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Maestri e amici al Forte

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come uno stargate

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UN VIAGGIO nella storia dell’arte, tra le opere di alcuni dei più grandi artisti italiani (e non solo) del ’900. E il racconto di una Forte dei Marmi non così lontana nel tempo, che d’estate diventava luogo d’incontro di intellettuali e artisti, dove le conversazioni sulla letteratura, l’arte, la cultura si intrecciavano con le chiacchiere della villeggiatura. Corre su questi due binari la mostra Burri, Morandi e altri amici. La passione per l’arte di Leone Piccioni in corso alla Villa Bertelli di Forte dei Marmi fino al prossimo gennaio. Leone Piccioni, scomparso nel maggio del 2018, fu uno dei più grandi critici letterari italiani. E di quel cenacolo fortemarmino di intellettuali e artisti fu un animatore e un frequentatore assiduo. Curata da Piero Pananti e Gloria Piccioni, figlia di Leone, la mostra accoglie oltre cento opere, tutte provenienti dalla collezione privata della famiglia. E oltre ai Burri e Morandi del titolo presenta opere di Afro e Alexander Calder, di Capogrossi e Carrà e poi di De Pisis, Guttuso, Manzù, Rosai, Schifano, Viani, e tanti altri. Artisti con cui Piccioni ebbe rapporti di conoscenza e amicizia. E artisti legati in gran parte a Forte dei Marmi e alla sua storia. In particolare a un luogo, il Quarto Platano del Caffè Roma, che dagli anni ’20 agli anni ’50 è stato il più famoso ritrovo degli intellettuali. E dove, per un caffè o un aperitivo, si fermavano Ungaretti e Montale, Enrico Pea e Curzio Malaparte e Ardengo Soffici. Oltre a quadri e sculture, a Villa Bertelli sono esposti ricordi e testimonianze di quell’epoca. Scritti, foto e video, che documentano la vita culturale e artistica del ’900. Ma anche e soprattutto i legami, intellettuali e di amicizia, di Leone Piccioni con gli artisti, e la sua capacità di comprendere fino in fondo uomini e arte. Di quei legami e di quella comprensione profonda ha scritto lo stesso Piccioni nel libro Maestri e amici, pubblicato da Rizzoli nel 1969. “Dall’opera di Burri”, scrive per esempio, “dalla visione della carne piagata e della crosta della terra, dalle bruciature e dalle ferite, dalle materie vili, esce uno slancio di solidarietà e d’amore”. Della pittura di Giorgio Morandi Piccioni sottolinea la carica poetica: “Morandi aveva addensato in sé e nel suo lavoro significati interi, continui, approfonditi sempre, non smentiti mai, da rappresentar per noi, lungo l’arco della sua vita, quello che solo un paio di poeti avevano, anche se in senso differente, significato”. Mentre Giacomo Manzù è un carattere “chiuso, tutto frenato ma con freni che cedono, a un certo momento, sotto la pressione del suo estro naturale, per farlo partire, così nella ispirazione, come nel contatto umano di vita, verso dimensioni nuove, quasi imprevedibili”. Nato a Torino nel 1925, Piccioni studiò a Firenze, con Giuseppe De Robertis, e poi a Roma, dove fu allievo prediletto di Giuseppe Ungaretti, di cui divenne il massimo esperto. Nell’immediato dopoguerra iniziò a lavorare alla Rai, di cui sarebbe diventato (nel 1969) vice direttore generale. Per molti anni fu curatore de “L’Approdo letterario”, storica trasmissione radiofonica culturale che andò in onda dal 1945 al 1950. Negli anni fiorentini Piccioni iniziò a frequentare, da villeggiante, la Versilia e Forte dei Marmi. Qui conobbe Osanna Doni, figlia di una delle famiglie che hanno fatto la storia della cittadina, che sposò nel 1948. Insegnò letteratura italiana moderna e contemporanea a Roma e alla IULM di Milano. Oltre che dell’amato Ungaretti, scrisse di autori come Federigo Tozzi, Carlo Emilio Gadda e Giacomo Leopardi, in innumerevoli saggi e articoli. E come tanti villeggianti trascorse molte estati a Forte dei Marmi. Vacanze che non furono di puro ozio, come questa mostra testimonia, con dovizia di documenti e di affetto. Una mostra nata un po’ per caso, racconta la figlia Gloria. E che è diventata un regalo a Forte dei Marmi e ai suoi visitatori: centootto opere di grandi artisti che per l’occasione hanno lasciato, per la prima volta, le pareti di casa Piccioni.

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