Cjosul - Marzo 2018

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CJOSUL mensile friulano di informazione sportiva

OLIMPIADI INVERNALI

MARZO 2018 N.12

FRA SPORT E POESIA

L’arte di Pierluigi Cappello, il suo legame con l’atletica leggera

UN MEDAGLIERE A TINTE ROSA

Mondiali Russia 2018

LA GUIDA GIRONE PER GIRONE

Udine alla conquista delle Final Eight


CJOSUL Par furlan, cjosul e je chê peraule che si dopre cuant che ti mancjin lis peraulis.

Alberto Zanotto alberto.zanotto@cjosul.it Alessandro Poli alessandro.poli@cjosul.it Cristian Trevisan cristian.trevisan@cjosul.it Gianmaria Monticelli gianmaria.monticelli@cjosul.it Marco Michielis marco.michielis@cjosul.it Marzio Paggiaro marziopaggiaro@gmail.com Mattia Meroi mattia.meroi@cjosul.it Michela Trotta michela.trotta95@gmail.com Simone Narduzzi simone.narduzzi@cjosul.it Tommaso Montanari tommaso.montanari@cjosul.it Tommaso Nin tommaso.nin@cjosul.it

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Un attrezzo, una pietanza, un pennarello oppure un libro. Cjosul è quel termine che in friulano può assumere diverse connotazioni a seconda della situazione in cui esso viene impiegato. Nel nostro caso, Cjosul è una rivista, una rivista digitale a cadenza mensile che si propone di raccontare lo sport dagli occhi di chi lo vive in prima persona e in tutte le sue sfaccettature: calcio, basket, cinema o fumetti. Ogni aspetto della nostra vita può essere toccato dallo sport che amiamo. Ogni aspetto della nostra vita può diventare Cjosul. La redazione di Cjosul è composta in gran parte da studenti che vogliono avvicinarsi al mondo del giornalismo sportivo e lo vogliono fare all’interno di un ambiente giovane, in cui ogni proposta è accolta con entusiasmo. Rodato o ancora acerbo, ogni aspirante giornalista è il benvenuto in Cjosul. Il nostro obiettivo? Una crescita del gruppo che comporti inevitabilmente la maturazione professionale di ogni singolo partecipante.


SOMMARIO

marzo 2018 CJOSUL

fischio d’inizio

UNA ZEBRA A POIS 04

TROPPI ERRORI, L’EUROPA SI ALLONTANA

di Simone Narduzzi

IL RAMARRO RAMPANTE 06

PORDENONE, SI RIPARTE. TRIESTINA, ANCHE!

di Alessandro Poli

UNO SGUARDO AL MONDIALE 08 VERSO RUSSIA 2018

di Tommaso Nin

SOLO COTONE 12

FINAL EIGHT 2018: L’APU C’È! di Gianmaria Monticelli

INIZIO ANNO OPACO, DELSER CHIAMATA AL RISCATTO di Michela Trotta

TESTA SUI LIBRI, CUORE A CANESTRO di Simone Narduzzi

20 SPECIALE OLIMPIADI INVERNALI

FONTANA - MOIOLI - GOGGIA: LE DONNE CHE FAN SORRIDERE L’ITALIA di Alberto Zanotto

22 100 YARD PER LA GLORIA

THE BIGGEST SHOW AFTER BIG BANG di Marzio Paggiaro

26 A TUTTO VOLLEY

FINALE DI STAGIONE? IL MEGLIO DEVE ANCORA VENIRE!

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di Cristian Trevisan

28 MAGIC IN THE AIR

GENERE O SESSO? QUESTO È IL DILEMMA di Tommaso Montanari

30 FRIULI: TERRA DI SPORTIVI E POETI

ASSETTO DI VOLO DI PIERLUIGI CAPPELLO, CAMPIONE NELLO SPORT, NELLA VITA E NELLA POESIA di Marco Michielis

foto di Sara Annichini

Intervista Apu Delser


CJOSUL

Simone Narduzzi

simone.narduzzi@cjosul.it

Troppi errori, l’Europa si allontana CJOSUL | MARZO 2018

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Febbraio avaro per l’Udinese, parco di soddisfazioni. Lo si temeva alla vigilia, considerati i match in programma, si è reso tale però anche in virtù degli errori commessi dai giocatori del club friulano. Al netto infatti del tasso tecnico in dotazione alle squadre affrontate, il cui valore e potere sul campo è stato oggetto di studi in allenamento, il vero ostacolo di queste gare giocate nel mese appena trascorso è stato l’insieme di imprecisioni proposte dai bianconeri, un caleidoscopio di svarioni costati gol e sorpassi in classifica. L’ultimo, in ordine temporale, quello subito per mano della Fiorentina, prossima avversaria dei ragazzi di Massimo Oddo nel match di domenica 4 marzo al Friuli.

perse, marcature allentate, fattori che trascendono tecnica e schemi, ma toccano la concentrazione e la grinta che ogni elemento deve sforzarsi di portare sul terreno di gioco. Certo, a minare il cammino dei friulani anche lo stop di Kevin Lasagna, fin qui l’attaccante più prolifico dell’Udinese e perno attorno al quale ruotavano le azioni di contropiede dei bianconeri. Senza l’ex Carpi Oddo ha dato prova di coraggio facendo avanzare Jankto nel match contro la Sampdoria: l’esperimento è riuscito al 90%, in quanto alle ripartenze in velocità e agli scambi sulla trequarti non son corrisposte le marcature senza dubbio meritate dall’undici ospite. Tralasciando per un attimo, a tal proposito, i legni colpiti a Marassi – cruciali, ma pur sempre privi di valore ai fini del risultato – è possibile rilevare infine alcune imperfezioni nella scelta del cosiddetto ultimo passaggio, quello, di fatto, che spalanca al compagno la porta verso cui tirare. In questo, così come negli altri aspetti appena affrontati, il tempo è dalla parte di mister Oddo e dei suoi giocatori. La rosa è giovane, il tecnico ha delle idee alle quali servono settimane, forse mesi, per attecchire. Per quanto, allora, l’Europa al momento appaia nuovamente un sogno, la concreta realtà parla di una squadra al lavoro per costruire un progetto. Si spera a lungo termine.

Avversario in incognito non preventivato, ogni sbaglio commesso dal singolo ha quindi momentaneamente interrotto il sogno europeo delle zebrette, costretti ora a inseguire la colonna sinistra del tabellone pur avendo sin qui proposto un calcio fresco, a tratti entusiasmante. Una disattenzione di troppo, però, e il castello tattico imbastito con acume da Oddo ha ceduto sotto i colpi dei vari Belotti, Silvestre o Zapata. Ingenuità, mancanza di furbizia: comunque le si chiami il risultato è univoco e ha messo in ombra il buon lavoro svolto in queste settimane dall’intero organico. Le galoppate del Gallo e Duvàn necessitavano opposizioni più “vigorose” – il placcaggio di Pinzi ad Anfield Road contro il Liverpool è l’estremo, ma anche da questo passano cuore e voglia di un calciatore – mentre è impensabile lasciar che un difensore avversario stoppi e calci indisturbato all’interno della propria area. E poi palle

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Alessandro Poli

alessandro.poli@cjosul.it

Pordenone, si riparte. Triestina, anche! A POCHE ORE DI DISTANZA, L’ESONERO DI COLUCCI E LE DIMISSIONI DI SANNINO CAMBIANO LE CARTE IN TAVOLA AI DUE CLUB REGIONALI. FAVORITA LA TERRITORIALITÀ NELLA SCELTA DEI NUOVI MISTER. CJOSUL | MARZO 2018

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IL RAMARRO RAMPANTE

di decisione inevitabile quando nel successivo recupero, perso questa volta contro il Südtirol, afferma di aver visto una squadra senz’anima e si scusa perciò con i tifosi. E d’altra parte i soli nove punti conquistati in undici partite non hanno potuto che lasciare insoddisfatti sostenitori e dirigenza. Mentre però i primi già da tempo si erano mostrati insicuri nei confronti dell’eroe di San Siro, chiedendo invano un rimedio, la seconda si è scossa e ha deciso di compiere il grande passo solamente quando ha visto i neroverdi scivolare addirittura all’undicesimo posto, ossia al di fuori della zona playoff. Subentra al posto di Colucci un cittadino pordenonese, Fabio Rossitto, vecchia conoscenza della squadra che già aveva guidato i ramarri in Serie D nel 2013 e in Lega Pro nei due anni successivi. Suo sarà il compito di traghettare il team friulano in questi ultimi due mesi alla conquista di una buona posizione per ritentare per un altro anno l’accesso in B attraverso i playoff: la classifica molto corta rende infatti ancora abbordabile il secondo posto, attualmente a sole cinque lunghezze. Rimane invece, matematica a parte, sostanzialmente impossibile da raggiungere il primato occupato ormai stabilmente dal Padova, che tiene a debita distanza la seconda classificata Renate e le altre inseguitrici.

La storia d’amore tra Colucci e il Pordenone si interrompe proprio nel giorno di San Valentino. Il patron Lovisa, che solo quattro giorni prima aveva definito confermatissimo il tecnico pugliese anche dopo la pesante sconfitta casalinga per 3-0 contro la FeralpiSalò, parla invece

Nella sua conferenza d’esordio Rossitto predica fatica, umiltà e sorriso e afferma di voler lavorare sui concetti più che sulla tattica, appellandosi inoltre ai tifosi e richiamando il valore aggiunto della territorialità. Capitan Stefani e compagni sembrano recepire questo messaggio e nella successiva giornata riescono ad agguantare una complicata vittoria corsara contro il Gubbio: il risultato finale è di 3-2 con i ramarri che, dopo aver sbloccato al 18’ con Ciurria e aver subito il sorpasso dei padroni di casa a inizio secondo tempo, riescono a ribaltare il punteggio con le reti, nel giro di due minuti, di Nocciolini e Formiconi. La squadra, insomma, lavora e i neoacquisti, barbabomber su tutti, si fanno notare. Lovisa riprende quindi la parola e ammette di aver sbagliato a ritardare il cambio di allenatore. Rossitto, dal canto suo, prosegue nell’essere cauto e chiede ai suoi giocatori una conferma sul campo. Questa però non arriva nel match di Ravenna. Sotto un’abbondante nevicata che complica non poco le trame di gioco dei due schieramenti, gli emiliani

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trovano il vantaggio e conquistano la vittoria con quella che in buona sostanza è l’unica vera azione della loro partita. I ramarri invece, nonostante dominino il gioco fino a fine gara, non riescono mai a trovare il pareggio a causa dell’ordinatissimo catenaccio avversario e di una certa mancanza di determinazione negli ultimi sedici metri. È, come si vede, ancora troppo presto per capire se la cura Rossitto porterà gli effetti sperati, fatto sta che il tempo a disposizione è poco e bisognerà lavorare in fretta.

LE ALTRE FORMAZIONI FVG Stesso giorno, poche ore dopo. A San Valentino anche la Triestina si trova priva del suo allenatore, Giuseppe Sannino, che di sua spontanea volontà rassegna le dimissioni e abbandona dunque gli alabardati nonostante la vittoria corsara contro il ben più quotato Renate. Sannino non è in realtà nuovo a questo particolare gesto, già ripetuto nella sua carriera altre due volte, ma la notizia lascia comunque sorpreso il team giuliano, dato il buon momento vissuto dalla squadra. Alcuni accusano di ciò i tifosi, forse poco clementi in una stagione dove è effettivamente mancata la costanza ma non certo i risultati. Altri intravedono invece un rapporto non idilliaco con la proprietà e il dirigente sportivo Mauro Milanese, che si sarebbe lasciato andare a dichiarazioni poco gradite. In ogni caso subentra ora, alla sua prima esperienza da allenatore, il vice Nicola Princivalli, anch’egli già noto all’ambiente per essere stato giocatore e bandiera della Triestina. Sembra comunque proseguire senza intoppi il cammino dei giuliani, che consolidano l’ottavo posto continuando a lottare nella zona playoff. In Serie D prosegue la lotta salvezza di Tamai e Cjarlins Muzane. In una classifica molto breve, nella zona calda la squadra di Brugnera continua a mantenersi poco sopra la zona playout e quel tredicesimo posto occupato proprio dal Cjarlins, che a fatica continua a cercare di raggiungere la salvezza sicura. La squadra della bassa non fallisce comunque lo scontro diretto, giocato domenica 25 nel pordenonese e vinto per 3-2, e allunga a +3 sulle inseguitrici Montebelluna e Clodiense – il cui scontro diretto è da recuperare causa neve – e a +7 sulla retrocessione diretta. CJOSUL | MARZO 2018


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UNO SGUARDO AL MONDIALE Tommaso Nin

tommaso.nin@cjosul.it

O S VER 2018 A I S RUS

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Foto: https://wallpaperscraft.com/download/russia_moscow_arena_luzhniki_stadium_evening_38269/3840x2160 / https://it.wikipedia.org/wiki/File:FIFA_World_Cup_Russia_2018_Logo.png

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Squadre, stadi curiosità, giocatori più attesi, in un’agile guida, girone per girone, che ci accompagnerà sino al via dei Mondiali il prossimo giugno: quelli senza l’Italia, quelli di Messi e Neymar nella Russia di Putin.

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UNO SGUARDO AL MONDIALE >> SEGUE

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are sopravvivere ancor oggi una certa sensazione di mistero quando si parla di Russia, quasi che la conoscenza della sua geografia, della sua larghezza e ampiezza geografica, della sua secolare storia, della sua cultura e del suo popolo, non ci preservino dal mancare l’essenza, lo spirito e la profondità di una nazione che continua a permanere lontana: sospesa tra Oriente e Occidente, tra Pietroburgo e la Siberia, segnata profondamente dalla fede cristiana e dalla pluridecennale dittatura comunista; Russia degli zar, Russia del Partito e della guerra fredda, Russia di Putin. E non è forse un caso se quest’ineffabilità spirituale è stata sempre accompagnata da fallimentari operazioni di invasione bellica, come se l’impossibilità di conquistare militarmente una nazione così vasta, Napoleone e Hitler ne fecero dolorosa esperienza, sancisca la vanità

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di ogni tentativo di cogliere nel profondo l’identità della stessa nazione. E sulla Russia convergeranno il prossimo giugno gli occhi di un intero mondo: i Mondiali della prossima estate saranno i Mondiali di Putin, del Brasile di Neymar, i primi senza l’Italia dopo più di mezzo secolo. Saranno i Mondiali dove una nazione tanto affascinante quanto contradditoria si aprirà al mondo, mettendosi a nudo, cercando di presentarsi nel migliore dei modi, come una ragazza che al termine dell’adolescenza si mette il vestito migliore, si fa bella, per essere finalmente accettata, senza pregiudizi, dal circolo delle amiche più grandi. E le immagini che arrivano da Mosca e Pietroburgo comunicano questo: impianti monumentali, ma anche sobri ed eleganti, si preparano ad accogliere tifosi, delegazioni nazionali con i loro campioni, che nei prossimi mesi invaderanno pacificamente la Russia coltivando il sogno mondiale.

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The stage is set, tutto è pronto, così dicono gli inglesi: lo stadio Luzniki, l’impianto moscovita che ospiterà la finale il prossimo 15 luglio, è ora avvolto da una soffice coperta di neve; costruito nel 1956, e denominato allora stadio Lenin, ha ospitato le Olimpiadi del 1980 per poi diventare a tutti gli effetti lo stadio dove la nazionale di calcio russa disputa le proprie partite casalinghe. Ristrutturato in vista dei Mondiali, continua a incarnare la fierezza e la dignità di un intero popolo: maestoso, ritto, moderno e antico allo stesso tempo, sarà il degno palcoscenico dove – chissà – potremmo assistere alla finale che tutti sognano, quella tra Brasile e Argentina, tra Messi e Neymar. Se i tifosi verdeoro hanno ritrovato una squadra all’altezza dei cinque Mondiali in bacheca, per l’Albiceleste e per la generazione dei nati negli anni Ottanta – Messi, Agüero, Higuain, Di Maria –, questa pare l’ultima vera opportunità di riportare in patria una coppa che ormai è una maledizione. A rendere la vita difficile alle due sudamericane ci penseranno le grandi


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d’Europa: Germania e Francia sembrano avere qualcosa in più, senza dimenticare la Spagna e l’Inghilterra, eterna incompiuta. Complici anche le illustri esclusioni, dell’Olanda e soprattutto della stessa Italia, che avrebbero vivacizzato il tabellone e regalato magari da subito qualche scontro tra big, i gironi eliminatori non riserveranno eclatanti sorprese e non si preannunciano troppo emozionanti. Le gerarchie sembrano già scritte, anche se i risultati inaspettati, in una competizione anomala come la Coppa del mondo, non sono mai mancati.

qualificazioni, quando, trasformando al ’94 un rigore contro il Congo, ha regalato alla sua nazione il biglietto per la Russia e la seconda partecipazione della sua storia al Mondiale, dopo ventotto anni di attesa. L’Arabia Saudita, dal canto suo, potrà schierare Mohammad Al-Sahlaw, capocannoniere assoluto della fase di qualificazione con 16 goal, alla pari con Robert Lewandowski. Si preannuncia, insomma, un girone in bilico, dove molto sarà deciso dall’esito dei primi due turni, e dove, ad eccezione di Suarez e Salah, il tasso tecnico delle formazioni non pare elevatissimo.

GIRONE A

Curiosità. Scendendo in campo in Russia, il portiere egiziano Essam El-Hadary diventerà il giocatore più anziano a disputare un Mondiale, a ben 45 anni, superando il precedente record di 43 registrato nel 2014 da un altro estremo difensore, il colombiano Faryd Mondragón.

Squadre: Russia (65), Arabia Saudita (63), Egitto (31), Uruguay (21)*. I padroni di casa della Russia non avranno vita facile in un gruppo in cui l’Uruguay sembra la favorita, ma dove molto dipenderà dall’esito delle partite d’apertura del girone. La Russia, che sulle spalle ha il sostegno del proprio pubblico, ma anche la pressione di giocare il Mondiale casalingo, ha subito l’occasione di dare una svolta alle sue ambizioni di qualificazione nel match inaugurale contro l’Arabia Saudita. Una vittoria dei russi e una contemporanea vittoria uruguagia sull’Egitto potrebbero spianare la strada delle due squadre non arabe del girone, che nel secondo match affronterebbero rispettivamente Egitto e Arabia Saudita con la certezza matematica, in caso di risultato positivo, di accedere alla fase successiva con un match d’anticipo. I punti di domanda circa la tenuta mentale dei sudamericani nelle competizioni che contano, e i dubbi sulla reale consistenza tecnica dei russi, squadra ben messa in campo dall’esperto Cherchesov e capitanata dall’eterno portiere Akinfeev, ma priva di talenti di primissimo livello, renderanno interessante un girone dove Arabia Saudita ed Egitto non vorranno affatto fare la parte delle sole comparse. Gli egiziani, se ci affidiamo al ranking Fifa, potrebbero avere la chance di strappare il pass per gli ottavi, trascinati soprattutto dalla velocità e dal talento di Mohammed Salah; l’esterno mancino sta collezionando numeri impressionanti a Liverpool e si è già rivelato decisivo nelle

GIRONE B Squadre: Portogallo (3), Spagna (6), Marocco (40), Iran (32). Un girone all’apparenza e nei fatti scontato, in cui l’esito della sfida inaugurale, quella di Sochi tra le squadre della penisola iberica, Portogallo e Spagna, stabilirà le gerarchie tra le prime due del girone; Marocco e Iran si giocheranno al più la terza posizione. Troppo il dislivello tra le due nazionali vincitrici delle ultime tre edizioni dell’Europeo e quella nordafricana e iraniana. Il Marocco è alla sua quarta partecipazione alla fase finale del campionato del mondo, l’ultima risale al 1998. Il punto di forza e leader della compagine africana è il capitano Medhi Benatia, difensore della Juventus, ex Bayern e Roma. Se le sfide contro Spagna e Portogallo sono proibitive, nell’ultimo match i marocchini dovranno scontrarsi con una squadra che negli ultimi anni sta mostrando, in Asia, un calcio interessante, l’Iran del ct portoghese Carlos Queiroz; gli iraniani hanno raggiunto la loro terza qualificazione su quattro disponibili dai Mondiali tedeschi del 2006.

miglior differenza reti che le è ha regalato l’accesso al tabellone principale senza passare dai playoff, mentre la squadra di Lopetegui ha ipotecato il pass per la Russia con la vittoria dello scorso settembre al Bernabeu contro una modesta Italia. La Roja sta vivendo un momento di ricambio generazionale consistente sotto la sapiente guida di Lopotegui; il ct iberico sta a poco a poco inserendo in pianta stabile talenti quali Isco, Morata, Thiago, Saúl, Asensio, senza per questo rinunciare ai quei principi del gioco di posizione che hanno fatto la fortuna della nazionale spagnola, assicurandole due europei e il mondiale del 2010. Anche il Portogallo sta curando la crescita di una generazione di interessanti promesse: lo stesso Ronaldo, al suo quarto mondiale, ha piena fiducia in giocatori come André Silva e Renato Sanches, che quest’anno stanno però attraversando una stagione difficile. Tra la due formazioni la Spagna sembra quella che ha maggiori probabilità di far strada nella competizione, mentre sarà difficile per il Portogallo ripetere il cammino glorioso dell’ultimo europeo. Curiosità. La nazionale iraniana è una delle nazionali asiatiche storicamente più valide. Nella sua bacheca figurano infatti ben tre coppe d’Asia, vinte tutte consecutivamente nel 1968, 1972, 1976, record tuttora imbattuto. Questi trofei la piazzano nell’albo d’oro della competizione, al secondo posto in coabitazione con l’Arabia Saudita, dietro al solo Giappone che guida con quattro trionfi.

* fra parentesi i ranking Fifa delle diverse formazioni.

Le squadre iberiche hanno entrambe chiuso il girone di qualificazione al primo posto. Il Portogallo, arrivato a pari punti con la Svizzera, ha potuto contare su una

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Foto Fulvio

SOLO COTONE Gianmaria Monticelli

gianmaria.monticelli@cjosul.it

FINAL EIGHT 2018: l’Apu c’è! CJOSUL | MARZO 2018

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el weekend tra il 2 e il 4 di marzo andrà in scena tra Jesi e Fabriano la Coppa Italia di Serie A2 Old Wild West, che metterà di fronte le otto migliori compagini della categoria. Si divideranno l'intera posta le squadre che hanno concluso il girone di andata tra le prime quattro. Dunque per il Girone Est vi parteciperanno Trieste, Fortitudo Bologna, Udine e Ravenna, mentre per il Girone Ovest prenderanno parte al torneo Tortona, Biella, Casalmonferrato e Trapani.

Per Udine sta per iniziare un weekend storico, che fa capire quanto il progetto del basket a Udine sia importante da quando alla sua guida ci sono il duo Pedone-Micalich. In città il basket sta diventando uno sport molto seguito da tifosi, appassionati e semplici simpatizzanti che ad ogni partita casalinga tifano a squarciagola per la Gsa. Si è creato un binomio perfetto tra fan, squadra e staff tecnico. Proprio grazie alla progettualità l’Apu è risalita dalla Serie C della Divisione Nazionale alla Coppa Italia di Serie A2 in appena cinque anni. Ed ora… Udine sogna il primo trofeo da quando alla sua guida c'è il presidente Alessandro Pedone. La Coppa Italia è un torneo complesso da affrontare in quanto, per arrivare alla finale, la competizione si articola in una tre

giorni dove tutti hanno la possibilità di giocarsi le proprie carte. Udine, ne siamo sicuri, andrà in campo con la solita ambizione che è un po' il must della squadra di Lino Lardo. Non si nascondono i bianconeri, cercheranno sicuramente di portare a casa il torneo nonostante, già nei quarti, debbano superare un ostacolo di spessore, una squadra in forma, forte, fisica e molto tecnica come l'Eurotrend Biella. I friulani non arrivano alla sfida nel migliore dei modi, avendo perso, sempre a Jesi contro l'Aurora Basket, l’ultima gara di campionato, confermando una volta in più il pessimo feeling con le trasferte emerso in questo 2018. Quale migliore occasione per sbloccarsi? In effetti la voglia di rivincita è tanta, la si intravede già negli sguardi dei giocatori in allenamento. Al grande evento Udine ci arriva con due uomini chiave ai box per infortunio: Andrea Benevelli e Mauro Pinton. Le loro assenze dall’arco si son fatte spesso sentire negli ultimi incontri. Nuovamente in crescendo, invece, lo stato di forma del duo Dykes-Veideman: i loro punti uniti all'intensità di gioco – difensiva in primis – che tutti oramai riconosciamo al roster griffato Gsa, se espressi appieno, possono garantire ai bianconeri la vittoria su qualsiasi parquet di A2. Oggi, venerdì 2, aprirà le danze della kermesse alle 13.30 la partita fra Trieste e Tortona. Subito dopo, alle 15.30, sarà il turno di Biella vs Udine – con i friulani che indosseranno una casacca creata per l’occasione. Alle 18.30 Casale se la vedrà contro Ravenna e, dulcis in fundo, l' ultimo quarto di finale tra Fortitudo e Trapani. Biella, fra tutte le squadre del Girone Ovest, è forse la più difficile da affrontare perché formazione esperta, molto fisica. Non a caso, ad inizio stagione, il sempre acuto e moderato coach Lino Lardo aveva inserito i piemontesi nel novero delle possibili pretendenti alla promozione in A1. Dovesse Udine andare avanti nella manifestazione, non sarebbe poi irrazionale ipotizzare, per il giorno successivo, una riedizione dell’acceso derby Fvg tra Apu Gsa ed Alma Trieste. L’Apu, tuttavia, per procedere con il blitz già dal venerdì dovrà limitare i black-out offensivi creati dalla staticità della palla che, nell’ultima partita persa contro Jesi, hanno portato il team Lardo a non segnare per ben quattro minuti di gioco. Le 22 palle perse e la difesa morbida dei friulani hanno poi fatto il resto. Per andare avanti in questa competizione serviranno dunque grinta, cattiveria, cinismo ed attenzione: tutte caratteristiche già viste nei giocatori dell’Apu durante il corso di questa stagione.

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SOLO COTONE di Michela Trotta

michela.trotta95@gmail.com

INIZIO ANNO OPACO, DELSER CHIAMATA AL riscatto Non un periodo dei più rosei per la Delser Libertas Basket School, che è reduce da cinque sconfitte consecutive dall’inizio del girone di ritorno. L’ultima vittoria risale al 13 gennaio quando, in Sardegna, le ragazze di coach Amalia Pomilio hanno battuto, in una gara non proprio facilissima, il San Salvatore Selargius. Facciamo un passo indietro: per la stagione in corso Udine è stata inserita nel Girone Nord del campionato di A2 femminile che notoriamente è considerato un raggruppamento tosto, con squadre di grande livello. Se a questo sommiamo un calendario non troppo agevole per le friulane, possiamo comprendere meglio il momento difficile che la squadra sta vivendo. Come è successo ad ottobre, infatti, la Libertas ha dovuto affrontare cinque squadre che occupano i piani alti della classifica nelle prime cinque giornate; e se all’andata il fattore campo è stato essenziale per agguantare la vittoria in due partite su cinque, nell’ultimo mese anche nelle gare casalinghe, nonostante delle ottime prestazioni, la Delser ha dovuto cedere il passo a formazioni che rispetto all’inizio della stagione sono in netta crescita. Ma niente paura: il campionato è ancora lungo e dalla prossima settimana il calendario, almeno sulla carta, diventerà più alla mano per

le “delserine”. Domani sera 3 marzo, infatti, dopo il turno di riposo dovuto alla Coppa Italia, arriveranno le ragazze del Fassi Albino – sconfitte all’andata per 40-44 – per giocare la sesta giornata di ritorno: per capitan Vicenzotti e compagne potrebbe essere una buona occasione per lasciarsi alle spalle questo brutto periodo e ricominciare a macinare punti. Non dimentichiamoci, comunque, che l’obiettivo dichiarato dalla società ad inizio stagione è la salvezza: certo, non si tratta di una giustificazione per le recenti sconfitte, ma le partite da vincere alla luce di questo traguardo sono ben altre. Udine, momentaneamente, ha perso l’ottavo posto in classifica – che serve per accedere ai play-off di fine stagione – perché Marghera, a pari punti con la Delser e con una gara in meno all’attivo, può vantare lo scontro diretto a favore. In ogni caso, il tempo per risalire la classifica non manca: fondamentale allora sarà ritrovare continuità di risultati nei match che contano.

COPPA ITALIA Durante il fine settimana precedente la nostra uscita, ad Alessandria, si è giocata la Coppa Italia di A2 femminile. Alla fine del girone d’andata quattro squadre del Girone Nord e quattro del Girone Sud si sono qualificate per quello che ogni

anno è uno degli eventi più prestigiosi del panorama cestistico italiano. La Delser, purtroppo, giunta a pari punti con altre quattro formazioni dopo 15 partite, ha perso l’accesso alla Final Eight per un soffio, a causa della differenza canestri con Crema. È stata proprio la squadra lombarda poi ad aggiudicarsi, contro ogni tipo di pronostico, il tanto ambito trofeo. Le sorprese nel weekend non sono mancate: durante gli ottavi la capolista del Girone Nord, Geas, ha perso contro Bologna, terza del Girone Sud; Alpo ha battuto la seconda forza del raggruppamento Sud, Crema ha superato la corazzata Empoli – prima del Girone Sud – e Palermo si è imposta su Costa Masnaga grazie a una prestazione straordinaria di Miccio, autrice di 44 punti con 10/15 da tre. Nelle due semifinali le bolognesi hanno vinto contro l’Ecodent Point (53-47), mentre la Tec-Mar Crema, risalendo da un -11, ha piegato le siciliane per 68-57. La finalissima, giocata domenica 25 alle 17, è stata vinta di misura dalle lombarde (5355) che poi sono salite sul podio insieme al Famila Schio, vincitrice della Coppa Italia di A1, per alzare al cielo il trofeo.


foto di Sara Annichini

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SOLO COTONE Simone Narduzzi

simone.narduzzi@cjosul.it

Testa sui libri, cuore a canestro Foto Fulvio

Intervista a Ousmane Diop e Vanessa Sturma

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foto di Sara Annichini

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iovani ma già maturi, piccoli beniamini sul parquet del grande Carnera. Ousmane Diop e Vanessa Sturma, nuove leve del basket udinese alle prese fra studio e un minutaggio in crescendo. Forgiati grazie alle gesta dei compagni di squadra più esperti, nella stagione attualmente in corso le due ali, nate a cavallo fra vecchio e nuovo millennio, si son ritagliate uno spot significativo fra le rotazioni di coach Lardo e Pomilio grazie all’impegno profuso sul campo e alla tipica serietà di chi lavora per un grande obiettivo. Portare Apu e Delser ai playoff in questa stagione, crescere come atleti migliorando giorno per giorno. Con grinta, costanza, la leggerezza di un timido sorriso. Lo stesso che abbozzano quando li incontriamo per la nostra consueta intervista doppia di cui sono, in questo mese di marzo, assai graditi protagonisti. Lui alto, imponente, neo-diciottenne di ben 204 cm; lei al confronto uno “scricciolo”, ma in grado, al tempo stesso, di trasformarsi quando calpesta il terreno di gioco: da studentessa al suo primo anno di educazione professionale a indomabile guerriera per la difesa del proprio canestro. Coltello fra

i denti, sportellate e rimbalzi. Di due anni più giovane, Ousmane, classe 2000, è iscritto all’Ipsia Mattioni di Cividale. L’approccio con la palla a spicchi per lui avviene in Senegal, suo Paese natio e terra dalla quale parte nel 2013 per raggiungere il cugino in Italia. Qui la passione viscerale per il basket lo porta a vestire con successo la maglia della Virtus Feletto: la trafila nelle giovanili, il salto in Serie C Silver, poi la chiamata da parte dello staff dirigenziale Apu. Complici gli stop di alcuni compagni, durante lo scorso campionato “Ous” si trova ad agire pure nel ruolo di centro, riuscendo così non solo a esordire in A2 – a Jesi, con quel “mi raccomando” di capitan Vanuzzo a dargli fede nei propri mezzi – ma quasi inaspettatamente ad inserirsi a pieno regime nei ranghi del roster griffato Gsa. Fra gli idoli del tifo bianconero, ora il “piccolo grande uomo” è pedina preziosa, abile sotto canestro, bombardiere dall’arco in caso di necessità.

Per Vanessa il debutto in prima squadra è invece antecedente al discorso promozione. È infatti in Serie B che la cestista di Lusevera entra a far parte della formazione ammiraglia in casa Libertas. In prima squadra, dunque, iniziano a trovare compimento per lei quei primi passi fatti a sette anni con il Tarcento, società che per prima le ha instillato la passione per questo sport. La sfortunata rottura del crociato subita a novembre 2015 non frena la ferma risolutezza della friulana, chiamata al rientro fra i ranghi giusto in tempo per vivere con le compagne l’entusiasmante avventura dello scorso campionato di A2. Partiamo dall’attualità. Nei campionati di entrambi il tema caldo è la Coppa Italia. Per l’Apu una sfida da vivere da protagonista, mentre la Delser si è dovuta accontentare di guardare le rivali sfidarsi per il trofeo. Ousmane: “Credo che questa sia per noi un’opportunità importante per conoscere meglio le squadre dell’altro girone prima dei playoff andremo a giocarci la coppa con molta fiducia nei nostri mezzi. Penso che la società ci tenga a vincere questo trofeo, ed è quello che desideriamo anche noi, perché vorremmo vincere tutto. Sarà una bella esperienza contro squadre forti. Giocheremo contro Biella, una società solida che da tanto tempo si trova a questi livelli. Ci saranno poi giocatori bravi provenienti anche dal nostro girone, grandi atleti contro cui è sempre un piacere giocare”. Vanessa: “Speravamo di giocare la Coppa Italia, era un obiettivo che ci eravamo prefissate. Ovviamente nel girone d’andata non è andato tutto come speravamo, ci son stati degli scivoloni, come la partita contro Marghera, dove abbiamo giocato male e per questo abbiamo perso. Quella sconfitta ci ha penalizzate perché alla fine del girone d’andata eravamo a pari punti con altre tre squadre e alle finali ci è andata Crema, formazione che ci aveva battute (ed emersa poi come vincitrice del trofeo, ndr). Se avessimo preso quei due punti a Marghera saremmo andate noi a giocarci la Coppa Italia. C’è stato un po’ di rammarico, ma non ci siamo scoraggiate perché il campionato è lungo e vogliamo puntare ai playoff. Adesso stiamo vivendo un momento un po’ buio, ma noi continuiamo ad allenarci bene, rimaniamo unite e adesso speriamo che nella prossima partita arrivino i primi due punti del girone di ritorno”. Dal gruppo passiamo al singolo: la

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tua caratteristica migliore come giocatore di pallacanestro? Ousmane: “Io cerco di migliorare tutto, ogni giorno. Un mio punto forte sono i rimbalzi, la difesa. La prima cosa che mi viene in mente quando entro in campo è difendere forte, è la prima richiesta che mi viene fatta. Per me difendere, portare energia in campo è quindi la cosa che mi piace di più fare”. Vanessa: “Da qualche partita quello che mi viene meglio è la difesa. Ho tante cose in cui devo migliorare: il tiro e il palleggio, per esempio. Mi viene quindi più facile dire quello in cui dovrei migliorare. Adesso comunque in difesa riesco ad essere un po’ più reattiva, riesco a rubare qualche pallone. Per il resto devo migliorare, e per farlo mi alleno sempre con Debora (Vicenzotti, ndr)”. In quanto studente e cestista ad alti livelli quale ritieni sia l’aspetto più complicato del conciliare la scuola/ l’università con gli allenamenti? Ousmane: “Il fatto di saltare i tre allenamenti individuali della mattina, che son fatti per far migliorare il giocatore. Perdendo quelli perdi metà del lavoro fatto in squadra. Secondo me questa è la difficoltà che sto pagando anche adesso in campo. A parte qualche assenza, invece, con lo studio procede tutto in modo tranquillo”. Vanessa: “Sono tanti i sacrifici da fare, perché le ore a disposizione oltre a basket, studio e lezioni sono veramente poche. L’università è totalmente diversa rispetto alle superiori, dove avevo cinque ore al mattino: ora posso aver lezione dal mattino fino alla sera, con solo un’ora di pausa in mezzo. Quindi finisci e sai che devi subito essere concentrata per l’allenamento che inizia poco dopo. Però non mi pento di questo, sono scelte che ho fatto io e che nessuno mi ha imposto. È una mia passione, faccio queste cose senza considerarle un peso, anzi. Il tempo per gli amici è poco, ma loro lo sanno che questa è la mia passione fin da quando ero piccola e mi capiscono”. Ci spiegheresti cosa ti ha portato a scegliere il tuo attuale numero di maglia? Ousmane: “Da quando sono arrivato qua, sin dalle giovanili, ho sempre avuto il 35. Quest’anno allora ho chiesto se avessi potuto tenerlo e me l’hanno permesso”. Vanessa: “Quando ero nelle giovanili avevo il 24, per Kobe Bryant. Poi quando

ho iniziato ad allenarmi con la Serie B, ho fatto un paio di allenamenti e poi subito mi hanno mandato in campo. Lì mi han dato il numero 11, così per caso. Quindi ho sempre tenuto quel numero, ormai ci sono affezionata”. Qualche idolo o un giocatore di riferimento a cui ti ispiri? Ousmane: “Micheal Jordan. Ho sempre sentito parlare di lui, ma inizialmente non sapevo chi fosse. Poi da quando ho avuto la possibilità di guardare i suoi video su Youtube mi è subito piaciuto moltissimo, come giocatore e come persona. E mi sembra che anche a tutti gli altri giocatori del mondo piaccia”. Vanessa: Debora ed io abbiamo lo stesso ruolo e sin da piccola l’ho sempre vista come una giocatrice a cui poter auspicare di diventare. Poi ho avuto la fortuna di essere inserita nella squadra senior con lei e adesso con i suoi consigli c’è sempre, sia in campo che fuori. I rimproveri non mancano, ma so che son fatti per il mio bene. Abbiamo lo stesso ruolo, quindi sono molto più avvantaggiata, ci marchiamo ad ogni allenamento. La vedo come un punto di riferimento, un esempio da seguire. A livello Nba mi piacciono tanto Michael Jordan e Magic Johnson. D’estate al campetto cerco di imitarne qualche movimento, ma poi in partita e in allenamento è meglio evitarli (sorride, ndr)”. Un pensiero sul rapporto con il coach? Ousmane: “Era un gran giocatore e adesso è un grande coach, oltre che un grande

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uomo. Perché puoi essere un coach bravo ma non essere una brava persona. Lui ci considera come suoi figli, parla con noi, scherza con noi, ci aiuta: secondo me è questo che fa la differenza tra lui ed altri allenatori. Lui è un grande”. Vanessa: “Con il coach ho un ottimo rapporto,

è

una

persona

molto

disponibile, sia dentro il campo che fuori. Se c’è qualcosa che non va ci tiene che ne parliamo con lei. All’inizio dell’anno mi ha detto che avrebbe voluto darmi un po’ di spazio – ovviamente me lo sarei dovuto guadagnare – e mi sta dando tanta fiducia. Per questo le sono riconoscente e spero che questa fiducia venga da me ripagata. Mi trovo molto bene con lei, anche considerando che è alla sua prima esperienza con una squadra senior”. Fuori dal parquet quali sono i tuoi hobby? Ousmane: “Andare in giro con gli amici, anche se adesso non penso a niente se non allo studio e al basket. Altro non faccio perché voglio concentrarmi su quello. Nel futuro penserò anche a fare qualcos’altro”. Vanessa: “Mi piace uscire con gli amici, ascoltare musica: non ho un genere preferito, anche se mi piacciono un po’ di più gli artisti italiani. Vado poi al cinema, anche se i film preferisco guardarli a casa, sempre in compagnia di amici”. CJOSUL | MARZO 2018


foto di http://sportribune.it/2018/02/21/la-rivincita-di-sofia/http://www.qnm.it/sport/fotogallery/olimpiadi-sochi-2014-arianna-fontana-bronzo-nei-1500-dello-short-track_10439_18.html https://www.oaspor

SPECIALE OLIMPIADI INVERNALI Alberto Zanotto

albertozanotto@cjosul.it

FONTANA – MOIOLI - GOGGIA: le donne che fan sorridere l’Italia

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t.it/2018/02/video-michela-moioli-in-trionfo-sul-podio-alle-olimpiadi-la-premiazione-la-consegna-della-medaglia-doro-e-canta-linno-di-mameli/

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’inno di Mameli ha suonato per tre volte a Pyeongchang. In ciascun caso grazie alle gesta di un impareggiabile trio al femminile, tre “sorelle d’Italia” in grado di regalare al nostro Paese gli ori che, al termine dei XXIII Giochi Olimpici Invernali, vanno ad impreziosire un medagliere azzurro carico anche di due argenti e cinque bronzi. Tre ragazze d’oro. Non era mai successo prima nella storia del nostro Paese. La prima a ottenere l’oro a queste Olimpiadi invernali in Korea del Sud è stata Arianna Fontana, la nostra portabandiera, nei 500m dello short track. Lei che esordì ai giochi olimpici proprio a Torino nel 2006, dove conquistò un bronzo nella staffetta a soli 15 anni. A Vancouver lottò per una medaglia individuale e tornò a casa con un bronzo nei 500m. Attaccò tecnici e compagni di squadra perché voleva uno staff che la aiutasse a puntare in alto. E ci riuscì. A Sochi, infatti, vinse tre medaglie: argento nei 500m, bronzo della staffetta e bronzo nei 1000m. Arrivata a Pyeongchang con una voglia infinita di conquistare quell’oro ancora assente dalla sua bacheca, Arianna era anche carica della pressione che ogni portabandiera ha e deve quasi per forza avere. In gara

tuttavia è perfetta, non lascia nulla al caso, impone il suo ritmo lasciando subito tutte le altre alle spalle. Solo la Choi la tallona tenendole testa negli ultimi metri, ma al fotofinish resta dietro. La nostra atleta vince e si porta a casa quella medaglia che aspettava da anni. Primo oro in casa Italia – seguiranno per lei un argento e un bronzo – forse anche il più atteso. Altra storia fantastica quella di Michela Moioli. Oro nello snowcross. Il primo oro arrivato dallo snowboard nella storia dell’Italia. Un altro oro commovente quello della bergamasca, che arriva alle Olimpiadi con molte, moltissime aspettative e pressioni, viste le sue ottime prestazioni in Coppa del Mondo. Lei che quattro anni fa a Sochi, non era riuscita a portare a casa nulla visto il grave infortunio avuto in gara. Proprio da lì è partita la sua scalata, scalata che finalmente a questi giochi ha avuto una sua lieta conclusione. Partenza da rivedere la sua, infatti per la prima metà della gara balza continuamente fra terzo e quarto posto. Poi però Michela cambia passo, e allora non ce n’è più per nessuno. È la prima a tagliare il traguardo e la prima a scoppiare in lacrime. Secondo oro a Pyeongchang, di nuovo per una donna.

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Grande amica della Moioli è Sofia Goggia. Lei, il nostro terzo oro, vinto in discesa libera, la sua specialità preferita. Erano in due a giocarsela. La “bambina” e la regina dello sci. Vince la prima, Lindsey Vonn è solo terza. Su un tracciato non difficilissimo ma che mostrava più di qualche insidia, Sofia è riuscita a tirare fuori il coraggio e la determinazione accumulati gara per gara e li ha scaricati sulle nevi coreane arrivando ad un risultato che voleva e sognava. A lei si è avvicinata solo la norvegese Mowinckel – la sorpresa di questa stagione e già bronzo nel gigante – che le è rimasta dietro per soli nove centesimi. Questo oro è frutto di tanta, tantissima determinazione e talento, le due doti principali della bergamasca: una ragazza che non molla mai e che prima di abbattersi ne deve subire di colpi. Questo oro serviva. Non solo a lei, ma a tutto lo sci italiano che sta passando un momento abbastanza buio soprattutto per quanto riguarda gli uomini, forse l’unica grande delusione di questa Olimpiade. Nonostante tutto però gli ori sono arrivati, le donne hanno primeggiato. L’Italia è femminile, di nome e pure di fatto.

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https://www.cnbc.com/2018/01/22/the-patriots-and-eagles-will-square-off-in-super-bowl-52.html

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100 YARD PER LA GLORIA

Marzio Paggiaro

marziopaggiaro@gmail.com

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100 YARD PER LA GLORIA >> SEGUE

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omenica 4 febbraio si è giocato il 52esimo Super Bowl del campionato Nfl, un evento tutt’altro che semplice da raccontare così come da vivere. Cominciamo intanto con lo spiegare cos'è il Super Bowl e cosa esso rappresenta, negli Stati Uniti e non solo. Il Super Bowl, innanzitutto, è la finale del campionato Nfl: le finaliste sono le squadre vincitrici delle due divisioni, la American football conference (AFC) e la National football conference (NFC). Lo scontro mette in palio non solo il titolo di campione della lega, ma pure quello di campione del mondo. E fin qui nessun problema. Adesso viene la parte più dura, ovvero spiegare il significato intrinseco di questa manifestazione. Per chi non seguisse questo sport, proviamo a semplificare il concetto paragonando il Super Bowl a una finale dei Mondiali di calcio e una finale di Champions League giocate in un’unica grande partita. Un evento di un impatto mediatico stratosferico che incolla davanti agli schermi, nei soli Stati Uniti, 103 milioni di telespettatori. In Italia si parla di circa 460 mila appassionati della Nfl. Questo anno la sfida ha posto difronte i Philadelphia Eagles e i New England Patriots. La partita si è disputata all'Us Bank Stadium, casa dei Minesota Vikings. Lo stadio ha una capienza di 66665 posti, ma per l'occasione sono stati accolti 73 mila tifosi delle due squadre. Il Superbowl è un appuntamento cosi importante che per soli trenta secondi di pubblicità mandate in onda in appositi spazi fra gli intervalli di gioco alcune società sono disposte a pagare cifre vicine ai 6 milioni di dollari. Non si possono inoltre tralasciare lo spettacolo dell'inno americano prima del calcio d'inizio e quello di metà partita – il Pepsi halftime show, quest’anno affidato a Justin Timberlake – un’esibizione dove ogni anno, in tempi record, sorge in mezzo al campo un palcoscenico da far invidia ai musical più acclamati. Tutti i più grandi artisti del pop, e non solo, hanno calcato il campo nella finale della Nfl: nomi del calibro di Michael Jackson, Madonna, Coldplay, Bruno Mars e Lady Gaga. Parliamo quindi di numeri pazzeschi che tuttavia ancora non descrivono appieno il valore di questa partita. Per l’America il Super Bowl è una CJOSUL | MARZO 2018

vera e propria festa nazionale in cui tutto il paese, indifferentemente dalla squadra che si possa tifare, si ferma. Fatte queste premesse possiamo dunque approcciarci alla gara, magari partendo con qualche parola sulle squadre coinvolte nel match. Da un lato i New England Patriots, i campioni in carica. Sono loro il team più vincente degli ultimi anni. Dagli anni 2000 ad oggi sono arrivati sette volte al Super Bowl vincendone ben cinque edizioni. L'altra pretendente al titolo sono i Philadelphia Eagles. Questa franchigia arriva al capitolo finale senza titoli in tasca. Nella loro storia si sono presentati due volte a questo importante avvenimento: fra queste una nel 2005, finale poi persa proprio contro i Patriots. Impossibile esimersi dal parlare del confronto fra i quarterback delle due squadre: Tom Brady, qb dei New England e Nick Foles degli Eagles. Brady è un veterano di queste partite, tutti i titoli vinti dai Patriots nel Super Bowl sono infatti arrivati anche grazie al suo apporto. È stato quattro volte mvp della gara ed anche per questo, nella storia della Nfl, è il quarterback più vincente, il secondo nella classifica dei più forti di tutti i tempi. Detiene il record di touchdown segnati (15) e di yard completate (2071) tramite giochi di passaggio in tutti i Super Bowl giocati. A questa partita arriva con dodici punti sulla mano appena tolti a causa di un taglio procuratosi poco prima della finale di Conference. Foles arriva al primo Super Bowl della sua carriera come sostituto del qb titolare Carson Wentz, infortunatosi al ginocchio sinistro contro i Los Angeles Rams alla fine della regular season. Foles quindi ha guidato l'attacco delle aquile lungo tutti i play off fino alla partita più importante di tutte. Passiamo quindi al racconto della partita. Il nostro consiglio? Prendetevi un pomeriggio libero, armatevi di amici, bevande e snack e gustatevi questo incontro. Non ne capite niente di football? Non sapreste nemmeno da che parte dello schermo guardare? Poco importa: il 52esimo Super Bowl è patrimonio di tutti, esperti e non. Per cominciare andiamo a sintetizzare la partita in due concetti: una formidabile linea di attacco da parte di Philadelphia, qualche errore di troppo nei placcaggi nelle retrovie della difesa dei Patriots. Siamo di fronte a una perfetta partita a

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scacchi, dove i primi punti per entrambe le squadre arrivano dai calci piazzati eseguiti dai due kicker – anche fra loro una bella sfida nella sfida – il veterano Gostkowki dei Patriots contro il rookie Jake Elliot degli Eagles. La prima meta è firmata dalla coppia Foles-Jeffery con un bel lancio del qb di Philadelphia di 42 yard e una difficile ricezione aerea in tuffo del suo ricevitore marcato stretto dal cornerback di New England. Brady va un po' in confusione e, nonostante il prezioso pacchetto ricevitori a sua disposizione, spesso lancia il pallone a vuoto. Ne approfittano gli Eagles, i quali dimostrano di possedere la linea di attacco migliore del campionato. Nello sviluppare il gioco di corse i lineman riescono a bloccare perfettamente i loro diretti avversari creando spazi in cui Ajayi, il loro runninback col numero 38, si infila efficacemente arrivando al touchdown. I Patriots si ritrovano e Brady riesce a guadagnare campo con dei bei lanci lunghi, ma la loro prima segnatura arriva da un gioco di corsa ed è bravo Withe, il runninback di New England, a sgusciare via dai placcaggi dei difensori degli Eagles ed entrare in end zone. Sulla conseguente possibilità di trasformazione sbaglia però il kicker Gostkowki lasciando il punteggio sul 15 a 12 per Philadelphia. Manca poco allo scadere della prima


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metà di gara quando accade qualcosa che rimarrà per sempre negli annali del Super Bowl. Quarto down, palla in mano a Philadelphia. Finta di doppia corsa con due passaggi dietro la linea di partenza dell'azione da parte di runningback e ricevitore, Foles si defila verso bordo campo trasformandosi a tutti gli effetti in ricevitore così da andare a prendersi il pallone lanciatogli dal ricevitore che aveva fintato la corsa. Il quarteback fa sua la palla e con il touchdown segnato diventa il primo giocatore nella storia del Super Bowl ad aver lanciato e ricevuto per una meta. Stadio in delirio ed emblematica inquadratura su Brady seduto in panchina decisamente avvilito. Più volte durante la partita verranno fatte rivedere le immagini di quell’episodio e di un simile tentativo fallito dai Patriots in precedenza. Finisce dunque il secondo quarto con il risultato di 22 a 12 per gli Eagles. Dopo l’halftime show i Patriots si fanno subito sotto touchdown del numero 87 Rob Gronkwoski, uno dei più forti giocatori della Nfl. Siamo sul 22 a 19. Le aquile non rimangono a guardare e con una serie di corse e qualche gioco di lancio rispondono ai patrioti con un altra segnatura grazie al passaggio di Foles sul numero 30 Corey. Nel secondo drive Brady mette finalmente in mostra il suo talento con un passaggio

preciso e pulito sul ricevitore numero 15 Chris Hogan: i Patriots tornano a meno tre, 29 a 26. Gli Eagles iniziano a far fatica, si avvicinano per due volte alla linea di meta senza però segnare. Riescono tuttavia a guadagnare tre punti grazie a un calcio piazzato; nel mentre la squadra offensiva di New England macina yard su yard e con un altro touchdown di Gronkwoski Brady e compagni sono per la prima volta davanti: 32 a 33. Il vantaggio è momentaneo perché qualche azione dopo il numero 86 Zack Ertz si tuffa in end zone riportando in vantaggio gli Eagles. 38 a 33 a 120 secondi dalla fine. Due minuti di gioco nel football sono un'eternità. Nella storia della Nfl moltissime partite si sono ribaltate in questo frangente di tempo e i Patriots hanno tutte le carte in regola per far propria nuovamente la partita. Accade quindi l’impensabile: sulla linea di metà campo, il numero 56 di Philadephia, Chris Long, riesce a togliere la palla dalle mani di Brady prima che questi riesca ad effettuare il lancio, facendo così recuperare la palla alla difesa. Gli Eagles non ne approfittano, ma portano comunque a casa altri tre punti con un calcio piazzato di Jake Elliot. Siamo sul 41 a 33 per gli Eagles. Con una meta e una trasformazione da due punti i Patriots potrebbero portare la partita ai tempi

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supplementari. Si gioca fino all' ultimo secondo, fino a quando Brady tenta il tutto per tutto dalle 56 yard con un lancio per il solito Gronkwoski, il quale però non riesce a riceve il pallone accerchiato e sopraffatto dai difensori degli Eagles. La partita finisce con il risultato di 41 a 33 e regala il primo titolo della storia a Philadelphia. Nick Foles verrà premiato come miglior giocatore della gara, riconoscimento meritatissimo per un match giocato in maniera eccelsa, una prestazione messa ancora più in risalto dal fatto che lui negli Eagles era il quarterback di riserva. Il 52esimo Super Bowl, in conclusione, potrebbe andare semplicemente a definirsi come una gara entusiasmante, ricca di colpi di scena e di grande spettacolo, una finale consegnata ai posteri come la rivincita di Philadelphia, la rivincita della “seconda scelta” Nick Foles.

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A TUTTO VOLLEY

Cristian Trevisan

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FINALE DI STAGIONE? Il meglio deve ancora venire! CJOSUL | MARZO 2018

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Giunta quasi al termine la stagione regolare di Superlega, si appresta ormai a cominciare la lotta per l’accesso ai playoff: le prime otto della classe rivali nella sfida per potersi cucire lo scudetto sul petto. Perugia, Civitanova, Modena, Trento, Verona, Milano, Piacenza e Ravenna sono le quadre qualificate che prenderanno parte, di fatto, ad un nuovo campionato che si prospetta ricco di battaglie senza esclusioni di colpi. Conterà ogni singola sfida, ogni ricezione, ogni difesa o battuta. La tensione sarà alle stelle e dunque, come direbbe il Liga nazionale, “il meglio deve ancora venire!” A vincere con due giornate di anticipo la regular season è la Sir Safety Conad Perugia, rimasta imbattuta per un intero girone, con la prima sconfitta arrivata per mano di Modena, ad oggi la rivale più accreditata per Zaytsev e compagni. Due coppe, la testa del campionato e il primo posto nel pool A di Champions League delineano una squadra che ha lavorato duramente per tutta questa parte di stagione senza quasi mai cedere il passo all’avversario. La qualità del gioco espressa dalla formazione umbra ha avuto una crescita costante durante tutta la stagione e si è affiancata all’evoluzione di due giocatori chiave in grado di spostare gli equilibri a vantaggio del proprio team: Massimo Colaci e il già citato Ivan Zaytsev. Il libero pugliese, che pare abbia trovato nuova linfa in questa avventura, ha portato maturità mentale alla linea difensiva, dove insieme ad un sontuoso Zar è riuscito a contenere bene le bordate in battuta e a difendere l’indifendibile. Pur attaccando pochi palloni e avendo meno evidenza in attacco, Zaytsev ha compiuto un sacrificio fondamentale per gli obbiettivi finora raggiunti. Forti di una panchina che ha sempre risposto presente quando chiamata in causa la Sir dovrà, in questo finale di stagione, dimostrarsi capace di concludere quanto iniziato. A mancare l’obbiettivo per un soffio, qualificandosi nona, è invece la Kioene Padova, società dimostratati spesso e volentieri un avversario tosto col quale scontrarsi – ricordiamo i tre punti nella tana del Modena e il tie-break vinto a Civitanova.

A sancire questa esclusione probabilmente un generale calo fisico e l’inesperienza dovuta ad una squadra piuttosto giovane, dove molti atleti hanno calcato il taraflex per la prima volta da titolari. Queste ed altre condizioni hanno portato i ragazzi di Valerio Baldovin a dover rinunciare ad un sogno forse alla loro portata. Da fanalino di coda della passata regular season Padova aveva l’occasione, quest’anno, di poter dire la sua nella lotta scudetto. Sapranno trasformare questa delusione in determinazione così da affrontare al meglio della condizione i play-off per il quinto posto? In gioco c’è l’accesso alla CEV Cup! Civitanova e Modena sono rispettivamente seconda e terza. Due squadre che tra infortuni e tensioni hanno avuto non pochi imprevisti in questa regular season.

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Sono loro le principali indiziate per il ruolo di anti-Perugia. Trento, Verona, Milano, Piacenza e Ravenna si giocheranno, nell’ultima giornata in programma per domenica 4 marzo, il loro piazzamento sulla griglia dei play-off. Non ci resta che godere di questo finale di stagione e attendere quindi di scoprire quale squadra riuscirà ad esprimere la migliore pallavolo e meritare il titolo di campione d’Italia 2018.

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MAGIC IN THE AIR Tommaso Montanari

https://en.wikipedia.org/wiki/Quidditch_(sport)#/media/File:Muggle_Quidditch.jpg

tommaso.montanari@cjosul.it

Genere o sesso? Questo è il dilemma CERCHIAMO DI FARE CHIAREZZA SU UNO DEI PRINCIPI PIÙ UNICI, MA ANCHE PIÙ CONTROVERSI, DEL QUIDDITCH NEL MONDO. CJOSUL | MARZO 2018


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egli ultimi giorni un terremoto ha scosso le squadre italiane e tutti i volontari votati al supporto e alla diffusione del quidditch. Una delle regole cardine di questo sport, la gender rule, è stata implementata con una sex rule. Prima di entrare nel dettaglio della problematica è giusto rinfrescare la memoria su cosa comporti effettivamente la gender rule. Fin dalla nascita dell’International Quidditch Association (IQA), una delle missioni principali del neonato organo nongovernativo è stata quella di rendere il quidditch uno sport accogliente e amichevole, nel quale nessuno possa sentirsi discriminato per i propri ideali o per il modo in cui vive la propria sessualità. Proprio per questo, le numerose edizioni dei regolamenti di quidditch riportano sempre, nel primo capitolo, la gender rule, o regola dei “massimo quattro”. Questa regola enuncia che ogni squadra può mettere in campo una formazione che includa al massimo quattro persone appartenenti allo stesso genere. Non è un caso che l’IQA abbia usato il termine “genere” anziché “sesso”. Secondo l’IQA, un atleta deve essere libero di identificarsi nel genere in cui si trova a suo agio: questo significa che se un atleta biologicamente maschio viva la sua vita identificandosi nel genere femminile, egli può scendere in campo come atleta femmina; ovviamente è valida anche la situazione contraria, cioè che un’atleta di sesso femminile giochi come maschio perché si identifica in quel genere. La regola è inclusiva anche per quegli atleti che non si identificano né come maschio, né come femmina: è il caso dei non-binary o dei gender-fluid, che sono ammessi a giocare in una partita ufficiale sotto il nominativo di agender, ovvero privo di genere. A prescindere dall’identità di genere degli atleti di un team, la gender rule è cristallina: in campo possono esserci al massimo quattro maschi, quattro femmine oppure quattro agender. Perché allora una regola così chiara e al tempo stesso così bella nella sua unicità e per il principio su cui si poggia ha necessitato di un miglioramento? Nelle ultime stagioni di quidditch, si è insinuato tra atleti e membri del Consiglio Direttivo dell’AIQ (Associazione Italiana Quidditch) il dubbio che qualche team abusi della gender rule inserendo nella propria formazione degli atleti strategicamente iscritti come agender per poter beneficiare di una maggiore rappresentanza maschile durante il gioco. Questo comportamento ha indotto un malcontento diffuso in numerosi soci AIQ che

talvolta è sfociato in palesi manifestazioni di dissenso verso coloro che hanno scelto di schierare tra le loro linee dei giocatori iscritti ad hoc come agender al fine di migliorare la performance del team. Si è trattato di casi accesi e di difficile mediazione, i quali hanno spinto il Direttivo AIQ a cercare delle soluzioni. La proposta avanzata dall’AIQ e sottoposta all’attenzione di tutte le squadre ufficiali e non è stata quella di implementare la consolidata gender rule con una sex rule più stringente: ogni team è chiamato a schierare in campo al massimo quattro giocatori appartenenti allo stesso sesso biologico. Il Consiglio Direttivo ha sottolineato con chiarezza che questa novità non ha lo scopo di rimpiazzare la vecchia regola: infatti, rimane attiva la possibilità degli atleti di giocare identificandosi nel genere – o nel non-genere – che meglio li rappresenta. Ad implementare ciò, gli ufficiali di gara accerteranno il sesso di appartenenza dei giocatori in base ai documenti di identità che presenteranno in fase di iscrizione alla manifestazione sportiva. Questo è un importante passo avanti nella lotta all’aggiramento della gender rule perché, mentre il genere non è verificabile se non basandosi sulla buona fede degli atleti, gli ufficiali di gara potranno accertare il sesso biologico degli stessi facendo affidamento ai documenti di identità, per cui diventa immediata la verifica del rispetto della sex rule in ogni momento della manifestazione. Durante l’ultima riunione dei rappresentanti delle squadre con il Consiglio Direttivo, la nuova regola ha raccolto il consenso della maggioranza degli intervenuti, per cui l’AIQ ha deliberato che la sex rule inizierà ad essere applicata a partire dal prossimo evento ufficiale, ossia la Coppa Italiana Quidditch (CIQ), che verrà disputata a Roma dal 19 al 20 maggio. La scelta di far entrare in vigore la regola non a partire dalla prossima stagione, ma prima dell’inizio dell’evento più importante del quidditch nostrano, ha sollevato numerose perplessità e criticità da parte dei membri dell’AIQ. Queste poi sono state ulteriormente alimentate dalla decisione del Consiglio Direttivo di modificare sia la data che la location della CIQ – in principio, la competizione avrebbe dovuto disputarsi il 12-13 maggio a Francavilla a Mare, in Abruzzo. Queste variazioni non sono dipese dalla volontà del Consiglio Direttivo, che per motivi di forza maggiore si è trovato nell’impossibilità di garantire l’allestimento ottimale del torneo nella località abruzzese e di dover riorganizzare il proprio reparto eventi ufficiali. Il cambio di data invece è stato valutato

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dall’AIQ in seguito all’annuncio delle date dell’European Quidditch Cup (EQC), che sono state piazzate eccessivamente a ridosso del weekend precedentemente individuato per la CIQ. In questo modo, le squadre partecipanti alla competizione internazionale si sarebbero trovate in una posizione di svantaggio per il breve lasso di tempo trascorso tra i due eventi. Sempre consultandosi con le squadre italiane, l’AIQ ha ufficializzato il cambio di data dopo aver valutato le preferenze indicate dalla maggioranza dei team – molti dei quali hanno espresso che non c’erano differenze tra i due weekend. Alcune squadre invece hanno accusato fortemente la posticipazione dell’evento, in quanto non possono garantire la presenza di un team sufficientemente numeroso e con un numero adeguato di ragazze nel proprio roster. L’adozione della sex rule potrebbe quindi compromettere la partecipazione dei team all’evento, in quanto il semplice ricorso a pochi giocatori agender riuscirebbe comunque a garantire la presenza di tali squadre alla manifestazione sportiva. Ma perché allora inserire la nuova regola in un periodo particolarmente sensibile per le compagini italiane? Secondo l’AIQ, la situazione attuale degli agender nelle squadre aveva raggiunto un punto tale da alimentare eccessivamente il sospetto e il malcontento in numerosi giocatori, impedendo un sereno svolgimento dei tornei ufficiali e incrinando i rapporti di amicizia che si sono instaurati tra i team. La decisione è stata presa democraticamente dal Direttivo AIQ che, mettendo su una bilancia il rischio di fomentare ulteriori opposizioni contro i giocatori strategicamente agender, con la non troppo remota possibilità che tali manifestazioni sfocino in episodi di violenza verbale o fisica, e il rischio di escludere alcuni team dalla competizione per l’impossibilità di presentare un roster regolare, ha probabilmente optato per il male minore.

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Assetto di volo di Pierluigi Cappello, CAMPIONE NELLO SPORT, NELLA VITA E NELLA POESIA

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ileggendo i versi del componimento che dà il nome a una delle prime raccolte di Pierluigi Cappello – poeta friulano vincitore del Premio Viareggio Rèpaci nel 2010, è bene ricordarlo –, in occasione del primo convegno di carattere scientifico a lui dedicato dall’università di Udine lo scorso 19 febbraio, si sono risvegliate in me le stesse emozioni che la prima lettura del suddetto testo era riuscita a suscitare. Per chi non lo sapesse, Cappello è stato in gioventù un appassionato e praticante di atletica – attività madre fra tutti gli sport – e, in particolar modo, della corsa sui cento metri. Era in grado di percorrere quella distanza in soli undici secondi e quaranta centesimi. Un’esperienza, quella dello sport, che certamente ha segnato la sua vita e l’espressione più pura ed autentica di essa, ossia la sua arte. Così come Assetto di volo dimostra. La disposizione delle parole e la scelta delle stesse mantengono una compattezza invidiabile e un nucleo di forza concettuale che si manifesta in capacità espressive non comuni – si guardi a quelle “nocche strette” o a quel “collo di tendini tesi”, giusto per citare due esempi. Ma è quella “bellezza di cimieri abbattuti” ad avermi sempre affascinato. In tale espressione, che rimanda evidentemente a un immaginario di tipo bellico, si può, a parer mio, ritrovare ulteriore conferma della frequenza di echi omerici nei versi di Cappello, dato che, quando si occupa di vinti, come, ad esempio, nella significativa Una lettura, componimento che può essere letto nella medesima raccolta, il poeta di Chiusaforte si rifà spesso alla figura esemplare di Ettore, nobile sconfitto per eccellenza

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che, nella sconfitta e nel trovare la morte per mano di Achille, conserva la fierezza e “il silenzio del vincitore vero” – sempre in Una lettura. Cappello, dunque, ha proposto spesso ai suoi lettori, che devono e possono diventare sempre più numerosi, queste figure di vinti che non si arrendono, che lottano contro difficoltà e avversità anche sapendo che probabilmente i loro sforzi risulteranno vani. In ciò, Cappello, pur tenendo conto del peso e dell'importanza nella sua poetica della sua personale vicenda umana, è profondamente moderno. Il valore della corsa, un tempo agile e rapida sulla pista d’atletica e ora dolorosamente impossibile, segna una profonda e sofferta distanza tra le due fasi dell’esistenza di Cappello, quella prima e quella dopo l’incidente che lo vide coinvolto in giovanissima età. Da campione d’atletica, egli diventa campione non solo e non tanto in ambito artistico, quanto nel suo a dir poco difficoltoso percorso di vita, trasportando tale dimensione d’epica sportiva nei suoi versi. L’umanità dell’autore risalta nella conclusione di Assetto di volo, commossa e ottimistica al tempo stesso, nella quale il successo del vinto consiste nel trovare l'equilibrio e volare via.

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foto di http://davidefranchiniweb.altervista.org/web/parole-povere-con-pierluigi-capello-a-pordenonelegge-2015/

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