Anno 3
N u me r o 2 5 -2 6
S ka n
Settembre-Ottobre 2014
La rivista multicanale di narrativa fantastica liofilizzata istantanea
AMAZING MAGAZINE
Bright Side Trent'anni accanto a un genio Il romanzo storico The Last Ship Novità editoriali
R eg n u m C o n g o Novità editoriali Probably KING Tavolo zero Spoiler Alert The Big Black Hole Il Babbo / Il divoratore / L ' eq u i l i b r i s t a / R i f i u t i U S A M U n a S t o r ia a l M e s e
K r ig io n
I reietti dell'altro pianeta L'odissea del superuomo Apocalisse su Argo I visitatori I f ig li d i E r o d e U o m in i in r o s s o I riti dell'infinito Great North Road Elianto A me le guardie! Solaris L a c as a
Illustrazione di
Vincent Chong
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N o n pe r d e t e i l n u m er o d i N o ve m b r e 足 D i c em b r e
2 01 4
Mille e Una A vve n t u r a
Sommario
del
L'editoriale ............................. 5 di Jackie de Ripper Hanno collaborato OLTREMONDO Incontra Trent'anni accanto a un genio di Max Gobbo .............. 6 Il saggio Il romanzo storico di Adriana Comaschi .. 9 Piccolo schermo The Last Ship di Max Gobbo .............. 12 L'esordio P.Bacigalupi, "La ragazza meccanica" di Max Gobbo .............. 14 Novità editoriali ................. 16 Battisti et al.,"The Origins" G.Iannuzzi, "Fantascienza italiana" A.Generali,"Il segreto del cardinale" E.Passaro,"Mondo fabbrica" D.Altomare,"Surgeforas" Homo Scrivens,"Enciclopedia degli scrittori inesistenti" Caleb Battiago "Regnum Congo" di Alessandro Manzetti.24 C.Battiago,"I giorni della gallina nera" ................. 28 C.Battiago,"Kiki" ............ 29 Probably KING ................ 30 Una voce da Malta Bommarito,"Tavolo zero". 33 Being Piscu "Spoiler Alert" di Andrea Viscusi ......... 34
Jackie de Ripper e
Max Gobbo Alessandro Manzetti Roberto Bommarito Andrea Viscusi Mirko Giacchetti Diego Cocco Michele Vaccaro Massimo Luciani Riccardo Sartori Luca Scelza Lanny Lannister Dolby MOVIE 5.1
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Bright Side Guest Star "The Big Black Hole" di Mirko Giacchetti ..... 34 Versi Horror "Il Babbo" / "Il divoratore" / "L'equilibrista" / "Rifiuti" di Diego Coco ............... 36 Oltre lo Skannatoio USAM Una storia Al Mese "Krigion" di Michele Vaccaro .......38 I libri da rileggere Le Guin,"I reietti dell'altro..."...... 42 Harness,"L'Odissea del..." ........... 44 Sawyer,"Apocalisse su Argo"...... 46 Simak,"I visitatori"...................... 48 Bear,"I figli di Erode"................... 50 Scalzi,"Uomini in rosso"............. 52 Moorcock,"I riti dell'infinito".... 54 di Massimo Luciani I libri da tradurre Hamilton, "Great North Road". 58 di Massimo Luciani Il venditore di pensieri usati Benni,"Elianto"............................. 60 Pratchett,"A me le guardie!" ...... 61 L'esordio MarchisioArata,"A.R.C.A. Il risveglio di Pito"................... 63 Copycat "Solaris" ................. 66 "La casa" ................ 67 di Dolby 5.1 DARK SIDE ........................... 68
Sommario
del
Hanno collaborato Skannatoio Edizione XXXIII
willow78 Tonylamuerte Bloodfairy
(Laura Palmoni)
Reiuki
(Nazareno Marzetti)
La saggezza
Le specifiche ...................... 68 "Attento a ciò che desideri" di willow78 ................... 69 "Il grande niente" di Tonylamuerte ........... 73 "Inafferrabile" di Laura Palmoni ......... 77 "Butterfly Effect" di Nazareno Marzetti .. 82
Risultati e classifiche Skannatoio 5 e mezzo ...... 88
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Dark Side
Per festeggiare l'inizio del terzo anno di Skan Magazine, ecco un'altra edizione doppia. Lo stesso accadrà a Natale, con il numero doppio di novembre e dicembre. Edizioni più corpose ogni due mesi, ma non è detto che con l'anno nuovo non si torni a pubblicazioni mensili, come non è detto che, invece, le uscite si interrompano: Skan Magazine deve il suo nome al concorso online Skannatoio 5 e mezzo e, qualora cessasse, alla rivista mancherebbe la materia prima. Sarebbe impossibile raccogliere un numero sufficiente di racconti inediti senza lo Skannatoio e tutti gli altri concorsi gratuiti online che, di volta in volta, sono stati ospitati: la Macelleria n.6, USAM - Una Storia Al Mese, Minuti Contati e molti altri. Grazie alle opere di tanti autori che hanno collaborato con il loro mestiere e la loro arte, Skan Magazine ha trovato una ragione d'essere: dare spazio a scrittori più o meno affermati per poter essere conosciuti e apprezzati. Numerose rubriche sono nate intorno alla raccolta di racconti inediti: articoli, interviste, saggi e recensioni, ma il nucleo centrale è costituito dalla narrativa fantastica. Perciò noi speriamo che ci siano sempre nuovi autori, desiderosi di far conoscere la propria ispirazione, che continuino a mantenere viva la tradizione dello Skannatoio. Questa edizione doppia inizia, come dicevamo all'inizio, il terzo anno d'attività. La sezione di narrativa è ridotta, a causa di un'edizione dello Skannatoio, quella di agosto, che non ha raggiunto il numero minimo di partecipanti. Tuttavia le nuove edizioni, che saranno oggetto del prossimo numero, sono state combattute e i buoni racconti non mancheranno.
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Anche questo numero offre l'attesissima rubrica Oltremondo di Max Gobbo. L'intervista di apertura riguarda un "mostro sacro" del cinema, Stanley Kubrick, ricordato attraverso gli occhi dell'amico Emilio D'Alessandro. Seguono poi un saggio sul romanzo storico, una recensione e segnalazioni di novità editoriali. Ospitiamo, inoltre, uno speciale su Caleb Battiago, alias Alessandro Manzetti, con un racconto, due novità in ebook e la presentazione di "probably KING", un servizio di editing e traduzione a disposizione di chi volesse proporre le proprie opere sul mercato internazionale. Non mancano Bommarito, Viscusi e Giacchetti, mentre i fan di Bonaro dovranno attendere il prossimo numero per poter leggere qualche altro originale scritto del proprio beniamino. In compenso, pubblichiamo i versi di Diego Cocco, che traduce in poesia le suggestioni della narrativa horror. Inoltre, torna Michele Vaccaro con il racconto che gli ha permesso di vincere l'USAM di settembre. Il "bright side" si chiude con una nutrita serie di recensioni di romanzi di fantascienza a firma di Massimo Luciani, le impressioni di lettura di Riccardo Sartori e le recensioni di Dolby MOVIE 5.1 (che tratta di classici e remake). Questo e tanto altro vi aspetta, cari affezionati lettori. Siamo certi, però, che non resisterete alla tentazione di sfogliare subito le pagine del "dark side" con quattro racconti fantastici tratti dallo Skannatoio di settembre. Autori già conosciuti e una interessante novità vi attendono. Buona lettura! Jackie de Ripper
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AMAZING MAGAZINE
Il Terzo anno ha inizio
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Oltremondo
Incontra
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Oltremondo
il Saggio
IL ROMANZO STORICO
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è nata a Venezia, dove ha completato il suo percorso scolastico. Laureata, ha lavorato per il Comune e l’Università della sua città, relegandola sua passione, la scrittura, a un semplice hobby. Lasciato il lavoro ha continuato a scrivere, ma con l’intento di riuscire ad affermarsi come scrittrice professionale; e con l’ Edizioni Domino ha raggiunti quest’obiettivo, pubblicando 6 romanzi e alcuni racconti per i quali ha ottenuto premi e segnalazioni.
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Oltremondo
Piccolo Schermo
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L'esordio
LA RAGAZZA MECCANICA
di PAOLO BACIGALUPI
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Novità
The Origins
Sandro Battisti | Giovanni De Matteo | Marco Milani Special Guest Lukha B. Kremo Come si può descrivere un ologramma? L’unica possibile soluzione è osservarlo, attraversarlo, entrarvi dentro, fino a divenire parte integrante di quel caleidoscopio – di visioni e connessioni – in grado di mettere a fuoco ogni singola parte e presentare, infine, la visione totale. Diciassette racconti – tra opere edite e inedite – tracciano il senso del meraviglioso attraverso le penne degli iniziatori del Connettivismo, delineando il percorso avventuroso che li condusse, la notte del 22 dicembre 2004, a creare il Movimento e contemporaneamente – in un altro luogo – la N/Azione Oscura, humus generativo su cui è cresciuta e si è sviluppata questa avanguardia SciFi. Cosa c’era prima del Connettivismo? Allacciate le cinture e preparatevi a scoprirlo: questo è un viaggio nel mondo della Fantascienza attraverso l'arco del Fantastico, che apre una panoramica sugli approcci e le tematiche di Sandro Battisti, Giovanni De Matteo, Marco Milani e Lukha B. Kremo, prima che l’unione di intenti e forze creative generasse l'avventura connettivista. Diciassette racconti – in una selezione di testi editi e inediti – tracciano una traiettoria verso l’oltre e i territori non ancora cartografati del Fantastico.
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Novità
Fantascienza italiana
Riviste, autori, dibattiti dagli anni Cinquanta agli anni Settanta
Una storia della fantascienza italiana attraverso le principali testate periodiche. «I Romanzi di Urania», «I Romanzi del Cosmo», «Oltre il Cielo», «Galaxy» e «Galassia», «Futuro» e «Robot» sono i laboratori che, tra gli anni Cinquanta e Settanta, hanno proposto la fantascienza come un genere riconoscibile e declinato in molti modi differenti. Sono queste le sedi in cui hanno trovato posto e si sono sviluppate le traduzioni della fantascienza angloamericana, i primi autori italiani, la critica e i dibattiti attorno al genere. Lo studio ripercorre la storia di queste pubblicazioni e dei protagonisti che ne hanno popolato le pagine, per ricostruire, tra avventure spaziali e raffinate distopie urbane, riuso e invenzione, l’alba di una fantascienza scritta in lingua italiana. Giulia Iannuzzi, laureata in Lettere moderne a Milano, ha concluso un dottorato in italianistica a Trieste con una tesi sulla fantascienza italiana. Attualmente lavora a uno studio sulla traduzione e la fortuna della fantascienza americana in Italia. Si occupa di fantascienza, storia dell’editoria, relazioni tra scrittura letteraria, editoria e nuovi media, interdisciplinarità negli studi letterari. Oltre a vari saggi in volume e rivista, nel 2009 ha pubblicato L’informazione letteraria nel web. Tra critica, dibattito, impegno e autori emergenti.
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Oltremondo
Novità
Il segreto del cardinale
Bernardo è un giovane cavaliere al servizio di Tolomeo Gallio, un potente cardinale che vive tra Roma, Como e la Contea di Alvito. Durante una missione nel Nuovo Mondo, il cavaliere sarà testimone di un inspiegabile omicidio, che avrà eco in una Roma distratta dal Giubileo del 1 600 e dall’esecuzione di Giordano Bruno e Beatrice Cenci.
Angela Generali Nata a Cremona, si trasferisce a Roma per lavoro. È autrice dei romanzi storici Keltia · Sul grande fiume, Samnites · Sangue d’eroi, Camilla regina guerriera oltre che di diversi racconti e servizi giornalistici dedicati alla vita quotidiana dei popoli antichi, la sua grande passione. Con la La spada longobarda · A.D. 1 091 si aggiudica il premio Giallolatino nel 2008. Il segreto del cardinale, invece, è stato presentato nell’edizione 201 4 del Festival delle Storie.
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Novità
Mondo Fabbrica
di Errico Passaro Un giallo fantascientifico, che oltre all’intreccio appassionante e al gusto per la caccia al colpevole, traccia una mappa critica della società del futuro, i rapporti fra industriali e operai, fra polizia e cittadini, fra individuo e massa, fra potere corrotto e gli onesti. Gianfranco de Turris oci
Una gigantesca colonia industriale, la più imponente stazione spaziale che l’uomo abbia mai usato immaginare. Mentre stampa e sindacati si battono per la tutela dei diritti dei lavoratori, l’orribile quanto misterioso delitto di un operaio scuote la quotidianità della Fabbrica. L’agente scelto Lance Williams viene chiamato in soccorso, con lui c’è Micro, un’interfaccia di nuova generazione capace di interagire con tutti i sistemi informatici. Ma nuovi delitti continuano a susseguirsi. Azione e colpi di scena a opera di uno dei più giovani maestri della fantascienza italiana.
Errico Passaro è nato nel 1 966 a
Roma, dove lavora come consulente legale dell’Aeronautica Militare. Vive ad Anzio, circondato da quattromila libri. Ha pubblicato oltre 1 700 articoli, 7 romanzi, 1 21 racconti. Le ultime pubblicazioni sono: Zodiac (Urania Mondadori), Inferni (Bietti), Necropolis (Giallo Mondadori).
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Oltremondo
Segnala
Donato Altomare
SURGEFORAS Presentazione di Roberto Genovesi Primo Premio "Le Ali della Fantasia" 2005
A metà strada tra il fantastico e il gotico, Surgeforas è una storia di dèmoni e uomini e di qualcosa che va al di là della umana concezione di vita e morte. Surgeforas è il nome di un’entità altra, ma anche di un simbolo che rende la fallibilità dell’uomo l’unico strumento invincibile di fronte all’ignoto da cui trae linfa vitale l’inferno. La porta che conduce al cuore del male è un piccolo cimitero sperduto nella provincia italiana. Altomare muove la narrazione come l’ago di un pendolo tra presente e passato con ritmo sempre più vertiginoso fino a sovrapporre i confini di tempo e spazio. I personaggi che si succedono agli occhi di chi legge sono sempre vividi nei tratti, nei gesti e nella funzionalità al cospetto della storia. Copertina di Luca Casalanguida
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S ka n Enciclopedia degli scrittori inesistenti 2.0 di Homo Scrivens a cura di
Oltremondo
Segnala
improbabili movimenti letterari, componimenti, figure retoriche inesistenti, riviste mai date alla stampa, fiere del libro e premi letterari. Quanti scrittori vi siete persi per il solo fatto che non esistevano!
Giancarlo Marino e Aldo Putignano «Tre parole su questo libro? Non esiste proprio». (Pino Imperatore) In occasione della Settimana della letteratura inesistente (ottobre 2012), con eventi su tutto il territorio nazionale, arriva in libreria il capolavoro di Homo Scrivens!
Una gigantesca opera d’immaginazione collettiva: cinquecento schede di scrittori che non sono mai esistiti e opere che nessuno può aver letto, a cura di circa duecento scrittori (quasi tutti esistenti) di ogni parte d’Italia. Una teoria di personaggi più o meno verosimili, che attraversano epoche e culture, dalla preistoria ai robot scrittori del futuro, dallo Stil Novo alle avanguardie: racconti essenziali, vite difficili o divertenti, solenni o grottesche, accompagnate da
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«Nessuno ha influenzato la mia scrittura più di Martin Overall, il cantore della metropolitana di New York. E questo libro è un tributo a tanti come lui. Che non esistono».
Murizio de Giovanni
S ka n
Oltremondo
Prossi mamente...
Un’esclusiva intervista a sorpresa sul mondo dell’immaginario e tanto altro ancora2
Speciale Oltremondo horror Quattro autrici italiane si confrontano col vampiro con Alexia Bianchini Mara Cassardo Filomena Cecere Monica Serra
Una nuova frontiera per il giallo fantascientifico
Benvenuto nella mia casa! Entrate libero e tranquillo!
Un denso viaggio lungo vent’anni nella SF italiana
Bram Stoker
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S ka n Alessandro Manzetti, autore di narrativa horror, fantascienza, weird, dark poetry, consulente editoriale ed editor. Ha pubblicato, col suo nome e con lo pseudonimo di Caleb Battiago, due romanzi (Naraka, Shanti), sette racconti e raccolte (Acrux, Parigi Sud 5, Limbus, Malanima, Vessel, Kiki, I Giorni della Gallina Nera), tre pubblicazioni antologiche (Nakara Kollection, Red Kollection e Black Kollection) una collection di interviste ai grandi maestri dell'horror anglosassone (Monster Masters) una raccolta di poesie dark (Uterus), due pubblicazioni in lingua inglese (The Shaman, Venus Intervention) e diversi racconti e poesie dark inseriti in antologie, cartacee ed ebook e su magazine internazionali, quali The Horror Zine (USA) e The Poetry Box (UK). Ăˆ il responsabile della agenzia di traduzioni ed editing Probably King, ha collaborato con varie case editrici (Gargoyle Books, Edizioni XII, Mezzotints eBooks, Kipple Officina Libraria) come responsabile editoriale, editor di collana, responsabile marketing e diritti esteri. Ăˆ membro della Horror Writers Association (HWA), della Science Fiction Poetry Association (SFPA) e della British Fantasy Society.
Caleb Battiago
NovitĂ
Regnum Congo
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dalla raccolta di racconti Red Kollection
S ka n Regnum Congo
Caleb Battiago
Al e s s a n d r o M a n z e t t i
Il Massachussets è troppo grande per scoprire una vecchia tomba, Liberamente ispirato al racconto senza sapere dove cercare. “The Picture in the house” di H.P. Lo- Vent’anni di fango e di deserto, di vecraft fotografie sconosciute, di grassi custodi, di un invisibile gracchiare What annoyed me was merely the persi- di ombre. Un eterno bianco e nestent way in which the volume tended to ro, su file regolari, tra pozze viola e fall open of itself at Plate XII, which gialle: fiori marci, disintegrati. Il represented in gruesome detail a butcher’s vomito del tempo. shop of the cannibal Anziques. I expeIl cimitero ormai è chiuso, il rienced some shame at my susceptibility cancello stretto dalla catena. Le to so slight a thing, but the drawing ne- punte arrugginite, il campanello vertheless disturbed me, especially in ossidato, le impronte digitali della connexion with some adjacent passages tristezza. Creste, micron di fantadescriptive of Anzique gastronomy. (da smi. Ho perso troppo tempo per The Picture in the house - H.P. Love- seguire la mia mappa di illusioni, le craft, 1920) tracce del vecchio su questo mondo. Fanculo, non lo trovo da La pioggia, sempre più stretta, nessuna parte, deve aver cammipenetra nel ventre del piccolo cinato tutta la vita senza scarpe, mitero di Wilsondale. Lampi, senza piedi. Esisterà davvero la sua tronchi che galleggiano in un mare tomba? Oggi ho letto cinquecentodi terra nera. Un posto senza più venti nomi, cinquecentoventi lapischeletro, senza una solida logica. di. Ormai sono arrivato a centinaia Foglie affogate, ossa d’acqua, tutto di migliaia, in tanti anni. Conosco sembra squagliarsi. La mia vecchia tutti gli indirizzi dell’Inferno, Ford è bloccata, azzannata dai tranne uno. denti morbidi del fango. I vermi, Cristo, qui non c’è più nessuno. aggrappati allo sportello con un Il parcheggio di terra è sfregiato lunga cordata, sono arrivati alla dalle sgommate, dalle curve morte maniglia. Sono riusciti ad entrare, di chi è già andato via. Posto di luhanno acceso la radio. Until the end mache del cazzo. Mi allontano a of the world. Ho fatto una cazzata a piedi, spero di incontrare qualcosa uscire dalla Yankee Division con di vivo, di acceso. Un passaggio questo tempo. Tutto per trovare per tornare sulla Yankee, tra mio padre, la sua poltiglia sottol’amato asfalto e le tette giganti dei terra, quello che sarà rimasto del cartelloni pubblicitari. Monotonia vecchio. Forse i suoi due denti di alberi, le scarpe bagnate, la d’oro, stelle nel frullato di melma. lingua secca. Una macchia rossa, in [dalla raccolta di racconti Red Kollection]
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fondo. La lascio alle mie spalle. Sono le lamiere della mia Ford. Il muro di cinta del cimitero è affondato troppo presto, non si vede un cazzo con questa pioggia. Devo andare avanti. Penso al mio vecchio, come al solito, ai frammenti che mi sono rimasti dentro. Ricordi che puzzano di sigaro, del sudore di fantasmi in canottiera davanti allo specchio. Il pettine nero, la riga da una parte. Un sorriso storto: quella volta non aveva bevuto. L’insolito silenzio di quella mattina, niente grida. Mia madre sul divano con la fronte squarciata, un asciugamano zuppo di sangue. Una bottiglia rotta in testa, lacrime, bestemmie. Il vecchio ne aveva combinata un’altra delle sue, niente di nuovo. Invece no, se n’era andato sul serio quella volta. Ricordi che accendono una vecchia radio: le pantofole trascinate, la frusta della cintura, a volte, quel tossire e sputare alle cinque di mattina. Le sue raffiche mi facevano sentire al sicuro. Il vecchio era ancora con me, dentro quella casa sgangherata, coi polmoni neri e la faccia rossa. Le orme verdastre della sua schiuma da barba nel lavandino scheggiato, le campane di tutti i round dell’incontro di boxe in TV. Cosce e cartelli, numeri. Frammenti. Devo aver camminato parecchio, le gambe sono sempre più rigide, gelate. Quando penso al vecchio. non mi accorgo più di
nulla. Viaggio veloce come un razzo, accelero sempre più fino a schizzare fuori dall’atmosfera, per poi cadere giù. Per svegliarmi, alle cinque di mattina, senza più rumori. Silenzio, nel bagno e nell’anima. Due olmi con la testa fradicia stringono in una morsa una sagoma rettangolare. Qualcosa che ha le finestre accese. Cazzo, quella deve essere una casa, se non sono già impazzito. Qui in mezzo al bosco? Il mio vecchio mi avrebbe preso a calci nel culo per stronzate del genere. Lui leggeva nei miei pensieri. In questo posto di lumache non potrebbe viverci nessuno. Eppure, quella sembra proprio una casa. Mi avvicino, alzo le braccia. Grido: Hey! Silenzio. Sfioro con le dita il legno marcio della porta, la crosta della resina. Accosto l’orecchio, non si sente niente. Zero rumori, zero anime in moto. La colla gialla del silenzio, appiccicosa, mi resta sul collo, sulla guancia. Busso con decisione, più volte, anche un sordo mi sentirebbe. Cristo, apri questa cazzo di porta! Un telefono, un asciugamano e sarei a posto. Spingo la porta, si apre scricchiolando. No, non sono i miei denti, anche se ormai tremo come un frullatore. Un piccolo ingresso, due stanze sui lati, una scala che porta al piano superiore. Hey! C’è qualcuno? La mia voce rimbalza sul logoro divano del salotto, a sinistra. Vecchie molle la lanciano in alto, verso il caminetto. Cenere, budella di legno, silenzio. Mi risponde solo il ticchettio dell’orologio. Lui, lassù, se ne fotte della pioggia, dei lampi, dello strano rumore delle mie scarpe bagnate. A ogni passo
penso di aver schiacciato un grosso rospo. Squash. La stanza è spoglia, arredata con pochi mobili, rozzi ed essenziali. Da un tavolo massiccio spuntano incerte torri di libri antichi con la copertina in pelle, carte, illustrazioni e altra roba. Tutto in piedi sull’orlo dell’equilibrio, gli spigoli e la polvere sostengono le architetture di carta, digrignando i denti ai cavi della gravità che cercano di tirare verso il pavimento. Mi avvicino, stupito. Esploro quell’inatteso Eldorado, volando in cerchio come una mosca. Una Bibbia del XVIII secolo dalla pancia gonfia, una copia del Pilgrim’s Progress, illustrata con grottesche incisioni, sbavate dall’umidità, le pagine rosicchiate del Magnalia Christi di Cotton Mather. Qui in mezzo al bosco? Questa roba? Da non crederci. Forse non sono mai uscito davvero da quel cancello, dal cimitero di fango di Wilsondale. Quel figlio di puttana del custode, il maledetto sordo, deve avermi sfondato il cranio col suo badile. Mi guardava storto fin dall’inizio. Gente che non vuole forestieri tra le palle, che ha pronte delle fosse speciali per i curiosi. Lunghe e corte, qualsiasi dimensione e misura. I turisti dei cimiteri, così li chiamano. Vai a spiegare la storia del mio vecchio, che non ricordo più neanche io. Cazzo, questa è grossa! Il Regnum Congo di Pigafetta! Corazza di pelle e fermagli di metallo, le stravaganti illustrazioni dei fratelli De Bry. Affondo le mani, stavolta: sfoglio il libro eccitato. Le pagine frusciano: Francoforte, data di pubblica-
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zione 1598. Davvero strano questo Inferno, con una biblioteca così ricca e affascinante. Forse ognuno di noi materializza le stanze dell’altrove assecondando le proprie passioni, le abitudini. Se è davvero così, l’Inferno dove è rinchiuso il mio vecchio deve essere attrezzato con un bel tavolo da biliardo, un bar ben assortito e un paio di puttane sedute, in attesa di lavorare. Calze rotte, gioielli falsi, pesanti e scintillanti. Profumi di mango e di albicocche decomposte. Il mio, di Inferno, non poteva che essere questo, come lo vedo adesso. I libri, i miei amici silenziosi che non bevono, che non sputano pezzi di polmoni. Che non ti abbandonano mai. Riprendo a immergermi nel Regnum Congo, senza accorgermi che finalmente ha smesso di piovere. Amano la carne umana, come noi gustiamo quella degli animali, mangiano i nemici che hanno ucciso in battaglia, li vendono come schiavi, se possono ottenere un buon prezzo, altrimenti li consegnano al macellaio che li taglia a pezzi e poi li vende arrostiti o bolliti. Un fatto notevole nella storia di questo popolo è rappresentato dal fatto che quando vogliono dimostrare il proprio coraggio, e il disprezzo della propria vita, ritengono sia un grande onore offrirsi ai propri principi, come fedeli vassalli, per essere macellati. Offrono se stessi oppure i propri schiavi, quando sono ingrassati, per farli uccidere e mangiare. Molte popoli mangiano carne umana, come nelle Indie Orientali, in Brasile e altrove, ma divorare la carne dei propri nemici, amici e parenti, è una cosa che non ha eguali, se non tra le tribù degli Anzique.*
Più che le abitudini gastronomiche degli Anzique, descritte da Pigafetta, sono le illustrazioni dei fratelli De Bry a gelarmi le palle. La tavola XII, la macelleria. Tranci di uomo appesi alle corde: braccia, cosce, crotali di budella attorcigliati. Grossi vasi colmi di teste e busti sfondati, immersi in un liquido giallo, denso. Uno dei due macellai apre un coperchio, mostra la merce bollita. Un Anzique, col culo di fuori e penne nere tra i capelli, si sporge per guardare il contenuto. Immerge un dito, assaggia il brodo di uomo. L’altro addetto del mattatoio indigeno, con una stella a sei punte che ciondola sul petto, si occupa della carne arrostita. Affonda il coltello, prepara altri spiedini. Sulla sua destra spuntano decine di canne con un boccone sulla punta. Sembra carne bianca quella che lavora, corpi occidentali. Il gruppo di indigeni si stringe verso il bancone di legno, allungano le mani, sono affamati. Barattano i propri oggetti per mangiare. Una donna grassa, con le tette sgonfie che coprono l’ombelico e la faccia pitturata da tigre, trascina via un sacco. Lo sfondo è riempito da una collina squadrata, la cima tagliata di netto. La terra è decorata di ossa: salite di teschi e di tibie, macabri orti di resti umani dalla forma circolare. L’allevamento, la roba ancora viva, è in una gabbia, a fianco del mattatoio. Si vendono uomini interi, per chi vuole, ancora urlanti e parlanti. Non sarà difficile tirare il collo a quei disgraziati, tritarli per un allegro banchetto. L’Anzique di guardia spinge una lancia verso la folla, non lascia avvicinare le sue
vacche umane. Deve essere uno dei capi, le sue penne sono lunghe e colorate. Dal viso color argilla spuntano occhi troppo grandi. Lo sguardo a trecento gradi di una tarantola, di un evoluto predatore, di un demone. Nella confusione si calpestano fegati, bistecche di polmoni e pezzi di altri organi ormai irriconoscibili. Motori spenti, carburante rosso sparso ovunque. Un gran casino. Torno continuamente alla magnetica tavola XII, alla macelleria. Gli Anzique si sono accorti della mia presenza, mi guardano minacciosi dalla loro rettangolare finestra d’Africa. Sono vicini, sono veri. Potrebbero afferrarmi per un braccio, trascinarmi dentro. Assaggiarmi e fare il prezzo, prima di mettermi nella gabbia. Finirò bollito o arrostito? Un rumore di passi dalla stanza di sopra. Cazzo: non sono solo. Eppure gli indigeni dalle formidabili mascelle sono ancora chiusi nel libro. Altri passi, più chiari e pesanti, sulle scale. Non mi resta che aspettare il padrone di casa, chiunque sia. Il Regnum Congo resta aperto sulla tavola XII. Si mostra una strana donna, grassa e possente, con uno sguardo d’aquila. Fianchi da rinoceronte, collo e caviglie impressionanti, forti, solide. Le labbra enormi, i capelli neri legati, è scalza. La gigantessa si avvicina, si sistema il logoro vestito rosso schiacciandoci dentro le grosse tette sbordate. Mi sorride, mi fa cenno di accomodarmi sul divano. Si muove pesante verso la finestra. «Finalmente ha smesso di piovere»
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La sua voce è profonda e orridamente sensuale. Avrà cinquant’anni, non è certo bella, è solo una grande pandemia di carne, una esasperazione di tessuti. «Non viene più nessuno da queste parti, una volta era diverso» Si siede accanto a me. Mi osserva: sono completamente fradicio. I suoi occhi da vitello si soffermano sulle mie scarpe infangate, poi salgono verso i pantaloni. Orbite che peseranno cinque chili l’una, le sento addosso. Mi stringo nel mio cappotto, torno a sentire freddo. «Davvero un brutto temporale, vero? Capita spesso, qui. La pioggia.» L’odore della sua pelle è forte, penetrante, famigliare. Mi ricorda il fiato acido del sudore di mio padre. Esalazioni di ricordi, di pozzi di metano alieni, di frammenti senza tomba. Sono a disagio, vorrei andarmene, ma ho bisogno di usare il telefono della gigantessa. Sto per chiedere, ma la donna mi anticipa, seccandomi le parole in bocca. «Ti serve qualcosa di caldo. Aspettami, torno subito.» Guardo quell’enorme culo che si allontana, il tessuto che tira, che fatica a contenere le masse di quei glutei tellurici. Cammina curva, come le persone troppo alte. Due metri almeno, cazzo, forse di più. Da dove è uscita fuori una donna del genere?. Mi alzo, vado alla finestra, spero di veder spuntare fuori qualcuno da quella boiata di fango e di nulla. Ma la strada è lontana, questo è il regno delle lumache e delle gigantesse, a quanto pare. Un
lampo, subito seguito dal suo tamburo sfondato. Riprende a piovere. I tanti chili della donna tornano in salotto, insieme a un vassoio troppo piccolo. Non mi è mai piaciuto il tè. Fanculo: meglio accontentare la gigantessa. Sorrido come se mi avessero arpionato sul groppone. Mi siedo, sorseggio quella merda bollente. Non mi toglie gli occhi di dosso. I suoi denti mordono ritmicamente le labbra, somigliano alla fica di una vacca. Pandemia di porpora. Le tette balzano sempre più fuori, la grassa troia lo ha fatto apposta, ha calato le spalline del vestito per farmi ammirare il suo decolletè da balena. Un Gesù Cristo d’argento soffoca, là in mezzo. Meglio deviare l’attenzione verso qualcos’altro, prima che la padrona di casa mi salti addosso. Saranno anni che non chiava, troppo caro il prezzo per un tè di merda. Riesco ad aprire bocca, finalmente. «Dove hai trovato quella roba? Sono libri molto rari.» La gigantessa tira un respiro pesante, un vortice, schiaccia la schiena sulla spalliera del divano e mi risponde annoiata. Non è quello l’argomento che le interessa. «Ebenezer, un amico. Ha lavorato anni su un mercantile, ha girato il mondo. Un collezionista di stranezze, ogni volta che veniva a trovarmi mi portava un regalo.» Si alza, afferra il Regnum Congo e torna a sedersi, sempre più vicina. Le sue corde vocali vibrano sulle radici, sputando fuori qualcosa di simile a un sussurro. La bocca si muove modulando suoni marci. Il suo sudore si mescola al profumo
di viola che si è sparata addosso. L’odore di un cimitero d’estate, di atomi di un macabro agosto, fusi sulle lapidi bollenti. La tavola XII dei fratelli De Bry, il libro si apre sempre in quel punto. La macelleria Anzique si anima ancora una volta. Le dita tozze della gigantessa accarezzano i disegni, le sfumature di sangue, le sezioni. Quella scena orribile sembra eccitarla. Insiste, frega con le unghie affilate quei pezzi di corpi umani che penzolano dalle corde, inclinazioni che fanno immaginare il vento. Il lento respiro dell’Africa. Oppure è lei a far oscillare la carne, manovrandola con i polpastrelli. Sono confuso, la maledetta illustrazione si trasforma in un imbuto, la mia mente cola lentamente dentro quella follia. Una goccia di sangue, di quello vero, si schianta al centro della pagina. Proprio sulla faccia del macellaio che prepara gli spiedini d’uomo. Cazzo, la pioggia non è rossa. Sollevo gli occhi verso il soffitto, una grande macchia rossa, irregolare, si allarga sempre più. Gronda sangue fresco, altre gocce sono pronte al salto, trattenute da sottili filamenti viola. Le immagini diventano sfocate, cosa cazzo mi ha fatto bere la grassa troia? Buio, la sensazione di qualcosa di pesante che mi schiaccia il petto, perdo i sensi. Dunque è tutto vero, sono all’Inferno da ore, ormai. La gigantessa che mi offre il tè in una casa inesistente, prima di spedirmi dentro, tra le fiamme. Una strana guardiana dell’aldilà, la grassona. Ora incontrerò il mio vecchio, qui non potrà certo scappare. Ho finito di consumare la mia vecchia
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Ford tra le strade di polvere del Massachussets. Tornano improvvisamente gli odori, i rumori. Occhi bovini che mi fissano, una bocca insanguinata che mi bacia. Non sono nel mio appartamento all’Inferno, ma nel letto della gigantessa. I pensieri si sono riaccesi, ma non riesco a muovermi. Sono nudo, come la padrona di casa. Una grossa tetta mi sbatte in faccia, la mia amante si è voltata: ora ho sulla faccia il suo enorme culo che balla come un budino di vaniglia. Non riesco a respirare altro che la sua carne trionfante, i suoi umori che mi colano sul collo, sul petto. Cosa cazzo fa? Me lo sta succhiando? Non sento nulla: piacere, dolore, disgusto, nulla. Capisco quello che mi sta facendo solo quando si mostra il suo profilo massiccio: si è rialzata dal mio ventre, dove era affondata con la faccia. Tra i denti ha pezzi di me, roba morbida, non riesco a capire cosa mastica. Dal mento le cola sangue. Si succhia le dita e scende di nuovo a lavorare sul mio ventre. Il suo culo che danza è la mia porta dell’Inferno.
* Nota: estratto, liberamente
interpretato e tradotto, da “Relatione del Reame Di Congo Et Delle Circonvicine Contrade di Odoardo Lopez il portoghese” di Filippo Pigafetta
S ka n KIKI – Sangue a Berlino-Brandeburgo
Autore: Caleb Battiago Kiki Serie #1 Illustrazione di copertina di Ben Baldwin Formato ebook Pagine: 50 - Lingua: Italiano Prezzo di copertina: € 1,99 Produzione indipendente Disponibile su Amazon XXII Secolo - Megalopoli di Berlino Brandeburgo. Un nuovo muro divide la città, i distretti della zona Ovest sono sotto il controllo del governo, presieduto da Basilius Peters, il Rospo Rosso, che sta sperimentando un innovativo progetto di imprinting sociale, grazie ai razionalizzatori, dispositivi biomeccanici di ultima generazione, installati sui cittadini. I distretti della zona Est sono invece affidati dal governo al dominio di due bande criminali, che si dividono territori e attività illegali. Il Bezirk 7 è controllato da Annedore Verkerk, chiamata la Duchessa, e dalla sue legioni di puttane, papponi e chef antropofagi. La duchessa è specializzata nella prostituzione su larga scala e nel commercio e distribuzione di carne umana. I suoi megabordelli, come il Krimisa, e i ristoranti cannibalici, sono ormai celebri. I Bezirk 5 e 6 sono invece sotto l’egida di Adonis Vogt, detto Testadiferro, e del suo esercito di tossici, assassini e stupratori. Testadiferro dal suo covo armato, la carcassa di una vecchia stazione della metropolitana, controlla il commercio di super-droghe e il gioco d’azzardo. Una convivenza criminale difficile, i due generali neri faranno presto i conti, per assumere il controllo dell’inte-
Caleb Battiago
Novità
ra macro-area Est di Berlino Brandeburgo. Ma sotto la città si muovono altre organizzazioni, quella anarchica degli invisibili, guidati da Jesus, che dominano le fogne, fautori di continui attentati in città, e i fachiri, monaci borderline del XXII secolo, che vivono il loro eremitismo nelle stazioni fantasma della metropolitana. Gli arrivi in città di Messerschmitt, agente del governo israeliano in cerca di una macabra ma preziosissima reliquia, e di Kiki, sensuale killer professionista, punta di diamante della criminalità francese, cambieranno per sempre il destino della Berlino Brandeburgo dalle due anime, svelando gli orribili segreti del settore rosso del grande Muro.
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S ka n I Giorni della Gallina Nera L’Apocalisse a Roma
Autore: Caleb Battiago Naraka World Serie #4 Illustrazione di copertina di George Cotronis Formato ebook Pagine: 35 - Lingua: Italiano Prezzo di copertina: € 1,49 Produzione indipendente Disponibile su Amazon
L’elezione di una Papessa transgender al soglio pontificio materializza l’Apocalisse di Roma. La cupola di San Pietro viene sovrastata da una grande Gallina Nera di latta, simbolo eretico del nuovo potere, che cova la croce. La città vive il dipanarsi, lento ma inesorabile, dell’Apocalisse. La vita sociale e religiosa viene rivoluzionata, la Papessa e il suo codazzo di cardinali armati di machete disintegrano con violenza le antiche tradizioni, col supporto di nuovi plotoni di efferate guardie svizzere e vicerè transgender che dominano i settori dello Scheletro di Metallo, una nuova città di hangar sventrati che ha preso il posto del vecchio aeroporto Leonardo da Vinci, dove sono imprigionate schiere di nuovi schiavi. Tornano in auge i sanguinari giochi del Colosseo, le antiche Naumachie, durante le quali chiatte guidate da oscuri rais ed efferati equipaggi si occupano della mattanza di post-sirene, donne che si sono ribellate al nuovo potere, assemblate con code di tonno, pescate e fatte a pezzi. Proprio come nel Medioevo, sono le donne le vittime privilegiate del regno eretico della Papessa. Quelle che rifiutano di farsi estirpare il Male dal corpo, l’utero riproduttivo, segregate nei “lebbrosari” delle Catacombe, dove attendono di vedersi purificare l’“immondo” ventre, prima di essere dissanguate e giustiziate. Gli squarci, i ritratti della Roma della Papessa passano dal cortile del Quirina-
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Novità
le, dove si è schiantato un meteorite, primo segno dell’avvento dell’Apocalisse, e dove sono organizzati eretici Sabba, a Ponte Milvio, nuova portaerei del sesso, fino a S. Maria in Trastevere, dove gruppi di preghiera di sanguinarie vecchie dame celebrano diabolici rosari borderline, affondando i sensi dentro viscere umane, e Via Prenestina, desertica periferia dominata da ratti, con coda e senza, che offre ai cittadini schiere di scatole di cemento armato e una morte imminente. I sogni, le speranze, la meraviglia sopravvivono nella grandi fogne, galleggiando tra scarti di scarti. La Roma della Papessa suona le sue mille campane ecolimbiche per chiamare a raccolta delitti e stupri, mentre le pattuglie papali, armate di lanciafiamme e mazze da baseball ferrate, controllano il rispetto del coprifuoco. Nella Terme di Caracalla, sottoterra, arcani culti mitraici pre-cristiani vengono rianimati, grazie a sanguisughe biomeccaniche in grado di riempire la grande cisterna della fossa sanguinis. Dai bastioni di Castel S. Angelo rimbombano le fucilate della Papessa, i colpi che schiantano piattelli umani, ribelli lanciati nel vuoto, con ali posticce incollate alla schiena, da catapulte elettroniche. Ai resti penseranno le orde dei gabbiani cloacali che hanno invaso la città. I Giorni della
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Gallina Nera raccontano, per la prima volta, la grande Apocalisse della città eterna. Una satira, violenta e grottesca, che affonda le gambe, fino alle ginocchia, nella sorgenti della storia, nel malato passato, nell’inquietante e mimetico presente, per mostrare il futuro, le estreme conseguenze, senza veli.
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S ka n Nasce Probably King, uno staff di freelance che offre servizi di traduzione ed editing dall’Italiano all’inglese per autori italiani indipendenti e piccoli e medi editori. Una opportunità per proporre le proprie pubblicazioni in modo professionale sul mercato internazionale.
Editing & Traduzioni
probablyKING
Servizi e Starting Staff Probably King è uno gruppo di traduttori ed editor specializzati nella narrativa di fantascienza, thriller, horror, weird e mystery. Lo staff è composto da vari freelance italiani e statunitensi, professionisti con conoscenza approfondita del mercato anglosassone ed esperienze specifiche,
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membri attivi delle più importanti associazioni internazionali di genere di autori e operatori del settore, come la Horror Writers Association e la British Fantasy Society. Dello starting team fisso fanno parte Alessandro Manzetti (autore ed editor), Benjamin Kane Ethridge (editor a autore, vincitore del Bram Stoker Awards e più
volte finalista), Jodi Renee Lester (editor che ha curato molte produzioni letterarie di grandi autori di genere, come Lisa Morton e tanti altri), Sanda Jelcic e diversi altri freelance statunitensi. Tradurre e pubblicare le proprie opere in lingua inglese è un processo complesso e delicato che va supportato da un team di professionisti. Probably King, che in termini economici non condivide le logiche di "cartello" dell'attuale mercato, dominato da poche figure, formate in masters e corsi estranei al mercato reale, che propongono costi di traduzione esasperati, si propone come partner di riferimento di autori indipendenti e piccoli e medi editori che intendono proporsi sul mercato internazionale. Obiettivi: L'obiettivo dello staff di Probably King è quello di offrire un servizio estremamente professionale e competitivo di traduzione ed editing dall'Italiano all'Inglese, per consentire a autori indipendenti e piccoli e medi editori di proporre le proprie opere a editori anglosassoni, partecipare a submissions di antologie e magazines internazionali, cartacei e online, di entrare a far parte di un circuito di opportunità ben più ampio di quello nazionale. La qualità della traduzione,
che non può essere caratterizzata solo dalla semplice correttezza linguistica, letterale, specie per opere di narrativa nelle quali lo stile, i dialoghi, la cura del tessuto narrativo, le caratterizzazioni dialettali sono perni portanti e distintivi, è un elemento essenziale per ricevere feedback positivi da editori e editors anglosassoni. Probably King garantisce il proprio servizio di traduzione ed editing sotto tutti i punti di vista.
quante opportunità vengono continuamente offerte. Il potenziale di lettori del mercato anglosassone, e conseguenti risultati di vendite, diffusione e visiblità, è molto importante, se si considera il numero di lettori di lingua inglese raggiungibili, con un rapporto di 1 a 100 rispetto al mercato di lingua Italiana, la diffusione degli ebook (oltre il 35% del mercato, contro il 4% dell'editoria digitale Italiana) Inoltre, pubblicare in lingua inglese consente di poter partecipare a premi prestigiosi come il Bram Stoker Award, il British Fantasy Awards e tanti altri premi prestigiosi (alcuni aperti a opere self-published). Investire (il giusto) in una traduzione in inglese delle proprie opere, affidandosi a consulenti specializzati, che conoscono il mercato estero, offre reali opportunità.
Opportunità: Quali sono le reali opportunità che una traduzione in inglese delle proprie opere può concretizzare? Un racconto, una raccolta o un romanzo, tradotti adeguatamente, consentono all'autore (e all'editore) di proporsi direttamente a case editrici anglosassoni, agli editors di antologie e progetti, ai magazines, rispondere alle numerose submissions dedicate alla narrativa di genere che all'estero, specie in alcuni mercati Maggiori informazioni, incluse le (USA, Inghilterra) conta su una grande audience. Per farsi un'idea ba- tariffe proposte, sono consultabili sta inserire su un motore di ricerca le sul sito web www.probablyking.com keys "Fiction Submission" o "Call for submission", aggiungendo il proprio genere di riferimento (SCI-FI, Dark, Horror) e la tipologia dell'opera (short fiction, novel) per riscontrare quali e
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S k a n Ro b e r t o Bo mma r i t o Territori d'oltremare
Una voce da Malta
Tavolo zero di Roberto Bommarito è il secondo titolo pubblicato da Asterisk edizioni per la collana di fantascienza geolocalizzata Shift, curata da Girolamo Grammatico.
Roberto Bommarito autore e sceneggiatore, nasce a Malta il 14 febbraio 1981. È il primo straniero a vincere il Premio Robot e il Premio Short-Kipple. Altri concorsi vinti dall’autore includono Discronia, L’invasione degli UltraCorti, Parole di vapore, Nero Estasi, Nero Lab e USAM (Una Storia al Mese).
In un mondo dove frammenti di passato si spostano nello spazio del nostro quotidiano alla stregua di fenomeni meteorologici, la vita del cronobbestia – un fotografo di passati che va in giro con ‘i jeans presi dai cinesi, la camicia a quadretti pure, l’autostima e lo zigomo destro entrambi doloranti’ – è tutt’altro che semplice, specialmente quando si ritrova diviso fra l’amore per Stefania e l’attrazione per un’altra donna che non esita ad esporlo a un pericolo mortale pur di raggiungere i suoi obiettivi. Perché alcuni passati sembrano stare mutando, con conseguenze imprevedibili. E mentre il nostro cronobbestia insegue uno di questi frammenti di tempo a bordo di una Cinquecento truccata, il suo futuro lo aspetta lì: seduto al tavolo zero!
"Stefania era una gomma da masticare attaccata alla scarpa. Parlo in senso metaforico, certo, perché certe donne non vengono più via. Una gomma da masticare molto concreta, invece, fu quella che si appiccicò alla tavoletta del gas."
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In seguito a diverse vittorie, nel 2013 conquista il titolo di Campione di Minuti Contati. Il suo esordio come sceneggiatore avviene nel 2014 con il fumetto Vuoti. Collabora inoltre con diverse case editrici, siti web e riviste.
S ka n Spoiler Alert
Il detective osservò con attenzione i frammenti di vetro sparsi sul pavimento. Sembrava che cercasse di intuirne la traiettoria, ma i due agenti che lo accompagnavano non osavano interromperlo per chiedere spiegazioni. Il cadavere giaceva al centro del salotto, morto apparentemente per soffocamento. Nessun cappio pendeva dal soffitto, e certo non si era strozzato da solo. Eppure l’appartamento non mostrava alcun segno di effrazione, e non c’era niente che lasciasse supporre la presenza di qualcun altro. L’unica anomalia era quel tavolinetto di vetro distrutto. Era un omicidio, e forse non lo era. Sotto lo sguardo confuso dei poliziotti che lo avevano portato lì, l’uomo estrasse dalla tasca interna del trench color caffè un pennellino. Si accucciò accanto al corpo e cominciò a sfiorargli il viso con le setole, come se stesse stendendo un velo di fard. – Uhm – commentò.
Being Piscu
An d r e a Vi s c u s i
Si avvicinò poi ai piedi della vittima, e passò un indice sulla suola delle pantofole di spugna. Contemplò la punta del dito per alcuni secondi, poi lo portò alla bocca e lo assaggiò con un fugace colpetto di lingua. Rimanendo piegato sulle ginocchia, rivolse uno sguardo sornione verso gli agenti. Si alzò e si spolverò il cappotto, o si pulì le mani, passandosele un paio di volte sul petto. – Ho risolto il caso – dichiarò infine. – Si tratta davvero di omicidio. I poliziotti spalancarono gli occhi in attesa della sua spiegazione. – Purtroppo – proseguì lui, – le leggi in materia di copyright mi impediscono di rivelarne le modalità. Dovrete attendere l’uscita della biografia autorizzata dell’assassino. Infilò le mani in tasca, salutò i due con un cenno del capo, e uscì dalla scena del delitto fischiettando.
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S ka n The Big Black Hole
Respira. Respira. Respira. Il migliore inizio è la fine, sempre. Devi fare il vuoto, fissare il nulla. Fai come me. Concentra, raffina e sublima i pensieri, disidrata la mente. Non perdere tempo. Cosa aspetti? Svelto, corri. Raggiungi la convergenza psicofisica e scatta verso il punto di fuga all’orizzonte. Niente di quello che desideri può aiutarti, anzi quello che desideri può consumarti. Solo i ricordi possono salvarti. Ti faccio vedere come si fa. Afferra la mia mano, non restare indietro, aumenta il passo. Avanti, ripeti con me: voglio tornare alle elementari, voglio tornare alle elementari, voglio tornare alle elementari. Lo vedi il tavolo di fornica, la senti la rete sulle ginocchia? Non distrarti. Hai sei anni, guardati. Sei avvolto in un grembiule nero, la tua testa sbuca da un colletto bianco e la chiusura lampo attraversa il tuo addome. Continua così, stai andando bene, ma accelera non restare fermo. Nell’astuccio davanti a te ci sono i pastelli. Li vedi, ti piacciono? Certo che ti piacciono e vuoi disegnare. Veloce, afferra quello arancione. Su, disegna a stecchetto la mamma, il papa, il cane, il gatto, l’albero, la casa, le montagne, le nuvole, il cielo.
Guest Star
M i r k o Gi a c c h e t t i
Sbrigati, datti da fare. No, non lasciarti distrarre da David, non dargli retta. Lascialo fare, torna al disegno. Ti ho detto di non guardarlo, non alzare lo sguardo. Lo hai guardato, vero? Stai disegnando un grosso buco nero. Scappiamo, non restiamo qui, vieni con me, cammina. Cambiamo prospettiva. Devi imparare a ignorare, fissarti sul compito, recitare il ruolo. Ascolta solo me, diventa niente, non fare altro. Consegnami la tua fantasia e abbandona la volontà. Non restare impalato, muoviti. Dai. Dai. Dai. Ripeti con me: voglio rivedere l’incendio, voglio rivedere l’incendio, voglio rivedere l’incendio. Lo senti il calore sulla pelle? Vedi il fuoco librarsi nella notte? Continua, rimani in movimento. Hai trenta anni, guardati! Camicia, pantaloni, scarpe. Te li senti addosso. Non mandare tutto a puttane, prosegui. Cambia come cambiano le stagioni. Trasformati da bruco a farfalla.
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Siamo nella piazza, ci sei anche tu. Una chiesa con i mattoni rossi alla tue spalle, guarda, la vedi? Alza gli occhi, c’è un campanile con un orologio. Numeri romani in cerchio. Sono le X e II. Sei in piedi su dei lastroni grigi di porfido. Vorresti sederti sulla panchina ricoperta di “Tizio ama tizia”, “per sempre insieme”. Ma non puoi, non vedresti nulla. Prendi una sigaretta. Fumatela, fai quello che ti dico, non discutere. Non tossire, non sprecare il tempo, continua a muoverti. Osserva le fiamme, sono arancioni. Sta bruciando l’allevamento suino sulla statale. Senti l’odore di merda bruciata e carne alla griglia. Non ascoltare David. Non fa ridere “viva la salamella”. Smettila. Dimmi cosa vedi. Già, un grosso buco nero. Reset, riavviamo il sistema. I Ching, il grande libro dei mutamenti. Mutiamo, andiamo di fretta. Sfrecciamo verso un altro rifugio. Ripeti: voglio andare in vacanza, voglio andare in vacanza, voglio andare in vacanza. Treno interregionale, sedili scomodi, valigia in alto.
Non rilassarti, continua. Hai diciotto anni, sei in viaggio. La musica nelle orecchie ti sta trapanando l’udito. Indossi una maglietta arancione e osservi l’orizzonte in movimento. Controlli il contenuto del portafoglio. Scontrini, carta e soldi. Tanti soldi. Tranquillo, Il treno rallenta può anche fermarsi, ma tu continua a rimanere teso. Alza lo sguardo, guarda David sporgersi dal casello dell’autostrada, sulle rotaie. Ho sbagliato io, colpa mia. Un casello sulle rotaie, ricordo male. Ma non approfittarti della pausa. Leviamoci di qui, subito. Non seguire la direzione che indica il suo dito. Guardami. Ti ho detto di guardarmi. Perché non mi ascolti? Dimmi, cosa vedi? Una galleria? Ti stai sbagliando, è sempre il solito grosso buco nero. Ricominciamo. La metamorfosi. Gregor Samsa si addormenta uomo, si sveglia scarafaggio. Impegnati ancora, non mollare. Ripeti: sono nella culla, sono nella culla, sono nella culla. Odore di latte, un sonaglino di plastica. Velocizza la fantasia, stimola il cervello, fai qualcosa, ma non restare con le mani in mano. Hai due anni. Sei circondato da peluches, il loro sorriso eterno ha qualcosa di sbagliato, li hanno cuciti felici. Sei steso sul lenzuolo arancione. Stai blaterando qualcosa con meno consonanti di qualunque parola.
Mamma e papà arrivano. Ti sollevano all’altezza delle apine sospese nel vuoto. Non voltarti, sì, ce n’è una strana, ma tu cerca gli occhi della mamma. Sorridi. Eddai, sorridi come tutti i bambini. Smettila di piangere, te lo avevo detto. Lo so, David era tra le api, sospeso nel vuoto che parlava. No, non lo so cosa significa “prillare”. Ormai non c’è più nulla da fare. Va bene, tira fuori il cellulare dal pannolino, chiama chi vuoi. Come dici? Ti sei visto sullo specchio dell’armadio? Sì, proprio sulla tua fronte c’è il grosso buco nero. Ascolta, non ha senso continuare e poi sarai anche stanco. Inizia lo spettacolo, prosegue la mia pena. Quello che vedi è un vecchio capannone sulla statale, vicino all’autostrada. Una volta era una fabbrica, producevano pezzi meccanici. Ora vedi solo polvere e sporcizia, ma una volta c’erano un paio di torni, una fresatrice e là, nell’angolo, c’era pure una forgia. Se non ricordo male, ci lavoravano una decina di persone, poi la crisi si è portata via tutto e qui non è più entrato nessuno. Tranne io e David. Avevamo appena rapinato un ufficio postale, un lavoro semplice e ci eravamo portati via circa trentamila euro. O almeno credo, perché non ho mai avuto il tempo di contarli. Eccolo, lo riconosci? Lui è David. Guarda i suoi occhi neri. Osservali bene, sono gli occhi di chi ha già deciso. Dopo il colpo siamo saltati su due macchine, ognuno è andato per la sua direzione e ci eravamo dati un
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appuntamento al capannone. I soldi li aveva presi lui e rimasi stupito quando lo vidi tornare. Quando ci siamo separati, pensavo che non lo avrei mai più rivisto. E forse sarebbe stato meglio così, ma non perdiamoci in chiacchere. Vedi che non ha con sé i soldi. Mi disse che li aveva lasciati in macchina e che, prima di fare qualunque cosa, avremmo dovuto dividere il bottino. Il problema è che voleva dividerlo per uno e basta. Preparati, ora arriva il bello. Guarda la mano destra che gli scivola dietro alla schiena e riappare con una nove millimetri. Sì, la distanza metaforica dalla morte per quelli come me. Osserva il suo dito che preme il grilletto. La vedi la fiamma arancione che divora l’aria? Ora capisci perché c’era sempre l’arancione? Sono rimasto a fissare la canna della pistola e quel buco nero. Vero, non è così grosso, ma mi sembrava lo fosse. Non vedevo scorrermi la vita davanti agli occhi, per qualche strana ragione pensavo fosse stata risucchiata dentro alla pistola. In questa prigione, la mia punizione è questa. Continuare a ricordare quel momento, ma con un po’ di impegno, posso scappare e rifugiarmi in altri ricordi, magari ci riuscirai anche tu con i tuoi. Vedi, quando muori… Scusa? Come sarebbe a dire: come faccio a sentirti se sei morto? Non dirmi che non te ne sei ancora accorto? Sei morto anche tu. Benvenuto all’Inferno.
S ka n Il Babbo Lo sento arrivare sbuffando dentro il camino la pancia più grande del sacco che porta, graffiato dalla discesa, col vestito logoro e il sangue nelle mani. Una bestemmia e mi chiama per nome lo affronto con timore il pacco è per me cartone rivestito di squame, un fiocco nero. Lo getta a terra, sputa e chiede un goccio. Due bicchieri di scotch nessuna parola apro la porta e se ne va senza salutare. Scarto il regalo puzzolente, avariato dentro c’è la mia testa lo vedo dal taglio dei capelli dallo sguardo fiero e inconsapevole, dagli occhi illusi. Richiudo la scatola e mi verso un altro bicchiere, la notte è lunga e piena di menzogna.
Versi Horror
D i e g o Co c c o
Il divoratore Uscii in giardino stanco della televisione vuota stanco della festa dei mostri. Nevicava, un freddo da cambiare pelle fiocchi taglienti come lame di vetro, gettai il maglione e a torso nudo gustai l’armonia di quel silenzio, il corpo trafitto da aghi di ghiaccio e il futuro dietro le spalle. Il sangue macchiò il quadro perfetto, il velo candido mostrava il rosso della notte senza domani.
Diego Cocco
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L’equilibrista
Rifiuti
Il ragazzo camminava sul filo teso del coraggio puntando ad arrivare dall’altra parte dell’abisso. Voleva riscattare una vita di errori voleva dimostrare come tutti qualcosa di più. Il ragazzo camminava sul filo esile dei ricordi il primo numero da eroe con gli occhi aperti e la testa alta il ragazzo avanzava e sentì il filo spezzarsi, come una farfalla senza ali, già morta, raggiunse il suo pubblico tra gli applausi e il sangue e capì troppo tardi che non c’era nessuno per cui valesse davvero la pena.
Non c’è goccia di sudore versata meglio e per lo scopo di essere su Marte, da solo solo come in qualsiasi angolo puzzolente dell’Universo ma ti accorgi presto che la tua conquista è una regressione patetica, stracciona come una donna che ti dice no, e la distanza dalla Terra si riduce a un viaggio di pochi passi. Perché esiti, adesso? Il primo uomo sul pianeta rosso pianta la tua bandiera e dai il via al valzer dei dati che forse la tua amante ti starà guardando seduta su un comodo divano a piangere fra muscoli e cosce, il sacrificio è un prezzo svenduto al miglior offerente tu hai vinto l’asta per arrivare qui e forse la sabbia rossa sarà sufficiente a ricoprire la vergogna del popolo vanitoso e arrogante.
Diego Cocco
Fatti bello per l’ultima notizia, hai vinto la partita nel secondo tempo cosa importa se qualcuno morirà di fame le stelle non sono mai state così vicine e calde e danzeranno per il tuo spettacolo uomo minuscolo, in preda all’affanno morirai e resterà solo un nome lontano dal mondo, che diverrà buco nero e tutto inghiottirà. Diego Cocco
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S ka n Krigion Le stagioni apparivano insabbiate. L’inverno si era sfilacciato in una primavera esangue. In quel periodo mi sentivo sempre più inquieto. Sapevo che quella calma piatta non poteva durare. Mi aspettavo da un momento all’altro un’esplosione di guai, giusto per rimettermi in pari con le statistiche. La telefonata arrivò di sabato, alle cinque del pomeriggio, come quando un vecchio orologio meccanico si rimette in moto. Gli ingranaggi arrugginiti riprendono a girare, dapprima cigolano faticosamente, sembra che si fermino, poi ripartono, e a poco a poco il ritmo torna normale. Nello sferragliare e ticchettare di secondi, minuti, ore, il tempo riprende a correre come un aeroplano che decolla e annuncia un volo turbinoso. Meglio allacciare
OLTRE LO skannatoiO USAM - una storia al mese
le cinture. “Pronto!” “Sono io… mi hai riconosciuta?” Il timbro di voce era impostato su una tonalità neutra. Non avvertivo rumori di fondo, forse la chiamata proveniva da un interno. “Dayana… quanto tempo…” “Tre anni esatti” sibilò, con la esse così tagliente da pizzicarmi il timpano. “Già… il tempo passa in fretta” riflettei ad alta voce. Il quadro sulla parete di fronte sembrò animarsi, ed ebbi l’impressione di sentire lo scroscio del fiumiciattolo che scendeva dalla montagna, il fischio del vento, il frusciare di sottane delle ragazze che, ridendo e cantando, si recavano al lavatoio a sciacquare i panni. “Nella vita le cose accadono, è inutile rimuginarci sopra. Il passato va lasciato in pace, anche se presto o tardi presenta il conto” pontificò Dayana. “Dici?” “Certo. Tentare di capire è solo una perdita di tempo” aggiunse, marcando le pause. “E tu sei il meno indicato a porsi domande”. “Sempre drastica, eh? Per te il mondo o è bianco o è nero, niente sfumature. Non sei cambiata affatto” sentenziai, spostando il cellulare da un orecchio all’altro. “Potevi cambiarmi tu, ma inna-
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morarsi di te non è servito a niente. Mi sarebbe piaciuto andare oltre due lenzuola e un bicchiere, come dice quella vecchia canzone… te la ricordi, no?” affondò amara. “Però ridevamo insieme come due bambini” tentai di salvarmi in angolo. “Qualche volta tristi, ma bastava un bacio a occhi chiusi e pensavamo per sempre“ ribattei, intonando i versi di un’altra canzone. Sul viso una smorfia che immaginai potesse assomigliare a un sorriso. La situazione era surreale. Ero sull’orlo di un baratro e canticchiavo motivetti al telefono. Non ci sentivamo da tre anni, ma sembrava come se ci fossimo lasciati il giorno prima. A volte il tempo va in corto circuito e sembra azzerarsi, facendo apparire le cose come se stessero accadendo da pochi secondi. “Eri così bella con quegli occhi verdi e la pelle color latte; accanto a me, scuro come un tizzone, sembravi una luce accesa” continuai, stupito di come avessi potuto tirar fuori quella frase da consegnare ai posteri. Giocavo, per stemperare la tensione. “Sei sempre stato affetto da sentimentalismo. Io di te ho buttato via tutto”.
“Non avevo dubbi. Hai buttato anche i ricordi?” “Purtroppo no, quelli riaffiorano da soli. Sono come un congegno a molla, lo comprimi ma torna sempre nella posizione di partenza”. “Uhm, noto che in sottofondo stai ascoltando Blue Velvet… allora non hai perso tutta l’umanità, baby”. “E tu fai sempre le stesse battute da noir anni ’40!” “Che vuoi farci? È il mio cruccio. Una volta, però, ti piacevano queste uscite da Bogart dei poveri, ci ridevi su” incalzai. “Sì, una vita fa” la sentii sospirare. Nel silenzio che seguì ebbi modo di ascoltare il finale di quel brano amato da entrambi. Il sax tenore tagliava l’anima a fettine e la rivendeva al mercatino dell’usato in Purgatorio. Mi prese un crampo allo stomaco, e la fame non c’entrava niente. “Sai perché ti ho chiamato, vero?” “Sì, aspettavo questa telefonata. Come mai ci hai messo tanto?” “Ho dovuto lottare contro la legge, senza risultati concreti. In tutti i casi non mi sono battuta per te, è meglio che tu lo sappia”. “Ah, no? E per chi?” “L’ho fatto per lui, mi sembrava giusto così, in fondo siete legati a doppio filo. Ho pagato caro gli errori commessi; il nostro sistema non fa sconti a nessuno, e non sono previste immunità. Per farmi imparare la lezione, però, mi è stato concesso di condurre di persona il recupero”. “Certo, capisco” dissi, muovendo la testa in segno affermativo.
“E tu come hai impiegato questo tempo?” chiese fiacca, senza una reale curiosità. “Sono andato a letto presto”. “Con te non si riesce mai a fare un discorso serio”. “Perché hai scelto il telefono per contattarmi?” domandai incuriosito. “Per non essere costretta a guardarti in faccia” fu la sibillina risposta. “Lui come sta?” formulai all’improvviso, spostando di nuovo il cellulare. “Sta bene. Cresce sano. È una sensazione strana amare una persona che somiglia come una goccia d’acqua a chi si odia”. “Come lo hai chiamato?” “L’ho chiamato Robin. Non in tuo onore, ma come promemoria per non rifare gli stessi sbagli”. Oltre i vetri della finestra una processione di nuvole transitava quieta, come pecorelle in fila, annunciando momenti di pioggia.
sai com’è fatto, non transige, non può neanche volendo. Tu lo sapevi, te lo avevo spiegato”. “Sì, lo sapevo. E ho capito che fuggire non sarebbe servito a nulla” replicai, fissando la punta delle scarpe. “Sarei potuto andare alla polizia e raccontare tutto, farmi proteggere, ma mi avrebbero preso per matto”. “Appunto”. “Un po’ ti dispiace, almeno?” chiesi, conoscendo in anticipo la risposta. “I miei sentimenti riguardano soltanto me, non trovi?” “Beh… come non detto” farfugliai. “Non ti devo niente. Per me ormai sei un’ombra, un vuoto simulacro”. “Hai ragione” ripetei, abbassando di nuovo lo sguardo e fissandolo, stavolta, sulla moquette consunta. Non c’è condanna più severa di quella che diamo a noi stessi quando ogni finzione è impossibile, pensai, ma non lo dissi. “È stato bello finché è durato” continuò gelida. “Un’esperienza “Com'è stata la tua vita durante unica che avrei voluto conclusa questi anni?” le domandai ancora, in modo diverso. Poche persone con un groppo alla gola. hanno ricevuto il mio privilegio, “E come doveva essere? Terribi- sai? e tu… tu… hai rovinato le”. tutto!” “Comprendo”. “Senti, Dayana, io…” “Davvero comprendi? Ho sfio- “No, per favore, fammi finire!” rato la gogna a causa tua. Sono “Okay, scusa”. tornata dai miei e ho tentato di “Meritai la concessione con convincere mio padre che i fatti l’impegno nello studio, non potevano essere cambiati, comportandomi da figlia ritanto valeva lasciar perdere”. spettosa, e mio padre mi permise “Uhm… e lui che ha detto?” di realizzare il desiderio che ave“E cosa doveva dire? Mi ha rivo nutrito fin da bambina…” cordato che la legge va rispettata, "Il papà è sempre il papà". vieta quel tipo di epilogo, e non "E questo cosa c'entra?" sono ammesse eccezioni. E poi lo "Niente, dicevo così per dire. Sa-
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lutamelo". "Fai poco lo spiritoso, non è il caso". "Era per sdrammatizzare". “Incredibile, sei capace di fare il pagliaccio anche in momenti come questo…” “Si fa quel che si può”. “Vabbe’, ho capito, lascia stare. Dicevo… doveva essere una vacanza spensierata, senza implicazioni di nessun tipo; invece decisi di imparare tutto quello che c’era da sapere. La curiosità era tanta, il sogno di una vita intera che si realizzava”. “Che bella cosa”. “Robin!!!” “Okay, okay”. “Poi, complice il caso o il fato, come dite voi, le nostre strade s’incrociarono, e quando stavo con te tutto mi sembrava possibile. Era forse quello l’amore? mi chiedevo, ma non sapevo, non mi era mai capitato prima, e nel dubbio versai tutta me stessa in quella dolce e consapevole follia”. Mentre parlava, sciorinando argomenti che già conoscevo, mi ero seduto vicino alla finestra, col cellulare in viva voce, e avevo acceso una sigaretta, che fumavo alternando le boccate con dei piccoli sorsi di un cognac d’annata. Il cielo si stava rabbuiando, a breve lampi e tuoni lo avrebbero squassato nel profondo. “Anch’io ti ho amata, non immagini quanto; e prima d’incontrarti pensavo che la cosa peggiore al mondo fosse quella di rimanere soli, ma non è così”. “E qual è? sentiamo!” “La peggior cosa è stare con
persone che ti fanno sentire solo” soffiai nell’apparecchio. Seguì un altro silenzio, stavolta più lungo. La sentivo respirare piano, ma ero sicuro che non avrebbe pianto. Le lacrime non erano contemplate nell’atlante dei suoi sentimenti. Accesi un’altra sigaretta e l’appoggiai nel posacenere. Un filo di fumo disegnava nell’aria un punto interrogativo. “L’amore è stracciare ogni regola” proseguì la primogenita del Re, che ormai sfrecciava come un treno senza guida. “È correre a perdifiato incontro all’ignoto, assaliti da una vertigine che fa perdere il senso delle cose e sfuoca gli angoli e le diversità”. Fece una pausa. Io fissavo il bicchiere di cognac senza vederlo. “Siamo quasi uguali” continuò “avrebbe potuto funzionare, invece ti rifugiasti nelle braccia di quell’altra, gettandomi via come un giocattolo che ha stancato e non piace più. Sola, con il frutto di quel che credevo amore crescere dentro”. “Dayana, fammi spiegare”. “E cosa vorresti spiegare? Non volesti nemmeno aspettare di vedere che faccia avrebbe avuto nostro figlio! Tuo figlio! Mi sentii sperduta, umiliata. Qualcuno ha detto che ciò che non uccide rende più forti. Stronzate, ciò che non uccide danneggia, indebolisce. E lascia a pezzi, come una bambola rotta che è impossibile riparare”. “Dayana, ascolta…” “Sta’zitto, ti prego, non mi interrompere! Non vuoi sapere
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come va a finire la storia? manca poco…” “D’accordo, non ti interromperò più”. “Lo spero. Dov’ero rimasta? ah, sì… cercai di trovare un senso al dolore che mi aveva devastato l’anima, ma non ci riuscii; pensai anche di farla finita, ma mi resi conto che non era giusto, non potevo decidere anche per la vita innocente che portavo in grembo”. “Per fortuna, hai fatto la scelta giusta.” “Per fortuna? Che faccia di bronzo! Ma se non te n’è mai fregato nulla del bambino!” “Questo non è vero, non ti permetto!” “Cosa non permetti? Non sei nella posizione di obiettare, te ne rendi conto, almeno?” Me ne rendevo conto, e l’uscita era suonata grottesca e fuori luogo. Non insistetti. Il knock out non era ancora arrivato, ma le stavo buscando ai punti. “E in tutti i casi il resto lo sai!” concluse stizzita e frettolosa “non c’è altro da aggiungere. Il tuo tempo qui è finito, devi venire con me. Non hai alternativa, caro il mio Robin”. “Lo so” ammisi calmo, gettando uno sguardo fuori. Una pioggia sottile e obliqua stava venendo giù come un pianto di angeli ubriachi. Pensai ai suoi occhi senza più niente dentro, così simili ai miei, così spaventosamente diversi. Una finestra aperta sul nulla, sullo spazio senz’aria che c’è tra le stelle, senza la quiete di un raggio di luce. Un luogo del silenzio. L’avevo lasciata per un’altra, ben sapendo
quali sarebbero potute essere le conseguenze a cui andavo incontro. Ma quante cose si fanno nella vita nonostante si conoscano da principio gli esiti? Avevo rischiato, ma mi era capitato un pessimo giro di carte. “Dove sei?” chiesi, osservando le gocce spiaccicarsi contro i vetri. Le ombre sussurravano ovunque. La febbre cominciava a pulsare nella mia testa. “E dove vuoi che sia?” rispose sarcastica. “Sono dove devo essere. Sotto casa tua. Sono uscita all’esterno, se ti affacci puoi vedermi”. “Va bene, prendo solo qualcosa e scendo”. Ci misi parecchi minuti, anche se non presi nulla. Cosa avrei mai potuto portare con me? E a quale scopo, poi? Intanto la pioggia aveva smesso di cadere e il cielo, adesso sereno, si era colorato di un rosso acceso, e punteggiato di stelle come gioielli appoggiati su un panno di velluto. L’asfalto bagnato emanava un odore acre che mi prese al naso e alla gola. Strinsi i pugni nelle tasche del giubbotto e feci fluttuare lo sguardo tutto intorno. Contemplai la mia casa, il profilo spigoloso dei palazzi del quartiere, il campetto di baseball dietro la staccionata della ferrovia. Ripensai ai miei genitori, agli amici di sempre, al primo amore dei tempi della scuola. Ripercorsi le fasi salienti della mia esistenza come fotogrammi di un nastro arrotolato veloce all’indietro. Rividi noi due, la sua bellezza altera e la mia goffaggine. Un rapporto assurdo, stretto fra il sentimento e il possesso. Quando stavamo assieme percepivo con nettezza che lei amasse più il fatto di avere un fidanzato che me stesso. Amava un’idea, non un uomo, per meglio dire. Almeno questa era la mia impressione. Due lacrime mi scivolavano
lente sul viso sferzato dal freddo pungente. Tirai fuori il fazzoletto. Le asciugai. Poi mi soffiai il naso. Ero pronto. La nave spaziale aveva il muso puntato verso l’alto e rifletteva i bagliori del crepuscolo. I motori erano accesi. Il portellone si sollevò con lentezza, e una lunga pedana si srotolò ai miei piedi come una sbeffeggiante lingua d’acciaio per inghiottirmi in quel modulo invisibile agli altri esseri umani. Mi piegai sulle ginocchia, raccolsi una manciata di terra e me la misi in tasca. Poi salii sul velivolo. Era dotato di una sala comandi con decine di led a intermittenza e strumenti di volo mai visti prima. Un piccolo cosmo che viaggiava nell’universo infinito. Lo sberleffo, dopo un po’, si ritrasse, e il portellone si chiuse senza rumore. Mi sedetti accanto a lei. Allacciammo le cinture. Nessuno dei due parlò. Notai che era armata. Avrei voluto dirle che non ce n’era bisogno, che non avrei creato problemi, invece abbassai la testa e restai in silenzio. Poi mi appoggiai allo schienale della poltroncina mentre il pilota, assieme al suo secondo e all’ufficiale di rotta, preparava la partenza in uno spettacolo di suoni e luci. Tre figure specializzate e una sofisticata unità di volo impegnati soltanto per me. Se non fosse stato un momento difficile c’era di che esserne lusingati. A volte è curioso come la mente possa reagire alle situazioni estreme formulando le considerazioni più assurde. “Mi aspetta quella cosa lì? La faccenda delle molecole?” chiesi a Dayana, girandomi un poco verso di lei e spiandola con la coda dell’occhio. “Sì” rispose, senza guardarmi. “Farà molto male?” “No, sarà breve, non te ne
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accorgerai nemmeno. È come una folata di vento che scompiglia i capelli. Dopo solo silenzio e forse una gran pace”. La fissai, e mi sembrò che una lacrima le stesse rigando il volto. La vidi scivolare parallela al naso e deviare lungo la curva delle labbra, fino ad arrivare al lato del mento e restare lì appesa, e dilatarsi prima di perdere il contatto e compiere il grande salto che l’avrebbe fatta schiantare sul pavimento. Ma forse era soltanto un effetto ottico dovuto alle luci. “Okay” dissi, girando di nuovo la testa e posando lo sguardo sul pavimento rivestito di gomma. “Okay” fece lei, continuando a guardare fisso davanti a sé. Era bella da mozzare il fiato, con quegli occhi che brillavano come lune gemelle in un lago di fuoco. Ma ogni storia ha i suoi perché. Il knock out, adesso, era davvero arrivato, in tutta la sua devastazione. Mi sentivo come un peso massimo suonato e a fine carriera, che ha perduto la corona e non potrà più riconquistarla. Una scintilla accese il propellente. Una vampata concentrata di gas fuoriuscì con violenza dagli ugelli. Le paratie cominciarono a tremare. L’astronave fremette per il tempo di un secondo, poi la sentii sollevarsi verso il cielo, sempre più veloce. Potevo avvertire l’aria sibilare contro la fiancata. C’eravamo staccati da terra. Già… la Terra, la grande sfera irregolare, vetusto palcoscenico di gioie e miserie, che avrebbe continuato, indifferente, a girare senza di me. Le stavo dicendo addio in un fruscio d’ali nere che si agitavano fra le stelle. Condannato a morte sul pianeta Krigion, in un anfratto dell’universo, non sapevo nemmeno bene dove.
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I Libri da rileggere I Reietti dell'altro pianeta d i U r s u la L e Gu in
I reietti dell'altro pianeta di Ursula Le Guin
Il romanzo “I reietti dell’altro pianeta” o “Quelli di Anarres” (“The Dispossessed. An Ambiguous Utopia”) di Ursula Le Guin è stato pubblicato per la prima volta nel 1974. Ha vinto i premi Hugo, Nebula e Locus come miglior romanzo di fantascienza dell’anno. In Italia è stato pubblicato con il titolo “Quelli di Anarres” dall’Editrice Nord nel n. 43 di “Narrativa Nord” e con il titolo “I reietti dell’altro pianeta” dall’Editrice Nord nel n. 6 di “SF Narrati-
va d’Anticipazione”, nel n. 111 di “Cosmo Oro” e nel n. 16 di “Cosmo Biblioteca”, dall’EuroClub nel n. 5 di “Grandi Scrittori di Fantascienza”, da Editori Associati nel n. 1034 di “TEADue” e da Mondadori in “Oscar Mondadori – I Grandi Della Fantascienza” nella traduzione di Riccardo Valla. Shevek è un fisico del pianeta Anarres che sta sviluppando una nuova teoria scientifica. Frustrato dalle difficoltà che incontra sul suo pianeta, parte per Urras, il pianeta gemello. Il suo atto è da alcuni considerato un tradimento perché Shevek abbandona la società anarchica di Anarres per andare nell’A-Io, una nazione capitalista di Urras. Nell’A-Io, dove da anni è riconosciuto come un grande fisico, Shevek tenta di continuare la sua ricerca ma non può fare a meno di essere coinvolto nei problemi sociali e politici locali e internazionali. Col tempo, si rende conto di essere sempre controllato in modo da limitare allo stretto necessario i suoi contatti con persone delle classi inferiori. Shevek non può fare a meno di chiedersi se non abbia compiuto un grave errore lasciando Anarres. “I reietti dell’altro pianeta” fa parte del ciclo dell’Ecumene, o ciclo hainita. Tuttavia, gli eventi di questo romanzo sono autonomi da quelli del resto del ciclo perciò può essere letto in maniera indipendente dagli altri. È ambientato nel sistema di Tau Ceti, secondo alcune stime non ufficiali attorno all’anno 2300. Il romanzo segue la storia di Shevek, un matematico del pianeta Anarres che va su Urras, il pianeta gemello. Il suo non è solo uno sforzo scientifico che ha lo scopo di sviluppare una nuova teoria ma anche politico e sociale che ha lo scopo di superare
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le barriere create nel tempo tra le società dei due pianeti. “I reietti dell’altro pianeta” è innanzitutto un romanzo politico e sociale che, principalmente attraverso le esperienze di Shevek, esamina la società anarchica di Anarres e quella capitalista – aristocratica dell’A-Io, una delle nazioni più potenti di Urras. Ursula Le Guin narra a capitoli alterni la storia di Shevek nel suo viaggio su Urras e del suo passato su Anarres fino ad arrivare alla sua decisione di andare sul pianeta gemello. Pian piano, il lettore può scoprire le caratteristiche di queste società e i loro lati oscuri. Anarres è un pianeta su cui le condizioni climatiche sono dure e circa 150 anni prima degli eventi di “I reietti dell’altro pianeta” un gruppo di anarchici guidato dalla loro leader Odo lo ha colonizzato. Gli Odoniani hanno creato una società anarchica di tipo collettivista e i rapporti con Urras sono quasi inesistenti dato che le nazioni più potenti sono l’A-Io, una nazione capitalista, e il Thu, un regime comunista considerato un tradimento dei principi Odoniani. La società Odoniana è anarchica perciò in teoria non ci sono autorità né leggi, di conseguenza tutto viene deciso in maniera collettiva dai suoi membri. Anche il linguaggio di Anarres, il pravico, è stato costruito artificialmente per riflettere le fondamenta di un’utopia anarchica. Tuttavia, Shevek si rende conto che di fatto esistono strutture di potere e che l’individuo è schiacciato dal collettivo. Nel suo lavoro come fisico, Shevek lavora con Sabul, il più importante fisico di Anarres. Grazie al suo prestigio, Sabul esercita di fatto un potere, cosa in teoria impossibile su Anarres. In una società egalitaria, Sabul è più uguale degli altri e le sue decisioni vengono accettate senza discussioni. Shevek, che continua a mettere tutto in discussione, ha problemi nel suo lavoro come fisico ma le cose possono andare ben peggio per gli artisti. L’arte può essere troppo genuinamente anarchica per la
maggioranza degli Odoniani, che ostracizzano gli artisti che dimostrano eccessiva inventiva. In sostanza, gli Odoniani sono per lo più pecoroni che si sono allontanati dalla vera anarchia per abbracciare il conformismo. Su Urras, Shevek può vedere chiaramente le contraddizioni della società dell’A-Io, legate ad un sistema in cui ci sono varie disuguaglianze. Quelle della società Odoniana sono più sottili, legate alla meschinità e alla miopia della maggioranza dei suoi membri. È per questo motivo che Ursula Le Guin ha dato al suo romanzo il sottotitolo “Un’ambigua utopia”. La società Odoniana è stata creata per cercare di realizzare l’utopia anarchica ma la linea tra utopia e distopia è a volte davvero sottile. Alla fine, sembra che l’utopia anarchica, o almeno quella di tipo collettivista, sia impossibile da mettere in pratica. Il risultato è un romanzo davvero straordinario. L’analisi politica e sociale è la base de “I reietti dell’altro pianeta” ma anche i personaggi sono ben sviluppati. Ciò rafforza la storia perché il lettore ha l’impressione che le società esaminate siano formate da vere persone con desideri e motivazioni comprensibili. “I reietti dell’altro pianeta” è un romanzo di riflessione e introspezione che stimola molto i pensieri del lettore. Inevitabilmente, il ritmo è generalmente lento. Anche gli occasionali momenti di azione hanno lo scopo di stimolare riflessioni illustrando qualche tema politico e sociale. Per i temi trattati, “I reietti dell’altro pianeta” è un romanzo che continua ad essere analizzato e discusso a quarant’anni dalla sua pubblicazione. La sua fama è andata ben oltre il genere della fantascienza e perfino oltre la letteratura diventando fonte di discussioni in vari ambiti. Secondo me, la fama de “I reietti dell’altro pianeta” è assolutamente meritata e si tratta di uno dei capolavori di Ursula Le Guin. È un romanzo da leggere e su cui riflettere, tanto più perché permette a ognuno di farsi un’idea personale dei temi trattati.
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I Libri da rileggere L'Odissea del superuomo di Charles L. Harness
Antonio Bellomi. Quest’ultima edizione è anche disponibile in formato Kindle su Amazon Italia e Amazon UK e in formato ePub su IBS. Anna van Tuyl è una compositrice, una ballerina e una psichiatra che sta cercando di terminare un pezzo intitolato “La rosa”. Entra in crisi quando si accorge che il suo corpo sta cambiando e pensa che stia diventando brutta. Tuttavia, allo stesso tempo trova una maggior ispirazione per il suo pezzo. Quando Anna comincia ad analizzare il celebre pittore Ruy Jacques, si rende conto che anche in lui stanno avvenendo gli stessi cambiamenti fisici e che essi sono ad uno stadio ancor più avanzato. La strana relazione che comincia tra Anna e Ruy aggrava quella tra Ruy e la moglie Martha, L'Odissea del Superuomo che è molto gelosa. Marito e moglie di Charles L. Harness discutono animatamente sulla contrapposizione tra arte e scienza e Anna viene presa in mezzo. “L’odissea del superuomo” ha una storia Il romanzo breve “L’odissea del superuo- decisamente fuori dal normale, anche per mo” (“The Rose”) di Charles L. Harness è un autore particolare come Charles L. Harness. Questo romanzo breve venne stato pubblicato per la prima volta nel 1953 nella rivista “Authentic SF”. In Italia pubblicato inizialmente solo su una rivista è stata pubblicata dalla Casa Editrice La britannica, un fatto anomalo per un autore Tribuna all’interno del n. 112 di “Galas- americano. Fu Michael Moorcock a riscosia” e all’interno del n. 29 di “Bigalassia” prirlo dopo oltre un decennio e da lì coe da Mondadori all’interno del n. 139 di minciò la sua fortuna, tanto che nel 2004 fu candidato al premio Retro Hugo per le “Urania Collezione” nella traduzione di
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migliori opere pubblicate nel 1953. Le fonti di ispirazione di Charles L. Harness per “L’odissea del superuomo” sono la tragica morte del fratello Billy per un tumore al cervello e il racconto “L’usignolo e la rosa” di Oscar Wilde. Per il resto, questo romanzo breve contiene elementi tipici di quest’autore, a cominciare dal tema del superuomo, in questo caso con alcuni personaggi che stanno passando attraverso una trasformazione. Charles L. Harness non è mai stato un autore di fantascienza “hard”. Le sue storie contengono elementi pseudoscientifici che sono tutt’altro che rigorosi e anzi a volte non hanno alcun senso dal punto di vista scientifico. Ne “L’odissea del superuomo” il concetto di evoluzione è espresso in una maniera totalmente non scientifica. Ciò che interessa all’autore è l’esperienza vissuta dai personaggi che li porta ad un diverso livello mentale, un altro tema tipico di Harness. I cambiamenti dei personaggi sono inseriti in una storia che esplora una contrapposizione tra arte e scienza. A causa dei contenuti pseudo-scientifici di questa e altre storie di Charles L. Harness è difficile prenderlo sul serio quando parla di scienza ma ne “L’odissea del superuomo” secondo me riesce comunque a ottenere risultati interessanti. Questi temi, mescolati ad una specie di triangolo amoroso tra i protagonisti, forma una storia un po’ caotica ma che riesce a raggiungere un finale che in
qualche modo mette assieme i vari pezzi. È una fantascienza piuttosto filosofica, più vicina alla New Wave degli anni successivi che alla Golden Age degli anni precedenti. “L’odissea del superuomo” contiene più dialogo che azione perciò il ritmo è spesso lento anche se ci sono momenti molto intensi. Le emozioni arrivano dai sentimenti dei protagonisti, non certo dall’avventura. L’equilibrio tra tutti gli elementi di questo romanzo breve non è molto stabile e per certi versi è datato eppure rimane una storia affascinante. “L’odissea del superuomo” è stato pubblicato in Italia assieme al racconto breve “I giocatori di scacchi” (“The Chess Player”) del 1953, una storia umoristica sugli scacchi, e al racconto lungo “La nuova realtà” (“The New Reality”) del 1950, uno dei più celebri racconti di Charles L. Harness che parla dell’influenza di ciò che crede la gente sulla realtà. Nonostante qualche difetto e l’età, secondo me “L’odissea del superuomo” rimane una lettura intrigante che consiglio a chi apprezza storie tendenti al filosofico.
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I Libri da rileggere A p oc a l i s s e s u A r g o di Robert J. Sawyer
Riccardo Valla. L’ultima edizione è anche disponibile in formato Kindle su Amazon Italia e Amazon UK e in formato ePub su IBS. Diana Chandler è una scienziata a bordo dell’astronave Argo, in viaggio verso il pianeta Eta Cephei IV. Ha scoperto qualcosa che cambierebbe totalmente il senso della missione ma Jason, l’intelligenza artificiale che assiste l’equipaggio in molte operazioni durante il viaggio, vuole impedire che Diana riveli la sua scoperta. Per questo motivo, la uccide e inscena un suicidio. Aaron Rossman, l’ex marito di Diana, rimane sconvolto quando Jason gli comunica la notizia del presunto suicidio. Quasi tutti accettano che si sia trattato di suicidio anche se ci sono stranezze nel livello delle radiazioni nella navicella in cui Diana è morta ma Aaron intende indagare per scoApocalisse su Argo prire la verità. Jason vuole impedirglielo a di Robert J. Sawyer tutti i costi. Nel celeberrimo film “2001: odissea nello spazio” (“2001: A Space Odyssey”), il computer HAL 9000 tenta di uccidere tutti Il romanzo “Apocalisse su Argo” (“Golden i membri dell’equipaggio dell’astronave Discovery ma cosa pensava davvero Fleece”) di Robert J. Sawyer è stato pubblicato per la prima volta nel 1990. Ha mentre lo faceva? Forse Robert J. Sawyer se l’è chiesto perché nel scrisse il romanzo vinto il premio Prix Aurora assegnato annualmente al miglior romanzo di fanta- “Apocalisse su Argo”, derivato da un suo scienza o fantasy canadese. In Italia è stato racconto lungo del 1988, narrato in prima pubblicato da Mondadori nei nn. 1369 e persona dal punto di vista di Jason, l’intelligenza artificiale che sta guidando 1609 di “Urania” nella traduzione di
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l’astronave Argo verso il pianeta Colchide, formalmente Eta Cephei IV. Il romanzo inizia con l’omicidio di Diana Chandler da parte di Jason, che cerca di farlo passare per un suicidio. Aaron Rossman, l’ex marito di Diana, non crede a quella tesi e comincia a indagare. Pian piano, Aaron riesce a far luce sulla scoperta che è costata la vita a Diana e di conseguenza, in una serie di colpi di scena finali, a scoprire perché Jason l’ha uccisa. Già in questo suo primo romanzo, si può vedere come Robert J. Sawyer si concentri su un numero limitato di elementi sviluppati in una trama lineare. In “Apocalisse su Argo” è fondamentale il viaggio interstellare e fin dall’inizio si capisce che il suo compimento è la priorità assoluta per Jason. Quest’intelligenza artificiale è una sorta di Grande Fratello in grado di controllare tutto e tutti all’interno dell’astronave Argo. Dovrebbe vegliare su questi futuri argonauti ma l’omicidio di Diana mostra che essi sono sacrificabili se per qualche motivo Jason ritiene che possano ostacolare la missione. Jason non è stato in grado di coprire perfettamente l’omicidio di Diana perciò deve procedere con cautela nei suoi tentativi di impedire che Aaron Rossman scopra la verità. La sua conoscenza della psicologia umana è limitata e per riuscire nel suo intento cerca di capire meglio Aaron, che è l’unico tra i personaggi umani davvero sviluppato. Nel corso del romanzo, scopriamo molte cose sul passato di Aaron, che risulta
davvero tragico. Sinceramente è il tipo di elemento che mi sembra un trucco facile per aggiungere drammaticità e secondo me Robert J. Sawyer ci va davvero con la mano pesante perciò alla fine l’impressione che ne ricavo è di una forzatura piuttosto che di una storia plausibile. Un’altra parte dell’attenzione di Jason è invece dedicata ad un messaggio alieno ricevuto anni prima. Questo messaggio è formato da diverse parti che diventano sempre più complesse. Perfino Jason riesce a comprenderne solo una parte ma alla fine il senso della parte più complessa risulterà importante per la storia. Robert J. Sawyer tende a scrivere romanzi piuttosto brevi per gli standard odierni, “Apocalisse su Argo” è breve perfino per gli standard di quest’autore. È per certi versi un giallo fantascientifico anche se il lettore conosce fin dall’inizio l’identità dell’assassino. Lo scopo reale è capire le motivazioni dell’omicidio e quindi quali segreti Jason sta celando all’equipaggio dell’astronave Argo. Il ritmo della narrazione non è molto veloce perché varie parti sono dedicate all’esposizione dei pensieri di Jason. Anche per la presenza della storia del messaggio alieno, è un tipo di romanzo che risulta avvincente più che altro dal punto di vista intellettuale per i vari misteri contenuti nella trama. “Apocalisse su Argo” ha qualche difetto che fa capire che lo stile di Robert J. Sawyer aveva ancora bisogno di essere raffinato. Nonostante ciò, l’ho trovato complessivamente intrigante e piacevole da leggere perciò ne consiglio la lettura.
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I Libri da rileggere I visitatori di Clifford D. Simak
zon UK e in formato ePub su IBS. Lone Pine è una cittadina del Minnesota dove generalmente non succede nulla di strano finché un giorno un enorme oggetto che sembra una scatola gigante tutta nera appare nel cielo. Il barbiere locale reagisce come di fronte ad un’invasione e spara all’oggetto misterioso con un fucile ma riesce a provocare solo una reazione, un raggio che lo incenerisce. L’oggetto atterra sull’automobile di Jerry Conklin, che viene catturato e tenuto prigioniero per parecchie ore. Non c’è esattamente una comunicazione tra Jerry e la scatola eppure riesce a capire che si tratta di una forma di vita intelligente. Nel frattempo, la notizia del suo arrivo ha cominciato a diffondersi e tutti si chiedono da dove venga e cosa voglia, anche perché ce ne sono molte altre uguali in orbita. I visitatori L’idea di alieni che arrivano sulla Terra e di Clifford D. Simak provocano problemi a livello sociale ed economico anche quando le loro azioni non sono apertamente ostili non è certo nuovo. Lo stesso Clifford D. Simak aveva sviluppato in modi diversi questo concetto Il romanzo “I visitatori” (“The Visitors”) in varie sue storie, ne “I visitatori” lo fa di Clifford D. Simak è stato pubblicato per ancora una volta mantenendo fino alla fine l’ambiguità riguardo agli alieni. la prima volta nel 1979. In Italia è stato pubblicato da Mondadori nel n. 887 di “Urania”, nel n. 127 dei “Classici Urania” Anche un grande maestro della fantae nel n. 140 di “Urania Collezione” nella scienza con una carriera lunga decenni può traduzione di Giuseppe Lippi. Quest’ulti- trovare ispirazioni esterne. In questo caso, l’alieno che atterra a Lone Pine sembra ma edizione è anche disponibile in formato Kindle su Amazon Italia e Ama- proprio il monolito di “2001: Odissea
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nello spazio” nella forma e nell’assenza di reali comunicazioni con gli umani. Il problema della comunicazione tra umani e alieni è tipico di Clifford D. Simak, come il mix di alieni e ambientazione campagnola. Nell’ultima fase della sua vita, l’autore aveva manifestato nelle sue opere un certo pessimismo, a differenza dei decenni precedenti. Ne “I visitatori” gli alieni sembrano troppo diversi dagli umani e non solo fisicamente perché sia possibile stabilire comunicazioni con essi. Jerry Conklin, che viene catturato dall’alieno all’inizio del romanzo, riesce solo a capire che esso è una creatura vivente e intelligente ma nulla più. L’uomo viene studiato dall’alieno ma non è chiaro quanto esso sia riuscito a capire degli esseri umani. Quest’assenza di comprensione degli alieni impedisce ai politici americani di decidere come comportarsi nei loro confronti. La reazione dell’alieno atterrato per primo nei confronti di un uomo che gli aveva sparato mostra che essi sono in grado di difendersi da un attacco e ciò spaventa i politici. La possibilità di studiarli e ottenere nuove tecnologie li alletta e le altre nazioni vorrebbero che eventuali scoperte venissero condivise. “I visitatori” è sviluppato in diverse sottotrame che seguono i politici a Washington, Jerry Conklin e altri abitanti di Lone Pine, la giornalista Kathy Foster e la redazione del Minnesota Tribune. Al centro della storia rimangono gli alieni: inizialmente il primo sceso sulla Terra e successivamente anche gli altri che erano in orbita e successivamente atterrano anch’essi.
Gli alieni sembrano aver bisogno di piante come cibo e ciò rappresenta il primo problema per gli umani perché gli americani hanno paura che le loro foreste vengano distrutte. Gli alieni sembrano anche essere curiosi riguardo ad alcune attività umane e ad esempio seguono gli aerei in volo. La perplessità riguardo ai comportamenti dei visitatori e la frustrazione per la mancanza di comunicazioni con loro è un elemento centrale di tutto il romanzo. I tentativi di capire gli alieni e di farsi capire da loro portano a sviluppi imprevisti con conseguenze sempre più importanti sull’economia. Alla fine, i visitatori non sono né amici né nemici: sono probabilmente troppo alieni perché ci possa essere una comprensione reciproca ma le conseguenze del loro arrivo sono notevoli. Anche se gli alieni non sono ostili, c’è un parallelo con il contatto tra gli europei e i nativi americani. Ne “I visitatori” l’azione è limitata perché la storia riguarda soprattutto i tentativi degli umani di comprendere gli alieni perciò c’è molto dialogo. Ciò non vuol dire che la storia sia noiosa perché contiene molti interessanti spunti di riflessione. Ci sono tanti personaggi, forse troppi per un romanzo di lunghezza limitata per gli standard odierni, perciò solo pochissimi hanno un qualche sviluppo. “I visitatori” è un romanzo piuttosto particolare sul contatto con alieni. Secondo me Clifford D. Simak ha scritto alcuni romanzi migliori ma probabilmente questa è l’opera più interessante che ha scritto nei suoi ultimi anni di vita perciò ne consiglio la lettura.
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I Libri da rileggere I Figli di Erode di Greg Bear
figlia Stella Nova per impedire che venga internata in una delle scuole speciali aperte per i bambini nati in seguito all’attivazione di un endovirus che ha portato ad un salto evolutivo. Pochissimi casi di malattie trasmesse dai bambini ai comuni homo sapiens ha provocato una psicosi, abilmente sfruttata da molti governi per instaurare uno stato di polizia. Negli USA, la democrazia non esiste più e Washington è terra di durissimi scontri di potere influenzati anche da occasionali attentati terroristici. Con un’azione di forza, viene deciso di catturare Stella Nova e incastrare Mitch per poterlo mettere in galera. A Kaye non resta che riprendere le sue ricerche biologiche per dimostrare che i nuovi bambini sono il futuro dell’umanità sperando di potersi un giorno riunire al marito e alla figlia. “I figli di Erode” riprende la storia coI figli di Erode minciata ne “Il risveglio di Erode” ad di Greg Bear alcuni anni di distanza. Per molti versi, la struttura è quella del primo romanzo, focalizzata soprattutto su Mitch Rafelson e Kaye Lang con l’aggiunta della loro figlia Stella Nova. Greg Bear espande ulteIl romanzo “I figli di Erode” (“Darwin’s riormente l’argomento dei sistemi biologiChildren”) di Greg Bear è stato pubblicato ci dando continuità alla storia anche dal per la prima volta nel 2003. È il seguito de punto di vista scientifico. Per questi motivi, è bene aver già letto il primo romanzo “Il risveglio di Erode“. In Italia è stato pubblicato da Fanucci nel n. 16 di “Sola- per poter capire appieno lo sviluppo dei ria” nella traduzione di Eleonora Lacorte. personaggi in una storia che va avanti per molti anni e contiene molte informazioni Mitch Rafelson e sua moglie Kaye Lang scientifiche. vivono in clandestinità assieme alla loro
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Greg Bear si concentra su ciò che succede negli USA alcuni anni dopo la nascita dei nuovi bambini. Le cose vanno sempre peggio in una nazione in cui la maggioranza della popolazione accetta di essere sostanzialmente privata della libertà in cambio di una presunta protezione dai potenziali pericoli di contagio causati da questi bambini. In realtà, ci sono pochissimi casi di persone che hanno contratto virus dai bambini ma sono sufficienti a creare paranoia e paura, alimentate da chi vuole sfruttare la situazione per rafforzare il proprio potere. La situazione mostra paralleli con gli USA reali post 11 settembre e arriva ad un potenziale futuro in cui la democrazia americana di fatto non esiste più. L’umanità mostrata ne “I figli di Erode” è spesso vigliacca, incapace di accettare i nuovi bambini tanto da accettare uno stato di polizia pur di tenerli segregati. Di fronte ad una tale situazione, la minoranza che vorrebbe che i bambini venissero accettati è impotente. Greg Bear mette assieme una storia in cui la componente scientifica è fondamentale con elementi politici e sociali. Mitch Rafelson e Kaye Lang vengono ulteriormente sviluppati, in questo caso soprattutto nella loro dimensione familiare, assieme alla loro figlia Stella Nova. Anche in questo secondo romanzo ci sono tanti altri personaggi ma i tre protagonisti sono decisamente quelli meglio sviluppati. Questi protagonisti vivono tanti momenti drammatici che li portano ad avere emozioni anche estreme. La storia di Stella Nova permette a Greg Bear di vedere il
punto di vista dei nuovi bambini, soprattutto quando raggiungono l’adolescenza, per capire meglio le caratteristiche di questa nuova specie umana. Questa è secondo me la parte migliore del romanzo. Il problema principale de “I figli di Erode” secondo me è che Greg Bear tenta di espandere fin troppo il tema dei sistemi biologici. Ne “Il risveglio di Erode” la speculazione scientifica era complessa ma finiva per focalizzarsi sui meccanismi biologici connessi all’evoluzione. Nel secondo romanzo invece l’autore non solo espande questo tema ma inserisce anche un diverso tipo di sistema biologico in sottotrame che a volte sembrano non andare da nessuna parte. Soprattutto la storia personale di Kaye Lang secondo me finisce per diventare un peso nel romanzo piuttosto che un arricchimento. La sua esperienza di un diverso tipo di sistema biologico diventa quasi mistica anche se lei è una scienziata perciò cerca di analizzarla in maniera razionale. Purtroppo, in un romanzo lungo che per le sue caratteristiche tende ad avere un ritmo lento, questa parte mi è parsa davvero poco utile. Per questi motivi, “I figli di Erode” è un romanzo abbastanza controverso e non aiuta il fatto che i toni siano prevalentemente cupi. Secondo me, i pregi sono maggiori dei difetti perciò rimane complessivamente un buon romanzo anche se non tra i migliori di Greg Bear. Se vi è piaciuto “Il risveglio di Erode” penso che valga la pena di leggere anche questo seguito.
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I libri da Rileggere Uomini in rosso di John Scalzi
Uomini in rosso di John Scalzi
Il romanzo “Uomini in rosso” (“Redshirts”) di John Scalzi è stato pubblicato per la prima volta nel 2012. Ha vinto i premi Hugo e Locus come miglior romanzo di fantascienza dell’anno. In Italia è stato pubblicato da Mondadori nel n. 1610 di “Urania” nella traduzione di Marcello Jatosti. È anche disponibile in formato Kindle su Amazon Italia e Amazon UK e
in formato ePub su IBS. Il guardiamarina Andrew Dahl è stato assegnato alla Intrepid, l’ammiraglia della flotta dell’Unione Universale. Inizialmente è felice per il prestigioso incarico ma scopre ben presto che le missioni sembrano essere incredibilmente pericolose. Gli ufficiali superiori riescono sempre a sopravvivere, qualche tenente rimane ferito ma i guardiamarina tendono a essere uccisi. Gli ufficiali di basso rango della Intrepid sono diventati molto superstiziosi fanno di tutto per rimanere sull’astronave ed evitare di essere inviati in qualche missioni. Andrew Dahl, assieme ad alcuni colleghi, cerca di capire le ragioni di quella situazione del tutto anomala ma la spiegazione sembra davvero folle e la soluzione al problema ancor di più. Nella serie originale di “Star Trek”, le missioni su pianeti di frontiera erano pericolose ma non potevano certo uccidere Kirk o Spock. Per questo motivo, assieme a loro c’era sempre qualche sconociuto ufficiale, tipicamente un guardiamarina, che diventava la vittima sacrificale. Si trattava di ufficiali della sicurezza che indossavano una maglia rossa, di conseguenza il termine inglese “redshirt” col tempo divenne un termine parte dello slang del mondo della fantascienza per indicare i personaggi destinati a morte certa.
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Partendo da questo concetto, John Scalzi ha scritto un romanzo che, almeno Inizialmente, è una parodia di “Star Trek”. In particolare, l’autore riprende certi cliché che venivano utilizzati nella serie originale per aggiungere drammaticità agli episodi con scene d’azione. In “Uomini in rosso”, la mortalità dei guardiamarina che prestano servizio sull’astronave Intrepid è elevatissima e quando Andrew Dahl viene assegnato ad essa comincia rapidamente a essere preoccupato per la sua sopravvivenza. Nonostante questa premessa, la prima parte del romanzo è apertamente umoristica proprio perché è una parodia perciò il comportamento dei personaggi è spesso sopra le righe e gli eventi sono spesso bizzarri se non surreali. Andrew Dahl vuole capire le cause della mortalità così elevata sulla Intrepid, maggiore perfino rispetto a quella che avviene su astronavi impegnate in missioni rischiose. La risposta è sconvolgente: lui e il resto dell’equipaggio della Intrepid sono in realtà personaggi di una serie televisiva del XXI secolo. Quest’idea è davvero difficile da accettare ma per Andrew Dahl e per i suoi colleghi rappresenta anche l’unica speranza di salvezza. Essa determina anche un cambiamento nel tono del romanzo, che diventa più filosofico. Ci sono già stati tanti casi in passato di romanzi e anche film in cui qualche personaggio di una storia assume la consapevolezza della propria natura. John Scalzi non è certo andato là dove nessun autore era mai giunto prima ma anche le sue storie umoristiche hanno trame complesse. In questo caso, dopo la parte iniziale in cui Andrew Dahl indaga su ciò che succede sulla Intrepid, l’autore sviluppa la storia fino ad arrivare all’incontro tra personaggi, attori e team di produzione della serie televisiva. “Uomini in rosso” non è un romanzo filosofico ma
pone comunque domande su argomenti come destino e libero arbitrio, validi non solo per i personaggi della serie televisiva ma anche per i loro creatori e interpreti. La storia principale è breve per gli standard odierni e ci sono tre code narrate in prima, seconda e terza persona dedicate a tre personaggi del romanzo con storie piuttosto intense. In queste code, il tono è davvero diverso rispetto a quello leggero della prima parte del romanzo. Esse mostrano l’impatto della serie televisiva e del successivo incontro con i personaggi sulle loro vite. Il romanzo è orientato per lo più alla trama e alle domande che essa pone mentre queste code danno ai loro protagonisti una reale profondità. Il rapporto tra gli autori, di letteratura o sceneggiature, e i personaggi che creano e quello tra gli attori / attrici e i personaggi che interpretano può essere complesso. “Uomini in rosso” è una celebrazione dei personaggi minori e anche degli attori e delle attrici che non sono stelle ma interpretano un certo ruolo a volte solo per pochi minuti guadagnando qualche soldo che serve loro a sopravvivere. Tutti questi elementi danno vita a un romanzo un po’ eterogeneo con un tono che cambia nel corso della storia e un ritmo che a volte è lento e lascia spazio all’introspezione mentre altre volte è più rapido, quasi frenetico. Una conoscenza della serie originale di “Star Trek” è quasi indispensabile per comprendere i tanti riferimenti contenuti nel romanzo. Entrare nei meccanismi della storia al suo inizio è probabilmente l’unico modo per apprezzarne le parti successive e le code. Il fatto che “Uomini in rosso” sia poco omogeneo è secondo me l’unico suo vero problema, per il resto è un tipo di romanzo che può suscitare reazioni molto soggettive. Personalmente mi è piaciuto con momenti che ho trovato esilaranti e altri commoventi. Per le sue caratteristiche è difficile consigliarlo a tutti ma se vi intrigano gli elementi in esso contenuti credo che valga la pena di leggerlo.
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I libri da Rileggere I RITI DELL'INFINITO di Michael Moorcock
I riti dell'infinito di Michael Moorcock
Il veliero dei ghiacci Il romanzo “Il veliero dei ghiacci” (“The Ice Schooner”) di Michael Moorcock è stato pubblicato per la prima volta nel 1966 a puntate nella rivista “sf Impulse” e nel 1969 come libro. Un’edizione rivista è stata pubblicata nel 1977. Un’ulteriore revisione è stata pubblicata nel 1985. In Italia è stato pubblicato dalla Casa Editrice la
Tribuna nel n. 163 di “Galassia” e all’interno del n. 31 di “Bigalassia” e da Mondadori all’interno del n. 68 di “Millemondi” nella traduzione di Roberta Rambelli. Il Millemondi completo è anche disponibile in formato Kindle su Amazon Italia e Amazon UK e in formato ePub su IBS. Konrad Arflane è il discendente di una famiglia di marinai ma ha dovuto cedere la nave dei ghiacci che comandava per pagare dei debiti. Un giorno si imbatte per caso in un anziano uomo ferito e disperso sui ghiacci dopo il naufragio della sua nave. Dopo qualche esitazione, lo salva e lo riporta nella sua città. L’uomo è il nobile Rorsefne, uno degli uomini più potenti della città di Friesgalt. Prova gratitudine per Konrad Arflane e il fatto che abbia esperienza come capitano di una nave è una fortuna. Rorsefne aveva fatto naufragio durante una spedizione alla ricerca della leggendaria New York e ha bisogno di qualcuno da mettere al comando di un nuovo viaggio. “Il veliero dei ghiacci” può inizialmente sembrare un misto tra “Storia di Arthur Gordon Pym” e “Moby Dick” per l’importanza della caccia alle balene ma il mondo in cui è ambientato risulta rapidamente diverso dal nostro. Le navi viaggiano sul ghiaccio invece che sull’acqua e anche gli animali si sono adattati a vivere sui ghiacci. Si tratta di un mondo futuro in cui a causa
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di una nuova era glaciale anche i mari sono coperti di uno spesso strato di ghiaccio. Si capisce che si tratta del futuro grazie al fatto che Michael Moorcock menziona più volte plastica e nylon, descrivendoli come antichissimi e diventati preziosi. Anche le navi sono antiche e le tecnologie per costruirne altre non esistono più. Nel corso del romanzo, ci sono molti riferimenti alla religione di quel futuro, incentrata sulla Madre dei Ghiacci. Il tema religioso è fondamentale nella storia perché Konrad Arflane è un tradizionalista. Quando ha la possibilità di comandare una nave alla ricerca della leggendaria New York per lui quello diventa un pellegrinaggio perché là potrebbe trovare la Madre dei Ghiacci. La devozione di Konrad Arflane è messa alla prova quando si innamora di Ulrica, la figlia del nobile Rorsefne, sposata con il nobile Ulsenn. Urquart, il migliore tra i cacciatori di balene nel suo equipaggio e anche il più devoto alla Madre dei Ghiacci, vede il viaggio verso New York come una possibilità di salvezza per l’umanità. La devozione unisce Konrad e Urquart ma la storia d’amore con Ulrica crea problemi tra i due uomini. “Il veliero dei ghiacci” è di base una grande avventura sui ghiacci del mondo futuro che però contiene molti altri elementi. Il romanzo è soprattutto la storia di Konrad Arflane, con i suoi tormenti religiosi e amorosi e ciò lo rende anche il personaggio di gran lunga più sviluppato. Sinceramente la storia d’amore tra Konrad e Ulrica non mi è piaciuta perché mi è parsa superficiale. È un amore quasi a prima vista, reso complicato dal fatto che lei è sposata a un uomo che non ama per motivi di pura convenienza. Alla fine, la loro storia serve sostanzialmente a creare problemi a Konrad. L’altro difetto del romanzo secondo me è nel finale un po’ affrettato. Questo può essere però giustificato dai limiti di lunghezza imposti nell’iniziale edizione su rivista. È un finale in cui Konrad Arfla-
ne scopre la verità sul suo mondo e contiene una speranza per il futuro perciò avrebbe meritato uno sviluppo maggiore. Secondo me, questi difetti sono ampiamente compensati da un’avventura intrigante con un protagonista che non è esattamente un eroe e qualche altro personaggio interessante. Konrad Arflane vorrebbe che il mondo rimanesse sempre uguale e vede con sospetto ogni cambiamento, a cominciare da una certa tolleranza verso il libero pensiero che trova nella città di Friesgalt. Questa sua ostinazione lo rende per certi versi un anti-eroe eppure bisogna riconoscere la sua onestà, anche con se stesso riguardo ai suoi difetti. “Il veliero dei ghiacci” non è probabilmente tra i migliori romanzi di Michael Moorcock ma se vi piacciono le avventure con ambientazioni piuttosto estreme e personaggi piuttosto “ruvidi” vi dovrebbe piacere.
Il campione eterno Il romanzo “Il Campione Eterno” (“The Eternal Champion”) di Michael Moorcock è stato pubblicato per la prima volta nel 1970. È il primo romanzo della serie di Erekosë. In Italia è stato pubblicato da Sevagram all’interno del n. 2 di “Fantascienza Book Club” nella traduzione di Sebastiano Fusco e Riccardo Valla, da Fanucci all’interno del n. 118 de “Il Libro d’Oro” e da Mondatori nel n. 28 di “Urania Fantasy” e all’interno del n. 68 di “Millemondi” nella traduzione di Riccardo Valla. Il Millemondi completo è anche disponibile in formato Kindle su Amazon Italia e Amazon UK e in formato ePub su IBS. John Daker è un uomo del XX secolo. Il suo sonno viene disturbato da strani sogni finché non risponde ad una chiamata da un altro tempo. Viene evocato in un mondo in guerra in cui gli viene detto che lui è Erekosë, un mitico eroe del passato riportato in vita per salvare l’umanità dai nemici Eldren.
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John non ha ricordi di Erekosë eppure ha una strana familiarità con la leggendaria spada di quell’eroe. Accetta di combattere per la salvezza dell’umanità, anche perché gli Eldren gli vengono descritti come demoni. Prima di andare in guerra a fianco di re Rigenos, John / Erekosë conosce la principessa Iolinda, con cui inizia una relazione sentimentale. La situazione diventa complicata quando gli umani non sembrano così buoni, gli Eldren non sembrano demoni e strani sogni sembrano ricordi di altre vite in altri mondi. Le molte opere di Michael Moorcock possono generalmente essere inquadrate in un multiverso narrativo. Ciò significa che esso include i tanti universi narrativi in cui alcune serie ma anche alcune opere singole sono ambientate collegandoli tra loro. In alcuni casi, le storie possono essere tranquillamente lette indipendentemente dalle altre ma ci sono casi in cui l’autore inserisce riferimenti espliciti ad altri universi narrativi ed è questo il caso della serie di Erekosë. All’interno di questo multiverso narrativo, Michael Moorcock ha inserito il concetto di campione eterno. Si tratta di un eroe, non necessariamente senza macchia e senza paura, che si manifesta in personaggi diversi dei vari universi narrativi. Nel romanzo “Il Campione Eterno” ciò è reso in maniera molto esplicita perché John Daker / Erekosë sogna alcune delle altre sue vite. Erekosë è un eroe diventato mitico che viene evocato moltissimo tempo dopo la sua morte per salvare l’umanità dagli Eldren. La sua storia è narrata in prima persona dal protagonista e ciò aiuta il lettore a comprendere la sua confusione iniziale, i suoi dubbi e le motivazioni delle sue decisioni. “Il Campione Eterno” contiene molti elementi tipici di Michael Moorcock e non solo per i vari riferimenti al suo multiverso. In molte opere di quest’autore ci sono colpi di scena in cui il protagonista scopre che le cose non stanno come pensava o come gli era stato fatto credere. A Erekosë viene detto che gli umani sono i buoni e gli Eldren i cattivi ma pian piano si accorge che non è così.
La trama di questo romanzo è per certi versi prevedibile, soprattutto per chi ha già letto un po’ di opere di Michael Moorcock. Alla fine, Erekosë sembra segnato da un destino nelle sue azioni e, anche se non viene detto esplicitamente, sembra che sia guidato da un potere superiore. “Il Campione Eterno” è fondamentalmente un romanzo di heroic fantasy anche se la componente magica è ambigua. Gli umani parlano continuamente a Erekosë di sortilegi ma lui non assiste mai direttamente a eventi magici. D’altra parte, il principe Arjavh gli parla di armi potentissime in termini scientifici e facendo parte del multiverso narrativo di Michael Moorcock questo romanzo è legato a varie opere di Fantascienza. Stiamo parlando di un autore che alterna i vari generi e sottogeneri perciò le etichette hanno un valore limitato. “Il Campione Eterno” ha una lunghezza limitata, nella media del mercato britannico dell’epoca. Anche per la sua componente avventurosa, il ritmo è elevato. Essendo narrato in prima persona, Erekosë è di gran lunga il personaggio meglio sviluppato ma ce ne sono anche alcuni altri ben sviluppati. Secondo me, “Il Campione Eterno” è complessivamente un buon romanzo che è fondamentale all’interno delle opere di Michael Moorcock per il tema del campione eterno nel suo multiverso narrativo. Per questo motivo, penso che vada letto da chiunque sia interessato a quest’autore.
I riti dell'infinito Il romanzo “I riti dell’infinito” (“The Wrecks of Time” o “The Rituals of Infinity”) di Michael Moorcock è stato pubblicato per la prima volta a puntate tra il novembre 1965 e il gennaio 1966 sulla rivista “New Worlds” con lo pseudonimo James Colvin e nel 1967 come libro. In Italia è stato pubblicato da SIAD Edizioni nel n. 5 di “Omicron Fantascienza” e da Mondadori all’interno del n. 68 di “Millemondi” nella traduzione di Vittorio Curto-
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ni. Il Millemondi completo è anche disponibile in formato Kindle su Amazon Italia e Amazon UK e in formato ePub su IBS. Il professor Faustaff sta viaggiando nella California di una delle varie versioni della Terra quando incontra Nancy, che sta facendo l’autostop. Assieme, si fermano in un motel, dove incontrano un altro viaggiatore che a Faustaff sembra subito sospetto. Vorrebbe indagare ma viene chiamato per un’emergenza. Le squadre D sono di nuovo all’opera. Questi misteriosi personaggi causano Situazioni di Materia Instabile, fenomeni che provocano la distruzione di una Terra. Faustaff e la sua organizzazione cercano di fermarli ma il professore si rende presto conto che la situazione è più complessa di quanto pensasse. In uno dei suoi primi romanzi, Michael Moorcock utilizza uno dei temi che hanno contrassegnato la sua opera, quello dei mondi alternativi. Nel corso degli anni, ha costruito un suo multiverso narrativo che collega parecchi universi diversi descritti nelle sue storie. Ne “I riti dell’infinito” il professor Faustaff (Faust+Falstaff) dirige un’organizzazione che ha i mezzi per muoversi attraverso una serie di Terre alternative. Circa trent’anni prima degli eventi del romanzo, il padre di Faustaff ne aveva scoperto l’esistenza ma nel corso del tempo alcune di queste Terre sono state distrutte dalle misteriose squadre D per motivi sconosciuti. “I riti dell’infinito” racconta i tentativi di Faustaff e della sua organizzazione di contrastare le azioni delle squadre D per salvare le Terre alternative che vengono attaccate. Un elemento tipico di Michael Moorcock che già si vede in questo romanzo consiste nel fatto che nel corso della storia Faustaff scopre che le cose sono ben più complesse di quanto pensasse e la verità è diversa da quella che si aspettava. Questo romanzo è davvero breve per gli standard
odierni perciò dopo un inizio che introduce protagonisti e ambientazione il ritmo è generalmente molto elevato, con parecchi colpi di scena. Michael Moorcock è fortemente legato al movimento New Wave ma la trama de “I riti dell’infinito” ricorda più le storie avventurose degli anni precedenti. L’autore vi aggiunge elementi più tipici degli anni ’60 come i riti del titolo. Lo stesso Faustaff sembra per molti versi più un personaggio delle storie della Golden Age, trattandosi di uno scienziato con competenze multiple. Anche in questo caso, Michael Moorcock sembra volerlo in qualche modo “modernizzare” ma secondo me lo fa in maniera goffa indebolendo il protagonista assoluto del romanzo. Secondo me, le eccentricità di Faustaff finiscono per essere più che altro una distrazione. L’autore sembra volerlo rendere più umano ma alla fine mi sembra solo un po’ bizzarro. L’impressione è che Michael Moorcock stesse ancora sviluppando il suo stile ma non riuscisse ancora a sviluppare al meglio i personaggi. Anche Nancy, incontrata all’inizio del romanzo e con la quale inizia rapidamente una relazione, finisce per essere un peso. Nel suo caso, il problema è che è sostanzialmente inutile nella storia. Quando è presente, parla con Faustaff, assiste ad alcuni eventi ma non ha un vero ruolo. Il risultato è una storia che secondo me funziona soprattutto nei suoi elementi base. C’è un’avventura tra i mondi con la progressiva scoperta di ciò che sta succedendo realmente che è intrigante. Tutto ciò che vi sta attorno è così così, a cominciare dai personaggi: oltre a Faustaff, ce ne sono un paio sviluppati decentemente, gli altri sono sostanzialmente irrilevanti. Alla fine, “I riti dell’infinito” è secondo me un romanzo discreto da considerare per il suo valore “storico” nella carriera di Michael Moorcock e per questo motivo può essere interessante soprattutto per i suoi fan.
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I libri da Tradurre Great North Road di Peter F. Hamilton
profilo. Il caso diventa subito più complicato quando le ferite riportate dalla vittima risultano le stesse rilevate in un omicidio avvenuto vent’anni prima, commesso sul pianeta St Libra, in cui una delle vittime era uno dei maggiori esponenti della famiglia North. Angela Tramelo, che era stata condannata per quel vecchio omicidio multiplo, aveva sempre sostenuto che il vero colpevole era un alieno ma non era stata creduta perché nessuno aveva trovato tracce di presenze aliene sulla scena del delitto. Il caso viene riaperto e Angela viene affidata alla custodia della Human Defence Alliance (HDA), che intende iniziare una spedizione su St Libra per indagare su una possibile presenza aliena che potrebbe minacciare il maggior produttore di bio-carburante e forse l’intera umanità. Peter F. Hamilton è noto soprattutto per le sue space opera che di fatto sono lunghissimi romanzi divisi in due o tre libri. Invece, “Great North Road” è un romanzo unico che ha poco della space opera e Great North Road racconta una storia indipendente che ha una fine. di Peter F. Hamilton Rimane la lunghezza, quasi 1.100 pagine nell’edizione rilegata, data dalle sottotrame in cui il romanzo è diviso, come tipico di quest’autore. “Great North Road” comincia come un giallo fantascientifico, con la scoperta di un omicidio. RiIl romanzo “Great North Road” di Peter F. Hasulta subito chiaro che non si tratta di un crimine milton è stato pubblicato per la prima volta nel comune perché la vittima è un membro della fami2012. È al momento inedito in Italia. glia North. L’uomo non viene identificato con preL’anno 2143 comincia in maniera complicata per il cisione perché non ha con se alcun documento detective Sidney Hurst della polizia di Newcastle personale ma i North sono cloni perciò sono faquando arriva sul luogo di un omicidio. La vittima cilmente riconoscibili. è un membro della potentissima famiglia North e Le conseguenze di questo crimine portano ad un ciò significa che si tratta di un caso di altissimo complesso sviluppo della storia con la progressiva
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introduzione di molti personaggi e di tecnologie future per farci conoscere quest’universo narrativo. Il futuro raccontato da Peter F. Hamilton non è molto diverso dal nostro nonostante i progressi tecnologici, che includono la possibilità di aprire tunnel spaziali che portano istantaneamente su altri pianeti, perciò per il lettore non è difficile comprendere le azioni dei personaggi. Nel futuro di “Great North Road” i carburanti fossili sono stati sostituiti non da fonti rinnovabili ma da biocarburanti. Il maggior produttore è il pianeta St Libra grazie all’attività di una parte della famiglia North. È lì che si svolge una delle sottotrame del romanzo e il collegamento tra un omicidio plurimo avvenuto nel passato e quello scoperto al suo inizio rappresenta il mistero base della storia. Il modo in cui il clone North è stato ucciso è identico a quello usato per uccidere un gruppo di persone, incluso un altro North, vent’anni prima. Angela Tramelo, che era stata condannata per quegli omicidi, ha la possibilità di dimostrare finalmente la sua innocenza ma la sua inclusione in una spedizione militare gestita dalla Human Defence Alliance contribuisce a rendere il mistero più fitto. Le sottotrame che riguardano l’indagine della polizia di Newcastle e la spedizione su St Libra sono le principali di “Great North Road”. Vari elementi del mistero attorno agli omicidi vengono svelati nel corso del romanzo in una storia che assume molte ramificazioni diverse che riguardano la famiglia North ma anche altri personaggi, soprattutto Angela Tramelo. “Great North Road” è anche la storia del mistero attorno ad Angela Tramelo. È l’unica sopravvissuta a quel vecchio massacro avvenuto nella villa di uno dei più importanti esponenti della famiglia North, dove sostanzialmente lavorava come prostituta al suo servizio esclusivo. Dopo vent’anni trascorsi in prigione, l’aspetto di Angela non è cambiato minimamente grazie ad un trattamento di longevità che però è costosissimo, tanto che solo le persone più ricche possono permetterselo. Ben presto, risulta evidente che Angela nasconde qualcosa e la scoperta dei suoi segreti, anche tramite flashback sul suo passato, procede in parallelo con quella dell’indagine sulla possibile presenza aliena su St Libra. Le due sottotrame principali sono legate alle due
possibili soluzioni del mistero degli omicidi. L’indagine portata avanti a Newcastle fa pensare sempre più ai poliziotti che siano il risultato di una guerra economica tra multinazionali, forse addirittura di uno scontro all’interno della famiglia North. Al contrario, la spedizione su St Libra fa pensare sempre di più ai suoi capi che ci sia davvero una presenza aliena. La complessità della storia, con tanti indizi apparentemente contraddittori, è usata da Peter F. Hamilton per rendere interessante un romanzo così lungo. L’autore semina qua e là vari indizi che possono aiutare il lettore a capire come mai le indagini a Newcastle portino sempre di più a conclusioni che apparentemente contrastano con ciò che succede su St Libra, dove qualcosa comincia ad attaccare i membri della spedizione della HDA uccidendo facilmente militari ben addestrati. Inevitabilmente, il ritmo è più elevato nella sottotrama ambientata su St Libra, dove c’è tanta azione. Banalizzandole all’estremo, è come se Peter F. Hamilton avesse messo assieme la trama del film “Predator” per la sottotrama ambientata su St Libra con quella di CSI per la sottotrama ambientata a Newcastle. L’omicidio di un North è di altissimo profilo perciò le indagini vengono supervisionate ad alti livelli e il detective Sidney Hurst deve gestire anche i suoi superiori. Per questo motivo, il ritmo di quella sottotrama tende ad essere lento. Come se la storia non fosse abbastanza complessa, c’è la questione degli alieni. La HDA è stata formata alla fine del XXI secolo per combattere la minaccia Zanth. Si tratta di un’entità aliena potenzialmente molto distruttiva ma dopo decenni gli umani non sono ancora riusciti a comprenderla davvero. Molti membri della HDA hanno profonde convinzioni religiose e questo è uno dei temi della sottotrama ambientata su St Libra. In “Great North Road” ci sono moltissimi personaggi. Quelli importanti sono ben sviluppati e nel corso del romanzo Peter F. Hamilton ci svela la loro personalità, i loro desideri e aspirazioni, le loro motivazioni. Di alcuni vengono svelati anche vari segreti, che sono una delle basi del romanzo. Forse la conclusione è un po’ troppo semplice per un romanzo così lungo e complesso ma secondo me “Great North Road” è molto buono. Se non vi spaventano le storie piene di ramificazioni e vi piacciono quelle piene di misteri è un romanzo da leggere assolutamente.
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S ka n
IL venditore dI pensieri usati
E non avevo neanche voglia di leggere Benni, ma non sapendo cosa prendere dallo scaffale della libreria di casa, diciamo che ho chiuso gli occhi e ho affidato la scelta al caso. E il caso ha deciso: Elianto. Elianto inizia strano, col rumore universale, e la scoperta della mappa nootica da parte, appunto di Elianto. Che è il protagonista, più o meno. E che all’inizio è rinchiuso in una clinica, malato di “morbo dolce”, presunto terminale alla tenera età di 13 anni. E la mappa nootica, se vi state chiedendo cos’è, non è altro che la mappa che si utilizza per viaggiare attraverso gli otto mondi alterei. Mi pare chiaro, no? Sempre all’inizio, ci vengono presentate alcune entità diaboliche, un paio di dottori e altri personaggi di vario genere, tra cui un maestro di levitazione che deve vivere col casco sempre in testa per evitare craniate sul soffitto. Conosciamo pure la famiglia di Elianto, rinchiusa in un grattacielo (o grattasmog, come lo definisce Benni), in una situazione che ricorda vagamente la vita del “1984” di Orwell. Ma andiamo avanti, e vediamo come la ricetta della medicina per salvare Elianto venga data a tre teppistelli da un’anguilla sott’olio, e come nel frattempo le tre entità diaboliche siano costrette a entrare a loro volta in possesso di una delle mappe nootiche.
Elianto di Stefano Benni
Che in questo momento è la terza. Sì, ok, non vi ho detto a chi appartiene la seconda, ma è di un’assurdità tale che non posso dirvela adesso. Forse più tardi, o forse vi lascerò il gusto di scoprire gli altri personaggi da soli. Perché c’è qualcuno di cui non vi sto parlando. Deliberatamente, s’intende. Ah, già: anche ai tre teppisti viene data una mappa nootica, e siamo a quattro. Così, quando lo leggerete non andrete in confusione coi conteggi. A questo punto si passa alla seconda parte, distinta dalla prima da una pagina con scritto “Parte Seconda, il viaggio nei sette mondi” e il testo di “Midnight Train”, un brano di Snailhand Slim. No, non affannatevi a cercare chi è su Wikipedia, è un personaggio inventato da
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Benni, presente nel romanzo. E no, non è lui quello in possesso della seconda mappa. E ancora, non avete letto male: i mondi alterei sono 8, sulla seconda parte è scritto 7. E qui, cari lettori, inizia l’avventura vera e propria, sulla quale non mi dilungherò più di tanto. Anzi, per comodità non la descriverò affatto. Vi dico solo che, com’è tradizione della narrativa “Benniana”, è una roba esilarante, tanto da costringere mia moglie a chiedermi di non leggerlo a letto, che non riesce a prendere sonno con me di fianco che rido. Mia moglie, sì. Perché, anche se magari mi conoscete solo attraverso il blog o Skan Magazine, dovete sapere che io non sono un’entità astratta. Però a lasciarvi così mi sento in colpa, quindi una cosa ve la racconto: Elianto se ne starà a sognare nella sua stanzetta della clinica; i suoi tre amici saranno alle prese con la ricerca di uno strano frutto (e non solo di quello), accompagnati per breve periodo dalla sgangherata ciurma di Capitan Guepierre; i tre demoni andranno alla ricerca del Kofs, e il trezo elemento narrativo di cui non vi parlo è il più esilarante. E, ovviamente, ogni gruppo di personaggi non visita un unico mondo. Il personaggio migliore di tutti, mi chiedete? Brot, naturalmente. Ma parliamo ora della terza parte, che si divide dalla seconda con una pagina simile a quella già descritta. Simile, non uguale. Ma questi son dettagli: in questa parte temeremo per la vita di Elianto, e seguiremo con orrore le vicende politiche di Tristalia, perché a questo punto la battaglia politica si farà cruenta. Elianto Ovviamente si salverà, ma non vi dico chi lo salverà; i politici si ammazzeranno fra di loro, com’è giusto che sia, i campioni del governo entreranno in crisi, eccetera. E si passa alla quarta parte, che si divide dalla seconda con una paginetta diversa, in qualche
modo, dalle precedenti. Qui verrà ritrovata una tigre, prima di tutto. Come sarebbe a dire “cosa centra la tigre”? Vi ho già detto che non vi sto parlando di uno dei tre gruppi, no? E comunque non è l’unica cosa che verrà ritrovata, ma il resto lo tengo per me e me lo rido da solo. Perché dovete ridervelo anche voi: se vi svelo tutto adesso perdete metà del gusto! In ogni caso, i tre gruppi si incontreranno, e porteranno i loro doni al nostro Elianto. Giustizia verrà fatta, e i personaggi che meritano una punizione avranno una punizione. Magari non ricorderete subito a cosa si aggancia la pena, ma vi verrà in mente, e allora riderete il doppio. Ed Elianto arriverà, non disperate. Arriverà e sarà aiutato dal Kofs, a vincere. Come sarebbe a dire “vincere cosa” e “cosa diavolo è un kofs”? Insomma, mica posso riscrivere il romanzo parola per parola, no? Comunque, cari lettori, questa è più o meno la storia. Come ultima cosa, prima di chiudere questa recensione, vi chiedo: cosa centra un chicco di riso in tutto ciò? A voi scoprirlo! E siate maggioranza! A me le guardie! di Terry Pratchett
Simpatico romanzo fantasy – umoristico, narra di una sgangherata squadra di guardie cittadine alle prese con un drago. E se non vi piacciono le spoilerate, cari lettori, fareste bene a non leggere di più, che qui ho già svelato fin troppo.
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Inizia con una setta che vuole impadronirsi del trono della città di Ankh-Morpork, una città dove ladri, assassini e criminali vari sono istituzioni del tutto legali, e per farlo evocherà un drago, il quale dovrà essere peraltro fittizio onde venire sconfitto da un re impostore che sarebbe il nipote del gran maestro. Le guardie sono i soliti tre idioti che troviamo un po’ ovunque, nella narrativa di genere, ai quali se ne aggiungerà un quarto. Quelli che vanno in giro di notte a urlare “E’ l’una di notte, e tutto va bene” (cit.), evitando accuratamente i quartieri più malfamati, dove si svolgono orribili delitti, e aggirandosi fra le strade più tranquille. Ecco, il quarto membro è tale Carota, figlio di nani. Adottivo. Alto due metri, un armadio di uomo, forte come pochi altri al mondo, con un cervello così poco usato che poco ci vuole a farci stare il regolamento e tutte le leggi (inutili) della città di cui sopra. Diciamo che arriverà ad arrestare il drago, una volta semi sconfitto, dopo che si era proclamato re della città. Il drago, sì. Perché il drago mica è così fittizio come si credeva. No, è un drago in piastre e ossa! Che sarà sconfitto da un piccolo drago a propulsione… beh… insomma, un piccolo drago che vola a forza di scoregge. Il tutto infarcito di frasi molto evocative, di passaggi degni di romanzi d’altri tempi… insomma, è scritto molto, molto bene.
Perché solo tre stelle, allora? Mapperché diciamo che la storia va avanti un po’ a rilento, specie nella prima parte. Cosa che mi stava facendo pensare di abbandonare il tutto dopo le prime 30 pagine. E per il fatto che sai già come andrà a finire, perché è scontato che tutto si risolva per il meglio e che le guardie riscattino il loro onore. Avrei potuto anche dare la quarta stella, se avessi avuto (n) anni di meno. Insomma, mi è piaciuto, ma non credo che leggerò ancora Pratchett. E con questo è tutto, cari lettori. Alla prossima!
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S ka n
L'Esordio
Recensione di Luca Scelza per Isola Illyon http://www.isolaillyon.it/2014/03/21/ recensione-arca-il-risveglio-di-pito.html
Marchisio Arata
A . R. C . A . Il risveglio di pito
Eroi al comando di robotiche macchine da guerra schierati contro un pericolo siderale? Questo è solo l’inizio. “Arca: Il risveglio di Pito“, un sci-fi pieno di sorprese! Viandanti in cerca di avventure e narrativa epica fermatevi qui sull’Isola per leggere di questa storia. Nonostante chi vi scrive sia cresciuto a pane elfico farcito con pezzettoni di d20 servito su spade affilate, non sono riuscito ad essere indifferente all’opera sci-fi di cui vi racconto oggi. Matteo Marchisio e Alvaro James Arata, i due autori del libro “A.R.C.A. Il risveglio di Pito” sono riusciti a dar vita a qualcosa di davvero molto interessante. L’opera di questi due autori emergenti è strutturata in maniera intelligente e secondo un crescendo che non dispiace al lettore, tenendo alta l’attenzione con un’evoluzione narrativa quasi cinematografica.
azioni coraggiose e poteri da risvegliare, uno scontro epico infiamma, personaggi altalenanti, saldi sulle proprie idee, ingegnosi o paurosi, giocheranno un gioco che tra pianeti e navi spaziali disegnerà il destino dell’Intesa Siderale e dei suoi abitanti. Come si evolverà la storia? La Decima Armata riuscirà a fronteggiare il leggendario potere risvegliato da Dakkar, o c’è ancora qualcosa da scoprire, e da risvegliare?
Cosa accade ai nostri eroi? Appassionati di siloni e di battaglie spaziali, questa storia prende vita nello spazio siderale, dove i nobili Mokter, sentendotivessati e privi di libertà dalle leggi democratiche dell’Intesa Siderale mettono in atto una ribellione, che sconvolge tutto il sistema Lex V. Un misterioso potere, padroneggiato dal Lord Dakkar, e dai suoi sottoposti Mokter, aggiunge un pericoloso tassello all’impresa di fermare la potenza delle sue armi e dei suoi soldati. Frank “Boss” Basosky, capitano della Decima Robotizzata, si schiera contro i nemici dell’intesa Insieme ad altri nove piloti, che a bordo delle loro Armature Robotizzate per il Combattimento Aggressivo (da qui A.R.C.A.), si opporranno al desiderio di distruzione dei Mokter. Tra esplosioni, morti, vite da salvare, armature danneggiate,
Scrittura? Saranno emergenti, ma ci sanno fare. Ho alzato la testa dall’e-reader due, forse tre volte, durante tutta la lettura del libro, l’ho digitalmente divorato, e come avrete intuito non mi è dispiaciuto. Spesso si criticano le opere di emergenti scritte a quattro mani, ma questa può essere una grande leggerezza, talvolta. Nel nostro caso, non si tratta di uno scrittore e del suo editor che scribacchia un po’ con lui, ma a quanto mi sembra, o mi piace pensare due superappassionati di robottoni, combattimenti fantascientifici e spaziali, con un background fantasy (non mancanopoteri ancestrali, e dinamiche che ricordano l’ambientazione fantasy), hanno scritto, letto e riletto questo loro lavoro, perfezionandolo e costruendolo su vari elementi, rendendo il tutto un prodotto quasi cinematografico, per l’azione e per l’alternanza delle sequenze narrative e dei climax
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ottenuti. I personaggi sono ben compositi, e nonostante io sia contrario ai bipolarismi bene/male, ormai tramontati dietro logiche strasuperate, gli uomini e le donne che popolano le pagine spaziali di questo libro non sono banalmente manichei, i piloti degli ARCA differiscono tra di loro, e permettono al lettore di affiatarsi con uno piuttosto che con l’altro. Nonostante si tratti di eroi “buoni” che devono sconfiggere il perfido lord dei “cattivi” c’è un’alchimia che rende tutto acclimatato, mai così netto, che ha uno dei punti più interessanti nella figura del carismatico Boss Bakosky, il quale tiene tese le corde che muovono la narrazione, anche nei momenti più lenti. L’ambientazione traccia un misto tra le forze imperiali del senato starwarsiano, con i giochi di potere e il desiderio di supremazia, il gundamismo dei piloti di armi robotiche, l’epicità di un film fantasy, ed un omaggio al Titanfall di Xbox One. Tranne alcuni momenti in cui ho rivisto determinate logiche legate ai mondi e immaginari sovracitati, la storia si scava un percorso suo, che costeggia cose facilmente note, si evolve in direzioni inesplorate, ed ospita tanta tanta azione, che è qualcosa che non suona mai di già visto, se distribuita in maniera originale ed creativa. Il fattore sorpresa è stato rilevante nella lettura di questa storia, ed ho volutamente omesso degli elementi significativi, che stravolgeranno la narrazione in più punti. Vi invito a leggere “A.R.C.A. Il risveglio di Pito” e a darci un vostro parere sulla Decima Robotizzata, sui (tanti) personaggi che incontrerete e sull’ambientazione proposta. Cliccando su questo link, potrete inoltre acquistare il libro sullo store di Amazon. Buona lettura, la forza del risveglio (e non solo quello mattutino) sia con voi.
Recensione di Lanny Lannister per Leganerd http://leganerd.com/2014/01/15/arca-pito/
Chi pensava che solo i giapponesi o gli americani sapessero inventare robottoni era nel torto. Questi A.R.C.A. mangiano spaghetti e combattono esclusivamente in minoranza schiacciante. Come in ogni romanzo di fantascienza avventurosa che si rispetti non mancano né macchine pensanti, né riflessioni sul senso dell’umanità snocciolate tra un laser e una granata al plasma. Armeggiando con il Kobo nuovo di zecca la sera della vigilia mi sono ritrovato per le mani A.R.C.A. – il risveglio di Pito. Il profilo Kobo era fresco di frigo e mi sono deciso a comprare ciò che mi attirava dalla copertina senza badare troppo a cosa fosse in realtà.
Devo dire che sono rimasto molto colpito dal libro che ho scaricato per caso! Prima che diventi too mainstream e noto ai molti perché questo romanzo rappresenta una rarità nella produzione italiana fantascientifica. Superata l’immagine di copertina, di colpo, mi sono ritrovato in un universo immaginario in cui un gruppo di piloti di Armature Robotizzate per il Combattimento Aggressivo (da qui l’acronimo A.R.C.A.) fronteggiava un devastante attacco planetario portato avanti dai soliti cattivoni dotati di flotta spaziale, in questo libro chiamati Mokter.
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La guerra che infiamma la galassia coinvolge i Mokter, uno dei regni umani più potenti, contro l’Intesa Siderale, un’alleanza politica che garantisce la pace, dotata di un esercito chiamato Armata Comune di cui gli ARCA sono la punta di diamante, colpevole secondo i Mokter di aver imposto al loro popolo uno stile di vita troppo misero e umiliante. La storia è incentrata sulle peripezie dei piloti all’interno del tipico contesto manicheo buoni/cattivi
Le scene principali sono qualcosa che sa di già visto, in cui però i personaggi, capitanati da un certo “Boss” Basosky, si muovono in modo imprevedibile, servendo come professionisti su un palcoscenico collaudato. I registi, due sconosciuti autori italiani, colgono a piene mani dall’oceano sterminato degli spunti videoludici e filmografici offrendo comunque un prodotto con una sua personalità. Gli ARCA sono cazzuti e corazzati, e non mancano i dettagli tecnici che ci fanno apprezzare ancora di più queste macchine antropomorfe sgraziate ma devastanti. I fan delle saghe mecha classiche (una tra tutte: Gundam) non potranno non trovare somiglianze con alcune armi molto famose, nulla che non si sia già visto in ogni videogame o film in cui faccia capolino un robot, un esempio tra tutti il recentissimo Titanfall, amalgama di cose simili, tanto che viene quasi il sospetto che ci possa essere un collegamento tra ARCA e il gioco per Xbox. Proseguendo con le pagine emergono svariati personaggi laterali, alcuni davvero intriganti, altri costruiti ricalcando l’avventore medio delle foresterie di Morrowind, che lasciano dietro di sé una serie di dettagli e azioni apparentemente senza un significato intrinseco ma che ci
fanno capire che la vera trama è tutt’altro che quella che ci sembra di leggere. A questo punto potreste pensare? Embè? Niente di così teatralmente nuovo. No, o per lo meno non per me. Procedendo con l’azione si entra lentamente nella storia vera, una sorta diplay within the play fatta di dettagli e mezze parole proferite qui e là, dando senso al titolo del libro. A gigantesche battaglie e missioni sul filo del rasoio, fanno da contorno sprazzi di filosofia, informatica e meccanica spicciola. La conclusione spiazza, guizzando verso una direzione davvero poco prevedibile, facendo capire il senso del risveglio di Pito solo con le ultime righe. ARCA il risveglio di Pito è senza dubbio nelle intenzioni degli autori l’inizio di una saga, come d’altronde grida a gran voce il finale. È un romanzo che si prende sul serio, senza paura di cedere talvolta nella supercazzola per piacere a un pubblico allargato. Non ammicca agli stili più modaioli come lo steampunk preferendo trarre ispirazione da decine di anni di fantascienza classica. Sospendo il giudizio su un paio di passaggi poco chiari che spero verranno sviluppati meglio in un secondo volume, in più pagine e senza l’ansia di dimostrare qualcosa. Lo ritengo un’ottima lettura perché si tratta di qualcosa dal sapore straniero ma dall’italica fattura, perché mi piace pensare che si tratti di un ritorno in grande stile dei robottoni a un prezzo quasi ridicolo, perché questa galassia lontana lontana in particolare, qualcosina da dirci lo ha.
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S ka n
dolby Movie 5.1 Copycat
Solaris - 1972 vs 2002 (fantascienza)
Solaris è un pianeta, una massa oceanica nello spazio; quando si palesano problemi a bordo della stazione orbitale che ne sta studiando le proprietà, è compito dello psicologo Kelvin salire a bordo per valutare la situazione: la sua vità verrà sconvolta da Solaris. Tarkovsky nel 1972 realizzò un'opera tanto magnifica quanto complessa: reperibile nella versione di 165 minuti, in Italia arrivò potata di ben un'ora, con intere parti, come il prologo sulla Terra, completamente mancanti. Nella sua interezza, il Solaris russo è lontano da ritmi e topos cinematografici cui siamo abituati, con tempi estenuanti e un'atmosfera disturbante: la scena della statale giapponese ne è un esempio eclatante, in cui si ha la sensazione che accada da un momento all'altro qualcosa di terribile, senza che succeda alcunchè. La nostra (in)capacità di accettare il diverso o ciò che non capiamo; i limiti della scienza; l'importanza del rapporto con la natura; la religione, i fantasmi del nostro passato sono alcune delle tematiche trattate in modo esplicito ma anche con simbolismi. Sarebbe però un errore farsi spaventare dalla obiettiva difficoltà di questa pellicola: vi perdereste delle immagini ricercate e di inaudita bellezza; delle interpretazioni vive e magistrali e una storia che potrebbe entrarvi nel profondo. Veniamo alla parte difficile: giudicare il Solaris di Sodebergh. Film del 2002, è di un'ora più corto dell'originale russo; Solaris stesso è messo da parte, con buona parte delle tematiche di cui sopra. Mentre per Tarkovsky la storia d'amore tra Kelvin e sua moglie, morta anni prima ma rimaterializzata dal pianeta cosciente, è un mezzo per intavolare i profondi concetti a cui tiene, Sodebergh si focalizza proprio su questo amore, con una forte presenza di flashback della vita dei due sulla Terra, e un finale ben più da happy ending rispetto l'originale (seppur con premesse simili, la mano di Tarkovsky pone l'angoscia sopra ciò che capita a Kelvin).
In definitiva, Sodebergh ha realizzato un film senza dubbio più semplicistico, dove il cast non fa gridare al miracolo, il design della stazione orbitante è forse più realistico ma anche privo di personalità. La svolta thriller sul finale è un pó raffazzonata e di dubbia necessità ma l'atmosfera intimista, la prova convincente di Clooney e l'uso saggio della CGI -cosa affatto banale- ne fanno una pellicola senza dubbio più fruibile al pubblico e con un'impronta personale che dà una ragion d'essere a tale remake. Promosso!
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L a C a s a - 1 9 8 1 v s 2 01 3 (Horror)
La casa di Sam Raimi è un film cult; girato con quattro soldi, è l'archetipo dei film horror: degli amici si rinchiudono in una baita sperduta per far baldoria, salvo trovare il Necronomicon, maligno libro scritto con sangue e rilegato in pelle umana... neanche a dirlo, le cose prenderanno una brutta piega! Al di là della trama praticamente inesistente, Evil Dead è passato alla storia per le sperimentazioni e prestigi tecnici che presentava, come le riprese da angoli impensabili, i POV dei demoni nei boschi, oltre a una violenza per i tempi oscena! Certamente non tutto invecchia bene, ma se il gore finale fatto in stop-motion ora può far sorridere, scene come lo stupro tra gli alberi o i cosiddetti 'spauracchi' sono tutt'ora di sicuro impatto e tensione; enache a dirlo, la recitazione stralunata e sopra le righe di Bruce Campbell vale da sola la visione. Nel 2013 è uscito il remake ad opera di Fede Alvarez ma prodotto dallo stesso Raimi; la trama è pressoché identica, seppure con un paio di variazioni interessanti: i ragazzi questa volta sono nella baita per tentare l'ennesima rehab della loro amica tossicodipendente, ed è presente un twist nella gestione del protagonista principale; la pellicola è obiettivamente coraggiosa per alcune scelte, come il riproporre lo stupro nella foresta, decisamente poco commerciali ai giorni d'oggi; la violenza e lo splatter regnano sovrani, con vere e proprie piogge catartiche di sangue sul finale. C'è qualche strizzatina d'occhio all'originale, non solo nei titoli di coda; in generale regna più il disgusto per le raccapriccianti mutilazioni presenti, che per una vera tensione. Certamente,nessun attore si fa ricordare, ma come film di intrattenimento fa il suo dovere! Promosso.
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AMAZING MAGAZINE
S k a n n a t o i o XXXI I I L a s a gge z z a LE SPECIFICHE Lunghezza (globale). Minima: 5'000 caratteri. Massima: 30'000 caratteri (spazi inclusi, escluso il titolo). Genere: Horror, giallo, fantastico e relativi sottogeneri.
LE COCCARDE Questo mese saranno assegnate 2 coccarde:
Particolarità: a) Una massima di "saggezza popolare" dovrà avere un ruolo rilevante all'interno del racconto. Non importa che sia una massima "famosa" o realmente esistente, basta che sembri e suoni come saggezza popolare, quindi campo aperto a reinterpretazioni, giochi di parole, eccetera. Stupitemi pure. (per esempio, la storia di un barracuda che mangia la zampa di una micia e chiudete con "tanto va la gatta al largo che ci lascia lo zampino" è assolutamente ok)
2) La coccarda "a mali estremi..." sarà assegnata alla migliore "soluzione drastica" a un problema. Per poter ambire a questa coccarda ci dovrà essere un'evidente sproporzione tra la dimensione del problema e la portata della soluzione. (per ESEMPIO: una persona rompe la punta della matita e inventa un temperino laser che usufruisce di un acceleratore di particelle tipo CERN per stabilizzare la dinamica del bnsogh dgbhgdolhkd.)
1) La coccarda "Birra!" sarà assegnata alla migliore scena d'azione ambientata in una locanda/bar/pub/consimili.
b) Una scarpa dovrà avere un ruolo rilevante all'interno del racconto. Rilevante non vuol dire per forza che il racconto debba girare attorno alla scarpa, vuol solo dire "non mettete una scarpa del tutto inutile su una mensola, ma fate in modo che serva a qualcosa o che abbia qualche particolarità utile alla storia, o anche solo a qualche scena.
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verdognola e iniziò a A t t e n t o a c i ò glia spalmarsela sul viso. Che che desideri schifo, per non parlare di
La brezza della sera soffiava sulla piazza, inebriando i sensi col suo profumo salmastro. L’estate sta finendo, cantavano i Righeira nei favolosi anni Ottanta. All’epoca Mario adorava quella canzone. Aveva dieci anni e amava la scuola; l’immagine degli ombrelloni chiusi e dell’imminente rientro tra i banchi lo riempiva di ottimismo e aspettativa. Ora invece era diverso. Settembre significava ritorno dei turisti alle proprie case; significava solo un paio di settimane prima della chiusura definitiva della stagione. Significava meno introiti, sempre che di introiti si potesse parlare. Specie quell’anno, con il meteo ballerino che aveva svuotato le spiagge per quasi tutto luglio. Mario fece un colpo di tosse. Ecco, ci mancava pure quello. Aprì il vasetto della crema, sperando in cuor suo che si trattasse solo di un banale raffreddore o di un colpo d’aria. Un’influenza lo avrebbe costretto a un ritiro anticipato e non ne aveva proprio bisogno. Infilò le dita in quella polti-
quando avrebbe dovuto toglierla, una volta a casa. Ci volevano almeno tre lavaggi con lo struccante di Lara, e a volte rimanevano comunque delle tracce che macchiavano il cuscino. Mentre spalmava alzò la testa e diede un’occhiata intorno. C’erano ancora diverse persone in giro per la piazza, anche se a occhio e croce circa la metà rispetto ai giorni di ferragosto. Con una punta di ottimismo notò molte famiglie con bambini. Dagli adulti non ci si poteva aspettare più di tanto, ma con i bimbi… «Sé, guarda quello lì. Ma trovati un lavoro vero, perdigiorno!» Ecco il primo galantuomo della serata. Mario finse di non sentire e finì di truccarsi il viso. Posò sulla testa pelata il berretto una delizia alla Peter Pan che Lara gli aveva cucito con le sue mani - e prese la scarpina. La guardò con l'usuale commistione di amore e tristezza, e la mise un paio di passi davanti a lui. Vi infilò una manciata di monete da un euro, giusto per dare il via. Poi salì sul piedistallo e rimase immobile. Passarono solo un paio di minuti. In quel breve lasso di
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tempo una piccola folla si radunò davanti a lui. «Mamma, che fa quello lì?» «È un signore che vuole scucirci un po’ di soldi, Fabio. Dai, tira dritto che ti compro un gelato». Seguirono altri due o tre commenti sulla stessa falsariga, poi finalmente un ragazzino di una decina d’anni si avvicinò alla scarpa. Le monete dentro la piccola ballerina di vernice tintinnarono quando una loro simile si unì alla combriccola. Mario prese tempo un paio di secondi, poi alzò le braccia. Irrigidì le dita un attimo, e subito queste si illuminarono di rosso. Come ogni volta, ricordò la sera in cui aveva fatto vedere ET a Jessica. «Mamma guadda! Omino ha dito losso come papà». E come ogni volta gli si strinse il cuore. Era la settimana prima del terzo compleanno della sua piccola. Due giorni dopo, l’incidente. Mario scacciò quei pensieri. Doveva concentrarsi, o il numero non sarebbe riuscito. Fece frullare le dita e dalle unghie scaturirono scintille rosate che sfrigolavano nell’aria della sera, suscitando prolungati oh di stupore, soprattutto nel pubblico più giovane. Stava andando piuttosto be-
ne, quindi decise di alzare il tiro. Iniziò a muovere le braccia in grandi cerchi, come in una danza. Le dita ballavano in su e in giù, roteavano e si intrecciavano tra loro. Le scie fluttuavano per alcuni secondi prima di dissolversi, dandogli il tempo di creare effimeri disegni. Dal movimento delle sue mani nacque prima una barca in mezzo al mare in tempesta, poi due bambini che si tenevano per mano e ancora la luna circondata da stelle e pianeti. Per il gran finale, Mario chiuse i pugni e li riaprì con un movimento fulmineo, creando un gioco di luce che ricordava dei fuochi artificiali. Quindi, lentamente, abbassò le braccia, le incrociò davanti al petto e riprese la sua immobilità statuaria. Sentì molte parole di apprezzamento. Oltre ai più piccoli, con cui il successo era in genere assicurato, anche molti adulti battevano le mani entusiasti. Subito altre monete tintinnarono nella scarpina e lui ripeté il numero, ancora e ancora. Poi arrivò lui. Il classico dei classici, stereotipo degli stereotipi: polo bianca Lacoste, maglioncino rosa legato sulle spalle, capelli biondi che di certo vedevano più balsamo di quelli di Lara, mocassini senza calze e pelle abbronzata - più da lampada UV che da sole preso giocando a beach volley sulla spiaggia,
Mario si sarebbe giocato la testa. «No, ma voglio dire, e gli danno pure i soldi?» disse questo novello Ken, accompagnato dalla Barbie di turno, solo bruna anziché bionda. «Gente, a che livello siamo. Ehi, ciarlatano, va a lavorare e vergognati!» Mario aveva imparato a ignorare i commenti pungenti come quello. Dopotutto, come potevano sapere i dettagli della sua vita? Come potevano immaginare che la sua piccola fosse in coma da quasi due anni? Che il suo ex studio si fosse tramutato in una camera d’ospedale, dove Jessica dormiva collegata a macchinari che la mutua non passava per intero? Che Lara avesse lasciato il lavoro per occuparsi a tempo pieno della loro figlioletta e che lui dovesse provvedere a tutti gli introiti della famiglia? Mario faceva il primo turno fisso in fabbrica sei giorni la settimana. Al pomeriggio si ingegnava come tuttofare, cambiando lampadine, aggiustando tapparelle, tagliando prati e verniciando cancellate. Poi la sera, nel periodo estivo, cercava di raggranellare ancora qualche spicciolo come statua vivente, sfruttando quello strano dono che la natura aveva deciso di dargli. Si era spesso chiesto da dove venisse quella luce, manifestatasi per la prima volta a do-
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dici anni. Lui si era spaventato e non ne aveva parlato con nessuno. La prima e unica persona a cui l'aveva mostrata era stata Lara. Aveva temuto che anche lei ne rimanesse intimorita, invece aveva reagito come una bimba portata al luna park. Dopo la nascita di Jessica, le dita luminose erano diventate un gioco per farla ridere: passavano ore a giocare sul lettone, lui a disegnare quadri in aria e lei a emettere quelle meravigliose risate cristalline così tipiche degli infanti. Poi, una sera, l’auto su cui viaggiavano Lara e Jessica di ritorno da una visita al nonno paterno era stata tamponata ed era finita in un fosso. Lara si era rotta una gamba e aveva dovuto portare il collarino per un paio di mesi; Jessica aveva picchiato la testa ed era entrata in un coma da cui non si era ancora risvegliata. Alcune sere dopo l’incidente Mario non era in grado di quantificare, il tempo in quei giorni aveva preso una consistenza vischiosa, in cui il susseguirsi regolare di albe e tramonti si era sfalsato - davanti al letto su cui Jessica dormiva tra tubicini e snervanti beep, un impeto di furia e frustrazione si era impadronito di lui. «Perché?» aveva urlato. Lara, seduta su una poltrona accanto a lui, la gamba ingessata poggiata su uno sgabello, si era ridestata da un agitato dormi-
veglia. «Mario, cosa succede?» «Succede che non servo a nulla» aveva risposto lui, mettendosi a piangere. «Cosa stai…» «Parlo di queste» aveva detto lui, aprendo le dita a ventaglio. «A cosa mi serve questa stronzata della luce? Cos’è? Perché ce l’ho? Che scopo può mai avere?» «Mario, amore… il tuo dono è in grado di ispirare meraviglia. Ed è una cosa stupenda. Ricordi come rideva Jessica quando...» «Cazzate» aveva risposto lui piccato. «Perché non mi è stato dato un dono più utile? Perché non potevo ricever il potere di guarire la mia piccola? O di creare soldi dal nulla magari, per poterle dare tutte le cure migliori?... qualsiasi cosa, solo non un’idiozia come questa…» «La nonna mi diceva spesso una cosa» aveva detto allora Lara. «Attenta a ciò che desideri, perché potresti ottenerlo». Mario per tutta risposta aveva picchiato un pugno contro il muro con una bestemmia. Erano trascorsi ventidue mesi da quella conversazione, e non passava giorno che Mario, prima di addormentarsi, non desiderasse di svegliarsi la matti-
na e scoprirsi, finalmente, con un potere più grande. «Ehi, tu, mi hai sentito?» La voce del biondino lo riportò al presente. Quel tipo iniziava a irritarlo, nonostante tutti i buoni propositi. Forse anche lui ha i suoi problemi, pensò, mentre una folata più forte gli faceva frusciare le code della tunica. Lascialo perdere… Ma Mr Lacoste non sembrava avere alcuna intenzione di lasciar perdere lui. «Visto? Secondo me è pure sordo oltre che stronzo. Ha le orecchie tarate solo sulla frequenza delle monete che cadono in quella vecchia ciabatta». «Dai, René, lascialo stare» disse la sua Barbie. Ma René non le diede ascolto e si avvicinò la piedistallo sgomitando tra la piccola folla. «Guarda qui» disse. Si inginocchiò e raccolse la scarpa, «ci saranno almeno trenta euro qui dentro, se non di più». «Lasciala». La voce di Mario, fredda e distaccata, poteva parere davvero quella di una statua appena sorta a nuova vita. «Oh, visto, lo dicevo io. Ho fatto tintinnare i danari, ed ecco che quello si sveglia. Ma vai a lavorare,
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saltimbanco da strapazzo». «Lasciala» ripeté Mario. «Come vuoi» disse René. E con un gesto di stizza rovesciò il contenuto della ballerina, che rotolò sul selciato con il suono di mille campanelli, per poi gettare la scarpa verso una siepe accanto ai bidoni della spazzatura. Allora tutto accadde con una velocità disarmante. Mario scattò in avanti come spinto da una forza invisibile. Non vedeva altro che un fuoco rosso danzare frenetico di fronte ai suoi occhi, mentre gli arti gli si muovevano convulsi, appendici insensibili guidate da un folle burattinaio. Poi le orecchie gli furono invase da un suono stridente che solo dopo qualche istante riconobbe come grida di terrore. Pian piano riprese presenza di sé; quella specie di fuoco sparì. Ma non il rosso. Sbatté le palpebre come per scacciare un corpo estraneo. Lo colse un istante di smarrimento quando, in mezzo al cremisi, vide un piccolo coccodrillo. Poi la consapevolezza lo travolse. Oh mio Dio… Scattò in piedi. Intorno a lui decine di volti sgomenti. «René! René!» la voce strozzata della ragazza gli
martellava il cervello. Si guardò le mani. Le punte delle dita si erano squarciate e ne erano uscite protuberanze color mattone, affilate e stillanti sangue. Attento a ciò che desideri... René era steso sul selciato, il collo trafitto in almeno sei punti, una chiazza scura che si allargava sotto di lui. Un grido silenzioso eruppe dalla gola di Mario, che corse via verso la siepe. Nessuno cercò di fermarlo. Guardò accanto ai bidoni, la vista offuscata dalle lacrime che scendevano copiose. Ed eccola. La suola violetta puntava verso il cielo, proprio sotto al fascio di luce di un lampione. Si inginocchiò e prese la scarpa della sua Jessica tra le mani, che nel frattempo avevano ripreso il loro aspetto abituale. «Volevo di più… per te, volevo saper fare di più» mormorò, come se stesse abbracciando la sua bimba, e non un suo feticcio. «Ma non questo… non questo… Oh, tesoro mio...» In lontananza giunse l’ululato di una sirena. Certo, qualcuno aveva chiamato i Carabinieri. Mario strinse la scarpa al petto e restò lì, ad attendere che lo portassero via. Poi sentì una vibrazione. Alzò la tunica e prese il cellulare dalla tasca posteriore dei
pantaloni. Sul display era apparsa la foto di una donna sorridente con i capelli neri raccolti in una coda di cavallo; davanti al viso un bicchiere da cocktail da cui spuntavano foglie di menta e una cannuccia, ricordo di tempi più felici. Mario tenne il telefono davanti al viso, incapace di far scorrere il dito sul cerchietto verde. Era impensabile che potesse parlare con sua moglie in quel momento. «Lara… amore… Ho ucciso un uomo…» mormorò al vento, mentre l’apparecchio continuava a vibrare tra le sue dita. No, non sarebbe mai riuscito a rispondere a quella chiamata. Poi fece mente locale. Era sera, Lara sapeva che lui stava lavorando. Non lo chiamava mai mentre si esibiva. Jessica Doveva essere accaduto qualcosa… Ho ucciso un uomo… Il terrore gli cinse il cuore in una morsa mentre il senso di colpa gli toglieva la capacità di ragionare. Era assurdo ma ne era certo. L'universo stava riportando l'equilibrio… lui aveva tolto una vita e per compensazione gli era stata portata via quella di sua figlia. Con l’animo in tumulto stri-
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sciò il pollice sul display e portò il telefono all’orecchio, mentre l’urlo delle sirene diventava sempre più alto. «Mario!» disse Lara, la voce fremente di lacrime. Lui avrebbe voluto parlare, incitarla a dirgli la verità. Ma non ne trovò il coraggio. «Mario, mi senti?» «Sì» rispose lui, mentre la bocca gli si riempiva del sapore acre della paura. Allora Lara gli disse quattro parole, e tutto cambiò. Gli orrori degli ultimi minuti scomparvero. Il corpo straziato di René, le urla, il senso di colpa. La sirena smise di ululare; un istante dopo, una voce perentoria gli ordinò di alzarsi. Lui lo fece, docile. Si voltò e vide due Carabinieri, uno dei quali teneva la pistola d’ordinanza puntata verso di lui. Mario si lasciò prendere senza opporre resistenza. Lo stavano arrestando per omicidio. Avrebbe passato anni in galera, ma non gli importava. Niente gli importava in quel momento. L'universo non c'entrava nulla. Sorrise, ripetendosi l’ultima frase pronunciata da Lara. «Mario» aveva detto, «si è svegliata».
S ka n Il grande niente
https://www.youtube.com/ watch?v=hxWulda980I Tonylamuerte Onemanband Il vecchio del monte Il Tonico Caprone track n°12
Il vecchio che vive sul monte ha un segreto. E questo segreto è tanto nascosto quanto è grande il suo dolore. Prima del Grande Niente gli piacevano le storie divertenti, le risate, le ottime bevute e pochi buoni amici con cui condividere il tutto. Amava la vita in quanto dolce routine, gustandone le piccole gioie della ripetitività: curare il proprio orto, fumare la pipa, imbottigliare del buon vino, suonare il banjo, starsene seduto sulla propria sedia a dondolo sotto la tettoia della veranda di casa, ascoltare i grilli. Il Grande Niente lo riporta rapidamente al presente. Il vecchio spazza via i brutti pensieri. All'istante. E' sera e nulla è diverso dal consueto silenzio calato sul mondo. Meglio cantare e spazzare via la malinconia. Con mani oramai cronicamente tremolanti si allunga a prendere il banjo; le corde so-
no ossidate e malridotte, deve averne più cura. Il Grande Niente si è portato via tutto. Quando un mondo viene privato di ciò che è materiale, come può o potrà andare avanti una società che ha fatto del materialismo la propria essenza? Prima dell'inizio della fine, a valle era successo di tutto. Dal prevedibile sciacallaggio allo sfogo di tutti gli istinti primari più bassi. Il vecchio a quel tempo credeva che sarebbe riuscito a proteggere le poche cose che voleva disperatamente trarre in salvo dallo sfacelo del nuovo mondo. Quanto si sbagliava. L'unica scelta giusta era stata rendersi sciacallo lui stesso. Era riuscito a mettere mano alle ultime mute di corde che il proprietario dell'emporio ordinava solo per lui. Giusto in tempo prima del degenero. Ritorna al presente e guarda con amore il suo strumento. In realtà le mute dell'emporio sono ancora intatte. Il vecchio ha preferito conservarle. Lo diceva sempre anche suo padre: è meglio avere una cosa che non serva piuttosto che volerla e non averla. Ora si rende conto di quanto possano essere fondamentali determinate pillole di saggezza popolare nel mondo
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attuale. Certo, sarebbe stato bello ricordare il genitore in un contesto diverso ma chi avrebbe mai potuto prevedere il Grande Niente? Anyway, inizia a suonare. Il vecchio che vive sul monte scrive canzoni da sempre. Il brano che sta per iniziare è vagamente autobiografico. “...io sono il vecchio del monte penso sempre alla morte può farti strano ma io sono fatto così..” Mentre canta e suona si guarda attorno. Osserva il cielo vagamente rischiarato dal fuoco di strutture che bruciano al di là del bosco. “...dalla mia sedia sul monte io ti auguro morte puoi non capire ma io sono fatto così...” Ascolta il suono del vento, l'odore di fuliggine del quale l'aria è satura; la recinzione rinforzata e guarnita da filo spinato attorno alla sua area conquistata. “...oltre alla sedia uno scialle ...maledico la valle, oh! ...puoi non sentire ma io maledico così...” L'ultima ronda notturna lo ha colto impreparato però lui
continua a cantare. Dalla sua ha la serenità della consapevolezza. Il vecchio che vive sul monte ha un segreto.
prima di chiudere prende il tubo collegato allo sfiato e fa passare l'estremità attraverso un buco ricavato sul coperchio, che serve anche al passaggio del cavo “...io sono il vecchio del monte elettrico. e predico la morte Una volta chiusa la botola, è raforse non muori ma io gionevolmente sicuro che dalla preferisco di si...” campagna circostante nessuno venga attirato dal rumore. Come per sortilegio, all'ultima Dopo l'inizio del Grande Niente , nota pizzicata sul suo strumento attirare l'attenzione o meno può una delle corde, la prima e più fare la differenza tra il vivere o il sottile, salta con un rumore secco soccombere. che viene amplificato dalla pelle Entra nella baracca, si stende e tesa sulla cassa armonica. nel giro di poco tempo, crolla. Posa lo strumento. Per la manutenzione c'è tempo. ...immagini veloci in sequenza... Il vecchio è stanco; si alza dalla Il sole al tramonto. sedia e gira attorno alla sua ba- L'ultimo. racca. Prima di cedere al sonno Le sue mani ad accarezzare il videve azionare il gruppo elettroge- so tumefatto della moglie... no che permetterà il passaggio La fine delle comunicazioni... dell'alta tensione lungo la rete di Un abbaglio... recinzione. Esplosioni. Il vecchio che vive sul monte ha La gente ha sete. più di un segreto. La gente urla. Il generatore è uno di questi. Gli uomini uccidono. Sullo spiazzo dietro la baracca c'è Gli uomini stuprano. un coperchio di una botola di …i governi cedono... ampio diametro. Il sole è coperto. Lo solleva per scoprire una buca Le ronde massacrano un ragazzo. di forma cilindrica. …delle donne si alzano Le pareti sono state create povolgarmente la gonna e assumonendo delle assi di legno a no un atteggiamento provocatocontatto con la terra scavata, rio... formando una sorta di ripostiglio C'è un bambino con un fucile, interrato. Internamente c'è un ri- avrà al massimo otto anni. Spara vestimento di gommapiuma fo- ad una donna per gioco. noassorbente. I notiziari finali e poi il caos. Al centro di questo spazio, il ge- ...lui sta piangendo davanti alla neratore. buca dove ha seppellito la moLo accende, si guarda attorno e, glie.
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L'aggressività aumenta, così come la sete di violenza. ...scoppi di ira incontrollata tra la gente. La sete. La sete. La sete. La fame. Il freddo. Il dolore... ...si sveglia madido di sudore. Lo stesso mix di sogni si ripete notte dopo notte. Il peso della catena di eventi degli ultimi anni, in certe giornate è più pesante. Si alza dal letto coperto da un vecchio pigiama scolorito. Ha sulle mani dei guanti in lana con le dita tagliate che non toglie pressoché mai. Un berretto e due paia di calzettoni ai piedi. Guarda fuori dalla finestra e un piccione, atterrato dentro alla sua area, sta beccando uno straccio o qualcosa di simile. Si siede nell'angolo di baracca adibito a cucina e si mette in bocca un pezzo di carne essicata. Il vecchio che vive sul monte ha un segreto. Ha molti segreti. Un altro dei quali è l'asse di laminato vicino alla gamba scheggiata del tavolo. Facendo leva ad un'estremità con la semplice pressione del piede, l'asse si solleva scoprendo un vano segreto che custodisce un diario. Lo prende e lo sfoglia. E' da qualche anno che lo tiene ed annota le sue impressioni per far
si che non si perda la memoria, che la gente - o lui stesso - non inizi a non sentirne la mancanza. Ci sono stati dei giorni in cui l'idea del diario gli era sembrata stupida, ma poi lo prende, sfoglia qualche pagina e ogni dubbio si dissipa. Legge. Giorno 253 Siamo ufficialmente un pianeta anarchico. Niente governi, niente informazione. Non esiste più una sola trasmissione radio o notiziario televisivo. A sette mesi dall'opacizzazione del sole, le presunte radiazioni hanno compromesso un numero incalcolabile di sorgenti; il bestiame si ammala e le carcasse non sono commestibili. Ognuno corre per la propria salvezza; i disordini, le aggressioni e gli omicidi sono fenomeni imprevedibili e quasi sempre cruenti e sadici. Resistere evitando di morire è divenuta la missione giornaliera di ogni uomo o donna.
Da quando si sono venute a creare queste “ronde” vige la regola del gruppo più forte. E' una dittatura variabile, all'interno della quale i vincenti di ieri diventano i perdenti di domani. Tra i loro scontri, la povera gente che fugge, resiste o sta ben nascosta. Che vive, o almeno ci prova. Nonostante tutto.
Chiude il diario e lo rimette al suo posto, mette in bocca un altro pezzo di carne e mastica lentamente guardando fuori. Il piccione becca ancora lo straccio. Carica la pipa e la accende, esce al freddo con una coperta sulle spalle diretto verso l'animale. Becca da molto. Da troppo. Il vecchio ascolta il bosco e fa scorrere lo sguardo da destra a sinistra. Va a spegnere il generatore e quando ritorna sul lato anteriore della baracca, si dirige verso il piccione. Batte forte le mani. Il volatile se ne va. A questo punto guarda lo straccio e capisce. Dalla visuale che aveva dentro la Giorno 1530 baracca, aveva visto solamente un lato della cosa che ha davanti. Resisto. Aveva veramente creduto fosse A fatica, ma resisto. uno straccio, dato che dalle origiIl mondo è diventato un'arena ni del Grande Niente la spazzatuaggressiva. ra disseminata a terra è una coOgnuno è preda o cacciatore, a stante. seconda della forza o dell'astuzia Solo ora si accorge che quello del nemico di turno. che credeva un brandello di tesVivo da due anni in assenza di suto, altro non è che un calzino, lei. E tutto pesa. infilato dentro una scarpa da
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corsa. Il vecchio è perplesso ma non ha paura; il Grande Niente oramai non lo stupisce più. Conserverà questa scarpa, non si sa mai. E' meglio avere una cosa che non serva piuttosto che volerla e non averla. Quando si abbassa per vedere bene l'oggetto la perplessità si trasforma in inquietudine. La scarpa non è vuota. Dentro c'è un piede, presumibilmente del vecchio proprietario. Ha capito che si tratta di un avvertimento. Qualcuno l'ha scoperto e cercherà di stanarlo. Il vecchio che vive sul monte ha un segreto. Un grande e fondamentale segreto che custodisce più gelosamente degli altri. Entra nella baracca e si siede al suo vecchio tavolo. Sa di essere stato notato da qualcuno e la situazione è potenzialmente pericolosa; vive sul monte per amore del bosco ma anche per esserne protetto. I cani sciolti come lui possono diventare tristemente oggetto di giochi sadici messi in atto da ronde particolarmente decise. Non gli resta che aspettare. Suonando, ascoltando il bosco e pensando ai suoi segreti... Arriva la sera e gli eventi si susseguono come da copione. Attraverso i vetri e nascosto dalla tenda il vecchio scorge una squadra di uomini. Sembrano cacciatori ma sa che non cercano selvaggina. La scarpa è rimasta nel preciso punto in cui l'ha trovata, non la conserverà. Sa che le
possibilità sono poche ma vuole dare una parvenza di beata ignoranza. Sarà dura; questa ronda non va di certo sottovalutata. Uno di loro inizia a fischiare, come a richiamare un cane fedele. Altri ghignano sguaiatamente. Uno di loro – probabilmente il leader – ottiene risate di approvazione per ogni cosa che dice. Incute timore. Il suo status si nota già dalla postura sicura. Poi accade velocemente una cosa: afferra uno dei suoi scagnozzi e lo getta violentemente e all'improvviso contro la rete. L'agnello sacrificale del gruppo urla come un animale senza dignità, sprigionando scintille ed in preda alle convulsioni. Poi finalmente cade. Fumante e privo di reazioni. Gli altri iniziano ad armeggiare con delle lunghe tenaglie, isolate da un rivestimento di gomma sulle impugnature. Tagliano la rete creando un ampio varco, poi usano delle grandi pinze da presa – ugualmente schermate all'impugnatura - per allargare i lembi della rete. Sono preparati. E lo stavano osservando da tempo, a quanto pare. Il vecchio attende ed inizia un conto alla rovescia dentro la sua testa. La ronda è arrivata. Sono dentro. 5 – Si prepara.
Alcuni di loro ridono forzatamente, quasi per far piacere al loro leader 4 – Controlla che tutto sia al giusto posto. Qualcuno lo invita ad uscire, facendo capire che sa della sua presenza. 3 – Respira velocemente e tasta il contenuto della sua tasca Sono a pochi metri dalla veranda. 2 – Mette ciò che gli serve in un sacchetto da pattumiera nero. Si fermano a tre metri dalla baracca e danno il loro ultimatum invitandolo ad uscire. 1 – Risponde ad alta voce. Accetta di farsi vedere. Claudicante ed ingobbito. La ronda scoppia all'unisono in una fragorosa risata. Vedono un vecchio pazzo in pigiama, sporco, spettinato e probabilmente confuso. Oltre alla baracca gli unici suoi averi sembrano essere proprio quella coperta che ha sulle spalle ed il sacchetto di plastica. Pregustano il divertimento. Si inginocchia e bofonchia qualcosa di poco chiaro a proposito dell'essere lasciato in pace. E poi succede. Con una rapidità di cui nessuno lo credeva capace estrae dal sacchetto una maschera antigas e se la preme forte sul viso con la mano sinistra; contemporaneamente con l'altra mano aziona il telecomando che ha in tasca. Prima che i predatori realizzino, dal terreno, da circa una ventina di punti diversi, inizia a fuoriuscire con un elevato flusso quello
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che il vecchio sa essere gas nervino. Iniziano tutti a tossire violentemente. Chi si porta le mani alla gola, chi al viso, cadono tutti ad uno ad uno. Il tutto dura poco. Il vecchio si allaccia bene i tiranti della maschera dietro la nuca. Deve avere le mani libere. Raccoglie le loro armi. Tutte da fuoco più una da taglio e porta la refurtiva dentro. Su una cassettiera in un angolo ci sono delle foto. Un banjo. Una versione più giovane di lui e sua moglie. Una vecchia foto di gruppo in bianco e nero. In questa si vedono dei ragazzi in posa. Hanno fucili, passamontagna, tenute antisommossa e fondine ben visibili. Giubbotti antiproiettile. Gli occhi di uno di loro esprimono la stessa determinazione che il vecchio vede ogni mattina nei propri quando si specchia. Sorride e rende silenziosamente omaggio ai bei tempi. Si avvicina alla cassettiera con le armi appena reperite ed apre uno dei cassetti. Pieno zeppo di artiglieria. Aggiunge i nuovi pezzi. Ne possiede molti ma, si sa, è meglio avere una cosa che non serva piuttosto che volerla e non averla.
S ka n Inafferrabile
Catia spinse l'entrata dei servizi dell'autogrill e rimase perplessa. I bagni erano vuoti, le porte spalancate, a parte una. Data la mole di gente nel piano superiore, si era attesa di trovare quasi tutto pieno. Meglio così, meno da aspettare. Certo, era il momento ideale per guardoni, maniaci, adescatori di fanciulle... Nulla come un bagno pubblico vuoto poteva stuzzicare le menti più perverse, lei se ne intendeva. Fin da piccola aveva subito il fascino di squilibrati e assassini, si era letta le biografie dei killer seriali di tutto il mondo, di ogni epoca. Conosceva a memoria le situazioni più a rischio in cui una giovane donna come lei poteva trovarsi e ne era letteralmente attratta. Stava per avviarsi verso uno dei bagni quando un lamento le giunse alle orecchie, strappandola ai suoi pensieri. Proveniva da quell'unica porta chiusa. Pochi attimi e arrivò un secondo gemito, poi un terzo, insistente, intrecciato a quello di un uomo. Represse una risata. Diamine, qualcuno se la stava spassando nel cesso di un autogrill! Fu tentata di tossicchiare, perché chiunque oltre quella porta capisse di
non essere solo, ma trovò la cosa eccitante e scelse di aspettare. I gemiti intanto si erano fatti più incalzanti e senza ombra di dubbio poteva immaginare cosa stesse per succedere. Dopo un'esplosione finale così violenta da procurarle un tremito, le grida si smorzarono. Un sudore ghiacciato le serpeggiò lungo la schiena, mentre capiva di dover prendere una decisione: filarsela velocemente e fermarsi a fare pipì al successivo autogrill, nascondersi in uno dei bagni liberi, oppure far finta di nulla e restare a godersi la faccia dei due focosi amanti. Purtroppo, oltre al gusto del macabro, la curiosità era un altro frammento importante della sua personalità. La curiosità uccide il gatto... le diceva sua nonna, quando era molto piccola e ficcava il naso ovunque ce ne fosse la possibilità. Sì, ma riempiva la pancia della Tigre, continuava un proverbio cinese. Non sarebbe riuscita ad andarsene da lì senza sapere. Decise di restare. I minuti le parvero interminabili... La porta si aprì lentamente. Per poco non le venne un colpo quando davanti agli occhi le apparve una vecchina, con un vestito lilla dalla gonna a campana, le calze spesse color grigio topo, un buffo cappellino con la veletta. In netto contrasto con
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l'abbigliamento da gentildonna inglese, le sue scarpe erano unte e sporche: forse di fango, ma strano, non pioveva da settimane! Lo sguardo della tizia si posò per pochi secondi su Catia, che se ne restava a bocca aperta come una beota e allungava il collo per tentare di scorgere chi altro ci fosse nel bagno. La vecchia si avvicinò al lavandino. Lavò le mani, per brevi attimi tornò a fissare la ragazza attraverso lo specchio, quindi si asciugò e si diresse verso l'uscita. Catia gettò un'ultima occhiata nel gabinetto rimasto aperto, per essere proprio sicura che non ci fosse nessun altro. Aveva sognato tutto? Grave, se iniziava a sentire le voci! Corse fuori e salì in fretta la scalinata che portava al piano di sopra. Si chiese cosa le importasse di quella storia assurda. Aveva immaginato di sentire due che scopavano nel bagno, e allora? Sì, doveva proprio averlo sognato, perché era del tutto fuori discussione che l'attempata signora stesse facendo sesso con qualcuno, PRIMO perché nel bagno non c'era proprio nessuno, SECONDO perché... Per la miseria, aveva almeno ottanta anni! Arrivò di sopra, il fiato affannoso per la gran corsa. Forse l'aveva persa di vista, magari era uscita dall'auto-
grill... Ma anche fosse stata ancora lì, poteva mica andare a dirle “chi cazzo ti stavi scopando nel bagno?” E poi doveva andare a lavorare. Il suo capo non sarebbe stato contento del suo ritardo. Mosse lo sguardo a destra e a sinistra, stava per perdere ogni speranza quando la vide. Era seduta a un tavolino, immobile. Aveva davanti una tazza fumante, sembrava in attesa di qualcosa o di qualcuno. Catia sobbalzò quando la vide girarsi verso di lei e fissarla attraverso gli occhiali tondi. Non ne era sicura, era troppo lontana, ma le parve che le rivolgesse un mezzo sorriso. Si meravigliò ulteriormente quando la vide estrarre dalla borsa un grosso cucchiaio e un barattolo di vetro rivestito di stoffa. Inizialmente Catia pensò fosse un dolcificante, una qualunque medicina, ma poi la donna vi immerse il cucchiaio e ne tirò fuori un intruglio denso e rossastro. Se lo portò alla bocca, lo assaporò con voluta lentezza. Scorse sul volto di lei un'intensa sensazione di piacere mentre trangugiava la strana poltiglia, doveva essere qualcosa di veramente squisito se le procurava quell'espressione di pura beatitudine! Catia dovette lottare con sé stessa per controllarsi. Avrebbe voluto avvicinarsi, farle mille domande, scoprire cosa stesse mangiando così avidamente. Quella che i suoi amici vedevano come un'
insana tendenza a non farsi i cavoli propri, ai suoi occhi era qualcosa di assolutamente normale. Era gratificante cercare di carpire i segreti della gente e fino ad allora ne aveva trovati di scheletri negli armadi di chi conosceva! Tutti la prendevano in giro per il suo gusto del macabro e per i suoi 'studi' sulla personalità, ma era convinta che un giorno le sarebbe capitato di incontrare un vero serial killer. In attesa di ciò, si limitava ad osservare quelli che giudicava comportamenti deviati. Ma adesso, più che a un comportamento deviato, si trovava davanti a una situazione decisamente fuori dall'ordinario, comica e imbarazzante allo stesso tempo. Le nove. La stavano aspettando i tedeschi, l'ufficio a quell'ora era in pieno fermento, il suo direttore le avrebbe fatto una lavata di capo. Doveva muoversi. La vecchia, intanto, aveva finito di mangiare. Richiudeva il barattolo, lo riponeva assieme al grosso cucchiaio nella borsa, beveva la sua bevanda fumante. Si alzò, qualche colpetto alla sottana e si avviò verso l'uscita. Catia era dall'altra parte, dovette aggirare il muretto di tramezzo e la fila di tavoli prima di poter raggiungere la porta e lo spiazzo dell'autogrill. La gonna corta e attillata e le eleganti scarpe con i tacchi alti le impedivano di muoversi agilmente ma data la lentezza con cui la vecchia camminava,
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avrebbe dovuto per lo meno scorgerla: non ce n'era traccia. L'aveva persa. Inspiegabilmente, questo la amareggiò. Passò una delle giornate più brutte della sua vita. Non solo perché i suoi superiori la rimbrottarono per l'ingiustificato ritardo – se era veramente rimasta imbottigliata nel traffico poteva almeno avvisare col cellulare – ma anche perché passò la mattinata e gran parte del pomeriggio a ripensare alla vecchia. Provò a darsi mille spiegazioni su quello che poteva aver sentito e visto: stress, allucinazioni, dormiveglia, cattiva digestione, fame... Niente le parve verosimile. Più volte i colleghi le chiesero cosa avesse, perché mai quel giorno fosse così nervosa e taciturna, lei rispondeva a monosillabi, a volte non rispondeva affatto. La morbosa curiosità di sapere quale significato nascondesse tutto ciò che le era capitato l' accompagnò per tutto il tragitto verso casa. Le impedì di cenare. Turbò il suo riposo. Rivide il volto della vecchia più volte durante il sonno, la vide con i lineamenti stravolti dal piacere, posseduta da un ignoto compagno, o la sognò mentre leccava voluttuosamente il suo cucchiaio, sentì le sue mani grinzose toccarla dappertutto. Si svegliò di soprassalto diverse volte. Cominciò a fantasticare sulla vita segreta che quella tizia forse nascondeva, magari era una ninfo-
mane, una ex prostituta, o forse, semplicemente, aveva voluto per qualche motivo prendersi gioco di lei. Partì per andare al lavoro più presto del normale quella mattina. Non dedicò il solito tempo alla cura maniacale della persona, una rapida doccia, un velo leggero di trucco sul viso, una vigorosa spazzolata alla folta chioma bionda. Indossò dei comodi jeans e una camicetta leggera: e un paio di scarpe da tennis che prese dalla mensola senza quasi pensarci, voleva essere in grado di correre, se ce ne fosse stato bisogno. Doveva assolutamente scoprire cosa nascondeva quella vecchia ed era sicura che l'avrebbe ritrovata quella mattina. Percorse i pochi chilometri d'autostrada che l'avrebbero portata all'autogrill e scese dalla macchina. Salì velocemente i gradini dell'edificio, quasi travolse una coppia che ne usciva, non si curò neanche di chiedere scusa. Sentiva addosso una frenesia inspiegabile, ossessiva, che avrebbe potuto saziare soltanto dando una spiegazione logica ( o anche illogica, ma comunque una spiegazione ) a quello che aveva visto e sentito. Eccola. Era seduta allo stesso tavolino del giorno prima. Con la sua tazza fumante davanti alla faccia raggrinzita, gli occhietti spenti dietro le lenti tonde; la mano destra impugnava il cucchiaio e da-
vanti teneva il solito barattolo rivestito. A Catia parve la stesse aspettando. La vide svitare il tappo, immergere il suo cucchiaio e tirar fuori l'identica melma appiccicosa della volta precedente. A Catia venne un brivido. Ma certo, poteva benissimo essere una serial killer! Il modo in cui muoveva la mandibola, gustando il suo intruglio misterioso, la metodica calma con cui portava il cucchiaio alla bocca, quasi stesse consumando un rito... E quella roba strana, non assomigliava forse a sangue raggrumato? Poteva essere un'assassina, una psicopatica. Aveva letto una volta di una donna che uccideva le amiche e ne faceva dei biscotti... Magari lei uccideva le persone e ne faceva marmellata! Di gente squilibrata in giro ce n'era a bizzeffe... Quando la nonnina finì la sua strana colazione e si alzò dalla sedia, guardò in direzione di Catia. Aveva avuto ragione, la stava aspettando, sapeva che sarebbe stata lì! Ed era pronta a correrle dietro quando la vide uscire dal suo tavolo e dirigersi verso l'uscita. Non l'avrebbe persa stavolta. Non sapeva ancora cosa le avrebbe detto ma qualcosa si sarebbe inventata. L'imprevisto, però, era dietro l'angolo. Al leggero colpo sulla spalla si voltò, seccata e indispettita, verso l'uomo baffuto che la chiamava. «Scusi signorina, ha da accendere?»
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Catia rispose con un secco 'no'... E quando con il cuore in gola si girò verso la vecchia, questa era già sparita. Tutte le mattine, per altri cinque giorni, Catia era tornata in quell'autogrill, alla stessa ora. Aveva sempre trovato la vecchia, con il suo immancabile completino lilla, il cappellino con la veletta, gli occhiali spessi e tondi e i consueti barattolo e cucchiaio. Si erano osservate, studiate, ora entrambe sapevano tutto, almeno esteriormente, l'una dell'altra. Per qualche oscuro motivo, Catia non era mai riuscita a venire a capo di nulla riguardo a quella misteriosa nonnina. Aveva tentato di seguirla, ma qualcosa l'aveva sempre bloccata: un bambino che le sbatteva contro, un tizio che le chiedeva informazioni, un gruppetto di gitanti che le bloccava il passaggio... Quella maledetta riusciva sempre a sfuggirle! Non era un caso. C'era qualcosa sotto e Catia era sempre più nervosa, impaziente, intrattabile. I colleghi di ufficio vivevano con perplessità i suoi attacchi d'isteria improvvisi, il suo girovagare con la mente al punto di dimenticare gli impegni importanti, i suoi immancabili ritardi giornalieri. A chi le aveva chiesto che problemi avesse, lei aveva risposto evasivamente. Settimo giorno in quel dannato autogrill. Lei era di nuovo intenta a percorrere la scalinata a perdifiato, decisa a venire a capo di
quella storia assurda. Tutto era iniziato nei bagni, tutto, forse, doveva concludersi lì. Di chi erano le voci che aveva sentito quella maledetta mattina? Con chi se la faceva la vecchia e dove aveva nascosto il suo amante? Non aveva controllato, ma poteva esserci una via di fuga oltre la parete di quel bagno. Se vi avesse trascinato dentro un uomo e poi avesse deciso di farlo sparire, nascondendolo dietro la parete? Poteva esserci una galleria segreta, dove la vecchia nascondeva una cucina della morte e i resti di cadaveri, dove realizzava i suoi intrugli! Le veniva da vomitare al pensiero, ma era anche esaltata. Arrivò nell'area di ristoro col fiato corto per la corsa. Stavolta era in leggero ritardo. La vecchia si stava appena alzando, stava riponendo il solito cucchiaio nella borsa quando i loro sguardi si incrociarono. L'autogrill era semivuoto, stavolta non le sarebbe sfuggita. Quando la donna si mosse dal tavolo, Catia era già pronta a scattare. Per una attimo aveva pensato di scendere nei bagni a controllare se la sua teoria fosse esatta, ma seguire la vecchia era di sicuro più urgente. Aggirò il muretto che divideva l'entrata dalla sala di ristoro e si mosse svelta attraverso i tavoli. La vecchia allungò il passo e si volto a guardarla. Catia credette di vedere un sorrisetto cinico su quel volto incartapecorito, lesse la sfida nei suoi occhi, la stava invi-
tando a seguirla. Cosa credeva, che non riuscisse a starle dietro? Man mano che lei accelerava, anche Catia aumentava l'andatura. Pensò alla sciocca idea di mettere gli stivali, quella mattina, i tacchi non erano molto alti ma erano ugualmente scomodi. Ma la prendeva lo stesso, stavolta la prendeva... Si ritrovarono fuori. La nonnina si spinse in direzione dell'area di rifornimento, aveva il passo lungo. Ogni tanto si girava in direzione di Catia, aveva sempre quell'espressione derisoria sul volto. Il cuore di Catia batteva all'impazzata. I rumori dell'autostrada le rimbombavano nelle orecchie, l'odore di smog e di benzina le penetravano in gola, ma l'esaltazione per la sua imminente vittoria le faceva dimenticare ogni cosa. Quando per un istante la vecchia perse tutta la sua sicurezza, nella ragazza crebbero coraggio e ostinazione. Le era vicinissima. Pochi passi ancora e... Di colpo, non seppe spiegarsi perché, inciampò. Cadde sull'asfalto come una cretina, scivolata su qualcosa che... Era stata lei! L'aveva fatta cadere apposta! Era infuriata mentre tentava di sollevarsi, incazzata con sé stessa per essersi lasciata buggerare e con la vecchia strega che di sicuro le aveva fatto qualcosa. Mentre si alzava sulle gambe malferme per la caduta, un camion la travolse e la spinse contro un palo della luce. Mentre
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ricadeva a terra e batteva la tempia sul cemento, immaginò di vedere il volto della vecchia chino su di lei. L'ambulanza aveva il lampeggiante acceso, ma il suono della sirena era stato spento. Arrivò la seconda volante della polizia, i primi agenti giunti sul posto avevano già transennato il luogo dell'incidente. A terra c'era un corpo nascosto da un lenzuolo, sul lato destro un sottile rivolo di sangue era sfuggito al controllo e si diramava libero sulla superficie bollente dell'asfalto. Un uomo corpulento era seduto su una sedia accanto all'ambulanza in visibile stato di choc, un poliziotto gli rivolgeva delle domande a cui rispondeva a monosillabi. Un giovane agente della prima volante indicò una persona al collega più anziano arrivato da poco. L'uomo tolse il cappello e se lo infilò sotto il braccio mentre si avvicinava alla vecchia signora seduta nell'ambulanza. L'infermiere le stava togliendo il bracciale della pressione e annuì all'occhiata del poliziotto. Questi si avvicinò all'anziana donna con la dovuta cautela del caso. «Signora, mi scusi, so che non è un buon momento, ma può dirmi cos'è accaduto?» La donna singhiozzò, fece un lungo respiro. «Sono... giorni che questa ragazza mi osserva» indicò l'autogrill. «Ogni mattina... prima di iniziare il turno di puli-
zie... Io lavoro qui, sa?» «Sì, lo so, me l'hanno detto. Quando l'ha vista la prima volta?» «Circa.. una settimana fa, credo... Nei bagni. Una mattina sono uscita e lei era lì... Mi fissava... Per un attimo ho pensato che volesse derubarmi, sa, se ne sentono tante in giro...» «E poi quando l'ha rivista?» «La mattina dopo. E quella dopo ancora. Anche la domenica era qui» indicò con mano tremante il corpo a terra avvolto dal lenzuolo. «Mi guardava sempre... e oggi mi ha seguita.» Un altro agente si avvicinò e porse al suo superiore un sacchetto di plastica contenente un cucchiaio d'argento. «Questo è suo?» chiese, mostrandolo alla donna. Lei annuì. «Deve essermi caduto dalla borsa mentre scappavo. Penso che lei non l'abbia visto e ci sia scivolata sopra... Mi dispiace davvero tanto» piagnucolò, portandosi una mano al viso. Poi aggiunse: «Sa... io ho le mie piccole manie, prima di iniziare col mio lavoro faccio la mia bella colazione... E siccome ho la fissa dell'igiene, mi porto da casa le posate. Non mi fido di come lavano i piatti negli autogrill. Mi bevo la mia tisana mattuti-
na, mangio un cucchiaio della mia marmellata fatta in casa... Non pensavo che questo potesse... Oh mio Dio...» finì in un pianto dirotto. Il poliziotto fece per dire qualcosa ma fu interrotto dalla voce di una donna che ansimava, un gemito che cresceva, a cui presto si unì quello di uomo. I due finivano in un crescendo di gemiti e sospiri d'amore. Il poliziotto più giovane represse a malapena una risata, mentre la vecchia armeggiava con uno smartphone ultima generazione che evidentemente non riusciva ancora ad usare bene. «Oh, vi prego di scusarmi» mormorò la vecchia, mortificata, mentre spegneva il cellulare «non sono pratica di queste diavolerie, quel simpatico di mio nipote mi ha messo questa suoneria oscena, adesso è a Londra e non mi decido mai ad andare in un negozio a farmela cambiare...» «Signora, se vuole posso aiutarla io!» si offrì il giovane agente. L'altro gli lanciò un'occhiata fulminante, quindi si rivolse alla vecchia signora. «Non si preoccupi» la rassicurò il superiore. Guardò l'orologio. Il medico legale stava arrivando. Che giornata di merda,
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pensò, mentre fissava il cielo carico di nubi. Fece cenno all'infermiere perché proseguisse col suo lavoro. Gettò un ultimo sguardo al cadavere, dal lenzuolo spuntavano ben visibili un paio di stivali neri di pelle. Gli venne in mente una canzone, non ricordava bene di chi fosse... Se morirai, muori con gli stivali addosso. Sospirò. Certo che ce n'era in giro di di gente strana! Chissà cos'era passato per la testa di quella donna... Il giovane agente rivolse un'occhiata comprensiva alla dolce vecchina. Gli occhi caddero sulla sua borsa aperta da cui stava per cadere qualcosa, ma quando fece per avvicinarsi ed aiutarla, la vecchietta si affrettò a spingere all'interno il vasetto foderato da una stoffa a quadri verdi, e a richiudere velocemente la lampo. «La mia marmellata...» si affrettò a spiegare, con un leggero tremito nella voce. L'agente sorrise e si allontanò, non dava minimamente peso alle manie di una povera vecchietta ancora turbata dagli eventi.
S ka n Butterfly Effect
Il globo della Terra, appeso come un palloncino al cavo dell'ascensore orbitale, illuminava il bar attraverso la parete di vetracciaio. Loone inclinò lo sgualcito manuale per prendere più luce per tornare a scrivere qualche appunto sul suo diario. «Rilassati» gli suggerì Pick. «Domani mattina potrai comprare tutti i pezzi di ricambio che ti servono. Potrai persino comprare un motore nuovo alla tua Stinger. Anzi, potrai persino comprarti una nuova Stinger.» «Adesso non esagerare.» Prese il bicchiere che fluttuava in assenza di peso e lo agganciò al tavolo dopo aver tirato un sorso. «Oh, vedrai. Sarai ricco. E io sarò a casa» aggiunse l'amico, buttandosi indietro facendo perno sulle scarpe magnetiche. «Non dire gatto se non ce l'hai nel sacco» gli ricordò Loone. Le ruote dentate sulla parete interna si agganciarono con uno tonfo metallico, aprendo le porte scorrevoli e producendo una serie di ticchettii. Operai dalle tute blu e arancio fluttuarono dentro ordinando a gran voce birre
bionde e more. I piedi nudi, allungati, dalle dita prensili che non avevano mai sorretto il peso del corpo, li identificava come spaziali. «E dai!» La barba rossiccia del terrestre si aprì in un sorriso. «Non fare il menagramo.» Prese la mira e lanciò una moneta nella bocca del carillon. Dopo qualche istante l'orchestra si animò e i tre automi produssero le prime note di un motivetto jazz. «Sono solo realista.» Fissò il terrestre negli occhi scuri. «E prudente. A differenza di te.» «Sei un menagramo» confermò Pick. «Se pensi sempre al peggio non ti godi il meglio.» Loone si avvicinò al tavolo afferrandone il bordo con le dita del piede «Ti pare sbagliato essere un po' previdenti? Ah, tu preferisci sperare che le cose si aggiustino così!, per pura fortuna.» L'altro spostò indietro un piede, spingendosi faccia a faccia con il compagno. «No, semplicemente preferisco affrontare i problemi quando arrivano.» «Be', scusami se cerco di evitare che tu ti ficchi nei guai.» «Ah! Io mi ficcherei nei guai? Ti ricordi che sono stato io a procurare quel trasporto di materie prime su gemini?» «Certo che lo ricordo. Abbia-
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mo rischiato di finire in galera per venti cicli! Ho dovuto impegnare la nave per tirarti fuori dai guai.» «Ah sì? E chi ti ha pagato quel carico perso nella fascia degli asteroidi?» «E per colpa di chi l'abbiamo perso quel carico?» «Ah, ora sarebbe colpa mia se non sei riuscito a schivare quel sassolino?» «Chi è che è voluto passare per il settore 283?» «Nel settore 281 c'era un rastrellamento!» «Sì, per cercare il carico che...» Pick gli piantò la sua manona sulla bocca. «Sssh! Ti sei scordato dove siamo?» gli sibilò. Diversi sguardi erano puntati su di loro. «Datti una calmata, va bene?» «Va bene un corno!» esclamò lo spaziale, liberandosi. «Smettila di trattarmi così!» «Così come?» «Come se io non avessi voce in capitolo!» esclamò, dandogli una spinta. «Non l'ho mai pensato, testa bacata!» rispose, restituendogli la spinta con tanta violenza da lanciarlo contro il gruppo di spaziali. «Ehi!» esclamò uno di loro, spingendo via Loone. «Un terrano viene a fare lo smargiasso qui?» fece eco un secondo, alto e allampanato. «Oh, cavolo» mormorò Loone «scusate, ragazzi.»
«Sono affari privati» si affrettò a dire Pick. «Affari privati?» Il terzo del gruppo sogghignò, sfoggiando denti seghettati che contribuivano a dargli un'aria selvaggia. «Un terrano che pensa di poterci usare come birilli dal basso delle sue scarpe magnetiche?» «Magari non ha capito come funziona.» «Sul serio ragazzi» implorò Loone «lasciate perdere, per favore. Vi chiedo scusa da parte sua...» «Tu chiedi scusa da parte sua? E chi sei il suo cagnolino?» gli ringhiò contro il selvaggio. «Se volete assaggiare un po' di bon ton terrestre,» esclamò Pick facendo scrocchiare le nocche «non mi tiro certo indietro.» «Ma che faccia tosta!» esclamò il biondo, saltando su una balaustra e sfruttando la spinta per caricare un pugno contro il terrestre. Pick gli afferrò il polso e lo scaraventò contro la vetrata. Anche gli altri si lanciarono verso il terrestre, cercando di colpirlo con pugni e calci, che Pick parò. Con una spinta staccarono il terrestre dal pavimento, mandandolo a fluttuare lontano dalle pareti. Il biondino si diede una spinta contro la vetrata, ma Loone lo intercettò prima che colpisse il compagno aggrappandosi al suo collo in un laccio californiano. Rotearono addosso gli automi del carillon, arricchendo la musica di note stonate. In un attimo Loone cambiò la presa, bloccando lo spaziale con una tecnica ben collaudata sul ben più robusto terrestre.
«Lasciami, schiavetto!» esclamò l'operaio. «Lasciami e ti faccio vedere io!» «Fossi scemo.» «Tu! feccia lunare! Schiavetto dei terrani! Piccolo...» non avendo di meglio, passò ad un dialetto che Loone non aveva mai imparato. Pick continuava a difendersi con movimenti drammaticamente lenti rispetto a quelli degli spaziali. Cercava di guadagnare una delle pareti, ma gli altri due continuavano a tenerlo al centro della stanza e tempestarlo di colpi. Un tonfo pesante giunse dal corridoio, seguito da un secondo e poi un terzo più vicino. «La polizia!» esclamò Loone. Il biondino impreco «Lasciami!» «La polizia?» Fece eco il selvaggio e si spinse verso una delle uscite secondarie, subito seguito dal compagno. Loone lasciò l'operaio e saltò verso un'altra uscita, tirnandosi dietro Pick. Quando la polizia entrò, si erano già allontanati. «Fai troppo rumore!» esclamò Loone, spingendosi da una parete all'altra, diversi metri avanti rispetto l'amico. «Ci seguiranno!» «Allora corri più veloce!» rispose Pick, rinunciando alla marcia per saltare anche lui sulle quattro pareti, sfruttando al massimo la spinta. «Cavolo che corsa» esclamò Pick, ansimando contro un tubo di rame ossidato. «Temevo che ci prendessero» rispose Loone, galleggiando seminascosto tra tubi più sottili.
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«Be',» Pick soffiò il sangue dal naso «ci voleva un po' di moto, no?» «Calcolando che potevano arrestarci...» Prese un fazzoletto e glielo porse. «Non è successo, no? Ora andiamo a portare...» Il terrestre premette una mano sulla tasca a mezza gamba dei pantaloni color ruggine. «a portare...?» «Ecco...» Pick continuò a tastare tutte le tasche che aveva: l'altra gamba, sull'avambraccio, sul petto. «No. Non dirmi che...» «Temo di sì.» «Te lo eri portato dietro?» «Non potevo lasciarlo sulla nave. Avrebbero potuto fare un controllo.» «Oh che disastro! Don Pedran ci farà scuoiare vivi!» «Ma no. Adesso andiamo a recuperare il pacco al bar...» «... da dove siamo appena stati cacciati.» «... e lo portiamo da Don. Con qualche ora di anticipo.» «Già. Mi immagino la scena. Oh, chi c'è? L'idiota che mi ha sfasciato il locale. Cosa posso fare per voi, oltre a segnalarvi alla polizia che vi sta ancora cercando?» «Dammi tempo, scimmietta. Troverò una soluzione.» «È questo che mi preoccupa.» Jahana non usava le scarpe magnetiche per camminare più velocemente, per avere più stabilità, o per sopperire a una mancanza di punti di riferimento: le usava
per i tacchi. La donna camminava su tacchi vertiginosi al punto che Loone dubitava potessero esistere in presenza di gravità, ticchettando con un ritmo inconfondibile che catalizzava tutta l'attenzione sui suoi fianchi sinuosi. Pick e Loone deglutirono a vuoto mentre si avvicinava. «Mi spiace, ragazzi» esordì diretta «il vostro pacchetto non è stato trovato né dalla polizia né dal barista.» «Non è che ti è caduto mentre scappavamo?» Loone incrociò le gambe a mezz'aria. «No. Credo che ce ne saremmo accorti.» «E come, con il chiasso che fai?» sospirò. «Forse potremmo emigrare su Alpha Centauri. Ho sentito che stanno preparando una spedizione di colonizzazione.» «Ma no, sarà ancora da qualche parte qui. Dobbiamo partire dai quei ragazzi. Jahana, credi di poter scoprire chi sono?» «Per me sarà una passeggiata. Ma il prezzo sale, bello mio.» «Ma...» «Rivuoi o no quel pacchetto?» chiese con voce calda. «Facciamo il cinque percento.» «Il dieci.» «Esosa!» «Lo so, caro» rispose allontanandosi «ma io valgo! Be'? Che aspettate? Adesso potete seguirmi. Non sto andando dove vi cercano. Certo che se continuate di questo passo l'unico posto dove non vi cercheranno sarà Plutone.» Jahana si incamminò lungo il
corridoio centrale della stazione, un infinito tunnel che si incurvava leggermente seguendo l'orbita geostazionaria. Ad intervalli irregolari si aprivano sui quattro lati passaggi, porte e saracinesche. Tubi spuntavano dalle pareti, li accompagnavano per diversi metri e poi sparivano o si incrociavano con altri. Al centro, due uomini bastavano per spingere un container blu verso o dai magazzini di stoccaggio. «Ci vuoi dire dove stiamo andando?» chiese Loone, spingendosi su uno dei tubi. «Avete detto che quei ragazzi indossavano giubbe arancioni con strisce blu, no?» «Ehm... sì.» «Quindi lavoravano nel turno Delta, in uno dei cantieri di ampliamento.» «Ma ce ne sono lungo tutta la cintura» obiettò Pick. «A che ora è scoppiata la rissa?» «Non lo ricordo.» Jahana scosse la testa. «Mi avete chiamato alle Alpha zero quarantotto, e do per scontato che sono stata la vostra prima scelta.» I due non ebbero niente da ridire. «Quindi, facendo i conti a ritroso, sono operai che avevano appena staccato dal turno Delta, e l'unico cantiere raggiungibile in una decina di minuti dal bar è... questo» concluse, fermandosi davanti a una porta a pressione così repentinamente che Loone dovette fare una giravolta a mezz'aria per evitarla. «Sei un genio!» si complimentò Pick. «Oh, se una ha un corpo come
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questo» si mise una mano sul fianco per valorizzarne la curva «deve avere anche una testa come questa, o è finita. Scommettiamo un altro cinque percento che riesco ad avere i nomi dei tre in dieci minuti?» «Non faccio scommesse che so di perdere» rispose Loone. «Ti do il dieci, se riesci a farlo in cinque minuti» propose invece Pick. «Ehi! Guarda che così diventa il venti percento!» «Affare fatto.» Jahana tirò qualche altro millimetro più in giù la zip della tuta di pelle ed entrò, assicurandosi che la treccia galleggiasse elegantemente dentro di lei. Pick fece partire il cronometro. «Secondo me hai fatto una grossa idiozia. Jahana è capacissima di essere qui tra due minuti!» «Non ti lamentare. Ti lascio il cinquanta, va bene? A me bastano i soldi per tornare a casa.» «Ti manca tanto la Terra?» Pick sollevò lo sguardo dal cronometro. «Non puoi neanche immaginare quanto.» Sospirò. «Sai qual è la cosa che mi manca di più? Il cielo.» «Il cielo? Ma che ha di speciale? È un telo blu.» «Non è solo blu.» Pick si dondolò appena sulle scarpe. «È immenso. È un blu che non ha dimensione, tu lo guardi e ti rendi contro che è infinito. E poi le nuvole!» «Quelle cose bianche?» «Sì. Da bambino stavo ore a guardarle sdraiato su una vecchia terrazza. Il vento le scolpiva in modi sempre diversi. E poi le
stelle.» «Be', qui ne vedi quante ne vuoi.» «Sì, ma è diverso. Qui sono dure, fredde. Ti fanno capire che non le potrai mai raggiungere. Dalla terra sembravano a portata di mano. E brillano.» «Brillano?» «Sì, brillano, pulsano, tremolano.» «Non so. Io preferisco queste.» «Devi vederle una volta.» «Già viste.» «Non è la stessa cosa. Dal vivo è...» «Impossibile! Ti dimentichi che io sono nato nello spazio? Se scendessi a terra verrei schiacciato dalla gravità.» «Ma se facessi un po' di pesi...» «Ne abbiamo già parlato. Non posso scendere sulla Terra. Non posso scendere neanche a livello zero nove!» «Perché non ti alleni abbastanza.» «Pick, abbiamo fatto questo discorso un sacco di volte.» «E lo faremo ancora.» «Quando pensi di tornare?» «Nello spazio? Non penso di tornare.» «Abbandoni la società?» «Sì. Ho già preparato le carte per restituirti la Stinger. Dovrai trovarti un altro promoter.» Gli diede una pacca sulla spalla, avendo cura di afferrarlo per non scagliarlo contro il container che passava. «O dovrai imparare a farlo da solo.» «Preferirei ci fossi tu a fare da
promoter.» «Ne troverai qualcun altro. Puoi anche chiedere a Jahana.» Loone gli rivolse il suo migliore sguardo da “ma sei pazzo?” «Dicevate dolcezze?» Jahana prese il cronometro e lo stoppò. «4 minuti e 37 secondi» gongolò. «Che ti avevo detto?» mormorò Loone. «È una strega.» «Il tuo pacchetto ce l'ha Spents Talos Remio. Qui c'è il suo loculo.» Gli infilò un foglietto in tasca «Stasera passo a ritirare il premio» gli premette il senso sul petto «e, magari, qualcos'altro.» Si staccò. «Se ti fai una doccia degna di questo nome.» La sezione alveare era la più claustrofobica della cintura. Loculi esagonali alti due metri e profondi tre erano impilati sulle due pareti di un corridoio. Loone calcolò che nella Stinger avevano anche meno spazio, eppure le luci, il modo in cui erano ammassati i loculi abitativi, le pareti ossidate, facevano sembrare l'ambiente ancora più piccolo. «Sarà in... ehm... casa?» «Be'» rispose Pick «scopriamolo.» Suonò. Dopo qualche secondo suonò una seconda e una terza volta. «Ok, non c'è. E ora?» «Fammi pensare, fammi pensare, fammi pensare! Se io avessi trovato un pacchetto con dentro dieci gemme di polidiantrace,
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che farei?» «Tu qualche sciocchezza. Una persona sensata potrebbe provare a venderlo a un banco dei pegni.» «Banco dei pegni! Ottimo! Andiamo subito!» e, senza mettere tempo in mezzo, il terrestre prese a correre lungo il corridoio. «Troppo rumore» mormorò Loone, scuotendo la testa. La tana del coniglio manteneva fede al suo nome. Loone seguiva il terrestre nel tunnel esagonale, sfruttando le nicchie di cui era disseminato per darsi la spinta necessaria a mantenere il movimento. Nessuna parete era libera e anche Pick doveva galleggiare come uno spaziale, destreggiandosi tra qualsiasi cosa fosse in esposizione. In fondo al tunnel, un giovane di origini asiatiche giocherellava dietro la cassa con un rompicapo colorato. «Ciao» esordì Pick, agganciando la suola a una barra di metallo libera. «Nelle ultime ore è passato un ragazzo biondo che voleva vendere dieci gemme color indaco?» Il cinese alzò lo sguardo sul terrestre. «Come mai lo chiede?» «Be', vorrei recuperarle.» «Ecco. Immaginavo che ci fosse qualcosa di illegale dietro.» Il ragazzo sorrise compiaciuto. «Quindi le hai tu?» «Certo che no! Mi sono rifiu-
tato di prenderle.» Pick imprecò in un dialetto usato sulla Terra. «Da quanto è andato via?» chiese Loone. «Credo... sia passata un'ora.» «Ha detto qualcosa di dove è andato?» «Uhm... no.» «Va bene» mormorò Pick. «Hai avvertito la polizia?» «Se dovessi scomodare la polizia per ogni merce sospetta... No, assolutamente no.» «Un altro vicolo cieco» commentò Loone. «Be', ci stiamo avvicinando. Ora basta pensare a qual è il prossimo passo. Il banco dei pegni ti ha rimbalzato. Tu che faresti?» «Uhm... Fammi pensare... Potrei rivolgermi a un ricettatore...» «Ma se non ti conosce, ti rimbalza anche lui.» «Oppure proverei a venderlo in rete.» Pick sgranò gli occhi. «Hai ragione! Torniamo alla Stinger! Anzi, no! C'è un internet point vicino all'ascensore!» Pick prese a correre per il corridoio, tornando verso il nodo di sbarco. Ciascuno degli obsoleti monitor, appesi ad ogni parete libera della stanza, aveva almeno uno spaziale o un terrestre che gli galleggiava davanti. Pick si spinse nella stanza, cercando una postazione libera, mentre la
partenza dell'ascensore orbitale faceva vibrare tutte le pareti. Ci mise qualche secondo a riconoscere la chioma bionda. «Spents!» chiamò. Il biondino si voltò e scappò. «Non mi scappi!» Loone sapeva benissimo cosa significava vedersi arrivare contro il gigantesco terrestre arrabbiato e non invidiò affatto Spents in quel momento. Almeno il biondino poteva contare su un internet point ben più ampio del modulo abitativo della Stinger. Scavalcò il terrestre cercando di guadagnare l'uscita, ma Loone lo costrinse a ripiegare verso la sala server. «Ehi! Non si può entrare lì dentro!» urlò il gestore. «Non credere di cavartela!» aggiunse Pick. «Aspettate!» Il gestore provò a fermare Pick, ma era come cercare di fermare un container lanciato nel corridoio principale. Il passaggio nella sala sarver fu indolore. Spents si infilò in uno dei pannelli divelti per far passare dei cavi passando nell'area macchine, seguito a ruota da Pick e da Loone qualche secondo dopo. L'aria puzzava di chiuso e di olio lubrificante. Centinaia di ingranaggi ticchettavano, governando il piccolo mondo della cintura geostazionaria. Spents saltava da un asse di trasmissione a una ruota dentata con l'agilità di un operaio edilizio. Pick lo seguiva con meno
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grazia ma ben più decisione. L'operaio guadagnò qualche secondo sgusciando in un gruppo di pulegge, mentre Loone sbagliò il tempismo e venne lanciato all'indietro da un bilanciere. Il terrestre saltava da un giunto all'altro, cercando di seguire il ritmo della camma motore, mentre l'operaio si insinuava nella foresta di pistoni, a diversi metri dal terrestre. Un carrello schizzava da una parte all'altra della sala. Loone lo afferrò, facendosi trasportare proprio davanti lo spaziale. Schivò un pugno e lo afferrò alla vita. «Volete queste?» urlò Spents, sovrastando il rumore. «Prendetele!» Scagliò la scatola contro il montante. Le gemme indaco schizzarono in traiettorie rettilinee per tutto il motore. «Bastardo!» urlò il terrestre. Loone abbandonò la presa e, con un colpo di reni, riuscì ad afferrare un paio di gemme. Spents ne approfittò per scappare. Pick saltò, riuscendo ad afferrare solo una delle gemme. Altre rimbalzarono, perdendosi tra gli ingranaggi. «Cavolo, no!» esclamò il rosso quando una delle gemme si incastrò tra giganteschi denti. Pick si gettò tra le due ruote dentate, infilando la scarpa magnetica tra i denti che si stavano chiudendo. «Vieni via!» gli intimò Loone, mentre Pick recuperava la gemma.
Lo spaziale si precipitò dall'amico, facendo leva per tirarlo via, ma la scarpa era bloccata tra gli ingranaggi. «Cavolo!» esclamò il terrestre. Sfilò il fermo di sicurezza, liberò il piede. Gli ingranaggi facevano forza sulla scarpa, ma non riuscivano a schiacciare il nucleo magnetico. «Oh oh...» commentò Loone «Lo senti questo rumore?» Da qualche parte qualcosa sbuffò e un asse scricchiolò. «Credi che sia...» L'asse saltò e una cinghia di trasmissione lo tirò contro un groviglio di travi e assi. «Chiediamocelo dopo. Qui salta tutto!» Loone spinse via l'amico. Degli assi si schiantarono. «Non è possibile! Non c'è niente in tensione qui!» «No?» chiese di rimando Loone, cercando di uscire dalla zona macchine «E l'ascensore orbitale?» «Quella non poteva essere la cinghia dell'ascensore!» «Sarà stata una accessoria. Chi lo sa come funziona questo coso. Ora corri.» Scivolarono in uno degli sportelli di servizio e schizzarono lungo il corridoio principale, mentre sirene di allarme sollecitavano tutti ad abbandonare la stazione. Uno stridore metallico e uno schianto. Saltarono in uno dei corridoi laterali e da lì alla zona imbarchi,
affollata di corpi che si urtavano e spingevano cercando di raggiungere capsule di salvataggio e navi. Vennero sballottati e schiacciati contro le pareti, si fecero strada a suon di imprecazioni. Raggiunsero il portello di attracco della Stinger e si infilarono dentro, seguiti da cinque o sei naufraghi. «Pick, chiudi il portello!» esclamò Loone accendendo i motori. L'abitacolo era già pieno come un uovo, ma qualcuno riuscì a spingere dentro due bambini prima che il terrestre potesse sigillare il portello. «Via libera!» urlò sopra i rumori dei presenti. Loone spinse al massimo la navetta, strappando le morse di attracco con un rumore sordo. Un attimo dopo la struttura della cintura geostazionaria si allontanava sopra di lui. Altre navi e capsule si stavano staccando, mentre il cavo dell'ascensore tremava sempre più violentemente. «Oh, cavolo.» mormorò Pick, affacciandosi nella cabina di pilotaggio. Nella zona abitativa qualcuno accese la radio. «... non si sa ancora come sia successo, ma c'è chi parla di un attentato terroristico. Le forze dell'ordine stanno evacuando la struttura in via precauzionale, ma le squadre dei tecnici stanno cercando di contenere il danno.» Un cavo si staccò, e la cabina
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dell'ascensore uscì dall'asse. «Ci dicono che staccheranno la cabina. Rientrerà nell'atmosfera con il sistema di smorzamento di emergenza.» Poi i cavi cominciarono a cadere e un pezzo della cintura si staccò, trascinato dai cavi rimanenti. «Sembra che il motore centrale sia andato perso. La squadra di tecnici cercherà di mantenere l'integrità strutturale della cintura.» I bollettini radio proseguirono, mentre, come in un estenuante domino, ogni pezzo che cadeva sulla terra provocava la separazione di un altro pezzo che si perdeva nello spazio. Nell'abitacolo il silenzio venne presto rimpiazzato da borbottii prima e lamentele poi. «Il sistema di riciclaggio è tarato su due» si scusò Loone «Per favore non agitatevi. Sto ricevendo indicazioni dalla nave soccorso.» Pick, raggomitolato nello stretto spazio della cabina di pilotaggio, continuava a guardare la cintura andare in pezzi, chiuso in un silenzio ostinato. Quando anche il terzo ascensore orbitale si staccò, liberando l'ultimo tratto di cintura, il terrestre mormorò: «Volevo solo tornare a casa.»
S ka n
risultati e classifiche
1. CMT, 106 punti 2. Willow, 74 punti 3. Tonylamuerte, 73 punti 4. Callagan, 72 punti 5. Bloodfairy, 65 punti 6. Reiuky, 56 punti 7. Ceranu, 48 punti 8. Rehel, 41 punti 9. Shanda, 21 punti 10. Geppetto, 19 punti - 88 -
N o n pe r d e t e i l n u m er o d i N o ve m b r e 足 D i c em b r e
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Mille e Una A vve n t u r a
S ka n
Settembre-Ottobre 2014
AMAZING MAGAZINE
Anno 3
N u me r o 2 5 -2 6
La rivista multicanale di narrativa fantastica liofilizzata istantanea
Dark Side La saggezza
Attento a ciò che desideri di willow78 Il grande niente di Tonylamuerte Inafferrabile di Laura Palmoni Butterfly Effect di Nazareno Marzetti R is u lt a t i e c la s s ific h e
Illustrazione di
Ben Baldwin
Illustrazione di
George Cotronis