal Schuster il 19 luglio 1935. A fianco: Monte Legnone, 1936. Giovani di Delebio fanno grappolo sulla croce che si erge sulla cima. Il dislivello che si deve superare, partendo dal fondovalle, è di 2400 metri per un totale di almeno 6 ore di marcia.
55
56
Delebio, Val della Lésina e Legnone, legame antico e inscindibile. A questo trinomio sono legati i nomi di tre giovani ai quali la passione per la montagna fu fatale. Luigi Mambretti (1897-1923), sottotenente degli alpini durante la prima guerra mondiale. Morì nel 1923 precipitando nel corso di un’ascensione sulla Punta di Scais. A lui venne intitolato il rifugio che in quegli anni la sezione valtellinese del C.A.I. stava costruendo in Val Caronno. Pietro Soldarelli (1928-1946), poco dopo essersi ripreso in questa immagine con l’autoscatto, morì scivolando sul sentiero del Colombano. Nello stesso luogo, ventisette anni più tardi, la stessa sorte toccò al giovane Giovanni Moretti di 17 anni. Quest’ultima disgrazia non fece che rafforzare la cattiva nomea del sentiero del Colombano, che a causa di questi e altri incidenti, si guadagnò la fama di “sentiero maledetto”, tanto da essere avvolto da un cupo alone di paura. La prima e più preoccupata raccomandazione a chi manifestava l’intenzione di salire al Legnone da Delebio era di evitare il Colombano. Nella foto grande: il monte Legnone ripreso dall’Alpe Piazza.
57
Valle di Trona 1938. I due giovani guardano incuriositi i lavori di costruzione della diga. Ad opera terminata i due laghetti naturali saranno sostituiti da un invaso di 5000 metri cubi d’acqua. Laghi di Ponteranica, 1938. Giovanni Cavallini, Mino Perego e Giovanni Donadelli sostano sulle rive del lago, ai piedi del Monte Valletto, durante il “Giro della Ca’ San Marco”.
EL GIR DE LA CA’ di Ezio Vedovelli, 1984 Un par de culzun largh a la zuava, scarpun feraa, u cui peduü de pèza, la solita giachèta la bastava, zainu e bastun e … tanta cuntentèza. Chi se insugnava magliun e giachi a vent, scarp cun sota la goma cume i vüsa ades? Vestii de tücc i dé, ma l’istess cuntent, forsi mèi d’incöé cun tücc qui rop après. … Vers i vöéndes ur, l’èra la partenza cume cavai de cursa a specià ‘l via, mèi cun la löéna, se de no, anca senza, se inviava de colp la cumpagnia. Se parlava anca fort e se ridiva, a traversà ‘l paes fina ai Scimicà, e, per scürtaröél, ‘ndue se pudiva, se rivava a la Val e anca püsee in là. … Spuntava ‘l dé; la malga urmai visena, el tun-tun di brunzi l’èra lé a dü pass vedivum prema ‘l müs de ‘na vachéna, pöè töét el gröép che majava l’erba al bass e al nos pasagg, vulzava söé la crapa e, cun qui ugiun i ne vardava adree, e nün avanti vers l’ültima tapa, che del viagg, lèra quela püsee in pee. Ciuè dai Scal d’Orta fin söé a l’Umètt, stu pilastru de sass che par lé sura, ma a rivagh visin, che temp che se ghe mètt! e ‘l püsee bell, l’èra vèss söé a bunura. ...
58
Val Varrone, 1940. Sul piazzale del Rifugio Pio XI alla Bocchetta di Trona. Del rifugio, incendiato dai tedeschi per impedire ai partigiani di usarlo come ricovero, non rimangono che alcuni spezzoni dei muri perimetrali.
59
60
Alpe Olano, 1939-1940. La classica dell’Alpe Olano veniva ripetuta più volte durante la stagione invernale. Le fotografie sono state scattate usando il cosiddetto “ref-scat”, ovvero l’autoscatto ottenuto collegando l’otturatore della fotocamera all’operatore mediante un filo di refe. Inventore del congegno fu Giovanni Cavallini, il fotografo della compagnia.
Brunate (Como), 1940. Giovanni Cavallini, Giovanni Donadelli, Sandrino Ciapponi e Battista Ciapponi in qualità di accompagnatore, erano i componenti della squadra, sponsorizzata dalla Metallurgica Martinelli, che partecipò al campionato nazionale di corsa in montagna. Gli stessi atleti, con l’aggiunta di Tom Cornali, avevano appena vinto il “Campionato valtellinese di marcia e tiro” che consisteva nel percorrere, con zaino e fucile in spalla, l’itinerario Morbegno, Bema, Rasura, Morbegno, per terminare al “Bersaglio” dove si svolgeva la gara di tiro.
61
Alpe Olano, 1940. In alto: sci in spalla, si sale pregustando la lunga discesa su neve immacolata. In basso: lo splendido anfiteatro dell’alpe Olano ripreso dalla “Muta�, la meta preferita dei Morbegnesi.
62
Fino agli anni ‘50 le mete sciistiche erano generalmente i pendii fuori di casa: Pescegallo per gli sciatori di Gerola, Combanina e Culino per quelli di Rasura, Osiccio e l’Alpe Legnone per coloro che partivano da Delebio. A fianco: Val Gerola, 1940. Sciatori di Rasura a Combanina: Primo Brocchi, Cirillo Montini e Dario Lombella. Sotto: Osiccio 1940. Giovani di Delebio sulle piste di casa: Geremia e Pino Fumagalli, Aldo Mazza, Nino De Bernardi e Paride Fransci.
63
Sciatori degli anni ‘40/50. Sciatori a Grumello di Rasura. In valle si usava ancora lo stile di discesa “a raspa” che si avvaleva di un unico lungo bastone per impostare le curve. Sciatore sull’Alpe Olano. La tecnica è più raffinata: una bella interpretazione del Telemark. Sciatore impegnato in una delle numerose gare per “amatori” del circuito locale. Sciatore sull’Alpe Legnone si lancia per un probabile salto. Nella pagina a fronte: Motta di Olano, dicembre 1940. Dopo la salita con gli sci, c’è tutto il tempo per dedicarsi al pattinaggio artistico sul ghiaccio della “pozza”.
64
65
Alpe Olano, 1940. La compagnia è più numerosa. Anche le ragazze prendevano parte alle spedizioni invernali sull’Alpe Olano. Corte di Olano, 1948. Si andava a “messa prima” e poi via! Su per la Bona Lombarda e Sacco alla volta della Corte, dove si passava una bella giornata di sole e di sport in allegria.
Da “La Gara de sci de Ulan” di Giovanni Donadelli, 2000. ... Alura la Curt e Ulan ièra frequentaa da tanti sciaduu apasiunaa. Se partiva a pè da Murbègn, dopu la préma Mèsa e se rivava seu ala Curt, en prèsa en prèsa. I ghèra minga la divisa i sciaduu de alura, un bèl magliun de lana, faa seu da la regiura, e sota de veleu ala zuava ièra i calzun, de lana pizzighenta la berèta e anca i guantun. ...
66
Gli anni d’oro
67
I MORBEGNESI Dal 1950 al 1975 linfa nuova per l’alpinismo valtellinese arrivò dalla Bassa Valle. “E’ infatti nel 1952 che la cordata dei morbegnesi Bottani e Riva effettua, con un certo clamore in provincia, la prima ripetizione valtellinese della via Cassin alla parete nord est del pizzo Badile; così Morbegno, con questa ed altre ascensioni degne di nota, diventa il centro trainante dell’alpinismo in Valtellina” 1. In venticinque anni di scalate in Val Màsino e in Val Gerola gli alpinisti morbegnesi collezionarono una trentina di prime ascensioni (prime assolute, prime invernali, prime ripetizioni, prime valtellinesi e prime solitarie), alcune delle quali di rilievo: quattro sul Badile, una sul Cengalo, due sulla Punta Milano, quattro sulla Sfinge, ben sei sui Pizzi dell’Oro, altre sul Cavalcorto, sul Monte Boris, sulla Punta Fiorelli, sulla punta Medaccio, sulla Punta Virgilio, sul Ligoncio e sui Pizzi del Ferro alle quali vanno aggiunte le vie aperte in Val Gerola. Molti di loro operarono anche nelle squadre di soccorso alpino. In due successive operazioni, nel 1963 e 1964, Ezio Angelini, Giorgio Bertarelli, Luigi Bongio, Felice Bottani, Giuseppe Caneva e Giuseppe Dell’Oca diedero prova di disponibilità e di coraggio nel tentativo di salvare alpinisti in difficoltà sulla NE del Pizzo Badile. A rischio anche della propria vita come accadde nel 1964, a causa dello stratempo che si scatenò sulla vetta del Badile, nel bel mezzo della complessa operazione di soccorso. Ne sanno qualcosa Giorgio Bertarelli e Chiscio Caneva che, con il ferito in spalla, vennero calati giù per il canalone della via normale senza che avessero la possibilità di proteggersi in alcun modo da eventuali scariche di sassi.
Verso la Punta della Sfinge.
IL C.A.I. E IL G.E.M. Non furono, però, tutte rose. Nel 1960 iniziò all’interno del Club Alpino locale una travagliata contrapposizione fra “sciatori” e “alpinisti” per la guida della sezione. La spuntarono gli “sciatori” che, dopo due vivaci assemblee, riuscirono a mantenere la guida del sodalizio. Gli “alpinisti”, che avevano contestato la regolarità delle assemblee, non riconobbero il nuovo direttivo e diedero vita, nel dicembre del 1960, ad una nuova associazione: il Gruppo Edelweiss Morbegno (G.E.M.). Da quella data iniziarono le vite separate delle due società. Il C.A.I. nel 1962, grazie all’interessamento del presidente Giangiacomo Robustelli, si staccò da Sondrio, a cui si era aggregato come sottosezione nel 1944 sotto la reggenza di Luigi Martinelli, e si trasformò in sezione autonoma. Come SCI-C.A.I. continuò la sua attività rivolta principalmente alla diffusione della pratica dello sci di discesa, proponendo gite sociali settimanali, curando l’organizzazione della Gara di sci di Olano e partecipando a gare di sci a livello locale, alcune delle quali, come quella sul ghiacciaio del Ventina, dai connotati più alpinistici. L’unica attività alpinistica era svolta, peraltro a livelli di eccellenza, da Chiscio Caneva che con Ezio Angelini e Luigi Bongio nel 1967 aveva abbandonato il G.E.M. per fare ritorno al CAI (gli ultimi due mantenendo la doppia tessera). I soci che avevano dato vita al G.E.M., circa una ventina, come sempre avviene per le nuove iniziative, si dedicarono con entusiasmo al rafforzamento del loro gruppo: nel giro di pochi anni inventarono una manifestazione di successo come il “Collegamento dei Rifugi” e costruirono letteralmente con le loro mani il Bivacco del Passo di Bondo. Sicuramente rappresentarono la massima espressione dell’alpinismo in Bassa Valtellina e, per diversi anni, anche in provincia.
68
LA GARA DI OLANO La “Gara di Olano” era una competizione di sci alpino che si svolgeva sui pendii del comprensorio Corte, Tagliate, Alpe Olano. Nel corso degli anni ebbe denominazioni diverse, ma dagli appassionati di sci fu sempre chiamata solo e semplicemente la “Gara de Ulan”; era una classica stagionale, alla fine di febbraio c’era la “Gara de Ulan”. Nata nel 1946 come “Trofeo Monte Olano”, venne nel 1961 intitolata all’alpinista morbegnese Giulio Lavizzari, morto l’anno precedente durante il servizio militare, a causa di una banale scivolata su un sentiero. Conclusosi nel 1976 il ciclo del “Trofeo Giulio Lavizzari”, dal 1977 la manifestazione riprese la denominazione originaria che mantenne fino al 1988, data della sua ultima edizione. Le insufficienti precipitazioni nevose degli anni seguenti e le esigenze agonistiche dei nuovi atleti, che mal si adattavano a un tracciato di gara oramai diventato atipico e preparato con mezzi di fortuna, ne decretarono la fine. Alcune curiosità: nel 1962 la gara venne vinta ex-aequo da Piero Lombella, futuro direttore della scuola di sci del Pescegallo, e da Mario Cotelli, che diventerà negli anni ‘70 allenatore della Valanga azzurra di Thoeni e Gros. Dal 1977, con la sola eccezione del 1979, venne sempre vinto dai forti sciatori della Polisportiva Palù di Poschiavo.
IL COLLEGAMENTO DEI RIFUGI Il “Collegamento dei rifugi”, giunto quest’anno alla 41a edizione, è certamente la manifestazione escursionistico-alpinistica più importante e più longeva della provincia. Ha lo scopo di collegare con itinerari a metà fra l’escursionismo e l’alpinismo i rifugi della Val Màsino con quelli delle valli limitrofe. Ma non è sempre stato così. Le prime edizioni, a partire da quella del 1961, erano manifestazioni sci-alpinistiche rivolte quasi esclusivamente ai soci del G.E.M. che in quegli anni muoveva i primi passi. Ben presto, però, gli organizzatori si accorsero che gli sci potevano essere calzati solo su tratti troppo brevi per giustificarne il loro utilizzo, soprattutto sul versante della Val Màsino, così decisero di modificare la formula. La manifestazione, posticipata rispetto alla data originaria dei primi di giugno, assunse carattere escursionistico e venne aperta a tutti. Fu una decisione saggia che costituì la fortuna del “Collegamento”, perché la sua popolarità crebbe di anno in anno fino a far registrare il considerevole numero di 150 partecipanti. Gli itinerari possibili sono attualmente 14. Si parte al sabato da diverse località: Poira e Cevo in Valtellina, Verceia e Novate in Valchiavenna, Bondo e Vicosoprano in Val Bregaglia, Chiareggio e Primolo in Valmalenco. Tutti, dopo aver superato i valichi più importanti della catena Màsino-Bregaglia-Disgrazia e toccati i quattro rifugi della valle, convergono ai Bagni del Màsino, dove, alla domenica, c’è il ritrovo di chiusura.
Salita all’Alpe Olano.
1 A. BOSCACCI, M. PELOSI, G. BETTINI, I. FASSIN, Montagne di Valtellina e Valchiavenna, Sondrio, 1982
69
70
Pizzo Badile, 1952. Prima valtellinese alla NE del Badile lungo la via Cassin. “Nel 1952 la nostra parete venne salita sedici volte da cordate di diversi paesi; ma sei erano italiane e una di queste valtellinese.” (Bruno Credaro) Nella pagina a fronte: sulla via Cassin. Nelle foto di questa pagina sopra:si sale faticosamente lungo il diedro Cassin. Roncoroni, Tettamanti e Bottani al secondo bivacco Cassin. Il fotografo è Giovanni Riva. Sotto: dopo la fatica della salita, finalmente la cima: Felice Bottani con Roncoroni, Tettamanti e alcuni amici saliti dalla via normale per essere i primi a congratularsi per la bella impresa. Il fotografo è sempre Giovanni Riva. Giovanni Riva e Felice Bottani al rientro dalla loro ascensione vittoriosa. E’ comprensibile la loro soddisfazione.
71
Sopra: Capanna Omio, 1956. Foto ricordo in occasione della prima ascensione invernale al Pizzo settentrionale dell’Oro, effettuata da Giulio Lavizzari (a sinistra) e Felice Bottani (al centro). Sono con loro Ugo Passerini, Felice Caneva e, in piedi, Dino Fiorelli. Sotto: Val di Zocca, anni ‘50. Attacco della cuspide della Punta Rasica con lo stile classico. L’alpinista è Arnaldo Zecca, componente della cordata di cui facevano parte anche Titta e Giulio Lavizzari e Adriano Del Nero. Nella Pagina a fronte: Ghiacciaio del Ventina, 1952. La comitiva del C.A.I. Morbegno con i partecipanti allo slalom gigante del Ventina. Alle spalle il Canalone della Vergine che negli anni ‘50 era ancora abbondantemente gonfio di ghiaccio.
72
73
Sopra: Diavolezza, anni ‘50. Il giorno di San Giuseppe, allora non lavorativo, il C.A.I. Morbegno era solito concludere la stagione sciistica con una gita sociale sulle nevi della Diavolezza in Engadina. Da qui si scendeva in gruppo lungo il Ghiacciaio del Morteratsch fino a raggiungere la stazione della ferrovia retica. Al centro: anni ‘50. Una nutrita compagnia di giovani di Morbegno durante una gita sciistica. In basso: Gerola, 1956. La comitiva del C.A.I. Morbegno posa mettendo in mostra il “Trofeo Cavicc” appena vinto. Il Trofeo era una gara di slalom gigante che prendeva il nome dalla colonnetta rotatoria (cavicc) che regolava il traffico stradale al trivio fra il Caffè Folker e gli Alimentari Ciapponi.
74
Val Gerola, 1955. La Cima della Rosetta era già una salita classica negli anni ‘50. Diversi l’abbigliamento, l’attrezzatura e il punto di partenza (obbligatoriamente la piazza di Rasura). Diversa anche la croce che allora era di legno, ma uguale a quello di oggi il piacere della lunga scivolata fino a valle. Valle di Albaredo, 1959. La Ca’ San Marco rappresentava una meta ambita non solo d’estate. Mancando l’attuale provinciale, si saliva dal Dosso Chierico lungo la Via Prìula. La discesa, con condizioni di neve molto dura, poteva creare qualche problema ai non esperti, soprattutto nel bosco.
75
In Val Màsino l’alpinismo, in Val Gerola lo sci. La vallata orobica ha sempre sfornato ottimi sciatori, ma la pratica delle discipline della neve ricevette un impulso determinante dalla nascita, nel 1949-50, del “Gruppo Sciatori Val Gerola” per iniziativa di Gianni Acquistapace e di Lanfranco Curtoni. Fra le prime iniziative, la creazione di un centro di addestramento allo sci di fondo sotto la guida di Aristide Compagnoni, istruttore della Valfurva. Dal 1955, con la presidenza di Gino Curtoni, cominciò ad essere curato anche lo sci alpino grazie alla disponibilità dell’abetonese Gianni Sisi, già campione italiano di slalom. In una ventina d’anni vennero avviati allo sci agonistico molti ragazzi provenienti non solo dalla Val Gerola, ma anche da Cosio e da Morbegno. Molti di loro si misero in luce con ottimi risultati in tutte le gare provinciali e zonali. L’iniziativa fu tanto più lodevole se si pensa che la seggiovia e la sciovia delle Foppe di Pescegallo furono costruite solo nel 1964. In precedenza gli impianti di risalita erano costituiti dalle proprie gambe.
76
Nella pagina a fronte, sopra: Val Gerola, anni ‘50/60. Attraverso il “Puntesel de la Cavazza” alla Piana di Fenile si saliva, sci in spalla, al Pianone di Pescegallo per una discesa lungo i pendii della Rocca. Sotto: escursione primaverile al Pianone di Pescegallo. Sopra: Pescegallo. Gino Curtoni in gara sulle nevi di casa negli anni ‘50 e nel 1970. Due epoche, due stili. Sotto: Pescegallo, anni ‘60. Giovani del G.S. Valgerola con la divisa di società e il pettorale di gara, pronti per la partenza.
77
78
Anni ’60. Nella pagina a fianco: rara foto della palestra di roccia dei Morbegnesi al “Rocul di Tucai” nei pressi della Bona Lombarda. Grazie alla sua vicinanza a Morbegno, la breve parete, opportunamente attrezzata, costituì per anni una valida alternativa al Sasso di Remenno. Qui a fianco: i Morbegnesi frequentavano spesso anche la palestra dei Lecchesi, il Corno del Nibbio ai Piani Resinelli.
79
In basso: Giorgio Bertarelli, e Chiscio Caneva del Soccorso Alpino di Morbegno, durante i lavori di “attrezzatura” della Via del Soccorso sulla parete Sud del Sasso di Remenno. La posa di anelli cementati nel granito consentiva di effettuare le calate in corda doppia e le esercitazioni pratiche di soccorso in parete. Una curiosità: nel 1968 il Soccorso Alpino di Morbegno dovette pagare la “somma di Lire 5000 per affitto terreno in fregio alla Preda di Remenno”.
80
Val Porcellizzo, 1962. Una via nuova sulla Punta Angela, anticima meridionale del Pizzo Cengalo. Racconta Pep Dell’Oca che le sue montagne preferite erano il Badile e il Cengalo. In 18 anni di attività, dal 1959 al 1977, salì 30 volte lo spigolo Nord del Badile e 10 volte lo spigolo Vinci al Cengalo. In un’occasione riuscì a concatenare tre salite: spigolo Nord, spigolo Vinci e via Pinardi alla Punta Sertori.
Dal Corriere della Valtellina del 22 luglio 1962: “AD UN TRIO MORBEGNESE UNA PRIMA IN VALMASINO Si tratta della prima ascensione per la parete Sud-Ovest alla Punta Angela del Pizzo Cengalo, direttissima, compiuta il 15 luglio 1962 da Dell’Oca Giuseppe, Mossini Giuseppe e Bertarelli Giorgio. La salita è stata effettuata in due domeniche, con un totale di 19 ore di arrampicata effettiva. … La salita della nuova via si aggira sui 350 metri con classificazione di V grado con passaggi di VI grado sia in libera che in artificiale. Particolare degno di nota il fatto che per la prima volta in Valmasino vengono usati i chiodi ad espansione.”
81
82
Nella pagina a fronte e in questa pagina, in alto:Valle dell’Oro, 1964. Una via nuova sulla parete SE della Punta della Sfinge (Via dei Morbegnesi), aperta da Piero Botta, Felice Bottani, Giuseppe Dell’Oca, Antonio Passerini e Luigi Romegialli. Per questa salita venne utilizzato anche un chiodo di 40 cm forgiato nella fucina Buzzetti di Morbegno. Da “Masino, Bregaglia, Disgrazia”, Guida dei Monti d’Italia: “L’itinerario (diretto della parete) segue una linea di diedri, a dex dell’itinerario precedente (via AmossoElli), e supera direttamente i gialli strapiombi sommitali. Arrampicata mista con difficoltà di V+ e artificiale. Dislivello 200 metri circa. I primi salitori hanno usato 50 chiodi normali (15 lasciati), 3 cunei (lasciati) e 5 chiodi a espansione (lasciati) e hanno impiegato 11 ore.
In basso: spesso, negli anni ‘60, le ascensioni si protraevano per due o tre giorni. Il bivacco in parete non rappresentava un evento eccezionale.
83
Sopra: Valle dell’Oro, 1964. Sulla “Via dei Morbegnesi” alla punta della Sfinge. Una “prima” portata a termine da ben cinque alpinisti è sicuramente un episodio atipico, ma faceva parte della politica del G.E.M. valorizzare l’attività di gruppo. Racconta Antonio Passerini (nella foto sopra, in primo piano) che raggiunsero la cima di notte e che, durante la discesa, dovettero abbandonare la corda dopo l’ultima “doppia”, perché era rimasta incastrata. Fu lo stesso Passerini a salire il giorno seguente a recuperarla in mezzo a una fitta nebbia. Sotto: anni ‘60. In arrampicata sul bellissimo granito della Val Masino.
84
Val Porcellizzo, anni ‘60. La parte terminale dello Spigolo Vinci al Cengalo, lungo la bellissima via aperta nel 1939 da Alfonso Vinci. Grigna, anni ‘60. Felice Bottani, Chiscio Caneva e Pep Dell’Oca sulla cima del Sigaro Dones nel gruppo delle Grigne. Valle dell’Oro, anni ‘60. Uscita dalla via sullo spigolo Nord-Ovest del Pizzo dell’Oro meridionale.
85
86
Val Bregaglia, anni ‘60. In arrampicata sulle placche dello spigolo Nord del Badile; sulla sinistra il Cengalo. L’ascensione dello spigolo Nord del Badile veniva riportata dai manuali dell’epoca come esempio tipico di scalata di IV su granito.
87
88
Monte Disgrazia, 1966. Michele Bottani, nove anni, muove i primi passi alpinistici sulla cresta del Disgrazia, assicurato dal papà . Il Disgrazia (m 3678) è un punto panoramico senza uguali sui gruppi Mà sino-Bregaglia, verso Nord Ovest, e Bernina, verso Nord Est. Alle spalle degli alpinisti, nella foto, la cresta Pioda-Sissone, con le cime di Chiareggio, la lunga sella che collega il Monte Sissone alla Cima di Rosso, alla destra della quale si eleva la Cima di Vazzeda. In terzo piano la Cima di Cantone, il Passo di Casnile e il Pizzo Bacone.
89
Valle dell’Oro, dicembre 1970. Chiscio Caneva e Giorgio Bertarelli alla base della Punta Fiorelli, in occasione della prima invernale alla via Bonatti. El müt In quegli anni le “prime” venivano solitamente progettate in gran segreto, nel timore che qualcun altro potesse appropriarsi dell’idea; inoltre se qualcosa fosse andato storto non ci sarebbero state conseguenze per la reputazione alpinistica dei protagonisti. Per preparare un’ascensione che richiedeva più giorni di permanenza in quota, occorreva però l’aiuto di amici per il trasporto del materiale necessario. In una di queste occasioni Oreste Dell’Oca (Valanga) aveva l’incarico di curare il collegamento con Bertarelli e Caneva impegnati nell’ascensione, facendo la spola fra il fondovalle e l’attacco della parete e, ovviamente, aveva la consegna tassativa di non far parola con nessuno. Accadde però che un giorno Oreste si presentò all’appuntamento accompagnato dal cognato. Come si può immaginare, le rimostranze di Chiscio e Giorgio per la parola non mantenuta furono molto risentite. “State tranquilli – li rassicurò Valanga – l’è müt, anzi – aggiunse – fate finta di niente, perché si offende”. Così il pomeriggio trascorse nei preparativi della salita, con la presenza molto discreta del muto che si faceva intendere a gesti, accompagnati tutt’al più da qualche suono gutturale. Alla sera, per passare le ore del lungo bivacco, i nostri amici intonarono un coro; naturalmente un coro a tre voci, al quale ben presto, però, con grande stupore di Chiscio e Giorgio, si unì una quarta voce: quella cristallina del muto che, oramai stanco di sostenere una parte scomoda, si era lasciato coinvolgere da quei canti invitanti. Il finale del racconto lo lasciamo costruire ai lettori.
90
La Val Màsino è, per usare la definizione di Walter Bonatti, l’università dell’alpinismo, ma vie interessanti sono state tracciate anche in altre località della Bassa Valtellina: in Val Gerola, in Val Lésina e in Val Toate, sulla costiera dei Cech. A sinistra: la prima lunghezza della Via delle Stelle cadenti, aperta da I. Guerini, M.Casaletti e dal morbegnese Tarcisio Mattei sulla Torre Bering. A destra: Mario Spini in arrampicata sulla parete Nord del Torrione di Mezzaluna in Val Gerola.
91
92
Nella foto grande: Val Gerola, 1962. Il Pianone di Salmurano prima della costruzione degli impianti di sci. A fianco: Una meta scialpinistica diventata negli anni una classica fu il Munt de Sura. Il villaggio Pescegallo non esisteva ancora, perciò il punto di partenza era Fenile. Uno degli itinerari possibili prevedeva la salita con gli sci in spalla dalla Bocchetta d’Avaro. Sotto: Val Gerola, 1962. Sulla cima del Munt de Sura.
93
In questa pagina: Val Màsino, anni ‘60. Nonostante la Val Màsino si presti poco alla pratica dello sci alpinismo, non era infrequente che qualche compagnia di coraggiosi decidesse di misurarsi con i ripidi versanti della valle anche d’inverno, per raggiungere i circhi glaciali alla base delle grandi pareti. Nella pagina a fronte, in alto: Valle dell’Oro. I soci del G.E.M. sul Pizzo meridionale dell’Oro dove hanno inaugurato la piramide in ricordo di Giulio Lavizzari. In basso: Val Porcellizzo, anni ‘60. Su una piazzola della cresta, in prossimità del Passo di Bondo, verrà eretto da parte del G.E.M., nel 1964, il Bivacco Tita Ronconi.
94
95
96
Pagina a fronte: Passo di Bondo, 1995. Inaugurazione del nuovo Bivacco Tita Ronconi. Per l’occasione sono saliti dal versante svizzero Bruno Hoffmeister (dietro con la barba), gestore della Capanna Sciora, e la guida Arturo Giovanoli (in primo piano a destra). L’attuale struttura, più ampia e più razionale della precedente, può accogliere fino a sei persone.
L’originario bivacco fu eretto nel 1964 dal Gruppo Edelweiss Morbegno in ricordo del socio Tita Ronconi, alpinista e sciatore morto in un incidente l’anno prima. Realizzato artigianalmente in una carrozzeria di Morbegno, venne posto in opera dai soci stessi che lo trasportarono a spalla, sezionato e distribuito fra diverse squadre di portatori, su per il Ghiacciaio del Passo di Bondo.
Sopra: Ghiacciaio del Passo di Bondo, 1964. Momenti del trasporto delle diverse parti da assemblare per la costruzione del Bivacco Tita Ronconi.
97
98
Nella pagina a fronte: Orobie anni ‘60. Un’allegra brigata posa per un’originale foto ricordo. Val Màsino, anni ’60. Anche i cacciatori sono sempre stati assidui frequentatori della Val Màsino. Noi vorremmo vederli sempre così,... senza fucile! Val Gerola, 1964. Cane e cacciatori sembrano rilassati. Evidentemente la stagione di caccia non è ancora aperta.
99
100
I primi Collegamenti dei rifugi erano concepiti come raid sci alpinistici da effettuare nei primi giorni di giugno. Lo scarso numero di partecipanti e l’impossibilità di utilizzare gli sci, se non per brevi tratti al di sopra dei 2000 metri, suggerirono qualche anno più tardi di trasformare la manifestazione da sci alpinistica in escursionistica. Nella pagina a fronte, sopra: 1961, prima edizione. Gli sci erano autentici pezzi d’epoca. Sotto: 1962. Non di rado la mancanza di neve alle quote più basse costringeva i partecipanti a lunghi trasferimenti con gli sci in spalla. In questa pagina, sopra: 1963. L’itinerario che collega le capanne Brasca in Val Codera e Omio in Val Màsino attraverso il Passo dell’Oro fu uno dei primi percorsi ad entrare a far parte del programma della manifestazione. Sotto: 1977. A causa delle abbondanti nevicate dell’inverno precedente la Capanna Desio al Passo di Cornarossa era immersa nella neve fino al primo piano nonostante fosse la fine di giugno.
101
Uno degli itinerari piÚ gratificanti proposti nel Collegamento dei Rifugi è la traversata dalla Val Bondasca (Val Bregaglia) alla Val Porcellizzo (Val Mà sino). Le immagini si riferiscono al Collegamento del 1985. In questa pagina: uno dei gruppi, dopo aver pernottato alla Capanna Sciora, risale il crepacciato Ghiacciaio della Bondasca per raggiungere il Bivacco Tita Ronconi nei pressi del Passo di Bondo. Nella pagina a fronte: il traverso, lungo una trentina di metri, dal passo al bivacco va affrontato con molta cautela, soprattutto in presenza di neve e di ghiaccio.
102
103
104
Collegamento dei rifugi 1986. In occasione del 25째 anniversario della manifestazione, questo gruppo scelse uno degli itinerari panoramicamente pi첫 appaganti: da Chiareggio a San Martino attraverso il Passo del Forno e il Passo Lurani, toccando il Rifugio del Forno e il Rifugio Allievi (il Bonacossa non era ancora stato costruito). Nella foto grande: nella luce radente del primissimo mattino la bastionata granitica dei Pizzi Torrone emerge dal mare di neve del Ghiacciaio del Forno. Sotto: una chitarra trovata al Rifugio del Forno accompagna un canto improvvisato nella luce del tramonto.
105
106
Alcuni momenti della gara di Olano. Nella pagina a fronte: la partenza dei concorrenti alle Tagliate di mezzo. In questa pagina, sopra: la delicata preparazione dell’ordine di partenza presso la sede del CAI al venerdì sera. Sotto: la preparazione della pista di gara.
Gara ruspante, dal gusto antico, la più titolata di un circuito locale di cui facevano parte anche gli slalom gigante di Rasura, di Gerola, di Bema, di Baitridana e, quando le condizioni lo permettevano, di Val Lésina. Per coglierla nei suoi risvolti più veri la affidiamo ai versi dialettali di Giovanni Donadelli, che della Gara di Olano fu il padre spirituale e materiale. La gara de sci del Ulan l’èra na garona amò ala moda végia insci ala bona, per cuntà el teemp un urulòcc rudunt che l’èra facil cunfundes cui segunt. ……….. L’èra diventada na gara pupular, anca numa a vedèla, sempri de geent un mar, ghèra sempri anca tanti cuncureent, quasi sempri i pasava i ceent. La belezza de sta discesa l’èra la rivalità, i seguiva la gara la Mama e anca i Pà, ogni genitur i ghe insegnava ai fieu, i ghe curiva dree cume cagneu. Bisogna mia desmentegà in questa storia i premm sciaduu che ià faa la gloria de sta gara vivüda cun pasiun, per el Decübertèn l’èra sicür na sudisfaziun. El Giacum de Resüra se peu mia desmentegà, anca l’Efrem, che el sciava cula giachèta sempri aprida che el la fava sventulà, a vedel a scià l’èra na slavinèta. Ghèra el Ginu Curnagia, nasüü a Sacch, el Tom Curnali che el sciava cume un matt, anca el Gino Curtoni de Gereula, grant sciaduu e peo el vegniva el Dunadèll, dopu de lur. El Bavu Natalino e anca el Miliètu, el Lumbèla, i Maccani, un bel terzètu de Resüra in due el vegniva faa la premiaziun e lé se fava i cüünt e anca i discüsiun. Peo l’è rivaa i Riva, i Gusmereu, de l’architètt Rumegiall anca i so fieu, i Galbusera di biscòtt, ghèra anca luur e per finì i Rumegiai, fieu del dutur. Tra i tanti persunacc che i fasiva la gara da Madesim a Tiran l’èra mia na roba rara. I svizzer de Pus’ciaaf ghèra anca luur, el Cutèli che l’è peo staa un grant alenaduur. …………… Per trentan l’è andada avanti questa gara, peo i sciaduu iè diventaa tropp esigeent, anca la neef l’èra diventada na roba rara, insci èmm pensa ben de fa pieu nient. (Da “La Gara de sci de Ulan” di Giovanni Donadelli, 2000)
107
Gara di Olano: un delicato passaggio all’uscita delle Tagliate di mezzo. (Tutte le foto si riferiscono alle edizioni 1979, 1980, 1981)
108
La tradizione continua
109
110
LE SPEDIZIONI EXTRA EUROPEE Era inevitabile; le montagne di casa cominciarono a non bastare più. I miti dell’Everest e del K2 e le suggestive immagini di cime lontane, diffuse attraverso televisione e pubblicazioni specialistiche sempre più raffinate, produssero anche da noi la voglia di cimentarsi con quell’alpinismo così diverso da quello praticato sulle nostre montagne. La prima opportunità si presentò, si può dire, per caso. Graziano Bianchi di Erba, alla ricerca di scalatori di provata esperienza che potessero accompagnarlo nella Cordigliera delle Ande, invitò a far parte del suo gruppo i morbegnesi Giuseppe Caneva e Carlo Milani, che nel 1973 avevano ripetuto la difficile via da lui tracciata due anni prima sulla parete Sud del Cavalcorto. Nel 1975 partì la spedizione “Città di Morbegno” con lo scopo di conquistare, dopo il tentativo fallito l’anno precedente da parte di una spedizione di Erba, la cima inviolata del Puscanturpa Nord (m 5682) nelle Ande peruviane. Della comitiva facevano parte Graziano Bianchi (capo spedizione), Giuseppe Caneva, Carlo Milani, Agostino Da Polenza, Giuseppe Buizza, Gino Mora e Felice Boselli (medico). Il 6 agosto, a conclusione di un lungo avvicinamento e di una salita laboriosa che richiese l’installazione di due campi intermedi, la cima fu finalmente raggiunta. L’evento ebbe grande risonanza nell’ambiente alpinistico provinciale. Tre anni dopo, nel 1978, sull’onda dell’entusiasmo prodotto dall’esito vittorioso della prima esperienza, fu tentata un’altra avventura, la spedizione “Morbegno 78” al Cerro Fitz Roy nelle Ande patagoniche. Tutto morbegnese il coordinamento (Giancarlo Rigamonti) e quasi tutto morbegnese il gruppo degli alpinisti: Giuseppe Caneva (capo spedizione), Felice Bottani, Giorgio Bertarelli, Attilio Fiorelli e Oreste Dell’Oca, ai quali si aggregarono il forte alpinista vicentino Renato Casarotto e sua moglie Goretta, il lecchese Carlo Dell’Oro e, per una sorta di scambio di cortesie, Graziano Bianchi e Felice Boselli. Il risultato questa volta non arrivò: a causa delle avverse condizioni del tempo e dei pochi giorni rimasti a disposizione, la salita dovette essere interrotta a 200 metri dalla meta. L’impresa fu portata a compimento l’anno seguente da Renato Casarotto che, sfruttando l’esperienza maturata e il materiale lasciato appositamente in parete, riuscì, da solo, a raggiungere la cima. Nel 1985 nelle Ande peruviane Michele Bottani assieme ad amici del C.A.I. Clusone realizzò la prima ascensione della parete Sud del Nevado Yerupaya. I sogni di ogni alpinista sono sempre stati, però, le catene dell’Himalaya e del Karakorum. Nel 1988, quindi, con il patrocinio delle sezioni C.A.I. di Morbegno, Valfurva e Bergamo, fu organizzata una spedizione in quella parte di mondo: al Masherbrum Far West. L’avventura, cui presero parte Felice e Michele Bottani di Morbegno, Franco Scotti (medico e alpinista) ed Ermete Corbellini di Delebio, Silvio Andreola di Valfurva, Augusto Zanotti, Battista Scarabessi, Gregorio Savoldelli, Angelo Carminati e Paolo Campostrini di Bergamo, ebbe pieno successo con il raggiungimento della cima. Nel 1992, ancora in Himalaya con “Lombardia’92” al Monte Everest/Qomolangma Feng, spedizione alpinistica italo-cinese, perché, grazie alla collaborazione con il Chinese Mountanering Association, agli italiani avrebbero dovuto unirsi otto alpinisti cinesi, circostanza che poi non si verificò. I componenti: Augusto Zanotti, Ermete Corbellini, Franco Scotti, Natalino Bavo, Silvio Andreola, Ennio Spiranelli, Luigi Rota, Angelo Carminati, Marco Birolini, Gregorio Savoldelli.
Sopra: Canaleta del Fitz Roy. Nella pagina a fronte: in arrampicata su Luna Nascente.
111
IL GRUPPO GIOVANILE DEL C.A.I. MORBEGNO Nel corso dell’assemblea annuale del dicembre 1975 il gruppo direttivo del C.A.I. Morbegno, raccogliendo l’invito lanciato dai soci Caneva e Milani, reduci dal recente successo al Puscanturpa, deliberò di attivare una vasta campagna di promozione della montagna rivolta ai giovani. Nei mesi di marzo e aprile del 1976, utilizzando il reportage fotografico e il materiale alpinistico relativi alla spedizione appena conclusa, Caneva e Milani tennero una serie di incontri con i ragazzi delle scuole medie del mandamento, incontri che trovarono compimento nelle successive uscite in montagna. Fu, questo, il primo esperimento in provincia di “alpinismo giovanile”. Con la collaborazione di alcuni soci del C.A.I. in veste di accompagnatori, vennero organizzate numerose escursioni che ebbero come risultato l’avvicinamento alla montagna di oltre un centinaio di ragazzi, i più assidui dei quali, una trentina, costituirono il “Gruppo giovanile” del C.A.I. Morbegno. Il Gruppo, oltre alla normale attività sezionale, partecipò ai raduni proposti annualmente dal C.A.I. regionale: ai Piani di Bobbio, ai Piani Resinelli, al Rifugio Murelli e in Val Tàrtano. Paradossalmente proprio il raduno della Val Tàrtano, organizzato dalla sezione di Morbegno, segnò il declino dell’iniziativa. Molto probabilmente stava cominciando a mancare il necessario ricambio generazionale fra i ragazzi. In arrampicata sul Precipizio degli Asteroidi.
I RALLY SCI ALPINISTICI Nella continua ricerca di nuove forme di fruizione sportiva della montagna, i rally sci alpinistici costituirono senz’altro un’occasione per dare sfogo alla naturale competitività dell’uomo. Il Rally della Val Tàrtano nacque nel 1975 dal proficuo incontro di due realtà locali: il G.E.M. e il Gruppo sportivo Val Tàrtano, dopo che il G.E.M. aveva fatto qualche tentativo in Val Gerola. Con partenza e ritorno nella piazza del paese, le coppie di concorrenti dovevano percorrere un lungo itinerario, diverso di anno in anno, attraverso gli alpeggi della valle, itinerario nel quale venivano inserite due prove cronometrate di velocità, una in salita e una in discesa, e alcune prove facoltative (ovviamente da affrontare se si voleva vincere). Il tutto con un dislivello di circa 2000 metri e una durata media di quattro, cinque ore. La manifestazione trovò subito ampio gradimento da parte di sci-alpinisti provenienti da tutta la Lombardia. Attualmente la manifestazione, mantenuta viva dalla Pro Loco della valle, sembra perdere qualche adesione, perché si stanno facendo strada altre forme più esasperate di competizione: le cosiddette “gare” che consistono nell’affrontare gli stessi percorsi dei rally, ma in un’unica prova cronometrata dalla partenza all’arrivo. Storia completamente diversa per il Rallino della Rosetta, proposto dal C.A.I. di Morbegno dal 1985 sulle nevi dell’Alpe Culino in Val Gerola. Seguendo la tradizione del C.A.I., critico nei confronti delle manifestazioni agonistiche, gli organizzatori pensarono di creare un’occasione di incontro sulla neve adatto a tutti, principianti ed esperti, giovani e meno giovani. La prova, da compiere su un dislivello più breve, 500 metri, consiste in una salita e una discesa da percorrere senza l’assillo della velocità. La rilevazione di un tempo intermedio fra partenza e arrivo consente di misurare la regolarità di progressione. Più gioco che competizione, la manifestazione è tuttora vitale e sta avendo un discreto successo.
112
LA SCUOLA DI ALPINISMO Dalla seconda metà degli anni ‘80 cominciò a crescere il “bisogno di montagna”, dettato probabilmente dalla necessità di interrompere i ritmi stressanti della routine settimanale. Sentieri, vie alpinistiche e percorsi sci alpinistici furono invasi da un numero sempre crescente di appassionati. Il C.A.I. Morbegno, che fra gli scopi istituzionali ha la promozione di tutte le attività culturali e ricreative riguardanti la montagna, nonché la prevenzione degli incidenti attraverso un approccio consapevole alla stessa, ritenne suo compito organizzare corsi di base di sci alpinismo e di roccia. Dal 1989, grazie alle prestazioni professionali della guide alpine Pierangelo Marchetti (Kima), in veste di coordinatore, e Giorgio Bertarelli e di alcuni soci della sezione che nel frattempo avevano seguito corsi per diventare istruttori, il C.A.I. Morbegno attivò quattro corsi invernali e uno estivo per principianti. Dal 1992, molto opportunamente, venne istituita la Scuola di Alpinismo e di Sci Alpinismo della provincia di Sondrio con l’adesione delle sezioni C.A.I. di Sondrio, Morbegno, Chiavenna e Valmalenco e le sotto-sezioni di Tirano e di Ponte. La scuola è tuttora operante con qualificati corsi base e avanzati di alpinismo e di sci alpinismo. Discesa a corda doppia dai Denti della Vecchia a Pescegallo in Val Gerola.
113
114
Ande peruviane, 1975. Momenti della spedizione alpinistica “CittĂ di Morbegnoâ€? al Puscanturpa nord. Nella pagina a fronte in alto: i componenti morbegnesi della spedizione, Giuseppe Caneva e Carlo Milani, durante una tappa di avvicinamento alla parete. In basso: in arrampicata sul ghiaccio poroso delle Ande. In questa pagina in alto: il tratto roccioso della scalata. In basso: Chiscio Caneva raggiunge le tendine del primo campo, piantate su uno sperone della parete.
115
116
Ande patagoniche, 1978. Spedizione “Morbegno 78” al Fitz Roy. Nella pagina a fronte: i componenti della spedizione. In piedi, Goretta Casarotto, Giorgio Bertarelli, Giuseppe Caneva, Felice Boselli, Graziano Bianchi, Oreste Dell’Oca, Renato Casarotto; seduti, Attilio Fiorelli, Carlo Dell’Oro, Giancarlo Rigamonti e Felice Bottani. Alle loro spalle il Cerro Fitz Roy; l’obbiettivo della spedizione era l’anticima di destra, l’orecchio del Fitz Roy. In questa pagina in alto: un momento di riposo accanto alla testimonianza dell’impresa incisa sulla roccia. Questa “graffito” rischiò di creare un incidente internazionale, perché il Fitz Roy fa parte di un parco nazionale dove non sono ammesse simili libertà. Pochi mesi dopo il rientro della spedizione in Italia, con una solerzia burocratica del tutto sconcertante, arrivò da parte del Ministero dell’Agricoltura argentino l’ingiunzione di provvedere alla rimozione di quella scritta così poco adatta alla naturalità del luogo. Al “fattaccio” rimediò Renato Casarotto, ritornato laggiù nel mese di novembre, semplicemente … rivoltando il sasso. Sotto: Chiscio Caneva e Felice Bottani durante alcuni momenti della salita.
117
Cordillera di Huayhuash, 1986. Il morbegnese Michele Bottani partecipò con la spedizione Città di Clusone all’apertura di un nuovo itinerario sulla parete Sud del Nevado Yerupaja. Karakorum, 1988. I componenti morbegnesi della spedizione al Masherbrum far west, Michele Bottani, Franco Scotti, Ermete Corbellini e Felice Bottani, posano per una foto ricordo sulla cima appena conquistata. Per ricordare i tristi eventi che l’anno precedente avevano colpito la Val Pola e la Val Tàrtano, alla spedizione venne data la denominazione ben augurale di “Forza Valtellina – Lombardia 88”. Nella pagina a fronte: Val Spassato, 1980. Michele Bottani sulla parete nord della Punta della Sfinge, in occasione della prima ascensione invernale della “Via del Peder”, realizzata con i lecchesi Mauri, Riva e Tantardini.
118
119
120
Uno dei motivi che contribuirono al successo di questa bella iniziativa, finalizzata al coinvolgimento dei ragazzi in attività a contatto con la montagna, fu senz’altro la partecipazione numerosa di molti genitori, in veste di accompagnatori. Senza di loro non si sarebbe riusciti a far “gruppo”. Quando, infatti, questo insostituibile contributo cominciò, per diversi motivi, a mancare, vennero meno anche la spinta propositiva e l’affiatamento che avevano alimentato l’attività negli anni precedenti. In alto: Val Malenco, maggio 1977. La lunga fila di ragazzi e accompagnatori si snoda lungo i pendii ancora abbondantemente innevati che conducono all’Alpe Prabello. Nella foto grande: Val Malenco, maggio 1976. Foto ricordo del Gruppo giovanile del CAI Morbegno prima di abbandonare il Rifugio Bosio, al termine di due giorni di giochi in montagna.
In basso: Val Malenco, maggio 1976. Le escursioni del Gruppo giovanile erano anche occasione per familiarizzare con l’attrezzatura alpinistica. Qui, sui massi in prossimità del Rifugio Bosio, una esercitazione di corda doppia.
121
122
I raduni regionali di “alpinismo giovanile” offrivano l’occasione per incontrare ragazzi provenienti da tutta la Lombardia, con i quali scambiare e condividere esperienze.
In alto: Piani Resinelli, 1977. La comitiva dei giovani di Morbegno mostra la targa di partecipazione appena ricevuta. In basso: Monti lariani, 1978. Giovani delle sezioni di Morbegno e di Moltrasio al Rifugio Murelli.
Nella foto grande: Pra Isio, 1977. Una delle escursioni più riuscite: più di 50 fra ragazzi e accompagnatori hanno raggiunto il bel complesso di baite dell’Alpe Caldennno.
123
124
Terminata l’esperienza del Gruppo giovanile, il C.A.I. Morbegno continuò nella sua azione di diffusione della montagna proponendo annualmente gite anche al di fuori della Valtellina, per far conoscere ambienti alpini diversi dal nostro. In queste pagine e nelle seguenti, alcune testimonianze delle escursioni realizzate negli anni ‘80. Nella pagina a fronte: Dolomiti di Brenta, 1980. Il ripido scivolo di neve alla Bocchetta del Campanil Basso. In questa pagina: Dolomiti di Brenta, 1980. L’impressionante cengia che attraversa la parete orientale degli Sfulmini, lungo la Via delle Bocchette.
125
126
Monte Adamello, 1986. Il gruppo del C.A.I. Morbegno accanto alla campanella della cima, raggiunta partendo dal Passo del Tonale, pernottando al Rifugio della Lobbia Alta e attraversando lo sterminato Pian di Neve che, con il contiguo Ghiacciaio del Mandrone, forma il pi첫 esteso complesso glaciale delle Alpi italiane.
127
Nel giugno del 1985, con il trekking lungo la Grand Randonnée della Corsica, il C.A.I. Morbegno volle proporre ai propri soci un’esperienza escursionistica prolungata. Sette giorni di impegno, compresi i trasferimenti via mare; quattro tappe, dal Col di Vergio alla foresta di Vizzavona; cinque rifugi toccati, sette colli superati, il più alto dei quali, la Brêche di Capitello, a quota 2225 metri. A sinistra: incontro con una comitiva di francesi alla Brêche di Capitello. Nella pagina a fronte, sopra: il superamento del piccolo nevaio sospeso alla Brêche di Capitello richiese alcune precauzioni con la posa di una corda fissa, molto apprezzata dalle francesine. Sotto: la comitiva al Rifugio Onda prima di incamminarsi per l’ultima tappa.
128
129
Il Gruppo Amici della Rosetta nacque a Rasura nel 1979 con lo scopo di erigere sulla Cima della Rosetta una nuova croce in sostituzione di quella di legno, distrutta qualche anno prima da un fulmine. Negli anni successivi si consolidò e svolse una discreta attività sociale collaborando anche con il locale sci club. Nelle foto il nucleo fondatore del Gruppo in occasione della posa della nuova croce.
130
I gruppi che negli anni del dopoguerra nacquero spontaneamente nei nostri paesi, soprattutto in quelli delle convalli, ebbero molta importanza come centri di aggregazione della gioventù locale. Il Gruppo Sportivo San Marco, ad esempio, rappresenta ad Albaredo una vivace realtà, non solo nell’organizzare diverse manifestazioni sportive, fra le quali lo slalom gigante di Baitridana, ma anche nel prendere iniziative rivolte alla valorizzazione turistica della valle. Sopra: il “Bivacco Legüi, ricavato dal Gruppo Sportivo San Marco ristrutturando una baita a quota 1998 metri sull’Alpe Piazzo, è punto di riferimento per gli sci alpinisti che salgono alla Cima di Lago. Sotto: Alpe Scala, 1990. Un’altra valle, la Val Tàrtano, e un altro gruppo molto attivo, il Gruppo Sportivo Val Tàrtano. Una delle attività che impegnavano annualmente gli aderenti al gruppo era la manutenzione dei sentieri. Nell’immagine, il rifacimento del delicato tratto di collegamento fra l’Alpe Scala e l’Alpe Gavedone, franato nel corso dell’inverno.
131
Il Gruppo Sportivo Val Tàrtano fu fondato nel 1971 con lo scopo di promuovere l’immagine della valle, organizzando manifestazioni sportive, attività ricreative e iniziative turistiche. Uno degli appuntamenti estivi più riusciti è ancora oggi la “Festa del pastore”, invito rivolto a valligiani e ad ospiti per acquistare consapevolezza della realtà dell’alpeggio attraverso la condivisione con i pastori di una giornata d’alpe, l’apprendimento dei metodi di lavorazione del latte sul luogo stesso della produzione e la degustazione dei prodotti della caseificazione. Il Gruppo Sportivo fu attivo fino al 2000, anno in cui venne sostituito dalla Pro Loco. Sopra: Alpe Canale, 1989. Il pranzo collettivo a base di polenta, latte e formaggio grasso d’alpe. Sotto: Alpe Gerlo, 1990. L’atmosfera intrigante dell’alpeggio favorisce la nascita di cori spontanei sulle note dei vecchi canti di montagna.
132
Nelle intenzioni degli organizzatori il Rally della Val Tàrtano doveva essere un’occasione per il lancio turistico della zona. Fu un’intuizione giusta, perché da allora la Val Tàrtano è una delle località più note in Lombardia per la pratica dello sci alpinismo: le cime che fanno da corona agli alpeggi della Val Lunga e della Val Corta sono annualmente frequentate da centinaia di cultori di questa disciplina. I “tracciatori” provano il percorso di gara sull’alpeggio di Suna che domina la Valle delle Lemme, (sopra) e in Val Budria.
133
134
Il Rally della Val Tàrtano si svolge di domenica, ma solo per i concorrenti. Fino a una decina di anni fa, al sabato aveva luogo un altro rally, più sentito, più festoso e più vero, quello dei collaboratori locali. Un esercito di persone invadeva i circa 20 km del percorso, l’esercito degli addetti al tracciato, ai controlli, al ristoro e al cronometraggio. Questi volontari, sci alpinisti a loro volta, alla sera occupavano le baite semisepolte dalla neve disseminate sugli alpeggi e, incuranti dei dieci e più gradi sotto zero delle notti di febbraio a 1800 m, passavano la serata in allegra compagnia attorno al focolare, condividendo “generi di conforto” vari, studiati e preparati con cura a casa il giorno precedente. Il freddo, il fumo che faceva bruciare gli occhi e si appiccicava ai vestiti e la scomodità del giaciglio per la notte erano considerati solo effetti collaterali fastidiosi, ma del tutto trascurabili rispetto al gusto di una serata veramente diversa. Sopra: per accedere alle baite era spesso necessario scavare una trincea profonda un paio di metri. Sotto: in baita, in attesa di “andare a paièr” (andare a coricarsi sul tavolato di legno cosparso di fieno che si chiama, appunto, “paièr”). Nella pagina a fronte. Due concorrenti in azione nella salita cronometrata.
135
136
Situazione meteorologica, stato del manto nevoso, esposizione dei versanti, inclinazione del pendio, difficoltà tecniche e ambientali, sono alcuni dei fattori da valutare per affrontare con un sufficiente grado di sicurezza qualunque escursione con gli sci. Ogni anno il C.A.I. Morbegno offre ai neofiti la possibilità di apprendere tutto questo, assieme alle tecniche di base per la salita con le pelli di foca e per la discesa in neve fresca, organizzando corsi guidati da istruttori in possesso di brevetto regionale o nazionale. Nella pagina a fronte: Val Gerola, 1989. Kima, direttore del corso, percorre con un gruppo di allievi i prati di Mellarolo. La tardiva e abbondante nevicata di quell’anno offrì lo spunto per affrontare in modo approfondito il tema dei diversi tipi di neve. Sopra: Val Tàrtano, 1989. La lunga fila degli allievi in prossimità del Passo di Tàrtano. Il pericolo più grave nelle escursioni sci alpinistiche è costituito dalle valanghe. L’uso dell’ARVA (apparecchio per la ricerca dei travolti da valanga) è uno dei momenti fondamentali delle esercitazioni pratiche. Sotto: Val Màsino, 1989. La salita alla Sella di Pioda dalla Capanna Ponti, in condizioni normali priva di pericoli, consente di familiarizzare con l’alta quota e con il ghiacciaio.
137
138
L’alpinismo non è solo prestanza fisica, agilità e coraggio. Per praticare compiutamente questa disciplina occorre conoscere in modo approfondito la montagna. Nozioni di meteorologia alpina e di glaciologia, rudimenti di geologia, di topografia e orientamento devono andare di pari passo con l’apprendimento delle tecniche di progressione e di assicurazione sui diversi terreni e con la conoscenza dei materiali più adatti. Per imparare ad affrontare in sicurezza pareti rocciose e ghiacciai è necessario, quindi, affidarsi alle Guide alpine o rivolgersi alle sezioni del Club Alpino che organizzano corsi di arrampicata e di alpinismo. Il C.A.I. Morbegno, che fa parte della Scuola di Alpinismo e di Sci Alpinismo della provincia di Sondrio, offre questa possibilità. Corso di alpinismo 1989. Nella pagina a fronte: Ghiacciaio del Ventina. I seracchi della fronte. Sopra: verso l’attacco della cresta est della Punta Kennedy nel gruppo del Disgrazia. Sotto: Ghiacciaio del Ventina.
139
140
Negli anni ‘70 irruppero sulla scena alpinistica valtellinese i cosiddetti “sassisti”, giovani che, nel clima di contestazione sociale dell’epoca, non esitarono a mettere in discussione i canoni dell’alpinismo classico. Costoro, rifiutando provocatoriamente i miti retorici della “lotta con l’alpe” e della “conquista della
vetta”, divennero i fautori di un alpinismo inteso come gioco-arrampicata sui sassi e sulle pareti di bassa quota, nel quale ciò che contava erano la componente estetica dell’arrampicare e la ricerca della difficoltà estrema. Le conseguenze di questa scanzonata rivoluzione furono
l’abbattimento della barriera del VI grado e l’affermazione dell’arrampicata sportiva degli anni ‘80, nel corso dei quali vennero aperte in Val di Mello una serie impressionante di vie disseminate di difficoltà prima ritenute insuperabili. Chi inoltre riuscì a trovare il punto di equilibrio fra la
ricerca del passaggio estremo e la severità dell’alta quota poté compiere nuove ascensioni, sempre più difficili su tutte le pareti del Màsino e della Bregaglia. Il “sassismo”, che trovò la sua naturale cittadinanza in Val Màsino, ebbe numerosi e qualificati esponenti anche in Bassa Valle.
Esponente di spicco di questa generazione fu il morbegnese Enrico (Chicco) Fanchi che divenne poi Guida alpina e Istruttore di arrampicata libera del C.A.I. Nelle foto: Mario Spini in Val di Mello.
BAITE “Sono arrivato su in alto alla selvaggia Val Qualido nel primo pomeriggio e il sole si nascondeva già dietro una parete rocciosa, verticale, inaccessibile. Vi si scorgevano però delle corde colorate lasciate da misteriosi alpinisti affascinati dall’impossibile, tenaci, intrepidi, venuti forse da altri mondi. Avevano abbandonato delle attrezzature d’arrampicata ai piedi della parete in alcune baite. Baite molto primitive ove, entrando, sentivi aleggiare qualcosa di magico, un suadente stregato invito a rimanere; esprimevano la loro muta disponibilità ad accoglierti, a proteggerti, desiderose forse, dopo lunga astinenza, di essere riscaldate dal calore umano. … In basso, in Val di Mello, mentre guardavo ammirato la maestosa mole del Disgrazia che assorbiva avidamente gli ultimi riflessi del sole che se ne andava sotto, percepivo sempre più l’alitare della sera e il senso dei misteriosi messaggi che si scambiavano le baite nate lì ai primordi dei tempi; senso e contenuto intelligibili solo da chi, attratto dal favoloso ambiente e dal particolare idioma, ha dedicato pazienti ascolti, lunghe attese e fantasiose integrazioni con l’ambiente. Messaggi dal tono lieve, appena sussurrato, per non disturbare il lungo, secolare sonno dei mitici massi che le avevano generate e per i quali conservano un’ancestrale soggezione. Si contendevano il piacere di offrire la loro frugale ospitalità. …” (Dai “Ricordi alpinistici” di Oreste Dell’Oca, 1989)
141
LE PRIME ASCENSIONI Il presente elenco è stato compilato sulla scorta dei dati desunti dalle Guide relative alle nostre montagne, delle conoscenze personali dei curatori e delle relazioni in possesso della Sezione di Morbegno del C.A.I. Potrebbe non essere completo in particolare per le “prime” del periodo 1977-1990.
VAL MASINO
1896
1881
CIMA DI CASTELLO, per il bocchetto Baroni F. Allievi, F. Lurani con A. Baroni e Giulio Fiorelli
PIZZO LIGONCIO, parete ENE F. Lurani con A. Baroni e Giulio Fiorelli MONTE SPLUGA F. Lurani con A. Baroni e Giulio Fiorelli CORNI BRUCIATI, PUNTA CENTRALE F. Lurani con A. Baroni e Pietro Scetti
1882 CIMA DEL CAVALCORTO F. Lurani con Giovanni e Giulio Fiorelli
1887 PUNTA TORELLI, variante parete S F. Lurani con Giulio Fiorelli
1890 MONTE DI ZOCCA, canalone ESE G. Melzi e A. Noseda con Bortolo Sertori e Giulio Fiorelli
1891 CORNI BRUCIATI, PUNTA NE, parete NO G. Melzi con Pietro Scetti
1893 PUNTA S. ANNA F. Lurani e C. Magnaghi con Giulio Fiorelli e Bortolo Sertori PIZZO CAMEROZZO, versante NO e cresta N F. Lurani, C. Magnaghi e G. Melzi con Giulio Fiorelli e Bortolo Sertori PIZZO DEL FERRO OCCIDENTALE, parete NE S. Bonacossa con A. Baroni e Bortolo Sertori
1895 COLLE DEL TORRONE, variante canalone SO Brenner e Mohn con Bortolo Sertori PIZZO DELLA REMOLUZZA F. Lurani con Giovanni Fiorelli CIMA DEL BARBACAN F. Lurani con Giulio Fiorelli
1900 MONTE DI ZOCCA, parete NE G. Gugelloni con Bortolo Sertori
SASSO MANDUINO, parete NO E. Castelli e A. Omio con Giacomo Fiorelli
1905 PUNTA SERTORI, versante N della cuspide E Castelli con Giacomo Fiorelli
1906
TORRIONE DEL FERRO, parete SE H. Ellensohn con Bortolo Sertori
MONTE DI ZOCCA, cresta NE A. Castelnuovo con Anselmo Fiorelli
PUNTA SERTORI Bortolo Sertori, poi G. Gugelloni e U. Monti
PUNTA RASICA, parete ONO (via Castelnuovo) A. Castelnuovo con Anselmo Fiorelli
1901 SCIORA DI DENTRO, cresta NNE G. Gugelloni con Bortolo Sertori AGO DI SCIORA, versante ESE G. Gugelloni con Bortolo Sertori MONTE DISGRAZIA. Crestone SO e cresta ESE G. Gugelloni con Bortolo Sertori PUNTA FIORELLI C. Savonelli con Giovanni Fiorelli MONTE SPLUGA, versante NE F. Lurani con A. Baroni e Giulio Fiorelli
1903 CIMA DI CASTELLO N. Zaquini con Enrico Fiorelli (1a ascensione invernale) SASSO MANDUINO, variante sulla parete E G. Bonazzola con Giacomo Fiorelli
1904
1907 MONTE DI ZOCCA, cresta NE A. Bonacossa con Bortolo Sertori Gruppo Monte Bianco, DAMES ANGLAISES punta centrale A. Castelnuovo con Anselmo Fiorelli
1908 PUNTA MORASCHINI, parete NO G. e R. Bertolini con Enrico Fiorelli PUNTA BERTANI, parete SO G. e R. Bertolini con Enrico Fiorelli CIMA DEL PASSO DI BONDO, versante SSO E. Bontadini con Giacomo Fiorelli PUNTA DELLA SFINGE M. Carli e G.F. Casati-Brioschi con Emilio e Giacomo Fiorelli
1909
PUNTA DEGLI ALLI K. Abraham con Giacomo Fiorelli
PIZZO CENGALO, ANTICIMA ORIENTALE, variante versante e cresta SE A. Scarpellini con Giacomo Morè
PUNTA MORASCHINI, versante SSO K. Abraham con Giacomo Fiorelli
PIZZI GEMELLI, PIZZO SE, cresta SSO A. Scarpellini con Giacomo Moré
PIZZO BADILE, parete SO (via della gola occidentale) A. Redaelli con Bortolo Sertori PIZZI GEMELLI, PIZZO SE, cresta SSO M. Della Porta e Riva con Giacomo Fiorelli
1910 PUNTA MILANO G. Bernasconi, P. Ferrario, G. Silvestri con Emilio e Marcello Fiorelli
1917 CIMA DEL CALVO EST G. Silvestri e C. Virando con Giacomo Fiorelli
142
1932
1941
MONTE DI ZOCCA, variante sulla cresta NE G. e Nina Perlasca con Guglielmo e Virgilio Fiorelli
PIZZO MERIDIONALE DELL’ORO, spigolo S A. Calegari con Virgilio Fiorelli
1934
PIZZO RATTI, parete SO A. Calegari con Virgilio Fiorelli
PUNTA ALLIEVI, parete SO P. Cottini, P. Santini e A. Trotti con Gildo Fiorelli
1942
1937
MONTE BORIS, parete NE A. e Carla Calegari con Virgilio Fiorelli
PIZZO DELL’ORO MERID., parete SO Camillo Giumelli e Riccardo Searight
PIZZO DELL’ORO CENTRALE, parete O A. e Carla Calegari con Virgilio Fiorelli
1938
CIMA DEL CALVO EST, parete NO A. Calegari con Virgilio Fiorelli
PIZZO BADILE A.. Calegari con Giacomo e Virgilio Fiorelli (1a ascensione invernale)
1943
PUNTA TORELLI, cresta SO A. Calegari con Virgilio Fiorelli (1a ascensione invernale)
CIMA DEL CALVO EST A. Calegari con Attilio e Virgilio Fiorelli (1a ascensione invernale)
PUNTA MILANO, parete O (via Vinci) P. Riva e Alfonso Vinci
1945
PIZZO LIGONCIO, parete ONO P. Riva e Alfonso Vinci
CIMA DEL CAVALCORTO, parete SO A. Calegari con Virgilio Fiorelli
1939
1946
PUNTA SERTORI, parete E E. Bernasconi, P. Riva e Alfonso Vinci
CIMA DI CAVISLONE A.Calegari con Virgilio Fiorelli
PIZZO CENGALO, cresta SSO (via Vinci) E. Bernasconi, P. Riva e Alfonso Vinci
1948
1940 PIZZO DELL’ORO SETTENTRIONALE A. Calegari con Virgilio Fiorelli (1a ascensione invernale)
MONTE LOBBIA A.Calegari con Virgilio Fiorelli
1949 MONTE SPLUGA, versante NE A. Calegari con Virgilio Fiorelli
CIMA DEL BARBACAN A. Calegari con Virgilio Fiorelli (1a ascensione invernale)
PIZZO TRUBINASCA A.Calegari con Virgilio Fiorelli (1a ascensione invernale)
PIZZO SCEROIA, vetta N, spigolo NE A. e Carla Calegari con Giacomo e Virgilio Fiorelli
1952
PIZZO MERIDIONALE DELL’ORO G. Biffi e A. Calegari con Virgilio Fiorelli (1a ascensione con gli sci) PIZZO SCEROIA vetta nord, parete SE A. Calegari con Virgilio Fiorelli
PUNTA MILANO V. Bramati e G. Montrasio con Dino Fiorelli (1a ascensione invernale) PUNTA DELLA SFINGE A. Calegari con Giulio e Virgilio Fiorelli (1a ascensione invernale) PUNTA MILANO, parete ENE (via Bottani) Ezio Angelini, Felice Bottani e G.Riva
PIZZO BADILE, parete NE (via Cassin) Felice Bottani e Giovanni Riva (1a ascensione valtellinese)
1953 PIZZI GEMELLI, PIZZO SE, parete NE C. Corti, Giulio Fiorelli e C. Mauri (1a ascensione invernale) PIZZI GEMELLI, spigolo NO Giulio e Titta Lavizzari (1a ascensione valtellinese)
PIZZO MERIDIONALE DELL’ORO, variante alla parete NNO Ezio Angelini, Giorgio Bertarelli e Felice Bottani
1961 MONTE BORIS, parete SE (via Edelweiss) Felice Bottani e Giuseppe Dell’Oca
1962
CENGALO, pilastro NO Giulio e Titta Lavizzari (1a ascensione valtellinese)
PIZZO CENGALO, PUNTA ANGELA, parete SO Giorgio Bertarelli, Giuseppe Dell’Oca e Giuseppe Mossini
1954
1964
PUNTA FIORELLI Dino e Giulio Fiorelli PUNTA DELLA SFINGE, spigolo NNE B.Crippa con Giulio Fiorelli
PUNTA DELLA SFINGE, parete SE (via dei Morbegnesi) Piero Botta, Felice Bottani, Giuseppe Dell’Oca, Antonio Passerini, Luigi Romegialli
1955
1966
PUNTA TORELLI, spigolo SSE (via direttissima) C. Mauri, G. Ferrari e Giulio Fiorelli
PIZZO SETT. DELL’ORO, parete O del torrione O Felice Bottani e Attilio Fiorelli
1956
1967
PIZZO SETTENTRIONALE DELL’ORO Felice Bottani e Giulio Lavizzari (1a ascensione invernale)
PUNTA MILANO, spigolo NE Ezio Angelini e Giorgio Bertarelli
PIZZO BADILE, parete SE (via Molteni) Dino e Giulio Fiorelli (1a ascensione invernale)
PIZZO MERIDIONALE DELL’ORO, parete NNO (via Bruno Credaro) Bruno e Felice Bottani e Carlo Milani
PUNTA DELLA SFINGE, parete NE (via Dino Fiorelli) G.M. Radaelli con Dino Fiorelli
PUNTA ENRICHETTA, parete SO U. Bonesi, Giacomo Fiorelli e I. Vismara
1957
1970
PIZZO CENGALO, cresta SSO (via Bonacossa) Dino e Giulio Fiorelli (1a ascensione invernale)
PIZZO MERIDIONALE DELL’ORO, spigolo NO Bruno Bottani, P. Ciapponi, Carlo Milani e Peppino Volpatti (1a ascensione invernale)
PIZZO BADILE, parete SO (via del pilastro meridionale) Giulio Fiorelli, E. Frisia e R. Merendi
1958 PIZZO CENGALO, PUNTA ANGELA, parete SE L. Airoldi, Dino Fiorelli, R. Gallieni e D. Piazza
1960 PIZZO MERIDIONALE DELL’ORO, variante d’attacco allo spigolo NO Giorgio Bertarelli e Luigi Bongio
1969
PUNTA DELLA SFINGE, parete SE (via Amosso – Elli) Giorgio Bertarelli e Giuseppe Caneva (1a ascensione invernale) PUNTA FIORELLI, parete NO (via Bonatti) Giorgio Bertarelli e Giuseppe Caneva (1a ascensione invernale)
1972 PUNTA MEDACCIO, parete NE del Piccolo Medaccio (via Guido Cenini) Felice Bottani, C. Corti e C. Gilardi
PIZZO LIGONCIO, parete ONO Giuseppe Caneva (1a ascensione solitaria)
1973 PIZZO BADILE, parete SE (via del pilastro orientale) Felice e Michele Bottani, Pierangelo Ciapponi e Giuseppe Dell’Oca CIMA DEL CAVALCORTO, parete S Giuseppe Caneva e Carlo Milani (1a ripetizione) PUNTA MEDACCIO, parete ENE e cresta NNE (via Città di Morbegno) Bruno, Felice e Michele Bottani e Pierangelo Ciapponi PUNTA VIRGILIO Giuseppe Caneva e Carlo Milani CIMA DEL CALVO EST, parete ENE (via Valanga) Giorgio Bertarelli e Oreste Dell’Oca
1974 QUALIDO-ZOCCA, QUOTA 2493, parete NE Ugo Fiorelli e Primo Gianoli PIZZO BADILE, parete SO (via del pilastro meridionale) Bruno, Felice e Michele Bottani, Pierangelo Ciapponi e Vincenzo Spreafico
1976 PUNTA DELLA SFINGE, parete NE (via Walter) Felice e Michele Bottani, Dino Fiorelli e Vincenzo Spreafico TORRE BERING (Val Toate) M. Casaletti, I. Guerini, Tarcisio Mattei
1978 PUNTA DELLA SFINGE, PARETE ne (via Serena) V. Cesarano, Lodovico Mottarella, F. Sosio AVANCORPO ORIENTALE DEL CAVALCORTO Q.2358, (Via dell’ingegnere nucleare) G.Miotti, Lodovico Mottarella, F. Sosio
1980 PIZZO CENGALO, ANTICIMA SUD (via del Fiorellino) G.Miotti, Lodovico Mottarella
PIZZO DEL FERRO CENTRALE, pilastro S, anticima E G. Miotti, Lodovico Mottarella, Mario Spini
1990 PUNTA RASICA, avancorpo SO (via donne al mare) P.Marchetti (Kima), M.Rapella. SPARTIACQUE TORRONEZOCCA, quota 2475 (via spiagge lontane) P.Marchetti (Kima), M.Rapella. SPARTIACQUE TORRONEZOCCA, quota 2475 (spigolo O, cresta S) P.Marchetti (Kima), M.Lodola.
1992 PIZZO CENGALO, parete ESE (via Dalai Lama) G.Maspes, Cristiano Perlini PICCO LUIGI-AMEDEO, parete O (via del Lodola) P.Marchetti (Kima), M.Barbaglia, M.Lodola. PUNTA RASICA, avancorpo O (via Vice) P.Marchetti (Kima), M.Gagliardi, G.Villa. VAL DI MELLO, Le Arcate (via mango, papaia, Kiwi) G.Maspes, E.Moretti, Cristiano Perlini, Luca Salini, Daniele e Moreno Fiorelli
VAL GEROLA 1890 PIZZO DI TRONA G. Melzi con Bortolo Sertori (1a ascensione nota)
1937 TORRIONE DI MEZZALUNA, parete NO Battista Tentori, Gusmeroli, Consonni
1952 PIZZO VARRONE, parete NE Luigi Bongio e Giuseppe Caneva
1955 DENTE DI MEZZALUNA, versante N Pinuccio Del Nero e Valerio Paltrinieri
1966 CIMA DI PESCEGALLO, parete E Giorgio Bertarelli e Giuseppe Caneva
1968 DENTI DELLA VECCHIA, parete N Ezio Angelini e Giuseppe Caneva
SPEDIZIONI EXTRA-EUROPEE
1993
1975
PUNTA RASICA, avancorpo SE (via Natalia) P.Marchetti (Kima), M.Barbaglia, B.More.
Ande peruviane PUSCANTURPA NORD, parete NO G. Bianchi, Giuseppe Caneva, Carlo Milani, A.Da Polenza, G. Buizza, G. Mora e F. Boselli
PIZZO TORRONE OCC., parete SE (via Ciota Cicoz) G.Maspes, Cristiano Perlini PUNTA ALLIEVI, pilastro SE (via Filo logico,1° invernale) Cristiano Perlini VAL DI MELLO, California Climber M.Vannuccini, C.Giatti, Dante Barlascini. PIZZO TORRONE OCC., avancorpo SSO, spigolo S P.Marchetti (Kima), N.Benedetti, M.Fioretti, M.Gagliardi, G.Villa, A.Terrazzani. PUNTA RASICA, avancorpo O (via sentiero dei sogni) P.Marchetti (Kima), N.Benedetti, M.Fioretti, M.Gagliardi, G.Villa.
143
1986 Cordillera Huayhuash (Ande) NEVADO YERUPAYA, parete S CAI Clusone e Michele Bottani
1988 Karakorum MASHERBRUM FAR WEST Felice e Michele Bottani, Franco Scotti, Ermete Corbellini, S. Andreola, A. Zanotti, B. Scarabessi, G. Savoldelli, A. Carminati e P. Campostrini
PER SAPERNE DI PIU’ Libri
B. CREDARO, Storie di guide, alpinisti e cacciatori, Sondrio, 1955 B. CREDARO, Ascensioni celebri sulle Retiche e sulle Orobie, Sondrio, 1964 A. BOSCACCI, M. PELOSI, G. BETTINI, I. FASSIN, Montagne di Valtellina e Valchiavenna, Sondrio, 1982 A. GOGNA, G. MIOTTI, A piedi in Valtellina, Sondrio, 1985 G. MIOTTI, G. COMBI, G. MASPES, Dal Corno Stella al K2, Sondrio, 1996 B. GALLI VALERIO, Punte e passi, Sondrio, 1998 M. MANDELLI, D. ZOIA, La carga, contrabbando in Valtellina e Valchiavenna, Sondrio 1998 C. E. ENGEL, Storia dell’alpinismo, con appendice di M. MILA, Cento anni di alpinismo italiano, Torino, 1965 Guide
CAI VALTELLINESE (a cura), Guida alla Valtellina, Sondrio, 1884 CIRCOLO STELLA D’ALPE (a cura), Delebio e il Legnone, Sondrio, 1897 B. CREDARO, Piccola guida sciistica della provincia di Sondrio, Sondrio, 1938 L.B. SUGLIANI, Guida sciistica delle Alpi Orobie, Bergamo, 1939 S. SAGLIO, A. CORTI, B. CREDARO, Alpi Orobie, Milano, 1957 BONACOSSA, G. ROSSI, Masino, Bregaglia, Disgrazia - vol. I/II, Milano, 1977/1975 GRUPPO EDELWEISS MORBEGNO (a cura), Il collegamento dei rifugi della val Màsino e valli limitrofe, Morbegno, 2001 Articoli
A. VINCI, Monti del Màsino, regno del granito, Rivista mensile CAI. 8,9/1938 A.A.V.V., Val Masino, Bollettino mensile CAI Milano, luglio 1954 B. CREDARO, Cento anni di alpinismo sulle Alpi Retiche, Rivista mensile CAI, 5,6/1963 G. COMBI (a cura), L’intervista ad un alpinista valtellinese: Felice Bottani, Annuario CAI Sondrio, 1987 G. COMBI, Vera Cenini Lusardi, la signora delle montagne della Valmàsino, Annuario CAI Sondrio, 1997 I. BUSNARDA LUZZI, Professione: guida alpina, Rassegna economica C.C.I.A.A. Sondrio, 1/1988 A. RIVOLTA, El gir de la Ca’ San Marc, Rassegna economica C.C.I.A.A. Sondrio, 2/1989 G. MIOTTI, Alfonso Vinci; la mia Amazzonia, Centouno, Sondrio, 1989 M TESTORELLI, La Staffetta Alpina del Vallo Littorio, Notiziario B.P.Sondrio, 84/2000
144
145
146
Cent’anni di montagna in Bassa Valtellina