consegna masterplan Cascina Merlata | works UniversitĂ Politecnico di Milano | FacoltĂ di Architettura Civile Bruni Obino Slavova
Inquadramento
L’area di Cascina Merlata è racchiusa e delmitiata dai comuni di Pero, Rho e dai quartieri milanesi Gallaratese e Baranzate. Essa costituisce una zona “ponte” con l’area destinata all’Expo Milano 2015.
Accessi e Viabilità esterna
Il punto di interesse per gli accessi esterni all’area sono rappresentati dallo svincolo autostradale e dalla viabilità principale ad alto scorrimento a nord-est. Da sud l’accesso all’area è ciclo-pedonale.
Accessi e Viabilità interna
La viabilità interna è prevalentemente ciclabile e pedonale in un sistema integrato con il verde. É evidente il segno sud-nord del percoso ciclopedonale che si collega a nord con l’area Expo.
Sistema del Verde
Il raggio 7 di Milano è quello che corre dall’asse del sempione fino all’are di Rho fiera.
Flusso del Verde
Il flusso del raggio 7 di milano prosegue, nel dettaglio, attraverso il sistema ciclo-pedonale progettato per il masterplan di Cascina Merlata. In questo senso sussiste un collegamento tra la zona sud e l’area Expo.
Analisi dei Tessuti Urbani
Dall’alnalisi dei tessuti urbani si è evidenziato che l’area limitrofa al “Cascina Merlata” è costituita prevalentemente da tessuti industriali e misto-residenziali. Il tessuto infrastrutturale è costituito prevalentemente dalla stazione di Rho Fiera Milano.
Analisi delle Funzioni
Analisi delle Criticità
L’analisi funzionale del masterplan di cascina Merlata mostra la prevalenza del tessuto residenziale integrato nel sistema del verde ed ai servizi di urbanizzazione primaria.
L’analisi delle criticità mostra l’sistenza di un forte elemento di frattura dato dal sistema di svincolo autostradale imposto dal masterplan. Allo stesso modo è evidente un forte impatto delle infrastrutture autostradali e ferrociarie rispetto alla zona nord di intervento. L’integrazione del tessuto industriale è da tenere conto nella zona nordovest di cascina.
S P U N T I
M E M O R I A D E LA L L A C A S C I N A
CASCINA
DEL
FUTURO
“EXPO
S O S T E N T A M E N T O
MIX FUNZ IONALE D I SPAZIO PU BBLICO
CONCEPT ORGANIZZAZIONE FLUSSI, CONNESSIONI TERRITORIALI, INTERVENTO A SCALA URBANA, PUNTO DI SNODO
IL VERDE DELLA CASCINA, IL CONTINUO DEL PARCO URBANO, LA CASCINA DEL FUTURO
’ A T I MO AZIONE V I S T I I M S A DIN TRAN INTER
AYERS L I D O C GIO
FUNZIONI PER LA CITTA’: -COWORKING, SPIN-OFFS, STARTUPS, -BIBLIOTECA -ANFITEATRO -AUDITORIUM -ORTI AGRICOLI, SUSSISTENZA -ORTO BOTANICO, CENTRO RICERCA
Il Masterplan Flusso pedonale coperture
Flusso ciclo-pedonale
1
sezione trasversale
sezione longitudinale Flusso carrabile
2 3
4
Sistema del verde
Flusso carrabile sotterraneo
Esploso Layer 3D
5
MIX FUNZ IONALE D I SPAZIO PU BBLICO
Planimetria Funzionale centro commerciale residenze uffici co-working, start-up
museo della cascina centro ricerca nutrizione orto botanico
Il Masterplan
biblioteca anfiteatro
MIX FUNZ IONALE D I SPAZIO PU BBLICO
Il Modello 3D
Il Masterplan
Masterplan ultimo
MIX FUNZ IONALE D I SPAZIO PU BBLICO
Il Modello 3D
La Passerella
SPUNTI...
ne
intersezio
INTERSEZ
IONE
Water Pavilion
Simone de Beauvoir footbridge
Buro Happold - Infinity Loop Bridge Footbridge CafĂŠrestaurant - BikeStore
“CHE COSA CHIEDIAMO ALLA CITTA’ ?” Keywords: topologia - scala - densità
Riflessioni
Bruni Simone
Visibilità – Forma della città “I fatti urbani” – gli elementi primari come elementi costituenti la città Elementi tipologici Critica al funzionalismo “ingenuo” Processi di trasformazione della città L’analisi morfologica – Topologia Processi metodologici – Ungers “La città dialettica”
… Visibilità – Forma della città Per sviluppare un metodo o un approccio progettuale nei confronti dell’area e, quindi, della città in cui agiamo dobbiamo prima di tutto chiederci quale sia la forma della città. In ambito architettonico siamo portati a considerare la forma come dato concreto che si “riferisce ad un esperienza concreta”. Essa, infatti, si riassume nella “architettura della città”. Nel riferirsi alla “architettura della città” possiamo intendere due modi: il primo riguarda il fatto che consideriamo la città come un grande manufatto architettonico e ingegneristico, la seconda è che possiamo circoscrivere la nostra analisi a degli intorni più limitati della città stessa, ove è possibile constatare la presenza di “fatti urbani, caratterizzanti di una loro forma e una propria architettura”. Ma come è definita, o come si presenta la forma in senso architettonico? Possiamo dire che essa, in quanto espressione architettonica, manifesta la concretezza del senso dell’abitare e costituisca, a tutti gli effetti l’espressione fenomenica di una serie di scelte che vanno dall’organizzazione fisica degli spazi, alla scelta e uso dei materiali, alla composizione dei volumi tramite la luce. Tale forma architettonica dovrà, quindi, incorporare un idea del luogo o del manufatto che stiamo progettando per la funzione che esso dovrà svolgere.
...“I fatti urbani” – gli elementi primari come elementi costituenti la città La forma della città, allo stesso modo, è un continuo divenire definito dal palinsesto che si è sviluppato in quanto percorso storico della città stessa. Essa sarà data da un insieme dei “fatti urbani” che ne caratterizzano, nella sua complessità, l’aspetto visivo. In altri termini, un “fatto urbano” può essere inteso come classificazione di una strada, una città, una strada nella città, sistemi di strade in
strade in un determinato luogo e ancora manufatti di rilevante importanza. Tutti questi elementi, messi a sistema, definiscono la forma della città nella sua essenza compositiva e rappresentativa. Noi possiamo concentrarci nell’analisi e nella classificazione di come questi elementi siano scomponibili a livello logico per ottenere uno studio critico della città. Da qui dovremmo occuparci di diverse scienze come la geografia urbana, la topografia dell’architettura in senso lato e di ulteriori discipline che governano gli strumenti adeguati per controllare lo studio e la descrizione di una città, trovare cioè un metodo logico per ottenere uno studio critico della città. Da qui dovremmo occuparci di diverse scienze come la geografia urbana, la topografia dell’architettura in senso lato e di ulteriori discipline che governano gli strumenti adeguati per controllare lo studio e la descrizione di una città, trovare cioè un metodo logico da applicarsi ai problemi del linguaggio, della descrizione e della classificazione. Una prima questione, quindi, è quella relativa alla classificazione relativa agli edifici che compongono la città, il “tipo”, ma soprattutto del rapporto che instaurano con la città stessa. Consideriamo gli edifici, i manufatti urbani come facenti parte di un unicum, un tutto che è, appunto, la città. Intendiamo lo studio dei fatti urbani come un opera d’arte, come elementi che assumono una data importanza proprio in virtù del fatto che essi “illuminano” con la loro essenza la struttura della città. Infatti sussiste un rapporto biunivoco tra la città intesa come qualità estetica di alto valore, come valore eccelso, e tutte quelle opere che la compongono nelle sue parti più piccole, che costituiscono la sua architettura. Appunto la città non può non essere vista come un unicum architettonico, che incorpora in sé un valore appunto di livello architettonico.
…Elementi tipologici La questione tipologica ha percorso la storia dell’architettura e si è necessariamente rapportata a livello urbano. Come affermava il Milizia “la comodità di qualunque edifizio comprende tre oggetti principali che sono: 1. La sua situazione, 2. La sua forma, 3. La distribuzione delle sue parti”. Questa definizione introduce quindi il concetto di tipo e ne assimila tre caratteristiche peculiari. Il tipo deve essere inteso come un’idea progettuale di riferimento architettonico al di sotto del quale non sussiste alcuna classificazione ulteriore. In questo senso esso deve “servire da regola al modello”. Il tipo, quindi, non va inteso come
mento da copiare, ma piuttosto come un metodo che possa essere da ausilio alla classificazione, oltre che allo sviluppo di un modello architettonico. Se considerato in questo modo, il tipo acquisirà in termini logici il fattore di costanza e in tal modo sarà riscontrabile in qualunque fatto architettonico. In questo senso la tipologia costituisce un metodo di approccio progettuale analitico dell’architettura. Essa costituisce “lo studio di tipi non ulteriormente riconducibili degli elementi urbani, di una città come di una architettura”. In questo senso la relazione tra tipologia e forma assume un significato importante. Essa presuppone il fatto che le forme architettoniche possono essere ricondotte a dei tipi: città monocentriche, policentriche, edifici centrali piuttosto che tutte le tipologie abitative che nel corso della storia dell’architettura si sono sviluppate. Queste sono tutte classificazioni tipologiche. Possiamo quindi affermare che il tipo è un metodo di classificazione dove la forma gioca un ruolo dominante e ne caratterizza l’essenza.
… Critica al funzionalismo “ingenuo” Abbiamo concepito uno stretto legame tra tipologia e forma, assumendo come quest’ultima sia riconducibile al primo tramite un metodo logico “necessario”. Ma nell’ottica di definire, di spiegare, di concepire all’interno di un disegno complessivo della città, un “fatto urbano” qual è la posizione critica da adottare nel classificarlo e nel descriverlo? La critica ferrea di Aldo Rossi al funzionalismo cosiddetto ingenuo chiarisce come la funzione non possa in alcun modo definire banalmente l’essenza formale di “fatto urbano”. Ci sono, infatti, esempi di fatti urbani preminenti ove la funzione sia mutata nel tempo, dove edifici monumentale o di carattere storico rilevante abbiano nel tempo ospitato funzioni di diverso tipo, mantenendo dall’altro lato un impatto di notevole rilevanza e qualità formale. È quindi evidente che il valore di un architettura non possa esclusivamente essere assoggettato ad un valore meramente funzionale, al contrario un tale approccio porterebbe ad una condizione “regressiva perché essa impedisce di studiare le forme e di conoscere il mondo dell’architettura secondo le sue vere leggi”. Aldo Rossi, quindi, respinge questa concezione del funzionalismo, dettata da un ingenuo empirismo, per cui le funzioni riassumono la forma e costituiscono univocamente il fatto urbano e l’architettura. D’altro canto però, l’approccio funzionalista può essere adottato allorquando sia chiaro che esso venga utilizzato per fini puramente strumentali e di studio e analisi del
contesto urbano, dove viene comodo sviluppare delle classificazioni per elementi elementari. Infatti, afferma Aldo Rossi, che “si può ammettere di classificare gli edifici e le città secondo la loro funzione, come generalizzazione di alcuni criteri di evidenza […] se che il criterio funzionale di classificazione è accettabile come regola pratica e contingente alla pari di altri criteri: per esempio associativi, costruttivi, di sfruttamento dell’area e così via”. Classificazioni che hanno una loro validità e utilità in virtù del fatto che danno delle informazioni più che altro dal punta di vista del metodo adottato per la classificazione piuttosto che sull’elemento in sé.
Processi di trasformazione della città Nel descrivere l’impostazione formale e strutturale della città la prima cosa che possiamo riscontrare con una certa facilità è che in, generale, sussiste un rapporto stretto tra aree-residenza (che costituiscono un fatto urbano che di per sé è preminente all’interno di una composizione urbana. Possiamo infatti affermare con un certa sicurezza che non esistono città dove non sia presente il “tessuto” residenziale) e elementi primari. Sia nel caso in cui questo rapporto porti all’unificazione di questi elementi che in quello dove questo tentativo di unificazione in un’unica forma non avviene, come ad esempio per città come Roma, Vienna e Berlino, questo rapporto, questa tensione è ancora più evidente. In questo senso possiamo dire che la città, anche nei suoi tessuti incerti e di trasformazione, rappresenta un unicum definito e valorizzato proprio dal palinsesto che l’ha prodotto. In questo senso, afferma Aldo Rossi, “il carattere distintivo di ogni città e quindi anche dell’estetica urbana, è la tensione che si è creata e si crea tra aree e elementi, tra l’un settore e l’altro”.
L’analisi morfologica – Topologia Con la parola topologia si intende lo studio della conformazione del territorio inteso come analisi dello stato di configurazione dei luoghi che costituiscono in senso lato l’orografia del terreno. In un contesto architettonico, lo studio topologico si concentra nello studio delle forme e delle figure che caratterizzano il territorio urbanizzato e non. In questo senso, l’analisi topologica, viene intesa come sperimentazione dei sistemi di interrelazione tra gli edifici, i percorsi, gli scorci, sequenze visive e cosi via dove si riconnettono uomo, natura e ambiente.
L’attività di progettazione architettonica e urbanistica deve pensare una forma ti, ridotti, perfezionati o cambiati. Ogni modifica di un sistema individuale moche tenga conto dell’orografia del suolo che armonizzi il costruito rispetto all’am- difica o cambia il successivo. Il metodo consiste essenzialmente nel sovrapporre biente inteso quale contesto urbanizzato e paesaggistico. a mano a mano ogni nuovo e più completo sistema con un ulteriore layer, in modo da monitorare e considerare gli effetti e esportando i risultati progettuali. Processi metodologici – Ungers “La città dialettica” La progettazione urbana diviene così una procedura razionalizzata, nella quale ogni decisione, ogni ulteriore grado di approfondimento può essere monitorato Il problema della città moderna, afferma Ungers, “qualunque essa sia la sua e compreso. I diversi layer individuali possono essere studiati e risaltati secondo grandezza, non è sicuramente il centro storico, ma piuttosto le aree periferiche le necessità e le priorità che lo studio richiede. In questo senso la strategia della della città stessa, ma soprattutto la connessione e interazione che sussiste tra loro. città come layer può essere inserita come un approccio formale che completa La crescita repentina delle periferie è diventata un epidemia urbana che sembra l’aspetto morfologico della città come luoghi complementari e presuppone, ovincontrollabile”. Egli quindi propone due strategie per descrivere l’aspetto urba- viamente, di vedere la città come un insieme più complesso. Questo processo no di una città e sono rispettivamente la strategia dei luoghi complementari e tiene conto degli aspetti topografici e storici, delle procedure tecniche cosi come quella della città come layer. dei requisiti sociali e dei concetti formali. Nulla viene deciso a priori, ma le scelte La città contemporanea non è più uniforme come una città ideale o storica, vengono fatte caso per caso. L’approccio alla città come layer ipotizzato da U. piuttosto è una amalgama eterogenea di elementi differenti, di sistemi e funzioni. definisce uno strumento ed un vocabolario che consente di pianificare la città Unger afferma che la città metropolitana è una città dialettica e in questo senso caotica odierna in una ordinata, pianificata secondo delle regole precise, con una è sia una tesi che un antitesi. Essa riflette sia le contraddizioni della società e dei struttura comprensibile e chiara. Questo metodo è inoltre progettato per accomsistemi tecnici. In questo senso non è possibile ritrovare delle forme uniformi. pagnare il naturale sviluppo della città cosicché lo sviluppo urbano possa essere Quindi invece di costituire un idea unificata, la città è adesso identificata come guidato attraverso e seguito costantemente secondo delle linee guida ben chiare, una struttura composta da luoghi complementari. Per tale motivo è necessario basando la strategia su ipotesi che vengano esaminate in maniera sperimentale. ricerca un metodo appropriato per descrivere e analizzare le caratteristiche di questi posti completamente disparati in maniera tale da poterli studiare e poter Bibliografia sviluppare le loro specifiche caratteristiche, anche aggiungendo quelle funzioni mancanti o migliorando quelle già esistenti. La città costituita da i luoghi com-Aldo Rossi, L’architettura della città; plementari consiste ad una varietà di differenti parti, dove ad ognuna delle quali -Ungers, The Dialectic City. è associato e sviluppato uno specifico aspetto urbano tenendo conto dell’intorno territoriale. In questo senso possiamo parlare di un sistema della città all’interno della città. Secondo U. ogni parte, ogni spazio urbano esiste prima di tutto per se stesso ed evolve soltanto grazie alla sua relazione di complementarietà con un altro spazio urbano, contenuto in se stesso. La seconda strategia è quella della scomposizione per layer. La città può essere schematizzata secondo una serie di layer (livelli) sovrapposti, in maniera sia complementare che diametralmente opposta. I vari sistemi come i trasporti pubblici, beni e servizi, parchi, acqua, edifici, vengono esaminati singolarmente come parti di una struttura urbana più complessa. Essi posso essere isolati e successivamente divenire utilizzabili per un fine operativo. Possono essere sdoppia-
“CHE COSA CHIEDIAMO ALLA CITTA’ ?” Keywords: topologia - scala - densità
Riflessioni
Obino Serena
La cattura dell’infinito di Leonardo Benevolo ha costituito il punto di partenza della mia riflessione; l’interesse per questo libro è scaturito dal fascino di esplorare il concetto topologico sulla scala urbana. La topologia intesa come relazione tra i luoghi è un principio che prescinde dal contesto naturale o artificiale che sia, può esistere in entrambi i sensi, per questo anche attraverso la lettura di questo libro ho voluto approfondire la logica della topologia anche come possibile fattore determinante per il progetto, soprattutto considerando la posizione del sito della Cascina Merlata in direzione dell’asse radiale varesina, Espinasse - Certosa - Sempione. In sintesi Benevolo spiega che l’architettura in senso storico è per lo più la tradizione della piccola e media dimensione, propria dei manufatti umani. Da questo punto di vista infatti l’architettura medioevale e rinascimentale conserva una particolare limitazione dimensionale legata ai confini della visione binoculare, fino alla soglia dei 300 metri, entro cui gli oggetti si percepiscono ancora in rilievo. Intorno alla fine del ‘500 questo equilibrio si modifica per una serie di avvenimenti parallaeli, da una parte grandi realizzazioni oltre la dimensione tradizionale dell’architettura, dall’altra il dibattito sulla forma del mondo alimentato da importanti scoperte scientifiche che parallelamente ha determinato una trasformazione nelle capacità rappresentative della cultura visiva; la prospettiva perde il ruolo di inquadramento delle figure visibili nel sistema gerarchico tradizionale, diviene costruzione geometrica neutrale; nella seconda metà del secolo si scrivono dei trattati che riordinano la materia in modo scientifico indipendente dalla pratica artistica. In questo modo il punto di fuga diviene un traguardo accessibile in linea di principio, che può essere avvicinato ed esplorato con i mezzi disponibili. E’ un’impresa contradditoria ma l’esplorazione razionale del mondo trova sede nella ricerca e l’esperienza artistica inizia a coltivare il tentativo di catturare l’infinito. Un fine paradossale perseguito però con strumenti tecnici e visivi, che resta fermamente sul terreno della realtà concreta (infatti solo facendo astrazione dalle capacità umane di percezione e movimento i limiti possono essere sorpassati). Durante il 1600, scaglionate nel secolo, comincia un nuovo corso di esperienze in Francia, tra cui l’arte dei giardini che era già arrivata ad un alto grado di organizzazione e raffinatezza, scenografia e architettura, realtà e illusione insieme in un sistema unitario. Anche le opere pubbliche accumulate sul territorio formano un reticolo di segni geometrici sovrapposti ai segni irregolari del paesaggio medioevale e del supporto geografico, tuttavia non ancora si percepisce un disegno unitario
suscettibile di una progettazione complessiva. In questo clima sorgono nuove esperienze di controllo paesistico, la prima realizzazione è il castello di Vaux-leVicomte, (1656-61) non un oggetto inserito nel paesaggio, ma una porzione di paesaggio interamente progettata.
Versaille nel 1663.
Nel campo dell’architettura inizia una revisione radicale dei principi teorici. La fiducia nelle regole tradizionali perde il suo carattere obbligante, diviene la scelta di un repertorio. La corsa verso la grande dimensione prosegue sotto la spinta della ricerca scientifica e tecnologica, perde il contatto con la percezione visiva su cui si fondava la cultura prospettica e si svolge nel mondo astratto della rappresentazione mentale che alimenta ormai per conto suo lo scenario delle forme costruite. I progerssi della matematica, dell’ottica e della tecnologia strumentale consentono inoltre alla cartografia una mappatura della superficie terrestre in scala. Tutte queste ricerche retroagiscono fin dal principio sull’allestimento del paesaggio umanizzato. Nel 1800 l’Hausmanizzazione parigina apre una serie di strade rettilinee e prospetticamente concluse, operando come fondali degli sfondi che solo apparentemente ne concludono le lunghezze visuali; le strade diventano canali visuali aperti, qualificati dagli arredi e dai flussi di persone e dei veicoli in movimento, qualità che caratterizzano la fisionomia peculiare di Parigi. L’imitazione della prospettiva parigina realizzata a Milano dal governo napoleonico, colloca sull’asse del castello sforzesco l’Arco della Pace, che domina il breve rettifilo, di un km, della strada verso il Sempione. Ho trovato estremamente affascinante l’intento della cattura dell’infinito pur rendendomi conto, se vogliamo anche banalmente parlando, che l’arteria radiale del Sempione si chiude alla fine del 1800 con la costruzione del Cimitero Maggiore, uno spazio chiuso e inaccessibile, inoltrela ricerca di un fondamento del progetto attraverso questo presupposto sarebbe stata storicamente nostalgica e inadeguata. L’urbanistica milanese già nei primi anni del fascismo con Cesare Chiodi mira ad evolversi secondo nuove politiche urbane, come città policentrica. Il luogo deve confermare il materiale del progetto e non viceversa pertanto non si devono cercare delle forzature, anzi esplicitare le proprietà implicite del luogo. Progettare nella periferia di Milano in una così vasta area, costituisce una risorsa importante di nuovi possibili luoghi per la città, su cui fare leva per rilanciare i valori della città nel suo insieme e per configurare nuove geografie e reti di significati urbani. Il piano urbanistico di Chiodi ha previsto 12 nuclei di progetto, nessun radicalismo ma tensione alla ricerca di una soluzione concreta per una Milano del futuro con due milioni di abitanti, che doveva svilupparsi in continuità con quella esistente; delle città satellite intorno al principale aggregato cittadino, collegate convenientemente da poche buone arterie con il centro principale e
tra loro con tre anelli di circonvallazione, due esistenti e uno di nuove realizzazione. Chiodi combatte la battaglia contro l‘espansione urbana isotropa e uniforme indifferente alla morfologia e alla tendenza del territorio in nome del quale si tracceranno piani caratterizzati da rettifili e circonvallazioni che hanno come unico fuoco la madonnina del duomo. Pertanto intorno ai più importanti nuclei suburbani e lungo le direttrici delle grandi radiali esterne doveva svilupparsi la rete stradale, i servizi, pubblici e la fabbricazione. I poli non sono vere e proprie città satelliti. La scelta di innestare nuovi poli su insediamenti esistenti sembra rivelare un’attenzione ai contesti e la propensione a immaginare modificazioni e integrazioni del tessuto edilizio piuttosto che l’inclinazione a spingere sull’accelleratore delle novità. Ancora oggi Milano nel suo sistema di organizzazione territoriale (dal sistema infrastrutturale, al sistema ambientale, a quello dei servizi a quello dello sviluppo immobiliare) risponde ancora al modello radiocentrico. Per superare questa bipartizione da città storica a città del terzo millennio ci si sta spostando verso un’idea di città capace di trasformare le periferie generiche in nuove molteplici centralità identitarie, integrate alla struttura reticolare del territoiro metropolitano. Spesso la periferia urbana è conseguenza della mancanza di riconoscimento in un’identità locale. Per cui vedere la nostra area di progetto costituisce un’occasione per dare caratterizzazione, specificità e identità ad un un sistema insediativo che oggi diesegna un margine urbano per lo più anonimo; un nuovo tassello di un sistema policentrico con una propria valenza, ben inserito nel suo contesto, soprattutto considerando la sua ideale posizione dal punto di vista infrastrutturale. Il nostro intervento quindi non ha una dimensione di quartiere, ma urbana, sia nella forma, sia nelle funzioni, che non potranno duqnue limitarsi a quelle di quartiere di Cascina Merlata. Si è parlato tanto di dislocazione, cioè di composizione di frammenti tra loro disuniti nella configurazione dello spazio urbano, nell’ipertesto della città in “decostruzione”; in questo senso abbiamo trovato delle analogie con il progetto delle Folies, dell’architetto svizzero Tshumi, in cui Derrida individua un’architettura capace di praticare ed ospitare la decostruzione stessa. La Villette, piccola città, uno spazio di periferia, un vuoto urbano punteggiato da edifici industriali e circondato da quartieri operai, dove gli spazi pubblici hanno perso significato urbano e il decentramento porta a costruire un complesso internazionale. Un eterotropia focaultiana. Il parco rifiuta la struttura gerarchica, l’unità dell’ar-
chitettura della tradizione classica e moderna. Il parco non è mai fisso, e continuamente differenziato, apparentemente irrisolto dalla molteplicità dei significati che in esso si iscrivono, per Derrida un testo aperto all’invenzione dell’uso, ad un interpretazzione dello spazio plurale e creativa, un luogo pubblico degerarchizzato ( in una trama di rimandi, ripetizioni, differimenti, dissenzioni ) e de-monumentalizzato, privo di confini riconoscibili, non una semplice tabula rasa della tradizione architettonica ma la creazione di situazioni destabilizzanti che pongono il fruitore in funzione attiva rispetto al luogo. Il progetto della Vilette, ha costituito un’”evento” talmente forte che ha dato il il via a fenomeni di riqualificazione del suo contesto, un nuovo centro una nuova identità, questa è l’ottica che ha costituito per noi un riferimento, e una chiave di lettura dell’analisi delle criticità dello stato di fatto che abbiamo evidenziato.
Si tratterà allora di “aggredire” la povertà semantica dell’esistente con nuovi inserimenti, di “contraddire la scatola” , o, all’opposto, di affrontare il caos mediante elementi di raccordo, di ritrovare una coerenza complessiva: con l’idea di esplorare convivenze possibili e di avviare un dialogo con l’esistente che possa essere ripreso dagli interventi futuri più che con quella di un’improbabile fondazione di nuovi ordini, definiti in astratto e senza possibilità di evoluzione.
Bibliografia -La cattura dell’infinito, Leonardo Benevolo 1991; -Una città policentrica. Cesare Chiodi e l’urbanistica milanese nei primi anni del fascismo; Renzo Riboldazzi 2008; -Pgt Milano; -Filosofia della metropoli, spazio, potere, architettura nel pensiero del Nove cento, Matteo Vegetti 2009; -L’immagine del progetto urbano, Antonio Capestro 2001; -Disegnare le periferie, il progetto del limite, Carlo Giammarco/Aimaro Isola.
“CHE COSA CHIEDIAMO ALLA CITTA’ ?” Keywords: topologia - scala - densità
Riflessioni
Slavova Violetka
The two different methodologies discussed during the lecture – typology and topology – offered me a new clearer perspective, a very useful one, of how to look at the possible initiation of a design process. In other words: what method do we use to gain control over the design process and versatile design stimuli offered to us? When speaking about typology, I have always sensed that working with given types, objects and models leaves a very big possibility for architecture to apply itself almost artificially to a place, without considering its true capabilities. In other words, when choosing the method of typology, one can easily loose his focus and fall into an endless analytical inquiry of the “type”. During this process the “place” could easily be forgotten, or frankly ignored. But architecture could never be a two-dimensional drawing on a white sheet of paper. Even when talking about its necessary third dimension, one could easily be fooled into ignoring the place where architecture happens. Unlike a blank sheet of paper, the place offers a whole other dimension to be studied and followed, and not to be ignored. This is where the methodology of topology comes very handy as a guide of how to understand the place, the properties of its forms and figures. It offers a complete spectrum of tools to analyse what in fact becomes the foundation of each and every architectural project: the apriori properties of the place as an entity in itself. In the article “Progetto di suolo”, Secchi points out that same distinction between the methodologies and how there has been a shift, almost a nostalgical one, from the attention to specific objects back to a wider meaning and scope of urban analysis: “a sort of return to origins has been described by an emphasis in the iconic or metaphoric character”. This quest for the way back to the origins is provoked by the already apparent “abandonment of any […] analogical relationship between what is drawn and what is designed” and moreover by the obvious “progressive loss of the importance of the ground, intended as design material”. Secchi presents a compelling argument that the ground could be used as a possible generative element of the project as a whole: “To me the theme appears […] to revolve around the issue of the design of the ground. It acquires a “sense” inside a wider social project, and acquires a “value” through the project of architecture.” The perception of the territory of the city as a system of different parts is then introduced. But more important is their interpretation. If perceived correctly, “starting from their visible and morphologic characters”, they can act as
a system of different parts is then introduced. But more important is their interpretation. If perceived correctly, “starting from their visible and morphologic characters”, they can act as an engine that starts the design process and propels it in the right direction by working with a deep and honest analysis of what the ground has to offer. This analysis consist in perceiving the parts of the city almost as a text that has to be read and interpreted because it give the urban planner an indispensable explanation of the social interaction that is already inherent in that territory. This essential information then serves to create a meaningful intervention: “I think the most fertile way is to “interpret” the different parts reading them as the results of procedures of social interaction, which are formalized and become habitual through the transformations carried out by different subjects.” In the end the author goes to say, that these parts should be “articulated”: clearly distinct, own strong identities that define them, and the greater the articulation becomes, the greater is the quality of urban space. In this way the ground is no longer a technical space, a mere foundation for the buildings to come. It has become a sign, a book to be read in order for the following interventions to be successful and most of all – meaningful. Our team tried to use part of this methodology when thinking about the masterplan of the Cascina Merlata. The intervention aims to produce an area with strong identity that has to be perceived at the scale of the city as a whole. This strong identity gives higher definition to the adjacent areas and has the potential to activate them. We gave great importance to the existing articulation of the parts around and inside the project area: the clearly defined infrastructural territory, the industrial neighborhood, the residential area, the park. We wished that our design would function as a connecting node that invigorates and gives higher meaning to every one of these areas. But what is more, we envisioned our design not only functionally but formally different from its neighbors in search for that higher articulation that Secchi’s theory praises. The curved, sinuous forms we applied were in part a desire for greater articulation in respect to the adjacent territory, and in part an almost direct interpretation of the naturally occurring form of the terrain – the ground; we had in mind a concept of “suolo come paesaggio”.We tried to interpret in a contemporary way the green of the farm of the past and its agricultural ground. Our design is based on the flows of people, their division of flows of cars and bicycles, and the points of interest determined by strong functions where we wanted to take them. These flows are the natural forces that formed our lan-
dscape of buildings and greenery that melt in one another. Our intervention is a series of buildings that we wanted to be perceived as a continuation of one another, following the principle of the flows and defining them at the same time. In this sense, we delved into the concept of scale; as a reference, I read Rem Koolhaas’ article “Bigness or the problem of the Large”. He argues that when having reached a certain volume–“critical mass”–a building transcends beyond the well-known architectural types and enters in a category of a new “species” – Bigness. The term new species tries to show that “such a mass can no longer be controlled by a single architectural gesture or even by any combination of architectural gestures”. And although architects still do not understand how to deal with Bigness, because it has a an uncontrollable quality implied, Koolhaas actually perceives it as a positive influence that revives its context: “Only BIGNESS can sustain a promiscuous proliferation of events in a single container”, “Only BIGNESS can support genuinely new relationships between functional entities that expand rather than limit their identities.” Another very intriguing quality of the BIG is the impossibility of the architect to control all of its aspects; this volatility can be interpreted as weakness, but for Koolhaas it presents itself as a strength: “A paradox of the BIGNESS is that in spite of the calculation that goes into its planning – it is the one architecture that engineers the unpredictable. Instead of enforcing coexistence, BIGNESS depends on regimes of freedoms, the assembly of maximum difference.” This idea bonds directly to our perception of the flows as a way to freely move between, under and on top of buildings. That freedom of movement and the need for the user to invent new modes of movement and use was very important for our concept since the beginning of the analysis of the project. So our choice of a greater scale for our intervention, could be explained by the search for unpredictability; the possibility to relinquish the control over the design and let it develop almost “by itself ”. In fact, during many of the design fases, we as a team felt that we had created the basic structure of the design but due to its greater scale, at certain point it was the project itself which took us to the next logical step. It had developed its own identity, its own direction and almost its own desires. And it communicated them to us. And even if we believed that the connection with the context is very important for our design, the end Koolhaas says: “BIGNESS is no longer a part of any tissue. It exists; at most, it coexists.” However we strongly hope that our project will manage not only to coexist but manage to develop meaningful relationships with its context.
Bibliography -R. Koolhaas, Bigness, or The Problem of Large, trad. it. Bigness ovvero il problema della grande dimensione, in «Domus», 764, ottobre 1994; -B.Secchi,Progetto di suolo, in Casabella 520-521,1986.