Anno 2
N u me r o 1 8
S ka n
Febbraio 2014
La rivista multicanale di narrativa fantastica liofilizzata istantanea
Bright Side
AMAZING MAGAZINE
Mauro Saracino, l'editore del mistero Luigi Milani, un'intervista da brivido S ilv io S o s io : l' u o m o c h e sussurra alle stelle Concorso letterario: Morte a 666 giri
Intervista ad Alessandro Alessandro Napolitano Qualcosa che ho mangiato Una lettera anonima E vissero tutti felici e morti I l g io c o
N ASF 足 L e T re L une 8
Scelta vitale
L'invasione dei vampiri Il pozzo dei mondi Il mestiere dell'avvoltoio C o y o te Xenopath Epidemia Zombi Evelyn Starr Ritorno alla Mary Celeste Locus Animae
L ilith
d i J a c k ie d e R ip p e r
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di Diego Capani
N o n pe r d e t e i l n u m er o d i M a r zo 2 01 4 L 'a l t r o L a t o
Sommario
del
Hanno collaborato L'editoriale ............................. 5
Jackie de Ripper e
Max Gobbo Roberto Bommarito Andrea Viscusi Mirko Giacchetti Luigi Bonaro Polly Russell Arianna Biavati Andrea Atzori Massimo Luciani Riccardo Sartori Diego Capani
di Jackie de Ripper OLTREMONDO Incontra Incontriamo Mauro Saracino, l'editore del Mistero di Max Gobbo .............. 6 Un'intervista da brivido con Luigi Milani di Max Gobbo .............. 11 Silvio Sosio, l'uomo che sussurra alle stelle di Max Gobbo .............. 14 Anteprima Z.A. Recht, "Epidemia Zombi" ......... 19 Azzolini e Falcone, "Evelyn Starr" ............... 22 Concorsi letterari Morte a 666 giri ................ 23 Una voce da Malta Intervista ad Alessandro Napolitano ...................... 24 di Roberto Bommarito L'eBook nell'eReader A. Defilippi, "Locus Animae" ............. 28 Being Piscu "Qualcosa che ho mangiato" ................. 29 di Andrea Viscusi Guest Star "Una lettera anonima"..... 34 di Mirko Giacchetti
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Bright Side Poscritti di futuro ordinario "E vissero tutti felici e morti" ........................... 40 di Luigi Bonaro ... e alla fine arriva Polly "Il gioco" ............................ 44 di Polly Russell Oltre lo Skannatoio Le Tre Lune 8 "Scelta vitale" ................... 48 di Arianna Biavati Nella pancia del Drago "L'invasione dei vampiri" di Andrea Atzori .......... 50 I libri da rileggere H. Kuttner, "Il pozzo dei mondi".52 R.A. Heinlein, "Il mestiere dell'avvoltoio" ..... 54 A. Steele, "Coyote" ....................... 56 di Massimo Luciani Il libro da tradurre E. Brown, "Xenopath" di Massimo Luciani ..... 58 Il venditore di pensieri usati D. Picciuti, "Ritorno alla Mary Celeste" di Riccardo Sartori ...... 60 Vale più di mille parole "Venusian Lady" ............... 62 "Lilith" ............................... 63 di Diego Capani DARK SIDE ........................... 64
Sommario
del
Dark Side
Hanno collaborato
Albertine
(Arianna Koerner)
Lavinia Blackrow TETRACTYS
Il Lato Oscuro "Nel Teatro della Morte" di Arianna Koerner .......64 Skannatoio edizione XXVI Nel segno di una nuova era
(Leonardo Boselli)
Le specifiche ..................... 66
(Alessandro Renna)
"La runa bianca" di Lavinia Blackrow ... 67
Rovignon LeggEri
"Come una nave nella tempesta" di Leonardo Boselli ..... 75 "Pace" di Alessandro Renna ... 80 "Passeggiata primaverile" di LeggeEri .................... 85 Risultati e classifiche Skannatoio 5 e mezzo ...... 88
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S ka n AMAZING MAGAZINE
Nel segno di una nuova era è il sottotitolo dello Skannatoio 5 e mezzo di gennaio. E si tratta davvero di una nuova era: le iniziative ideate da Marco Lomonaco, il moderatore del forum del concorso, hanno attratto numerosi autori ispirati da specifiche originali. Le storie che sono nate da questo connubio di vincoli e ispirazione sono in parte raccolte nel "dark side" della rivista, mentre altre saranno pubblicate in e-book editi da La Tela Nera. In ogni caso, i lettori di Skan Magazine avranno sempre un posto privilegiato dal quale assistere alle gare e leggere le storie più interessanti e avvincenti. Ma passiamo ai contenuti di questo numero. La rubrica Oltremondo, curata da Max Gobbo, ci propone ben tre interviste con autori ed editori di narrativa fantastica. Si comincia con Mauro Saracino di Dunwich Edizioni, per poi parlare di horror con Luigi Milani e passare a Silvio Sosio di Delos Digital. Seguono quindi succose anteprime delle pubblicazioni delle due case editrici citate, oltre che di Multiplayer.it. Infine potrete leggere il bando del concorso letterario "Morte a 666 giri" indetto da Dunwich Edizioni. Un'occasione in più per farsi conoscere a disposizione degli autori di narrativa fantastica. Anche Roberto Bommarito propone un'intervista, come nel precedente numero. Questa volta si parla di fumetti con Alessandro Napolitano del gruppo ESC (Electric Sheep Comics) di cui ci siamo già occupati in numeri precedenti e i cui autori hanno dato bella prova di sé nelle eccellenti copertine che abbiamo pubblicato. Inutile dire che gli autori ospiti si sono come sempre superati. Anche in questo numero sono presenti:
Nei prossimi mesi, poi, ospiteremo i migliori classificati del concorso "Le Tre Lune 8", che tratta di "animaletti spaziali". Immancabile l'appuntamento con i saggi sul genere fantasy di Andrea Atzori, oltre ai consueti consigli per le vostre letture fantascientifiche redatti da Massimo Luciani. Riccardo Sartori, invece, nella rubrica "il venditore di pensieri usati", ci presenta le sue impressioni su "Il ritorno della Mary Celeste" di Daniele Picciuti. Infine, il "bright side" si chiude con le illustrazioni di Diego Capani: ritratti dall'impostazione classica di creature fantastiche. Cosa vi aspetta, quindi, nel "dark side"? Si apre con una novità: Sol Weintraub, da perfetto cavaliere qual è, per questo mese ha dato spazio ad Arianna Koerner, già nota ai lettori della rivista come Albertine. Seguono il racconto d'apertura, quattro altri racconti tratti dall'ultimo Skannatoio, ispirati a vari simboli esoterici. Li presentiamo nella loro forma "da gara", ovvero la forma che i giudici del concorso hanno valutato. Tenete conto, perciò, che queste storie sono il frutto del lavoro di ideazione e scrittura svolto al massimo in una settimana, in alcuni casi molto meno, senza interventi di editing, ed è stupefacente constatare quale forma già matura abbia assunto la storia, oltre alla solidità della scrittura che presenta, in alcuni casi, davvero pochissime imprecisioni. Dopo questa veloce carrellata dei contenuti, cosa mi resta da fare? Augurarvi, come sempre, buona lettura! Jackie de Ripper
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Nel segno di una nuova era
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Oltremondo
Incontra
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info@ dunwichedizioni.it -9-
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Oltremondo
Incontra
Luigi Milani vive e lavora a Roma, città dov’è nato poco dopo la morte di John Kennedy. Tra i soci fondatori di Edizioni XII, cura la collana eTales per Graphe.it Edizioni e collabora con Kipple Officina Libraria. Ha pubblicato racconti e romanzi per vari editori e su diverse riviste letterarie, cartacee e on line. Ultimi libri pubblicati come autore: Nessun Futuro (Casini Editore, 2011),
Anzitutto come e quando nasce la tua passione per la letteratuSeasons, Ci sono stati dei disordi- ra? ni e L’estate del diavolo (Delirium Edizioni, 2011-2012). Assie- Credo sia merito – o colpa, fate voi... – di mio padre, lettore onnime alla coautrice Alexia Bianchini ha da poco pubblicato voro dalla curiosità inesausta. È un nuovo romanzo, un thriller ve- lui che mi ha trasmesso, già in tenera età, il terribile virus. nato di paranormale intitolato Eventi Bizzarri (La Mela Avvele- Ci racconti dei tuoi esordi nel nata, 2013). Il suo blog è mondo della scrittura? http://luigimilani.com a una dozzina d'anni Benvenuto Luigi, i nostri lettori Risalgono fa, quando una mia amica, attrice sono veri estimatori dell’horror, e cinematografica, mi spinse a scripertanto andranno in visibilio per vere la sceneggiatura di un un tipo come te. “corto”. Cominciai poi a lavorare
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ai miei primi racconti, all'insegna del grottesco e della denuncia sociale, ed ebbi poi la fortuna di esordire con un'antologia personale nell'estate del 2009. Un paio d'anni dopo uscì il mio primo romanzo, Nessun Futuro, per i tipi di Casini Editore, che per mia fortuna riuscì a mettere abbastanza d'accordo critica e pubblico. Il resto è storia recente, che mi ha visto attivo soprattutto sul fronte digitale, con racconti e romanzi brevi, per vari editori. Vorresti parlarci un poco dei tuoi ultimi lavori? Volentieri. Ultimamente mi sono dedicato soprattutto alla scrittura di novelle, spesso in coppia con l'amica e collega scrittrice Alexia Bianchini. Ho partecipato a diverse antologie a tema, come Sine Tempore, una raccolta di racconti incentrati sul tema dell'ucronia, con il racconto Il sogno di Marlene e 50 Sfumature di Sci-Fi, con il racconto Secondo Avvento. Lo scorso autunno, per i tipi di Dunwich Edizioni, ho pubblicato la novella La notte che uccisi Jim Morrison e un romanzo breve firmato assieme ad Alexia Bianchini, Eventi Bizzarri (Edizioni La Mela Avvelenata). Il personaggio protagonista di questo romanzo, lo scrittore male-
detto Daniele Bizzarri, è poi tornato alla ribalta nell’ambito dello Sherlock Holmes Project, con la novella Uno Studio in verde, scritto di nuovo in coppia con la bravissima Alexia. Perché una commistione (invero singolare), tra musica e horror? La musica e l'horror vantano legami molto saldi. Larga parte della stessa iconografia rock si rifà ampiamente a tematiche horror: pensiamo a band storiche come i Black Sabbath, i primi Led Zeppelin, i Rolling Stones della celeberrima Sympathy for the devil, ma anche Quorthon, Trent Reznor, Rage Against the Machine. Penso anche al gothrock, ai Damned di Dave Vanian e ai Misfits di Glenn Danzig, e naturalmente a Marilyn Manson, ai Metallica e ai Megadeth. Insomma, horror e rock vanno decisamente a braccetto... Secondo te perché la gente ama così tanto le storie dell’orrore? Senza voler fare della psicologia a buon mercato, l'horror in fondo rappresenta una possibile chiave di lettura di questi nostri tempi – quelli, sì, davvero “horror” – e allora in tal senso questa forma di narrativa può rivelarsi, chissà, in qualche modo perfino “terapeutica”... Qual è il segreto di una buona storia horror? Al di là dei generi letterari, credo che il segreto sia innanzitutto disporre di una buona idea di partenza, tale da poter essere sviluppata nelle varie fasi della narrazione. Bisogna inoltre sforzarsi di non cadere troppo nei
luoghi comuni, evitando quanto più possibile il ricorso ad ambientazioni e descrizioni troppo di maniera. D'altro canto è innegabile che gli spunti offerti dalla cronaca siano molteplici e non di rado già sufficientemente orrorifici da costituire sicura fonte d'ispirazione per l'aspirante scrittore horror... Spesso si dice che questo genere di narrativa sia figlia del gotico: qual è il tuo pensiero in proposito. Non c'è dubbio. È da quella prima, grande corrente artistica che ha preso le mosse l'horror moderno, sia pur oggi declinato in più... rivoli! Restando in tema gotico: chi preferisci? - Bram Stoker - Mary Shelley - Edgar Allan Poe Il mio preferito è senz'altro Bram Stoker: il suo Dracula rimane a tutt'oggi il romanzo capolavoro della narrativa gotica, riferimento ideale e inarrivabile per tante generazioni di autori. Edgar Allan Poe è considerato uno dei padri del genere: condividi questa idea? Certamente, è un maestro inarrivabile, soprattutto nel creare storie di grande atmosfera. Oggi forse può risultare un po' distante dalla sensibilità di alcuni lettori, abituati come sono a un linguaggio più moderno e a una narrazione più veloce, ma ogni buon appassionato di letteratura – horror o meno – non può prescindere dalla grande lezione di E.A.P.
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Che rapporto può esserci tra fantascienza e horror? Molto proficuo. I due generi possono spesso tracimare l'uno nell'altro con risultati spesso interessantissimi. Un esempio per tutti il vasto e terribile Pantheon di antichi dei partorito dal genio prolifico e multiforme del grande H.P. Lovecraft. Ma pensiamo anche alla saga cinematografica di Alien, altro esempio luminoso di riuscita contaminazione di generi. Se dico H.P. Lovecraft, a cosa pensi? Penso al padre dell’horror moderno, al modello di riferimento per tante generazioni di scrittori che a lui e alle sue cosmogonie malate si sono richiamati e alle quali ancora attingono a piene mani. Tra le pellicole ispirate alla creatura della Shelley, che posto daresti a Frankenstein Junior? Nel suo genere senz'altro il posto d'onore, per la sua carica di folle e scatenata comicità, all'insegna della dissacrazione più divertente e irriverente. Il brivido corre più forte in: Uccelli di Alfred Hitchcock, o in Shining? Personalmente ho provato più brividi con il raggelante film del grande Kubrick, probabilmente in virtù dell'innegabile fascinazione visiva, pur senza nulla togliere alla magia della pellicola di Hitchcock. Ma per spaventare occorre proprio il sangue (come oggi si tende a fare), o contano di più
le atmosfere? Sono dell'avviso che il sangue non sia strettamente necessario, o almeno questo è il mio personale approccio. Preferisco che sia il lettore a immaginare e vedere attraverso le mie parole l'orrore in agguato, pronto a ghermirlo pagina dopo pagina. Pensi che debba esistere un’estetica, o meglio una ricerca artistica nell’horror di qualità? Credo, o meglio auspico, che dovrebbe sempre esserci una ricerca artistica, e non solo nella narrativa di genere, ma più in generale in tutta la narrativa. Il lettore non può essere ingannato o, peggio, sottovalutato, e credo anzi che la qualità sia l'unico valido discrimine oggi tra la buona e la cattiva letteratura. Parliamo di cinema: che cosa pensi dell’opera d’un maestro del genere come Dario Argento? Molto interessante, soprattutto nel suo primo periodo. Penso alla potenza di certe sequenze in Profondo Rosso ad esempio, o alle atmosfere morbose e malate di Suspiria e Inferno. Certamente è uno dei nostri più grandi registi, forse un poco messo da parte in questi ultimi anni. Il tuo film preferito? Sentieri selvaggi di John Ford, per l'equilibrio pressoché perfetto tra dramma, ironia e messaggio sociale. Se a questo aggiungi la magia dei panorami di Ford e la vigorosa fisicità di John Wayne, il perché di questa mia scelta credo apparirà evi-
co ecc.) oggi tanto di moda? Le vedo vincenti e stimolanti, a patto che siano ben realizzate. Tanto più che il pubblico dei lettori oggi, anche sulla scorta di certo cinema e certe produzioni televisive, sembra apprezzare particolarmente le contaminazioni. Ma tu, come li vedi i licantropi griffati e i vampiri sdolcinati della Meyer? Non li amo particolarmente, ma nutro grande rispetto per il genere, pur oggi in fase calante. Una storia famosa che avresti voluto scrivere? Dagon , di H.P.L. Cosa scriveresti sulla lapide del conte Dracula? “Adoro il sangue fresco!” Ti piacerebbe parlarci dei tuoi progetti futuri? Lavoro a un nuovo romanzo, un noir ambientato nel mondo del cinema, e mi accingo a mettere mano a un romanzo cyberpunk che porterà, oltre alla mia firma, della mia consueta Del vampiro senz'altro, per la quella compagna di scrittura Alexia. intrinseca ricchezza del topos Sono poi coinvolto come curatoletterario. re in diversi altri progetti letterari, ma non vorrei annoiare i noTi ispira di più: - Un cimitero al chiar di luna stri lettori con troppi dettagli... - Un antico maniero Bene, coll’auspicio di averti - Una chiesa sconsacrata ancora come ospite, desidero anche a nome dei Un antico maniero: chissà quanti ringraziarti volti e storie avrà ospitato nella nostri lettori. sua lunga vita! Grazie a voi per la generosa ospitalità. A presto! Cosa pensi di tutte quelle commistioni, tra generi differenti (horror, fantasy, romantiMax Gobbo dente a tutti. Libro che più hai amato? La terra sotto i suoi piedi di Salman Rushdie, da affiancare però a Underworld di Don DeLillo. Si tratta di testi per me fondamentali. Dopo aver scritto un capitolo del tuo ultimo libro, mettendoti a letto lasci la luce accesa, vero? Ti confesso che la spengo. In genere riesco a convivere discretamente con i miei fantasmi... Cosa consiglieresti ad un giovane emergente che voglia cimentarsi nella scrittura horror? Raccomando soprattutto di leggere molto e dedicarsi alla scrittura con assiduità, cercando di trovare la propria voce senza mai cedere alla tentazione dell'autocompiacimento. Trovi più affascinante la figura del: - Vampiro - Licantropo - Zombie
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S ka n Silvio Sosio è uno dei personaggi più attivi e nella diffusione e nello sviluppo dell’editoria elettronica e che s’occupa del fantastico. Ha fondato la casa editrice Delos Books, di cui è presidente. E’ cofondatore della prima rivista di sf online italiana, Delos Science Fiction , e di riviste elettroniche come Fantascienza.com. Sosio è anche curatore dell’ormai storica rivista Robot, e della collana Odissea Fantascienza. Alla sua penna si devono diversi racconti interessanti, tra essi ricordiamo Uno Nessuno Centomila, che gli valse il premio Courmayeur 1996. Suoi scritti sono comparsi su Urania: mentre la sua attività di saggista, ha riscosso unanimi consensi.
Oltremondo
Incontra
Benvenuto. I nostri lettori amano tutto ciò che riguarda il mondo dell’immaginario, e di certo saranno felicissimi della tua presenza. Grazie, speriamo che non dicano “oh no ancora quello che dice sempre che la fantascienza è in crisi, vado a suicidarmi subito o aspetto di aver finito di leggere?”... Partiamo colla tua attività di editore: che differenze esistono nel pubblicare un libro in formato cartaceo e uno in digitale? Farei prima a elencare le cose simili... C’è in effetti molta differenza. Ovviamente tutto il lavoro di selezione e di cura del testo è lo stesso, ma ci si ferma lì. L’editoria cartacea è un complesso sistema industriale che richiede rapporti con fornitori di diverso tipo, dallo stampatore al distributore, ha tempi molto precisi che non si possono sgarrare - devi presentare le schede ai promotori circa sei mesi prima, consegnare le copie stampate quasi un mese prima dell’uscita, eccetera. Comporta ingenti giri di denaro con scarsa consapevolezza di quanto te ne resterà alla fine in tasca, perché anche dopo un anno il libraio può deciderti di renderti
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le copie che non ha venduto. E comporta dover lavorare con cose pesanti, scatoloni che in un modo o nell’altro ti trovi sempre a dover portare in giro, che sia una fiera o una presentazione. I libri elettronici sono una brezza. Li fai uscire quando vuoi, non hai quasi costi di produzione, se li vendi sono venduti e non tornano indietro. E il peso lo misuri in kilobyte, non in kilogrammi, e la schiena ringrazia. L’unico problema è che, al momento, gira
molto meno denaro, perché costano poco e se ne vendono molti meno dei libri. Certi prevedono (esagerando), la fine dei libri tradizionali per causa dell’avvento dei libri elettronici: tu che ne pensi? No, no. La fine dei libri di carta tradizionali ha ben altre cause. I libri elettronici sono l’opportunità per i libri di scampare alla fine dei libri cartacei. Catastrofismi a parte, i libri stampati non finiranno, ma certo sono destinati a un drammatico ridimensionamento. Forse in Italia ci vorrà di più: ho sempre avuto l’impressione che una bella fetta del mercato librario in Italia non riguardasse davvero la lettura. Arredamento, o regali. Nei paesi dove si legge molto sono molto più diffusi i tascabili e gli ebook hanno un grande successo. Prova ad arredarti la parete con gli ebook. Non funziona. Quali vantaggi apporta l’editoria elettronica rispetto a quella convenzionale per i lettori? Benefici per l’apparato muscolare quando tieni in mano duecento grammi di lettore contro i cinquecento del tomo da mille pagine del bestseller del momento. Benefici per la spina dorsale quando trasporti la valigia con dentro i soliti duecento grammi con tutti i libri che vuoi leggerti in vacanza invece di cinque chili di carta. Benefici oculari, perché puoi
ingrandirti il font e non sforzare la vista anche se hai passato i 40 e il tuo cristallino comincia a irrigidirsi. Benefici al sistema respiratorio quando devi cercare quella frase che diceva il personaggio di quel libro, o forse era quell’altro, e devi soltanto fare qualche click sul tuo computer invece di arrampicarti e tirare fuori dalla libreria volumi coperti di polvere. Alcuni editori italiani sembrano poco inclini, e comunque in ritardo, nello sviluppo e nella diffusione di libri elettronici: qual è il tuo pensiero a riguardo? Con gli ebook si guadagna ancora troppo poco. Costano poco e sono gravati dall’iva al 22%, al contrario dei libri che pagano il 4%. Quando l’Unione Europea deciderà (sempre troppo tardi) di autorizzare l’iva agevolata sugli ebook forse le cose cominceranno a cambiare. Una piccola provocazione: D3BO leggerebbe più volentieri L’attacco dei cloni, in digitale o in cartaceo? Non mi pare di aver mai visto libri cartacei nei sei film di Star Wars, quindi non credo abbia scelta. In ogni caso lui è compatibile con ogni forma di comunicazione, quindi non avrebbe problemi. Parliamo di Science Fiction: in un mondo iper tecnologico co-
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me il nostro, v’è ancora spazio per la fantascienza? Ribalto la domanda. In un mondo iper tecnologico come il nostro, c’è ancora spazio per narrativa diversa dalla fantascienza? Pare di sì, effettivamente, ma è vero che la fantascienza è un genere fondamentale proprio per capire tempi come quelli che viviamo. La gente ne legge troppo poca, e infatti raramente capisce il proprio tempo. Tra gli addetti ai lavori, spesso si parla di stanchezza, o di stasi del genere: che idea ti sei fatto di ciò? Probabilmente il motivo per cui la fantascienza interessa meno oggi ha a che fare con un analogo distacco del pubblico dalla scienza. Da molti fattori si nota un disinteresse, se non addirittura un rifiuto. Un buon esempio è osservare quante persone affidano la propria stessa salute a “cure” che non hanno nessuna base scientifica. Puoi spiegare loro per filo e per segno come funziona la preparazione di un farmaco omeopatico, ma incontri solo disinteresse: l’assurdità implicita delle teoria non arriva a destinazione, conta di più magari il rapporto umano col medico omeopata che ti ascolta, ti fa un sacco di domande e alla fine ti prepara una cura personalizzata, mentre il medico magari non ti riceve neppure e ti prescrive i farmaci per telefono. La scienza è
diventata noiosa, quotidiana, fastidiosa, ha perso ogni fascino. Non vale per tutti ovviamente; ma vale per molti. Eppure viviamo immersi in un mondo al quale la scienza ha fatto regali meravigliosi. Non abbiamo una base sulla Luna o su Marte, ma abbiamo qualcosa che vale molto di più: una conoscenza quasi infinita alla portata di tutti, raggiungibile in ogni momento con dispositivi portatili. Quali cambiamenti sta portando alla società, al nostro modo di vivere? E quanto cambierà il mondo entro cinque, dieci anni? La fantascienza potrebbe dare risposte. Molti scrittori contemporanei di fantascienza tendono ad una sorta di pessimismo tecnologico, che prende le forme d’un millenarismo del fantastico: tu che ne pensi? Be’, una delle regole della fantascienza è che deve essere credibile. Tu guardando al futuro prossimo riesci a essere ottimista? Dubito. Non è certo la tecnologia il problema del mondo, sono piuttosto questioni sociali ed economiche. Ma in periodi di crisi come questo l’umanità mostra i suoi lati peggiori. Non siamo in un’epoca di ottimismo illuminista, non è un’epoca da Star Trek. È un’epoca cyberpunk. Qui da noi si parla spesso di crisi della fantascienza, e gli editori diffidano degli autori che la propongono. Un fenome-
no tutto italiano o cosa? No, la fantascienza vende meno ovunque. Tuttavia, considera che in Italia è sempre stato comunque un genere di nicchia. Inoltre in Italia in generale tutti i libri vendono meno, la gente – soprattutto gli uomini, che sono la maggioranza dei lettori di fantascienza – in Italia leggono sempre meno, quindi hai una serie di effetti che riducono la sf in Italia al lumicino. Un peccato, anche perché in Italia al momento abbiamo ottimi autori. Va detto, comunque, che basta una leggera passata di trucco e la fantascienza diventa thriller tecnologico o altre etichette similari, e magari ha anche successo. Comunemente si dice che la genesi del genere è da attribuirsi a scrittori come Wells e Verne. Tuttavia non tutti sanno che in Italia, è esistita una schiera di autori coevi che s’occupò di temi similari. A tuo modo di vedere perché qui da noi questa narrativa ebbe minor fortuna? Lo stesso padre della narrativa popolare italiana, Salgari, ha scritto diversi libri di fantascienza. Ma in generale credo si possa dire che in Italia la narrativa popolare ha avuto vita difficile. Siamo il paese della grande cultura, dei grandi poeti, e anche il paese occidentale in cui la gente legge meno. Che ci sia un collegamento?
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Oggi fra mille effetti speciali, la realtà virtuale, il 3D, e le altre diavolerie della computer grafica, v’è ancora spazio per l’originario e un po’ romantico sense ofwonder? Se non ci credessi mi occuperei di cinema, non di libri. La fantascienza è letteratura d’anticipazione: a tuo avviso, chi ha avuto l’occhio più lungo: G. Orwell o P. K. Dick? La fantascienza non ha mai lo scopo di predire il futuro. Quando parla del futuro lo fa estrapolando il presente, lo fa per farti osservare aspetti della tua vita quotidiana da un punto di vista diverso. Non è che Orwell stesse tirando a indovinare come avrebbe potuto essere il mondo quarant’anni dopo, tant’è che “1984” lo ha ottenuto girando semplicemente le ultime due cifre dell’anno in cui stava scrivendo. Anche così, comunque, alcuni autori sono riusciti a vedere cose nel loro tempo che altri non avevano osservato, e che hanno portato a conseguenze simili a quelle che avevano immaginato o temuto. Nel 1984 Apple ha pubblicizzato il suo nuovo computer Macintosh con lo slogan “il 1984 non sarà come 1984”. Quest’anno il Mac compie trent’anni in un mondo in cui le telecamere sono dappertutto, la NSA spia email e telefonate, esiste o sta per esistere la tecnologia che permette un controllo almeno
superficiale di tutta la comunicazione in transito, il leggendario Echelon. Ma ciò che Orwell non aveva previsto - ma altri scrittori sì - è che i veri padroni del pianeta non saranno governi o partiti unici, ma aziende. Condividi l’idea di Isaac Asimov secondo cui la fantascienza ha spesso illuminato e ispirato la scienza? Non c’è dubbio. Molti scienziati lo hanno ammesso. Un peccato che ora ci siano molti meno lettori di fantascienza: le prossime generazioni avranno meno scienziati. Dovranno accontentarsi di una generazione di allevatori di draghi. Che futuro prevedi per la fantascienza italiana? Un futuro di grandi successi. All’estero. Parliamo di retro futuro: lo Steampunk può considerarsi sempre fantascienza, o vanno fatti dei distinguo? Lo Steampunk è un fenomeno molto largo e trasversale, che coinvolge estetica, socialità, arte, letteratura. Anche parlando di letteratura ci troviamo di fronte a un ampio raggio di tematiche che coprono tutto lo spettro, dal fantasy alla fantascienza, passando per il fantastico. Tra i libri seminali del genere ci sono le opere di Paul Di Filippo, Bruce Sterling, William Gibson, K.W.
Jeter che sono autori di fantascienza, ma anche Tim Powers e soprattutto Philip Pullman che sono sul versante fantasy. O ancora diversi film di Miyazaki, abbastanza difficili da etichettare. In realtà allo steampunk manca in generale il realismo e la verosimiglianza, la tecnologia basata sul vapore che viene spesso descritta non è semplicemente possibile, ma è compensato dal fascino delle ambientazioni e molto spesso dai gustosi riferimenti letterari, che richiamano spesso e volentieri Wells o Lovecraft. Poi la fantasia e le variabili sono innumerevoli. Nel romanzo che sta uscendo in questi giorni, De Bello Alieno di Davide Del Popolo Riolo, abbiamo uno steampunk con riferimenti wellsiani ambientato all’epoca di un Giulio Cesare che ha dedicato il suo genio non alla carriera militare ma alla tecnologia. Tra le nostre serie di ebook c’è Il circolo dell’arca di Roberto Guarnieri che combina un fantastico del mistero all’ambientazione vittoriana, con rocambolesche avventure degne di un film di James Bond. E ancora in un ciclo che avremo tra non molto, Trainville di Alain Voudì, troviamo un’ambientazione western, la sfida della ferrovia che conquista la frontiera come nel film d Sergio Leone C’era una volta il west. Solo che questa volta i treni sono giganteschi. Il tuo autore preferito? Ci ho pensato venti secondi e
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avevo già una lista di nomi lunga da qui alla luna... Me ne piacciono molti e molto diversi tra loro, da Jack Vance a Kurt Vonnegut, da Valerio Evangelisti a Dario Tonani, da Nancy Kress a Ted Chiang. Il tuo film preferito? Blade Runner. Come editore, quali caratteristiche deve possedere una storia per destare il tuo interesse? Avere una trama ben costruita e personaggi credibili. E ovviamente deve essere scritta in italiano corretto. Se poi l’idea è anche originale c’è tutto quel che serve. Quale consiglio ti senti di dare ad uno scrittore esordiente? Non pensare mai di essere un genio incompreso. Accettare sempre le critiche, imparare, lavorare per migliorare. Nonostante quello che può averti fatto credere la madre o l’amico che ha letto la prima cosa che hai scritto e si è sperticato in lodi, non hai un talento innato, e anche se ce l’hai non basta. C’è un sacco da imparare. Puoi parlarci un poco dei tuoi progetti futuri? Più che futuri, presenti: la grande iniziativa sulla quale stiamo lavorando da qualche mese, le collane di ebook Bus Stop. L’idea
è quella di una linea di opere pubblicate direttamente in ebook, ma con la caratteristica di essere opere brevi, da leggere rapidamente, anche nello spazio di un viaggio in autobus. Da qui il nome del progetto, Bus Stop. Il lettore moderno, abituato alla velocità della rete, ha sempre più difficoltà con i testi lunghi. Il racconto a mio avviso guadagnerà sempre più terreno nei prossimi anni, e a me l’idea piace perché è ricco di possibilità e di creatività. Alle librerie “fisiche” piene di tomi da mille pagine vuoti di idee contrapponiamo fascicoletti elettronici ogni volta nuovi e originali. Ma collane di racconti le pubblicano molti editori: la nostra novità è l’idea dell’ebook seriale. Vorremmo che i nostri titoli stessero al romanzo come la serie TV sta al film. Per questo siamo interessati a valutare proposte soprattutto in tal senso. Con questo in mente curiamo molto anche la periodicità: alcune serie escono tutte le settimane, altre una volta al mese. Comunque i nostri lettori sanno che ogni martedì saranno online su delosstore.it, Amazon e tutti gli altri store con diverse novità tutte da scoprire… Bene, non mi rimane che ringraziarti anche a nome dei lettori di Skan Magazine Grazie a voi!
Mondo9 si apre a barlumi di struggente umanità e a una nuova intrigante ambientazione, che riporta il pianeta di ruggine indietro nel tempo, quando le grandi navi solcavano piste impossibili trasportando carichi pregiati e innominabili segreti. Machardionici e umani, navi e uccelli tornano sulle rotte del loro passato alla ricerca della chiave per la loro sopravvivenza futura. Dopo Mechardionica e Abradabad, il terzo capitolo delle nuove storie di Mondo9, campione di vendite su carta e in ebook. Con la splendida cover di Franco Brambilla.
La giovane Naila non è morta, è solo prigioniera di un Mechardionico che l’ha vincolata a sé con un artificio meccanico da cui non potrebbe mai liberarsi se non a prezzo della vita… Ma dove stanno andando i due? Cosa sta cercando lo Strappacuori che l’accompagna e la tiene al guinzaglio come un animale? E perché marciano da giorni alla volta di un luogo misterioso immerso nella giungla pluviale, in uno degli angoli più ostili e remoti di Mondo9? C’è qualcosa laggiù, incastrato tra le pareti a picco di un canyon di roccia. Un inferno sospeso a oltre seicento metri di altezza, dove non saranno né i primi né i soli a voler arrivare, ma Max Gobbo che li unirà molto di più della catena che tiene vincolati i loro corpi.Abbandonati i deserti tossici costellati di relitti,
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Dario Tonani, milanese, classe 1959, è laureato all’Università Bocconi in Economia Politica, ma ha scelto di dedicarsi a tempo pieno alla scrittura. Lavora come giornalista nella redazione di importanti testate motoristiche: prima Quattroruote, poiRuoteclassiche. Appassionato di science fiction, horror e noir pubblica i suoi primi lavori negli anni Ottanta. Nel 2007 il suo libro di maggior successo, Infect@, su Urania, al quale seguono altri due volumi ancora su Urania (L’algoritmo bianco e Toxic@). Pubblica un’ottantina di racconti su varie testate (Giallo Mondadori, Segretissimo , Millemondi, Robot) e in antologie (Bietti, Stampa Alternativa, Addiction, Puntozero, Delos Books). Nel 2011 esce la sua raccolta personale Infected Files (Delos Books). Nel 2008 su Robot compare il racconto Cardanica, che viene poi pubblicato in ebook da 40k Books e, tradotto in inglese, portato anche in Usa. Seguono le altre tre novelette che completano il ciclo diMondo9, pubblicato in volume da Delos Books, che vince i premi Italia e Cassiopea e riscuote grande successo. È già in corso di pubblicazione la traduzione giapponese. Questo libro è il seguito di quella storia. Di sé dice: “Scrivo per ritrovare la via di casa, raccogliendo un sassolino alla volta, una parola dopo l’altra”.
S ka n
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Oltremondo
Antepri ma
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S ka n
Oltremondo
Antepri ma
Evelyn STARR
Il diario delle due lune di L. Azzolini e F. Falconi Una saga avventurosa che si snoda tra la realtà e la fantasia. Una nuova eroina fantasy, alla quale non è possibile non affezionarsi, creata da due tra le nuove firme più promettenti della narrativa fantasy italiana.
Evelyn ha tredici anni e vive a Ithil Runa con la madre e la nonna. Una mattina al risveglio guarda fuori dalla finestra e scopre con terrore che una nebbia densa e livida avanza sul paese, inghiottendo ogni cosa. Inoltre una misteriosa lettera la avverte che il padre, scomparso quando lei aveva cinque anni, è ancora vivo ed è tenuto prigioniero dal Signore delle Nebbie. Per salvarlo Evelyn, con l’aiuto del suo amico Zak, dovrà varcare l’Arco d’Avorio ed entrare nel Mullagh Maat, il Regno Grigio. Nel loro viaggio i due ragazzi subiranno una misteriosa trasformazione ed Evelyn scoprirà di essere l’ultima discendente della Stirpe dei Guardiani delle Nebbie, il cui compito è custodire proprio l’Arco d’Avorio. Ma qualcuno sta tramando per catturare gli ultimi Guardiani e aprire la strada al ritorno della perfida Regina dei Senzastelle...
Luca Azzolini Nato a Ostiglia nel 1983, è laureato in Beni Culturali e in Storia dell’Arte. Ha pubblicato il romanzo Il Fuoco della Fenice (2009) e curato l’antologia Sanctuary. È redattore di “Fantasy Magazine”, per cui cura la sezione Racconti.
Francesco Falconi Ingegnere e scrittore, è nato a Grosseto e vive a Roma. Ha pubblicato diversi romanzi e saghe fantasy, tra cui Estasia (Curcio), Prodigium (Asengard), Gothica (Edizioni Ambiente), Nemesis (Castelvecchi).
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Skan Concorsi Letterari & S ka n
sivamente alla letteratura di genere horror, thriller e fantascienza, ha deciso di indire un concorso letterario dove l'unica traccia e vincolo per gli autori sarà il miscelare al meglio la musica e l'orrore. AMAZING MAGAZINE MORTE A 666 GIRI – Il contest si chiamerà Morte a 666 Giri e sarà dedicato a racconti lunghi e inediti compresi tra le 5000 e le 1 0000 parole. A valutare gli elaborati che arriveranno in redazione sarà una giuria composta dallo scrittore ed editore Mauro Saracino (Dunwich Edizioni) e dalle redazioni di Skan Parte “Morte a 666 giri” nuovo contest per racconti Magazine e LetteraturaHorror.it. lunghi i nediti su horror e musica indetto da Dunwi- PREMI – Al vincitore sarà riservato un premio interessantissimo ed esclusivo, ovvero l'inserimento del proprio ch Edizioni, Skan Magazine e LetteraturaHorror.it. racconto all'interno della versione cartacea del romanzo Il connubio tra la musica, la letteratura e l'horror è sempre stato molto forte e, a questo proposito, la casa La notte che uccisi Jim Morrison di Luigi Milani edito da editrice Dunwich Edizioni, in collaborazione con la rivi- Dunwich Edizioni. Al vincitore, ovviamente, verrà ricosta specializzata, Skan Magazine, e il portale Letteratu- nosciuta una royalty del 1 0% sul prezzo di copertina del raHorror.it, primo e unico portale italiano dedicato esclu- libro,oltre che a due copie omaggio del libro cartaceo de La notte che uccisi Jim Morrison con il proprio racconto pubblicato. I dieci migliori racconti, inoltre, saranno inseriti in un ebook creato ad hoc e intitolato proprio Morte a 666 Giri, edito sempre dall'etichetta di Mauro Saracino e riceEL PROSSIMO veranno in regalo un libro a testa scelto dal catalogo Dunwich Edizioni. NUMERO INVIO RACCONTI – Per far pervenire i racconti alla commissione (massimo un elaborato ad autore) basterà inviare una mail a concorsi@letteraturahorror.it Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necesOSPITERA’ sario abilitare JavaScript per vederlo. rispettando la seguente modalità (i racconti che non rispetteranno tali LUCA AZZOLINI regole saranno esclusi automaticamente): Oggetto della mail: “Morte a 666 giri” PROTAGONISTA Corpo della mail: nome dell'autore (a parte scrivere anche eventuale pseudonimo che si vuole utilizzare), titolo dell'elaborato e recapiti validi telefonico, email e DELL' postale Allegati: il proprio racconto e una breve biografia (max 5 righe). Gli allegati dovranno essere necessariamente con estensione .doc, .dox, .dot Periodicamente sul portale LetteraturaHorror.it nella sezione dedicata sarà stilata la lista dei racconti arrivati in redazione e, quindi, pervenuti alla giuria dove gli autori potranno verificare l'effettiva consegna ed eventuale LA RECENSIONE DI accettazione del racconto. DUE OPERE DI TEMPISTICA – E' possibile inviare i racconti da martedì GIANFRANCO 4 febbraio, sino alle ore 1 2 del 4 aprile 201 4, limite massimo e improrogabile. DE TURRIS
Presentano
Concorso Letterario "Morte a 666 Giri"
OLTREMONDO
URBAN FANTA SY ITALIANO
E ALTRO ANCORA!
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S ka n Intervista ad Alessandro Napolitano
Il passato, il presente e il futuro del fumetto (e non solo): intervista al cofondatore di Electric Sheep Comics Intervista originariamente apparsa sul blog di Kipple Officina Libraria: http://kippleblog.blogspot.com/
Territori d'oltremare
Una voce da Malta
Ro b e r t o Bo mma r i t o
Ciao Alessandro. È un piacere averti ospite nella rubrica. Ti andrebbe di presentarti per chi non ti conoscesse ancora? Ciao Roberto, lasciami ringraziare te, Kipple Officina Libraria e quanti vorranno leggere la nostra chiacchierata. Presentarsi e farlo in modo che non risulti noioso è difficile. Mi sento di dire che sono una persona molto curiosa, forse è proprio questo aspetto che mi ha portato ad amare i libri. Molti pensano che mi senta a mio agio in mezzo alla gente, forse perché vedono la facilità che ho nel mettere in contatto persone, alimentare collaborazioni e cose di questo tipo. In realtà sono una persona introversa e schiva per certi aspetti. Chi mi frequenta stenta a crederlo, ma è assolutamente così. Per fortuna non sono qui per parlare solo di me, ma ho l’onore di rappresentare un gruppo fantastico di ragazzi che sotto il nome di Electric - 24 -
Sheep Comics (ESC per gli amici) hanno dato vita a un laboratorio virtuale, un progetto incentrato sulla produzione e selezione di Graphic Novel. E non solo! Com'è nato Electric Sheep Comics? ESC nasce da un fitto giro di Email, scambiate durante la pasqua del 2012, tra me, Roberta Guardascione, Riccardo Iacono e Claudio Fallani. Mi ricordo che pensammo di creare un gruppo ispirato alle band
rock, all’energia e alla complicità che queste realtà sanno scatenare e alimentare. Con questa voglia sfrenata avremmo percorso le vie del web mostrando le nostre graphic novel. In quattro sarebbe stato più facile digerire i “no” che inevitabilmente si sarebbero accumulati quando si ha a che fare con editori e pubblicazioni, ma sarebbe stato anche più soddisfacente festeggiare insieme i “sì”, frutto di piccoli e meritati successi. Muoverci in gruppo ci avrebbe garantito maggiore visibilità perché ognuno di noi si sarebbe impegnato a fare conoscere la nostra iniziativa. E così è stato. La graphic novel era il giusto strumento da usare, visto che io e Claudio abbiamo fatto qualche esperienza editoriale con dei racconti, mentre Riccardo e Roberta sono degli artisti del disegno. Ok, mi cazzieranno. Diranno che ho esagerato con “artisti”, ma tu lascia scritto così perché è la verità. Ancora una cosa: ESC è nata anche grazie all’esperienza che abbiamo fatto sul sito letterario BraviAutori.it e alle
Il futuro del fumetto in Italia verrà stabilito dai suoi lettori. Uno zoccolo duro, affezionato all’odore delle copertine plastificate e a quello della carta, tra cui me, non rinuncerà mai alla soddisfazione di sfogliare un libro. Le innovazioni, faccio riferimento soprattutto a quelle “virtuali”, ci concederanno sempre maggiori strumenti per usufruire del prodotto fumetto. I nostri figli me li immagino a leggere graphic novel mentre queste si animano e parlano dagli schermi di un tablet. Cosa che in parte già accade. Nulla di sbagliato, si tratta pur sempre di progresso. Io però mi tengo stretto l’odore della carta, insieme a quello della colla dietro le figurine, il cofanetto di Happy Days e una sana nostalgia del Subbuteo. Quali sono a tuo parere i fumetti più importanti che hanno marcato la storia del genere e perché? Ho girato la domanda ad alcuni collaboratori di ESC, affinché la risposta possa essere più completa possibile. capacità del suo webmaster, Ecco cosa ne è uscito: RoMassimo Baglione, di concedere berta Guardascione mette a tutti gli utenti gli strumenti per l’accento su Crepax e Pratt, crescere e migliorarsi. capaci di rivoluzionare il modi concepire i fumetti. PriPrendendo in considerazio- do ma di questi autori i comics ne anche le nuove tecnoloerano destinati solo gie, come vedi il futuro del all'intrattenimento giovanile, fumetto in Italia? - 25 -
poi, con "Una ballata del mare salato”, il fumetto si è innalzato a letteratura ed è diventato intellettuale e per adulti. Tiziano Sclavi è stato il genio che attraverso il “citazionismo” di Dylan Dog ha reso ogni albo della serie una piccola enciclopedia, capace di aprire nuovi mondi in fatto di libri, film e musica. Forse ha permesso a un’intera generazione di diventare più interessante, e magari l’ha anche migliorata. Roberto Napolitano ci ricorda la serie “Splatter”, pubblicata alla fine degli anni ’80 e conclusa pochi anni più tardi a causa di alcune censure. Splatter ha visto autori emergenti come Brindisi, De Angelis,
Ferrandino, Mari e Soldi; ha contribuito allo sviluppo di un genere che in seguito, con toni più soft e senza rischiare denunce, si è radicato nella cultura italiana attraverso personaggi come Dylan Dog. Importante sono stati Spiderman e Topolino; il primo per avere divulgato l’idea/sogno di un’America dove tutto è possibile e il secondo per avere ceduto a una narrazione semplice e lineare, definendo stereotipi di personaggi molto caratteristici come l'avaro, l'attaccabrighe ecc. Ancora Mc Farlain e il suo Spawn, dove la generazione degli anni ‘90 ha scoperto i disegni gotici con i suoi caratteristici tratti schizofrenici. Roberto mette l’accento su James O' Barr. “Il Corvo” ha evidenziato le potenzialità che una Graphic Novel ha di esprimere gli orrori intimi del proprio autore. Impossibile non citare The Walking Dead, dove per la prima volta la parte centrale di un fumetto è stata il rapporto tra i personaggi e le dinamiche del gruppo, a prescindere dai protagonisti stessi. Valerio Mezzanotte ha sottolineato l’arte di Sin City di Miller, Conan di Bushema, The Kingdom Come di Alex Ross, Il Gioco di Manara, Ken Parker di Milazzo, Corto Maltese di Pratt e Blueberry di Giraud; mentre Filippo Ferrucci ci invita a non di-
menticare l’importanza e la diffusione che caratterizza il genere Manga: Dragon Ball, Akira e Berserk. Quali errori dovrebbe evitare il fumettista esordiente? Vogliamo proprio specificare “fumettista”? Per me possiamo lasciare la sola parola “esordiente”. In qualsiasi campo. Io ho 42 anni (42, già, la risposta fondamentale sulla vita…), lavoro da quando ne ho 19 e un’idea me la sono fatta. Qualsiasi esordiente dovrebbe evitare di essere pretenzioso e imparare come l’umiltà è capace di essere un’arma micidiale se ben usata. E bisognerebbe tenersi lontano dalla fretta, cosa che un ragazzo giovane, spesso, proprio non riesce a fare. Per l’esperienza personale che ho maturato, tenere a debita distanza questi due flagelli la considero già la metà dell’opera. Mi sembra di capire che ESC non si limiterà esclusivamente ai fumetti. In quali altri aree si espanderanno le attività del laboratorio virtuale? Grazie a Claudio Fallani e Riccardo Iacono, ESC si è aperto alla cinematografia e alle serie televisive. Claudio ci ha permesso di produrre - 26 -
insieme all’associazione culturale ESSI GIRANO il corto “La lunga notte di Victor Kowalsky”, tratto da un racconto dello stesso Claudio. “Victor” è stato presentato il 12 dicembre nella sua prima nazionale all’Uci Cinema di Campi Bisenzio (FI), ottenendo la soddisfazione di vedere la sala stracolma! Il corto è iscritto alla selezione per il Film Festival di Berlino e nelle prossime settimane sapremo se potrà partecipare all’importante kermesse. Riccardo ha permesso a ESC di diventare partner della serie Funk-azzisti prodotta da Icaroff ed Ecoframes. La serie, scritta tra l’altro anche da Riccardo, vedrà un montaggio di 12 episodi per la tv e un adattamento per il web. Cosa ha fatto fino a oggi Electric Sheep Comics per le graphic novel e fumetti in genere? Insieme alle Edizioni Il Foglio abbiamo dato vita a una collana interamente dedicata alle graphic novel. Si chiama ESC – Collection e prevede solo lavori in bianco e nero. Per la collana selezionano anche le graphic novel che arrivano dall’esterno. Non ci sono preclusione per alcun genere narrativo, guardiamo alla qualità dei disegni e alla
profondità della storia. Sono due i titoli pubblicati: Touch & Splat, scritto da Alessandro Cascio con i disegni di Alessandro Buffa e la prefazione di Ernesto Gastaldi; Blood Washing, scritto da Claudio Fallani, Alessio Ottaviani e Alessandro Napolitano con i disegni di Roberta Guardascione, Sascha Ciantelli, Riccardo Iacono, Valerio Mezzanotte e Andrea Palloni. Blood Washing, con le oltre 250 copie vendute nei primi dieci giorni di pubblicazione, ci ha aiutato a dare impulso al nostro progetto. ESC è impegnato anche nella selezione di fumetti per la rivista bimestrale del fantastico Terre di Confine. Siamo al secondo numero e la risposta dei lettori è soddisfacente. Per quanto il tempo ce lo permette, cerchiamo di partecipare con i nostri contribuiti ad altre riviste che ospitano graphic novel. È successo per POLVERE, pubblicata sul N° 6 di Knife (Nero Press) e LUNARIS (vincitore del Premio Cometa 2013), apparso sul N°12 di Skan Magazine. Ti andrebbe di parlarci dei progetti futuri di ESC? Apriamo un mondo. Rispondendo a questa domanda ci accorgiamo di come il progetto ESC stia ingranando. Per il 2014 sono in lavorazione tre
graphic novel, tutte per le Edizioni Il Foglio. Si tratta di uno Steampunk nato dalla fantasia di Polly Russell e disegnato dalle matite di Roberta Guardascione per un connubio tutto al femminile e al vapore! La seconda è una Sci-Fi scritta da un certo Roberto Bommarito (autore di dubbie qualità al quale è giusto dare una chance… Rido a crepapelle) e disegnato da Marzio Mareggia. La terza è una graphic novel in collaborazione con la collana Demian (sempre Il Foglio) scritta e pensata dal mitico Federico Guerri e Alessandro Napolitano (quest’ultimo autore di ancora più dubbia qualità, per le quali le chance sono finite… Ti ho anticipato la battuta!) e disegnata da Claudia Giuliani, una giovane artista di cui sentiremo parlare i futuro. Continuerà la collaborazione con Terre di Confine, dove proporremo fumetti di disegnatori emergenti, capaci da subito di sbalordire per il loro stile. Lavoreremo con la neonata rivista “Cronache di un sole lontano” diretta da due guru come Sandro Pergameno e Tiziano Cremonini. In cantiere ci sono il prequel di Blood Washing e una collaborazione con gli amici di Nero Press che farà saltare sulle sedie tutti gli amanti di… Non ve lo dico. In giugno inizieranno le riprese di un film, Ritratto di fami- 27 -
glia, genere horror, nato dalla sceneggiatura di Claudio Fallani e Alessandro Napolitano con la regia di Tommaso Sacchini. Ancora un progetto, forse il più importante di tutti: resteremo vigili e con gli occhi bene aperti, pronti a cogliere l’occasione giusta per aiutare il nostro movimento a crescere. Prima di lasciarci ti andrebbe di segnalarci i siti attraverso i quali è possibile seguire le attività di ESC? La nostra casa nel web si trova all’indirizzo www.escomics.com. Siete tutti invitati a
prendere un caffè in nostra compagnia. Abbiamo una pagina facebook a cui teniamo molto e facciamo in modo di aggiornare con anticipazioni, tavole in anteprima e notizie dal mondo dei fumetti. Ci trovate su www.face-
book.com/ElectricSheepComic s venite a lasciare il vostro MI PIACE, sarà più che gradito. Chiunque volesse mettersi in contatto con noi può farlo scrivendo a: electricsheepcomics[at].com
Grazie mille per l'intervista, Alessandro, e un grosso in bocca al lupo per tutti i tuoi e vostri progetti! Crepi il lupo! Grazie a te e a Kipple per averci concesso questo spazio. Buon ELETTRICO 2014!
S ka n
L'e-Book nell'e-READER L oc u s A n i m a e di Alessandro Defilippi Prefazione di Alan D. Altieri Illustrazione di copertina di Les Edwards Mezzotints Ebook – Collana Ombre Pagine: 160 - Lingua: Italiano Un thriller metafisico che affronta lo sconosciuto, le verità sepolte, la dannazione, arrivando fino in fondo, come suggerisce lo stello titolo. Prefazione di Alan D. Altieri e cover di Les Edwards. Prima edizione digitale dell’opera.
Il Libro: Riccardo Gribaudi, stimato medico ginecologo con
interessi scientifici trasversali, decide di scrivere un saggio sulla oscura vita di Irving Kastner, allievo di Freud e impegnato nella ricerca di connessioni tra cervello e coscienza. Si applica nel recupero di fonti sulla vita di Kastner, il cui violento suicidio lo impressiona: si reca quindi in una biblioteca, dove sono conservati importanti documenti. Trova molto più di quanto si aspettasse: vetrini con campioni biologici, un mazzo di chiavi, e quattro quadernetti neri sui quali Kastner stesso ha scritto appunti scientifici e biografici. I diari rivelano anche strani episodi persecutori – allucinatori? – di cui Kastner sarebbe vittima. I vetrini rappresentano una scoperta altrettanto inquietante: conservano campioni encefalici, sui quali Kastner cercava conferme della sede dell’anima – il locus animae, che anche Cartesio aveva collocato nella ghiandola dell’epifisi. Tuttavia non si tratta di campioni di cervello di scimmia, come nei suoi studi noti, ma di tessuti di cervello umano. Disorientato da queste scoperte, Riccardo una notte si reca nell’abitazione romana di Kastner, incontra Rosa, l’assistente-amante di Kastner, dalla quale ottiene una messe di sconcertanti informazioni e gli strumenti originali utilizzati da Kastner, insieme all’ultimo dei suoi diari. Riccardo rientra in albergo e riceve la inquietante visita notturna di uno sconosciuto, vestito d’abiti blu, con il quale ha una surreale conversazione sul “lavoro che deve svolgere”. Così com’è apparso, l’uomo scompare.
Dalla Prefazione di Alan D. Altieri
Con questo suo esplosivo “Locus Animae” - che Mezzotints presenta per la prima volta in assoluto sulla scena del narrativa digitale - Alessandro Defilippi, psichiatra tra i più importanti del momento, si riconferma come uno degli autori più cruciali di sempre. Al fondo dell'inquietante odissea di Riccardo Gribaudi tra domande che vanno lasciate senza risposta, avversari che vogliono rimanere sconosciuti, verità che devono restare sepolte è in attesa il fulcro stesso di quella inquietudine dell'essere che pervade pressoché ognuno di noi a ogni singolo snodo del no-
stro percorso su questa terra. Al tempo stesso gorgo dell'introspezione e viatico della dannazione, con “Locus Animae”, Alessandro Defilippi riesce a scavalcare tutti i parametri di quello che può essere definito come “thriller metafisico”, allargandosi a creare un intero nuovo genere: il “noir filosofico.” “Locus Animae” è un'esperienza non solo di eccezionale concezione dell'intrigo, ma soprattutto di prodigioso livello letterario.
L’Autore
Alessandro Defilippi Scrittore e psicanalista, è nato il 29 aprile 1956 a Torino, dove vive. Il suo esordio letterario è del 1994, con la pubblicazione della raccolta di racconti Una lunga consuetudine (Sellerio), seguito dal suo primo romanzo, Locus Animae (Passigli, 1999 e Giallo Mondadori, 2007). Nel 2002 ha pubblicato il romanzo gotico Angeli , e nel 2006 la raccolta di racconti Cuori bui, usanze ignote (Antigone Edizioni) seguita da Le perdute tracce degli dei ( Passigli 2008). Nel 2010 ha pubblicato per Einaudi il romanzo di formazione Manca sempre una piccola cosa e nel 2011 è uscito nella collana Omnibus di Mondadori il suo romanzo storico Danubio Rosso. L'alba dei barbari. Il suo ultimo libro è il thriller La paziente n°9 (Mondadori, 2012). Molti suoi racconti e articoli sono stati pubblicati in antologie e riviste. Nel 2003 è stato coautore della sceneggiatura del film Prendimi l'anima , diretto da Roberto Faenza.
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S ka n Qualcosa che ho mangiato
Being Piscu
An d r e a Vi s c u s i
qualcosa che ho mangiato. In effetti, dietro ripetute insistenze di un collega, avevo pranzato in un ristorante messicano che non si era rivelato troppo adatto alle mie capacità digestive. Venti minuti dopo aver finito di mangiare ero già al cesso, e dopo una breve ma intensa sessione di scossoni intestinali mi ero sentito in dovere di lasciare un biglietto sulla porta del bagno: “RESPIRATE SOLO SE NECESSARIO”. Quindi qualcosa che avevo mangiato mi aveva davvero fatto male, ma il singhiozzo non era un inconveniente a cui ero preparato. Avrei preferito un attacco di flatulenza incontrollabile, che avrei potuto mascherare meglio. D’altra parte eravamo in tre nella stanza. Ho sistemato il nodo della cravatta del mio completo grigio fumé da venditore reliable e self-confident, due caratteristiche sentivo velocemente Certo che va tutto bene, ho abbandonarmi. – Stavo disolo singhiozzato, stronzo! avrei voluto rispondere. Ma la cendo – ho ripreso – che una mia credibilità era già abba- delle applicazioni più interessstanza compromessa senza che HHRRIIIH! Di nuovo. Improvviso e li insultassi. – Nessun problesconvolgente. ma – ho detto. – Dev’essere È cominciato tutto con un singhiozzo. Uno di quelli inaspettati, che ti colgono quando stai parlando e ti scuotono tutto, facendoti perdere il filo del discorso. Una situazione piuttosto imbarazzante. Ero in visita da un cliente, il primo appuntamento del pomeriggio, cercavo di convincere i due responsabili seduti davanti a me di quanto avessero bisogno del nostro software. Ci ero quasi riuscito, quando quel rantolo improvviso salito dal profondo della gola ha spezzato l’incantesimo in cui ero riuscito a intrappolarli. – Scusate – mi sono giustificato, terribilmente mortificato. Ho sentito la pelle delle guance bruciare e il sudore inziare a fiorire sulla fronte. I due hanno sorriso, lanciandosi di traverso uno sguardo divertito. – Tutto bene? – ha chiesto il direttore commerciale.
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– Scusate ancora – ho insistito, mentre sentivo la sgradevole sensazione di umido sotto le ascelle. – ProbabilmHHRIIARH!
I due hanno riso. – Un bicchiere d’acqua? – Sì, grazie. Credo cheHHIRRHH!
Sono corso in bagno. Mi sono sciacquato la faccia, ho bevuto un sorso dal rubinetto, e per buona norma ho pisciato. Ho tratto un respiro profondo… subito interrotto da un altro singhiozzo. Dieci minuti più tardi, dopo essere riuscito a balbettare qualche sillaba di scusa tra un singulto e l’altro, ho lasciato quell’ufficio. Il singhiozzo non mi era ancora passato quando sono rientrato a casa quella sera. Avevo già tentato tutti i metodi più comuni: trattenere il respiro, tendere i muscoli della gola, bere sorsi d'acqua in numeri multipli di sette. Alcuni colleghi si erano anche presi l'incarico di spaventarmi, riuscendo solo a farmi sobbalzare sulla sedia. Il singhiozzo c'era ancora due giorni dopo. Avcvo co-
minciato a pensare di poter concorrere al Guinness per l'attacco più lungo, ma quando ho scoperto che il record è di sessantotto anni ininterrotti, l'entusiasmo è scemato per lasciare il posto alla frustrazione. Nonostante l'inconveniente riuscivo a compiere le normali attività quotidiane. In ufficio si stavano abituando alla mia parlata saltellata, e stavo imparando a pronunciare le parole anche durante i singulti. I miei amici avevano accolto la novità con moderata curiosità, per poi ignorare del tutto la faccenda pochi minuti dopo averla appresa. Dopo una settimana, avevo cominciato a pensare che quella fosse ormai la mia ridicolmente triste condizione di vita. Per un'inaspettata grazia divina, durante il sonno il singhiozzo non mi disturbava. È stato così fino a quando, la notte del decimo giorno dopo l'inizio dell'attacco, mi sono svegliato di soprassalto, colpito da una terribile sensazione di risucchio all'interno della gola. Ho sentito come se un cavatappi largo quanto l'esofago mi fosse stato tirato via dallo stomaco. Non era doloroso, ma monopolizzava interamente il mio corpo e la mia attenzione: è durato solo una decina di secondi, ma
quella sensazione è stata l'unica cosa che esisteva. Il singhiozzo, ho scoperto subito dopo, era passato. Sono tornato a dormire, convinendomi di essere finalmente guarito. Messo a terra il primo piede la mattina dopo, un conato di vomito mi ha fatto piegare su me stesso, riuscendo a svegliarmi del tutto. A bocca aperta e lingua penzoloni, ho lasciato che la nausea passasse, mentre qualche rivolo di bava colava sul piumone. Con passo traballante sono andato in bagno, inchinandomi davanti al water. Sentivo di avere qualcosa in gola, come un boccone rimasto di traverso, ma non riuscivo a smuoverlo né deglutendo né sputando. Sono rimasto dieci minuti fermo in quella posizione, continuado a raschiare la gola e cacciando fuori grumi di saliva opachi. Poi mi sono fatto forza e mi sono rimesso in piedi: non potevo perdere altro tempo. Il normale appetito mattutino era scomparso, ma la macchinetta programmata aveva già preparato il caffè. Ne ho versato una tazzina abbondante e l'ho buttata giù tutta d'un fiato, amara e bollente. Insolitamente, il fluire del liquido giù per la gola ha alleviato la nausea.
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Ho sentito come se un pezzo troppo grande di carne scendesse giù, per poi lasciarmi libero di respirare e ingoiare. Sollevato, mi sono messo in macchina per dirigermi in ufficio. Quel giorno era prevista una riunione col capoarea e due appuntamenti per il rinnovo di contratti, il che significava il completo blu su camicia arancione dell'agente friendly e available. Guidavo cantando Crime of Passion , quando ho sentito qualcosa salire su per la gola, come se un bolo di cibo masticato tentasse l'avventurosa arrampicata dell'esofago. Forse a causa di quel pensiero, la nausea mi ha colto di nuovo, facendomi lacrimare mentre cercavo di respingerla. Ho accostato e mi sono fermato per respirare, aprendo il finestrino per attingere all'aria fresca. Inutile. Espirando in forti soffi, ho recuperato con la mano tremante una caramella dal vano accanto al cambio, e l'ho infilata in bocca sperando in un sollievo. Era una di quelle balsamiche, con il ripieno liquido all'eucalipto che avevo liberato subito masticando freneticamente. Com'era successo con il caffè, l'afflusso di quel sapore forte ha spinto indietro il boccone ri-
belle. Sono ripartito, deciso ad arrivare al lavoro in tempo per la riunione. L'effetto dell'eucalipto si è esaurito nel giro di un quarto d'ora, quando ho cominciato a sentire di nuovo qualcosa risalire per la gola. Senza esitare, ho ingerito un'altra di quelle caramelle, garantendomi quindici minuti ulteriori di sollievo. Prima di entrare in ufficio, mi sono fermato al bar per comprare sei pacchetti di balsamiche. Quella mattina ho ingerito più di trenta caramelle e almeno otto caffè bollenti. Riuscivo ogni volta a rallentare la nausea, ma l'effetto sembrava durare meno ogni volta. L'ultima caramella del quarto pacchetto ha respinto il qualcosa giusto il tempo che ci ho messo per ingoiarla. Il capoarea stava illustrando a me e ai miei colleghi la strategia che avremmo dovuto applicare ai nuovi clienti nel prossimo mese. – ...quando poi avrete introdotto il prodotto di fascia due, potrete iniziare a proporre gli applicativi accessori, come... tutto bene? Ci ho messo un po' a capire che quella domanda era rivolta a me. – Perché? – Sei... pallido. Stai bene?
In effetti ero impegnato a reprimere con tutte le mie forze il corpo estraneo che stava ancora cercando l'uscita del mio esofago, ma non mi ero reso conto che la battaglia in corso fosse così evidente. Stavo per fornire una giustificazione plausibile, ma non appena ho aperto la bocca ho sentito il qualcosa accelerare la sua arrampicata, facendo percepire distintamente le sue zampe che facevano presa nelle pareti della mia gola, per poi spingere sulle tonsille da dietro, come un ariete che cercasse di abbattere una palizzata. Invece delle parole, dalla bocca mi è uscito un suono strozzato, seguito da un fiotto di vomito scuro, composto da caffè e tanti piccoli cristalli di caramelle sbriciolate. La vista e l'odore acre di quel rigurgito ha suscitato lo sdegno dei miei colleghi, che si sono alzati dal tavolo con esclamazioni di disgusto. – Vai a casa! – mi hanno esortato tutti. – Sto bene – ho risposto, ma la voce raschaita e i residui di vomito che ancora pendevano dalle labbra bastavano a far capire che stavo mentendo. – È stato solo... qualcosa che ho mangLa sostanza che ha interrotto le mie parole non era più marrone, ma di un preoccupante colore rosato che ironicamente si abbinava
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alla perfezione con la mia giacca. In qualche modo sono riuscito a tornare a casa. Quello che mi portavo in gola, e che stava cercando di uscire, sembrava adesso essersi calmato. Stabilitosi appena dietro il mio palato, forse aspettava l'occasione giusta per trovare la libertà. Terrorizzato, ho tenuto la bocca serrata, i denti tanto stretti da sentire dolore alle gengive, finché non mi sono trovato in bagno. Ho acceso tutte le luci e preso la torcia che uso per andare a riattivare il contatore giù in cantina, quando salta la corrente. Mi sono liberato della giacca, lasciandola cadere a terra, e sono rimasto con la camicia arancione a fissarmi allo specchio. Ho cercato di regolare il respiro, inspirando ed espirando profondamente dal naso. Poi, con cautela, ho aperto la bocca. Un centimetro per volta, ho spalancato il più possibile la mandibola, mantenendo lo sguardo sullo specchio in modo da scorgere l'interno. È passato un minuto prima che iniziassi a vedere qualcosa, ma già prima ho iniziato a sentirlo. La cosa ha mosso dei passi timidi, facendo presa sul palato, sulle guance, sulla
lingua. Piano, molto piano, si è mossa oltre i denti, affacciandosi fuori dalle labbra. Ho cercato di sopprimere il ribrezzo, mentre osservavo quella creatura che si era sviluppata dentro di me. Sembrava un gambero, ma non aveva lo stesso aspetto segmentato. Nessun guscio, ma un corpo affusolato che terminava in una testa ovale, se quella era effettivamente la sua testa. Non c'erano occhi o altri organi di senso sulla cima del corpo. La cosa più orribile era il colore: un bianco sporco, morto, il colore di una pianta cresciuta al buio, o di un pesce seccato dal sole. Poi la creatura ha esteso due filamenti che potevano essere antenne o appendici prensili, che dai lati del suo corpo si sono allungati per quasi dieci centimetri fuori dalla mia bocca, ondeggiando alla ricerca di qualcosa. Quasi affascinato da quella vista, ho preso la torcia e l'ho puntata sull'essere, per cercare di capire meglio la sua anatomia. Immediatamente, quello ha ritratto le due appendici ed è tornato indietro, tanto in fretta che ho avvertito calore per l'attrito che il suo corpo ha provocato all'interno della mia bocca. Nel tentativo di fermarlo,
ho chiuso di scatto i denti, in una morsa che è riuscita a catturare soltanto la punta della mia lingua, procurandomi un taglio profondo che ha iniziato subito a sanguinare copiosamente. Mi sono piegato sul lavandino per sputare e sciacquarmi la bocca, facendo scendere nel tubo di scarico sangue e lacrime. Non so quanto tempo ho passato immobile in bagno, appoggiato sul bordo del lavandino come sulla statua di un santo, in cerca di conforto o rivelazioni. Ma poi mi sono sollevato, deciso a combattere la mia battaglia fino in fondo. Senza nemmeno cambiarmi, sono uscito. Era quasi buio, e l'idea che a breve sarei stato nascosto dall'oscurità mi faceva sentire più sicuro, come se fossi io stesso il mostro che non volevo venisse scoperto. Il mio ospite invece sembrava tranquillo, forse ancora spaventato dall'esperienza di poco prima. Non riuscivo a capire dove fosse, doveva essere tornato nell'ambiente oscuro e umido dello stomaco, dove probabilmente era nato. Nel giro di mezz'ora avevo comprato tutta l'attrezzatura necessaria, recuperata tra mesticherie e sexy-shop. Quando sono rientrato, i
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lampioni della strada stavano iniziando ad accendersi in sequenza. Di nuovo in bagno, mi sono spogliato. Ho acceso solo la luce della specchiera, e posizianto tutti gli acquisti a portata di mano. Ho aperto la bocca, e atteso. La creatura deve aver avvertito la corrente d'aria, che le ha fatto capire che una via d'uscita si era aperta di nuovo. L'ho sentita risalire come ormai ero abituato, un passo per volta. Un conato accompagnava ogni suo passo mentre strisciava verso l'alto, ma con la massima concentrazione riuscivo a sopprimerli. Non volevo spaventarla di nuovo. Ho preso il divaricatore comprato al sexy-shop, l'unico posto in cui ero sicuro di poter trovare un oggetto del genere, e l'ho posizionato in modo da mantenere la bocca spalancata al massimo, i denti e le labbra coperti dalla gomma rigida. Solo la lingua rimaneva libera, ma presto l'ospite ha raggiunto la parte iniziale del mio apparato digerente, intenzionato ancora a cercare una strada verso l'esterno. Il gambero si è sporto oltre il bordo del divaricatore, più avanti di quanto aveva fatto in precedenza. Ha estratto quattro filamenti fluttuanti, uno dei quali si è infilato nella mia narice destra, solle-
ticandomi la peluria. Non sapevo quanto sarebbe rimasto fuori. Ho agito subito. Afferate le pinze piatte, ho catturato velocemente la testa della creatura, stringendo forte per non perdere la presa. Nel più completo silenzio, l'essere ha iniziato a manifestare il panico, agitando ovunque le appendici esterne e cercando di arretrare con le sue zampe all'interno delle mie guance, che sentivo punzecchiate in continuazione. I conati hanno cominciato a farsi più intensi, quasi insopportabili, e ho cominciato a tossire. Ma senza lasciar andare il mostro. Con gli occhi bene aperti, ho cominciato a tirare. Il dolore è stato immediato, e intenso. Era come se mi stessi praticando una ceretta all'interno dell'esofago, strappando contemporaneamente centinaia di strisce adesive. Tossendo, sbavando, piangendo, ho tirato ancora. Il corpo della creatura continaua ad emergere, nonostante la resistenza che essa opponeva, rivelando una superficie bitorzoluta e ricoperta di numerose piccole ventose. Il corpo sporgeva tanto che riuscivo a osservarlo direttamente al di sotto del mio naso, quando ho deciso di attaccare.
Preso il punteruolo con la mano libera, ho inferto un colpo laterale alla bestia, trapassandola da parte a parte. Un liquido nero è spruzzato fuori quando la punta è emersa dall'altro lato. E io ho sentito dolore. Un dolore lancinante, devastante, migliaia di aghi che mi trapassavano le carni lungo tutta la gola, impedendomi di resprirare. Era troppo Sono caduto a terra. Prima di perdere i sensi, ho visto l'essere che sporgeva dalla mia bocca, sul pavimento, impossibilitato a tornare al sicuro per il punteruolo ancora infilzato nel corpo, che zampettava con una decina di appendici in cerca di rifugio. Mi sono svegliato in camera da letto. Non ricordo di aver camminato fin qui. C'è una scia di sangue, saliva e liquido nerastro che segna un percorso che dal bagno porta a dove sono adesso. La mia guancia è sporca dello stesso miscuglio di sostanze, come se fossi stato trascinato, centimetro per centimetro, con la creatura che sporgendo dalla mia bocca tirava tutto il mio corpo dietro di sé. Il punteruolo è ai piedi del lavandino, il divaricatore era ancora nella mia bocca e quando l'ho rimosso ho senti-
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to formicolare la mandibola e le labbra, intorpidite per la lunga immobilità. Continuo a sputare sangue, che sembra provenire dallo stomaco, dall'esofago, dal palato, dalla lingua. Non riesco a parlare. Quello che l'ospite mi ha fatto, o che mi sono fatto da solo, deve avermi danneggiato qualche muscolo importante della trachea o della lingua. So solo che non riesco a emettere altro che suoni disarticolati, come una scimmia incazzata. Per questo ho dovuto scrivere questo resoconto, per spiegare cosa è successo a chi vorrà saperlo, quando mi troveranno o io andrò in cerca d'aiuto. Non so dove sia la creatura. Non la sento più dentro di me, ma potrebbe essere tornata al sicuro, cullata dai succhi gastrici. O potrebbe essere uscita. Ho chiuso tutte le porte e le finestre. Ho spento tutte le luci. Se quel mostro è in questa casa, lo troverò. E lo ucciderò. In una mano tengo la torcia, nell'altra la pinza. Ho intenzione di schiacciarla a piedi nudi. Sentirò il suo corpo molliccio spiaccicarsi sotto il mio peso, e godrò, oh se godrò. La caccia inizierà appena mi sarà passato questo attacco di singhiozzo.
S ka n Una lettera anonima
Guest Star
M i r k o Gi a c c h e t t i
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S ka n E vissero tutti felici e morti
Poscritti di futuro ordinario
Lu i g i Bo n a r o
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S ka n
... e alla fine arriva Polly
Il gioco
La stanza ottagonale ha tre pareti prive di mobili, solo ampi cuscini damascati e lunghi tendaggi rosso fuoco che drappeggiano dal soffitto. È sempre stata così. Da che ho memoria, da che esisto. La mia bellissima sorella mi invita a entrare con un gesto gentile delle sue mani bianche. Sorride, adagiata sui cuscini in fondo, le gambe incrociate si intravedono sotto la veste candida. La raggiungo, attraversando l'anticamera in penombra. Sfioro una delle mensole facendo scorrere le dita sul legno caldo. Le rifiniture in oro di una roulette brillano alla fioca luce delle candele e rapiscono la mia attenzione per qualche istante. Una vasta collezione di carte nella mensola successiva, francesi, piacentine, napoletane. Dal mazzo aperto dei tarocchi il Bagatto sembra scrutarmi, beffardo. Tocco tre dadi in avorio, i miei polpastrelli indugiano nei solchi delle facce superiori. Sei, quattro, uno. Quanti destini avete scelto? Di quante vite deciso? Li soppeso tra le dita, li la-
Po l l y R u s s e l l
scio rotolare nel palmo poi li stringo. La mia mano sembra vibrare, sono caldi, poi bollenti. Li ripongo sulla mensola e urto un pugno di rune, li guardo: sei, quattro, uno. Mia sorella ha già preso posto, una scacchiera in pietra policroma le aleggia davanti, a pochi centimetri dal pavimento. Ha scelto il suo gioco, quello che preferisce e ha mosso. Mi sorride e il suo sorriso illumina tutta la stanza. «Accomodati.» Con un gesto elegante indica due cuscini damascati. «D7 in D5.» Dico tra i denti. Lo scacco ebano scivola sulla pietra, e un brivido mi drizza la schiena. Milioni di piedi si muovono all'unisono marciando come un sol uomo verso il fronte nemico, calpestando erba, terra, corpi. Il gracchiante rumore dei crani fracassati duetta con l'incedere ritmato degli stivali. Sono i miei uomini. «E2 in E4.» Sussurra lei. Un esercito di madri, mogli, figlie. Una fiumana di donne chiama, echeggiando nella mia testa. Cantano, comme-
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morano, piangono. Le vedo sollevare i corpi dei compagni caduti, gridare e disperarsi. Si rialzano però, forti come solo le madri sanno essere, crescono i loro figli da sole, lavorano, lottano, sudano, amano. Le vedo sorridere infine, gonfie d'amore. Muovo il cavallo e il terreno trema sotto i miei piedi nudi. Gli zoccoli di antiche cavallerie sollevano nubi di polvere nei terreni sabbiosi, rovesciano intere zolle tra i prati ancora incontaminati, mentre l'eco dei loro nitriti si perde nell'aria e nel tempo. Galoppano ciechi, guidati dal furore dei loro cavalieri e della guerra. Dal mio. Chiudo gli occhi, solo un instante mentre il mondo muta ed evolve. Gli sbuffi dei cavalli scompaiono, soppiantati da quelli dei motori. Le gigantesche ruote di ferro affondano nel fango sotto al peso dei cannoni, loro fardello. Le camionette ruggiscono come bestie ferite ma continuano ad avanzare. I cingolati subito dopo: schiacciano, calpestano. La terra torchiata e sanguinante pare reggerne appena il peso,
quando il tuono artificiale la squassa. Un colpo, un altro e un altro ancora. Finché null'altro si ode oltre l'ululato dei cannoni. Lei pare incerta, ti ho sorpresa sorella? Muove con dita tremanti e lo faccio anche io, ma con mano ferma. È accerchiata, quasi in trappola. Non vuole sacrificare il pedone, ne sarebbe uscita agilmente se lo avesse fatto. "Ogni vita è importante" dici sempre amata sorella, non per me. Getto un pedone in pasto al suo cavallo e porto avanti la mia offensiva. Accompagno il mio alfiere fin vicino al suo Re, e sento la fanteria montare alle mie spalle. L'odore del sangue mi punge le narici, metallico e forte mi inebria. Sono io la più forte, sono io stavolta. Le spade stridono sugli scudi il clangore del metallo l'odore delle fucine, le lame affondano nelle carni, le straziano, le mortificano. In un orgia di fuoco, metallo e sangue, infilzano e strappano. Gli eserciti si serrano e superano valanghe di corpi e detriti. Lei sfiora la torre. Muraglie alte cento braccia e lunghe oltre l'umana vista emergono dalla terra squassata. Si ergono fortezze e palazzi a difesa dei villaggi e dei terreni. E trabucchi, e
catapulte e torri d'avvistamento, contrastano la mia avanzata. Di nuovo il mondo muta ed evolve e i suoi scudi stellari si innalzano come paladini, a difesa di intere nazioni. Cupole trasparenti sorgono come funghi e proteggono intere città. I miei pedoni hanno i volti del terrore, baffi neri e divise dello stesso colore, toghe bianche e capi cinti di lauro. Hanno il volto di una donna che fugge dal proprio Re, e quello di uno stratega pazzo. O lunghi capelli biondi, occhi grigi e giacca uguale. Lei mi sorride di nuovo e la frenesia pare acquietarsi, anche il mio spirito si rinfranca al solo guardarla. I suoi campioni hanno visi gentili, uno indossa un sari sul corpo magro, piccoli occhiali tondi, la pelle scura e un sorriso gentile. Un altro ha la pelle chiara e lunghi capelli castani, la sua voce melodica muove le masse e le sprona. Inneggia alla pace e alla fratellanza, e milioni di persone cantano e canteranno le sue parole. La sua ultima mossa atterra la mia torre e il suo pedone si trasfigura in donna dalla pelle rossa e dai lunghi capelli neri, acconciati in due grandi trecce. Cerca una patria e una dimensione. Cerca un perché e il suo popolo la segue. Hai messo in tavola le tue
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carte migliori e non hai ancora vinto. Non mi hai battuta sorella, oggi è il mio giorno. Si alza in piedi, giocherellando con gli scacchi che le ho mangiato tra le dita sottili. Prende due coppe dal tavolino alla sua sinistra e le riempie di vino. Con grazia me ne porge una. Lascio che il nettare mi lambisca la lingua e giochi con il mio palato. Lo lascio gozzovigliare con le mie papille, mentre il bouquet fruttato mi invade. Per qualche attimo il mio corpo algido si scalda, ma è solo un'illusione. Socchiudo gli occhi deglutendo, poi afferro la mia regina. «Gioca.» Le ringhio. «Quanta irruenza, quanto ardore, eppure hai già perso. E non te ne sei nemmeno accorta. Scacco.» Il suo alfiere blocca il mio Re, lo muovo in avanti senza spostare l'indice dalla sua corona lignea. La regina bianca pare schermirmi, solo due caselle più avanti. Cori di bambini intonano canti antichi, mi entrano in testa, minano la mia concentrazione. Ridono, giocano, si rincorrono. Sposto la torre. La mano di lei saetta sull'unico pedone che non aveva mosso, «...matto.» Sussurra. Non è possibile! Scaravento la scacchiera a terra, i pezzi volano tutto
intorno, infilandosi tra i cuscini, scivolano sotto i mobili, rotolando sul pavimento lucido. Lei si alza e si avvicina, bellissima sorella. Mi sfiora il volto e la mia pelle sembra fiorire sotto il suo tocco. «Voglio la rivincita!» Urlo. «Domani.» «No, adesso!» Una mela rosso rubino troneggia sul tavolo grande. Mia sorella non mi risponde subito. Si sposta verso il centro della stanza, la prende e la addenta. Posso quasi percepirne il sapore, il succo denso appena aspro che le invade la bocca, scivolando in due gocce dalle sue labbra. Spalanca quegli incredibili occhi blu e il mare in tempesta si calma tra le pagliuzze dorate del suo iride. I vulcani che avevo evocato con la mia ira, borbottano appena ora, e il suo sorriso fa sorgere il sole. «Facciamo uno strappo alla regola, dunque?» È tranquilla, calma come sempre, mentre il mio cuore sembra voler scoppiare, «ti prego...» riesco a dirle senza che la mia voce tremi di rabbia. Sposta il braccio destro con eleganza, quasi fosse parte di una coreografia prestabilita e mi indica le mensole all'ingresso. «Scegli tu il gioco, stavolta.»
Stringo i pugni. Sento ancora il calore e la potenza dei dadi che avevo toccato. Le mani quasi mi bruciano al solo ricordo. «Questi.» Sentenzio. Li accarezzo e li sento vibrare, hanno più potere di quanto ricordassi, o sono io a essere più forte, oggi? Li scuoto con entrambe le mani e la terra sussulta. Magma primordiale gorgoglia tra le mie dita, incandescente erutta e spacca le zolle, le increspa. Lancio in primo dado. Rotola sul tavolino tondo con il fragore della valanga, uomini, case, rifugi, chilometri di aghifoglie strappati dalla sua potenza. Quattro. Mia sorella lo raccoglie mentre le nubi si diradano. Lo scuote appena, col palmo aperto e il sole sembra sorgere tra le sue dita. Lo lascia rotolare nella mano e ne accompagna la caduta, mentre uomini vestiti di rosso ne soccorrono altri. Cade e milioni di germogli stuprano la neve, infilzandone dal basso il candido manto. Un lieve tepore mi avvolge sciogliendo i ghiacci, e io so che è lei che lo emana. Cinque. Il mio secondo dado ha la potenza dell'uragano. Vortica nei miei pugni chiusi, sradica alberi, case e sogni. Li scuote e li sconquassa, catapultando-
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li lontano. Due. Non ha quasi bisogno di tirare. Lo solleva tra due dita e già il vento cessa. Come se la mia disfatta fosse già scontata. Stringe le labbra rosse a cuore e ci soffia sopra, una lieve brezza si solleva, trasportando semi e pollini. Gonfiando le vele dei mercantili e delle flotte. Indirizzando il volo dei migratori e degli aerostati. Portando gli uomini verso nuove terre e nuove vite. Lancia e io chiudo gli occhi. Non mi serve vedere il risultato, la calma che aleggia me lo indica. Quattro. Ho un ultima possibilità, solo una e sorella mia, Vita mia, stavolta sarò io a godere, io a vincere. Accarezzo l'ultimo dado, è gelato, come le profondità abissali. Lo lancio senza scuoterlo e il mare si ingrossa. Le onde seguono il suo movimento e per ogni giro. La prima onda si infrange sulla costa, spazzando via ogni cosa. La seconda è delirio allo stato puro, squassa e contorce, nel suo abbraccio gelato, tutto quello che si trova davanti. Il dado ha smesso di rotolare e si ferma in bilico tra due facce mentre il vento gonfia un onda di proporzioni mai viste.
Cinque. Lo Tzunami si infrange sulle coste travolgendo ogni cosa, impietoso. Un intera isola muore, sommersa per sempre dai suoi fluttui. «Questa volta ti ho in pugno, amata sorella.» Non mi risponde, si prende del tempo. Giocherella con il dato tra le mani diafane, lo passa da l'una all'altra, lo osserva, ne saggia il potere. Hai paura, mia amata? Per la prima volta la vedo tremare. I suoi occhi cristallini non possono celarne i sentimenti. E io già esulto. Con entrambe le mani lancia il dado, gli occhi rivolti al cielo e le braccia in aria, quasi ad accompagnarne la corsa. Il mare riprende il suo ritmo lento, le onde cadenzate e miti si susseguono sulle spiagge atterrite. Gli uomini si rialzano, goffi e doloranti ma decisi. La voglia di vivere che mia sorella sprigiona si disperde nell'aria sferzata da ciò che rimane dei miei venti. Inebria gli uomini e li sprona. Il dado non ha smesso di rotolare e loro già ricostruiscono, si abbracciano, si sostengono. I germogli spuntano dagli acquitrini salmastri e fioriscono le speranze. Dell'isola sommersa si inneggia al ricordo, sui suoi abitanti si favoleggerà per millenni. Della loro cultura si cercheranno tracce in ogni po-
polo, e in ogni luogo. Sei. Vorrei gridare, vorrei giocare ancora e ancora! Ma so che non me lo permetterebbe. Ho perduto la mia occasione, anche oggi. Come ogni giorno, da che il mondo esiste. Mi alzo di scatto intenzionata a distruggere quei dadi bugiardi. Avevo creduto nel loro potere, nel mio. Avevo assaporato la vittoria, e la fine, mai mi era parsa tanto vicina. Lei si avvicina, i suoi piedi nudi paiono non poggiare sul pavimento, tanto è leggiadra. Mi prende il viso tra le mani e il mio furore smonta. La sua pelle scalda la mia. Vedo il sole squarciare le nubi e irradiare le messi. Bambini che nascono, crescono, giocano e il loro vociare mi sorprende, come se lo sentissi per la prima volta. Come se lo capissi per la prima volta. Le sorrido anche io, poi il gelo e la morte reclamano un padrone, e io torno quella che ero. «Non puoi vincere per sempre, lo sai vero?» «Però posso provarci.» Sussurra, e la sua voce è un coro. Mi volto e guadagno la porta, lei è rimasta ferma, bellissima Vita. La sua voce cristallina mi raggiunge quando sto per uscire, «ci vediamo domani, Moira.» «Come sempre.» Le rispondo.
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S ka n
OLTRE LO skannatoiO Scelta vitale
NASF
Le TRE LUNE 8
arianna.biavati@alice.it
Il sordo brontolio delle fusa riempie lo studio. È dolce, e gli occhi mi si chiudono senza che nemmeno me ne renda conto. Ho sonno, troppo. Mi riscuoto appena in tempo, prima di addormentarmi sulla sedia. Mi verso un’altra tazza di caffè. Guardo il gatto acciambellato nella cesta e per un attimo lo invidio. Lui può dormire. Deve dormire, ha detto il veterinario. Si rimetterà. Antibiotico e riposo. Sono passati solo pochi giorni, ma non sembra già più il gatto fradicio e sfinito che ho raccolto. Almeno questo funziona. Perché tutto il resto assolutamente non va. Le prove di laboratorio falliscono una dopo l’altra. Ho riguardato le formule mille volte. No, non trovo soluzione. Non c’è soluzione. È ora di
disperare? Lo vorrei. Sono *** stanco. La frenesia che mi ha so*** stenuto per giorni sta lasciando il posto alla dispeMi sento più che mai sve- razione. Sono di nuovo in glio e attivo. I pezzi vanno un vicolo cieco. al posto giusto da soli. Nel Ci sei quasi. Continua. silenzio della notte, il La voce è solo nella mia temormorio delle fusa in sta. Non c’è nessuno nello sottofondo è ipnotico, quasi studio. C’è solo il gatto, e il mi conciliasse i pensieri, gatto mi fissa. quasi li guidasse verso le Probabilmente sto soluzioni che non vedevo. impazzendo. Da settimane Il gatto sta meglio. È una ormai dormo una manciata bestia sonnolenta e pacifi- di ore al giorno e mangio ca. A volte mi guarda, come quando mi ricordo. solo i felini sanno fare, ma Può darsi che senta le voci, appena mi chiedo cosa può darsi che stia pensi, lui distoglie lo impazzendo, ma la pazzia sguardo e inizia a leccarsi. funziona. Forse il mio Io lo guardo e ricordo cervello ha solo trovato un l’altro gatto, disperso in un modo per mostrarmi quello giorno di pioggia e in un che io non vedo. Perché di dolore ormai antico. Vorrei nuovo ho trovato la strada. che qualcuno lo avesse I test di laboratorio ora raccolto. funzionano. Uno dopo l’altro, verso la soluzione.
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No, non sono pazzo. Credo, almeno. Non posso esserne certo: solo io sento la voce. All’inizio quasi un sussurro, poi, di fronte al mio smarrimento, sempre più decisa. Prima una vaga percezione di incitamento, poi parole, chiare nella mia mente. E suggerimenti. Formule. Ho avuto paura e mi sono fermato. Il gatto mi fissa e la voce racconta. Di un futuro devastato e di viaggi nel tempo. Dall’orlo della distruzione, qualcuno doveva tornare. Un gatto?
Il futuro è diverso, la vita è mutata. In tanti modi. È troppo lungo da spiegare, e ora non importa. Perché la vita continuasse, qualcuno doveva tornare. Nel punto giusto, al momento giusto, dalla persona adatta. Ti abbiamo cercato, abbiamo studiato la tua storia: mi avresti raccolto, avrei potuto starti vicino, abbastanza per fare quello che è necessario.
*** Gli ultimi mesi sono stati entusiasmanti. Il vaccino ha dato risultati spettacolari fin dalle prime sperimentazioni. Ormai è stato utilizzato su gran parte della popolazione mondiale. Una sottile inquietudine però non mi lascia, da alcuni giorni. Anche dopo il suo utilizzo esteso, ho continuato a studiare il vaccino. Per curiosità, per il piacere della ricerca. Così ho scoperto il sottoprogramma, al suo interno. Occultato. Forse mi sbaglio. Spero ancora di sbagliarmi. Se fosse vero, avrei condannato l’umanità all’estinzione nel giro di pochi mesi. No, non pochi mesi, mormora la voce che solo io sento. Ci vorrà un po’ di
più. Qualche anno, almeno. Ma sarà globale. Sarà definitiva. Il tuo futuro, che ora è cambiato, è stato il mio passato, un passato di sterminio. Nel mio presente, l’uomo ha portato la vita sull’orlo dell’annientamento. Abbiamo dovuto scegliere: la morte di una sola specie, perché tutte le altre potessero sopravvivere.
Oltre le parole, sento l’urgenza. Il mio lavoro è urgente. Vitale. Questa influenza, che si sta propagando lenta ma inesorabile in tutto il mondo, e questo vaccino, a cui ormai da mesi lavoriamo io e gli altri scienziati, sono un nodo Il gatto mi fissa. Un po’ tridella storia. ste, forse. Tutto può cambiare.
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S ka n
Nella pancia del Drago
http://www.sulromanzo.it/redazione/andrea-atzori
padrone di casa del genere fantastico. Questa puntata nasce, però, da una considerazione particolare: sino a tempi non sospetti, quando si parlava di vampiri non si faceva riferimento alla grande famiglia della letteratura fantasy. I vampiri, come i lupi mannari, sono divenuti narrazione sotto un’altra “etichetta” letteraria ben rintracciabile nella Storia: il Gotico. Non che questo faciliti l’investigazione sui natali. Non ci sarebbe, infatti, genere più complesso da definire prendendo atto anche solo dei contesti di utilizzo dell’aggettivo “gotico”: si parla di un poL'invasione dei vampiri polo “barbarico”, del suo linguaggio; di uno stile architettonico medievale e delle sue rivisitazioni La storia di quando i trend di mercato scompiglia- moderne; di una corrente letteraria di fine Setteno i generi letterari e riformano il gusto del lettore. cento - inizi dell’Ottocento (inglese); di un font Ebbene sì, sono pallidi, tecnicamente morti, temo- calligrafico; della contemporanea urban-tribe di no la luce del sole, le decapitazioni e i paletti nel individui vestiti di nero e legati a un certo genere di cuore: e sono ovunque. musica metal ed elettronica. Questa polivalenza è dalla stessa etimologia della parola “goAncora una volta questa rubrica si ritrova – per ne- incarnata th”, dal proto-germanico che nulla ha a cessità – a barcamenarsi nel cercare di tracciare i li- che vedere con oscurità e “geutan” orrore, ma che signifimiti del genere fantastico nelle sue tante correnti e ca strabordare, scorrere – proprio le omoninei suoi sottogeneri. Si tratta, però, di limiti labili, me popolazioni germaniche che nelcome III-IV talvolta forzosi, ed è sempre bene tenere a mente d.C. si affacciarono all’Impero Romano persecolo l’intrinseca fallibilità dell’operazione, se non forse versarsi in Europa e sconvolgerne confini edri-equila sua totale inutilità, come quella della critica lette- libri linguistici e politici (A. Roberts, Gothic and raria in toto. Ehm… chissà, sono crucci senza Horror Fiction ). tempo che giusto un non-morto potrebbe permettersi. Questa duttilità dell’aggettivo “gotico” sembreaver permeato anche il discorso letterario. E a questi dedichiamo la decima puntata, come ai rebbe Uno dei primi romanzi a essere classificati come lupi mannari, ai fantasmi e a tutte le più oscure “gotico” è The Castle ofOtranto (1764) di H. creature soprannaturali che dal folklore sono Questo romanzo breve non aveva nulla a entrate nel fiume della letteratura sino a diventare Walpole. che fare con i canoni dell’orrido e sovrannaturale
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che sarebbero divenuti successivi pilastri del genere. Come per lo stile architettonico e gli eventi politici, era gotico nel senso di “rottura” del classico, delle sue forme composte, delle armonie. Era un romanzo slegato, sincopato, incoerente, brutto – potrebbe scapparci. Ogni cosa che “rompe” lascia inevitabilmente della crepe, dello spazio per infiltrazioni. Sono queste che portarono il gotico a delinearsi come breccia sovrannaturale nella pacata prosa vittoriana del primo Ottocento inglese. Come i Goti per l’Impero Romano, in letteratura le istanze del Romanticismo utilizzarono il sovrannaturale per scardinare il Realismo. È in questo periodo che vengono alla luce i capolavori capisaldi del genere: Frankenstein di Mary Shelley (1818); The Vampyre di Polidori (1819); Wagner the Wehr-Wolf di W.M. Reynolds (1847) e il celeberrimo Dracula di Bram Stoker (1897). Non si trattava di semplici brecce fantastiche. Vampiri e Lupi Mannari ben prima di divenire creature del “fantasy” incarnavano una natura terrificante ben delineata nelle origini dell’aggettivo gotico: erano “mutanti”, doppiafaccia; creature dal volto e dai comportamenti umani in una parte della loro natura, che conviveva, però, con un’altra, opposta, inconciliabile e bestiale, che ne rappresentava la nemesi, esattamente come in un altro capolavoro del tempo, Strange case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde di Stevenson (1886). Come si è visto nelle precedenti puntate, i precursori del genere fantasy propriamente detto non si affacciarono se non agli inizi del Novecento con Lord Dunsany, e il genere non acquistò dignità propria se non con i classici di Tolkien, Lewis e Howard. Il fantasy delle origini era un High-fantasy, mitopoietico, eroico, “classico”, se vogliamo, che nulla aveva a che fare con le istanze del Gotico. E così i generi procedettero, paralleli, con finestre l’uno sull’altro, ma ben separati. I vampiri appartenevano al Gotico, gli elfi al fantasy (per così dire), e i lettori sarebbero stati i primi a difendere questa necessaria separazione di estetiche diametralmente opposte. Lo stesso celebre gioco di ruolo nato dalla passione per l’High-fanta-
sy, Dungeons & Dragons (1974), non faceva comparire le creature proprie del Gotico se non in un manuale-ambientazione prudentemente a parte, Ravenloft (1990). Come hanno fatto, dunque, i non-morti succhia sangue a conquistare il fantasy? Il redattore – e non solo – individua la causa della compenetrazione di generi nella multimedialità, una delle grandi spinte al genere fantastico contemporaneo. Lo spartiacque sembra essere stata davvero una serie Tv: Buffy, the Vampire Slayer, andata in onda dal 1997 al 2003 (serie che il redattore non ha mai sopportato). I vampiri di Buffy perdevano la loro dignità di maschere oscure della natura umana e divenivano mostri da abbattere. Il passo successivo non poteva che essere speculare: il vampiro umanizzato nel proprio dramma di essere vampiro. Con Twilight, saga bestseller di Stephenie Meyer pubblicata tra il 2005 e il 2008, il vampirismo entrava nell’editoria mainstream come una valanga e si mischiava definitivamente al fantasy e al romanzo adolescenziale. Qui non sono in discussione i meriti o demeriti letterari di Twilight, ciò che è curioso è che ciò che rappresentava un genere opposto e parallelo al fantasy – il Gotico – , tramite un fenomeno editoriale lo compenetrava e – incarnando la maledizione dell’etimologia germanica della parola stessa – sgusciava via di nuovo creando per sé un’ansa come autonomo sotto-genere del fantasy: il Dark Fantasy e il Paranormal Romance. Al redattore sembra che si sia usciti dalla porta soltanto per rientrare dalla finestra. Si potrebbe speculare a lungo a riguardo, ma per me i vampiri rimarranno sempre parte dell’universo mutevole e oscuro del Gotico, in attesa di ghermire il lettore – e di essere massacrati dai lupi mannari (ah! È una lunga guerra, vinceremo noi). Nella prossima puntata: Passami il dado da venti!
Fantasy e giochi di ruolo: un connubio segreto e nascosto vergognosamente. Misteriose sedute sataniche, passatempo da nerd sociopatici, o forse il più brillante laboratorio narrativo fai-da-te per quanto riguarda character design e setting architecture?
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I Libri da rileggere I l P oz z o d e i M on d i di Henry Kuttner
Clifford Sawyer sta effettuando un’indagine in una miniera di uranio dove ha a che fare con i proprietari: Klai Ford, una strana ragazza che tempo prima era stata trovata in quella stessa miniera del tutto priva di memoria, e William Alper, un uomo assetato di potere. Strane storie di fantasmi vengono raccontate sulla miniera ma Sawyer non vi crede, almeno non finché cominciano ad accadere cose davvero strane. Alper è segretamente in combutta con una creatura dagli enormi poteri proveniente da un altro universo ma lui, Clifford e Klai vi vengono portati attraverso un passaggio tramite una misteriosa apparecchiatura. In questo strano mondo, completamente diverso dalla Terra, vengono coinvolti in uno scontro di potere che potrebbe costare a tutti loro la vita. Il pozzo dei mondi Henry Kuttner collaborò moltissimo con la di Henry Kuttner moglie C.L. Moore, tanto che probabilmente tutte le storie accreditate solo ad uno dei due dopo il loro matrimonio vennero in realtà scritte almeno in parte anche dall’altro. Purtroppo Kuttner morì a 42 anni a causa di un attacco cardiaco Il romanzo “Il pozzo dei mondi” (“The soli negli ultimi anni scrisse solo qualche Well of the Worlds”) di Henry Kuttner è estoria fantascienza per dedicarsi a rostato pubblicato per la prima volta nel manzi dimainstream. pozzo dei mondi” è 1952 sulla rivista “Startling Stories” e l’ultimo romanzo di“Ilfantascienza scritto da nel 1953 come libro. In Italia è stato pubblicato da Mondadori nel n. 1161 di Kuttner. “Urania” e nel 132 di “Urania Collezio- In questa sorta di regalo d’addio ai fan di ne” nella traduzione di Sergio Perrone. fantascienza, Henry Kuttner inserisce un
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po’ di tutto, dagli universi paralleli ad alieni con poteri quasi divini con in mezzo apparecchiature talmente avanzate da essere quasi magiche. I toni della storia sono per certi versi fantasy per la presenza di questo auto-proclamati dei che tengono in schiavitù la popolazione di un altro universo. Negli anni ’50, i generi non avevano ancora subito l’evoluzione che portò ad una separazione tra fantascienza e fantasy con successivi nuovi rimescolamenti. La fantascienza era molto avventurosa e utilizzava spesso elementi che oggi consideriamo tipici del fantasy assieme ad altri che allora sembravano di fantascienza “hard”. Ne “Il pozzo dei mondi”, Henry Kuttner usa metafore ispirate in particolare agli atomi con varie derivazioni come le metafore elettroniche. Quando il romanzo venne scritto si era agli inizi dell’era atomica perciò parlare di isotopi e particelle varie probabilmente dava l’idea di una fantascienza collegata allo stato dell’arte della scienza. Quella volta probabilmente era come se oggi la storia usasse il bosone di Higgs come metafora. All’inizio degli anni ’50, le apparecchiature elettroniche erano tecnologia avanzata: i televisori si stavano ancora diffondendo perciò parlare di ciclotroni faceva pensare a grandi progressi scientifici. Il ruolo centrale dell’uranio doveva suonare come qualcosa di meraviglioso e pericolosissimo allo stesso tempo. Oggi termini come isotopo e ciclotrone probabilmente sono considerati normali tra i fan di fantascienza perciò da questo punto di vista “Il pozzo dei mondi” è se-
condo me decisamente invecchiato. In un’epoca in cui possiamo leggere su Internet i comunicati del CERN e vedere in streaming le loro conferenze stampa certe metafore hanno davvero perso il loro sense of wonder. Un altro problema de “Il pozzo dei mondi” è nella trama, che dopo un inizio intrigante tende a diventare abbastanza prevedibile. La parte iniziale promette vari misteri ma quando la situazione diventa più chiara il lettore può anche cominciare a capire in che direzione stia andando la storia. Il romanzo ha di buono che la lunghezza è negli standard degli anni ’50 perciò è limitata e di conseguenza il ritmo è elevato con tanta azione. I protagonisti sono tutto sommato ben sviluppati e alla fine probabilmente costituiscono l’elemento migliore del romanzo. “Il pozzo dei mondi” non è il migliore romanzo scritto da Henry Kuttner. Leggendolo oggi, a me è parso discreto ma niente di più. Può piacere ai fan della fantascienza degli anni ’40 / ’50 e ai fan dell’autore.
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I Libri da Rileggere Il mestiere dell'avvoltoio di Robert A. Heinlein
trice la Tribuna all’interno dei nn. 54 e 226 di “Galassia” nella traduzione di Luigi Cozzi e da Mondadori all’interno del n. 35 de “I Massimi della Fantascienza” nella traduzione di Luigi Cozzi e all’interno dei nn. 1474 (qui assieme a “Waldo”) e 1603 di “Urania” nella traduzione di Vittorio Curtoni. Jonathan Hoag non ha alcuna memoria di ciò che fa durante il giorno. Si è trovato sotto le unghie resti di una sostanza che potrebbe essere sangue rappreso ma quando ha chiesto ad un medico di verificarlo è stato invitato ad andarsene e non farsi più vedere. La sua ultima speranza è di rivolgersi a Ted e Cynthia Randall, una coppia di investigatori privati, affinché lo seguano per scoprire cosa gli succede nelle ore di cui non ha memoria. Dopo un’iniziale confusione sul problema Il mestiere dell'avvoltoio del loro nuovo cliente, Ted e Cynthia di Robert A. Heinlein accettano il lavoro. I due lo seguono separatamente ma quando si incontrano per fare il punto della situazione scoprono con sgomento di aver visto cose ben diverse e inconciliabili perché Cynthia ha visto Ted Il romanzo “Il mestiere dell’avvoltoio” parlare con Hoag ma lui non ricorda nulla del genere. Continuano a indagare e non (“The Unpleasant Profession of Jonathan Hoag”) di Robert A. Heinlein è solo cose sempre più strane succedono ma stato pubblicato per la prima volta nel anche pericolose per loro. 1942 nella rivista “Unknown Worlds” Robert A. Heinlein è stato un grandissimo con lo pseudonimo John Riverside. In maestro nel campo della fantascienza ma Italia è stato pubblicato dalla Casa Edi- occasionalmente ha scritto storie che esu-
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lano da questo genere. “Il mestiere dell’avvoltoio” comincia come un giallo / thriller, con Jonathan Hoag che si rivolge agli investigatori Ted e Cynthia Randall per scoprire cosa fa durante il giorno. Nella parte iniziale, questo può sembrare un thriller psicologico. Jonathan Hoag sta affrontando una situazione davvero difficile perché non ricorda nulla di quello che fa durante il giorno e trovando una sostanza che potrebbe essere sangue rappreso sotto le sue unghie gli viene un terribile sospetto. Quando il medico a cui si rivolge per le analisi del caso praticamente lo caccia via senza fornirgli alcuna informazione utile è ridotto alla disperazione. Jonathan Hoag si rivolge a Ted e Cynthia Randall, marito e moglie che gestiscono la loro agenzia di investigazione. Robert A. Heinlein utilizza gli elementi tipici delle sue storie piuttosto che ispirarsi ai gialli perciò Cynthia è una donna intelligente e tosta com’è normale nelle storie di quest’autore, non certo la segretaria del marito com’era comune nelle storie degli anni ’40. Dopo quest’inizio però la storia diventa sempre più strana uscendo decisamente dai binari del giallo e del thriller psicologico. Oggi la definiremmo fantasy e non a caso all’epoca venne pubblicata sul “Unknown Worlds”, che da alcuni viene considerata la rivista che creato il fantasy moderno. Nel corso del romanzo, Ted e Cynthia Randall perdono sempre più il contatto con la realtà, o almeno con quella che conoscono loro, e si ritrovano invischiati in una vicenda molto più grande di quanto potessero mai immaginare. Robert A. Heinlein è molto bravo a descrivere il senso di straniamento ini-
ziale di Jonathan Hoag e quello successivo di Ted e Cynthia, che presto cominciano a trovarsi in pericolo. La tensione cresce sempre di più ma per Ted e Cynthia è davvero difficile comprendere quale sia l’origine del pericolo, così al di fuori dell’esperienza di un essere umano. In un romanzo che sembra il precursore di parecchi di quelli scritti nei decenni successivi da Philip K. Dick più che di quelli di Heinlein, il lettore è costretto a ridefinire il concetto di realtà assieme ai protagonisti. Per Ted e Cynthia l’esperienza è decisamente traumatica e ha delle conseguenze anche dopo che hanno risolto il caso, se quella si può chiamare risoluzione. I due scoprono ben più di quanto volessero e ne devono sopportare le conseguenze. L’unico modo per sopportarlo è rimanere aggrappato l’uno all’altra. “Il mestiere dell’avvoltoio” è un romanzo breve per gli standard moderni ma normale per quelli degli anni ’40. Di conseguenza, lo sviluppo dei personaggi non è particolarmente approfondito ma non è un difetto grave perché Ted e Cynthia sono i protagonisti e Robert A. Heinlein ci fornisce parecchi dettagli sul loro rapporto. Il ritmo della narrazione è ovviamente rapido, anche se questa non è esattamente una storia d’azione. Philip K. Dick era insuperabile nel far provare la sensazione di alterazione e/o frammentazione della realtà, Robert A. Heinlein si concentra maggiormente sulla tensione della storia. Secondo me il risultato è comunque buono e “Il mestiere dell’avvoltoio” non può mancare nella collezione di chi sia interessato a quest’autore.
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I libri da rileggere Coyote di Allen Steele
Coyote è una delle lune di un pianeta di tipo gigante gassoso nel sistema di 47 Ursae Majoris, a 46 anni luce dalla Terra ed è in grado di ospitare la vita. Nel 2070, il regime della nazione costruita dopo la caduta degli USA decide di inviare su Coyote la URSS Alabama, un’astronave in grado di effettuare viaggi interstellari trasportando un equipaggio in animazione sospesa. Il Capitano Robert E. Lee viene scelto come comandante dell’Alabama anche grazie all’influenza di suo suocero. Non solo Lee è contrario al regime ma ha anche organizzato un complotto per impossessarsi della URSS Alabama e sostituire vari membri dell’equipaggio con altri dissidenti. Nonostante un tentativo di fermare la fuga, l’astronave parte con propositi di libertà ma colonizzare Coyote sarà Coyote tutt’altro che facile. di Allen Steele Nella seconda metà degli anni ’90 ci fu una rivoluzione nel campo dell’astronomia quando venne annunciata la scoperta del primo esopianeti. Oggi siamo talmente abituati a tali scoperte che solo gli appasIl romanzo “Coyote” (“Coyote”) di sionati se ne interessano ancora ma allora Allen Steele è stato pubblicato per la del genere e altre imprese come la prima volta nel 2002 mettendo assieme scoperte missione del telescopio spaziale Hubble vari racconti pubblicati separatamente erano novità assolute. tra il 2001 e il 2002 in versioni a volte un po’ diverse. È il primo romanzo della se- Recentemente, è stata annunciata la possirie Coyote. In Italia è stato pubblicato bile scoperta di un’esoluna che orbita da Mondadori nel n. 1602 di “Urania” attorno ad un gigante gassoso. I dati devonella traduzione di Fabio Feminò. no essere esaminati per verificare tale sco-
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perta: se confermata, sarebbe la prima esoluna scoperta. In quel caso, probabilmente quell’esoluna sarebbe troppo piccola per avere un’atmosfera perciò non potrebbe ospitare vita ma inevitabilmente ho pensato a Coyote. Il romanzo “Coyote” mescola bene vari temi che vanno dall’avventura spaziale di tipo molto classico a quelli della fantascienza sociologica e distopica. Di base c’è il viaggio interstellare dell’astronave URSS Alabama per colonizzare Coyote ma di fondo c’è la descrizione di una nazione che è emersa dopo il crollo degli USA e nel 2070 è un regime autoritario. Il romanzo soffre un po’ per il fatto di essere il risultato dell’unione di vari racconti. Esso racconta episodi diversi del viaggio della URSS Alabama da quando i membri del complotto ne prendono il controllo all’arrivo su Coyote e le prime fasi della sua colonizzazione. D’altra parte, i vari racconti si completano a vicenda formando una storia più grande. La seconda parte del romanzo è quella col tono più classico perché riprende il tema classico della colonizzazione di un altro pianeta e Coyote è una luna talmente grande da essere considerata un pianeta. Qui si vedono anche ingenuità ed errori che in storie moderne dovrebbero essere assenti. Ad esempio, sembra che nell’equipaggio non ci siano persone veramente esperte di allevamento e agricoltura perciò vengono iniziati dopo valutazioni limitate. Probabilmente Allen Steele non voleva dilungarsi in lunghe descrizioni su questi
argomenti ma quella parte sembra piuttosto vaga e pianificata in maniera scarsa per una missione del genere. Un problema di coerenza è rappresentato ad esempio dalle stagioni di Coyote. Prima viene affermato che l’asse di Coyote non ha praticamente inclinazione ma successivamente ci sono riferimenti alle giornate che diventano più corte tuttavia è l’inclinazione dell’asse che determina l’accorciamento e l’allungamento delle giornate. I vari episodi sono raccontati dal punto di vista di vari personaggi, per la maggior parte in terza persona ma occasionalmente in prima persona. Inevitabilmente, tra i tanti personaggi del romanzo solo alcuni protagonisti sono sviluppati, in particolare il Capitano Robert E. Lee e due ragazzi che fanno parte dell’equipaggio: Wendy Gunther e Carlos Montero. Per le sue caratteristiche, “Coyote” è un romanzo con alti e bassi. I racconti che lo formano sono molto diversi tra loro perciò a persone diverse piaceranno, o non piaceranno, parti diverse del romanzo. Questo è il primo di una serie di romanzi perciò, nonostante la lunghezza, la storia non ha un vero finale. Pur con i suoi difetti, secondo me “Coyote” è tutto sommato un buon romanzo. Se i temi trattati vi interessano e cercate una lettura non troppo impegnativa vi potrebbe piacere.
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IL libro da tradurre Xenopath d i E r ic B r o wn
JeffVaughan e Sukara si sono sposati e stanno aspettando il loro primo figlio. La loro vita non è facile perché la paga di Jeff non è esattamente elevata ma assieme sono felici. I giorni di Jeff come telepate sembrano ormai appartenere al passato quando viene contattato dalla sua ex collega Lin Kapinski, che ha aperto un’agenzia investigativa e gli propone un lavoro. La paga che gli offre è molto elevata ma lui deve farsi inserire un nuovo impianto neurale per riacquistare le sue vecchie capacità telepatiche. Jeff non vorrebbe tornare ai vecchi tempi in cui era sempre depresso ma il nuovo impianto neurale è più avanzato del vecchio e la paga permetterà una vita molto più tranquilla alla sua famiglia. Xenopath Accetta l’offerta ma il suo primo caso lo di Eric Brown porta a interessarsi agli affari di una grossa azienda con interessi su vari pianeti. Quando il caso viene ufficialmente chiuso, Jeff capisce che si tratta di un tentativo di insabbiamento e continua a indagare, Il romanzo “Xenopath” di Eric Brown è anche per trovare Pham, una bambina testato pubblicato per la prima volta nel stimone di un omicidio, prima dell’assassino. 2010. È il secondo libro della trilogia Bengal Station ed è il seguito di “Necro- “Necropath”, pur con tutti i suoi elementi path”. È al momento inedito in Italia. fantascientifici, era un giallo hard-boiled dai toni noir i cui protagonisti avevano avuto una vita decisamente travagliata. In
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“Xenopath”, ambientato circa due anni dopo, il tono cambia completamente. Jeff Vaughan e Sukara si sono incontrati e hanno trovato un sostegno reciproco che ha finalmente permesso loro di trovare la felicità. Se in “Necropath” il tono era depresso, in “Xenopath” a volte è perfino un po’ melenso. “Xenopath” è invece simile a “Necropath” nella struttura della storia. Abbandonati i toni noir, Eric Brown ha scritto ancora un giallo fantascientifico ambientato per la maggior parte a Bengal Station, uno degli spazioporti esistenti sulla Terra in un futuro in cui i viaggi interstellari sono normali. Anche in questo caso sono coinvolti alcuni alieni e solo pian piano nel corso del romanzo il loro ruolo viene compreso, anche grazie ad un viaggio sul pianeta Mallory. “Necropath” raccontava le storie inizialmente parallele di JeffVaughan e di Sukara. In “Xenopath” la seconda trama è dedicata a Pham, una bambina che lavora a Bengal Station e cerca qualcosa di meglio nella sua vita. Dopo aver assistito ad un omicidio, la sua vita è in pericolo e la sua storia comincia a incrociarsi con quella di Jeff e Sukara. Chi aveva già letto “Necropath” ha potuto notare che il romanzo era decisamente orientato ai personaggi e la trama serviva a sviluppare i protagonisti. Questo è vero anche in “Xenopath”, dove ancora una volta il giallo non è particolarmente brillante e gli eventi sembrano spesso usati per offrire nuovi sviluppi dei personaggi.
Ad esempio, Lin Kapinski non sembra particolarmente competente per una persona che dirige la sua agenzia investigativa privata e ciò da modo a JeffVaughan di essere il vero protagonista della loro indagine. I colpi di scena più interessanti sono legati agli alieni ma in alcuni casi sembrano fin troppo adatti alle necessità di qualche protagonista. Anche il finale è per alcuni versi prevedibile e rispecchia il tono del romanzo. Eric Brown è invece bravo nel raccontare la storia in maniera fluida per cui la lettura delle 400 pagine del romanzo è facile e permette al lettore di simpatizzare con i protagonisti. C’è anche parecchia azione per un ritmo che è generalmente elevato, anche perché non si tratta di fantascienza “hard” perciò l’autore non si ferma a descrivere le tecnologie del futuro. “Xenopath” è il secondo romanzo di una trilogia. La storia è indipendente dalla precedente e ha una sua fine perciò potrebbe essere letta senza aver prima letto “Necropath”. Tuttavia, dato che queste storie sono fortemente orientate ai personaggi io consiglio di cominciare la lettura dal primo romanzo per poter apprezzare lo sviluppo dei personaggi anche tra esso e il suo seguito. Nonostante qualche difetto, secondo me “Xenopath” è complessivamente un buon romanzo che, assieme a “Necropath”, può piacere in particolare ai lettori interessati a storie orientate ai personaggi.
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IL venditore dI pensieri usati Ritorno alla MAry Celeste di Daniele Picciuti
Accattivante, come copertina, vero cari lettori? E il contenuto è ancora meglio! Vi dirò: quando l’ho preso ero scettico, sia perché gli autori italiani che mi piacciono posso contarli sulle dita di una mano (credo), sia perché il nome di Picciuti, per ora, è sconosciuto ai più. Però, visto che lui ne ha fatto così tanta pubblicità, visto che su Anobii in 6 lo avevano già letto e valutato 4 stelline, visto che la versione per Kindle costa meno di 2 euro e visto che la copertina m’intrippava abbastanza, allora mi sono detto che sì, dai, potevo anche provarci. Anche perché l’autore lo avevo a disposizione su Faccialibro per chiedergli lumi ogni volta che avevo dei dubbi (leggi: gli ho rotto grandemente le balle). Cari lettori, non me ne sono pentito! Questo racconto si fa leggere agevolmente, va giù come fosse una birra fresca a ferragosto, mi ha tenuto incollato alle pagine come pochi altri libri hanno potuto fare, cosa che ha valso la quinta stellina che vedete là in alto, accanto al titolo, e che lo pone fra le migliori letture di quest’anno. Quantomeno, fra le più divertenti. In senso figurativo, perché sarebbe un horror. A parte il mistero e la ricerca, la cosa accatti-
vante è che tutto il racconto affonda le sue radici in quella che è la leggenda vera della Mary Celeste, cosa che chiunque può verificare spulciando Wikipedia, oltre al fatto che alcuni personaggi sono effettivamente esistenti o esistiti e utilizzati nella storia senza snaturali dal loro contesto reale, creando così una situazione verosimile che dà una marcia in più al tutto, nonostante si parli di fantasmi. Ah: anche il fatto che uno dei personaggi parli francese dà quel tocco in più, ma non vi preoccupate: io, col mio scarso francese studiato alle medie ormai vent’anni fa, sono riuscito a leggerlo e capirlo benissimo senza guardare le note, o quasi.
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Ma veniamo alla storia, che da sola sarebbe da 4 stelline, ma che il ritmo e l’atmosfera che riesce a creare portano a un buon 5: un noto reporter e la sua assistente vengono in possesso di un diario appartenuto a uno dei capitani della Mary celeste, e si imbarcano alla ricerca della nave fantasma. Se non la trovassero il racconto si chiuderebbe qui, ma è ovvio che siano destinati a trovarla, quindi non mi sento di spoilerare nulla dicendovelo. Solo non vi dico in quali condizioni la trovano, né cosa succede una volta che ci sono saliti sopra. Perché se la trovano di fianco, a speronare e far naufragare il peschereccio in cui si sono imbarcati, e saranno costretti, a salirci! Causa di forza maggiore, istinto di sopravvivenza, chiamatelo come volete, ma gli eventi, che si susseguiranno sempre più velocemente, mi hanno fatto venire la pelle d’oca, in certi passaggi, soprattutto per quanto riguarda il buon Carlo Stein. E poi alla fine il racconto si chiude come piace a me, ovvero restando aperto, nutrendo un dubbio feroce. Ecco, diciamo che “ritorno alla Mary Celeste” è un racconto che ricorderò per un bel po’. Ma passiamo agli altri racconti, perché ci sono altri 4 racconti da scoprire tutti horror, tutti più o meno velatamente bagnati dal mare. A parte l’ultimo. Ve li illustrerò brevemente andando per punti. O meglio: per trattini. - Il primo racconto (che sarebbe il secondo) parla di vampiri. L’ho portato a termine nonostante i racconti di vampiri non mi stiano granché simpatici… Ma
questo è ben studiato, la storia è solida. - Il secondo racconto (che sarebbe il terzo) è legato a un rito ciclopico. Ciclopico in senso letterale. Un abile racconto dove ho trovato la voglia di copiare Lovecraft, senza aver l’intenzione di fare come lui ma trovando un proprio equilibrio che lascia il lettore più che soddisfatto. L’autore potrà non essere d’accordo, ma a me ha riportato alla mente quelle atmosfere, nel senso dei riti misteriosi, divinità strane, ecc. - Il terzo racconto (che sarebbe il quarto) parla di Templari, del loro ritorno da una missione, incaricati di riportare al Duca un forziere con un contenuto misterioso, e degli effetti collaterali delle Sacre Reliquie, tipo il Graal, la Lancia di Longino e… il contenuto del forziere, appunto. - Il quarto e ultimo racconto (che sarebbe il quinto), invece, vi farà venire la pelle d’oca. Un demone saprà commuovervi. Non c’è altro da dire. Bene, mi pare di non aver tralasciato nulla, a parte il racconto intruso. Ma questo lo lascio a voi, cari lettori. A me dispiace solo di aver preso la versione per Kindle: non mi dispiacerebbe averlo su uno scaffale della libreria buona. Spero, come al solito, di avervi lasciati abbastanza curiosi, perché la mia, è istigazione alla lettura. Lo so che lo sapete e vi siete rotti di sentirmelo dire, ma suvvia, mettetevi nei panni di chi mi legge per la prima volta… A presto!
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S ka n Mi chiamo Diego Capani e sono un Graphic designer. Forse alcuni di voi mi conoscono come il Drugo. No? Fa lo stesso. Che dire di me… mi divido tra la toscana, dove vivo e riposo, e Milano dove invece lavoro e mi affatico. Ho iniziato a fare grafica digitale intorno alla metà degli anni ‘80 con un Amiga 1000 e il mitico “Deluxe paint”. Facevo quella che oggi si chiama “pixel art”. Vi assicuro che non era affatto semplice: volevi imparare? Ok, c’era il manuale cartaceo a corredo del software e le riviste d’importazione che potevi ordinare in edicola. Tutto in lingua anglosassone (tenete presente che una volta l’inglese lo parlavano per lo più solo gli inglesi, per ovvie ragioni, e qualche posseduto). Niente internet, almeno non nella forma e nelle dimensioni odierne. In pochissimi anni sono cambiate un sacco di cose e io continuo a fare “grafica”, adeguandomi. Non riesco a smettere… e pare che la cosa sia destinata ad andare avanti ancora per un bel po’ (ho fatto dei figli, ho cambiato un paio di case e, come se non bastasse, ho sottoscritto un abbonamento con un noto mensile che mi terrà vincolato per i prossimi dieci anni). Sono stato un pioniere nel campo delle produzioni multimediali e ho avuto la fortuna di sfornare un paio di idee niente male al momento giusto che hanno dato una svolta decisiva alla mia attività professionale. Questo ha permesso di confrontarmi con nomi prestigiosi del made in Italy e non. Cito e non senza un pizzico di orgoglio: il gruppo Armani, Cacharel, Ralph Lauren, Helena Rubistein, Lottomatica, Cartasì, Mtv, Cremonini, Lavazza, Garzanti, Rizzoli, Touring Club, Smart Italia, Regione Lombardia, Regione Toscana e altri ancora.
VALE PIU' di mille parole Venusian Lady
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S ka n Dal 2013 collaboro con un noto brand francese di videogames. Attualmente sto curando il concept e la realizzazione di alcuni personaggi che faranno parte di un gioco rpg fantasy di prossima uscita per le nuovissime mega console. Da qualche anno, inoltre, mi occupo di formazione per aziende e privati. Formo grafici e futuri Art director da sacrificare a clienti crudeli e senza scrupoli. Alcuni sopravvivono, altri no. Ho una passione morbosa per il cinema di genere e nutro un insano amore per G. Romero, cioè non per lui, sia chiaro, ma per la sue “creature”. Quando gli impegni professionali me lo consentono, ammesso che mia moglie non mi spedisca in missione in cerca di cibo o medicinali, il mio “essere” tende a concentrarsi nella rappresentazione grafica di scene e personaggi dell’immaginario fantastico. Solitamente prediligo quelle figure e tematiche che maggiormente hanno saputo terrorizzarmi e/o affascinarmi (zombie, vampiri, demoni, alieni o grigi, killer seriali il tutto condito da apocalissi varie). Se ti vuoi affascinare e/o terrorizzare anche tu, guarda qui: diegocapani.hitart.com Faccio parte dell’attivissimo gruppo ESC (facebook.com/ElectricSheepComics) e, insieme a Roberto Napolitano che ne ha scritto la sceneggiatura, sto lavorando a “Aurux 43”: una Graphic novel, Survival-HorrorSci-Fi-OldStyle, qualsiasi cosa voglia dire. Sarà qualcosa di “veramente particolare”. Per “capire” a fondo il significato di “veramente particolare” è consigliabile dare una sbirciatina qui: facebook.com/Aurux43 (mettete “mi piace” così capisco che avete capito).
VALE PIU' di mille parole L i l i t h - l a m o g l i e d i S a ta n a
Vabbè, faccio un salto in Skyrim. Se mi cercate di solito bazzico la locanda del “Gigante addormentato”. Chiedete del Drugo…
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S ka n
Il Lato Oscuro
Ar i a n n a K o e r n e r
Nel Teatro della Morte
L’ultima foglia dell’olmo restava aggrappata, forse per la disperazione di dover rimanere ferma lì, fino all’ultimo, o forse solo per il terrore di dover abbandonare chi le aveva dato tutto quello che aveva: niente. Lungo le radici giaceva, quasi incassata, la pietra che tornita raccoglieva le carni ormai dissolte di un uomo le cui ossa erano spezzate da tempo, insieme al cuore. Accolta dal sale del dolore, una goccia di pioggia si abbracciava a una lacrima, che scorreva lungo le raggrinzite gote di chi, già molte volte, si era incurvata su quell’ombroso luogo di riposo. Eloise, ormai spoglia anch’essa di una beltà che un tempo le aveva donato le gioie di una carne senz’anima, sedeva, quasi prostrata, accanto al tronco ritorto di dolore e tempo. Un sordo crepitio di unghie rosso raffermo si accompagnava a un ovattato e continuo lamento, le cui radici affondavano in un ricordo ormai lontano ma mai dimenticato. L’unico alito di vita spenta era quello di una statua non
vera che, ferma, osservava il gemere incessante per quel cuore morto. Phelippe era una nonstatua, immobile osservava il tempo scorrere lungo i viali di una quotidianità alla quale sentiva di non appartenere. La scenografia di questo piovoso teatro era composta da tre morti, e da una vita sul punto di precipitare accanto ai corpi di centinaia di cadaveri ormai dissolti. A tratti, un fastidioso ma rassicurante ronzio dissacrava il silenzio di una stanza illuminata da una vecchia abat jour, la cui luce malata era tagliata a tratti dall’ombra di una falena solitaria che disperatamente si uccideva nel calore di un filo rovente. Valery, immobile tra le lenzuola del letto, odorose di sudore ed estasi, seguiva con lo sguardo il volo dell’alata suicida. Gli occhi, unica parte in movimento a opera della sua volontà; il corpo, squas-
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sato da tremiti che non riusciva a contenere, sbattuto dalla furia del suo amore nonamante, desiderato ma non voluto. Privo di qualunque attenzione per le proprie orecchie, non più collegate al cuore, Giordaine grugniva come un porco. Con affondi impietosi sbatteva quelle membra, vuote di dell'anima che volava a cavallo dell’insetto impazzi-
to, verso una morte di luce e calore. Thomàs morì di crepacuore. Piegato dal dolore, ricurvo su quella porta che mai Eloise volle aprire. Lungo lugubri notti egli si riempì gli occhi dei riflessi d’ombra dell’amata che, ogni notte, nonamava nuovi uomini. Scostando la tenda languida, talvolta Eloise spingeva il suo sguardo verso il secco marciapiede sul quale marciva di sofferenza colui che ormai giace marcio in una fossa. Un piede freddo affondò quella notte nella terra bagnata, calzato di stoffa bianca si impregnò del fango sporco che tingeva la veste della vecchia contorta. Phelippe discese dal suo piedistallo senza aver avuto in cambio alcuna moneta, solo per avvicinarsi, seppur con timidezza, al fosso dell’ormai secco cadavere. Non gli interessava lui, e nemmeno lei, ma quell’istante di vita morta che solamente gli occhi di chi vive nel tempo immobile potevano cogliere. Sopra di loro, sola nella notte, la foglia destinata al trapasso strappava al tempo ancora un momento di amore materno.
va; non per se ma per colui al quale aveva donato la sua arte affinché ne traesse piacere e diletto. Eppure a nulla era servito se non a essere mortificata e trafitta da critiche vomitate da quella bocca a cui lei aveva donato la sua lingua d’amore. Lui, senza ritegno, strappava brandelli di carne intrisa di speranza tramutando quel cuore ricolmo d’amore in un guscio di cartilagine secca, svuotato di ogni singola stilla di vita. Lei, che la sera, tra i drappi del palco, bagnava molti visi e squassava molti petti, la notte, tra i drappi del letto, metteva in scena la tragedia del suo corpo tentando di percuotere il cuore di chi, prima, non era riuscito a saziare.
Fioca di una vita rinnegata, la mano della statua percorse il dorso della pietra, così da regalarle un instante d’affetto che non conosceva il pentimento. Certa del suo imminente trapasso, rilassò quella presa che l’avrebbe fatta precipitare nella distesa di morti in carne che adornavano ora la sua vita. Di lei non sarebbe rimasto che un altro ricordo, dove nessuno avrebbe bagnato di lacrime il nome Eloise. Entrambi scosse da nature Da troppo tempo ormai pro- differenti, due vite sull’orlo vava “A porte chiuse”, soffri- dell’immobilità eterna giaceva con Ines, o almeno tenta- vano ora, sole, come tende di
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un sipario prossimo alla fine. Contraendo le cosce in quell’unico spasmo, Valery tentava di trattenere tra le carni umide l'insaziato amante, monito manifesto del suo completo e perpetuo fallimento. Un ultimo grido di ingiuria e lo sperma ancora vivo si andò a sdraiare accanto al corpo come morto di lei che, immobile, osservava le carni bruciate della falena ormai spenta. La pioggia è ormai cessata. Anche l'orologio della torre ha cessato la sua corsa. I passi lenti e vinti di Valery si fermano d’innanzi a un piedistallo su cui un nonuomo ha scolpito la sua vita in un’immobilità non ancora perfetta. Dalle dita di lei, che non sarà mai madre, precipita una moneta il cui adagiarsi metallico viene soffocato dal grido di colei che, straziata, osserva la madre olmo e il braccio che fino a poco prima la aggrappava alla vita. E qui cessa l’odiato battito, unica mobilità in un corpo immobile, per far spazio al sollievo eterno del tempo. Un silenzio rotto per l'ultima volta dai passi di colei che abbandonerà per sempre il teatro della morte.
S ka n
AMAZING MAGAZINE
S k a n n a t o i o e d i z i o n e XXV I N e l S e gn o d i u n a N u o v a E r a La XXVI edizione dello Skannatoio è la prima gestita da master_runta. Ha fin da subito messo alla prova i partecipanti con qualcosa di insolito ma che riflette un aspetto fondamentale della scrittura: LA DOCUMENTAZIONE. Per uno scrittore è FONDAMENTALE sapere ciò di cui sta scrivendo. Prima di approcciarsi a un qualsiasi argomento, sarebbe sempre bene informarsi, effettuare ricerche, ampliare la propria conoscenza dell'argomento stesso. In questo modo i brani risulteranno più profondi e tridimensionali e, nel caso in cui ci fossero problemi di ispirazione, le informazioni sarebbero il modo migliore per stimolare la creatività.
mo di 1.000 caratteri a un massimo di 5.000 (spazi inclusi). 2) una seconda parte di stampo narrativo in cui si dovrà narrare una storia che abbia come elemento centrale il simbolo che è stato scelto e che è stato approfondito nella parte 1. Massima libertà riguardo la struttura, la trama e gli elementi. Questa parte dovrà essere lunga da un minimo di 5.000 a un massimo di 25.000 caratteri.
LE COCCARDE Questo mese sono state assegnate due coccarde: 1) La coccarda al migliore articolo divulgativo, quello che saprà affrontare l'analisi del simbolo scelto in modo sintetico, efficace e interessante. LE SPECIFICHE Valore: 2 punti Lunghezza totale. Minima: 6.000 caratteri. Mas- 2) La coccarda al miglior personaggio secondasima: 30.000 caratteri (spazi inclusi, escluso il tito- rio (non protagonista), dove migliore non signilo). fica "più gradito", ma si intende quello che Genere: horror, giallo, fantastico e sottogeneri. apparirà meglio caratterizzato, più di impatto Particolarità: sulla storia, più valorizzante e tridimensionale a a) Il compito dei partecipanti è quello di sceglie- insindacabile giudizio del giurato sorteggiato. re un simbolo mistico o esoterico, non è rileValore: 3 punti. vante la cultura o la fede di appartenenza/origine di tale simbolo. Una volta scelto, dovranno Entrambe le coccarde sono state appannaggio di informarsi al riguardo. Leonardo Boselli, alias TETRACTYS. Lo scritto consterà di due distinte parti: 1) una prima parte di stampo divulgativo, in cui Appassionati lettori dello Skannatoio! Siete pronti i partecipanti si occuperanno di spiegare il sia istruirvi e a immergervi nelle storie, nel segno di gnificato o i significati del simbolo che hanno una nuova era? Nelle prossime pagine, potrete scelto a chi, presumibilmente, non ne sa nulla. leggere i primi classificati dal quinto al secondo in Occorre essere chiari e diretti, immaginando di versione originale da gara. Il racconto del primo scrivere un articolo o una nota informativa. classificato, Cattivotenente, sarà pubblicato in un Questa prima parte deve essere lunga da un mini- e-book edito da La Tela Nera. Buona lettura!
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S ka n Le rune e la runa bianca
Il sistema segnico delle rune probabilmente deriva da una scrittura appartenente al gruppo delle cinque principali varietà di alfabeto italico settentrionale, derivato dall'alfabeto etrusco, e perciò detto "nordetrusco". Letteralmente la parola runa significa "segreto, sussurro" e deriva dal Norreno (l'antica lingua norvegese). Oltre ad essere un sistema di scrittura utilizzato dai popoli germanici e scandinavi da più di duemila anni, le rune sono ancora oggi uno strumento divinatorio che, però, non implica prevedere il futuro. Al contrario, offre la possibilità di analizzare meglio il percorso di vita di ognuno. Secondo la leggenda, furono scoperte dal dio Odino che le divulgò tra il suo popolo come simbolo del sapere e del riconoscimento di tutti i misteri degli dei e degli uomini. Esse, infatti, trasmettendoci la loro sapienza ci aiutano ad avere un atteggiamento più positivo nei confronti della vita e ad aumentare la coscienza di noi stessi. L’alfabeto runico più antico è chiamato Futhark, è composta da 24 rune e prende il suo nome dalle prime sei. Questo sistema segnico non venne usato solo per scrivere ma anche per usi esoterici, religiosi o per
inviare dispacci segreti durante le battaglie. Il Futhark divide le 24 rune in 3 gruppi (Aettir) formati ognuno da una serie di 8 rune. Il primo, chiamato Fehu prende il nome dalla runa, che significa bestiame, inteso come prosperità di beni. Arriva fino all'ottava runa Winjo, che indica gioia e onori, i presupposti per un'esistenza stabile e prospera. Nel secondo gruppo chiamato di Hagalaz, il filo conduttore, invece, è il superamento delle avversità e l'imprevedibilità della vita; e quindi, il mettersi in discussione per arrivare a una consapevolezza di crescita interiore. Il terzo e ultimo gruppo chiamato di Tywaz, inizia con Tiwaz e si conclude con Othila. Queste 8 rune danno una visione d'insieme sia dei progressi positivi che degli aspetti negati-
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vi, fornendo però, in ultima analisi, la speranza forte di una crescita spirituale dell'uomo. Si conoscono evoluzioni successive del futhark, diverse per numero e forma delle rune. La grafia delle singole rune, composte da linee rette, dipende dal fatto che spesso le incisioni erano effettuate su pietra, su legno od altre superfici dure a seconda del loro uso. L'inesistenza di tratti orizzontali è motivata dal fatto che nel primo periodo scrittorio i segni runici venivano incisi su legno. La Runa Bianca (Wird) È la runa del destino (Wyrd vuol dire Fato) indica sia la fine che l’inizio. Come una fenice che si rigenera dalle proprie ceneri, la runa bianca pre-
annuncia una morte simbolica e allude al nostro progredire verso un cambiamento. È connessa con la fede e la fiducia, così come con l’accettazione dei cambiamenti e con la convinzione che “tutto deve ancora essere fatto”. Indica che nulla è predestinato e che gli ostacoli lungo il sentiero possono diventare le porte di ingresso verso nuovi inizi. Annuncia un cambiamento radicale. Non ci sono evidenze storiche dell'esistenza di una runa bianca, cioè "vuota" e non ha alcuno scopo nella scrittura. Il Wird definisce ogni forma del divenire ed è la somma di tutti gli eventi passati, presenti e futuri. Secondo la mitologia il destino è tracciato da tre divinità femminili che vivono ai piedi dell’albero cosmico Yggdrasill. Si tratta di tre forme della Grande Madre conosciute come “Tre Norne”. Altre rune presenti nel racconto: Ur (Uruz) Rappresenta la forza primitiva, la resistenza e l'energia che deve fluire in noi senza però dominarci. Essa esprime la volontà di combattere contro tutte le avversità e la capacità di fronteggiare chiunque. Può anche significare salute di ferro, coraggio, fiducia in sé stessi.
Thurs (Thurisaz) Spina, protezione. Questa runa impersona il potere del martello del dio del tuono Thor che impone rispetto. Essa raffigura la difesa, l'azione conscia della mente. Per la pianta la spina è una protezione per tenere lontano i possibili nemici. Significa anche fortuna e protezione nelle imprese, rigenerazione. Tyr (Teiwaz) Il guerriero spirituale, il coraggio. La runa Tyr gode di un altissimo potere e rappresenta la forza, la resistenza e l'affidabilità. Essa è una runa protettiva utilizzata anticamente dagli antichi guerrieri affinché li proteggesse in battaglia ma impersona anche lo spirito competitivo e il principio del lavoro duro e del superare qualcuno o qualcosa anche a costo di enormi sacrifici. È la forza che ci fa proseguire nonostante le difficoltà che deve però essere motivata da nobili ideali e non da futili egoismi personali.
Le Coronach di Albion Eilinn roteò con forza il proprio bastone di quercia che finì contro la mascella della compagna, quella piombò al suolo tramortita senza rialzarsi. “Eilinn vince!” proclamò la Sacerdotessa Superiore, con voce
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perentoria, mentre le altre allieve applaudivano. La ragazza, di rimando, fissò i propri occhi neri sull’insegnante senza sorridere, poi si inginocchiò accanto all’avversaria aiutandola a rialzarsi. “Adesso vi conviene raggiungere il refettorio.” Le ragazze sciolsero il cerchio in cui erano disposte e ordinatamente si allontanarono. “Accidenti, ma come fai ad essere così brava?” esclamò Dierna concitata, mentre mordeva avidamente una pagnotta scura. Eilinn le rivolse un sorrisetto sghembo continuando a rimescolare la sua zuppa. “È soltanto incredibilmente fortunata” rispose Ganeda con finta sufficienza, seduta qualche posto più lontano dalle amiche. “Sì, mi protegge Themis, Dierna, non dimenticarlo.” Il tono mellifluo di Eilinn fece ridere le ragazze, ricordava la parlata delle Sacerdotesse. Ganeda, con la sua stazza possente e il caschetto biondo illuminato dal sole, scuoteva la testa sorridendo “Se la Dea protegge un’irrispettosa come te…” “Non è la Dea il mio problema…” iniziò Eilinn, l’ilarità del gruppetto si spense. “È la Sacerdotessa Superiore, Kaillein!” “Eilinn… non dire queste cose” cercò di ribattere Dierna, con
dolcezza. “Ci usano per spaventare le novizie più giovani. Ci fanno lottare contro chi crea problemi. Fanno fare a noi il lavoro sporco!” Eilinn fissò i volti delle amiche ma nessuna la guardava. “Non è permesso loro di arrendersi, finché non lo decide Kaillein! A me questo non sembra allenarsi.” Le compagne non dissero nulla, continuarono a mangiare in silenzio. Loro non rispondevano mai a quei discorsi di Eilinn, avevano accettato da tempo la situazione dell’Accademia. La situazione del paese intero. Albion era una delle ultime terre abitate rimaste nel Grande Nord, circondata da distese di foreste ghiacciate, ultimo spiraglio prima della tundra. Il potere della Dea Themis, custodito dalle sacerdotesse, aveva protetto gli abitanti negli anni; dalle invasioni dei Sassoni prima, dalla desolazione del gelo e dell’isolamento poi. La Signora di Albion governava il paese secondo il volere della Dea, di cui era la prescelta e il tramite. Ogni bambina che dimostrava particolari capacità nello studio e nelle discipline sportive veniva mandata all’Accademia, per ricevere un’istruzione d’eccellenza ed essere addestrata al combattimento. Conclusi gli studi, le novizie diventavano Sacerdotesse di Themis, per servire la Dea e preservare il suo potere. Tra gli abitanti di Albion, però, vi era chi credeva che la casta delle
Sacerdotesse avesse troppo potere, negli anni la mancanza di nemici esterni aveva minato l’unità del paese facendo nascere correnti sovversive, riluttanti verso il culto di Themis. Una delle famiglie simpatizzanti con questa visione sediziosa era quella di Eilinn. Per questo motivo la bambina, che nei primi anni di istruzione era sempre risultata piuttosto mediocre, aveva improvvisamente iniziato a ricevere ottime valutazioni e, a dieci anni, era stata spedita all’Accademia. Dopo otto anni di addestramento e obbedienza, le novizie erano delle guerriere esperte, pronte a combattere al fianco degli uomini e a difendere il paese, invocando la protezione di Themis. Da molto tempo, però, la magia divina non benediceva quei luoghi, affievolendo la fede ed il rispetto reverenziale nelle Sacerdotesse. Kaillein si sporse dal baldacchino sopraelevato per osservare la grande sala del refettorio. Gli occhi glaciali smorzavano la dolcezza dei lineamenti della donna. La runa di Ur, simbolo di forza, spiccava tatuata sul lato del collo in cui i capelli di fuoco erano rasati. Sotto di lei i mormorii delle novizie si spensero e una stretta avvolse loro il cuore. “Come sapete, da parecchi giorni la Signora di Albion è morta.” Dierna strinse forte la mano di Eilinn, sapevano tutte cosa stava per annunciare la Sacerdotessa
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Superiore. “Sono qui per dare inizio ai tre giorni delle Coronach, durante il periodo di lutto la Dea sceglierà una nuova Signora. Da domani venti novizie combatteranno per ricevere la sua benedizione.” Secondo la tradizione, i nomi delle giovani che avrebbero avuto l’onore di dare la vita, nel tentativo di diventare La Signora, venivano suggeriti in sogno da Themis alle Sacerdotesse Superiori. Eilinn osservava Kaillein scura in volto, dispiaciuta per il destino che spettava alle sue compagne e in cui lei non trovava alcuna gloria. La massa di capelli argentei le ricadeva sulle guance. Non provò alcuno stupore nel sentire il nome di Ganeda, forse la più forte tra tutte le novizie ed appartenente ad una famiglia molto ricca. Poco dopo anche Dierna venne applaudita dalla grande sala, ad Eilinn parve di notare dell’ansia nel suo sorriso fiero. Sua zia era una delle Sacerdotesse anziane, sicuramente aveva interceduto per la nipote. Dopo qualche altra compagna dal cognome altisonante iniziarono ad essere chiamate delle ragazzine che chiaramente non avrebbero mai potuto vincere, o perché troppo giovani o perché di carattere troppo mansueto per una tale competizione. Senza che la giovane potesse realizzare cosa stava succedendo, il ventesimo applauso esplose fragoroso un’ultima volta al suono del nome di Eilinn.
“Dovete ucciderle in fretta”, Dierna parlava fissandosi la punta dei piedi, raggomitolata nelle coperte del suo letto, difronte a quello delle due compagne. “Me l’ha detto mia zia. Più il combattimento si dilunga più le novizie senza la runa di Tyr si indeboliscono”. “Un marchio sulla pelle non ti rende più forte o più resistente, Dierna! Smettila con queste scemenze. Vince sempre la favorita delle Sacerdotesse Superiori, lo sanno tutti. Non so come facciano, ma è così!” Eilinn era in preda all’isteria, non poteva credere che lo avessero fatto, che la odiassero così tanto da nominarla per una sfida così onorevole, al solo scopo di farla morire. La sua famiglia era troppo povera e scomoda perché qualche sacerdotessa potesse desiderare di vederla alla guida del paese. “Dierna ha ragione” intervenne Ganeda emergendo dal lucore della penombra. Le guance della ragazza, in genere rossicce, erano più pallide del solito, “lo dice sempre anche mia nonna. E poi lo abbiamo studiato: la maggior parte delle Signore di Albion avevano scelto la runa di Tyr.”
degli alberi spazzati dalla fredda corrente del nord. Nel centro dell’arena erano schierate dieci coppie di novizie, ognuna con la propria arma prediletta, pronte a battersi per mostrare a Themis il proprio valore. Gli occhi di Eilinn, bui come una notte illune, fissavano l’avversaria dall’altro capo del campo. Era una ragazzina, sui quindici anni. Sentì il sangue ribollirle nelle vene, avrebbe voluto girarsi e correre, farsi trascinare via da quel vento gelido, scorrere fino alla fattoria di suo padre. Dimenticarsi l’Accademia, le regole, l’obbedienza. Ma sapeva che lo avrebbero fatto, lei, Ganeda, Dierna. Avrebbero ucciso la ragazza che stava loro difronte. Per sopravvivere. Greve e perforante, il suono di un corno vibrò nell’aria, dei tamburi iniziarono a battere ritmici e serrati come pulsazioni dalle viscere della terra. All’unisono le guerriere avanzarono l’una verso l’altra e le Coronach ebbero inizio.
aveva fatto, mentre i polmoni le si riempivano e svuotavano freneticamente per lo sforzo. Un gemito gutturale le riempì la gola e le gambe le cedettero facendole sbattere rovinosamente le ginocchia al suolo. “Eilinn!” L’urlo disperato di Dierna richiamò la ragazza alla realtà. Intorno a lei la maggior parte delle novizie stava ancora combattendo. Vide l’amica arrancare sotto i colpi della mazza chiodata di Rilinn, una guerriera bestiale dai lineamenti maschili e muscolose braccia irsute. Il volto aggraziato di Dierna era tumefatto e purulento, il ginocchio destro lacerato e sanguinante. Sembrava stremata, si muoveva con gesti disperati nel tentativo di sottrarsi ai colpi impietosi. Non era in grado di contrattaccare. Sopraffatta dal terrore di quella scena Eilinn iniziò a correre verso l’amica. Dagli spalti si levarono delle grida di protesta ma nessuno si sarebbe mai azzardato a scendere in quell’arena, piena di furia e disperazione, per I capelli d’argento di Eilinn si fermarla. macchiarono di sangue. Il suo ba- La valorosa Rilinn si accorse di stone di quercia, con armoniose cosa stava accadendo e si voltò rune intagliate, fremette al vento verso la nuova nemica. Non disse un’ultima volta e con un sibilo nulla, sul volto sgraziato non L’arena era stata allestita in una feroce colpì il suo bersaglio. apparve nessun turbamento. radura che si era fatta strada nella L’avversaria si accasciò al suolo Comprendeva la situazione molto esanime, con un tonfo sordo e profonda foresta di conifere. più intimamente di qualunque Tutte le Sacerdotesse sedevano su pervasivo. Gli occhi cerulei opa- spettatore. Lanciò alla rivale uno spalti riservati, le loro vesti intes- chi, le morbide trecce scure, che sguardo accondiscendente, sapesute con pelli pregiate, di colore le coronavano il capo, erano sfi- va cosa doveva fare se voleva sodiverso in base al rango, svento- lacciate in neri ricami scomposti. pravvivere. lavano imbizzarrite come le cime Eilinn fissò con orrore ciò che Il secondo combattimento fu
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molto più gravoso e snervante, per ogni colpo parato ne arrivava subito un altro, ogni calcio o gomitata sembrava non sortire alcun effetto sul poderoso corpo di Rilinn. Eilinn venne colpita ad una spalla, che le sembrò esplodere per il dolore, cadde in ginocchio e sollevò il bastone per difendersi. Contro l’ennesimo colpo della mazza chiodata, il possente legno di quercia, protetto dall’intarsio della runa Thurs, si spezzò. La ragazza rotolò di lato e conficcò una metà appuntita nella coscia della rivale. Per la prima volta Rilinn vacillò e cadde. Il secondo dopo Eilinn le fu sopra trafiggendole il torace con l’ultimo pezzo della sua arma. “Domani moriremo entrambe” pronunciò Ganeda sbuffando, mentre si spogliava delle pellicce incrostate di sangue. Eilinn si era ripulita i capelli, chiari come il pallido volto della luna, e ora li stava intrecciando nuovamente, persa nei suoi pensieri. “Faresti meglio a curarti la spalla! E la ferita sulla coscia potrebbe infettarsi” proseguì l’amica vedendo che l’altra era assorta. “Ci ha sempre pensato Dierna” rispose infine, voltandosi verso la compagna, “io non sono brava in queste cose.” “Si, Dierna è sicuramente la più portata. Per questo ho detto
che domani moriremo entrambe.” Eilinn non era stata punita per quello che aveva fatto, alla fine comunque ne sarebbe rimasta solo una. Per l’amica invece il disonore non era cancellabile, la punizione era l’esilio, con la promessa che se fosse tornata sarebbe stata messa a morte. Dierna si era ricongiunta alla famiglia, o meglio a quella parte che ancora ne sopportava la vista, ma presto sarebbe dovuta partire. Ad Eilinn non importava che fosse vietato parlarle, o anche solo andare a salutarla. Era felice che fosse viva, probabilmente non era mai successo che una novizia nominata per le Coronach sopravvivesse, senza aver vinto. Questa piccola infrazione di cui era stata complice la faceva sentire felice, era come aver mostrato alle Sacerdotesse che non tutto poteva essere controllato dalle loro regole. Per un breve istante, mentre correva verso Dierna, sul quel campo di battaglia si era sentita libera. “Credi che abbia sbagliato, vero? Ad aiutare Dierna.” “Io penso semplicemente che il motivo per cui tu odi tanto Kaillein sia lo stesso per cui lei odia te” pronunciò l’amica fissandola con occhi screziati di blu. “Io non sarei andata da Dierna. Mi sarei detta che una morte onorevole è meglio di quello che la aspetta ora. Infatti
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lei ha chiamato te, non me. Perché tu sei diversa. Non riesci a far parte di questo mondo, hai valori e sentimenti diversi, che Kaillein non capisce, e che la spaventano.” Ganeda parlava con un tono serio che Eilinn non le aveva mai visto. Era chiaramente sconvolta dagli avvenimenti di quella giornata, ma allo stesso tempo mostrava una calma interiore che a lei sembrava sconosciuta. “Quindi sarei una pecora nera?” fece una smorfia di disapprovazione verso l’amica, per stemperare l’atmosfera. “Se dovessi scegliere… direi più una runa bianca.” Il cielo torbido e lattiginoso del mattino si rifletteva sulla calma superficie del piccolo lago, situato nella parte più meridionale di Albion, in corrispondenza di un’antica caldera vulcanica. Nel punto in cui il promontorio crollava a picco sullo specchio d’acqua, nove novizie attendevano di svolgere la seconda sfida delle Coronach. Al suono del corno avrebbero dovuto tuffarsi dalla scogliera e attraversare a nuoto l’acqua gelida fino ad arrivare sulla costa ghiaiosa più ad est. Per sopravvivere alla bassa temperatura e alla fatica era necessario che le ragazze sfruttassero le arti mistiche, insegnate agli uomini da Themis e di cui le Sacerdotesse erano le custodi.
A lezione si erano esercitate varie volte nel tentativo di concentrare la mente sul controllo delle funzioni fisiologiche del corpo, per scaldarsi in mezzo ad una bufera di neve o raffreddarsi nelle fiamme di una pira ardente. Eilinn non aveva mai sentito dentro di sé la scintilla divina di cui parlavano le sue insegnanti, non aveva grandi capacità di attenzione né tantomeno di meditazione. Tuttavia dubitava che fosse molto diverso per le altre. Ganeda, alla sua destra, scrutava le onde glaciali con mestizia, nonostante spalle e braccia possenti la sua abilità nel nuotare non le sarebbe stata di grande aiuto contro il freddo. Soltanto una ragazza sembrava particolarmente calma e concentrata, Teleri, guerriera molto abile e studentessa arguta. Proveniva da una famiglia molto influente di Albion e, durante le lezioni, discuteva della storia e delle tradizioni del suo popolo con ammirevole orgoglio e fierezza. Se Eilinn avesse dovuto immaginare una ragazza davvero felice di partecipare a quella gara, avrebbe fatto il suo nome. Non la considerava per niente stupida, o superficiale, sapeva che Teleri credeva realmente nel senso di sacrificio e abnegazione in favore della benevolenza di Themis. Mentre attendeva che sulla riva opposta le Sacerdotesse dessero il via alla gara, notò uno strano
riflesso sul collo della ragazza, come se fosse unta con qualcosa, lo stesso luccichio lo ritrovò sulla pelle alabastrina delle mani e dei piedi. Un secondo dopo, il suono del corno diede l’ordine di gettarsi in acqua. Cercando di non pensare a nulla, Eilinn si gettò nel vuoto con il massimo slancio possibile. L’impatto con l’acqua gelata le svuotò i polmoni più di un pugno nello stomaco, perse la cognizione del corpo riconoscendo soltanto un unico diffuso dolore denso che la trascinava verso il basso. Terrorizzata iniziò ad annaspare con tutte le sue forze, fino a che non riuscì a trovare la superficie dell’acqua. Respirò a pieni polmoni, tossendo e sfregandosi spasmodicamente gli occhi irritati. Cercava di capire da che parte fosse la riva. Alcune ragazze avevano già iniziato a nuotare così, con i denti che le battevano incontrollabili, iniziò faticosamente a dirigersi verso il traguardo. Sentiva il calore abbandonare il centro del suo corpo e dissolversi nella bruma dell’acqua, sapeva che non poteva farcela, non senza un aiuto. Iniziò a pensare intensamente a tutto ciò che di caldo le veniva in mente: il fuoco, l’acciaio rovente, la lava di un vulcano. Pensò che non voleva morire, non in quel modo, non lì.
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Improvvisamente un punto in mezzo alla fronte iniziò a bruciarle la pelle e il suo calore si diffuse rapidamente lungo tutto il corpo. Si sentì ardere il viso come se fosse vicinissima ad un focolare, invece era immersa nelle acque buie del lago e stava nuotando con sempre maggior foga verso la spiaggia ghiaiosa. Non capiva cosa le stesse succedendo ma non le importava, respirava come se ogni volta fosse l’ultima, timorosa che quel benessere improvviso potesse svanire. Infine, con le gambe tremanti per lo sforzo toccò la terra ferma e il calore sparì. Sulla spiaggia c’era solo Teleri, dopo un po’ arrivò un’altra ragazza, poi nessun’altro. Ganeda non riemerse mai da quelle acque. Nella piccola stanza, nel dormitorio dell’Accademia, era rimasta solamente Eilinn. Teneva le mani protese verso il piccolo fuoco crepitante, all’imboccatura del camino, cercando di richiamare alla mente il ricordo di quello che era successo nel lago. Si sfiorò la fronte, nel punto da cui era partito tutto, ma la pelle era liscia e intonsa. Prese il nuovo bastone per levigarlo, non era bello come il precendente, negli anni le sue amiche lo avevano intagliato e decorato con rune e simboli propizi. Bisogna segnare ogni vittoria, così i nemici sapranno
chi hanno difronte! diceva
Dierna. Adesso non c’era nulla sul tegumento levigato e lei lo avrebbe lasciato così. Kaillein era seduta sullo scranno centrale degli spalti, circondata dalle altre Sacerdotesse Superiori. Fissava Teleri, nell’arena sottostante, ben addestrata e riverente. Sarebbe stata un’ottima Signora di Albion, avrebbe protetto il culto di Themis mantenendo i privilegi dell’Accademia. Kaillein era stata saggia nel darle la mistura a base di grasso di foca, l’aveva protetta nelle acque gelate facendola arrivare per prima. La famiglia della ragazza era molto facoltosa ed aveva promesso offerte generose. Il predominio di Kaillean sarebbe stato mantenuto e, col tempo, Teleri si sarebbe indebolita sempre più fino alla morte, come era stato per le Signore precedenti. Questa pratica dura aveva permesso negli anni che Albion non diventasse una dittatura sotto la guida di una sovrana troppo potente. Le Sacerdotesse Superiori si occupavano di mantenere questo equilibrio. “Onore a voi, combattenti che siete arrivate fin qui” la voce di Kaillen suonava squillante nonostante il fischio del vento che aveva annuvolato il cielo primaverile. “Dichiarate, davanti al popolo
di Albion, da quale runa volete ricevere protezione. La Dea sceglierà chi esaudire!” Il marchio della runa veniva apposto sulla fronte delle novizie con un particolare unguento avvelenato. Teleri aveva già iniziato ad assumere l’antidoto, sotto la guida di Kaillein, ma ciò che non sapeva era che una volta assorbito dal corpo non la avrebbe mai più abbandonata. Alle altre, invece, il veleno avrebbe fatto effetto molto in fretta, indebolendole e rendendole cieche. Fin dall’introduzione del rito del marchio della runa le Sacerdotesse Superiori avevano potuto scegliere chi sarebbe diventata la Signora. Ma il popolo doveva credere che fosse merito di Themis, perché la loro fede era debole. “Con onore chiedo la protezione di Tyr, simbolo degli antichi guerrieri e del duro lavoro che permette di superare gli ostacoli,” pronunciò con fermezza Teleri. Era arrivata per prima sulla spiaggia quindi spettava a lei iniziare, così scelse ciò che nella tradizione aveva sempre permesso la vittoria. Mentre il rito si compiva nell’arena, sugli spalti le Sacerdotesse intonavano una lenta nenia, che parlava di divintà antiche e di come il loro potere fosse imprigionato in quei simboli. Kaillein dall’alto fissava Eilinn, che si avvicinava all’altare
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della marchiatura. Quella ragazza le aveva procurato un sacco di guai e non aveva mai mostrato rispetto per la loro fede. Aveva una mente infida, in grado di minare l’obbedienza delle novizie, e godeva di grande ammirazione per la sua abilità nel combattimento. Non sapeva come fosse sopravvissuta al lago gelato, ma infondo era meglio così. Era giusto che ad ucciderla fosse la futura Signora di Albion. “Con onore chiedo la protezione di Wird, la runa del destino e del cambiamento, la runa dell’inizio e della fine.” Eilinn aveva scelto con cura le parole da pronunciare, sfoggiando uno sguardo di sfida verso Kaillein. La donna inizialmente non si rese conto di cosa significasse, ma poi vedendo l’alchimista interdetto comprese. “Wird è la runa bianca” pronunciò con pazienza Kaillein, ma l’altra annuì con il capo. “Devi scegliere un marchio.” “Ho scelto la protezione di Wird” insistette Eilinn, col viso duro come un ghiacciaio del nord. Kaillein non capiva, non era una runa che dava particolare forza o abilità, era usata prettamente nella divinazione. D’altro canto escludeva che Eilinn avesse capito qualcosa circa il veleno. “Sarà come combattere senza nessuna runa” pronunciò la donna, ma si rese conto che
quelle minacce non avrebbero sortito alcun effetto. Quella ragazza non temeva gli dei così come non temeva lei. Restava immobile, gli occhi neri profondi come due pozzi la fissavano sicuri, come non lo erano mai stati. Era pronta a morire, o a vincere. L’unica cosa certa era che il suo destino sarebbe dipeso da lei soltanto.
leggera pioggia e il terreno divenne scivoloso. O meglio, Eilinn iniziò a trovarlo terribilmente scivoloso e viscido. Teleri era salda sulle gambe e impassibile, lo sguardo assorto in una volontà di ferrò, decisa a non perdere, per la gloria e per la sua famiglia. Guardandola Eilinn si chiese se non fosse quello il vero aspetto di una Signora. Capì che sarebbe morta, arrancava nel tentativo di evitarlo ma era in svantaggio. La sua avversaria si nutriva di una forza che andava al di là dei muscoli, era la fede. Poi accadde di nuovo, scivolò nel fango e Teleri le conficcò con forza il suo spadone nell’addome.
Agator, la ragazza arrivata per terza sulla riva, combatté fino allo stremo, rialzandosi ogni volta che il veleno le piegava le ginocchia. In un’ultima caduta, sotto il peso del bastone di Eilinn, i suoi polmoni si fermarono e la morte sopraggiunse. Kaillein osservava la guerriera sopravvissuta con angoscia. Stavolta solo la Dea poteva Non pensava che morire saproteggere il suo popolo. rebbe stato così. Sentì nuovaGli occhi grigi di Teleri la fis- mente un calore asfissiante partirle dal centro della fronte e savano, preparandosi all’attacco. Le nubi del cielo le diffondersi ovunque. Cadde in scurivano il volto. Lo spadone ginocchio e Teleri ritrasse della ragazza era molto più pe- l’arma dal suo corpo. Stupita sante del suo bastone di rovere, Eilinn non sentiva alcun dolore, nonostante le punte di ferro ai si portò le mani sulla ferita e la sua pelle, divenuta del colore lati. Eilinn saltò contro l’avversaria dell’ambra, le ustionò il polpacome una pantera rabbiosa e il strelli. Era diventata incandescente come un tizzone ardente. duello iniziò. Sotto i vestiti di pelliccia Per quanto fosse forte o allestrappata, la ferita si era richiunata, ogni colpo di Teleri era sa. massiccio e devastante. Ben presto si ritrovò senza fiato, le “Non è possibile!” esclamò Tebraccia fiaccate nel tentativo di leri e lo spadone, ancora carico del sangue della nemica, le parare i colpi. Dal cielo iniziò a scendere una sfuggì di mano. Con un boato
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un tuono conflagrò nel cielo. Dagli spalti, le Sacerdotesse e i popolani si erano alzati in piedi ammutoliti. “Come una fenice che rinasce dalle proprie ceneri, la runa bianca non muore. ” Le parole
uscirono dalla bocca di Eilinn ma risuonarono assordanti nelle orecchie di ogni spettatore, col timbro di una voce che non era né femminile né maschile. Era la Dea. “Nessun’altra figlia di Albion morirà più nel mio nome”, gli occhi di Eilinn, diventati come due fiammelle, tornarono neri e Themis uscì dal suo corpo. La ragazza si guardò attorno senza capire cosa fosse successo, tutti gli abitanti e le Sacerdotesse attorno all’arena erano inginocchiati e piangevano. Eilinn divenne la Signora di Albion e visse per parecchi anni. Sotto la sua guida nessuna bambina fu più costretta a diventare una Sacerdotessa, così a poco a poco l’Accademia si svuotò e cadde in rovina. I culti della Dea divennero sempre più sconosciuti ma consapevolezza e le usanze del paese si arricchirono, integrandosi con quelli del resto dei popoli che vivevano più a sud. Qualcuno ricorda Eilinn come la più grande traditrice della propria gente, altri come la sovrana che permise il cambiamento .
S ka n TETRAKTYS
Cos'è il Tetraktys? Al giorno d'oggi siamo abituati a sperimentare che i numeri, sotto forma di bit, plasmano la nostra realtà. Navigando su internet siamo bombardati da testi, immagini, suoni e applicazioni. Tutte queste informazioni, dati e algoritmi, che ci giungono attraverso i cavi telefonici, le fibre ottiche, le connessioni senza fili e i satelliti, costituiscono una rappresentazione della realtà, così come, per Platone, il mondo reale non è altro che l'ombra delle idee: siamo prigionieri in una caverna di cui non vediamo l'uscita, mentre oggetti e animali, illuminati dal sole, passano di fronte a essa e noi ne osserviamo solo le ombre sulle pareti. Ma cominciamo dall'inizio... Pitagora e i pitagorici ... e torniamo al VI secolo prima di Cristo. Tutti conoscono Pitagora e il "suo" famoso teorema. Forse qualcuno non sa che non ci è rimasto alcuno scritto di Pitagora e quindi è impossibile capire quali scoperte gli si possano attribuire diretta-
mente e non siano, invece, opera di qualche suo allievo o tardo seguace. Ciò che sappiamo, attraverso fonti successive di un paio di secoli, è che Pitagora era il capo di una setta religiosa che nel VI secolo a.C. si spostò dalla Grecia al sud dell'Italia (a Crotone) per sfuggire a persecuzioni politiche. Laggiù, Pitagora e i suoi iniziati svilupparono una particolare filosofia che, in seguito, influenzò Platone e trovò l'opposizione di Aristotele. La loro idea del mondo costituiva una teoria pre-scientifica di come funzionasse l'universo e, allo stesso tempo, una visione politica di come dovessero essere governate le comunità umane. La mistica dei numeri Una delle caratteristiche della filosofia dei Pitagorici risiede nella mistica dei numeri. Erano affascinati dall'ordine che si manifestava nell'universo: tutti gli aspetti della natura mostrano un particolare ritmo e un ordine intrinseco. Per esempio, le frequenze dei
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suoni dipendono dalle proprietà geometriche delle corde che li generano. Ispirati da questi fenomeni, scoprirono l'importanza di particolari rapporti numerici e studiarono l'aritmetica, dimostrando proprietà fondamentali dei numeri interi. Queste scoperte li indussero a credere che l'essenza dei fenomeni non fosse nella materia, ma nei numeri interi e nei loro rapporti (cioè le frazioni). Questa credenza fu rafforzata dalla particolare struttura geometrica in cui potevano essere disposte le sequenze di punti. Per esempio, tutti conosciamo i numeri quadrati e i numeri cubici ed è evidente perché si chiamino in questo modo. I Pitagorici, però, consideravano anche i numeri triangolari (1, 3, 7, 10 ecc.), a squadra (i dispari) e così via. Mediante rappresentazioni geometriche di questo tipo, fu possibile dimostrare che la somma di due numeri
triangolari consecutivi è sempre un quadrato, che la somma di numeri dispari consecutivi a partire da uno è sempre un quadrato, e altre proprietà di questo tipo. Il Tetraktys Un interesse particolare fu dedicato al 10. Era la somma di 1, 2, 3 e 4 e questi numeri, in forma di triangolo (10 è infatti il quarto numero triangolare), divennero il simbolo dell'essenza di tutte le cose, perché quattro erano gli elementi del mondo fisico (fuoco, aria, acqua e terra) e della geometria (punto, linea, piano e solido). Senza contare che il sistema musicale dei Pitagorici era basato sulle righe di questo simbolo in cui si possono riconoscere i rapporti di quarta (4:3), di quinta (3:2) e di ottava (2:1). Così il Tetraktys (il nome attribuito a questa disposizione) acquistò una particolare importanza tanto che i Pitagorici erano soliti giurare su di esso. Per questo è un simbolo esoterico legato principalmente a questa setta, ma si ritrova anche nella Cabala ebraica in connessione con il Tetragrammaton (cioè le quattro lettere che formano il nome di Dio nella Sacre Scritture, YHWH) ed è una disposizione delle carte usata nella lettura dei Tarocchi.
La fine Oltre alle lotte che i Pitagorici si trovarono a dover fronteggiare per imporre la loro visione politica, una causa del loro declino si può trovare nella logica che essi stessi avevano contribuito a sviluppare. Infatti la fede nei numeri razionali portò questa setta (almeno nella accezione classica) alla fine. Ciò avvenne quando venne dimostrato che la lunghezza della diagonale di un quadrato non si può esprimere come rapporto tra numeri interi (infatti il suo valore corrisponde alla radice di due, il più noto tra i numeri irrazionali). Fu un duro colpo per i Pitagorici che cercarono di mantenere quel risultato segreto finché, secondo la leggenda, un traditore, indicato in Ippaso di Metaponto, non ne diffuse la notizia perendo, per punizione, in un naufragio. Ciò che rimase, anche se sopito per secoli e secoli, fu il convincimento che la matematica formasse in un modo o nell'altro la struttura dell'universo e tutti sappiamo, a partire da Galileo Galilei in poi, a cosa ha condotto questa convinzione.
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Come una nave nella tempesta
La strada era illuminata dagli ultimi raggi del sole al tramonto e l'aria di quel giorno d'inverno s'era fatta gelida. Due figuri, intabarrati nel loro tribonio di lana grezza, camminavano a fatica sull'acciottolato. Tallione, il più alto, indossava un caldo berretto in pelle di volpe calcato sul capo. «Non capisco proprio», continuava a ripetere tra sé e sé. «Hai finito?» sbottò quello più piccolo. «Non hai smesso di lamentarti un momento. Io penso, invece, che dovresti essere contento». «Fai presto a parlare, Cleonte. Essere convocato dal Maestro dopo tanti anni. Che senso ha, se già allora non mi ritenne idoneo?» «I tempi sono difficili, lo ammetto, ma avrà anche rivalutato le tue indubbie capacità», affermò il piccoletto senza eccessiva convinzione. «Se non fossimo amici, penserei che ti stai prendendo gioco di me. C'è di certo sotto qualcosa di poco chiaro. E poi c'è anche quella faccenda di Ippaso di Metaponto». «Tallione, ti prego, non parlarne di fronte al Maestro», disse preoccupato Cleonte mentre si tormentava
con la destra il mento barbuto, «l'argomento lo rattrista e, soprattutto, non nominare mai quell'empio nome». Tallione si fermò di colpo: «parlarne? Di cosa dovrei discutere, non ci ho capito nulla!» «Dai, andiamo», intimò l'amico, «il Maestro ci aspetta. Cosa c'è da capire? Non è poi così difficile». «Forse per te. Non mi chiamo Cleonte di Corinto, io! Non sono l'uomo che ha inscritto il dodecaedro nella sfera». Questa volta fu il piccoletto a fermarsi: «non ti sapevo invidioso, Tallione. Mi rinfacci ciò di cui sono orgoglioso?» Lo spilungone subito non rispose e ricominciò a camminare stringendosi nel tribonio, poi aggiunse: «scusami. Devi ammettere, però, che questa faccenda è molto strana: com'è possibile che una lunghezza, come la diagonale di un quadrato unitario, se non fatta di parti intere, non sia neppure costituita da parti intere più una frazione di esse?» Ippaso sollevò gli occhi al cielo e si strattonò la barba con stizza: «te l'ho già spiegato mille volte!» «La tua iperbole è fuori luogo, saranno state sei o sette al massimo. Spiegamelo ancora una volta e poi ti giuro sul Tetraktys che non te lo chiederò più!» «Va bene, ma quando saremo
davanti al Maestro», disse sottolineando l'ultima parola con una deferente solennità, «non fargli mai ripetere nulla due volte. Cerca di cogliere ogni suo gesto al volo e di comprendere anche ciò che non dice, o potrebbe pentirsi di averti riconsiderato». «D'accordo, ma ora spiega passo per passo, e fallo lentamente». Cleonte si fermò, cercò con lo sguardo una bella pietra liscia lungo la strada e là si diresse. Mentre si accomodava, iniziò a parlare: «Immagina, caro Tallione... ma cosa fai ancora lì in piedi. Spolvera quest'angolo e siediti. Dunque... immagina, caro Tallione, di avere un filo d'erba», disse strappando il lungo stelo di un fiore del quale gettò via la corolla, «come questo per esempio, e di dividerlo in tante minuscole parti, diciamo alfa, e di queste alfa di prenderne solo alcune...» «Diciamo beta!» disse pronto lo spilungone, anticipando l'amico per dimostrare che stava seguendo. «Sì, di quegli alfa prendiamone beta. Adesso, supponi che alfa o beta siano numeri pari, ma non entrambi...» «Se fossero entrambi pari, butteremmo via metà dei pezzi alfa e metà dei pezzi beta finché una delle due quantità, se non entrambe, diventerebbe dispari. Fino a qui
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ci sono arrivato». «Ottimo! Ora pensa di allineare i pezzetti di stelo del mucchietto che ne contiene beta costruendo il lato di un quadrato, e poi immagina di fare lo stesso con tutti i pezzetti in numero di alfa. L'area del primo quadrato sarà occupata da tanti pezzetti quanto beta per se stesso e l'area del secondo quanto il numero alfa per se stesso». Cleonte smise di parlare un momento per dare importanza al ragionamento e si grattò la barba con solennità. «Un gran numero davvero», commentò Tallione confuso. «Sì, ma non distrarti e pensa a questa affermazione: in qualunque numero di pezzetti tu abbia diviso lo stelo e qualunque numero tu ne abbia preso alla fine, l'area del quadrato che ha per lato tutti i pezzetti non potrà mai essere il doppio dell'area di quello più piccolo». «Ma perché?» protestò lo spilungone, dopo una vana pausa di riflessione. «Il motivo lo hai detto tu prima», spiegò con pazienza Cleonte: «se alfa e beta sono entrambi numeri dispari, i loro quadrati saranno a loro volta dispari e quindi uno non può essere il doppio dell'altro». «D'accordo, ma se uno dei due è pari?» «Se fosse pari il numero più
piccolo, il quadrato più grande, che ha area dispari, non si potrebbe dimezzare in un numero intero di parti. Allora rimane solo un'ipotesi, che sia pari il numero totale di pezzetti, ma allora il suo quadrato sarebbe divisibile esattamente in quattro parti e, se lo dimezzassimo, otterremmo due porzioni uguali costituite da un numero pari di pezzetti. Quindi l'area del quadrato più piccolo dovrebbe essere pari, mentre l'ipotesi dice che è dispari». Fece una pausa, poi concluse: «Perciò qualunque frazione tu scelga, qualunque divisione di beta per alfa, non può avere un quadrato che sia uguale a due unità». Dopo aver terminato, Cleonte osservò sconsolato lo sguardo perso nel vuoto dell'amico, quindi aggiunse: «Ora, Tallione, ti ricordo la promessa che hai fatto: che non mi avresti mai più chiesto di spiegarti perché la radice di due non è una frazione! E adesso muoviamoci, il Maestro ci aspetta e su questa pietra mi si sono gelate le chiappe». Cleonte cominciò a camminare spedito con l'amico dietro ancora inebetito, ma la pace durò poco perché Tallione prese a dire: «È questo allora il segreto? Il mistero che Ippaso il traditore ha rivelato al mondo? È quella l'empietà che ha commesso? Va bene, però mi piacerebbe capirla, non chiedo poi troppo!» Mentre si inerpicavano su per la strada, l'uno continuava a lamentarsi, l'altro a tacere.
*** «Caro Tallione, da quanto tempo ci privi del piacere della tua compagnia». Il Maestro si era rivolto allo spilungone con una cordialità inusuale. Avvolto in un himation immacolato, era seduto accanto al focolare e sorseggiava del vino speziato. I capelli bianchi gli scendevano sulle spalle e incorniciavano, assieme a una barba altrettanto candida, un volto severo. Posata la coppa, fece cenno alla coppia di accomodarsi. «Maestro, è per me un onore rivedervi e...» «So cosa ti stai chiedendo. Non hai bisogno di parlare, la tua mente è un rotolo disteso per me». Tallione ebbe un moto di disappunto e arrossì. Dopo che si furono sistemati, il Maestro si alzò e con un gesto della mano impedì ai due amici di alzarsi a loro volta. «Vedi, Cleonte ha sempre perorato la tua causa, caro Tallione. La Fratellanza è una cerchia ristretta di persone», diceva mentre si avvicinava a un cane accoccolato in un angolo della stanza, «un circolo, un cerchio in cui vige la fede più cieca nella lealtà degli uni verso gli altri». Si fermò a un passo dal cane che si era alzato sulle quattro zampe e, abbassata la testa, aveva cominciato a ringhiare.
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«Una lealtà che è un'empietà tradire!» gridò, sferrando un sonoro calcio alla povera bestia che, guaendo, iniziò a correre con la coda tra le gambe fino a guadagnare l'uscita. Cleonte sussurrò all'amico: «sai, quel cane è la reincarnazione di un vecchio precettore del Maestro. Dice di averlo riconosciuto dal timbro della voce». Tallione rispose sottovoce: «ti devo confidare che questa storia della metempsicosi io non l'ho mai...» «Cosa stavo dicendo?» chiese il Maestro tornando al focolare. «Dicevamo della lealtà». «Lealtà, sì. La Fratellanza non è fine a se stessa. Noi possediamo la Verità. Sappiamo qual è l'essenza del mondo, ne conosciamo le intime proporzioni, possiamo spiegarne ogni singola vibrazione, da quelle che regolano la caduta dei granelli di sabbia in una clessidra, fino ai moti dell'anima che scatenano passioni, che incendiano le città e le radono al suolo. Chi sceglie la Fratellanza ha accesso a questo, e a molto altro». Declamava tutto ciò spostandosi a lunghi passi per la stanza, come posseduto da una visione, ma a un tratto si fermò. Era a un passo da Tallione, che abbassò la testa come il cane preso a calci. Quello spilungone, rannicchiato su se stesso, sentì due occhi fiammeggianti incorniciati da candide ciglia che lo scrutavano nel profondo e, a un tratto, udì le parole: «Questo ti offro». Fu co-
me nascere una seconda volta. «Cosa chiede la Fratellanza in cambio? Solo lealtà. La fedeltà alla parola data: di non divulgare al mondo la Verità. I nostri avversari politici non aspettano altro che questo: un'incrinatura nel cerchio, una falla attraverso la quale entrare per depredarci delle nostre conoscenze più preziose e profanarle, per usarle a loro beneficio e poi gettarle ai porci come fanno con tutto il resto. È nostro dovere preservarle per porre il mondo sotto la nostra ferma e giusta guida». Cleonte disse: «È un grande onore che ti viene fatto, Tallione. Ti ripaga della lunga attesa». «Però», interruppe il Maestro, «la fiducia occorre meritarsela. E tu la meriti, vero?» «Certo!», rispose rialzando la testa rinfrancato. «Cosa devo fare?» «Sai già che, dopo l'apprendistato, non ti restano che due cose: il giuramento e l'iniziazione». «Sono pronto». «Allora giura!» Cleonte scoprì una pietra di marmo pentelico su cui erano incisi dieci cerchi a formare un triangolo equilatero. Tallione appoggiò le palme su di esso e le parole, nascoste da anni nel profondo dell'anima, fluirono dalla sua bocca: «Benedicimi, o numero divino, tu che hai generato uomini e dei! O sacro, sacro Tetraktys, tu che contieni la sorgente dell'eterno scorrere della creazione! Per il numero divino che inizia dalla profonda, pura
unità fino al sacro quattro, e che poi genera la madre di tutto, che tutto comprende, che tutto contiene, il primogenito, l'imperturbabile, l'inesauribile, sacro dieci che tutte le chiavi possiede! Per il sacro Tetraktys io giuro». Tallione riprese fiato, spossato, e Cleonte lo sollevò. Il Maestro pose la mano sul capo del novizio e decretò: «Per suggellare questo patto con la Fratellanza e dimostrare la tua lealtà, adesso ti resta una sola cosa da fare. Un piccolo gesto per contrastare i nostri avversari, per chiudere la falla attraverso la quale tutto ciò che aborriamo potrebbe sommergerci». «Cosa devo fare, maestro?» chiese Tallione con una decisione che gli era sconosciuta. «Una sola cosa. Pensaci, in questo momento storico siamo come una nave nella tempesta...»
rinfrancava ricordando la missione. Cleonte, accanto a lui, cercava di farsi largo per vedere meglio chi andava e veniva. «L'informatore aveva ragione», disse a un tratto. «Ecco Ippaso!» Lo spilungone, facilitato dall'altezza, guardò sopra le teste verso il punto accennato dall'amico. Vide a poca distanza un ometto insignificante, calvo e con la barba arruffata, infagottato in un mantello di lana grezza e con poco bagaglio. L'uomo sembrava spaventato e ogni spallata che riceveva pareva pugnalarlo. «È lui. Restiamo a distanza, potrebbe riconoscermi», disse Cleonte. Seguirono l'ometto lungo la banchina finché salì, con circospezione, su una imbarcazione da carico. In quel momento, con argani e carrucole, gli scaricatori stavano issando a bordo una statua in bronzo, mentre un'altra stava per essere preparata per il *** trasporto. «Anche la nave è quella prevista, ti regolerai?» Il porto di Reggio era animato e come lo so ancora», rispose chiassoso come sempre. Sotto un «Non Tallione, «ma il viaggio è lungo. sole invernale, ma caldo come E poi lo ha il Maestro: la può essere solo di fronte alle co- Fratellanza detto è come una nave nella ste della Sicilia, una folla di mercanti, facchini, carpentieri e tempesta». gli restava che imbarcarsi a marinai, provenienti da ogni parte Non sua volta prima di avviarsi, del Mediterraneo, commerciava- abbracciòe,l'amico: no, scaricavano e caricavano, ri- «Addio, fratello». «addio». paravano le navi e governavano le vele. In quella confusione Tallione si FINE sentiva sperduto, ma presto si
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S ka n Pace
mettendosi le mani tra i lunghi dred – Ti sei fatta tatuare il simbolo della pace su entrambi i palmi! – Certo. La pace è quel che più di tutto desidero al mondo e quando alzo le mani voglio che tutti lo sappiano, perché la mia non è una resa, ma la pretesa di uno dei valori più grandi in cui tutti gli uomini dovrebbero riconoscersi.
– Dannazione Nico, forse ho una costola rotta e tu perdi sangue come una fontana. Dobbiamo andare in ospedale. – No, Mara, se ci facciamo vedere in un pronto soccorso, dopo il casino che abbiamo combinato, ci portano subito dentro. Sera, h18:15 – Strappami la maglietta e tampoCorteo, h 15:30 la ferita. – Celerini bastardi! – urla Nico nami – Ma perdi una marea di appena vediamo i caschi blu sangue… disporsi in file compatte con gli – È vero, perdo una fottuta marea scudi alzati in fondo alla via. di sangue Mara, ma ti assicuro – Nico no! – esclamo delusa – la ferita non è grande. perché provocarli? siamo qui per che Ci appartiamo un cespula pace, perché sia un valore per glio del parco indietro cui ci siamo ritutti. Mi avevi promesso che… fugiati dopo l’ultima della – Sì, ho promesso che non alzerò polizia e con le mani carica tremanti un dito, questo non vuol dire che provo a fare quel che Nico mi ha non possa urlargli contro quanto chiesto, ma non è facile, vedo le mi fanno incazzare, sempre stelle a ogni respiro e i palmi pronti a menare le mani con lo mani mi fanno un male del stato che gli para il culo qualsiasi delle diavolo. cosa facciano. ripete una voce nella – Smettila con questi discorsi del ‘Diavolo’ mia mente, ma non può essere cazzo – dico sbarrandogli la stra- che la conseguenza da e afferrandolo per le braccia – vuti poco prima. dei colpi ricesono persone come noi! – Sì, ma loro hanno il mangaCorteo, h 16:20 nello. – Forza, alziamo le mani – urlo – Sei un coglione – dico di trasmettere agli altri stringendo ancor di più la presa. – cercando ragazzi del corteo la mia determiNoi siamo qui per la pace e la – basta insulti e provocainvocheremo per tutti, anche per nazione zioni, urliamo solo quel che voloro, avanzando a mani alzate. gliamo: PACE, PACE, PACE… Guarda. La sensazione che provo è – Ma tu sei fuori – dice Nico esaltante, centinaia di voci si uni-
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scono alla mia e i celerini indietreggiano perché davanti a loro non ci sono semplici mani alzate, vuote, disarmate, ma un vero e proprio muro di pacifisti determinati. Proprio quando mi convinco che la nostra voce possa entrare in risonanza con la voce di tutti gli abitanti della Terra, però, una sassaiola si abbatte sugli agenti di polizia che tornano a serrare i ranghi. Quando mi giro, sento cedere le gambe. Decine di Black Block vogliono far degenerare tutto in guerriglia. Sera, h 20:35 Con l’imbrunire usciamo dal parco e ci ficchiamo dentro dei vicoli stretti e bui, certi di rimanere nascosti agli occhi degli agenti che perlustrano ancora la zona. – Gira a destra Mara e continuiamo così per duecento metri… siamo vicini al garage in cui abbiamo passato la notte.
Nico fa fatica a parlare e per camminare si appoggia a me, ma non vuole saperne di andare a farsi medicare. Io so solo che ha perso un sacco di sangue, ma nonostante tutto ha forza a sufficienza per impedirmi di portarlo al pronto soccorso. In un piccolo slargo troviamo una fontanella e ne approfitto per sciacquargli la ferita, in effetti, non è profonda, ma non so dire quanto può averne perso. Se penso, però, alle mie braccia sporche fino ai gomiti e alla sua maglietta ormai zuppa, mi chiedo come faccia a non essere ancora svenuto se non peggio. Provo ancora una volta a fargli cambiare idea, ma non c’è nulla da fare contro la sua ostinazione e per me alzare la voce è puro masochismo. – Cazzo Mara, sono già stato dentro due mesi fa, se mi prendono un’altra volta, io me la posso dimenticare la tua bella faccia, soprattutto dopo quel che ho fatto a quel celerino. – Porca puttana Nico – ribatto incazzata nonostante il dolore al costato – perché hai continuato a colpirlo dopo che era rimasto a terra? Non mi risponde, si attacca alla fontanella e beve lunghe sorsate d’acqua, quindi, dopo essersi staccato, aspira una profonda boccata d’aria e aggiunge: – Non insistere, ti prego, ti assicuro che non è facile ragionare dopo che ti hanno aperto una ferita in testa a colpi di manganello. Io invece vorrei continuare a
parlare, per convincerlo di quanto sia sbagliato ricorrere alla violenza anche se sono stati altri a cominciare, ma Nico non sembra più avere forza per rispondere, quella che gli è rimasta la sta usando tutta per trascinarsi fino al garage. Quando lo raggiungiamo, prima di infilarci dentro il basso lucernaio che dà aria a quel freddo seminterrato, lancio occhiate a destra e sinistra per essere sicura che nessuno ci veda. Un attimo prima di lasciarmi scivolare giù è come se un’ombra mi passasse vicino, ma sono talmente stanca e rintronata che dalla mia testa mi aspetto ogni possibile genere di allucinazione. Corteo, h 17:05 – Basta! BASTAAAA! – urlo girando le spalle alla polizia nel vano tentativo di impedire a un folto gruppo di Black Block di avanzare. – È inutile – grida Nico tirandomi per un braccio – quelli non sono nemmeno italiani, oltre a non sentirti, nemmeno ti capiscono. – Forse non capiranno le mie parole, ma questo simbolo devono conoscerlo per forza – dico sull’orlo di una crisi isterica alzando i palmi davanti ai suoi occhi, quindi, mi giro di nuovo verso i Black Block alzando le mani più che posso ma questi, concentrati sui caschi blu, nemmeno mi guardano. – Carica di alleggerimento – gracchia una voce amplificata e distorta da un megafono.
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– Vieni via! – grida ancor più forte Nico – i bastardi stanno caricando. – Hanno ragione – rispondo cieca di rabbia cercando di avanzare contro i Black Block – sono quegli stronzi ad aver lanciato pietre e bottiglie incendiarie. – D’accordo, Mara, come vuoi tu, ma se restiamo qui faremo una brutta fine: siamo chiusi tra due fuochi! La carica della polizia spinge e anziché disperderci, ci schiaccia uno sull’altro, talmente stretti da non riuscire a respirare. Una spranga mi si punta contro, forse mi ha rotto una costola. La polizia si ritira di qualche metro e io riesco di nuovo a respirare, ma solo per scoprire che mi fa un male boia. Mi guardo attorno cercando di mettere a fuoco la situazione. Nico è ancora vicino a me: – Andiamo via! Annuisco frastornata, ma proprio mentre allungo una mano per afferrare la sua, i Black Block si compattano e aprendosi la strada tra i manifestanti, arrivano a fronteggiare la Polizia. Insulti, sassi e un’altra bottiglia incendiaria. La reazione è una serie infinita di lacrimogeni e di colpo la marcia trionfale per la pace che avevo capeggiato si trasforma in un paesaggio dantesco avvolto da nubi tossiche che tolgono l’aria senza lasciarci tenere gli occhi aperti.
D’improvviso l’uomo si porta le mani alla testa e cade a terra rantolando o, almeno credo, vista la maschera antigas che ne deforma voce e viso. Nico si rialza cercando di tamponarsi la ferita alla testa che gli ha già ricoperto una mano di un rosso brillante. – Prendi bastardo! – urla colpendo con ripetuti calci al costato l’uomo rannicchiato a terra. – No, no… fermati Nico. Ma lui per risposta assesta un altro calcio alla testa del poliziotto e io, disperata, mi aggrappo alle sue ginocchia per fermarlo. Dopo un tempo che non so valutare mi rimetto in piedi e Corteo, h 17:15 aggrappata al suo braccio, ci È proprio quando mi convinco che non riuscirò più a trovare Ni- allontaniamo dall’inferno. co che lo scorgo tra le spirali di Notte, h 22:40 fumo tossico. Ha il volto coperto ‘Sono qui’. da una sciarpa per cercare di riu- – Cosa?! scire a respirare, niente di così hai invocato e io ho risposto. efficace come le maschere anti- ‘Mi Sono per te Mara’. gas con cui si proteggono i celeri- È unaqui voce profonda quella che ni che, manganello in pugno, sento ed è nella mia testa. – Io ho hanno sfondato il gruppo dei invocato il Signore… Black Block e ora avanzano ‘E il signore delle tenebre ha ricolpendo chiunque si trovi davanti a loro. Come Nico che con sposto’. – ripeto istupidita – gli occhi su di me non si accorge –No,Tenebre?! io cercavo… Dio. del poliziotto apparso dalla ‘Non m’interessa chi cercavi, tu nebbia alle sue spalle. hai invocato il mio aiuto più volte – Nooo! – urlo disperata veio te l’ho dato: ho mosso il dendolo cadere a terra. D’istinto ecorteo tue spalle facendogli gli vado incontro e sollevo le ma- gridarealle Pace; ho bloccato il polini verso il suo aggressore. Non ziotto che stava colpirti; e ho idea di cosa fare, so solo che ora, dopo che haiperpagato vorrei provasse lo stesso dolore di sangue, sono venuto quiil tributo proche ha inferto al mio compagno. Notte, h 21:25 – Nico, Nico – chiamo con un filo di voce, ma non mi risponde. Sono a terra con la sua testa in grembo. In uno specchio rotto in bilico contro un cumulo di cianfrusaglie ammassate sulla parete opposta, vedo le nostre immagini riflesse: sembriamo una Madonna e un Cristo con i capelli rasta. Senza forze abbandono le braccia a terra e in un sussurro mi metto a fare qualcosa che non credevo possibile: prego. – Aiutaci Signore, aiutaci. Abbiamo combinato un gran casino, ma noi volevamo solo la pace.
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prio come ha chiesto. – Tributo di sangue? – balbetto mentre un’ombra tra le ombre esce dal vetro rotto dove prima c’era la mia immagine. Piena d’orrore abbasso lo sguardo su Nico, non respira più… ‘Sì, è morto e con il suo sangue ha dato energia ai simboli del male che ti sei tatuata sulle mani’. Incredula, passo lo sguardo sui miei palmi – Ma questo… è il simbolo della pace. Nella mia testa sento rimbombare una risata profonda. ‘Punti di vista. Il segno tracciato dentro al cerchio è lo Yr, la Runa della Morte, ed è la chiave per invocare Satana. Ma non preoccuparti, io e te ci intenderemo alla perfezione, vedrai’. – No! Io voglio la Pace, io sono per il bene! La risata dentro la mia testa è insopportabile. Mi tappo le orecchie con i palmi doloranti, ma l’unico risultato è aggiungere dolore su dolore. ‘Vedi ragazza, Pace e Bene sono concetti differenti e non è scritto da nessuna parte che debbano coesistere. Senza contare che al libero arbitrio, si aggiungono anche l’imprevisto e l’ignoranza. Perché ricordati: l’ignoranza è potere’. Due giorni dopo Mi sveglio nel mio letto di casa. Tutto è così irreale… non mi ricordo come ci sono arrivata. – Sono contenta che tu stia bene – dice mia madre abbassandosi su
di me per rimboccarmi le coperte e poggiarmi un bacio sulla fronte. – Io e tuo padre abbiamo visto in televisione quel che è successo l’altro ieri alla manifestazione e non sai quanto siamo stati in pena per te. E poi… – Cos’è successo? – chiedo tirandomi su a sedere. – Non so… dimmelo tu Mara. Sei arrivata a casa ieri con il treno delle undici e trenta, hai salutato e sei crollata a dormire sul tuo letto. Io non ho osato svegliarti, ma dopo oltre un giorno di sonno incominciavo davvero a temere per te. Stavo per chiamare il dottore… – No – dico preoccupata senza sapere esattamente perché. – Davvero mamma, sto bene, sai… sono stata sveglia per quasi due giorni a fila, avevo solo bisogno di dormire. – D’accordo, dimmi piuttosto… che cos’è successo a quel tuo amico. – A chi? – Sai, al telegiornale hanno detto che un certo Domenico Menelli è morto dissanguato per una ferita al capo. Sembra che se fosse andato al pronto soccorso anziché a nascondersi nel garage in cui l’hanno trovato si sarebbe salvato. Non riesco a parlare, le lacrime mi salgono agli occhi e scoppio a piangere. Ho ricordi confusi di tutto il casino scoppiato alla manifestazione e di Nico non ho nessun ricordo dopo che i celerini hanno lanciato i lacrimogeni.
Torno a guardare mia madre per chiedere spiegazioni, per sapere se i telegiornali hanno detto quel che è successo, ma non riesco a parlare. Per un istante intravedo una strana ombra attraversare la stanza e con le braccia abbandonate lungo i fianchi crollo sulla sua spalla abbandonandomi a un pianto sconvolgente. – Su, su piccola mia. Vedrai che le indagini spiegheranno l’accaduto, l’importante è che tu stia bene e sia qui con me. In ogni caso, non preoccuparti, io sarò sempre con te. ‘Sì, Mara, io sarò sempre con te’. Due mesi dopo – Allora ragazzi avete capito? – chiedo al gruppo mentre ci apprestiamo a uscire dallo scantinato in cui ci siamo riuniti. – Sì, Mara – mi risponde determinato Luca, il fratello di Nico – andremo in città ognuno per conto proprio seguendo itinerari diversi in orari diversi, così, anche se la polizia dovesse aver messo dei posti di blocco, avremo più possibilità che la maggior parte di noi riesca a passare portandosi dietro le armi che abbiamo preparato. – Tutto giusto, tranne una cosa – dico dandogli un bacio sulle labbra – non chiamarle armi. È vero, lo sono, ma se ti scappa di dirlo davanti a orecchie indiscrete tutto potrebbe andare a puttane prima ancora di cominciare – quindi, dopo aver passato lo sguardo sugli altri ragazzi, chie-
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do: – Intesi? Non mi rispondono ma nei loro occhi c’è determinazione. – Bene – dico raccogliendo lo zaino – andiamo. Ci troveremo domani nel corteo. – Hei Mara, ma che cosa c’è nel tuo zaino? – Mi domanda Luca mentre percorriamo la strada per la stazione – Ho notato che è molto più pesante del mio. – Niente di che, non preoccuparti – gli rispondo con sufficienza riaggiustandomi lo spallaccio – solo un regalino per quei bastardi dei celerini. – E dai, sono curioso. – Mi spiace – replico prima di dargli un lungo bacio – ricordati… l’ignoranza è potere. Non preoccuparti, diciamo che è solo una sorpresa per ravvivare la manifestazione. – Va beh… ormai lo so che con te è inutile insistere. – Ecco bravo, finalmente una cosa giusta l’hai detta. Ora però dobbiamo separarci. – D’accordo – dice salutandomi con la mano su cui si è fatto tatuare il simbolo della pace come me – io vado a farmi un panino e poi prendo il treno successivo. ‘Allora Mara, sei pronta?’ – Sì, mio signore – sussurro compiaciuta mentre mi allontano – nello zaino ho una vera e propria bomba e se riuscirò a lanciarla sui celerini, avrai il tuo tributo di sangue e anche Luca potrà stringere un patto con te.
Il simbolo della Pace
Nel bene… Il simbolo della pace, a differenza di molti altri simboli la cui nascita si perde nell’incertezza del passato, ha un anno di nascita e un ideatore certi. Venne infatti concepito da un artista del Royal College ofArts, Gerald Holtom, nel 1958 per la campagna inglese a favore del disarmo nucleare. Nel cerchio che rappresenta il tutto - l’universo, il mondo Holtom inscrisse due segni che, mutuati dal Codice Internazionale di Segnalazione, rappresentavano le lettere N e D in base all’alfabeto visivo a bandiere. La sua idea, infatti, era di ottenere un simbolo facilmente riconoscibile cui far corrispondere le parole Global Nuclear Disarmament. Un decina d’anni dopo, la cultura giovanile degli anni sessanta se ne appropriò ampliando il concetto di disarmo a quello di pace. A questi significati se ne sovrapposero presto altri: nelle linee interne al cerchio alcuni ci vollero vedere la stilizzazione di un uomo disperato con le braccia abbassate in segno di resa, se non addirittura del Cristo con le braccia abbandonate come nelle più conosciute rappresentazioni della pietà, il tutto teso a un ulteriore ampliamento del significato
che da Disarmo Nucleare Globale è passato a indicare quello di Pace e infine di Resistenza Pacifica. Sembra che lo stesso Holtom in una lettera a un amico, il pacifista Hugh Brock, abbia confessato che l’ispirazione per il simbolo gli sia arrivata dopo essere caduto in depressione descrivendo l’associazione di idee con le seguenti parole: «Ero in uno stato di disperazione. Profonda disperazione. Ho disegnato me stesso: la rappresentazione di un individuo disperato, con le palme delle mani allargate all'infuori e verso il basso, alla maniera del contadino di Goya davanti al plotone d’esecuzione. Ho dato al disegno la forma di una linea e ci ho fatto un cerchio intorno.»
prio da chi per primo diede forma al simbolo. I segni interni al cerchio sono, infatti, riconducibili alla runa Yr (in italiano “tasso”) sedicesima lettera dell’alfabeto Fuþark recente e se la runa opposta, l’algiz, è interpretabile come un uomo con le mani alzate che invoca il signore, lo Yr è interpretabile sia come un uomo che si arrende o come un uomo che si rivolge all’opposto di Dio, Satana. Lo Yr, infatti, è conosciuto anche come la Toten-Rune, ovvero la Runa della Morte che simboleggia l’errore, la confusione - sia attraverso l’appannamento della coscienza (per passione, amore, gioco, bere, ecc.), sia attraverso la menzogna, il tradimento - chi ostenta lo Yr, dunque, è un uomo Nel male… di moralità rovesciata, senza voAi significati positivi se ne sono lontà, aperto alle influenze accostati altri negativi, se non esterne, subliminali, notturne e addirittura demoniaci che alcuni infere. Per tali ragioni molti pacidetrattori dei movimenti pacifisti fisti convinti preferiscono non ritengono essere stati voluti pro- adottare tale simbolo.
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S ka n L'uomo verde
L’Uomo Verde è un volto composto da foglie o ricoperto da pampini, rami, fiori e frutti. L’immagine è generalmente maschile, rare sono le Donne Verdi. La sua figura fu probabilmente ideata da artisti dell’Antica Roma, in opere volte a sottolineare la stretta interdipendenza fra uomo e natura, soprattutto nella celebrazione di divinità silvane quali Pan, Bacco e Dioniso. Una statua di Dioniso rinvenuta a Napoli, risalente al 420 A.C. è considerata una della prime immagini dell’Uomo Verde: il nume, adorato con il capo incoronato di foglie, ne è considerato il più probabile precursore. Strette relazioni sono state individuate anche con il dio celtico Cernunnos, anch’esso ponte sovrannaturale fra l’umanità e il mondo silvano. L’Uomo Verde è simbolo di rinascita, verosimilmente correlato a riti propiziatori legati alla fertilità e al ritorno della primavera. Le antiche rappresentazioni in cui la vegetazione spunta da ogni orifizio del volto possono essere considerate una sorta di memento mori pagano, in cui i resti umani tornano nel ciclo di morte e rinascita e fungono da terreno di crescita per la vegetazione. Come avvenne per numerose altre immagini di origine pagana, la religione cristiana ne reinterpretò il significato, fa-
cendone un simbolo di Resurrezione e vita dopo la morte. L’Uomo Verde diventò così elemento decorativo frequente di edifici sacri di epoca medioevale, soprattutto nell’area britannica, francese e germanica. Il più antico esempio in tal senso è un’incisione, rinvenuta a Saint Abre in Saint Hilaraire Le Grand , risalente al 4OO d.C., che rappresenta un volto dalla cui bocca spuntano piante e foglie. Durante il Rinascimento vi fu una grande diffusione dell’immagine dell’Uomo Verde anche in Italia; esso fu però ridotto a mero elemento decorativo, spogliato di ogni valenza simbolica. Nel ventesimo secolo il Neopaganesimo, La New Age e la religione Wicca hanno assimilato l’imma-
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gine dell’Uomo Verde , utilizzandola come rappresentazione del Dio Cornuto, divinità sincretica che include caratteristiche del celtico Cernunnus e del greco Pan. Passeggiata primaverile
Laura ansimava lungo il cammino, curva sotto il peso dello zaino porta bimbo. L’ultima volta che aveva fatto quella passeggiata nei boschi era più in forma, pensò. E non aveva un cucciolo di sette chili sulle spalle. Si fermò a bere un sorso d’acqua dalla borraccia che portava in vita
e si voltò a dare un’occhiata a Tommaso: il piccolo dormiva beato, la testa reclinata e le guance arrossate dall’aria frizzante della primavera. Sotto le palpebre sottili gli occhi si muovevano appena, forse inseguendo le ombre dei propri sogni. Mancava poco alla vetta. Laura ripartì a buon passo, osservando quanto fosse trascurato il sentiero, invaso dagli sterpi e dai ricci marci dell’autunno precedente. Fra le foglie secche spuntavano sottili steli verdi, accanto ai castagni cominciavano a fiorire i crocus. La vegetazione si faceva più fitta poco prima della radura che si apriva in cima alla montagna, dove sorgeva l’antica cappella di San Michele. Una terrazza erbosa davanti alla facciata permetteva di ammirare il lago Maggiore, incastonato fra le prealpi. Laura ignorò il paesaggio e si rivolse verso l’architrave, dove un volto composto di foglie e pampini fissava inespressivo il panorama. “Ciao, ti ricordi di noi?” sussurrò la ragazza. Con un versetto acuto Tommaso annunciò di essersi svegliato. Laura appoggiò svelta lo zaino a terra e sfilò il piccolo, che si guardava intorno perplesso. L’espressione smarrita si illuminò di gioia non appena mise a fuoco il volto sorridente della madre. Laura gli schioccò un bacio su una guancia e il piccolo rise deliziato. La giovane si sedette a terra,
appoggiata alla colonna della cappella, e si slacciò i bottoni della camicetta a quadri. Il bimbo strinse le labbra intorno al capezzolo che la madre gli porgeva e fissò incantato il mascherone di pietra che li sovrastava. “Hai visto l’Uomo Verde, amore? Non aver paura, ha la faccia cattiva, ma è un vecchio amico. Della mucca e del vitello, della pecora e dell’agnello. Della gallina e dei pulcini, della mamma e i suoi bambini” cantilenò piano Laura. Stefano, quella sera, si era accoccolato a gambe incrociate proprio nello stesso posto. Pizzicava le corde della chitarra, i capelli dorati splendevano nella luce del tramonto. Era bellissimo. “Non mi sembra una buona idea.” L’aveva detto così, come se si fosse trattato della proposta di partecipare a una scampagnata in una giornata di pioggia “Infatti non lo è . Ma ormai è successo” aveva risposto Laura appoggiandogli una mano sulla spalla. Sapeva che si sarebbe spaventato, d’altronde anche lei era terrorizzata. “Devi fare qualcosa”mormorò Stefano. Provò un arpeggio complesso, ma un dito gli scivolò dalla tastiera della chitarra, emettendo un suono stridulo. “Cazzo”. Laura osservò una rondine che intrecciava fantasiose geometrie aeree e invidiò la libertà di quel minuscolo uccellino.
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“Io non abortirò, se è questo che vuoi dire” esclamò, sorpresa, più che dalle proprie parole, dalla fermezza con cui le aveva pronunciate. La rondine invertì la propria traiettoria e si gettò su un insetto che volava a pochi metri da terra. “Io non voglio figli. Non voglio legami, la mia carriera di musicista…” “Farò da sola” mormorò Laura senza distogliere lo sguardo dalla rondine, che era volata sotto la tettoia della cappella. Sopra al mascherone che adornava l’architrave, incastrato fra i mattoni, si intravedeva un nido, da cui spuntavano minuscoli becchi spalancati. Stefano si alzò in piedi e appoggiò la chitarra nella custodia. Si passò una mano nei capelli e guardò Laura in silenzio. Poi le afferrò una mano e la ruotò piegandola all’indietro, facendo sì che il mignolo le sfiorasse l’avambraccio. “Pensi davvero che se ci lasciassimo ora e tu partorissi fra sette mesi i miei non capirebbero tutto?” Le storse il polso di un altro millimetro. Alla ragazza sfuggì un gemito. “Mio padre mi ammazzerebbe. Mi costringerebbe a sposarti, a lavorare nel suo schifo di ditta. Mi ritroverei inchiodato in questo paese di merda, addio band, addio musica.” Una boccata acida invase la gola di Laura. Trattenne un conato di
vomito, ma le gambe le cedettero e si trovò in ginocchio davanti al ragazzo furibondo. Le girava la testa, sperò di svenire e mettere fine a quell’orrore. “Guardami, scema” gridò Stefano,“piuttosto ti ammazzo, lo capisci?” Laura sollevò lo sguardo, ma non fu il volto rabbioso del suo fidanzato ad attirare la sua attenzione. Le foglie del mascherone sull’architrave non sembravano più fatte di pietra grigia, ma fluttuavano verdi, come erba piegata dal vento. I pampini si dispiegavano nella luce dorata del tramonto, alcuni viticci risalivano a sostenere il nido delle rondini, altri scivolavano lungo la facciata contorcendosi come tentacoli. “Sto impazzendo” pensò Laura. Gli occhi della statua avevano abbandonato la gelida fissità per assumere un’espressione d’ira e di sdegno, la bocca si era spalancata lasciando fuoriuscire un grido che scosse la montagna, un ruggito che emergeva dalla notte dei tempi.
raggiunto sconvolta il paese più vicino e aveva dato l’allarme, ma il suo stato confusionale non aveva permesso di capire con precisione dove era avvenuto l’incidente. Le squadre del Soccorso Alpino si erano aggirate nella zona per quasi una settimana prima di rinvenire il cadavere, il cranio spaccato dalla roccia su cui era precipitato. Una lieve patina di muffa verde ne ricopriva la pelle bagnata dalla rugiada notturna.
Laura staccò Tommaso dal seno, si alzò in piedi e lo strinse a sé, appoggiandone il piccolo viso sulla spalla. Passeggiò avanti e indietro davanti alla cappella, dandogli brevi colpetti fra le scapole perché digerisse prima di iniziare la discesa verso casa. Una rondine sfrecciava nel cielo, forse la stessa dell’anno prima. Oppure no, era uno dei pulcini che aveva intravisto sbucare in cerca di cibo, ora pronto a costruire il proprio nido. Solo per un istante, prima di scendere, ripensò a Stefano e si chiese se sul suo volto ora crescessero erbe e muschi, Fu una terribile disgrazia. come sul viso dell’Uomo Al ritorno della passeggiata a Verde. San Michele, Stefano aveva perso l’equilibrio ed era ruzzolato lungo un precipizio sassoso. Laura aveva
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S ka n
risultati e classifiche
1 - 1 41 - Cattivotenente 2 - 1 25 - LeggEri 3 - 11 8 - Rovignon 4 - 111 - Tetractys 4 - 111 - Lavinia Blackrow 6 - 86 - Simolimo 7 - 80 - Anark2000 8 - 69 - Ele Nina 9 - 64 - Willow78 1 0 - 62 - Paola B 11 - 32 - David G 1 2 - 25 - Shanda061 - 88 -
N o n pe r d e t e i l n u m er o d i M a r zo 2 01 4 L 'a l t r o L a t o
S ka n
Febbraio 2014
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N u me r o 1 8
La rivista multicanale di narrativa fantastica liofilizzata istantanea
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Nel segno di una nuova e ra
La runa bianca
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Come una nave nella tempesta
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Pace
d i A le s s a n d r o R e n n a
Passeggiata primaverile di LeggEri
R is u lt a t i e c la s s ific h e
Venusian Lady
illustrazione di Diego Capani