Anno 2
N u me r o 2 3 -2 4
S ka n
Luglio-Agosto 2014
La rivista multicanale di narrativa fantastica liofilizzata istantanea
AMAZING MAGAZINE
Bright Side Dominic Keating Solfanelli e Tabula Fati Il nuovo Voyager
Fallani e Poggioni Esca Notte a Capo Skan N ASF Â L e T re L une 9
L a m o r te dell'immortalitĂ
Viaggio allucinante Desolation Road Forbici vince carta... Universo Maske: Thaery Pirate Sun Zoe's Tale Tutti i miei robot La canzone di Shannara Codex Seraphinianus L oc k e Seed
as
Malcom Reed
in Star Trek Enterprise
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N o n pe r d e t e i l n u m er o d i Se t t e m b r e 足 O t t o b r e 2 01 4
Il t e r zo a n n o h a i n i zi o
Sommario
del
Hanno collaborato L'editoriale ............................. 5
Jackie de Ripper e
Max Gobbo Roberto Bommarito Andrea Viscusi Luigi Bonaro Selina Pasquero Massimo Luciani Riccardo Sartori Dolby MOVIE 5.1
di Jackie de Ripper
OLTREMONDO Incontra Dominic Keating di Max Gobbo .............. 6 Solfanelli e Tabula Fati di Max Gobbo .............. 8
Bright Side Poscritti di futuro ordinario "Notte a Capo Skan" di Luigi Bonaro .............22 Oltre lo Skannatoio Le Tre Lune 9 "La morte dell'ImmortalitĂ " di Selina Pasquero ....... 26
I libri da rileggere NovitĂ I.Asimov,"Viaggio allucinante".. 29 F.Prosperi,"Vatikan" I.McDonald,"Desolation Road". 30 D.Altomare,"L'Ogam del Druido" I.McDonald,"Forbici Vince..."..... 32 G.deTurris,"Il vecchio che R.A.Heinlein,"Universo".............. 34 camminava lungo il mare" J.Vance,"Maske:Thaery"............... 36 di Tabula Fati .............. 12 di Massimo Luciani A.Grossman,"You" di Multiplayer.it ..........13 I libri da tradurre K.Schroeder, "Pirate Sun" ........... 38 Piccolo Schermo J.Scalzi, "Zoe's Tale" ................... 40 "Il nuovo Voyager" di Massimo Luciani di Max Gobbo .............. 14 Il venditore di pensieri usati I film in Dolby Surround I.Asimov,"Tutti i miei robot"..... 42 "Locke" e "Seed" T.Brooks, "La canzone di Dolby MOVIE 5.1 .... 15 di Shannara" ............................. 43 L.Serafini, Una voce da Malta "Codex Seraphinianus" ........... 45 Intervista a Fallani e Poggioni di Riccardo Sartori di Roberto Bommarito. 16 DARK SIDE ........................... 49 Being Piscu "Esca" di Andrea Viscusi ......... 21
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Sommario
del
Hanno collaborato Skannatoio Speciale#2
Bloodfairy
(Laura Palmoni)
Reiuki
(Nazareno Marzetti)
White Pretorian willow78 Selina Pasquero Ilma197 Ceranu
Attacco al potere Le specifiche ...................... 49 "Fra poco sarĂ buio" di Laura Palmoni ......... 50 "Alker Borof e la benedizione dell'orologio" di Reiuki ........................ 55 "Congiura stigia" di White Pretorian ....... 62 "Dreams are my reality" di willow78 ................... 71 Skannatoio edizione XXXI Fate vobis Le specifiche ...................... 75 "Il piacere del male" di Laura Palmoni ......... 76 "Tu non sei me" di Selina Pasquero ........82 "La dama del lago" di Nazareno Marzetti .. 86 "Futuro e passato" di Ilma197 ......................93 "Giallo prostatico" di Ceranu ....................... 95 Risultati e classifiche Skannatoio 5 e mezzo ...... 106
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Dark Side
S ka n AMAZING MAGAZINE
Con questa edizione doppia, Skan Magazine è giunto al 24° numero e ha compiuto due anni di. Si tratta di un bel traguardo per una fan-zine che ha iniziato in punta di piedi, ma che ha raccolto, col passare dei mesi, sempre nuovi consensi e validi collaboratori. Era il lontano agosto del 2012. Grazie alla passione di tanti autori che, edizione dopo edizione, si cimentavano a suon di racconti fantastici nello "Skannatoio 5 e mezzo", il concorso critico-letterario del forum de "La Tela Nera", mi venne l'idea di fornire una vetrina che potesse valicare i confini del forum per i loro lavori migliori. Da quella prima intenzione nacque il numero zero di Skan Magazine. Conteneva principalmente i migliori racconti del concorso, ma si capiva già allora che c'era lo spazio per altre interessanti rubriche. Sarebbe impossibile nominare tutti gli autori che, in un modo o nell'altro, hanno contribuito in maniera fondamentale alla rivista. Per questo motivo, ne cito solo due che, in maniera diversa, hanno permesso a Skan Magazine di evolvere. Nata all'inizio come rivista online in solo formato PDF, per la provvidenziale insistenza di Luca Oleastri (www.innovari.it), dopo i primi numeri, ne è stato cambiato il formato perché fosse compatibile con la stampa economica di Lulu. Per alcuni autori è stata l'occasione per essere ancor più gratificati dalla pubblicazione delle loro opere nell'obsoleto, ma sempre apprezzato, formato cartaceo, col valore aggiunto, per ben sei mesi, delle fantastiche copertine di Luca Oleastri sul "bright side" e di altri grafici ospiti sul "dark side".
Una seconda svolta si è avuta un anno fa, proprio quando la rivista compiva il suo primo anno di vita. Con l'inizio della collaborazione con Max Gobbo, la rivista ha goduto, grazie alle rubriche del suo Oltremondo, di un respiro più ampio: recensioni, anteprime e incredibili interviste dai contenuti esclusivi (come quella all'attore Dominic Keating che apre questo numero). A questi interessanti contenuti, si sono sempre aggiunte altre rubriche essenziali, che i lettori più affezionati ricorderanno con piacere. Se tentassi di ringraziare tutti, otterrei in ogni caso un elenco parziale. Vi rimando quindi all'indice di ogni numero. Nello scorrere i nomi degli autori, accompagnati dai titoli e dai numeri di pagina, mi sono tornati alla mente tanti ricordi, come se non fossero passati solo due anni, ma vite intere. Citando Eco: " È la stessa ragione per cui saper leggere allunga la vita. Chi non legge ha solo la sua vita, che, vi assicuro, è pochissimo. Invece noi quando moriremo ci ricorderemo di aver attraversato il Rubicone con Cesare, di aver combattuto a Waterloo con Napoleone, di aver viaggiato con Gulliver e incontrato nani e giganti. Un piccolo compenso per la mancanza di immortalità".
Ecco, se mi chiedessero che cosa vorrei che Skan Magazine avesse lasciato, in questi due anni, ai suoi lettori, risponderei proprio questo: una briciola di quel compenso per la mancanza d'immortalità, ed è già tantissimo. Questo gratificherebbe tutti coloro che hanno lavorato, numero dopo numero, per rendere la rivista sempre migliore e che in Skan Magazine hanno creduto e continuano a credere.
Jackie de Ripper
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24 NUMERI Skan Magazine compie 2 anni
ELLA RUBRICA
OLTREMONDO
DEL PROSSIMO NUMERO UNA RECENSIONE DE
L a Ragazza Meccanica
di PAOLO BACIGALUPI
Un'INTERVISTA a SORPRESA! E TANTI ALTRI CONTENUTI DAL
MONDO DEL FANTASTICO
S ka n
Oltremondo
Incontra
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S ka n
Oltremondo
Incontra
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S ka n Uno sguardo stupefacente sul futuro della Chiesa e dell’umanità. Roma 2032: la Santa Sede è sull’orlo della bancarotta per crisi di fedeli, di vocazioni, di offerte. Il Pontefice ha ricevuto una concreta proposta di acquisto in blocco del Vaticano da parte di una multinazionale, e si teme che neppure la vendita dell’immenso patrimonio immobiliare della Chiesa potrà salvare la città di Dio dal fallimentoR Roma 2051 . In vent’anni la situazione è radicalmente cambiata. La scoperta di vestigia cristiane su un lontanissimo pianeta ha ridato nuova linfa alla Fede e risollevato le sorti del cattolicesimo, che aspira a tornare agli antichi splendori. Ma una serie di delitti sconvolge il Vaticano sollevando sinistri interrogativi, e il sospetto di un gigantesco complotto inquieta gli addetti alle indagini, timorosi di trovarsi di fronte a segreti troppo grandi, a trame inconfessabiliR
Oltremondo
Novità
Al centro di questo racconto c'è il viaggio, compiuto da "un naufrago preoccupato della propria sopravvivenza", alla volta di una Realtà Altra, in un certo senso sempre posseduta, ma per qualche motivo lontana e apparentemente irraggiungibile. Un viaggio, potremmo dire senza forzature, iniziatico, tramite il Sicilia, inizi ventesimo secolo. quale il protagonista acquisisce Il duca di Sanseverino, consapevolezza del fatto che la cinquantenne, nobile siciliano, realtà in cui si trova a vivere tutti i esperto in magia bianca è un non è l'unica, né, a ben Cacciatore. I Cacciatori sono un giorni vedere, la più importante. Ma ridottissimo gruppo di esseri dove si trova questa realtà? Coumani che danno la caccia ai dè- me vi si accede?, si chiede il giomoni che corrodono i pilastri sui vane. Ebbene, al pari dell'Aleph quali poggia la Sicilia. Una volta di J.L. Borges, si può trovare in corrosi tutti, l’isola sprofonderà ogni dove in un sottoscala, ma nel Mediterraneo, com’è succes- anche tra i cocci di vetro di una so a un’altra grande isolaR spiaggia. Sette sono i pilastri, sette le tombe che racchiudono i Rosicchiatori. Ma questi non sono mai soli, protetti da altri dèmoni che bisogna uccidere. Elena Gherardi, ventenne milanese è una ragazza in gamba e dalle inaspettate risorse. Possiede una raccolta di oggetti magici antichi, strani e misteriosi, eredità del padre Tommaso, che si mostreranno molto utili al duca. Suo malgrado, si trova coinvolta nella caccia ai Rosicchiatori. Da quel momento lei e il Sanseverino non potranno più separarsi.
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S ka n
Oltremondo
Novità
deogame nel loro lavoro, persino prima che fosse chiaro che quella dei giochi per computer stava di ventando un’industria, un business grande quanto il cinema, o ancora di più secondo alcuni. Simon e Darren facevano soldi... beh, in modo vera mente figo" . è lieta di annunciare la pubblicazione nella collana #VideogiochiDaLeggere di uno dei romanzi più belli dell’anno: You Crea Il Tuo Destino di Austin Grossman . Dopo il successo del suo romanzo d’esordio, Soon I Will Be Invincible , bestseller del New York Times anco ra inedito in Italia, Grossman regala alla foltissima schiera di videogio catori ed ai sognatori e visionari creatori di mondi in pixel, un libro straordinario, un romanzo di forma zione, in cui il giovane protagonista Russell riscatterà una vita costellata di fallimenti assecondando le sue ve re passioni e diventando un game designer. "...Li avevo conosciuti alla presenta zione di un corso di programmazio ne e sei anni dopo erano leggende, i due ragazzini scoppiati che avevano fondato una casa di produzione di videogiochi ed erano diventati ricchi. Ancor più dei soldi era allettante l’idea che avessero trasformato i vi
La copertina è stata realizzata in collabo razione con la famo sa casa di sviluppo Superbrothers , i creatori dello straordinario video gioco d’avventura Sword & Sworcery , vincitore dell' Indi pendent Games Festival nel 2010. Grossman, oltre ad essere un affermato romanziere, fratello gemello di Lev Grossman , l'autore del fortunato ro manzo fantasy "The Magicians" , è anche un game designer esperto. Ha seguito tra gli altri progetti, lo sviluppo di Deus Ex (2000), Tomb Raider Legend (2006), Dishonored (2012).
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Per questo motivo con "You" Austin Grossman offre il suo lavoro più au dace e personale – un ritratto ironi co e autentico degli addetti ai lavori del mondo dei videogame e una sto ria su come imparare a giocare può salvarti la vita.
S ka n
Oltremondo
Piccolo Schermo
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I Film in dolby surround
S ka n S E E D (Ho r r o r )
LOCKE (Thriller)
voto : 8 / 1 0 Tom Hardy, l'angoscia e una BMW. Non serve altro a Locke e al suo omonimo protagonista, in cui una notte fatta di chilometri e di telefonate che valgono una vita ci permettono di conoscere un uomo messo alle strette dalla proprie scelte, e dalle loro conseguenze. Un madornale errore dirvi di più: diverso, costruito attorno ad Hardy, Locke è un one-man show che vale assolutamente la visione.
Max Seed è un pluriomicida condannato alla sedia elettrica per gli innumerevoli delitti commessi (666, strano come numero, ma forse no). La legge dice che chi resiste però a 3 scariche da 1 5000 volt debba essere rilasciato. Il poliziotto Warden Arnold Calgrove allora, che ha fatto arrestare Seed, dopo le prime due scariche eseguite, e con Seed svenuto, ottiene il permesso dal dottor Wickson che assisteva all’esecuzione del serial killer, di farlo seppellire vivo. Seed però non è morto, ed una volta “resuscitato” dalla sua sepoltura, torna per uccidere chi l’ha dato per spacciato troppo presto. La scia di sangue che lascerà è senza fine e carica di violenza. Il film di Uwe Boll, “Seed”, non ci risparmia scene così crude da mettere alla prova anche stomaci molto preparati; alcune di loro potrebbero sembrare messe li apposta per sorreggere un film che un capolavoro non è, riempito di flashback che a volte possono creare confusione nello spettatore per ricostruire la vicenda dell’omicida. Tecnicamente insomma non un "filmone", considerando anche che i dialoghi sono ridotti veramente all'osso e che per esempio Seed non ha un background definito, ma se l'intento di Boll era quello di infastidirci e provocare qualche sensazione forte in noi spettatori, allora forse la sufficienza pul meritarsela. Su tutte comunque quella dell’uccisione dell’anziana a cui viene distrutto il cranio ( e vogliamo parlare della fine che fanno i poveri malcapitati nel tugurio che Seed predispone per loro?). Il film è stato presentato in anteprima al "Weekend of Fear Festival" in Germania (2007), e nell’edizione del 2007 del "NYC Horror Film Festival" ha vinto anche il premio per i migliori effetti speciali. Lo stesso Boll sarà poi il produttore del seguito, ovvero “Seed 2”, che dovrebbe uscire proprio quest anno. Ce n’è veramente bisogno? Non passerà certo alla storia il film, ma la cattiveria di questo personaggio può tranquillamente rivaleggiare con quella di “colleghi” come Jason, Myers e Mr. “unghie taglienti” Freddy Kruger.
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S ka n
Territori d'oltremare
Una voce da Malta
Ro b e r t o Bo mma r i t o
minciamo col rispondere alla prima domanda (e a quale, altrimenti?): la locuzione “percorso artistico” implica un “cammino” intrapreso verso la produzione di opere d’arte, mentre io realizzo semplicemente quello che mi piace nel modo migliore a me possibile. Non credo possa definirsi arte nel senso stretto del termine e sinceramente non me ne preoccupo. Mi interessa soltanto soddisfare la voglia di creare qualcosa di mio, di rendere tangibili Intervista precedentele mie idee. mente apparsa sul blog di Ho sempre avuto molti Kipple Officina Libraria. hobbies: la musica, il cila fotografia, i fuCiao Claudio Fallani e nema, metti, il Stefano Poggioni. È un ratura… disegno, la lettepiacere avervi ospiti di Ho cercato di ciUna Voce da Malta. Vi mentarmi in tutto, otteandrebbe di iniziare nendo a volte con buoni presentandovi e altre volte pesraccontandoci a grandi risultati, simi. linee il vostro percorso La passione per la artistico? scrittura mi ha portato a diversi CF: Ciao Roberto, grazie pubblicare racconti di fantascienza, per averci ospitato, è un alcune poesie e di revero piacere apparire cente anche un piccolo qua su Kipple. Co-
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contributo a un saggio sulla comunicazione. Circa un anno e mezzo fa ho dato vita assieme ad Alessandro Napolitano, Riccardo Iacono e Roberta Guardascione al progetto Electric Sheep Comics, un gruppo di amici (ormai cresciuto a dismisura) che si adopera per raccontare storie usando soprattutto il linguaggio del fumetto, ma non solo… Infatti, l’insieme delle mie passioni si concretizza nel cinema che le racchiude un po’ tutte. Nel 2011 ho scritto il soggetto per il mediometraggio “La lunga notte di Victor Kowalsky” poi realizzato da Stefano Poggioni e prodotto da Essi Girano, Electric Sheep Comics e The Factory Prd. Nel 2013 ho partecipato assieme a Riccardo Iacono (ESC) alla stesura dei soggetti per la serie TV Funkazzisti con la Regia di Marco Limberti, che vede tra gli interpreti Niki Giu-
stini, Giacomo Carolei, Luca Seta, i Mammuth, Massimiliano Galligani e Beppe Braida. Adesso sto “lavorando” a una serie tv di genere thriller-paranormale assieme ad Alessandro Napolitano. Siamo ancora in fase di scrittura, ma ho buone sensazioni in proposito. Tornando ai fumetti, dopo aver vinto il Premio Cometa al Levantecon di Bari con “Lunaris” scritto con Alessandro Napolitano e disegnato da Roberta Guardascione. La Casa Editrice Il Foglio ha dato a ESC l’opportunità di curare una collana di graphic novel, la ESC COLLECTION, giunta al secondo numero “Blood Washing”, di cui stiamo scrivendo un prequel che uscirà tra qualche mese. Assieme a Nero Press Edizioni, abbiamo dato vita a una serie importante ispirata a un famoso autore del fantastico. Infine è ancora in fase di realizzazione “Io sono un occhio”, un mio tributo a Ubik e a tutta l’opera di Philip K. Dick. SP: Odio parlare di me, perciò sarò breve. Sono
appassionato di cinema, fotografia e musica fin da quando ero piccolo. Ho frequentato scuole di cinema e incontrato persone che mi hanno insegnato molto. Ho fondato l'associazione Essi Girano con la quale abbiamo prodotto svariati cortometraggi e festival di cinema. Insieme a mia moglie, fotografa, ho fondato l'associazione The Factory prd. che si occupa di produzione di Videoclip per band indipendenti e non e di progetti visivi e sperimentali. Il mio primo amore è stato per il cinema horror (il Villaggio dei Dannati è stato il primo film che ho amato), ma è poi spaziato ad altri generi. Mi piace considerare “La lunga notte di Victor Kowalsky” il mio primo cortometraggio, perché è il primo che mi rappresenta realmente. A breve uscirà un secondo lavoro, sempre con Cristiano Burgio dal nome “The Drift”. Quali vantaggi e quali svantaggi ha il cortometraggio rispetto alle pellicole di più ampio respiro?
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CF: A questa domanda risponderà sicuramente meglio Stefano. Penso che il cortometraggio abbia bisogno di un’idea forte o di uno stile molto personale per fare presa. Deve contenere l’essenziale utile alla storia senza poter divagare e a volte può essere difficile scegliere cosa serve all’economia della storia e cosa, invece, possiamo fare a meno. Un vantaggio pratico è quello del costo contenuto rispetto al lungometraggio, quindi può essere più facilmente autoprodotto. SP: Nel cortometraggio devi raccontare una storia in poco tempo, perciò la caratterizzazione dei personaggi, la descrizione dell'atmosfera, sono elementi più complessi da rendere, d'altra parte nel corto è possibile una maggiore sperimentazione senza il rischio di annoiare lo spettatore. Come descrivereste il presente del cortometraggio in Italia, includendo sia gli aspetti positivi che quelli negativi? C.F: Da quello che ho
potuto vedere selezionando i corti in concorso per l’Essi Girano Film Festival, direi che la produzione del cortometraggio è florida, esistono molti videomakers, registi, alcuni di talento, altri meno, ma quel che conta è che la passione non è morta e questo è importante. D’altra parte il corto e il mediometraggio resta per un pubblico di nicchia, per lo più appassionati che si devono dare da fare per scovarli alle rassegne dei festival o nella rete. Il grande pubblico non è abituato a questi formati e il cortometraggio (quando è un buon cortometraggio) resta soltanto un ottimo biglietto da visita per registi emergenti. S.P: Conosco molto bene l'ambiente dei festival di cortometraggi, né ho organizzato con la mia associazione uno per diversi anni. Gli aspetti positivi sono che in Italia esistono registi di grande talento che affrontano una grande varietà di generi e che chi intraprende questo “lavoro” lo fa per passione.
L'aspetto negativo è che a differenza di molti paesi europei, non esiste un mercato dei cortometraggi, esistono pochissime case di produzione e ancor meno di distribuzione e di conseguenza le potenzialità si sprecano in opere senza destinazione. I festival e da poco alcune realtà web sono l'unico canale di sfogo. Credete che le nuove tecnologie, in particolar modo internet, possano ridare nuovo impeto alla cinematografia breve?
lavoro, conoscere realtà con cui fare rete, trovare persone motivate a partecipare a progetti lowbudget. Sempre più persone guardano serie web o cortometraggi su internet e condividono il link. Penso che internet sia un mezzo che predilige la meritocrazia. Qual è la storia del cortometraggio La lunga notte di Victor Kowalsky?
Riferendomi al racconto più che al cortometraggio e cercando di non anticipare troppo, direi che è la storia di un C.F: Certamente, la po- uomo in crisi con se stesso, in cerca di tenzialità del mezzo è infinita. Se usato nel mo- un’identità propria. Un uomo senza un sistema do giusto è un ottimo modo per farsi conosce- di valori proprio. Il continuo riferimento ai re. Inoltre internet è un valori collettivi creerà la mondo mordi e fuggi, sua dissociazione, la sua dove ci si stanca a colpa, e il modo in cui concentrarsi troppo a lungo su qualcosa. Molta Kowalsky cercherà di gente legge articoli bre- eluderla sarà in realtà la vi, passa da un contenuto causa ultima che lo farà precipitare in una spirale all’altro. Per questo infinita di follia e sproformati video di pochi minuti di durata possono fondare sempre di più in un’angosciante rimorso essere la forma più senza via d’uscita. adatta per essere fruita. S.P.:Sicuramente internet S.P.: Victor Kowalsky è a letto, tormetato dagli è un mezzo importante per diffondere il proprio incubi del suo passato.
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E' solo, immerso in una stanza maleodorante e sporca, accerchiato dagli spettri di una follia profonda, di ricordi accantonati, e di mostri che occupano il suo mondo solitario. Dietro a tutto questo c'è il senso di colpa, presente e assordante come un ronzio continuo. Mentre Victor passa da un sogno all'altro, alla ricerca di una via d'uscita, istanti del passato riaffoano pian piano, dipanando la tela di un evento che ha cambiato per sempre la sua vita. A prendere forma è la sua fragilità schizofrenica e malata, che lo porterà a cercare una soluzione drastica all'atroce angoscia che lo tormenta.
esempio all’inizio del corto, quando Kowalsky è in preda al delirio si presenta ai piedi del letto il suo alter ego “cattivo”, la sua ombra, il suo lato oscuro. Nel racconto originale Kowalsky non riesce a dormire, sente i passi delle blatte che camminano sul pavimento, il rubinetto del bagno gocciolare, i grilli, il ticchettio della sveglia e i tarli che masticano il legno delle travi sulla sua testa, schizza seduto sul letto e impreca e al capezzale - là dove nel corto c’è il suo Doppelgänger – un tarlo alto due metri gli consiglia di guardarsi dentro…
nel mood del film! Vi andrebbe di raccontarci qualche aneddoto che riguarda le riprese del corto La lunga notte di Victor Kowalsky?
C.F: Beh, potrei raccontare che il secondo giorno di riprese mi sono preso una gran paura. Stavo facendo da spola tra casa e la location per procurare taniche di acqua calda per riempire la vasca dove Cristiano Burgio (Victor Kowalsky) avrebbe dovuto immergersi. Questo era necessario perché il bagno nel quale giravamo in realtà non era un bagno, ma uno scantiS.P. Il dover gestire nato di un locale. I rablatte ed insetti vivi è gazzi di Essi Girano Quali sono stati gli stato un aspetto tutt'altro avevano costruito delle aspetti più difficili nel che semplice. mura piastrellandole corealizzare il cortomeOltre a questo la cosa me un vero bagno, avetraggio? più difficile è stata la si- vano portato un’antica tuazione in cui giravavasca di ghisa e una laC.F.: Di aspetti difficili mo. vatrice. Il rubinetto della ce ne sono stati a In uno scannafosso vasca era collegato a una bizzeffe! Dalle condizio- ammuffito, freddo e sistola che prendeva ni in cui il corto è stato senza ossigeno per ore e l’acqua dall’esterno. girato, ai mezzi. Tanto ore, oppure in una Acqua fredda. In uno che alcune idee originali fabbrica abbandonata scantinato freddo. Non sono state scartate piena di piccioni. Insie- potevamo farlo perché troppo difficili o me all'attore ha sofferto immergere lì dentro rischiose da realizzare molto anche la troupe, senza prima trovare il con lo scarso budget a ma è stato un ottimo mo- modo di riscaldare disposizione. Ad do per entrare realmente l’acqua! E il modo
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l’avevamo trovato, ce la procuravamo da casa riscaldandola e trasportandola sul set chiusa in delle taniche. Tutto ok, fino a che alla sera, torno sul set e trovo Cristiano sdraiato su due sedie, bianco come un morto e Dario Nesti che cercava di dargli assistenza. La lunga esposizione al freddo gli aveva causato un malore. Io avrei voluto interrompere le riprese, ma Cristiano preferì continuare e terminare l’ultima scena. Così, se vi capita di vedere il corto, fate caso alla scena nella quale esce dalla vasca e guardate quanto è straordinariamente reale!
Vi andrebbe di indicarci i siti grazie ai quali è possibile seguirvi? C.F: * https://www.facebook.com/ElectricSheepComics * http://www.escomics.com
Se invece volete sapere di più de “La lunga notte di Victor Kowalsky”: https://www.facebook.com/victorkowalskyS.P.: Una cosa incredibile è accaduta il primo film giorno di riprese nella “stanza di Victor”, S.P: abbiamo trovato per caso disegnato su un * http://www.thefactoryprd.it muro uno schizzo che corrispondeva perfettamente all'immagine del volto di Cri- * http://www.essigirano.it stiano (Victor), noi lo abbiamo subito preso come un segno del destino.
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S ka n Esca
In attesa del treno, passeggiava svogliato sulla pensilina, curandosi di oltrepassare ripetutamente la linea gialla. Non aveva particolarmente fame, ma quando notò il distributore automatico pensò che mangiare qualcosa lo avrebbe aiutato a passare il tempo. Si avvicinò e scorse con gli occhi l’esposizione di snack e bibite. Decise per una barretta di cioccolato bianco. Pescò dalla tasca del giubbotto gli spiccioli e li inserì nella macchinetta. Compose il numero del prodotto e vide la spirale metallica ruotare per farlo cadere. Come ogni volta, per un attimo temette che sarebbe rimasto incastrato, ma il cioccolato venne giù, con un tonfo che rimbombò assurdamente. Solo allora si accorse che la stazione era deserta. Strano, a quell’ora. Non dedicò altra attenzione a quel particolare. Si chinò per infilare la mano nello sportello del distributore e recuperò il suo spuntino. Aprì con insolita impazienza l’incarto, lasciando l’involucro di plastica cadere sul pavimento già cosparso di cartacce. Un rivolo di saliva gli colò dal lato della bocca quando addentò con voracità la barretta, facendone sparire in bocca tre quarti. Masticò velocemente, spalmando con la lingua il cioccolato burroso sul palato, spostandolo sotto i molari per sentirlo spiaccicarsi.
Being Piscu
An d r e a Vi s c u s i
Buttò giù tutto insieme il grosso boccone. Ci provò senza riuscirci. Il bolo di saliva e cioccolato gli si era fermato a metà gola, sembrava impossibile da ingoiare. Deglutì più volte, senza successo. Si diede alcuni pugni sopra lo sterno, nel tentativo di smuovere l’ingorgo, e cominciò a sentire qualcosa in fondo al palato. Qualcosa che premeva contro la carne molle all’interno della bocca, provocandogli conati che si strozzavano per via del boccone incastrato. Stava soffocando. La pressione si fece più forte, divenne una puntura, e con un suono liquido che percepì attraverso le ossa più che udire, quel qualcosa gli perforò l’interno del palato, appena dietro le tonsille. Avvertì il sapore ferroso e tiepido del sangue unirsi a quello melenso dello zucchero industriale e all’acido del vomito che cercava di risalirgli l’esofago. Preso dal panico, si accucciò sulle ginocchia, rivolgendo il volto al suolo e spalancando la bocca. Spinse due dita in gola, spinse ancora, arrivò a toccare l’ugola, ma non servì a fermare l’orrenda tortura che stava subendo. Ritrasse la mano tremante vide una sostanza vischiosa rosata, sangue mischiato a cioccolato, scivolare in filamenti compatti sul palmo. Quell’immagine gli fece quasi
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perdere i sensi. Nonostante gli mancasse l’aria, cominciò a singhiozzare, e le lacrime gli appannarono la vista. Poi sentì qualcos’altro. Era una sensazione strana, gli sembrava di venire sollevato verso una direzione che non riusciva a definire, e il dolore si fece intollerabile quando capì che qualunque cosa fosse lo stava trascinando proprio dal punto in cui gli era stato perforato il palato. Il qualcosa lo sollevò, tirandolo con lo spuntone che aveva in bocca fino a farlo sollevare dal suolo, gli sembrò di attraversare una membrana invisibile e si ritrovò in un mondo diverso da quello della stazione. La luce era cambiata, l’accecante verde che lo circondava adesso gli faceva pensare di essere dentro un palloncino. L’aria era densa, come se si trovasse in una piscina di miele. Non c’era ossigeno. Si sentiva ancora tirare, mentre agitava inerme le braccia e gambe in quell’atmosfera aliena in cui non avrebbe potuto sopravvivere un altro minuto. Per un attimo scorse una figura immensa che incombeva su di lui, una creatura argentea dalla pelle a scaglie che lo tirava a sé, osservandolo con enormi e vacui occhi neri rotondi, poi serrò le palpebre e sperò che tutto finisse presto.
S ka n Notte a Capo Skan
Poscritti di futuro ordinario
Lu i g i Bo n a r o
«Com'è intrigato, incapace, questo viaggiatore alato! Lui, poco addietro così bello, com'è brutto e ridicolo (… )»
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Note
(1 ) Ernest Hemingway – Il vecchio e il mare 1 952 (2) Joseph Conrad 1 905 (3) Acquagym (4) Charles Baudelaire, "L'albatro" in I fiori del male, 1 857
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S ka n
La morte dell'immortalità selina93@virgilio.it
Odio le prigioni: stare nella zona negativa provoca sempre una sensazione di vuoto allo stomaco che rimane per giorni anche dopo che te ne sei andato, ma per una intervista come questa ne vale la pena. – Apertura cella 2104. La voce della guardia mi fa sobbalzare. Non ne avevo più sentita una così metallica da quando ero bambino; deve essere difettoso. Prendo un respiro profondo per ostentare indifferenza. Mark Vandik, il famoso reporter, che si emoziona per una intervista a un condannato a morte. Non farei certo una bella figura se si sapesse in giro. La stanza è spoglia in maniera quasi vergognosa, come tutte le sale per gli interrogatori delle prigioni. C’è solo un tavolo rettangolare di un bianco quasi accecante con due sedie; una è già occupata. Prendo posto di fronte a lei con assoluta calma, infilo una mano sotto il giubbotto ed estraggo le telecamere. Una volta accese le tre
OLTRE LO skannatoiO
NASF
Le TRE LUNE 9
piccole sfere metalliche cominciano a fluttuare intorno a noi in modo da avere diverse inquadrature. Mi schiarisco la gola con un colpo di tosse: – Sono Mark Vandik, reporter del Global news. Sono qui per l’intervista, che verrà totalmente filmata e registrata. Acconsente al trattamento e alla divulgazione di quest’ultima? – Acconsento. Ha una voce gradevole, il che non fa altro che rendere la sua intera figura più inquietante. – Lei è Nina Dovskoj, nata il 17 novembre del 3399 a New Rome è esatto? Meglio cominciare con le domande facili, tanto per essere certi che sia in possesso delle sue facoltà mentali. – Se trova opportuno identificare un essere umano in base al suo nome e alla sua nascita allora sì, è esatto. Cominciamo davvero bene. – Quando aveva da poco compiuto venticinque anni è stata messa a capo del progetto
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di ricerca chiamato "Seconda Vita" nello stabilimento scientifico più grande della federazione, ruolo che ha mantenuto per i cinque anni successivi. – Ha paura che non ricordi la mia vita? Non riesco a capire se sia innervosita o divertita, in ogni caso proseguo come se non mi avesse interrotto: – Fino a quando non ha personalmente ucciso diciassette dei suoi più stretti collaboratori e distrutto l’intero impianto di ricerca provocando la morte di altre centocinquantatré persone. La guardo per vedere se sono riuscito a scuoterla. Niente, sembra una statua di marmo. Non a caso durante il processo l’hanno rinominata Regina di ghiaccio. – A questo punto mi aspetterei una domanda visto che ho confessato io stessa ciò che ha appena detto. Nemmeno la voce è cambiata di una virgola; se non avessi visto io stesso i risultati delle analisi comincerei a
pensare che sia un replicante. – Perché uccidere i suoi collaboratori di persona invece che lasciare semplicemente che morissero insieme agli altri? Lei prende un respiro profondo, quasi come se volesse accertarsi di avere abbastanza fiato per non doversi interrompere: – Le centocinquantatré vittime sono state un danno collaterale, un prezzo necessario per la distruzione della struttura, per quel che riguarda i miei collaboratori la questione era più complicata. Avevo bisogno di un metodo efficace che mi desse la certezza della loro morte e ho agito di conseguenza. Faccio molta fatica a rimanere impassibile: il suo metodo efficace è stato asfissiarli bloccando l’afflusso di ossigeno al laboratorio e poi gettare i loro corpi nel sistema per lo smaltimento dei rifiuti ad alto rischio biologico. Sono stati disintegrati a livello molecolare, non è rimasto assolutamente nulla di loro. – Mi permetto di farle notare che la sua affermazione di poco fa è sbagliata. Definirmi sorpreso dalle sue parole è un eufemismo. – Come prego? – Ha dimenticato che sono stata condannata a morte, la mia sentenza verrà applicata terminato questo colloquio, quindi ho provocato la morte di diciotto persone. Rabbrividisco; anche se la sua voce è rimasta assolutamente immutata, ha sorriso mentre lo diceva. È la prima
volta da quando è stata arrestata. Cerco di riacquistare il controllo di me e continuo: – Lei e i suoi collaboratori stavate lavorando a uno dei più importanti progetti scientifici; vorrebbe dirmi lei quale? Il pubblico preferisce sempre che a parlare sia l’intervistato. – Ufficialmente cercavamo un sistema per protendere la durata della vita oltre il limite massimo raggiungibile con le cure moderne, ossia centotrentanove anni. Sono perplesso: che intende con ufficialmente? Sto per chiederglielo, ma lei continua. – In realtà, stavamo lavorando a un sistema che rigenerasse completamente il corpo umano portandolo all’immortalità. Non riesco a fare a meno di sorridere. – Non è certo necessario che sia io a ricordarle che questo è illegale dall’epoca del disastroso fallimento di trasferimento di coscienza del 2998. La prego, non faccia giochetti con me. – Ma questo è un gioco. Fin da quando l’umanità ha preso coscienza della sua esistenza la sua più grande paura è stata la consapevolezza della sua mortalità. Ha sempre cercato di combatterla, prima spiritualmente e poi scientificamente e la nostra storia è costellata di insuccessi. Il trasferimento di una coscienza umana in un organismo artificiale non è certo il primo, e non è nemmeno l’ultimo anche se a lei piace credere così.
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Mi viene un sospetto. – Sapeva che ho scritto diversi articoli al riguardo nella mia carriera; è per questo ha accettato la mia intervista. Non so bene nemmeno io se sia una affermazione oppure una domanda. – Non potevo certo parlare di questo col primo reporter che fosse venuto a bussare alla mia cella. Sorride di nuovo; non capisco se mi infastidisca o meno. – Sa il motivo per cui l’hanno messa a capo di un simile progetto? Sono veramente incuriosito. – L’umanità sta morendo, le nascite sono in declino dall’alba di questo millennio e negli ultimi decenni hanno raggiunto livelli sinceramente preoccupanti. In più di trecento anni di ricerca si è arrivati ad un unico risultato: non siamo più adatti a perpetrare la nostra esistenza su questo pianeta. L’umanità è destinata a morire. – Sono stati trovati tre pianeti potenzialmente abitabili; stimano di poter creare una colonia su di essi entro il prossimo secolo. – Ormai ne parlano da decenni. – Questo non ha nessuna importanza, gli esseri viventi sono definiti tali in quanto in grado di riprodursi e l’umanità sta perdendo questa capacità. Se non è possibile la nascita di una nuova generazione, l’unica scelta possibile per permettere all’umanità di sopravvivere è impedire che la generazione presente muoia. Per un istante non so cosa di-
re ed è di nuovo lei a prendere la parola: – In ogni caso sarebbe ingiusto confinare l’interesse per l’immortalità a uno scopo così altruistico. I nostri studi sono cominciati molto prima che nascesse anche solo il sospetto di questo problema. – Però c’è una cosa che proprio non capisco. – Cerchiamo di riacquistare un po’ di obbiettività. – Perché se impedire la morte è così importante ha deciso di distruggere non solo il laboratorio, ma anche tutti coloro che erano coinvolti nella ricerca? – Ho compreso che l’immortalità è una condanna troppo severa per qualsiasi crimine, lei non crede? Rimango per un momento spiazzato, cosa che mi capita piuttosto raramente. Lei comunque non approfitta del mio silenzio per aggiungere qualcosa, continua semplicemente a fissarmi con quei suoi occhi di ghiaccio. – Vuole dire, che avevate trovato un sistema? – Voglio dire che ho impedito che l’umanità cadesse in un baratro dal quale non sarebbe mai potuta risalire. Come vorrei che smettesse di fissarmi. – E crede che fosse una scelta che spettava a lei prendere, che valesse la pena uccidere diciassette esseri umani per mantenere il segreto? Sto cominciando a scaldarmi.
Prende un altro profondo respiro, come se volesse calmare la mia rabbia: – Sono stata messa a capo del progetto di sperimentazione; i miei collaboratori si sono sottoposti volontariamente al processo. Quando li ho uccisi avevano smesso di essere umani già da parecchio tempo. – Come può parlare così di persone che conosceva? – Proprio non capisce... L’ho fatto proprio perché li conoscevo. Perché non potevo permettere che dei corpi vuoti con le loro sembianze continuassero a esistere per vedere il mondo appassire e morire come spettatori alla fine del tempo. Vorrei ribattere, dire ancora qualcosa per farle capire la gravità del suo crimine. Per smuovere quegli occhi di ghiaccio. Ma la porta si apre e la voce metallica riempie la stanza: – Il tempo è scaduto. È ora di eseguire la sentenza 12987. – Con permesso signor Vandik, è finalmente giunto anche per me il momento di riposare. Si congeda cordialmente prima di uscire con calma insieme alla sua scorta. Io rimango lì seduto, con le tre telecamere che continuano a ruotarmi attorno come piccoli satelliti. Ha accettato questa intervista per svelare al mondo ciò su cui stavano veramente lavorando. Doveva essere veramente importante per lei visto che
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avrebbe semplicemente potuto uccidersi insieme ai suoi collaboratori. Tanto già lo sapeva che sarebbe stata condannata a morte. C’è qualcosa che non ha senso: tanta fatica per distruggere tutte le prove, per poi raccontarmi ogni cosa. A un tratto la consapevolezza mi colpisce con la forza di un uragano: c’è una sola ragione per cui una persona così giovane potrebbe essere messa a capo di un simile progetto, per cui possa parlare della morte come se la conoscesse. Non è giovane, è il primo esperimento riuscito. Scatto in piedi e mi precipito fuori. Corro verso il braccio della morte. Devo fermare l’esecuzione. Ha scelto l’incenerimento, se viene eseguita la sentenza non resterà più nulla di lei e perderemo l’ultima possibilità di vincere la morte. Mi precipito dentro appena in tempo per vedere le porte stagne chiudersi e il suo ultimo sorriso di ghiaccio. – No! – urlo come un pazzo mentre inutilmente batto una mano sul vetro e sento gli uomini del servizio di sicurezza che si precipitano su di me. In quel momento viene azionato l’inceneritore. Ha vinto lei. La morte non è stata la sua condanna, è stata la sua assoluzione.
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I Libri da rileggere Viaggio Allucinante di Isaac Asimov
scienza” nella traduzione di Vincenzo Mantovani. Jan Benes è uno scienziato che ha scoperto un modo per miniaturizzare la materia per un tempo indefinito. Grazie all’agente Charles Grant, Benes riesce a fuggire all’ovest ma al suo arrivo viene ferito in un attentato compiuto da parte di agenti sovietici pronti a morire pur di impedire che gli USA scoprano come perfezionare la tecnologia della miniaturizzazione. Un rapido esame medico mostra che un embolo al cervello sta per provocare la morte di Jan Benes. L’unica speranza per salvarlo è miniaturizzare un sottomarino e inserirlo nel sistema circolatorio dello scienziato in modo che possa viaggiare fino all’embolo e distruggerlo con un laser. Il problema è che la tecnologia di miniaturizzazione disponibile agli USA permette di mantenere quello stato solo per un’ora e nel gruppo inviato nella Viaggio allucinante missione ci potrebbe essere una spia. di Isaac Asimov Quando venne prodotto il film “Viaggio allucinante”, basato su un racconto di Otto Klement e Jerome Bixby, la Bantam Books ottenne i diritti per pubblicarne una “novelization”. Isaac Asimov, contattato per quel laIl romanzo “Viaggio allucinante” (“Fantastic voro, ebbe varie perplessità perché la sceVoyage”) di Isaac Asimov è stato pubblicato neggiatura gli pareva piena di buchi e per la prima volta nel 1966. In Italia è stato incongruenze scientifiche. Alla fine, gli venne pubblicato da Mondadori nel n. 9 de “I Rapi- permesso di apportare le modifiche che riteneva necessarie e, anche a causa di ritardi di”, nel n. 765 degli “Oscar”, nel n. 89 dei nella produzione del film, il romanzo uscì sei “Classici Urania”, nel n. 13 de “I Grandi mesi prima di esso. Per questi motivi, in Bestseller”, nel n. 1072 di “Urania”, nel n. molti pensarono che il film fosse basato sul 358 di “Oscar Bestsellers” e nella collana romanzo quando invece è il contrario. “Oscar Mondadori – I Grandi Della Fanta-
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I Libri da rileggere Desolation Road di Ian McDonald
ma la vita sul pianeta rosso non è necessariamente facile e la Terra è ancora sovrappopolata. Seguendo un pelleverde nel deserto, il dottor Alimantando finisce per fondare una nuova città che, mentre è ubriaco, chiama Desolation Road. Città è una parola grossa ma con il passare degli anni sempre più persone vi si fermano, generalmente per caso, e qualcuno finisce per stabilirsi in quel luogo neppure registrato. Inizialmente irrilevante nella storia del pianeta, Desolation Road diventa un luogo pieno di persone particolari con le storie più strane. Nel corso del tempo, qualcuno se ne va ma i legami con questa strana città sono difficili da recidere, anche quando ci sono di mezzo anomalie spaziotemporali. La storia della città finisce per diventare importante in un periodo tumultuoso per Marte dal punto di vista politico e sociale. Desolation Road di Ian McDonald “Desolation Road” è il primo romanzo scritto da Ian McDonald. L’ambientazione marziana con vicende che attraversano vari decenni hanno fatto paragonare questo romanzo alle celeberrime “Cronache marziane” di Ray Bradbury ma la somiIl romanzo “Desolation Road” (“Desoglianza è solo superficiale. Si può dire che lation Road”) di Ian McDonald è stato questo romanzo narri le cronache di Desopubblicato per la prima volta nel 1988. Ha lation Road, che rimane sempre il centro vinto il premio Locus come miglior rodegli eventi, anche di ciò che succede in manzo dell’anno di un nuovo autore. In altri luoghi, con le storie dei suoi curiosi Italia è stato pubblicato da Zona 42 nella abitanti. traduzione di Chiara Reali. Lo stile di Ian McDonald è particolare, per Marte è stato terraformato da molto tempo molti versi più vicino a quello di Cordwai-
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ner Smith che a quello di Ray Bradbury. L’autore scrive il romanzo come se si trattasse di leggende raccontate molto tempo dopo, quindi non c’è una ricerca di realismo. I personaggi tendono a essere sopra le righe e la prima parte del romanzo ha una trama che almeno apparentemente non è lineare. Con un linguaggio raffinato, Ian McDonald include elementi di quello che viene chiamato realismo magico in un romanzo che è comunque di fantascienza. Il romanzo contiene elementi molto diversi perché include anche parecchie tecnologie avanzatissime ma non ne viene descritto il funzionamento perché non è questo lo scopo dell’autore. Desolation Road è sempre il centro della narrazione e il romanzo inizia con una lunga introduzione dei tanti personaggi che vi arrivano e delle loro storie personali. La città è la vera protagonista del romanzo perciò quella che per buona parte del romanzo sembra una storia molto frammentata ha un suo senso proprio perché è la storia della crescita di Desolation Road. Nella seconda parte del romanzo, la trama diventa più lineare, più focalizzata su lotte politiche, religiose e sociali che vanno ben oltre Desolation Road. In queste storie c’è anche un elemento satirico ma secondo me il suo uso ha successo solo fino a un certo punto perché rischia sempre di essere troppo diluito in tutti gli altri elementi del romanzo. I tanti elementi di diversi generi e sottogeneri narrativi inclusi in “Desolation Road” meriterebbero un’analisi ma ciò finirebbe per banalizzarli. Una storia che a volte sembra quasi un poema verrebbe ridotta a
una serie di etichette. Questo è uno dei casi in cui la miscela finale dei componenti non può essere semplicemente descritta ma bisogna leggere il romanzo per comprenderla e apprezzarla davvero. La città di Desolation Road è la protagonista del romanzo ma sono i suoi abitanti a darle vita. Le loro storie sono la storia dell’umanità tra grandi conquiste e grandi tragedie, amore e odio. Per questo motivo, sono storie allo stesso tempo banali e profonde, già lette innumerevoli volte eppure sempre importanti perché riguardano momenti significativi per una persona o per una comunità. “Desolation Road” non è facile da leggere a causa delle sue caratteristiche piuttosto particolari ma complessivamente secondo me è davvero bello. Non è un romanzo per tutti perché molti troveranno lo stile di Ian McDonald troppo strano e la prima parte difficile da seguire a causa della sua struttura. Lo consiglio a chi apprezza le miscele di generi e in generale a chi cerca qualcosa di originale e diverso.
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I Libri da rileggere Forbici vince carta... di Ian McDonald
Ethan Ring è un grafico che ha contribuito a inventare i frattori, una tecnologia dal potenziale estremamente pericoloso. Costretto a usarla per fini distruttivi da un’agenzia segreta europea, dopo anni il senso di colpa lo schiaccia. La sua unica speranza di trovare una redenzione è iniziare un pellegrinaggio di Shikoku. Assieme al suo amico Masahiko, Ethan viaggia attraverso le insidie di un Giappone caduto in una nuova forma di feudalesimo. Bande di Akira, mercenari pagati dai signori locali e da agenzie private, controllano il territorio. Un altro pericolo è costituito da anime scaricati in banche dati di realtà virtuale. Fin dall’inizio della sua carriera, Ian McDonald aveva mostrato una predilezione per ambientazioni “esotiche” per le sue storie terrestri. “Forbici vince carta vince Forbici vince carta pietra” è ambientato in parte in Giappone vince pietra in un futuro ormai vicino. Il protagonista di Ian McDonald Ethan Ring sta compiendo un pellegrinaggio di Shikoku, che include 88 templi sparsi per l’isola giapponese di Shikoku. Ian McDonald usa il pellegrinaggio di Shikoku, un tipo di pellegrinaggio Il romanzo “Forbici vince carta vince pie- realmente esistente, per raccontare la stotra” (“Scissors Cut Paper Wrap Stone”) di ria di Ethan Ring. Il motivo per cui compie Ian McDonald è stato pubblicato per la quel pellegrinaggio è un enorme rimorso prima volta nel 1994. In Italia è stato per l’uso che ha fatto dei frattori, la peripubblicato da Einaudi nel n. 469 di “Eicolosa tecnologia che ha contribuito a naudi Tascbili Vertigo” e da Mondadori inventare. nel n. 138 di “Urania Collezione nella traIl tema delle conseguenze dell’uso negatiduzione di Antonio Caronia. vo di una scoperta o di un’invenzione è
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uno dei più classici della fantascienza. Ian McDonald racconta la storia di Ethan Ring alternando quella del suo presente con il pellegrinaggio e quella del suo passato. Il senso di colpa per ciò che ha fatto è tale che nel corso del suo pellegrinaggio il protagonista considera il vecchio Ethan come una persona diversa. Per questo motivo, le parti del romanzo riguardanti il pellegrinaggio sono narrate in prima persona da Ethan mentre quelle riguardanti il suo passato sono narrate in terza persona. Questa spaccatura è fondamentale nella storia e lo stesso Ethan dice che la persona che era prima è morta, uccisa dalla colpa. Il Giappone neo-feudale del futuro è un mix di elementi classici e cyberpunk, tra buddhismo e realtà virtuale. “Forbici vince carta vince pietra” è un romanzo per il quale le etichette sarebbero limitative perché ian McDonald mette assieme parecchi elementi diversi prendendo ciò che gli è utile per la storia. C’erano già state storie importanti riguardanti invenzioni pericolose anche nel movimento cyberpunk, come “Giù nel Cyberspazio” (“Count Zero”) di William Gibson e “Snow Crash” di Neal Stephenson. Siccome Ian McDonald mescola generi e sottogeneri, in “Forbici vince carta vince pietra” l’invenzione è ispirata alla Kabbalah. Il risultato potrebbe essere intitolato “Lo Zen e l’arte della Kabbalah” perché ha anche alcune similitudini con il celebre romanzo di Robert Pirsig. Nel corso del romanzo, il lettore scopre pian piano il passato di Ethan Ring e il suo tentativo di espiazione. La storia è molto introspettiva, con poca azione e tante idee. La tecnologia ha grande importanza nella
trama ma non è particolarmente approfondita perché serve a svilupparne il lato filosofico del romanzo. “Forbici vince carta vince pietra” è un romanzo breve per gli standard odierni. Oggi a volte ci lamentiamo che alcuni romanzi sono troppo lunghi e contengono parti inutili, questo è forse troppo breve e non riesce a sviluppare pienamente la trama. Allo stesso tempo, la storia d’amore tra Ethan E Luka mi sembra di utilità limitata perché l’ho trovata piatta ma forse è un mio problema personale con gli elementi romantici in generale. Per le sue caratteristiche, “Forbici vince carta vince pietra” è un romanzo che va letto con calma per riflettere su ogni frase, magari rileggendolo per cogliere meglio qualche sfumatura di significati sfuggiti la prima volta. Non è facile da leggere ma se cercate un romanzo che vi faccia pensare ve lo consiglio.
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I Libri da rileggere Universo di Robert A. Heinlein
Sellerio nel n. 5 della collana “Fantascienza” e con il titolo “Universo” da Mondadori nel n. 378 di “Urania”, nel n. 1 dei “Classici Urania”, nel n. 13 di “Urania Collezione” e nella collana “Oscar Mondad ori – I Grandi Della Fantascienza”. Hugh Hoyland è riuscito a essere ammesso tra gli apprendisti scienziati. Come altri giovani, rifiuta certe interpretazioni mistiche delle vecchie generazioni riguardanti il Viaggio. Le sue idee vengono sconvolte quando viene catturato da un gruppo di mutanti e conosce Joe-Jim, il più importante tra i loro leader, un uomo con due teste. Joe-Jim porta Hugh in luoghi che non aveva mai visto e lo costringe a entrare nella Centrale Comandi, dove gli mostra l’universo esterno alla Nave. Per Hugh è un Universo grosso trauma perché la sua gente pensa di Robert A. Heinlein che la Nave sia l’universo. La sua scoperta cambia tutto ma come convincere gli scienziati senza essere preso per un eretico e ucciso? “Universo” è il romanzo che rese popolare Il romanzo “Universo” (“Orphans of the il concetto di astronave generazionale, un Sky”), conosciuto anche come “Orfani del tipo di astronave costruita per compiere viaggi interstellari della durata di secoli se cielo”, di Robert A. Heinlein è stato non millenni a velocità inferiore a quella pubblicato per la prima volta nel 1941 nella forma di due romanzi brevi intitolati della luce. L’equipaggio che arriva alla fi“Universe” e “Common Sense” sulla rivi- ne del viaggio è composto dai discendenti di quello che l’ha cominciato. sta “Astounding Science Fiction” e nel 1963 come libro. In Italia è stato pubbli- In “Universo”, qualcosa durante il viaggio cato con il titolo “Orfani del cielo” da
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è andato storto. Un ammutinamento ha causato la morte di parte dell’equipaggio e la distruzione di parte dei documenti dell’astronave. La perdita di gran parte delle conoscenze provoca una caduta in una semi-barbarie. Per qualche tempo l’astronave rimane priva dello schermo che protegge l’equipaggio dalle radiazioni e ciò provoca la nascita di mutanti. Prima che la legge stabilisca l’eliminazione alla nascita dei mutanti, essi diventano un gruppo autonomo e fuorilegge, che finisce per vivere in una parte separata dell’astronave. “Universo” è un romanzo breve per gli standard di oggi perciò Robert A. Heinlein racconta la storia del Viaggio e della società all’epoca di Hugh con una serie di dettagli abilmente sparsi qua e là nella storia. I personaggi hanno una conoscenza decisamente frammentaria di ciò che è successo e il lettore segue la progressiva scoperta da parte di Hugh di alcune parti della verità che vanno ben oltre i dogmi che gli sono stati insegnati. Tra l’equipaggio c’è un’elite di scienziati ma ben presto il lettore può vedere che in realtà essi sono ridotti a sacerdoti che interpretano in maniera mistico-religiosa i pochi brandelli di conoscenza ancora disponibili. Per loro, la Nave è l’universo intero e il Viaggio è una metafora religiosa. Il contatto forzato con Joe-Jim costringe Hugh a rivedere completamente le idee che gli sono state insegnate. L’esplorazione di aree della Nave in cui per secoli solo i mutanti si sono avventurati gli ha permesso di vedere cos’è veramente l’universo. Del tutto involontariamente, Hugh diventa una specie di Galileo Galilei che
cerca di convincere gli scienziati che la Nave si muove. Nel corso del romanzo, la storia di Hugh permette a Robert A. Heinlein di descrivere questa società che è diventata una specie di regime religioso in cui un’elite ha il potere assoluto sulla gente comune. Le donne sono a malapena presenti e nelle rare occasioni in cui appaiono si capisce che vengono considerate poco più che animali. Si tratta di un caso davvero raro in una storia di Heinlein e sottolinea l’imbarbarimento della società della Nave. Gli eventi di “Universo” coprono un lungo periodo e occasionalmente la narrazione salta avanti nel tempo. Data la lunghezza ridotta del romanzo, la storia è concentrata su eventi importanti, mantenendo il ritmo generalmente elevato. I protagonisti sono sviluppati piuttosto bene, soprattutto Hugh. “Universo” è giustamente considerato un classico della Fantascienza in cui un maestro come Robert A. Heinlein racconta la storia di un’astronave generazionale e dell’involuzione della società che vi vive in seguito ad un ammutinamento. Nonostante l’età, secondo me non può mancare nella collezione di chiunque sia interessato alla Fantascienza.
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I libri da Ristampare Maske: Thaery di Jack Vance
Jubal Droad è cresciuto nel continente di Thaery, sul pianeta Maske. Quando raggiunge la maggiore età intraprende un rito di passaggio tradizionale tra la sua gente viaggiando qua e là. Durante uno dei lavori che compie nel corso dei suoi viaggi, il sentiero che sta riparando assieme ad alcuni operai crolla a causa di un arrogante nobile che ci passa nonostante i suoi avvertimenti, causandogli varie ferite. Quando si riprende, Jubal Droad si presenta a Nai degli Hever, un uomo molto potente, con una lettera da suo zio Vaidro. Grazie ad essa, ottiene un lavoro che sembra umile ma in realtà entra a far parte dei servizi segreti locali. Alla corte, incontra Ramus Ymph e lo riconosce come il nobile che ha causato il suo incidente e tra i due lo scontro è inevitabile. “Maske: Thaery” è ambientato per la Maske: Thaery maggior parte sul pianeta Maske, colodi Jack Vance nizzato secoli prima e piuttosto isolato dagli altri pianeti per volontà dei suoi abitanti. Il protagonista del romanzo Jubal Droad è il secondo figlio del capo del suo clan e alla morte del padre il fratello maggiore gli succede. Raggiunta la Il romanzo “Maske: Thaery” (“Maske: maggiore età, intraprende il tradizionale Thaery”) di Jack Vance è stato pubblicato rito di passaggio e nei suoi viaggi deve per la prima volta nel 1976. Fa parte della affrontare pericoli e anche pregiudizi riserie di storie informalmente conosciute guardanti la sua gente dato che gli abitanti come Gaean Reach anche se è un romanzo del Glentin sono considerati zotici. autonomo. In Italia è stato pubblicato Soprattutto nella prima parte del romanzo, dall’Editrice Nord nel n. 76 di “Cosmo Argento” nella traduzione di Alessandro le maniere di Jubal Droad sono tutt’altro che raffinate e ciò non lo aiuta a farsi degli Monti.
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amici. La sua situazione è resa ancor più complicata quando, alla corte di Nai degli Hever, si imbatte in Ramus Ymph, che in passato aveva provocato un incidente in cui Jubal era rimasto ferito. Lo scontro tra i due è uno degli elementi principali di “Maske: Thaery”. Il tema della vendetta è ricorrente nelle storie di Jack Vance, in “Maske: Thaery” è importante ma è inserito in una trama più complessa. La storia di Jubal Droad è anche un racconto di maturazione di un ragazzo che lascia la sua casa e viaggia lontano, perfino su un altro pianeta. Destreggiandosi tra pericoli di vario tipo, pian piano impara a conoscere le convenzioni delle società in cui sta cercando di crearsi una vita e a gestire le situazioni con l’astuzia piuttosto che con l’aggressività. Le avventure di Jubal Droad danno modo al lettore di conoscere la società del continente di Thaery tra vari conflitti e intrighi portate avanti da vari personaggi dei quali Jubal deve scoprire i piani. “Maske: Thaery” è un romanzo per certi versi avventuroso ma la storia è in parte una sorta di storia di spionaggio che porta Jubal anche sul pianeta Eiselbar. Jack Vance è sempre stato un maestro a descrivere mondi esotici con società che seguono strane usanze. In “Maske: Thaery” approfondisce soprattutto le descrizioni dei modi di vita delle popolazioni del continente di Thaery, nei primi capitoli anche con parecchie note a pie’ pagina. Jubal Droad è il personaggio sviluppato meglio ma anche altri personaggi importanti sono ben delineati. In vari casi, motivazioni e segreti di un perso-
naggio vengono rivelati lentamente tra vari colpi di scena. C’è un buon equilibrio tra l’azione più avventurosa e quella sviluppata negli intrighi. Il ritmo non è particolarmente elevato ma Jack Vance sapeva bene come tenere i lettori incollati alle sue storie. “Maske: Thaery” è per certi versi un distillato della letteratura di Jack Vance. Il suo tipico stile evocativo e i tanti temi contenuti nel romanzo sembrano davvero concentrare in un romanzo che non è neppure particolarmente lungo tanti elementi narrativi che ha utilizzato più volte nel corso della sua lunga carriera. Ci sono alcuni grandi classici di Jack Vance che mi piacciono più di “Maske: Thaery”. Anche questo è secondo me un romanzo molto buono e per le sue caratteristiche è tra quelli da avere sia per chi apprezza questo grande autore che per chi vuole scoprirlo.
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I libri da Tradurre Pirate Sun di Karl Schroeder
perché vuole a tutti i costi liberare anche due suoi compatrioti. Alla fine, riesce a fuggire assieme a loro ma è costretto a improvvisare per portare il trio in salvo dai loro nemici. Ben presto, i tre incontrano Antaea Argyre, un membro del semi-leggendario gruppo dei Guardiani di Virga, che hanno lo scopo di proteggere il pianeta artificiale da minacce esterne. Channing deve cercare di tornare nella sua Slipstream ma viene coinvolto in una vicenda molto più grande. Oltre a capire cosa voglia davvero Antaea da lui deve scoprire perché quello che considerava il suo migliore amico si fa vivo in una nazione nemica ma apparentemente per farlo ricatturare. Chaison Fanning e sua moglie Venera erano apparsi per la prima volta ne "Il Sole dei soli", il romanzo che inizia la serie di Pirate Sun Virga. Alla fine di esso, Venera era rimasta di Karl Schroeder separata dal marito e le sue avventure sono state raccontate in "Queen of Candesce", il secondo romanzo della serie. In “Pirate Sun” entrambi appaiono nuovamente nella continuazione delle loro storie perciò si può dire che questo romanzo sia un seguiIl romanzo “Pirate Sun” di Karl Schroeder to di entrambi i precedenti. è stato pubblicato per la prima volta nel L’Ammiraglio Chaison Fanning aveva 2008. È il terzo romanzo della serie di ottenuto una grande vittoria ma aveva paVirga. È al momento inedito in Italia. gato un prezzo altissimo. Rinchiuso in una L’Ammiraglio Chaison Fanning è stato prigione nemica, non sa neppure che fine catturato e imprigionato dai suoi nemici. abbia fatto sua moglie. Per lui tutto sembra Sua moglie Venera riesce a organizzare la perduto fuorché l’onore e quando qualcusua fuga ma lui rischia di farlo fallire no lo aiuta a fuggire si ferma per liberare
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due suoi compatrioti. Da lì le cose si fanno sempre più complesse. La storia di Chaison Fanning diventa molto più che il suo tentativo di tornare nella sua Slipstream. Con sgomento, scopre che è considerato non un eroe bensì un traditore perciò tornare a casa è tutt’altro che semplice. Ben presto, non deve fuggire solo dai suoi nemici ma anche dal suo migliore amico. Per Chaison Fanning, le cose diventano ancor più complicate dopo che incontra Antaea Argyre e assieme ai suoi compagni di fuga viene invischiato in varie macchinazioni all’interno del gruppo dei Guardiani di Virga. Più ha che fare con loro più si accorge che nel migliore dei casi gli stanno dicendo mezze verità e nel gruppo non sembra esserci una grande armonia. I Guardiani vogliono qualcosa da Chaison Fanning ma cosa? Personalmente ho trovato godibili le avventure di Chaison Fanning nei suoi tentativi di tornare a casa per affrontare i governanti di Slipstream, a cominciare dal Pilota stesso, per cancellare la macchia gettata sul suo nome. Anche se nella parte centrale Karl Schroeder la tira un po’ per le lunghe, il pianeta artificiale Virga con i suoi soli e i suoi habitat offrono un’ambientazione straordinaria per queste storie avventurose. Tuttavia, la parte di “Pirate Sun” che mi è piaciuta di più è quella relativa al gruppo dei Guardiani di Virga. Ne “Il Sole dei soli” Karl Schroeder aveva fornito qualche informazione sulla natura di Virga e su ciò che succede all’esterno di questo pianeta artificiale. Nel terzo romanzo l’autore racconta
molto di più su conflitti ben più vasti e sul ruolo di Virga in essi. “Pirate Sun” ha un ritmo che generalmente è perfino più elevato rispetto ai romanzi precedenti. Karl Schroeder riesce quasi sempre a inserire molte informazioni nella storia senza rallentare l’azione, presente in gran quantità. Il personaggio di Chaison Fanning, al centro di quasi tutto il romanzo, viene ulteriormente sviluppato ma anche gli altri personaggi sono ben delineati, facendone un ulteriore punto di forza. Alla fine, la trama risulta assai complessa perché mette assieme parecchi elementi anche abbastanza eterogenei. Per un romanzo lungo poco più di 300 pagine nella versione rilegata ci sono davvero tanti eventi e tanti colpi di scena. Per Karl Schroeder non era facile gestire tutto ciò ma secondo me lo fa bene dando una conclusione soddisfacente alla trilogia dedicata a Chaison e Venera Fanning. Complessivamente, “Pirate Sun” mi è parso davvero un buon romanzo che per essere goduto pienamente va letto dopo i due precedenti della serie di Virga. Finora ho trovato questa serie davvero eccitante e intrigante perciò ne consiglio la lettura.
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I libri da Tradurre Zoe's Tale di John Scalzi
na Zoë ha perso i suoi genitori biologici e i suoi genitori adottivi hanno trascorso anni combattendo nelle Forze di Difesa Coloniale (FDC). La situazione cambia quando a John Perry e Jane Sagan viene loro offerto di dirigere una nuova colonia sul pianeta Roanoke, un progetto importante per l’Unione Coloniale. John e Jane accettano e i due vengono inviati verso il pianeta da colonizzare assieme a Zoë e ai due Obin che la accompagnano sempre per proteggerla da qualsiasi pericolo. Gli alieni però sembrano avere informazioni sulla nuova colonia che gettano un’ombra sul progetto. La situazione diventa più complicata quando l’astronave arriva a destinazione e il capitano si rende conto che non si tratta del pianeta giusto nonostante il fatto che la rotta fosse stata tracciata regolarmente. Zoe's Tale Le maggiori critiche al romanzo "The Last di John Scalzi Colony" riguardavano la sparizione improvvisa dei nativi del pianeta Roanoke. Allo stesso tempo, John Scalzi aveva ricevuto parecchie richieste di scrivere una nuova storia dedicata a Zoë. Alla fine, mettendo tutto assieme, l’autore decise di Il romanzo “Zoe’s Tale” di John Scalzi è scrivere un romanzo che raccontava nuostato pubblicato per la prima volta nel vamente la storia di “The Last Colony” ma 2008. Fa parte della serie “Old Man’s in prima persona dal punto di vista della War”. È al momento inedito in Italia. ragazza. Zoë Boutin-Perry vive sulla colonia di La scelta di John Scalzi non era certo faciHuckleberry assieme ai suoi genitori le. Raccontare un’altra volta la stessa stoadottivi John Perry e Jane Sagan. La loro ria rischia di annoiare i lettori che l’hanno vita sembra tranquilla dopo che da bambi- già letta e raccontarla dal punto di vista di
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un’adolescente in maniera convincente è impegnativo. Il fatto che Zoë avesse avuto un ruolo importante in “The Last Colony” era d’aiuto perché ha permesso all’autore di raccontarlo. Quando John Scalzi aveva iniziato la serie “Old Man’s War”, Robert A. Heinlein era stato la sua principale fonte di ispirazione. Anche “Zoe’s Tale” sembra trarre ispirazione dal grande maestro, che nella sua carriera aveva scritto vari “juvenile”. Zoë non è esattamente la Podkayne di "Una famiglia marziana" ma è impossibile scrivere un romanzo di fantascienza di questo tipo senza pensare alle storie di Heinlein. Secondo me lo scoglio maggiore nella lettura di “Zoe’s Tale” è la parte iniziale. È la parte in cui lo stile è più adolescenziale, nel senso che i problemi di Zoë sono in buona parte quelli di una normale ragazza. È anche la parte più verbosa perché la protagonista si dilunga molto nel raccontare ciò che le succede e ciò che prova perciò il ritmo è inizialmente lento. Fortunatamente, questa parte iniziale non è una noia completa. John Scalzi la utilizza anche per fornirci nuovi dettagli sulla storia di Zoë precedente all’inizio di questo romanzo e sul suo rapporto con gli Obin visto dal suo punto di vista. La sua vita è stata davvero complicata ma nelle sue apparizioni nei precedenti romanzi della serie ciò che era stato rivelato era stato raccontato da altri personaggi. “Zoe’s Tale” dà sicuramente una prospettiva interessante da questo punto di vista perché coinvolge molto di più anche gli Obin. Nell’universo narrativo della serie “Old Man’s War” ci sono tante specie aliene e le informazioni fornite su di esse da John Scalzi sono frammentarie. “Zoe’s Tale” dà modo all’autore di fornire molte più
informazioni sugli Obin ma anche sui Consu, la potentissima specie che li creò usando l’ingegneria genetica su una specie non senziente. Questo secondo me è il maggior successo di “Zoe’s Tale” assieme alla narrazione di alcuni eventi di “The Last Colony” che erano rimasti oscuri. John Scalzi fornisce una spiegazione molto più dettagliata della scomparsa dei nativi del pianeta Roanoke. A me la storia che li riguarda sembra ancora uno spreco ma almeno ora ha un po’ più senso. Una storia che ha tra le sue fonti di ispirazione i juvenile di Robert A. Heinlein non poteva non essere anche un romanzo di maturazione. Dopo un inizio a volte leggero con tanti problemi tipici degli adolescenti, le cose diventano sempre più serie. La nuova colonia di Roanoke deve affrontare pericoli di vario genere e Zoë finisce per essere coinvolta in prima persona nella lotta per la sua salvezza. Chi ha già letto “The Last Colony” sa già come va a finire la storia e conosce anche l’importanza del ruolo di Zoë. In “Zoe’s Tale” possiamo finalmente apprezzare le sue azioni e conoscere una parte della storia che non era stata raccontata perché John Perry non la conosceva. Alla fine, secondo me “Zoe’s Tale” è un buon complemento a “The Last Colony”. Ha i suoi difetti e inevitabilmente la storia è ripetitiva per chi ha già letto il primo romanzo per cui non è indispensabile. Per i suoi contenuti nuovi è comunque un romanzo che consiglio ai fan della serie “Old Man’s War”.
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IL venditore dI pensieri usati
Cari lettori, cari amici di Skan Magazine, colgo l’occasione per ringraziarvi dell’affetto che mi dimostrate. Vi vedo, quando esce il mensile, curiosare fra le pagine del mio blog, e vedo che spesso qualcuno di voi inizia a seguirmi in maniera abituale, iscrivendosi. Grazie. E’ un numero doppio, questo, ma siccome due inviti alla lettura (perché questo sono, non ho la pretesa di definirle recensioni) mi parevano pochi, ho deciso di farvene leggere tre: Il primo, “Tutti i miei robot” di Asimov, che ho letto in epoche preistoriche quando avevo appena cominciato a buttare giù qualche commento su ciò che leggevo; Il secondo, “La canzone di Shannara”, di Brooks, che ho lasciato lì a metà, il perché lo leggerete più tardi; il terzo, che è un’opera che nessuno può affermare di avere letto, qualunque sia la lingua che parla: si tratta del Codex Seraphinianus, un libro che ho scoperto per puro caso, un libro che ho cercato a lungo ma che non ho mai comprato per via del prezzo spesso proibitivo, ma che ho avuto la fortuna di riuscire ad avere fra le mani per qualche giorno. Se siete fra quelli che non lo conoscono, vi starete chiedendo cosa siano questi delirii, cosa sia questa storia che nessuno può leggerlo, e via discorrendo. Ebbene, addentratevi fra i misteri del Codex e innamoratevene. E’ tutto, cari lettori, vi lascio leggere le mie impressioni, se vi fa piacere. Alla prossima, e buon compleanno, Skan Magazine!
Tutti i miei robot di Isaac Asimov
Il primo Asimov che abbia letto, cari lettori! Che ci si trova dentro? Beh, un po’ di tutto, direi. Si parte dalla tipica fantascienza “antica” e si arriva a quella moderna, e ci mancherebbe! Lui è il Padre della fantascienza moderna… Intendiamoci: per “fantascienza antica” intendo di quando si parlava di robot non umanoidi e indistruttibili. E quindi, dicevo, lo stesso Asimov ha composto quest’antologia “a settori”, nel senso che parte dai suoi primi racconti, dove troviamo i robot come minaccia per l’uomo, i robot che vengono raggirati dall’uomo, i robot indistruttibili ed eterni… e poi si passa ai robot col cervello positronico, dai primi esperimenti al loro evolversi, facendoceli conoscere di volta in volta attraverso alcuni personaggi umani molto ben caratterizzati, che affrontano problemi di logica robotica degni di un romanzo giallo, pur senza vittima. Senza vittima perché i robot positronici non possono fare alcun male agli esseri umani, e questo grazie alle tre leggi della robotica, che non sto qui a citarvi per motivi di copyright. Perché Asimov ha sempre permesso che si
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citino le tre leggi, ma senza enunciarle. Se proprio non le ricordate, basta una veloce ricerca su Google. Vi ripeto, cari lettori, che questa è la prima cosa che ho letto di Asimov, e ne sono stato rapito, fulminato. L’avevo comprato attirato dall’ultimo racconto, ovvero “L’Uomo Bicentenario”, da cui è stato liberamente tratto un fortunato film. Liberamente tratto perché il racconto è molto diverso, ma non importa, spero di avervi messo abbastanza curiosità da istigarvi ad andarlo a leggere. Il problema? Non capirete il racconto fino in fondo se non avete letto anche i racconti precedenti. Non perché ne sia legato in qualche modo, ma perché bisogna imparare un po’ a conoscere la psicologia dei robot, per capire i vari passaggi. Mi è piaciuto, sì, e gli ho dato quattro stelle sulle solite cinque. Perché è saltata la quinta? Ma perché ormai ci siamo abituati a molte cose, e i robot indistruttibili che funzionano in eterno, oggi come oggi fanno un po’ sorridere. Oggi i robot si guastano, devono ricaricarsi, possono avere problemi tecnici senza letteralmente dover impazzire e mettersi a girare intorno a un giacimento minerario senza sosta… Tutto qui. Ma leggetelo, che i due collaudatori sono divertentissimi da seguire nei loro ragionamenti al limite dell’impossibile; che Susan Calvin è un’autorità che va temuta e rispettata, oltre che amata, e la ritroveremo nei romanzi che narrano la storia dell’Universo, nel ciclo dei robot per essere esatti; che i robot sono esseri complessi quasi quanto gli esseri umani, e tante altre cose. Buona lettura, cari lettori! Alla prossima!
L a C a n z on e D i S h a n n a ra di Terry Brooks
Cari lettori, siamo giunti alla fine della trilogia classica di Shannara. La classica perché il ciclo prevede altri seguiti, che però non leggerò perché, sebbene Brooks sia un punto di riferimento, gli Ohmsford mi sono venuti un po’ a noia.
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Cominciamo. Questo romanzo si apre rivelando da subito cosa sia questa canzone, ovvero dice che la protagonista e suo fratello possono realizzare i propri desideri cantandoli. Così scopriamo che, per provarli, hanno fatto ammalare alberi e orti. Il padre, Wil, che è stato protagonista del romanzo precedente, non ne è contento, anzi: è sempre più convinto che la magia elfa sia una brutta cosa, ed è convinto che i suoi figli abbiano quei poteri perché in passato ha usato le pietre magiche, cosa che lo ha cambiato dentro e che ha cambiato il suo essere. Insomma, a parte questo il romanzo si apre nel solito modo: vita tranquilla dei protagonisti, poi appare il druido Allanon che dice che bisogna partire subito, che non c’è più tempo, e non l’ho ancora letto ma scommetto che i due ragazzi Ohmsford partiranno. Come faccio a saperlo? Leggetevi i due romanzi precedenti. O immaginate che se non partissero la storia non avrebbe luogo. Ora tiro a indovinare: sto scrivendo questo a metà del secondo capitolo, quindi ancora non so nulla, ma… La combriccola partirà, qualcuno non dormirà più per giorni, arriveranno a destinazione a suon di colpi di fortuna e porteranno a termine la missione. Brooks, ti prego non farmi questo! Continuiamo, e vediamo che in un primo momento parte solo la ragazza, che ha la canzone più forte, assieme ad Allanon e al novello principe di Leah. Jair viene lasciato a casa, ma incontrerà i soliti esseri oscuri che gli faranno decidere di non rimanere lì, di andare al castello di Leah, dove è sicuro di essere accolto a braccia aperte. E verrà catturato da uno gnomo. Nel frattempo, la ragazza scopre cosa può fare col suo potere, e ne resta scioccata. Jair, dicevo, è stato catturato da uno gnomo, che lo ha tenuto prigioniero fino all’arrivo del boss di turno. Quattro mazzate ed ecco che non riesce
a resistere e spiffera parte della verità ai suoi aguzzini. Parte, perché non ha troppo tempo per pensare, ma riesce comunque a mantenere una certa credibilità e allontanare quanto basta gli gnomi dal druido e dalla sorella. Verrà poi scortato dagli gnomi verso una mortombra, e proprio quando non vediamo più alcuna speranza di salvezza, ecco apparire un colpo di fortuna. Sulla via che percorrono gli gnomi si trova un maestro d’armi che li sbaraglierà tutti e libererà il nostro Jair, il quale poi sarà costretto a seguirlo verso est a causa della bugia che aveva detto agli gnomi per salvare le chiappe a druido, sorella e cavaliere. Cari lettori, a questo punto della storia ero fortemente demotivato e l’intenzione era quella di piantare lì tutto, perché il copione sembrava quello dei due romanzi precedenti, ma mi sono fatto coraggio e ho continuato. Volevo vedere fino a che punto la trama sarebbe rimasta tale e quale a quella delle storie già lette ne “la Spada di Shannara” e “le Pietre magiche di shannara”. L’unica differenza rilevante è che qui, finora, non ho trovato traccia di Tolkien. Ma andiamo avanti: il principe di Leah possiede la Spada di Leah, di cui abbiamo sentito parlare ne “la Spada di Shannara”, solo che ormai non è altro che un cimelio arrugginito. Può un paladino pugnare per proteggere la sua dama con un ferro in cotal stato? Giammai, e allora il buon druido gliela fa immergere nell’acqua e, quando la tira fuori, la lama è diventata lucida e nera, con dei riflessi verdastri. Una lama magica, capace di tenere testa alle mortombre perché racchiude in sé il potere dei Druidi. Nel frattempo Jair, che non dormiva da tempo (ve l’avevo pur detto, all’inizio, che qualcuno non avrebbe dormito), riceve la visita del Re del fiume Argento, che gli dona tre magie che potrà usare al momento opportuno. Che, ovviamente, non sa né dove né quando né perché potrà o dovrà usarle, ma intanto le possiede, e il Re lo fa dormire profondamente, e lo ristora. Si, il Re del
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fiume Argento è una creatura magica, ma questo non è uno spoiler perché l’avevamo già incontrato nei primi due capitoli della saga. Poi Jair si sveglia, fa colazione e racconta la vera storia di tutto ciò che gli è successo da casa a lì dove si trova, senza nascondere nulla. I due compagni di viaggio, ovviamente, non crederanno a mezza parola, Però Jair ha una missione da compiere per conto del re del fiume Argento e delle quattro terre tutte. Amen. Ritroviamo a questo punto l’altra compagnia, cioè il druido e la ragazza. E il prode principe, sì. Da lì inizia a esserci un po’ di movimento: la mitica fortezza di Paranor è stata invasa da gnomi e mortombre, e, non più riconquistabile, dovrà essere sottratta all’umanità (testuale) e avere quindi una fine. Un passaggio rocambolesco, pieno di suspense, in cui vedremo come la fortezza verrà alla fine distrutta. Torniamo a Jair, che intanto è arrivato a Culhaven, la città dei nani, dove radunerà una piccola quanto bizzarra compagnia che lo accompagnerà alle sorgenti del fiume Argento a compiere la sua missione. La cosa ricorda un po’ la tolkeniana compagnia dell’Anello, anche se sono solo in sei e non tutti sono propriamente volontari. La compagnia parte senza essere salutata da nessuno, e cammina cammina, il buon Brooks ci parla di com’è fatto il bosco, della pioggia che batte, dei rumori che si sentono, di questi poveri cristi che vanno avanti nonostante tutto… ebbasta! No, mi dispiace, non ce la faccio più. Chiudo il libro, e la saga di Shannara per me si conclude qui, a pagina 170. Questa storia è identica alle due precedenti, manca di sale, e so già come tutto andrà avanti. Brooks ha creato qualcosa che sembra più a un loop temporale, che una saga vera e propria. Tre stelle solo perché Brooks non scrive male, anzi!
Codex Seraphinianus di Luigi Serafini 371 pagine Edizioni Abbeville Press Iniziato il 10/06/2014 Finito il 12/06/2014 NdR Data l’eccezionalità delle immagini, sarebbe
necessario riprodurle nelle dimensioni originali. Ciò farebbe lievitare le dimensioni della rivista in formato elettronico, perciò abbiamo scelto di inserire soltanto una minuscola anteprima. Rimandiamo il lettore al sito de "Il venditore di pensieri usati" dove è possibile una visione degna di questo nome.
Cari lettori, sapevo che questo momento sarebbe arrivato, che prima o poi avrei dovuto parlarne. Perché non si può mettersi a parlare di libri e non prendere in considerazione un’opera come questa! Devo affrontarla, e prima lo faccio meglio è. E’ con profondo imbarazzo, quindi, che mi accingo a parlarvi del Codex Seraphinianus. Con profondo imbarazzo, proprio così. Perché, prima di inquinare i miei pensieri con le informazioni Wikipediane e trascrivere quello che potete trovare in tutte le altre recensioni, vorrei provare a raccontarlo con parole mie. Non fraintendete: le recensioni che scrivo sono sempre fatte con parole mie, ma questa è una cosa particolare: come si fa a raccontare a parole un libro che è scritto in una lingua inventata di sana pianta? Un libro che, letteralmente, nessuno può leggere? Finito nell’olimpo delle leggende come il Necronomicon, ma realmente esistente?
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E come fare a descriverne le illustrazioni?
Ecco, in qualche modo questo libro, considerato il più strano del mondo, risulta essere indescrivibile. Forse potrei riuscire a parlarvi di me, però. Io l’ho vissuto con un misto di stupore, meraviglia, nausea e attrazione irresistibile. Talmente irresistibile che l’ho guardato almeno quattro volte, in un paio di giorni. Sono stato
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letteralmente rapito e trasportato in un mondo assurdo, un viaggio allucinante in cerca di personaggi e animali sconclusionati, in un mondo dove pure gli arcobaleni vengono prodotti artificialmente. E poi boh. Avete già visto un esempio di quella strana scrittura: ebbene, in alcuni momenti mi era sembrato di riconoscere vaghe parole, magari qualche frase di senso compiuto, ma a una piÚ attenta osservazione scoprivo che era tutta un’illusione ottica, un ben congegnato inganno della vista.
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E poi ci sono mappe, giochi con le carte, esempi di città e di civiltà misteriose, cibi che sembrano un panino e un croissant ma non lo sono, e millemila altre cose che bisogna vedere coi propri occhi, per poterci credere. Bene cari lettori, io ci ho provato a parlarvene a modo mio. Non saprei che cosa aggiungere, l’opera è vastissima, ma l’interpretazione varia a seconda degli occhi che ci si soffermano. Bisogna averlo in mano e saggiarne il peso, annusare il profumo delle pagine, percepire la consistenza della carta e, soprattutto, vederlo coi propri occhi e viverlo con le proprie emozioni. Fatemi sapere le vostre impressioni, che lo abbiate letto oppure no, che lo abbiate appena scoperto o che lo conosciate da tempo, che ne abbiate sempre e solo sentito parlare o ne possediate una copia. Alla prossima!
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AMAZING MAGAZINE S p e c i a le # 2
Atta c c o a l p o te r e
b) In un punto a vostra scelta della storia, un personaggio dovrà parlare con un animale. NON è rilevante che l'animale capisca, l'animale NON deve per forza essere una creatura speciale o magica, NON è quindi necessario che l'animale risponda. Il paletto vuole che un personaggio parli con un animale, stop. Tutto quello che ci metterete attorno o come personalizzerete la scena è decisione vostra. Per rispettare la specifica, quello che il personaggio dirà all'animale dovrà essere rilevante all'interno della scena descritta. Per esempio, una persona che entra in una casa, fa una carezza al cane e gli dice "ciao bello" e poi quel cane non fa più niente, NON va bene. Almeno all'interno della scena, deve avere rilevanza. E non deve per forza essere un animale esistente. LE SPECIFICHE Le differenze di questo speciale con le edizioni regolari non si limitano solo a una ridotta quantità di Lunghezza. Minima: 7.500 caratteri. Massima: commenti o a dei giorni in più per scrivere. 30.000 caratteri (spazi inclusi). Tolleranza 10%. Quando dico che competerete contro di me lo intendo davvero. Genere: QUALSIASI. Infatti dovete considerarvi TUTTI, nessuno escluso, come ingaggiati in una #sfidanellasfida contro Particolarità: il sottoscritto. a) Questo mese i racconti dovranno parlare di MA- NON vi dico ancora in che modo i risultati delle GIA. Senso stretto o senso lato non è rilevante. sfidanellasfida influiranno sulla classifica finale, Può essere magia intesa in senso fantasy, quindi né sull'assegnazione di punti campionato (ammescon gente che spara raggi infuocati e distrugge so che influiscano su questi due fattori). Questo l'universo, oppure di magie silenti e latenti che co- per non dare a nessuno degli incentivi a manipolastituiscono una minaccia da sventare, oppure mare le classifiche. Leggete i brani, classificateli, gia in senso lato come la magia dell'amore (un mi- commentate il migliore e il peggiore e stop. Fatelo nimo di misticismo è comunque componente in modo intellettualmente onesto perché non sapete essenziale, una storia d'amore pura e semplice in che modo i vostri voti influenzeranno la classiNON va bene, ricordate che il punto focale rimane fica finale. la magia), eccetera. Gli esempi sono potenzialmente infiniti e non ho INSOMMA intenzione di elencarne troppi, sappiate che se la Pensate di scrivere meglio di me? magia, di qualsiasi tipo/genere/senso, avrà un ruolo Chissà, magari avete ragione, vi invito a dimocentrale nel vostro brano, sarete ok dal punto di vi- strarlo sul campo. sta delle specifiche. Da quando sono moderatore [parla il Master dello Skannatoio], in molti si sono lamentati del fatto che l'incarico avrebbe significato la mia "scomparsa" da questo palcoscenico. Molti altri hanno espresso il desiderio di gareggiare ancora con me, alcuni in modo affettuoso, altri in modo estremamente competitivo (del tipo "ti va bene che non partecipi, altrimenti dovresti subire l'umiliazione di farti battere da me"). Quindi, questa prova speciale verterà proprio su questo: avrete la possibilità di confrontarvi direttamente con me, secondo delle modalità analoghe a quelle di un colpo di stato. IO sono il potere costituito, VOI siete quelli che cercheranno di sconfiggermi. Inutile dire che NON combatteremo ad armi pari.
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S ka n Fra poco sarà buio
Vagavo per la strada, senza far nulla. Ancora poco e sarebbe calata la sera. Non avevo voglia di tornare a casa. Avrei trovato mia moglie alle prese col minestrone del giovedì, con indosso quell'orrendo grembiule da cucina. Ancora non capivo come le riuscisse di far da mangiare, tenere a bada nostro figlio di tre anni, sempre attaccato alla sua gonna, e strillare verso Monica, adolescente viziata, perché l'aiutasse ad apparecchiare. Tutto nello stesso momento. Diavolo, possibile che non ci fosse verso di insegnarle a non urlare? Avesse almeno preparato qualcosa di meglio di quell'insipido minestrone! Preferivo starmene fuori un altro po', nonostante il freddo mi gelasse le ossa. Da troppo tempo non avevo più voglia di tornare a casa. Fissai l'ultimo respiro di vita di quel giorno morente: il cielo tingersi di rosso, un brandello di mare infuocato in lontananza, il fumo dei comignoli nascondere le poche nubi cariche di pioggia; le strade erano pressoché deserte e la puzza di pesce delle bancarelle che smontavano si mischiava al buon odore della cena. Ero così assorto a guardarmi attorno che inciampai sui miei piedi. Imprecai forte, maledissi la
mia sbadataggine e mi appoggiai al muro di sasso per non cadere. Avvertii una sensazione strana e mi voltai, giusto in tempo per vedere un marmocchio dalla testa rasata e con un ciuffo scuro sulla fronte girare attorno alle mie gambe e corrermi davanti. Dapprima non riuscii a capire, poi folgorato da un presentimento appoggiai la mano sul retro dei pantaloni. Fui colto da una profonda rabbia: quel monello mi aveva rubato il portafogli! Non rimasi troppo fermo a pensare, mi gettai all'inseguimento di quel piccolo furfante. Correva veloce, ma io non ero da meno, ero stato un discreto centometrista da ragazzo e la forma fisica negli anni non mi aveva abbandonato. Non corsi molto, la canaglia s'intrufolò nel buco di quella che una volta doveva essere stata la porta di una casa, indubbiamente ero troppo grosso per infilarmici anch'io, ma bastò una spinta perché ciò che restava dell'uscio crollasse in terra con un tonfo sordo, sollevando una nuvola di polvere. L'attraversai senza lasciarmi impressionare. Mi ritrovai nel buio più assoluto. Curioso che dalle mie spalle non arrivasse luce, avevo abbattuto la porta e fuori era ancora giorno! «Ragazzino!» chiamai, cercando di soffocare l'angoscia che mi solleticava la schiena. La collera per essermi fatto giocare così stupidamente superava la pru-
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denza che mi suggeriva di darmela a gambe alla svelta prima di finire in qualche guaio. Non era un bel quartiere, quello, per girarci a quell'ora. «Avanti, restituiscimi il portafoglio o finisce male!» Se mi mostravo aggressivo e spavaldo, magari lo avrei spaventato... O mosso a pietà, se avesse avvertito dal mio tono di voce che iniziavo a farmela addosso dalla paura. Mossi cautamente qualche passo, maledicendo il fatto che da due settimane avessi smesso di fumare, neanche l'accendino avevo dietro! Sentii il pavimento scricchiolare e l'odore intenso di polvere e urina di gatto. Avrei anche potuto vomitare se non trovavo in fretta una finestra da spalancare, per respirare un po' d'aria pulita. Odiavo il chiuso, l'abbandono e la sporcizia. Da qualche parte finalmente si accese un bagliore. Tenue, all'inizio, poi un po' più forte, finché la luce di una lampada a olio illuminò la piccola stanza. Pareva più grande di come mi era sembrata da fuori, le mura erano umide, parzialmente scrostate, l'odore di piscio di gatto era sparito, anche il freddo. Un grosso pentolone bolliva appeso sopra la fiamma di un camino, un buon profumo aleggiava nell'aria. «C'è qualcuno?» credo di aver sussurrato. Sentivo che c'era qualcosa di illogico in tutto quello che stava acca-
dendo, ma cercavo di non pensarci. Avvertii un fruscio alla mia sinistra, mi girai e aguzzai la vista, cercando di individuare qualcosa dietro il lume acceso. Distinsi una figura piegata in avanti. Guardai meglio. Era una vecchia che cuciva. «Ehi, tu...» chiesi. «Deve essere entrato un moccioso, mi ha rubato il portafogli, lo hai visto?» La vecchia sembrò ignorarmi. Continuava nel suo lavoro senza badare alle mie ulteriori domande. Forse era sorda. Quando feci per avvicinarmi di più, deciso ad avere delle risposte, questa alzò la testa e mi puntò lo sguardo addosso. Mi sentì attraversare tutto il corpo da quegli occhi, non potevo vederli con quella poca luce ma sapevo che erano fissi su di me. Non riuscii a muovermi, neanche quando la vecchia si alzò dalla sua sedia scricchiolante e avanzò incontro a un tavolo che solo ora vedevo e su cui era appoggiata una candela consumata dal tempo. La vidi afferrare il moccolo con le mani ossute e raggrinzite, accenderlo con la semplice pressione delle dita sullo stoppino e avvicinarsi con il suo passo claudicante. Sentii il calore della fiammella a pochi millimetri dal mio viso e potei finalmente guardare i suoi occhi. Era completamente cieca. «Sei venuto a prendere il mio gatto?» chiese. Sentivo il suo alito fetido. Pensai di stare per svenire. «...Che?» balbettai,
avevo la voce impastata, non sembrava neanche la mia. Un gatto? La vecchia ripeté la domanda. La osservai meglio. Aveva grosse borse sotto gli occhi, i denti gialli, le labbra spaccate e sanguinanti e muoveva la mandibola ossessivamente, come se masticasse di continuo qualcosa. E le sue mani tremavano. Non mi era sembrato, mentre l'avevo osservata cucire. Le sue dita scheletrite si avvicinarono al mio collo, accarezzarono la catenina d'oro che portavo sempre, regalo di mia madre. La fece passare avanti e indietro tra le dita, poi si fermò sul ciondolo a forma di chiave, lo rigirò un paio di volte prima di lasciarlo ricadere sulla mia pelle gelida. «Sono qui per... un bambino. Mi ha rubato il portafogli, con i documenti. Si è nascosto qua dentro» dissi. La vecchia restò qualche minuto in silenzio. Non poteva vedermi, eppure avevo la sgradevole sensazione che frugasse nella mia anima, nei miei pensieri. «Vieni» comandò. Si mosse di nuovo verso il tavolo, non aspettò che la seguissi. Avrei voluto girarle le spalle e andarmene ma ero guidato da una forza oscura. E volevo riprendermi ciò che mi era stato tolto. Cercai di convincermi che era per quello che restavo, non perché stavo dando ascolto agli ordini di una vecchia. Mi costrinse a sedermi. Neanche mi chiesi perché l'assecondavo, tutto era così surreale... La vidi aprire un cassetto del tavolo ed estrarre una tovaglia a grandi
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scacchi verdi. Era consumata ma pulita. Me la porse. «Apparecchia la tavola, Matteo sarà qui tra un minuto.» Obbedii. In un angolo della mia mente pensai alle sfuriate con mia moglie, tutte le volte che me lo chiedeva lei. Sistemai come potei la stoffa sfilacciata. La vecchia si sedette e m'indicò una vecchia credenza a vetri. Mi muovevo come se conoscessi quella casa, aprivo le ante, prendevo i piatti ingialliti dal tempo, i bicchieri appannati da una patina di vecchio. In pochi secondi, la tavola era apparecchiata per tre. Mi sedetti. Un rumore lontano, appena soffocato, dei passi. Stava arrivando qualcuno. Una porta che prima non avevo visto si aprì. Ne entrò il bambino dal ciuffo nero, la faccia bianca e smunta, il naso rosso e le gambe ossute. Non vedevo la minima traccia di paura o pentimento mentre mi scrutava, ben sapendo che ero lì per lui. «Mangiamo» intimò la vecchia. Abbassai la testa e vidi che nel piatto c'era un grosso pezzo di pane secco e mezzo ammuffito. Lo consumai avidamente. Una parte di me provava disgusto per quel che stavo mangiando, ma sapevo di non potermi opporre. Nel bicchiere prima vuoto trovai un liquido denso, appiccicoso e giallognolo, pensai dovesse essere stato vino, un tempo, ma di sicuro adesso era tutt'altro. Mentre ingoiavo quell'intruglio sentivo lo stomaco contorcersi per l'orrore. «E così vuoi portarti via il mio
gatto» disse ancora la vecchia, mentre inghiottiva l'ultimo boccone del suo pane. «Voglio.. il mio... portafogli» mormorai. Quella non mi ascoltava. Mi voltai verso il bambino. Lo vidi alzarsi, scuotere il capo, tendere la mano. Teneva sul palmo un sasso, una di quelle pietre che si trovano per strada, nulla di che. Mi chiese di guardarci dentro. Guardare dentro un sasso? E che avrei dovuto trovarci? Strana gente... E io più strano di loro, che restavo lì. Il sasso però prese vita, si colorò di rosso. Quel bagliore mi accecava e ben presto si diffuse nella stanza. Le mura si alzarono, sparì il pentolone fumante, via il tavolo mezzo marcio, i resti del pane secco, la tovaglia a scacchi verdi, la credenza. Solo la vecchia restava. E il bambino con la pietra in mano. I raggi si espansero con più violenza, lingue di fuoco invasero la stanza, avvolsero i corpi immobili dei due strani abitanti della casa. Non mi accorsi subito che anche il mio corpo era avvolto dalle fiamme. Iniziai a urlare terrorizzato, finché non mi resi conto che il fuoco non faceva male. «Non preoccuparti, è magia. La magia può ferire o uccidere, ma non sempre.» Alzai la testa. Il bambino se ne stava fermo davanti a me, avvolto da fiamme che
non bruciavano. La sua pelle sembrava sempre più bianca. «Non sei ancora puro.» Che cazzo significava? Non ebbi il tempo di chiederlo. Sono sulla strada. Il cielo è tinto dei colori intensi del crepuscolo e le vie sono quasi deserte. È freddo, terribilmente freddo e richiudo con forza la giacca sul petto. Non ho pensieri, all'improvviso non ho ricordi, scorgo appena gli ultimi passanti frettolosi che si muovono verso casa. Casa... C'è un profumo nell'aria, è un buon profumo, il caldo tepore dei fornelli e l'odore di carne bollita e verdure speziate, la fragranza del pane appena tolto dal forno... All'improvviso mi spingono, perdo l'equilibrio, cado. Un dolore lancinante mi trafigge il petto. È incredibile quanto male faccia, brucia da morire, ma mi alzo e non vedo ferite... Solo un gatto. È completamente bianco e ha un ciuffo di peli neri sulla fronte. Mi guarda con occhi strani, come se aspettasse qualcosa da me. Buono, micio, non ce l'ho la pappa... Mi tiro su, sono mezzo indolenzito, mi frego gli occhi e quando li apro il gatto non c'è più, c'è un bambino con la testa rasata di lato e un ciuffo nero che gli cade davanti, sul naso.
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Anche lui mi guarda. «Ti hanno rubato il portafogli» mi dice, mentre mi scruta. Appoggio distrattamente la mano sulla tasca posteriore. È vero. Ma stranamente la cosa non sembra importarmi. Mi importa di quel bambino invece, lo seguo quando lui s'incammina e passa attraverso il buco di una porta mezzo consumata dalla pioggia e dalla polvere. La porta crolla a terra appena la sfioro. Attraverso la soglia polverosa e mi ritrovo davanti quella che mi sembra d'un tratto una scena vista e rivista decine di volte. Mi sono familiari il pentolone che bolle sulla fiamma, il tavolo vecchio al centro della stanza, persino la candela consumata e la vecchia dagli occhi vitrei che la regge dritta avanti a sé. Tiene in mano una pietra rossa, anche questa mi è familiare, non so dove posso averla vista prima ma so che in qualche modo mi appartiene. Tutto intorno diventa una scatola di fuoco. Un fuoco caldo, rilassante, che non brucia. Per un attimo rivedo mia moglie. Affaccendata in cucina, col suo grembiule sgualcito e i capelli legati a coda. Mia figlia. Mio figlio. C'è un odore caldo, intenso, mi avvolge. Sono a casa mia. Finalmente sono a casa. Sento parlare sommessamente, mia moglie ha la
voce stanca, non grida più. I suoi capelli sono in disordine, sembra più vecchia di quando l'ho lasciata, ma è impossibile, sono stato via una giornata... Forse non ha dormito bene stanotte perché ha due rughe sottili agli angoli degli occhi e le labbra più secche, le occhiaie più scavate. Monica è una donna ormai, fino a stamattina non mi ero accorto di quanto fosse cresciuta, aiuta la madre ad apparecchiare senza lamentarsi. Non ha più l'iPod attaccato alla cintura, non sbuffa. Ha l'aria un po' triste ma sembra stia bene... E Marco. Legge un libro, è assorto tra le pagine, alza la testa, sembra che mi stia guardando. Anche se quel ragazzetto dai capelli biondi e ricci è molto più grande di quanto ricordi, è certamente mio figlio. Ha i miei occhi. La bocca carnosa, ben disegnata, come quella di mia moglie. Il suo sguardo si mescola al mio, un istante, poi si immerge di nuovo nella lettura. Ma che sta succedendo? Tre piatti sulla nostra tavola. Non c'è minestrone, stavolta, non so che roba sia ma non importa. Forse io vedevo soltanto quello che non volevo, ignorando completamente quello che di bello accadeva ogni giorno tra le mura di quella casa. Di qualunque piatto si tratti, l'odore è buono. Sto per affondare le dita tra i riccioli morbidi di mio figlio. Ho così tanta voglia di accarezzare quella testa che il
cuore sembra volermi uscire dal petto. L'immagine però cambia. Viene spazzata via, come da un'onda violenta. Sto camminando, solo, per la strada. Ho il volto tirato, un'espressione accigliata, scostante, insoddisfatta. Come sempre. Il fumo dei comignoli, le bancarelle lontane che stanno riponendo la merce, qualche padre allunga il passo perché ha fretta di tornare a casa. Fra poco sarà buio. “Non passare per il porto, c'è un sacco di brutta gente” mi ripete sempre mia moglie. Non l'ascolto mai. Svolto l'angolo. Due ragazzini ne stanno picchiando un terzo. Sono grossi e si accaniscono su di lui che è così piccolo e indifeso... con la testa rasata e il ciuffo nero, sudato, che gli copre la fronte. Mi sono sempre tenuto lontano dai guai e chi mi conosce lo sa, chissà perché adesso mi lascio prendere la mano dall'altruismo. Sono pochi secondi, tutto accade così in fretta, io che dico loro di lasciare il ragazzo, uno degli aggressori che mi consiglia, sprezzante, di farmi gli affari miei, l'altro che si avventa su di me e mi grida di dargli il portafogli. Dannato portafogli... Daglielo, che ti frega! Che se lo prenda e se ne vada all'inferno. Invece no, non mi lascio togliere quello che è mio, che importa se avrò neanche cinquanta euro in questo borsello del cavolo,
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vale la pena di perdere la vita per cinquanta euro, no? E forse non me l'aspettavo che finisse così, magari credevo, nella mia presunzione, che non sarebbe bastata la lama di un coltello nella pancia a fottermi la vita. Ed è quello che succede invece. Io mi accascio a terra, non riesco a respirare, mi sto dissanguando. Così, gli aggressori se la danno a gambe lo stesso, col mio portafogli per giunta. Mentre mi guardo morire lentamente e la faccia si contrae per i dolori atroci, l'immagine si dissolve. La luce rossa scompare e quello nella mano del bambino torna ad essere un gelido, comune ciottolo di strada. Adesso so. Mi viene da piangere. Non riesco a controllarmi, mi lascio cadere in ginocchio. Ho perso tutto, per il mio volere troppo ho perso quello che avevo di importante. E non posso tornare indietro, questo mi distrugge. Mi annienta. Il bambino lascia che io mi sfoghi. All'improvviso mi rendo conto di quello che sono stato, che sarei potuto essere. Non vedrò crescere i miei figli, ho tradito la donna che amavo, ero scorbutico, distratto, concentrato solo su me stesso, sul mio egoismo. Questo ragazzetto che neanche conosco è forse l'unica persona per cui io abbia fatto qualcosa in trentasei anni di vita spesa nella
comodità e nell'indifferenza. «Adesso puoi prendere il mio gatto.» Alzo la testa. La vecchia è davanti a me, è cieca ma credo che veda e abbia visto più cose che io in tutta la mia vita. Stringe tra le braccia un gatto bianco, con due immensi occhi verdi e un ciuffo di peli neri sulla fronte. Mi sollevo da terra e vado loro incontro. Con mani tremanti gli accarezzo il ciuffo. Il gatto resta in silenzio ma mi guarda intensamente. Un magico torpore mi avvolge. Chiudo gli occhi, mi addormento immaginando di essere tra le braccia di mia moglie, di sentire ancora la sua voce, quella dei miei figli... Il mio cuore batte forte quando Nora apre la porta. I suoi occhi cercano qualcuno, poi si abbassano e si spalancano su di me. Tende le braccia e le sue mani affondano nel mio pelo bianco e morbido mentre mi solleva. «E tu?» chiede. Sto tremando, un po' di paura ma anche di eccitazione. Monica e Marco accorrono, la tristezza sui loro volti segnati lascia posto alla sorpresa. Sento le dita di Monica che mi accarezzano il ciuffo di pelo scuro sulla fronte. Mi porta davanti al suo viso e io la lascio fare, strofino il muso gelato sul suo naso reso rosso dal freddo. «Mami, un gattino! È bellissimo!» Monica è pazza di gioia. Miagolo soddisfatto. Voglio essere carino per loro, stregarli, farmi amare. Marco scalpita, anche lui vuole abbracciarmi.
Passo tra le sue manine paffute e mi sento in Paradiso. «Mamma, lo teniamo, vero?» piagnucola Marco. Nora non sa cosa dire. La guardo in attesa di risposta. Quando acconsente mi sento sollevato. Socchiudo gli occhi languidamente, in segno di riconoscenza. Mi danno da mangiare, preparano una cuccia provvisoria per la notte, un cesto e una coperta, ma a me sarebbe bastata una scatola, uno straccio, o niente del tutto. I bambini non vogliono andare a dormire, sono esausto ma gioco con loro finché non crollano stanchi sui loro letti. È stata una gran giornata. Mentre riposo sulle gambe tiepide di Nora, ascolto il suo dolore. Mi parla della sua ultima settimana. «Non posso ancora credere che sia morto» dice. «Ultimamente eravamo distanti, quasi degli sconosciuti. Eravamo innamorati un tempo, ma i figli... i problemi... Tutto è andato a rotoli.» Abbassa la testa e mi guarda. «Sai cosa vuol dire sentirsi prigionieri di qualcosa? Della casa, del lavoro, delle spese... E sapere che chi ti sta vicino è insoddisfatto della vita che fa, vedere che non prova più i sentimenti di un tempo...» Continuo a fissarla. È così triste, ma non so cosa potrei fare. «Poi ad un tratto qualcuno viene a dirti che non lo rivedrai più, che è morto. Ammazzato da due teppisti per pochi euro. Non pensi che sia un'ingiustizia?» «Meow» Non posso dirle nient'altro. Lei sorride. Capisce.
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Sono solo un gatto, cosa posso saperne? «Avessi potuto dirgli un'ultima volta che lo amavo...» Piange mentre mi accarezza la testa. Faccio le fusa e le strofino le orecchie contro il seno. Voglio che senta quanto le sono vicino. E lei mi gratta il collo, dapprima dolcemente, poi più veloce, finché si ferma di colpo. No, non voglio che ti fermi... «Cos'è questo...» bisbiglia, mentre mi scansa il pelo folto attorno al collo. Speravo che la notasse. La guardo condiscendente mentre passa tra le dita la catenina sottile, noto la sua meraviglia mentre si lascia accarezzare dal piccolo ciondolo a forma di chiave. «Non è possibile...» sussurra, mentre mi guarda. Vorrei tanto poterle dire che lo è... E adesso sono Mino, così mi hanno chiamato. Credo di essere il miglior gatto che un umano possa desiderare, non mi allontano mai da casa, gioco con i bambini, mangio, dormo sui loro letti. Non ho preferenze: una notte sul lettone di Nora, un'altra su quello di Monica che diventa sempre più grande e sempre più bella; e sul letto di Marco, che inizia ad andare a scuola, a giocare a calcio, a collezionare calzini spaiati... Sì, sono sempre con loro, li osservo nelle loro cose, ascolto le loro confessioni, le insoddisfazioni e i sogni. Non mi lamento mai. In fondo, l'unica cosa al mondo che desideravo, era di vederli crescere.
S ka n Alker Borof e la benedizione dell'orologio
Quando sentì la nuca pizzicargli come se fosse stata assaltata da uno sciame di calabroni, Alker capì che non sarebbe stato saggio attraversare le porte di quella città; ma Alker si guardava bene dall'essere saggio. Vista da dentro, la città non aveva niente di peculiare: edifici nuovi e antichi, o rattoppati dove le bombe avevano scavato via le facciate, si alternavano in un allegro carosello sulle strade lastricate. Sopra la sua testa sfrecciavano suoi coetanei a cavalcioni di tubi volanti, mentre, a un livello superiore, il traffico di tappetini volanti macchiava di ombre la parte più alta degli edifici. Un ragazzo, a cui la natura aveva dimenticato di dare il naso, puliva i tavoli di un bar all'aperto in vista dell'aperitivo. Le zuccheriere erano allineate su un carrello insieme ai menù e ai posacenere. Seguendo uno strano sentore, si intascò con un movimento lesto un paio di zollette. Seguì la strada fino a un'ampia piazza ovale che ospitava un chiassoso mercato. Nonostante l'ora tarda, le bancarelle erano affollate di acquirenti, curiosi e merce in vendita. Su un lato della piazza una decina di pigmei stava contrattando sul
prezzo di qualcosa, facendo tanto rumore che sarebbero bastati loro a far sembrare animato il mercato. Alker non provò a seguire il discorso: i pigmei avevano l'interessante capacità di ascoltare mentre parlavano, arrivando a tenere fino a tre conversazioni contemporaneamente, roba da far venire il mal di testa ad almeno un paio di dei. La città era, come sempre più spesso accadeva, cosmopolita: oltre ai pigmei vedeva in giro gorgadi, giganti e cinocefali. Tra la folla spiccavano anche un paio di centauri e, da un lato della piazza, un fauno chiedeva qualche moneta. Per andarsi a ubriacare, probabilmente. «Epona!» esclamò coprendo i pochi passi lo separavano da una giumenta legata, insieme a uno stallone nero, a una panchina di ferro. «Ciao piccola. Come stai?» aggiunse, accarezzando la giumenta color cappuccino. «Epona?» chiese un uomo con dei baffi spessi e unti e il cipiglio di chi si aspetta guai. «Ehi, biondino, che intenzioni hai con Meringa?» «Meringa?» Il ragazzo scoppiò a ridere. Prese dalla tasca le zollette di zucchero, porgendole alla giumenta che le mangiò avidamente. «Povera Epona, che nome ti hanno dato?» In tutta risposta questa nitrì. «Vede? Neanche a lei piace Meringa.» «Be', Meringa è Meringa.» Le sopracciglia dell'uomo, già
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congiunte in un'unica arcata, calarono sugli occhi ad offuscarli. «Non so che vuoi ottenere con questo giochetto, ma toglitelo di testa.» «Cosa le fa credere che voglia ottenere qualcosa?» chiese di rimando, incrociando le braccia dietro la testa. «Non fare scherzi con me.» Ormai gli occhi erano scomparsi sotto il cespuglio che aveva in fronte. «Se vuoi la mia Meringa, la devi comprare...» «... E non crede che io abbia abbastanza repie» concluse il ragazzo. «Non ti preoccupare, Epona, non dovrai stare qui a lungo.» Questa rispose con un altro nitrito e uno sbruffo. «Mi raccomando, me la tratti bene» aggiunse, allontanandosi con aria scanzonata. Proseguì lungo il mercato, lasciandosi trasportare dalla folla. Su un lato della strada un giovane nano, barba e capelli rossi, lo fissava insistentemente. Normalmente non ci avrebbe fatto molto caso: tra cani, sensitivi e stregoni di vario genere, erano rare le volte in cui passava inosservato; ma quel nano lo aveva già visto. Come sempre faceva in questi casi, fece spallucce e proseguì per la sua strada. Strada che sfortunatamente incrociava quella di una chiatta per il trasporto urbano. Il pesante mezzo, sovraccarico di passeggeri, scivolava velocemente a pochi centimetri da terra. Travolse il ragazzo senza neanche rallentare.
*** Quando sentì la nuca pizzicargli come se fosse stata assaltata da uno sciame di calabroni, Alker capì che non sarebbe stato saggio attraversare le porte di quella città. Lui, saggio? Suvvia. Attraversò le strade di palazzi vecchi e nuovi e rubò due zollette di zucchero da un bar all'aperto. Nonostante il cielo cominciasse ad assumere i colori del tramonto, il mercato era vivo e rumoroso. Una decina di pigmei riempiva l'aria del loro contrattare e, per un attimo, Alker si chiese su cosa contrattassero. Poi la sua attenzione venne catturata da una giumenta color cappuccino. «Epona! Ciao piccola. Come stai?» Era felice di rivedere Epona. La viziò con le due zollette di zucchero mentre teneva a bada l'uomo con un'arcata sopracciliare che pareva voler inglobare tutto il volto. «Mi raccomando, me la tratti bene» disse, prima di riprendere il suo girovagare. Un giovane nano lo fissò per un lungo istante, con uno sguardo incerto negli occhi neri. «Attento!» urlò, troppo tardi: la chiatta lo travolse. *** Alker fissò il nano rallentando appena il passo. «Attento» mormorò. «Attento!» urlò il nano.
Fece appena in tempo a voltarsi verso la chiatta che stava sopraggiungendo. ***
all'inseguimento. Alker riprese a camminare lungo la strada, liquidando quanto appena accaduto con una scrollata di spalle.
Alker fissò il nano rallentando appena il passo. «Attento» mormorò. Saltò all'indietro rotolando e schivando la chiatta per un soffio, mentre il nano urlava «Attento!». «Cavolo!» commentò, «C'è mancato un soffio.» «Cosa è successo?» chiese il nano, aiutandolo a rialzarsi. «Ho attraversato senza guardare» rispose sorridendo. «Questo l'ho notato.» Il nano si volse verso la chiatta, che proseguiva indisturbata il suo cammino, mentre i pedoni che si trovavano sulla sua traiettoria venivano spostati di lato per essere rimessi al loro posto una volta passata. «Perché stava per travolgerti? Che la magia di distorsione sia difettosa?» «No,» rispose Alker, spazzando la polvere dai pantaloni, «credo di essere difettoso io.» Il nano lo guardo con un cipiglio interrogativo. «La magia tende a non funzionare su di me» spiegò brevemente «Almeno quella che non tenta di farmi fuori.» «Ah... capito» rispose, anche se non aveva l'aria proprio convinta. «Be'... Stai att...» Il nano venne interrotto da un gruppo di uomini che correvano nudi per la strada. «Oh questa poi» commentò il ragazzo mentre il nano partiva
Quando la situazione precipitò, Alker stava cenando con un panino che non sapeva come pagare. Era in un bar, uno di quelli vecchia maniera, con il bancone in legno massiccio e una rozza vetrinetta a mostrare paste più vecchie dei proprietari. Fuori si stava riunendo una folla variegata, anche loro affetti da dejavuite. Il chiacchiericcio arrivava sin dentro al bar, poche idee su cosa stesse succedendo ma tanta determinazione a farsi sentire. Bastarono due colpi di bacchetta magica per trasformare quel chiacchiericcio in urla isteriche. «Epona!» esclamò il ragazzo, lasciando lì il panino e correndo in strada. Invece di disperdersi, la folla iniziò a spintonarsi, cercando di scappare in una qualche direzione senza badare agli altri, fino al punto di ingolfare la strada. Alker spintonò, scartò, imprecò e inciampò finché la folla non fu abbastanza rada da permettergli di correre fino alla piazza. Epona nitriva disperata, le redini saldamente legate alla panchina di ferro. Dietro di lei rotolava una sfera nera dalla quale veniva un fischio sempre più acuto. «Occavolo» fece in tempo a commentare. La sfera esplose, scaraventandolo contro il muro.
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Passarono diversi minuti prima che i suoi occhi si riabituassero al buio della sera. Della piazza erano rimaste macerie deformi di pietre e ferro. Riusciva a riconoscere dei lampioni e panchine in mucchi contorti di ferro, nessun albero aveva resistito e niente di vivo si muoveva. L'unico suono che spezzava il silenzio erano i lenti rintocchi di una campana.
accecante.
***
«Epona!» esclamò il ragazzo, lasciando lì il panino. Saltò, afferrando un altro montante della ringhiera. Portò le gambe al petto e si slanciò verso un lampione. Sfruttando i lampioni e i balconi, riuscì a fare qualche centinaio di passi a tre metri sopra la calca. Saltò a terra e corse verso la piazza. La polizia si proteggeva dietro barriere magiche spesse due *** metri, sparando incantesimi dalle loro bacchette magiche «Attento» mormorò il ragazzo, contro un gruppo che si era e saltò indietro. barricato nella banca. Dardi lu«Cosa è successo?» chiese il minosi e scariche di energia nano, correndo verso di lui. volavano tra i due schiera«Ho attraversato...» iniziò menti, sovraccaricando l'aria. Alker, per proseguire incerto Il corpo del nano giaceva ri«...senza guardare. Questo verso a ridosso di una panchil'ho notato!» Anticipò il nano, na; Epona scalciava cercando lasciandolo basito «La magia di liberarsi. «Quel bastardo!» tende a non funzionare su di esclamò, coprendo a lunghe me.» falcate il pietrisco della piazza. Guardò il nano. «Che strana Afferrò le redini della giusensazione di déjà vu» menta, tirando fino a calmarla commentò questo. abbastanza da poterla scio«Cinque uomini nudi stanno gliere. Le redini non ne voleper arrivare da quella direzio- vano sapere di allentare la ne.» presa sul ferro ruvido. Dovette abbassarsi per schivare un tuPoco dopo stava mangiando bo volante impazzito che lo un panino in un bar vecchio avrebbe preso in pieno altristampo, quando la situazione menti. Perse il suo coltello precipitò. mentre il fischio diventava «Epona!» esclamò il ragazzo, sempre più acuto. «Occavolasciando lì il panino. Sfruttò lo!» un cestino dell'immondizia per La sfera nera era stata saltare su un balcone. Si lanciata contro lo schieraaggrappò a al montante di mento della polizia. Gli agenti ringhiera, che cedette facercarono di scappare, ma cendolo cadere a terra calpe- non riuscirono a fare che stato da centinaia di stivali qualche passo prima che la impazziti. sfera esplodesse in una luce
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*** Prese il suo coltello e si abbassò a schivare un tubo volante impazzito. Tagliò le redini alla giumenta, ma «Occavolo!» esclamò un attimo prima di essere spazzato via insieme a tutta la piazza. *** Stava per entrare in un bar vecchio stampo a scroccare qualcosa da spacciare per cena, quando seppe che la situazione stava per precipitare. «Epona!» esclamò, tornando indietro di corsa. Si infilò nella folla che si stava interrogando su quelle strane sensazioni di déjà vu e aveva quasi raggiunto il mercato quando qualcuno sparò dei dardi di luce. Si fece largo tra uomini e donne di tutte le razze che correvano urlando. Afferrò il nano per il colletto e lo tirò su prima che venisse calpestato. «Grazie» sbuffò questo, «ma me la sarei cavata.» «Lo so» rispose Alker, continuando a farsi strada tra la folla. Estrasse il coltello prima ancora di raggiungere Epona. Tirò le redini e le tagliò in un solo gesto, poi si volse verso il combattimento magico, come aspettandosi la sfera scura che ruzzolò dietro le barriere della polizia. «Occavolo.» ***
«Ciao Epona, come stai?» chiese, accarezzando la giumenta. «No, non ho niente in mente con la tua Meringa» aggiunse rivolgendosi al venditore che si stava avvicinando. «Nessun giochetto,» Le diede le zollette di zucchero «so di non avere i soldi per comprarla.» L'uomo era talmente stordito che non si accorse che Alker intaccò le cinghie col coltello «E, per la cronaca, Meringa non le piace.» L'uomo balbettò qualcosa, ma Alker salutò prima che potesse riacquistare il dono della parola. «Inutile che le chieda di trattarla bene.»
Il nano si guardò intorno. «Ne sei sicuro?» «Sì. Non chiedermi perché ma so cosa accadrà.» «Quante dita nascondo dietro la schiena?» «E io che ne so? Di solito, a questo punto tu sei a inseguire gli uomini nudi... e ringraziami che ti sto risparmiando almeno una decina di facili battute.» «Be',» Il nano afferrò un braccio del ragazzo. «Vediamo di cambiare il “di solito”.»
Quando la situazione precipitò, Alker voleva un posto in prima linea. Lui e il nano stavano parlando seduti su una panchina davanti alla banca. «Attento» disse, fermandosi e Ogni tanto il ragazzo lanciava fissando il nano. La chiatta gli un'occhiata verso Epona, prepassò a un centimetro dal na- occupato per quello che le so. «Cos'è successo» prose- accadrà. «Non si vede niente di insolito. guì. Sei sicuro?» borbottò il nano. «Ho attraversato senza guardare» rispose per lui il na- «Quanto potrei essere sicuro no «Non è la magia difettosa, di un déjà vu.» «Non puoi essere più...» ma sei tu.» «Che ti prende?» «Che diavolo sta succe«Niente.» Il nano scosse la tedendo?» «Gli dei mi fulminino se ne so sta. «Una strana sensazione.» qualcosa» commentò il nano. «Come un déjà vu fuori posto? La sto vivendo da quando mi «Cinque uomini nudi...» «Arrivano correndo da destra» hai portato qui.» Fece un cenno affermativo con completò Alker. la testa. «Non lo sappiamo...» I cinque uomini passarono. mormorò, come a ripercorrere «Si sta ripetendo.» un dialogo. «Ci è venuta voglia «Qualcuno ha riavvolto il di farlo...» tempo» constatò il ragazzo. «Sono gli uomini nudi?» si «Non è possibile!» sbottò il intromise Alker. nano. «È una magia proibita «Sì. Alla fine concludo che sodagli dei!» no impazziti...» «Eppure è quello che sta succedendo. In quella banca «... ma ora non ne sei più sicuro.» inizierà uno scontro con la «Alcuni sono più sensibili di polizia.»
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altri agli effetti delle magie,» soppesò il nano, «non mi meraviglierebbe scoprire che si comportano così in risposta a quello che sta succedendo. Ma non hai detto che siamo fuori dal tuo “solito”?» «È che sei prevedibile.» «E poi... Arriva una chiamata dalla centrale.» Non fece in tempo a finire la frase che l'allarme della banca scattò. Non fu particolarmente scenico: tutta la struttura venne avvolta da una tenue luminescenza, appena visibile nelle luci della sera, e delle ben più materiali sbarre di ferro caddero sulle porte e le vetrate. Poi un incantesimo di distruzione fece esplodere una vetrina, sparando vetri spessi contro i due. Alker, ferito al petto, si nascose sotto la panchina. I passanti presero a scappare urlando. Epona diede una strattonata alle redini spezzandole e corse verso una delle strade travolgendo chi si trovava nella sua traiettoria. Altri due incantesimi tentarono di forzare le sbarre. L'altro cavallo riuscì a liberarsi e seguì la giumenta. Arrivarono i primi agenti e innalzarono subito una barriera magica. Il ragazzo faceva fatica a restare cosciente. Intorno a lui venivano lanciati fulmini e dardi ai quali la polizia rispondeva con sonno e paralisi. «È instabile!» urlò qualcuno da dentro la banca. «Fuori fuori!» rispose qualcun altro. Da uno squarcio tra le sbarre, abbastanza grande da far
passare un bambino, venne lanciata una sfera nera che emetteva un sottile sibilo. La sfera ruzzolò per i pochi scalini, gli agenti, riconoscendola, iniziarono a scappare. Il fischio diventava sempre più acuto, mentre la sfera rotolava fino a fermarsi addosso al ragazzo. «Occavolo.» *** «E poi... Arriva una chiamata dalla centrale.» Come il nano pronunciò queste parole, Alker si nascose dietro la panchina. Il vetro esplose, ferendolo, ma furono ferite lievi. «Tra un po' arriverà una bomba alchemica!» urlò verso il nano, che però giaceva a terra riverso. *** «E poi arriva una...» Alker afferrò il nano e si riparò con lui dietro un albero. La vetrina esplose, ma non li ferì. «Ci sarà uno scontro, i banditi faranno rotolare una bomba alchemica dalla banca.» Esattamente come da copione, la bomba ruzzolò fino alla barriera della polizia. *** Cinque uomini nudi passarono davanti agli sguardi stupiti dei due. «Si sta ripetendo» commentò il nano. «Qualcuno ha riavvolto il tempo.» «Non è possibile» sbottò il nano. «È una magia proibita dagli dei!»
«Eppure è quello che sta succedendo. Tra un po' in quella banca inizierà uno scontro con la polizia e tu nascondi tre dita dietro la schiena.» Il nano si guardò stupito la mano. «Diciamo che ti credo...» iniziò il nano, incerto su cosa dire. «Non siamo mai riusciti a vederli entrare. Vengono chiusi dentro e inizieranno a sparare fulmini e dardi di luce. Poi...» il ragazzo aggrottò le sopracciglia «una bomba alchemica distrugge la piazza.» Il nano estrasse dalla tasca un cristallo di comunicazione «Agente uno-uno-nove-zero. R Probabile codice a-dodici. R Sì, codice a-dodici, confermo. Codice tre-otto-cinque sulla banca centrale. R Confermo codice tre-otto-cinque. R Chiudo.» Rimise in tasca il cristallo «Vieni in centrale. Mi devi dire tutto quello che sai.» Alker era un po' allergico alle centrali di polizia. «Non possiamo farlo qui?» «No, devi parlare con i nostri agenti di grado superiore.» «Se non continuo a fare le stesse azioni ad ogni ciclo, mi dimentico dei passaggi importanti.» Il nano scosse la testa. «E cosa faremmo adesso?» «Ci dirigiamo verso la banca – ma non è una buona idea – e ci mettiamo a parlare di cosa sta accadendo.» «E cosa ricordi?» «Stavamo andando per esclusione. Chi potrebbe lanciare un incantesimo proibito?» «Escluderei che si tratti di un
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incantesimo. È una magia proibita, significa che se qualcuno conia un incantesimo...» «... scende in terra il dio che l'ha proibita e gli fa rimpiangere di essere nato. Si può fare in modo di nascondere la cosa a un dio?» «A un dio minore, probabilmente sì. In questo caso si tratta del dio della morte. Stessa storia per la magia innata: un dio non può concedere quello che un altro dio proibisce. Sarebbe guerra. Escluderei...» «... anche l'alchimia.» «Smettila di completarmi le frasi!» «Mi aiuta a ricordare. Dicevi, dell'alchimia?» «L'alchimia ha a che fare con la materia. Il tempo non fa parte della sua area di azione.» «Pietra filosofale?» «La tiene in custodia qualche dio.» «Quindi chi resta?» «Maghi e stregoni» sospirò il nano «Non ne sono molti, ma non ce la facciamo a controllarli tutti in... quanto abbiamo?» «Due ore. Il resto della polizia?» «Si stanno radunando intorno alla banca. Forse i ladri desisteranno e...» «Esplode sempre.» Il nano sospirò. «Allora... Il prossimo passo da fare è verificare uno a uno tutti gli stregoni. Chiamo il dipartimento.» Alker aveva la sensazione che mancasse una parte della conversazione. Si guardò intorno e l'occhio gli cadde sulla chiatta che lo aveva quasi travolto poco prima. «Quelle come funzionano?»
«Magia di distorsione temporale.» Sì: era quella la parte mancante. «Le magie temporali sono proibite dagli dei.» «Vero, ma Kea, il dio del tempo, ci ha concesso alcune magie. Per questo in ogni città c'è un oggetto consacrato dal dio.» «...di solito è un orologio.» Alker fece cenno affermativo con la testa. «Bene, ora chiamerai la centrale e gli chiederai la lista di maghi e stregoni divisi per specializzazione.» Il nano riprese la pietra e fece la chiamata. «Riusciamo a controllare i primi tre, prima che suoni l'allarme.» «Quindi partiamo dal quarto.»
di scassinatori si è introdotta in banca. Anche se chiami la centrale, loro sono già dentro. Hanno una bomba alchemica instabile.» «Bomba alchemica?» fece eco il nano. «Non siamo mai riusciti a fermarla. Appena inizia la sparatoria la bomba si innesca. E poi...» «Cosa?» insistette il nano. «Non lo so... abbiamo cambiato troppe volte gli eventi. La bomba esplode sempre ma...» Il ragazzo si bloccò. «Cosa c'è? Cosa ricordi?» «Niente, però...» Indicò verso la torre dell'orologio. «È quello l'orologio consacrato da Kea?» «Sì, per...?» Anche il nano si *** volse e la domanda gli morì sulle labbra. «Il nove...» «Diciamo che ti credo...» iniziò il «È diventato un sei.» Alker nano, incerto su cosa dire. guardò verso il nano. «Non è «Tu chiami la polizia, la banca possibile che sia questo.» viene piantonata. Nessuno «Oh, sì che lo è. È un oggetto entra. Probabilmente sono già consacrato dal dio del tempo. dentro. Poi...» il ragazzo Non è l'orologio ad adeguarsi al aggrottò le sopracciglia «una tempo...» bomba alchemica distrugge la «È il tempo ad adeguarsi all'oropiazza.» logio» concluse. «Basterà rimettere il nove a posto.» *** «E la bomba?» «Chi se ne frega di quella fottu«Non è possibile. È una magia tissima bomba?» scoppiò Alker proibita dagli dei!» «Voglio chiudere questa male«È possibile» rispose convinto. detta giornata!» «Tu nascondi tre dita dietro la «Moriranno delle persone. Non ti schiena e io rischio di impazzire importa niente?» se non fermiamo questo «No!» dannato ciclo.» Il nano gli diede un pugno nello «Va bene, piccolo. Dimmi tutto stomaco così potente da farlo quello che sai.» piegare in due. «Dobbiamo Non gli piaceva essere chiamato fermare quella bomba!» piccolo, certamente non da un nano, ma sorvolò. «Una banda * * *
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«Quante volte...» «...abbiamo già fatto questa conversazione?» terminò per lui il ragazzo. «Troppe.» Scosse la testa. «Non riusciremo a impedire alla bomba di esplodere. Abbiamo cambiato troppe volte gli eventi e ho troppe sensazioni di déjà vu...» Il ragazzo si bloccò. Il nano alzò lo sguardo. «L'orologio...» mormorò. «È... A posto...» «Ho avuto la sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato.» Il nano si grattò la testa. «C'era. Il nove era rovesciato e sembrava un sei.» Guardò verso l'agente. «Ne sono sicuro!» «Anche io» rispose questo con una luce allarmata negli occhi neri. «Qualcuno ha riparato il tempo!» «E la bomba...» «Dimmi che abbiamo trovato il modo di fermarla!» Alker scosse la testa e il nano corse verso la banca prendendo in mano il cristallo di comunicazione e urlando alla centrale. Alker guardò verso la torre. Aveva solo pochi minuti, non avrebbe fatto in tempo a salire fino all'orologio e rompere di nuovo il nove. Né aveva intenzione di farlo: stava per chiudere quella maledetta giornata. L'allarme della banca scattò e lui si nascose dietro un albero. Ci fu l'esplosione, ma la polizia aveva già fatto allontanare tutti dalla banca. I fulmini e gli incantesimi illuminarono la piazza, mentre la folla scappava. Vide Epona liberarsi e fuggire, gli uomini scansarsi per non essere travolti dalla sua corsa
impazzita. Corse verso il recinto dove l'altro cavallo si era appena liberato. Un tubo magico volava senza controllo verso di lui. Saltò prendendolo per una maniglia e lo domò schivando un lampione per un soffio. Con l'adrenalina che gli pompava nelle orecchie, fece una stretta virata e si diresse verso la barricata della polizia. La bomba alchemica ruzzolò per gli scalini della banca. La prese prima che toccasse il marciapiede. Incastrò la bomba nella parte anteriore del tubo e lo puntò verso l'alto. Il sibilo diventava sempre più forte. Lasciò il tubo volante al suo destino e si voltò a mezz'aria controllando la caduta con le braccia. Colpì il selciato. Cercò di attutire il colpo rotolando sulla schiena e scivolò sotto una panchina. Il fischio aumentò d'intensità mentre il tubo si sollevava sopra la piazza. L'esplosione illuminò tutta la città, dagli edifici più alti caddero frammenti e calcinacci, diversi allarmi scattarono, un solitario tappeto volante volò senza controllo per qualche secondo e molti uccelli caddero.
mettendosi a sedere e tenendosi la testa, aspettando che smettesse di girare. Un centauro guaritore si inginocchiò vicino a lui, iniziando a controllare le ferite. «Hai una gamba rotta.» «Sei veramente duro... Quel volo...» «Sembra peggio visto dall'alto, te lo assicuro» rispose, mentre il centauro iniziava un incantesimo di cura. «Hai ancora voglia di scherzare.» Alker fece un cenno affermativo. «Sai qual è la cosa strana?» chiese il nano. «Non ricordo di averti mai chiesto il tuo nome.» «Al... an. Alan Broke.» «Agente Shim Stonehead» rispose, stringendogli la mano. Gesto che strappò al ragazzo una smorfia di dolore.
Aveva promesso a Shim che sarebbe andato al tempo di Geianira per farsi curare, ma, come si fu allontanato, si diresse zoppicando fuori dalla città. L'agente non ci avrebbe messo troppo ad associarlo alla sua fedina penale e non voleva metterlo in imbarazzo. Epona si era calmata e brucava l'erba che cresceva «Ragazzo... Ragazzo... Sei visulla scarpata del canale. «Ciao vo?» Alker riusciva appena a mettere piccola» disse con voce stanca. a fuoco il testone rosso che ave- Lei nitrì e gli spinse la testa sul fianco, a cercare altro zucchero. va davanti. «Gh...» «Scusami, non ne ho più. Andia«Sei stato grande! Perché non mi hai detto di questa tua azione mo» aggiunse. «Te ne troverò molto altro.» Le salì in groppa, eroica?» «Ho improvvisato.» Alker si girò senza sella come era abituato. Prese le redini e guardò verso la sulla schiena. città. «Cambiano troppo veloce«Non muoverti.» Alker lo ignorò. «Sono più duro mente» mormorò. di quello che sembra» rispose,
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S ka n Congiura stigia
Una piccola premessa: come ho già avuto modo di accennare, sono stato attratto dall'idea di uno Skannatoio avente come tema ideale quello di un attacco al vertice e, avendo anche il mio racconto come tema un colpo di stato, ho pensato di dare ai personaggi nomi ispirati agli avatar o ai nick degli altri concorrenti. Ci tengo a precisare: è SOLO UNA COSA GOLIARDICA quindi il fatto che questo personaggio sia di categoria superiore all'altro o che questo sia più figo dell'altro, non ha niente a che vedere con le mie opinioni nei confronti di tutti voi. Spero che vi piaccia e mi scuso in anticipo se qualcosa potrà suonarvi offensivo (anche perché ho la leggera impressione che sia abbastanza malato per i miei canoni. . . devo smettere di giocare a Diablo 3 :) Altra premessa, un piccolo elenco di nomi, con tanti ringraziamenti per chi mi ha dato il suo consenso (non credo che ci siate tutti. . . perdonatemi, ma lo spazio era quello che era) Sciabola Nera= Smilodon Pretoriano= me medesimo stesso Ky-reiu= Reiuky Vergogna= Shanda Captivus= Cattivotenente Davigor= David G. Mikas= Miksi Crassus= Cra Which= Willow Màlia= Ilma Crudele Marchese Trikaranos= CMT Pythagras= Tetraktis Magister Tenebrarum= Master Runta
Mi sporgo dall’orlo del precipizio e guardo verso le distese che sprofondano nelle ombre, violando ogni legge fisica concepita dall’Uomo. L’aria immonda freme per il male e per il dolore che la percorrono: qui è il regno del peccato, la parodia più blasfema dell’ordine stabilito dall’Alto Fattore. Sorrido e respiro a pieni polmoni: mai come adesso, posso sentirmi a casa. - Quale mortale cerca l’Inferno prima che sia giunta la sua ora? La voce che sento alle mie spalle non giunge inattesa. Ancor prima di voltarmi, so già chi mi sta parlando. - Sciabola Nera, Custode della Soglia. – dico, allontanandomi con calma dal precipizio. – Di te la Bibbia Nera di Astaroth dice “E il suo ruggito raggela l’universo, orrore per gli angeli, severo monito per i dannati. ”
- Se la tua conoscenza è così profonda, dovresti anche sapere che nessuno è mai riuscito a eludere la mia sorveglianza, mortale o immortale che fosse. Non ho idea di come tu sia riuscito a raggiungere anzitempo la Soglia, ma non sperare di poterla oltrepassare ancora. Il suo corpo da felino si accuccia, pronto allo scatto. Le zanne nere da cui prende il nome emergono dal cranio
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e dalla mandibola, più lunghe e taglienti di qualunque lama mai fabbricata da mano d’uomo. Gli occhi scintillano di rabbia, mentre la coda frusta la terra con schiocchi secchi. Squarcia l’aria con un ruggito, poi attacca. Contro i suoi artigli, che pure hanno contrastato le spade degli angeli, mi basta distendere la mano e pronunciare sottovoce qualche parola. Il felino diabolico urla di nuovo, stavolta per il dolore, poi cade. - L’Uomo è nato dalla polvere e dalla volontà di Dio. Voi demoni non siete altro che la corruzione di questa volontà, una materia impossibile da lacerare con armi mortali, ma che può essere manipolata da chi possegga le giuste conoscenze. Sciabola Nera si dibatte a terra, poi si rialza. I suoi occhi irradiano collera. Distendo di nuovo la mano e il mio avversario crolla nella polvere: per evitare ulteriori interruzioni, faccio sì che i legamenti delle sue zampe e del suo collo si spezzino. Quando lo vedo immobilizzato, estraggo dalla tunica il coltello sacrificale. - Chi… chi sei tu? – rantola la bestia, specchiandosi nella lama del coltello - Il mio nome è Verkistos Faris, Negromante delle Ossa, e come Erittò e Ismeno prima
di me, diventerò il terrore degli Abissi Infernali. La lama sacrificale cala nel ventre della bestia e ne squarcia le carni fino a raggiungere il suo cuore diabolico. Non mi trattengo: quando vedo gli incantesimi scritti sull’arma pulsare in modo incontrollato, affondo le mani nella ferita e stringo con forza il cuore di Sciabola Nera. Il Peccato e l’Odio pulsano nell’organo e mi tentano come fossero nettare d’ambrosia. A fatica contengo l’impulso di nutrirmene e vi incido sopra le parole di un incantesimo. Sciabola Nera urla come mai aveva fatto prima, poi le sue ossa cominciano a scricchiolare e le sue membra si fondono e si distorcono in un ammasso confuso. Non è facile manipolare un grumo di oscurità dotato di tale coscienza, ma l’Inferno infonde nuovo vigore nella mia magia ed estende i miei limiti ben oltre le possibilità che possedevo nel mondo mortale. Poi, finalmente, ciò che era stato Sciabola Nera rinasce a nuova forma, come un titano di ossa di aspetto terrificante. - Il tuo nome sarà Pretoriano: di te la Bibbia Nera che io stesso scriverò dirà “Il
primo dei suoi Araldi, annunziò all’Inferno intero l’arrivo del suo nuovo dominatore. In lui il Male conobbe una nuova strada della sua evoluzione.” – Pretoriano apre la mandibola e lancia il suo promo vagito, un urlo diabolico che fa tremare le stesse pareti del Vestibolo dell’Abisso. - Ora và, raggiungi le dimore dei Vassalli Diabolici e porta loro il mio messaggio. Che nella guerra che sta per cominciare facciano presto la loro scelta di campo. Il mio campione spalanca le ali scheletriche e si libra nell’aria senza stelle. *** Attorno a me solo desolazione e larve di esseri viventi di ogni genere. Questa non è che una frazione infima dell’Inferno, eppure il numero di dannati che vedo è più che sufficiente per lasciarmi senza fiato. Nonostante tutto, anche una simile visione ha il suo fascino, non fosse altro per le infinite possibilità che scorgo dietro queste pallide parvenze. Mi allontano dal sentiero che sto seguendo e mi avvicino a uno di questi disgraziati. Senza lasciarmi distrarre dal pulsare del suo peccato, allungo la mano e
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mi concentro su di lui. La mia mentre rompe il primo velo di illusione e viene trascinata nel suo tormento. Fango… fame… paura… tre bocche che mordono e artigli che lacerano la carne. Cerbero è in caccia. - La gola è il suo peccato… - sussurro - In vita, questo disgraziato si è lasciato guidare dalle voglie del ventre. Scuoto il capo, poi intensifico la mia percezione e infrango anche il secondo velo di illusione. Vado oltre le sensazioni della sua mente e mi lascio alle spalle i suoi tormenti: in questo modo, riesco a scorgere la vera fonte dei suoi mali, il vincolo che incarcera la sua anima. - Per i demoni, i dannati sono come campi da seminare e da cui ricavare il raccolto. – dico, scostandomi dalla larva. – Gli Aguzzini Infernali imprigionano le loro anime con tormenti di illusione, in modo da porli sempre a contatto con le colpe che li hanno condannati in vita. Imprigionati senza via di scampo, i dannati divengono così fonte continua di peccato e di emozioni negative, che gli Aguzzini mietono e consegnano ai loro padroni. Un lavoro quanto mai ingrato e anche
poco retribuito… o mi sbaglio? Il fremito nelle anime che mi circondano mi avvisa dell’attacco con largo anticipo: quando le catene di tormento fendono l’aria nel punto dove mi trovavo, ho già fatto in tempo a mettermi al sicuro. - Cosa ne sai tu, del potere di un Aguzzino? Come puoi parlare di tormenti e di illusioni, se non le hai mai provate sulla tua carne? È un altro avversario a parlare: la sua sferza prova a colpirmi da un’angolazione diversa, in modo da chiudermi in trappola con la catena del primo attaccante. Non ho bisogno nemmeno di muovermi: lo scudo osseo del Pretoriano si erge davanti a me come una torre e mi protegge senza difficoltà. - Forse stiamo affrontando la questione dal punto di vista sbagliato, amici miei. E poi, non vi sembra scortese parlare con qualcuno senza nemmeno farvi vedere? La mia mente segue i vincoli di illusione che legano i dannati, fino a rintracciarne le fonti originali: fatto ciò, pronuncio la formula da me ideata e strappo il velo che protegge i miei attaccanti e obbligandoli a comparire davanti a me.
Sono in due, apparentemente un maschio e una femmina. L’aspetto potrebbe ricordare quello dei folletti o dei goblin della tradizione, ma gli occhi fiammeggianti d’odio e le code ritorte li qualificano sicuramente come demoni. Sono degli Aguzzini Infernali, anche le loro dimensioni e la forza dei loro attacchi mi fanno supporre che siano di uno stadio più alto tra questi diavoli di bassa gerarchia, forse addirittura dei comandanti. Prima che possano provare a colpirmi di nuovo, manipolo la materia del Pretoriano in modo che dal suo corpo si distacchino delle gabbie di ossa e li catturo. - Molto bene: ora che siamo tutti più tranquilli, penso che possiate anche dirmi i vostri nomi. I due demoni si osservano attraverso le sbarre, poi accettano di parlare. - Il mio nome è Vergogna, Sferza dei Dannati. - Il mio è Ky-reiu, Incatenatore del Rimorso. - E non sei stanco di tutto questo, Incatenatore del Rimorso? Non sei stanco di essere considerato quasi alla stregua di una delle tue vittime?- gli dico, avvicinandomi alla gabbia ed estraendo il pugnale – Assaggia per la prima volta il
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vero frutto delle tue fatiche. Prendi parte anche tu al banchetto del peccato. Il pugnale gli lacera il torace e si pianta nel suo cuore nero, consentendomi di vedere i vincoli che legano Ky-reiu alle sue vittime e agli Aguzzini alle sue dipendenze. È tramite questi legami che il peccato prodotto dai dannati viene indirizzato verso le gerarchie infernali superiori e verso i Vassalli Diabolici. Intervengo su di esse, impiegando ogni stilla del mio potere per spezzare i canali e convogliare verso di me la negatività che essi trasportano. Un istante prima di riuscirci, prendo per la prima volta consapevolezza di non poter tornare più indietro, poiché simile gesto verrà considerato dal Signore dell’Inferno un affronto ben più grave della distruzione di Sciabola Nera. Poi, il dolore e il peccato di migliaia di dannati mi invadono, donandomi un potere mai conosciuto prima. Ogni dubbio, scompare come neve al sole. Con l’abilità concessami da questa nuova magia, manipolo con facilità il cuore nero di Ky-Reiu e amplio la quantità di peccato che egli può ricevere dai tormenti inflitti. Nonostante non sia
che una quota infinitesimale, è pur sempre cento volte di più di quanto abbia conosciuto fino a ora. E si vede: lo strillo acuto con cui fino a ora mi aveva disturbato diviene il ruggito di un guerriero bestiale. I muscoli si gonfiano sotto la pelle e le catene che sporgono dai polsi diventano tentacoli d’acciaio, irti di uncini affilati. Un mostro di zanne e metallo sorge dalla gabbia d’ossa del Pretoriano, un troll infernale quale mai se ne erano visti. - Ora sei forte come un diavolo delle gerarchie intermedie. – dico, scomponendo le sbarre che lo imprigionano. – Se solo lo volessi, potresti lottare alla pari anche con un demone legionario. Ky- reiu osserva le sue nuove sembianze, incredulo di ciò che è diventato. Forse teme che si tratti di un inganno. Poi, prima che possa impedirglielo, testa il colpo della sua nuova catena sulla gabbia che imprigiona Vergogna, mandandola in frantumi. Devo ammettere che non me l’aspettavo: almeno mi ha dimostrato che devo rafforzare il Pretoriano se voglio che resti una efficiente guardia del corpo. - Non avevo mai provato
una simile sensazione… è come essere generati una seconda volta…- Il suo sguardo grondante di avidità si posa su di me. – Ne voglio ancora: ora che comprendo cosa sia il vero potere, non ho più intenzione di restare una semplice pedina. Sfodero il mio migliore sorriso e avvicino a lui, appoggiandogli le mani sulle spalle. - Seguimi, e ti farò mietitore di peccati, il più importante di tutti i miei servi.- Mi volto verso Vergona, che ci osserva con stupore, ancora confusa dal cambiamento avvenuto nel suo compagno – E la stessa cosa dicasi per te, Vergogna. Passa al mio servizio e lo schiocco della tua sferza risuonerà in ogni angolo di questo mondo oscuro. Il suo sguardo passa ripetutamente da me a Ky-reiu, come se opposti impulsi la stessero guidando. Gli occhi dei due si incrociano: anche se dura poco più di un istante, posso leggervi una lunga storia di competizione, invidia e distorta attrazione. - Lo voglio: voglio qualunque cosa tu abbia donato a lui. Anche di più se è possibile - Vergogna sorride, mostrando i denti aguzzi come quelli di una belva
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–Non accetterò mai che la mia sferza sia da meno della sua catena. - Avrai ciò che chiedi, Vergogna, anche se temo che dovrai aspettare. I due Aguzzini mi guardano senza comprendere, poi seguono con lo sguardo la direzione indicata dalla mia mano: su un rilievo poco distante è appena comparsa una fitta schiera di demoni, che si sta avvicinando rapidamente a noi. Il modo marziale con cui si muovono li identifica chiaramente come Legionari Hellshmallim, l’elite delle armate dei Vassalli Diabolici. Ciò che mi stupisce è il vessillo che vedo portare ai loro alfieri, lo stemma del Cinghiale di Erimanto che divora un angelo. Sapevo che avrei dovuto incontrarlo prima o poi, ma non mi aspettavo che sarebbe successo così presto. Il Pretoriano si mette istintivamente in guardia, ma faccio segno a lui e ai miei nuovi seguaci di non muoversi. Attendo che la schiera sia a poche centinaia di passi da noi, poi mi faccio avanti gli vado incontro. Il muro di scudi dei legionari si apre e apre il passaggio a un gigantesco guerriero a cavallo. È coperto da capo a piedi da un’armatura nera di
forme massicce, decorata con incisioni in lingua diabolica che celebrano le imprese perverse dell’Anticherubino Captivus, Tenente della Coorte dell’Ira. Unica nota di colore nel suo aspetto tenebroso è il cimiero che decora l’elmo, splendente di bellissime piume bianche. Se anche la metà delle cose che si dicono su questo demone sono vere, non mi è difficile supporre che si tratti di trofei strappati alle Potenze angeliche sconfitte in battaglia. - Ti sto guardando, mortale, eppure ancora non riesco a credere in ciò che vedo. – mi dice Captivus, arrestando il cavallo. – Dicono che hai ucciso Sciabola Nera e questo fa di te un avversario temibile. Ma quando mi hanno detti che avevi convocato tutti i Vassalli Diabolici all’Etemenaki mi è venuto da ridere. Ignori forse che si tratta della fortezza del mio signore Davigor? - No, ne sono perfettamente consapevole. – dico, alzando le spalle. – Ma non passerà molto tempo prima che essa diventi la mia residenza. Il demone ride. - Non so se c’è più coraggio o più follia nelle tue parole. In entrambi i casi,
sono più che adatte a qualcuno che vuole strappare i suoi domini al Marchese della Superbia. - Questo sarà solo il primo passo della mia marcia. Un cammino che non può conoscere deviazioni o ripensamenti e per il quale sono disposto a schiacciare qualunque ostacolo si pari davanti a me. –Indico lui e la sua schiera. – E voi? Volete provare a fermarmi? Per tutta risposta, Captivus sguaina la sua spada e me la punta contro. - Per quale ragione credi che sia qui, altrimenti? Davigor freme di rabbia e mi ha ordinato di portargli la tua testa. - E se ti facessi un’offerta migliore? L’Anticherubino non risponde: il tradimento è intrinseco nella natura dei diavoli, il cui unico imperativo è quello di ottenere il massimo profitto personale. La vera difficoltà sta nel carezzate il giusto desiderio del demonio in questione. Osservo il monolito nero che si erge davanti a me e provo a intuire cosa si nasconde dietro quella maschera di metallo, poi sfioro la sua lama. - Ho letto molto su di te nella Bibbia Nera di Astaroth, di come la Coorte dell’Ira abbia sconfitto le
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schiere angeliche in più di una battaglia nei tempi antichi. Nella piana di Irminsul, quando il tentativo di Lucifero di dare la scalata a tutti i piani di esistenza si è infranto, è stata la tua carica a salvare dall’annientamento ciò che restava dell’esercito demoniaco. Mi muovo attorno al mio interlocutore: la sua spada mi segue ancora per qualche istante, poi l’Anticherubino rinuncia a minacciarmi. È evidente che sta trovando interessante ciò che dico. - Cosa ne è oggi di tutta quella grandezza? Davanti a me non vedo un comandante di legioni, ma un mastino da guerra, malamente impiegato per sorvegliare i possedimenti del suo padrone. Certo, di tanto in tanto il tuo signore decide che è ora di solleticare il suo ego o di vendicare qualche vecchio torto e ti ordina di fare razzia di anime nei territori soggetti a qualche altro Vassallo Diabolico, ma si tratta da un lavoro sporco, più adatto a un predone che un guerriero come te. Non ti da noia tutto questo? L’armatura comincia a fremere in modo sempre più vistoso e nell’elmo vedo sfavillare due globi infuo-
cati dalla collera. -Davigor mi odia, perché a suo tempo Lucifero aveva minacciato di togliergli la signoria sulla Superbia e di donarla a me, come punizione per la sua pessima condotta in battaglia. – ringhia, come se a fatica riuscisse a frenare la rabbia che lo agita. – Se Magister Tenebrarum non avesse strappato il Trono del Caduto a Satana, oggi sarei io a dominare dalle sale dell’Etemenaki e gli eserciti dell’Inferno starebbero già dando la scalata ai gradini di marmo del Paradiso. - Su questo si può sempre lavorare. Dico: sono tornato esattamente dove mi trovavo prima. Sotto lo sguardo stupefatto del mio interlocutore, avvicino la gola alla sua spada. - Ti basterebbe colpire adesso e la tua missione potrebbe considerarsi conclusa. Il tuo padrone potrebbe appendere la mia testa da qualche parte per celebrare la sua gloria e tu saresti ricompensato andando a fare l’ennesima razzia di anime. – Sorrido e avvicino ancora di più il collo alla spada. –Ma se fossi io a godere del tuo servizio, saresti il primo dei miei comandanti di legione e il tuo nome tornerebbe a essere temuto dagli angeli e dai mortali. Vedo una scintilla strana nella fiamma dei suoi occhi. I demoni non provano speranza, ma la brama cupida che vedo
maturare in lui le assomiglia tantissimo. - In definitiva, quale sarebbe la tua proposta? Mi chiede, smanioso. Alzo il capo e incrocio i nostri sguardi. - Ti offro la cosa che più brami, Captivus, l’unica cosa che possa interessare al Tenente dell’Ira: la guerra. Donami la tua furia e io, in cambio, ti ripagherò con l’orrore del campo di battaglia e con il massacro. Seguimi e sarai conduttore di Legioni, primo a marciare in un conflitto che arriverà tanto in profondità nell’Abisso da scuotere i regni mortali e immortali che su di esso si appoggiano… Captivus arretra impercettibilmente, come se la mia promessa fosse troppo alta per le sue ambizioni. È stupore, non indecisione: nello stesso istante in cui ode la mia proposta, la sua perversa inclinazione lo spinge verso di me. - Dai tempi della distruzione di Lucifero, nessuno ha mai avuto il coraggio di parlare in questo modo. – dice, abbassando la spada – Dopo millenni di equilibrio e di sterile guerriglia, finalmente qualcuno torna a guardare verso l’alto e a rivolgere le proprie brame non più a qualche esigua porzione dell’Inferno, ma ai Cieli da cui siamo stati scacciati. L’Anticherubino scende lentamente da cavallo e mi fronteggia: anche appiedato,
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la sua ombra mi sovrasta come quella di un gigante. - Non ti giurerò fedeltà e non ti chiamerò “signore”: la mia e la tua strada saranno legate fino a quando la mia furia potrà essere guidata dai tuoi vessilli. - È l’unica cosa che ti chiederò. - Benissimo. – dice, piantando la punta della spada nel terreno. – Allora ti offro i servigi della Coorte dell’Ira. *** La prima ad arrivare è Mikas, Rettile del Terrore e Contessa dei Pozzi Neri dell’Inferno. L’ombra delle sue ali copre l’orizzonte e il bagliore delle sue scaglie d’ametista proietta una atmosfera sinistra su tutta l’Etemenaki. Per un istante, queste luci rivelano la presenza degli sciami di Agonie Alate che l’accompagnano, fungendo allo stesso tempo da scorta e da nutrimento. Poi la luce scompare e il rettile assume la forma di una donna adombrata di gelida maestà. Poco dopo i cancelli dell’Etemenaki si spalancano per consentire l’ingresso di Crassus l’Avaro, Duca dei Pantani dell’Acheronte. Gigantesco sul suo trono di ferro, il rospo demoniaco viene trascinato a fatica da centinaia di demoni di infima casta, totalmente asserviti al suo volere. L’arrivo del successivo Vassallo, invece, è accompagnato
da una nenia infantile: è Which, Corruttrice d’Innocenza, che si avvicina danzando alla mia dimora. Con lei, viene uno stuolo di dannati in forma di bambini senza volto, privati persino e della possibilità di esprimere il proprio tormento con lacrime o sospiri. A cavallo entra, invece, Màlia la Lussuriosa, Baronessa Seduttrice Diabolica, seguita da un corteo di Incubi e Succubi. Rivestita solo della propria lascivia, il suo potere aggredisce i sensi e stordisce le menti di molti dei miei seguaci: nello stesso istante in cui la vedo, comprendo come il suo sorriso sia più terribile di un esercito schierato a battaglia. Ugualmente terribile è la capacità persuasiva del Crudele Marchese Trikaranos. Signore della Discordia e dell’Invidia, il Vassallo possiede tre teste, sempre in disaccordo tra loro per qualunque argomento che non sia l’infliggere tormento o il suscitare conflitti, materie in cui ha ben pochi rivali. L’ultimo ad arrivare è Pythagoras, Falso Profeta, che entra nella mia dimora a cavallo di un mulo con la testa di varano, blasfema parodia dell’ingresso di Cristo a Gerusalemme. Nascosta dietro l’apparenza di un vecchio monaco d’aspetto venerabile, mi è facile riconoscere l’ombra della Bestia della Terra. Sei dei sette Vassalli Diabolici
siedono ora alla mia mensa e condividono con me il banchetto. Il settimo di loro, nonché precedente signore dell’Etemenaki, è divenuto pasto per il mio Pretoriano, cosa per cui i miei commensali non sanno se essermi grati o se aver timore di me. - Lacrime di Lussuria. – dice Màlia, facendo ondeggiare il peccato nel suo calice. – È difficile trovarne di qualità così eccelsa al di fuori dei miei domini. - Nelle cantine dell’Etemenaki abbiamo trovato centinaia di botti piene di dannati messi a fermentare. Immagino si tratti dei frutti delle razzie fatte ai vostri danni, Baronessa. Il demone annuisce e ne beve un sorso. - Tormento di Messalina: mormora, compiaciuta – un’ottima dannata. Una delle mie preferite, prima che Davigor me la sottraesse. - Ha sottratto molte cose a tutti noi. La razzia era l’unico metodo che conoscesse per saziare il suo ego. – mentre parla, le fauci cadenti di Crassus si spalancano per ingurgitare un’enorme cosciotto di gug, che un mio servitore provvede subito a sostituire. – Certo, questo oltre all’edificare edifici quanto più alti e strampalati gli fosse possibile. Come quella d’avorio, ad esempio: non c’era quando sono venuto in visita l’ultima
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volta. - Questo perché non è stato lui a costruirla, ma io. Rido interiormente dello stupore che traspare dai loro occhi, poi do le mie spiegazioni. - Per la verità, non è nemmeno una torre, ma l’ultima forma che ho voluto imporre al mio primo servitore, il Pretoriano. Proprio in quel momento, il bianco della torre comincia a colorarsi di un’iridescenza cremisi, preavviso per la colonna di fuoco che, dopo pochi istanti, fuoriesce dalla sua sommità. Sotto lo sguardo stupito dei miei commensali, il processo messo in atto dal mio servitore si conclude con lo spalancarsi del cranio gigantesco posto alla sua base, da cui fuoriescono una miriade di djinn serventi, simili nelle sembianze a scorpioni alati. - Una volta espugnata l’Etemenaki ho fatto si che il Pretoriano divorasse Davigor e suoi ultimi generali. Il potere che abbiamo acquisito in questo modo mi ha permesso di farlo evolvere nuovamente e di renderlo capace di contenere il peccato che viene mietuto dai miei Aguzzini. Ora è simile a una forgia e genera periodicamente nuovi seguaci per il mio dominio. I Vassalli annuiscono, quasi tradendo ammirazione, ma non mi sfuggono gli sguardi che alcuni di loro si scambia-
no di sottecchi. Benché ci fosse un’ostilità antica tra di loro, Davigor era pur sempre un Antiserafino della loro stessa casta. La sua fine è un monito e una minaccia che li coinvolge tutti. È Pythagoras a farsi portavoce di questo pensiero, esprimendo il dubbio che fino a ora è rimasto sospeso dietro le righe della nostra conversazione. - Ora che il Marchese della Superbia non è più, sei tu a dominare sull’Etemenaki e puoi rivendicare il Titolo di Vassallo Diabolico, benché mortale. Magister Tenebrarum dovrebbe accettare questa situazione, se tu gli facessi atto di sottomissione. Scuoto il capo. - Non sono disceso nell’Abisso per dovermi inginocchiare, né per essere secondo a qualcuno - E per quale ragione l’hai fatto, allora? Osservo i miei commensali uno per uno, scavando nella paura, nell’odio e nella cupidigia che vedo scintillare nei loro occhi. Sospettano di conoscere già la risposta e mi è facile scoprire chi accoglie questo dubbio con terrore e chi, invece, ne brami il compimento. - Per reclamare il Trono del Caduto e il potere che già a suo tempo fu di Lucifero. Magister Tenebrarum non ne è degno. Vedo il Crudele Marchese Trikaranos agitarsi sul suo seggio. - Magister Tenebrarum possiede il Vortice. - Il Vortice lo rende più forte di
tutti noi messi assieme. - Come puoi pensare di essergli superiore da solo? Raramente le tre teste del Signore della Discordia sono d’accordo tra loro: in questo caso, è la bruciante esperienza a rendere possibile questo fatto insolito. Conosco la storia: subito dopo la Battaglia di Irminsul, Magister Tenebrarum e i Vassalli Diabolici approfittarono della debolezza di Lucifero per ribellarsi al loro signore e per cercare di prendere il suo posto. Nonostante fossero uniti contro un unico avversario, i congiurati non furono comunque in grado di uccidere il loro sovrano, fino a quando lo stesso Magister Tenebrarum non riuscì a dissolvere la coscienza del Demonio e a separarla dal resto della sua essenza. Quest’ultima, privata del proprio pensiero, divenne il Vortice, un immenso ricettacolo di corruzione capace di manipolare e moltiplicare il peccato con cui veniva in contatto. Intuitone il potenziale, Magister ne impiegò il potere per sconfiggere i suoi vecchi alleati e per rivendicare per sé il dominio sull’Abisso. Conosco la storia, ma forse l’ho studiata di più rispetto a chi l’a vissuta in prima persona. - Se il Vortice è così potente, per quale ragione Magister vi ha lasciati in vita? Quale motivo avrebbe per affidare parti importanti del suo regno a dei sottoposti? Sa bene che lo
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odiate. Il dubbio emerge chiaramente dai loro volti. Si guardano tra loro, ma nessuno conosce la risposta. - La verità è che nemmeno Magister può controllarlo appieno. Anche il solo sfruttarlo come arma troppo a lungo comporrebbe il rischio di dissolversi nelle sue spire. L’unico modo che ha di impiegarlo è di nutrirsi del peccato che esso spontaneamente genera, in quanto crogiolo naturale dell’oscurità del Cosmo. Mikas mi guarda in modo sospetto. - Stai forse dicendo che lui non è più potente di noi? Il mio sorriso deve suonarle come un offesa. - Ai tempi della congiura credo di no no. Adesso, dopo millenni passati ad incrementare il proprio Male, è probabile che lo sia diventato. È per questo che avete bisogno di me, se non volete essere divorati a vostra volta. - E in che modo potresti esserci utile? Per tutta risposta, prendo la coppa e la faccio riempire fino all’orlo. - Avete detto che le mie Lacrime di Lussuria sono un peccato di eccellente qualità, Baronessa, quindi spero che apprezziate gli usi diversi che ne faccio. Mi guardano senza capire, ma sento di avere la loro attenzione. Come un attore consumato, alzo il calice e comincio a pronunciare la formula di un
incantesimo. Il peccato comincia a contorcersi a raggrumarsi, ad assumere una forma sempre più solida. La pancia del calice esplode, ma non una goccia del peccato in essa contenuta cade a terra: sotto gli occhi stupefatti dei Vassalli, esso ha assunto la forma di un millepiedi dal volto di donna, che si avvolge rapidamente attorno al mio polso. Una larva di lamia. Un demone di infima gerarchia. Uno schianto e un tonfo sordo rompono il silenzio calato nella piccola sala: Which, totalmente sconvolta, ha lasciato cadere il calice che stringeva in mano ed è scattata in piedi, rovesciando il suo seggio. - Non è possibile: hai donato autocoscienza al Male grezzo! – esclama – Hai generato vita diabolica! - Nessuno di noi sarebbe capace di tanto… - dice Crassus, non meno sconvolto, - Solo il Vortice può donare una capacità simile… un potere che a suo tempo era riservato solo a Lucifero. Anche se indirettamente, il rospo infernale ha accostato la mia figura a quella del loro antico padrone. Questo richiamo accende i loro occhi di timore. Prima che ciò porti a qualche gesto inconsulto, decido di spiegare ciò che hanno appena visto. - Come gli angeli sono la più pura incarnazione della volontà
di Dio, così voi demoni non siete altro che la corruzione di questa essenza, grumi di oscurità talmente forti da aver generato una propria autocoscienza. Muovo qualche passo nella stanza, lasciando che la tensione si addensi sulle mie parole. La larva di lamia comincia a mordere delicatamente sul pulso, ma la ignoro. - È il livello di tale autocoscienza a distinguere le varie caste della vostra gerarchia, ma ciò non toglie che l’essere composti da peccato vi privi della possibilità di manipolarlo. Nessuno, nemmeno Magister Tenebrarum sarebbe in grado di superare questo limite. Solo Lucifero ne aveva la capacità, in quanto autocoscienza diabolica suprema: essere l’incarnazione della consapevolezza del Male da parte di Dio lo rendeva partecipe della sua grandezza. Li vedo sempre più nervosi, probabilmente gradendo poco il mio continuo accostare Dio e Satana. È l’ora del colpo di teatro: con la sinistra, premo con forza i denti acuminati della lamia sulla mia pelle, senza smettere fino a quando non vedo stillarne il sangue. - Ma io non sono un demone e il mio corpo non risente dei vostri stessi limiti. Le conoscenze di infinite generazioni di negromanti mi consentono di osare cose che superano persino la vostra immaginazione. Le mie ultime parole sembrano fugare, almeno in parte, i loro
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timori: anche se dispongo di capacità straordinarie, resto pur sempre un mortale. Il nostro rapporto può ancora svolgersi su un piano di parità. Ma resta ancora un ultimo dubbio da fugare. - Se ciò che dici è vero, perché dovremmo aiutarti? – dice Màlia – Perché dovremmo essere interessati a scambiare un padrone per un altro? - Perché nello stesso istante in cui potrò mettere le mani sul Vortice, vi sarò talmente superiore da potermi anche dimenticare della vostra presenza. Perché nel momento in cui ne possiederò il Trono, l’Inferno perderà ogni interesse per me e verrà lasciato ai vostri piccoli giochi di potere. Alzo la mano e punto l’indice verso l’alto, verso quel cielo da troppo tempo dimenticato. - In quel giorno, le menti dei mortali saranno corrotte ed essi danzeranno al mio seguito, nutrendo con le loro colpe la mia scalata ai piani d’esistenza. Il velo dei Cieli sarà squarciato e il ruggito della mia collera salirà fino all’Empireo, portando l’eco della sfida fino al Trono dell’Onnipotente. Una nuova Bibbia Nera verrà scritta e di me si dirà: “E il Verbo Diabolico, fatto carne, sorse per vendicare la cacciata del Primo Uomo. Egli disse “Sia l’Ombra” e la sua volontà distrusse il Sole e l’altre stelle. ”
S ka n Dreams are my reality
Fin da bambino John nutriva profondo rispetto per quegli eventi, all'apparenza casuali, che la gente chiama coincidenze. Mai avrebbe dimenticato quella mattina di tredici anni prima. Era un piovoso lunedì di ottobre. Papà lo stava portando a scuola in macchina e si era messo a canticchiare una canzoncina che John non ricordava di aver mai sentito. «Cos'è, papà?». «Oh, una vecchia filastrocca» aveva risposto Carl sorridendo. «Un trucco della mia maestra delle elementari per tenere a mente le capitali degli Stati. Se vuoi te la insegno». E il tragitto fino alla Glenburn Elementary era stato allietato dalle loro voci allegre. Una volta in classe, la canzoncina ancora risuonava nella mente di John. Pochi minuti dopo si era lasciato scappare un 'oh!' di gioia e stupore. «Lo sapete quanti sono gli Stati USA?» aveva esordito la maestra. «Giusto! Cinquanta, bravissimi. E ognuno ha la sua capitale. Sono tanti da ricordare, vero? Ma c'è un piccolo trucco. Se volete ve lo insegno». E aveva attaccato la stessa filastrocca che papà aveva
cantato in auto. Non certo un evento da scrivere sui giornali, d'accordo. Ma agli occhi di un bimbo di otto anni una simile coincidenza era un episodio che sfiorava la magia. Il suo papà non poteva che essere un supereroe in grado di prevedere il futuro. Aveva trascorso la giornata in trepidante attesa di raccontargli il prodigioso evento. Ma il destino aveva deciso diversamente. Quello stesso pomeriggio, mentre John tornava a casa con lo scuolabus, un camionista ubriaco aveva perso il controllo del mezzo e ridotto l'auto che viaggiava sulla corsia opposta a un cumulo di lamiere. Nel corso degli anni John si era chiesto più volte se, al momento dello schianto, il suo papà stesse ancora canticchiando quella filastrocca. E il cuore gli si stringeva quando si rispondeva che mai avrebbe potuto saperlo. Ma una cosa era certa. Non avrebbe mai preso sottogamba una coincidenza. Quella fatale mattina il Fato aveva comunicato con lui, aveva voluto dirgli che sarebbe accaduto qualcosa. Lui non era stato in grado di leggere i segnali. Ma da quel momento avrebbe fatto in modo di non commettere più errori. Per questo quando quella mattina, proprio quella tra le tante che componevano il se-
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mestre, il professor Langston aveva iniziato a parlare dei sogni e del loro significato, in John si era sciolto ogni dubbio circa la bontà delle proprie intenzioni. La paura, quella no. Quella era rimasta. Conosceva bene i rischi. Ma il Fato sembrava volergli dare man forte. Quindi, quella sera avrebbe compiuto il suo viaggio definitivo a Elthir. Da che riusciva a ricordare, John non aveva mai fatto un sogno 'normale'. Quando si addormentava, veniva catapultato in un'altra realtà. Era così da sempre, e da sempre lui viveva una doppia vita. Di giorno nel mondo cosiddetto 'reale', di notte a Elthir. Una volta si era chiesto se scrittori come Baum o Barrie, prima di scrivere del Regno di Oz o dell'Isola che Non C'è, avessero fatto una capatina notturna a Elthir. Certo, non c'erano spaventapasseri parlanti o pirati con un uncino al posto della mano; ma quel mondo era così ricco di prodigi che avrebbe potuto benissimo ispirare storie come quelle di Dorothy Gale o Peter Pan. A Elthir, per esempio, le stagioni non si susseguivano in maniera ciclica. In alcune parti era sempre inverno, in altre sempre estate, e così via. E il passaggio tra le diverse zone climatiche era così netto che si sarebbe potuto allargare le gambe e trovarsi con un
piede posato sulla neve fresca e l'altro su un prato fiorito. Non c'era un unico sole a illuminare il mondo, bensì una dozzina, tutti di colori diversi, che creavano riflessi cangianti sull'acqua dei laghi e dei ruscelli. Di notte invece appariva un'unica luna, che però era grande dieci volte il satellite terrestre ed era sempre piena, quindi anche nelle ore più tarde non c'era mai buio completo. Ma soprattutto, a Elthir c'era la magia. Tutti in quel mondo misterioso erano in grado di effettuare incantesimi, persino i bambini più piccoli. Per un po' John si era trovato in imbarazzo; lui era l'unico a non essere in grado di accendere una candela o trasformare l'acqua in ghiaccio solo facendo frullare le dita. Ma era stato fortunato. Il giorno in cui era apparso a Elthir per la prima volta, era stato accolto da Elros Goldleaf e dalla sua famiglia. Elros era un semplice contadino, abituato a lavorare sodo e a considerare la famiglia il più grande dei tesori. All'epoca lui e la moglie Ireth avevano quattro figli; quando John aveva festeggiato il suo ventunesimo compleanno, erano diventati otto. Mai una volta uno dei Goldleaf lo aveva deriso per la sua mancanza di poteri magici («sono un babbano» aveva pensato lui con un misto di divertimento e tristezza quando aveva letto Harry Potter), neanche il piccolo Finrod, una vera peste se mai ne era esistita una. Per John, da quel giorno orrendo in cui suo padre lo aveva lasciato, i Goldleaf erano diventati la sua vera famiglia.
Nel mondo 'reale', dopo che Carl Newton aveva avuto il suo incontro fatale con un tir impazzito, non era rimasto nulla che John considerasse importante. La donna che lo aveva generato si poteva definire in molti modi - giocatrice d'azzardo, amante della bella vita e del buon vino e, beh, sì, anche un po' zoccola - ma di sicuro non 'mamma'. Lui aveva scoperto già in tenera età di essere stato solo uno sfortunato incidente di percorso. Non ricordava una sola volta in cui Clara gli avesse cantato una ninnananna, o lo avesse rincuorato dopo un ginocchio sbucciato; meno che mai che lo avesse preso in braccio per sussurrargli all'orecchio " ti voglio bene". Per quelle cose c'era papà. Dopo nemmeno un mese da che il marito era stato sepolto, si era presentata a casa con un tipo abbronzato e dai capelli ossigenati, un Ken attempato che aspettava solo una Barbie in carne e ossa che avesse ancor meno cervello dell'originale di plastica. 'Ken', che in realtà si chiamava Greg, era diventato una presenza fissa nella vita di John, che però cercava quanto più possibile di evitarlo. Era un bifolco di prima categoria, nonostante le polo Lacoste e la tessera del Country Club. John era cresciuto in totale solitudine. Aveva imparato presto a cucinare, a tenere in ordine la casa e a fingere che quei due inutili personaggi non esistessero. Da quando si alzava la mattina a quando andava a dormire la sera contava le ore che passavano prima di potersi di nuovo addormentare e tornare a Elthir.
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Quella era la sua vita vera. Lì aveva amicizie, affetti, motivi per andare avanti. Soprattutto, lì c'era Ember. Era l'unica figlia femmina dei Goldleaf. Da piccoli erano amici per la pelle, inseparabili. Nei giorni di sole era facile trovarli vicino al ruscello, lui con una spada di legno e lei con una corona di fiori sulla testa, a giocare a regina e cavaliere; d'inverno stavano in casa, a leggere i tanti libri di suo padre o ad aiutare sua madre a preparare torte e pasticcini. Poi, con il tempo, quell'amicizia infantile si era trasformata in qualcosa di più. Di giorno, John non faceva che pensare a Ember. A come sarebbe stato bello poter vivere laggiù, abbandonare questa vita vuota e trasformare il sogno in realtà. Ne avevano parlato spesso, lui ed Ember, ma nessuno sembrava conoscere il modo per realizzare il suo desiderio. «È un regno magico» si era lamentato una volta con Elros, «possibile che non ci sia un incantesimo in grado di farmi restare qui?» Ma lui aveva scosso la testa. Era complicato. John in realtà non aveva mai nemmeno capito come avvenissero i suoi 'viaggi'. Il suo corpo rimaneva nel letto da questa parte, ma subiva gli effetti di ciò che gli capitava a Elthir: una volta, giocando al ruscello, era caduto e si era procurato una brutta ferita al ginocchio; al suo risveglio la ferita era lì, ancora leggermente sporca di erba e terriccio. E se aveva in mano qualcosa prima di andarsene da Elthir, se la ritrovava stretta fra le dita anche di qui.
Quindi se c'era un legame doveva esserci anche un modo per rendere il passaggio definitivo. Ma ogni ricerca in tal senso si era sempre dimostrata vana. Poi, un giorno, mentre passeggiavano nel bosco, Ember gli aveva posato le mani sugli avambracci e lo aveva guardato fisso negli occhi. «Forse un modo c'è» gli aveva detto. Fino a un attimo prima stavano parlando della festa d'estate e di come agghindarsi per il Ballo Silvano, quindi John non aveva capito subito a cosa lei si riferisse. «Per farti restare qui. Forse ho trovato qualcuno che ti può aiutare». A quelle parole il cuore di John aveva accelerato i battiti. «Stai scherzando? Chi...?» «Non è di qui. Si chiama Gordon. Vive in un villaggio oltre il bosco. A piedi ci si arriva in un paio d'ore. Dicono che fosse un umano, come te». «E ora vive qui? Sempre?» «Sì, beh... almeno così mi hanno detto». «Devo parlargli. E al più presto». «Forse il signor Darwin ne sa già troppo di sogni, vero?» disse Langston. Sentendo il suo nome, John sobbalzò sulla sedia. Si era distratto, ripensando al suo incontro con Gordon e all'incombenza di quella sera. «Mi scusi, professore» biascicò in imbarazzo. «Non c'è problema» disse Langston. «Mi sembra che quello che il signor Darwin stava sperimentando fosse un sogno a occhi
aperti. Un tipo diverso da quelli che ci fanno compagnia durante la fase REM, ma che con essi ha qualcosa in comune. Il fatto di essere una via di fuga, una valvola di sfogo per il cervello. Le troppe repressioni, le frustrazioni, più semplicemente i problemi quotidiani ci ucciderebbero, letteralmente, se non li potessimo sfogare nel sogno. Quindi, ben vengano. Sognate, ragazzi, sognate. Magari però, la prossima volta, non durante la mia lezione. Intesi, signor Darwin?» «Bene, Lucy. Ci siamo» disse John, seduto sul bordo del letto. Lucy gli si avvinghiò tra le gambe, poi compì un balzo e gli si accucciò in grembo. Lui iniziò ad accarezzarle la testa e lei lo ringraziò con una serie di fusa. «Sarai l'unica di cui sentirò la mancanza, lo sai?» Guardò i contenitori poggiati sul comodino. Due flaconcini bianchi e una fiala di vetro colma di un liquido verde scuro. Ricordò il suo colloquio con il vecchio Gordon. Era accaduto un paio di settimane prima, ma gli pareva fossero passati decenni. «Siamo come le mosche bianche, noi due» gli aveva detto l'uomo, preparandogli una tazza di tè. «Prima di me non c'erano stati viaggiatori per secoli. C'era stato, sì, un tempo in cui altri come noi avevano operato la magia del trasferimento, ma la formula era ormai andata perduta. Dio, quanto è passato. Ho cercato e ricercato per così tanto. Anni. No, che dico. Decenni. Ma alla fine l'ho ritrovata». La tazza di tè fumava nelle mani
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tremanti di John. «Una sera, prima di addormentarmi, ne ho ingollata una fiala intera. Mi sono risvegliato qui, in salute e felice. Non mi sembrava vero. E infatti non lo era. Oh, sì, sono rimasto qui più a lungo del solito; ma un giorno, all'improvviso, sono ritornato laggiù. Mi hanno detto che ero entrato in coma senza apparente motivo e che allo stesso modo ne ero uscito due settimane dopo. Ho riprovato con una dose doppia, poi tripla di pozione, ma non c'erano differenze. Ti lascio immaginare, ero diventato un caso clinico, con tutti quei coma improvvisi e ballerini» aveva aggiunto strizzandogli l'occhio. «Comunque, alla fine ho capito. C'è un unico modo per rendere definitivo il passaggio». Gordon aveva fissato John, in attesa di un cenno di comprensione. «Non ci sei ancora arrivato, figliolo? Per essere del tutto vivi di qua, di là bisogna morire». Lucy emise un miagolio contrariato. Nell'agitazione del ricordo le carezze di John erano diventate un po' troppo intense. «Scusa, piccola. Coraggio» le disse, posandola sul pavimento, «è ora». Prese il flaconcino a sinistra e si fece cadere quattro pillole sul palmo della mano. Stava per ingoiarle, quando Lucy saltò sul comodino e con un tocco lieve della zampa fece rotolare appena la fiala. «Diamine» disse John. «E poi dicono che voi animali siete creature inferiori. Stavo rischiando di fare un gran casino.
Mi sa che sono troppo agitato. Grazie piccola». Lucy miagolò, lo guardò per un attimo con uno sguardo fin troppo umano e scappò via dalla stanza. John prese la fiala, tolse il tappo di sughero e ingollò il contenuto con una smorfia. Dio, se era amara. «Devi fare esattamente come ti dirò, senza sgarrare» si era raccomandato Gordon nel consegnargli la fiala con la pozione. «La cosa più importante è che tu beva questa prima di tutto. Poi dovrai prendere il sonnifero e solo per ultimo il veleno. E' importante, figliolo. Devi essere sicuro di addormentarti prima che il veleno faccia effetto. Devi morire nel sonno. Se succederà il contrario, ti risveglierai all'Inferno». Buttò giù le pillole di sonnifero, poi attese. Lasciò trascorrere una decina di minuti. Quindi volse lo sguardo al comodino. A quel punto si bloccò. Potrei ancora tornare indietro , pensò. Il secondo flaconcino sembrava sfidarlo. John lo prese tra dita di burro. Puntò il pollice sotto il coperchio per aprirlo, ma era come se le forze lo avessero abbandonato. E' quello che vuoi di più al mondo , si disse. Perché esiti? La paura è un ottimo deterrente, si rispose. Poi ripensò a Ember. Immaginò l'espressione sul suo viso, la gioia nei suoi occhi color smeraldo quando lui le avesse detto che la magia aveva funzionato; soprattutto, quando le avesse proposto di unirsi a lui nelle Sacre Nozze Silvane.
L'unghia del pollice fece finalmente presa contro il tappo, che saltò via con un clic. John rovesciò la testa indietro e lasciò cadere nella bocca aperta l'intero contenuto del vasetto. Poi si sdraiò e attese che il sonno lo cogliesse. Attese. E attese. Dopo qualche minuto, lo stomaco iniziò ad attorcigliarsi in preda a dolori lancinanti. Il veleno stava facendo effetto e lui si sentiva più sveglio che mai. Cosa sta succedendo ? Aveva fatto delle prove con il sonnifero, nei giorni precedenti. Dopo diversi tentativi aveva trovato una quantità tale da garantirgli di addormentarsi nel giro di una quindicina di minuti. Ora ne erano passati venti e ancora non dormiva. Devi morire nel sonno. Se succederà il contrario, ti risveglierai all'Inferno.
Le parole di Gordon lo assillavano, mentre il suo corpo si contorceva negli spasmi dell'agonia. È l'ansia. Sono troppo agitato e il sonnifero non è sufficiente. Avrei dovuto prenderne di più. . .
Il dolore minacciava di annientarlo. Mani e piedi iniziarono a contorcersi. Il petto parve piegarsi su se stesso mentre brividi gelidi percorrevano la spina dorsale.
morte che lo coglieva inesorabile? Le palpebre erano pesanti, il corpo privo di peso pareva galleggiare nell'aria. Un'ultima fitta possente al petto, poi tutto fu buio. Profumo di fieno, di sole. John aprì gli occhi. Il dolore era sparito. Era in un campo arato da poco. Elrod, è il campo di Elrod, pensò. Alzò gli occhi al cielo e vide un arcobaleno di soli; sentì in lontananza il chiacchiericcio di un ruscello. Poi una voce. Una voce femminile, squillante e delicata; una voce che aveva imparato ad amare. Le labbra si stesero in un sorriso e una lacrima di sollievo gli scivolò sulla guancia quando all'imbocco del campo vide stagliarsi la figura di una ragazza bionda, fasciata in un abito azzurro e con una mano sulla testa a tener fermo un cappello di paglia a tesa larga. Anche da lontano, John riconobbe, infilato nel nastro intorno alla cupola, il mazzo di fiori che le aveva regalato il giorno prima. Se non dovesse funzionare... le aveva detto porgendole i fiori. Lei era scoppiata in lacrime e lo aveva baciato. Non può non funzionare, gli aveva risposto. Domani sarai qui con me. Per sempre.
John si alzò in piedi. «Ember» sussurrò, la voce rotta I suoi occhi lo guardavano, la sua dall'emozione. «Sto arrivando da bocca atteggiata a un sorriso gli te». inviava baci fantasma. Con passo sicuro, che ben presto Gli occhi iniziarono a farsi pedivenne una corsa a perdifiato, si santi. diresse finalmente verso casa. Stava per addormentarsi, finalmente? O era il sonno della Ho sbagliato. . . è la fine. Ember
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S ka n
AMAZING MAGAZINE
S k a n n a t o i o e d i z i o n e XXXI F a te V o b i s
Particolarità: a) (specifica data da CMT) nel racconto deve comparire uno specchio, non ha importanza che sia fondamentale ai fini della trama ma deve avere un senso nella scena in cui appare. 1) Una settimana per scrivere il proprio racconto b) (specifica data da Cattivotenente) Un perso(consegna delle opere per le 23:59 di martedì 8 naggio deve usare in almeno una circostanza la luglio 2014, i brani saranno accettati anche se po- tecnica della lettura delle micro espressioni facciastati con un massimo di 31 minuti di ritardo, ma li, non importa se con successo o meno. incorreranno in una penalizzazione di 1 punto); 2) un massimo di 14 giorni (quindi fino alle 23:59 c) (specifica data da White Pretorian) Un avvenidi martedì 22 luglio - se i racconti fossero più di mento importante per lo svolgersi della trama do15, attendete la suddivisione in gironi da parte del vrà avvenire in un'area portuale. Ininfluente che moderatore) per leggere, commentare e inserire in ciò avvenga sulla terraferma o su una nave, classifica i racconti altrui che non infrangeranno i l'importante è che ci si trovi entro i confini di un limiti di lunghezza specificati. Leggete il porto. ATTENZIONE: DEVE ESSERE UN regolamento se non avete idea di come si devono PORTO SUL MARE, QUINDI BANDITI SPAvotare i racconti; ZIOPORTI, STARGATE E QUALSIVOGLIA 3) un massimo di 7 giorni (a partire dagli ultimi "PORTO" CHE NON PREVEDA VIAGGI MAcommenti pubblicati) per leggere i commenti e as- RITTIMI. Sto limitando la vostra immaginazione? segnare 1 punto al miglior commento al proprio Beh, non sto certo escludendo la fantascenza: non racconto e 2 punti all’autore della migliore serie di sarò un esperto in materia, ma ho visto ben pochi commenti; viaggi oceanici nei racconti futuristici. 4) attendete con pazienza la conclusione le fasi di Torce e Forconi, nonché del Giorno del Giudizio; LE COCCARDE 5) al termine il moderatore provvederà a stilare la Questo mese saranno assegnate 3 coccarde: classifica finale. 1) La coccarda "La fine e l'inizio" (scelta da LE SPECIFICHE White Pretorian) sarà assegnata al migliore finale circolare che chiuderà un racconto. Lunghezza (globale). Minima: 10'000 caratteri. La coccarda "Ti ho intortato!" (scelta da Massima: 25'000 caratteri (spazi inclusi, escluso il 2) Cattivotenente) sarà assegnata al migliore titolo ed eventuale liberatoria). Tolleranza 10% raggiro verbale. (un punto di penalizzazione a chi sforasse per eccesso o difetto l'intervallo dato ma si mante3) La coccarda "Che cattiveria" (scelta da nesse all'interno del 10% di tolleranza). CMT) sarà assegnata alla battuta di dialogo più Genere: Horror, giallo, fantastico e relativi sotto- cinica. generi. Questo mese, signore e signori, le specifiche della XXXI edizione dello Skannatoio sono state scelte da White Pretorian, CMT e Cattivotenente, quindi per lamentele varie potete insultare loro (però a me [Master dello Skannatoio] non dispiacciono le loro proposte).
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S ka n Il piacere del male
“Quanto più egli vuole elevarsi in alto e verso la luce, con tanta più forza le sue radici tendono verso terra, in basso, verso le tenebre, l'abisso verso il male.” F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra Era una sera di fine luglio. Poco lontano si udiva un chiacchiericcio continuo, mescolato al tintinnio di posate e alla musica a tutto volume delle discoteche all'aperto. Il cielo era a tratti coperto, le stelle occhieggiavano nella notte e la luna si affacciava in alto, bianca e seducente. Le onde mordevano rabbiose i frangiflutti, ammantandoli di nugoli di spuma grigiastra, ma lì, dentro al porto, il mare era quasi calmo. Paolo tirò una lunga boccata dalla sua sigaretta e fissò pensieroso quella distesa scura e fredda. Il vento altezzoso urlava dietro al faro e agitava le barche ormeggiate, con i loro scafi bianchi e i corrimani cromati che luccicavano nella notte. Era arrivato a trent'anni suonati e qualcosa nella sua vita non funzionava. Molto lavoro, una donna diversa ogni due mesi, libertà di fare quello che voleva senza dover rendere conto a nessuno.
Ma era davvero felice? Aveva una bella macchina, la carta di credito piena e le ragazze gli morivano dietro, ammaliate dai suoi grandi occhi turchesi e dal portamento elegante, tuttavia... Paolo cercava qualcosa di veramente puro, un amore grande, sapeva di meritarselo. Ci aveva provato, due anni prima, ed era andata male. Erano stati insieme poco più di un anno. Quasi un record, gli diceva Sandro, l'unico vero amico. Era una bella ragazza, sembrava dolce e senza pretese, invece quando aveva capito che era ricco, di pretese ne aveva avute eccome! Aveva iniziato con poco e alla fine si era fatta mettere incinta, pensando di incastrarlo. C'erano voluti un buon avvocato e un bel po' di soldi per mettere tutto a posto. Aspirò un'altra lunga boccata dalla sua sigaretta, l'aria si era fatta più fresca. La luna era sempre fissa sopra di lui, magnifica, silenziosa, perfetta. Ma non poteva sposarsi la luna... Si riscosse e scese dal muretto. Ripulì i pantaloni impolverati e si avviò verso la spiaggia, ormai gli amici dovevano aver notato la sua assenza. Forse pensavano che se la stesse spassando con qualcuna, invece era lì come un pirla a sognare la luna. Stava per avviarsi verso le luci del Tucano Blu quando si accorse di lei. Quel lato della spiaggia era buio, eppure capì che era una
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ragazza: i capelli lunghi, la corporatura minuta, seduta, con le ginocchia al petto, a fissare l'orizzonte. Se fosse bella o brutta, da quella distanza non poteva capirlo, ma fu irrimediabilmente attratto da quella figura avvolta nel mistero. Si sorprese a camminare nella sua direzione. «Ciao.» La ragazza non rispose al saluto, si limitò a sgranargli addosso un paio di occhi di ossidiana. «Mi chiamo Paolo. Ti ho vista da sola così ho pensato...» «Di provarci, dato che stasera ti gira storto. No, grazie!» finì lei, riportando lo sguardo sulla distesa scura che pareva tutt'uno con i suoi occhi. Paolo s'irrigidì. Stranamente l'aggressività della ragazza non lo ferì. Era quella la sensazione che dava a una donna quando la corteggiava? La cosa gli piacque. «Chiami la polizia se mi siedo vicino a te? Solo per parlare.» Alzò le mani. «Non ti salto addosso, prometto.» La ragazza lo squadrò con sospetto ancora un attimo, quindi riprese a fissare il mare, senza rispondere. Lui le si sedette accanto. Rimasero qualche minuto assorti, quindi lei ruppe il silenzio. «Mi chiamo Rosa. Scusa se sono stata scortese, ma odio quando si avvicinano per attaccar bottone. Ogni sera è sempre la stessa, dannata storia: vedono una ragazza da sola e l'istinto di ogni ma-
schio è quello di provarci!» Paolo arrossì suo malgrado. «Non siamo tutti uguali.» «Ah già...» lo schernì lei, spostando una ciocca scura dal volto ad un tratto divertito. «Tu di certo sei l'amante puro e fedele alla ricerca del grande amore!» Il ragazzo cercò di mascherare l'imbarazzo. Si stava prendendo gioco di lui, lo sapeva, eppure era elettrizzato al pensiero di farle cambiare idea. Posò gli occhi su di lei. Sorrise quando la vide abbassare la testa, gli parve di scorgere un lieve rossore su quel viso illuminato dalla luna. Di colpo, lei si sollevò in piedi. «Devo andare.» Lui la imitò. Sentiva il cuore battergli forte nel petto, aveva addosso un'insana paura di perderla. «Ci rivediamo?» Restarono a guardarsi. «Sì» rispose quindi lei. «Domani alle nove. Al Tucano Blu.» «Ci sarò» promise il giovane. Si sentiva esaltato e padrone del mondo mentre le stringeva la mano. Paolo arrivò all'appuntamento con ampio anticipo. Non era riuscito a chiudere occhio. Il volto bello e pulito di Rosa gli aveva impedito di prender sonno e aveva passato ore a sognare quell'incontro. Erano passate le nove già da dieci minuti. Lo assalì il panico. E se non si fosse presentata all'appuntamento? Un caldo afoso scivolava tra gli ombrelloni che invadevano la spiaggia, c'era già chi faceva il bagno e chi preferiva arrostirsi al sole, alcuni ragazzi giocavano a beach-volley. Prese un caffè,
scambiò qualche breve parola col ragazzo del bar, per ingannare il tempo gettò un'occhiata al giornale abbandonato sopra al frigorifero dei gelati. «E' molto che aspetti?» Non l'aveva sentita arrivare. Adesso che la vedeva alla luce del giorno, gli sembrava decisamente carina. Non era la classica bellezza da spiaggia su cui uno si fissa: nulla di appariscente, capelli e occhi neri, labbra sottili. Rimase affascinato dalla pelle chiara, dai capelli che le incorniciavano il collo e ricadevano morbidi sulla schiena. Vestiva con semplicità e freschezza, la camicia azzurra annodata su un fianco, i pantaloncini bianchi che le scoprivano le gambe snelle, un paio di sandali di pelle con un fiore azzurro disegnato sopra. Quella era la volta buona, le cose iniziavano a girare per il verso giusto. “Oh sì” avrebbe voluto risponderle “ti aspetto da una vita!” Passarono una giornata spensierata. Usciti dalla spiaggia, la vita scorreva tranquilla in quel piccolo paesino di mare: gente in bicicletta, anziani rilassati sulle panchine del parco, turisti che spendevano i loro soldi in costosi negozi di souvenir. Tutto gli sembrava nuovo. Continuava a parlarle di sé, della falsità dei suoi amici, delle serate squallide passate a corteggiare manichini dipinti e tipe da passerella, vuote e senz'anima. Lui voleva la luce. Passate le prime avventure da adolescente, aveva per anni rincorso qualcosa di più profondo di una storia con la bellezza di turno. Qualcosa che non era mai
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arrivato ma che ora sembrava sul punto di realizzarsi. Pranzarono in una pizzeria del centro e le raccontò tutto dei suoi sogni, delle sue aspettative per quel futuro incerto. Lei ascoltava in silenzio, a volte sorrideva, annuiva, non fece mai domande del tipo “Che lavoro fai... Quanto guadagni...” E lui non ne parlò mai. Si sentiva felice. Di sé stessa non disse molto: studiava, le piaceva la botanica, viveva da sola e aveva avuto delle storie che però si erano rivelate sbagliate. Continuava a cercare l'uomo della sua vita, che era da qualche parte e la stava aspettando. Usciti dal ristorante passeggiarono a lungo in spiaggia, fino a quando il cielo si oscurò e si addensò di nubi grigie. Li colse la pioggia. Iniziarono a ridere senza motivo e a correre mentre l'acqua li inzuppava, fredda e impietosa. Riparati sotto il tetto di una cabina, incuranti della gente che li osservava incuriosita, si scambiarono il primo, lungo bacio. Paolo strinse le spalle fredde e bagnate della giovane, le accarezzò i capelli, inspirò il suo profumo di mare. Il Paradiso era a portata di mano. «Ma dai, non ci posso credere!» Sandro lo fissò con sorpresa e un po' di diffidenza. Per lui era assolutamente inconcepibile innamorarsi in un giorno. Seduto sullo sgabello del bar, alle prese con un aperitivo, Paolo si passò una mano tra i capelli. Nel farlo, l'orologio d'oro che aveva al polso scintillò. Aveva lasciato Rosa meno di un'ora prima, l'avrebbe riaccompagnata a casa ma lei
aveva rifiutato. Si erano dati appuntamento per quella sera, dopo cena, nei pressi del molo. Capiva le perplessità dell'amico. Si conoscevano dalle medie e se non si erano mai persi di vista era di sicuro merito dello stesso Sandro. Era lui a cercarlo quando non si faceva sentire, lui che lo toglieva dai guai quando mollava la pollastra di turno, lui che dava consigli e si lasciava svegliare alle tre notte quando Paolo era troppo ubriaco per tornare a casa in macchina. Era un vero amico. Anche perché non gli aveva mai chiesto soldi, questo lo poneva su un piano di un certo rispetto. «È così, Sandro... Questa ragazza è una vera favola. Non è una di quelle che vai a sbattere se le vedi per strada ma è gentile, comprensiva, dolce... Non ne ho mai incontrata una simile.» Sandro aggrottò le sopracciglia scure. «Se è come la descrivi... non mi pare proprio il tuo tipo.» «Guarda che è una bella ragazza, non ho mica detto che è una cozza...» «Non parlo del suo aspetto fisico. Sappiamo benissimo come sei, conosci il tuo carattere come lo conosco io. Anche di Sara dicevi le stesse cose e sappiamo bene com'è finita.» Paolo si agitò sulla sedia. Capiva il punto di vista dell'amico e ne apprezzava la sincerità, ma a volte aveva l'impressione che avesse una scarsa opinione di lui. «A Sara interessavano i soldi, non era innamorata di me.» «Puoi mentire a te stesso quanto vuoi. L'hai lasciata da sola e incinta, lei non ti aveva chiesto niente. Sei tu ad esserti fatto
mille paranoie sui soldi e sull'infedeltà. Io sono tuo amico ma a volte sei davvero insopportabile!» Paolo serrò i pugni sul tavolino. Le sopracciglia aggrottate e le labbra serrate preannunciavano l'ira che stava per esplodere. «Non resterò certo qui a farmi insultare da te...» Sandro represse un impeto di rabbia a sua volta. Non erano soliti litigare, ma in genere, quando accadeva, non si parlavano per mesi. «Quello che voglio dire... è che sarebbe una buona cosa se la smettessi di prendere in giro delle povere ragazze per bene e soprattutto te stesso!» «Ne ho abbastanza.» La mascella contratta e il volto rosso di collera furono le ultime cose che Sandro vide di lui. La stessa sera, Paolo e Rosa passeggiarono lungo il bagnasciuga per un'ora, in un silenzio interrotto da languidi baci. Poi i baci si fecero intensi e le carezze audaci. Sembrava timida all'inizio ma alla fine la passione travolse anche lei. Era inebriato e totalmente schiavo di quell'amore innocente che non chiedeva null'altro che di venire ricambiato. La dolcezza di quella bocca annientò ogni sua volontà, ogni desiderio di controllarsi, di essere gentile, delicato nei suoi confronti. Si amarono intensamente, nascosti tra le barche, lontano da occhi indiscreti, cullati dallo sciabordio delle onde di un mare sordo ai loro gemiti di piacere, alle loro promesse di eternità. Era una creatura pura quella
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che Paolo stringeva al petto. Era l'amore, la luce che aveva cercato. E non desiderava nient'altro. E quando lei lo pregò di non tradirla mai, lui giurò. A costo di morire. La sera dopo non si videro. Rosa aveva un impegno e Paolo aveva pensato di restarsene a casa, magari a vedere un film. All'ultimo, invece, aveva deciso di uscire a fare un giro, giusto per vedere chi ci fosse al Tucano Blu. Magari avrebbe incontrato Sandro. Era il caso che si scusasse con lui e non appena ne avesse avuto l'occasione gli avrebbe presentato Rosa. Le sarebbe piaciuta, gli avrebbe fatto capire che stavolta faceva sul serio. Non trovò Sandro al Tucano, non trovò nessuno del suo gruppo, solo qualche conoscente con cui si trattenne poco. Bevve qualche bicchiere, salutò con un cenno il barista, vagò con sguardo assente lungo la pista da ballo ancora semivuota. Stava per andarsene, poi la vide. Stupenda... Avvolta in un abito rosso fuoco, i lunghi capelli neri e mossi, si muoveva al ritmo di una sensuale bachata e la contorsione del busto accentuava la curva del seno sotto il tessuto aderente; i piedi nudi percuotevano silenziosi il pavimento piastrellato. Il volto abbronzato e due profondi occhi ambrati si soffermarono su di lui. Paolo si ritrovò a fissare il collo affusolato, le spalle dritte, le braccia tese, i glutei rotondi e le gambe tornite. Le si avvicinò, poteva sentire il profumo sensuale che emanava. Doveva toccarla. Si accostò a lei e le sfiorò la scapo-
la, scese lungo le braccia e si fermò sulla mano aperta, la strinse dolcemente. Le baciò il collo, alitandole contro l'orecchio il suo respiro caldo, esaltato dalla gente che li incitava. La voce di lei era un sogno erotico. «Vieni con me» gli disse. «Dove vuoi tu» le rispose lui, pieno di desiderio. Ballarono tutta la notte. Si amarono tutta la notte. Paolo si dimenticò di Rosa. Si dimenticò del mondo intero. La stradina che si arrampicava lungo la collina era sempre più tortuosa e si faceva largo fra file di salici, le cui chiome impietose non lasciavano filtrare la luce del sole, da secoli ormai, formando un tunnel di rami e cespugli attraverso il quale era difficile inoltrarsi. Una casa diroccata si ergeva alla fine di quella strada, soffocata da una fitta sterpaglia e da pozzanghere putride e melmose. Doveva essere stata una grande casa, un tempo, ora restavano solo mattoni sgretolati dal sole e rifiuti d'ogni genere. Sotto la terra, però, si estendeva un vero e proprio castello. Un tunnel scavato nella roccia portava a grandi stanze arredate di mobili antichi e adornate di preziose suppellettili. Al centro della sala più ampia si ergeva un enorme specchio, gli facevano da cornice quelle che inizialmente potevano passare per variopinte palline di vetro, ma che a un attento esame apparivano per ciò che erano: bulbi oculari umani, dalle iridi di diversi colori, perfettamente incastonati. Si muovevano in ogni direzione quando qualcuno si avvicinava ed ora volgevano atterriti
verso l'alta figura che si contemplava in quello specchio, ammirando compiaciuta la propria avvenenza. La donna sciolse i lunghi capelli corvini e questi accarezzarono le sue curve, liberando intorno piccolissime scintille color cobalto. Gli occhi freddi e le labbra sensuali si riflessero nello specchio e un lampo infuocato riempì per un attimo la stanza. «Sono la più bella delle Masche rimaste» annunciò consapevole, mentre di nuovo sollevava la chioma di capelli per evidenziare il collo esile. I suoi sensi la avvisarono che qualcuno era appena entrato nella stanza. Sabrota alzò gli occhi al cielo. «Ecco la mia amata sorellina...» I capelli neri legati in una treccia e il trucco leggero sull'incarnato chiaro, Rosa raggiunse la sorella. Il corpo minuto era avvolto in una sontuosa veste color oro. Dietro di lei, un maggiordomo privo di occhi recava un cuscino di seta rossa, su di esso era adagiato un piccolo scrigno che porse a Sabrota con un inchino ossequioso. Lei aprì l'astuccio e ne estrasse due bulbi oculari che iniziarono a roteare impazziti e a fissare a turno le due donne. Le iridi erano di un bellissimo turchese. Sabrota stirò le labbra, in un sorriso di approvazione. «Stavolta hai superato te stessa, questi sono i più begli occhi che mi sia mai capitato di vedere.» Rosa, il cui vero nome da strega era Miceli, incrociò le braccia sul petto e assunse una posa stizzita, mentre la sorella sistemava i bulbi in due fori vuoti della
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cornice. Un lampo azzurrino si sprigionò da essi e irradiò lo specchio per qualche secondo. «Quest'uomo era mio, non sei leale!» «La lealtà porta le streghe al rogo, cara mia.» «Quando la finirai di rubarmi gli uomini, sorella?» la investì Miceli, infuriata. «Ogni volta che qualcuno mi piace ti intrometti tu!» Sabrota fece spallucce, mentre spingeva indietro un ricciolo nero sfuggito al fermaglio d'oro. «Non è colpa mia se ti scegli i più infami della terra.» «Io non uso la magia per farli innamorare...» Sabrota finse di asciugarsi la fronte mentre simulava uno svenimento. «Ah, sì... Lei usa l'amore puro... Lo vedi poi dove ti porta. L'uomo mira alla purezza, ma poi si fa sempre sedurre dal piacere del male.» Miceli abbassò lo sguardo e sospirò. Non poteva non darle ragione. Avevano fatto una scommessa, l'ennesima della loro lunga vita di streghe, e lei aveva perso. Quel Paolo le era sembrato così diverso... «E in ogni caso ho usato la magia solo all'inizio, poi ho lasciato al tuo amante la facoltà di scegliere. E ha scelto il potere del male, il piacere profondo, la perdizione degli inferi. Oltre, ovvio, la mia bellezza immutabile e straordinaria.» «Io sono convinta che, se non ti fossi intromessa, Paolo avrebbe vinto la partita.» «Questo non ha importanza. Avevamo un compito, sorella. Abbiamo preso un impegno e adesso
dobbiamo riscuotere.» Vero. Miceli sapeva che, per quanto Sabrota fosse malvagia e insensibile a qualunque emozione, nulla avrebbe potuto fare se Paolo si fosse mostrato all'altezza della situazione. Si mosse riluttante. Aprirono una grande porta con una vistosa maniglia a forma di teschio, attraversarono un ampio giardino sotterraneo ed entrarono in una grotta. Un uomo sporco e agonizzante si lamentava da giorni. Aveva il corpo nudo coperto di ferite più o meno cicatrizzate. Al richiamo di Miceli, la testa del ragazzo si sollevò appena. Avrebbe voluto parlare, ma la lingua gli era stata strappata. Cercava, volgendo stancamente il capo a destra e a sinistra, di scorgere una luce che non avrebbe mai più potuto vedere, semplicemente perché non aveva più gli occhi. Miceli piegò le labbra in un'espressione di pena. I Demoni della terra stavano diventando sempre più disumani e sanguinari, un tempo uccidevano rapidamente le loro vittime, ora si divertivano a torturarle. «Dici che sopravvivrà?» chiese Miceli, addolorata, mentre gli tirava via un lembo di carne pendente, mossa che suscitò un altro grido soffocato nel pover'uomo. «Che cazzo ne so io? Il mondo è pieno di umani, ogni tanto qualcuno dovrà pur crepare!» «Sei sempre la solita stronza, Sabrota» sussurrò Miceli. Si avvicinò di più al corpo incatenato di Paolo, gli sollevò la testa e lo baciò in fronte, prima di fissare dispiaciuta le sue orbite vuote e sanguinanti. Lo sentì biascicare
qualcosa, avvicinò l'orecchio, ma ovviamente era impossibile capire. Sabrota represse un moto di stizza. L'indole romantica della sua noiosa sorella le faceva venire il vomito. «Nostra madre avrebbe dovuto offrirti in sacrificio, sei così debole e prevedibile...» «E invece ha trasmesso i poteri a tutte e due, mi spiace per te. Siamo gemelle, entrambe eravamo destinate.» E guai per una ad uccidere l'altra. Atroci erano le pene per una Masca che uccidesse una compagna, per lo più dello stesso sangue. Non solo: era la gemella che per prima aveva visto la luce e doveva vegliare su Miceli, aiutarla nel suo cammino di strega. La cosa era alquanto umiliante e anche piuttosto frustrante. «...Dannazione» borbottò. «Renditi utile, tiragli via l'orologio.» «Prendilo tu» sbottò Miceli, ancora arrabbiata. «Non ci penso nemmeno!» esclamò Sabrota, disgustata. «Io non la tocco quella cosa schifosa!» Detto ciò lasciò la grotta. I lamenti di Paolo si erano fatti persistenti e Miceli iniziava ad averne noia. Lasciò la testa dell'innamorato perduto; nelle condizioni in cui versava, di certo non era più nelle sue grazie: chi avrebbe mai potuto amare un mostro? Sfilò l'orologio dal polso di Paolo quindi uscì, lasciandolo da solo, dannato per l'eternità. Avevano un appuntamento importante, meglio gettarsi il passato alle spalle, in attesa di un'altra vittima da sacrificare. Sabrota aveva due occhi turchesi di
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cui andare fiera? I prossimi sarebbero stati suoi e li avrebbe avuti viola, ma adesso avevano una creatura di cui occuparsi. La luna si era nascosta dietro una coltre di nuvole, il mare era in tempesta, poche luci si affacciavano sulla spiaggia, di qualche falò consumato non rimaneva che cenere. Una ragazza bionda era immobile sulla riva, i piedi nudi, la gonna si muoveva attorno alle sue gambe. Il frastuono del vento e delle onde che sbattevano contro il pontile copriva le urla disperate del neonato che stringeva tra le braccia. Due donne vestite di scuro le si avvicinarono con lentezza e allungarono le braccia verso di lei. La biondina esitò, poi allungò il fagotto verso quelle braccia protese come artigli. Miceli prese la neonata e la pose al riparo sotto l'ampio mantello, tentando di calmare le sue grida disperate. «Che ne sarà di lei?» chiese Sara, con un nodo alla gola. «Ce ne prenderemo cura, diventerà una di noi» rispose Sabrota. «E... Paolo?» Sabrota le gettò davanti l'orologio d'oro. Sara lo riconobbe. «Avevi ragione» sospirò Miceli. «Se si fosse mostrato degno, il nostro patto sarebbe stato nullo, ma la sua anima era oscura.» «Lo avete ucciso?» «No» fu la secca risposta. «Ma adesso appartiene a noi, hai avuto la tua vendetta. E ora, come da accordi, anche la creatura che hai avuto con lui è nostra.» Sara annuì. Avrebbe voluto chie-
dere altro, ma non ne ebbe il coraggio. Quando sua nonna le aveva scritto l'incantesimo per evocare le streghe, c'era mancato poco che le scoppiasse a ridere in faccia. In un momento di sconforto aveva letto quelle strane parole, in quella lingua sconosciuta, e si era attesa che nulla accadesse. Invece era apparsa Sabrota. Aveva due occhi di fuoco e una voce che sembrava venire dall'oltretomba. Avevano fatto un patto: la sua vendetta su Paolo in cambio della creatura che aveva in grembo. Sara odiava quel figlio indesiderato e le era parso uno scambio equo. Adesso, però, mentre ne ascoltava il pianto, nulla le sembrava più così giusto. E se Paolo aveva un'anima nera, ora anche la sua lo sarebbe diventata. «Ma se qualcuno...» mormorò la giovane, in un ultimo tentativo di riavere la sua bambina «...mi chiederà di mia figlia...» «Lei non esiste. Non sei mai stata incinta» concluse Sabrota. Alzò il braccio per eseguire il suo sortilegio finale. I vagiti della piccola si perdevano nel vento. Sara si posò le mani sul ventre e crollò a terra, accecata dalle sue stesse lacrime, col vento a nutrirsi del suo dolore. «No, aspetta» gridò Miceli, arrestando l'incantesimo della sorella. Questa la investì con i suoi occhi carichi di odio e disprezzo. «E adesso che c'è?» tuonò, contrariata. Miceli le sussurrò: «Usa l'oblio, ti prego. Non vedi come soffre?» Sabrota ebbe un moto di stizza. «E ti sembro una che ha pietà, io? Sono forse una fata? O una cro-
cerossina?» «Se sei una buona strega saprai ben operare un incantesimo di oblio!» Sara continuava a singhiozzare e a guardarle. Non riusciva a capire cosa avessero in mente quelle due... Sabrota scoppiò a ridere. «Sorellina cara... Il tuo tentativo di stimolare il mio orgoglio è miseramente fallito. Non sono una sciocca, non cado in questi tranelli.» Miceli s'illuminò, ma tentò di non lasciar trasparire eccitazione mentre annunciava: «Se concederai a questa donna l'oblio, giuro che lascerò che tu ti occupi della cura, dell'educazione e dell'indottrinamento di questa bambina per i prossimi cinque anni e non avrai da parte mia alcuna interferenza.» Vide la faccia di Sabrota mutare in innumerevoli espressioni che andavano dalla sorpresa alla perplessità, dallo scetticismo all'esaltazione. Il vento si era calmato e anche il pianto della neonata, accucciata contro il seno di Miceli. «Lo giuri?» chiese Sabrota. La cosa la intrigava non poco e si capiva. «Giuramento di fuoco» assicurò Miceli «che io muoia sul rogo se mi permetterò di invadere la tua autorità. Tu sarai l'unica che avrà diritto su di lei.» Sembrava sincera. Sabrota tentò di scorgere l'inganno dietro quegli occhi sempre privi di menzogna. Con i suoi sensi acuti osservò attentamente il viso della sorella, in cerca di un indizio che la tradisse. Non ne trovò, tranne
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che per un impercettibile tremito di quelle labbra rosse, forse dovuto al freddo. Alzò di nuovo il braccio ammantato dalla nera veste, pronunciò alcune parole dal tono vagamente demoniaco e Sara fu avvolta da una luce nera che la inghiottì all'istante. Nessuno da quel momento avrebbe avuto ricordo della sua gravidanza, neppure lei, le sarebbe stato risparmiato un inutile tormento. Le due sorelle tornarono a guardarsi. Sabrota si sentì sollevata, era un bene che avessero sistemato le cose in quel modo, non le andava di iniziare una disputa su chi delle due dovesse fare da tutrice alla pargola. Per cinque anni sarebbe stata lei sola a guidarla. All'improvviso aggrottò le sopracciglia. Arricciò il naso, in una comica espressione di fastidio. «E adesso che c'è?» chiese Miceli, trattenendosi dal mettersi a ridere. «Cos'è questo puzzo tremendo?» Miceli finse di cadere dalle nuvole, ma poi, accostato il viso alla bimba, annunciò: «Credo abbia fatto la cacca...» «Cosa?» gridò Sabrota, inorridita. «Diavolo, e che dovremmo fare, ora?» «Dovremmo?» ripeté Miceli, innocentemente. «Dovrai, vorrai dire... Ti ricordo che abbiamo fatto un patto, devi occuparti della bimba per i primi cinque anni di vita. Questo comprende pulirla, mia cara...» Le grida indispettite di Sabrota si confusero con le onde che continuavano ad infrangersi contro le barriere del porto.
S ka n Tu non sei me
Il riverbero del sole sul mare mi acceca. Il molo bianco scompare un istante divorato dalla luce, lasciando solo l’odore di salsedine e carburante. Doveva essere una splendida vacanza. Si è rivelato essere il solito incubo. Continuando a marciare spedita verso la nave strizzo le palpebre nel tentativo di vedere, vorrei ripararmi gli occhi con le mani ma non oso tirarle fuori dalle tasche. Non sono riuscita a pulirle come avrei voluto. Il calore mi soffoca. Sento gocce di sudore colare sulla mia schiena, sulla mia fronte, sul mio petto. Mi sento un’idiota a tenere la cerniera della felpa chiusa fino al collo con questo caldo, per fortuna il molo è praticamente deserto altrimenti attirerei l’attenzione di tutti ed è l’ultima cosa di cui ho bisogno. L’unica consolazione è la consapevolezza che senza felpa darei molto più nell’occhio. Il sole viene improvvisamente oscurato dal grattacielo galleggiante. Alzo lo sguardo per ammirarla, da quando ho cominciato la crociera non sono mai stata così contenta di vedere la nave. Poco, mi manca solo così poco. La passerella scricchiola in
maniera inquietante sotto il peso dei miei passi. Per un momento ho la sensazione che voglia dissolversi e lasciarmi sprofondare nell’abisso di acqua salata. Tutto sommato potrebbe anche essere una buona soluzione. -è tornata presto, la nave salpa tra un’oraLa voce mi paralizza. Se non mi avesse parlato avrei travolto il ragazzo in uniforme. Alzo lo sguardo su di lui e lo abbasso praticamente nello stesso istante. Non posso farmi vedere negli occhi, capirebbe. I miei occhi mi tradiscono sempre. Devo dire qualcosa -fa troppo caldo in città-. Nella tasca stringo nervosamente la tessera magnetica, devo dargliela per forza per procedere con l’imbarco. Questo vuol dire che mi vedrà la mano. -Si sente bene?-Benissimo- non ho mai detto una bugia più grande e meno credibile. So di avere un aspetto orrendo. Dovrei continuare a parlare in modo che quando gli porgerò la tessera sia distratto e non noti la mano, eppure non lo faccio: se apro ancora una volta le labbra va a finire che gli vomito addosso. Quel sapore nauseante incollato al fondo della mia gola continua a ricordarmi quanto abbia bisogno di un bagno. Con riluttanza tiro fuori ma nano dalla tasca gli lascio la tessera lanciandogli uno sguardo furtivo. Devo sapere
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se capisce. È bravo, ha imparato bene a conservare la sua espressione amabile. Eppure alla vista dello sporco incrostato sotto le mie unghie compare per un attimo il bianco immacolato dei suoi denti e il labbro superiore si alza verso il naso. Bene. Il disgusto è meglio della paura. Se avesse capito cos’è quella sporcizia avrebbe spalancato gli occhi dall’orrore. -Prego, entri pure- la sua voce è di nuovo gentile e accogliente mentre esibisce un largo sorriso. Mi limito a un cenno del capo e proseguo alla maggiore velocità che riesco a tenere senza correre. La nave è deserta. La maggior parte dei passeggeri si sta ancora godendo lo sbarco. Bene, così posso arrivare alla mia cabina passando inosservata. Le mani mi tremano, non riesco ad aprire la porta. Ancora poco, devo resistere ancora così poco. Mi precipito nella cabina e sbatto la porta alle mie spalle. Il rumore sordo dello schianto ancora rimbomba tra le pareti mentre rapida mi slaccio la felpa e me la sfilo. Mi muovo come se i miei vestiti fossero in fiamme, non ne sopporto più l’odore. Non sopporto più quella sensazione di viscido e appiccicoso alla mia pelle. Quando sarò di nuovo lucida dovrò pensare a come liberarmi della canottiera, per ora
mi limito a lanciarla lontano da me. Questa si affloscia in un angolo, schiacciata dal peso del sudore e del sangue. Sfortunatamente solo il primo dei due è mio. Crollo in ginocchio davanti al water. Mi infilo due dita in gola, non la voglio questa schifezza dentro di me. Sono colta da spasmi irrefrenabili. Lo stomaco di contrae, la gola si dilata facendo lo stesso rumore di un lavandino quando viene improvvisamente stasato. Nient’altro che aria e saliva escono dalla mia bocca. È troppo tardi. Lacrima calde mi bruciano il viso. Non capisco se sono di rabbia o disperazione. È successo di nuovo, eppure sono stata così attenta. Quindici mesi, quindici lunghi e splendidi mesi senza l’ombra di una crisi e adesso questo? Cerco di ricordare, di capire dove ho sbagliato. Inutile, vuoto totale. Rammento la voce della guida turistica e il calore soffocante dei raggi del sole che mi impedivano di prestarle attenzione… dopo c’è solo il retro di un locale in cui non ricordo di essere entrata. Sangue sulle pareti, il suo odore intriso nell’aria e il suo sapore incastrato nella mia gola. Sono colta da un altro vuoto conato. Nonostante sia successo tante volte il ricordo di quei viscidi resti di fronte a me continua sempre a impressionarmi. Questa volta erano anche ridotti peggio del solito, se non fosse stato per i brandelli insanguinati di una maglietta avrei potuto credere che
non fossero nemmeno appartenuti a un essere umano. -Ho visto tossici in condizioni migliori delle tue- la voce infrange il silenzio della cabina e il caos nella mia mente. Un suono orrendo, una maschera dietro cui si intravedono le risate folli di un assassino, il pianto di mille bambini e i rantoli di un uomo morente. Lentamente mi volto verso la fonte di quella voce. Lo specchio sopra il lavandino è esattamente come l’ho lasciato questa mattina. Coperto dalla plastica nera di un sacco dell’immondizia sigillata sui bordi con abbondanti quantità di nastro adesivo. Vorrei alzarmi e prenderlo a pugni fino a ridurlo a un cumulo di lucide schegge, invece rimango dove sono, in ginocchio sul freddo pavimento. Ho infranto troppi specchi nella mia vita per poter sperare che basti questo a liberarmi di lei. -Si può sapere che cosa è successo?- lo chiede con disinvoltura accompagnata da una nota di quella che sembra reale curiosità. -Come fai ad avere il coraggio di chiedermi una cosa del genere? Sei stata tu-A fare che cosa?Mi sta prendendo in giro? Non ho proprio voglia di scherzare. -Almeno sai chi era? Sai chi hai divorato questa volta?- la mia voce è un ringhio, tengo i denti stretti per non urlare. -Divorato? No, aspetta un attimo. Sono quindici mesi che non mi lasci uscire, qualunque cosa sia successa non sono stata ioLancio uno sguardo carico d’odio alla plastica nera, porta invalica-
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bile che separa il mio mondo dal suo; la mia coscienza dalla sua. -Hai detto lo stesso anche dopo aver ucciso mamma e papà-Vero, ma quella volta mentivoIo ancora piango quando la notte mi sveglio ripensando hai loro corpi senza vita e al loro sangue sulle mie mani. Invece nella voce del riflesso non c’è la minima traccia di rimorso, infondo perché dovrebbe? Loro erano i miei genitori, non i suoi. -Dico sul serio, sono sempre rimasta da questo lato dello specchio, non sono venuta dalla tua parteÈ brava, per un breve istante quasi le credo. -Quindi è stato l’uomo nero delle favole?-Non essere ridicola, l’uomo nero attacca soltanto i bambini. Io preferisco anime che siano un po’ più invecchiate, la loro paura lascia un retrogusto miglioreSe fosse una persona reale le darei uno schiaffo –Sei disgustosa-Grazie, è la prima volta che mi fai un complimento-Brucia all’infernoScoppia a ridere, un suono osceno che strazia l’aria nella quale si espande. -Siamo già all’inferno, splendidamente nascosto dietro la maschera dell’umana virtù ma sempre inferno rimane. Prova a fare attenzione, riuscirai a sentire il tanfo di putrefazione delle loro bugie e i gemiti strazianti delle loro promesse violentate. Togli questo stupido telo dallo specchio e guarda il vero volto del mondo, poi potrai dirmi se sei ancora convinta che io non stia già bruciando-
Sto tremando, non vorrei tremare ma lo sto facendo. -Mi credi davvero tanto stupida, non ti lascerò uscire una seconda volta nello stesso giorno- sarebbe un disastro. Un conto è che arrivi da questo lato affamata e priva di forze, tutt’altra cosa sarebbe se arrivasse in un corpo carico del pasto di anime e sangue. Impiegherei giorni interi per farla tornare dall’altro lato dello specchio e riprendere il controllo del mio corpo. -Te lo ripeto per la centesima volta: non sono stata io. Pensaci bene, come avrei potuto uscire senza che tu ti specchiassi?Odio ammetterlo ma ha ragione. Non può venire in questo lato a meno che io non fissi i suoi occhi. Rimango in silenzio, cercando disperatamente di ricordare tutti i dettagli dei luoghi in cui sono stata oggi. Pensando a dove avrei potuto incontrare il suo sguardo. -Hai parso la lingua? Come mai hai smesso di lanciarmi insulti?-Sta zitta, sto cercando di ricordare- scatto innervosita più dal fatto di non riuscire a capire come ho potuto prendere il controllo piuttosto che dalle sue parole. Il silenzio si allunga interminabile. -Allora? C’erano specchi?- chiede alla fine spazientita. -No- sono costretta ad ammettere –Che cosa è successo? Se non sei stata tu chi è stato?-Te l’ho già detto, dal mio lato ci sono soggetti ben peggiori di me. Tenermi troppo a lungo rinchiusa lascia un enorme e allettante posto libero per tutti coloro che non hanno un riflesso nel tuo lato-
-Guarda che tra noi due il riflesso sei tu-Questione di punti di vistaNon mi metto a discutere, non è questo il momento per farlo. -Vuoi dire che qualcun altro potrebbe prendere il tuo posto?Non so se la cosa mi spaventa o mi da sollievo. È da quando sono nata che il riflesso mi perseguita e la speranza di potermi liberare di lei mi riempie gioia, ma se qualcun altro prendesse il suo posto non sono sicura ne varrebbe la pena. -Dovrebbero uccidermi mentre sono nel mio lato per separarmi da te, e sono poche le ombre in grado di farloLa sua voce non è più spavalda e arrogante, me ne rendo conto con sorpresa. C’è una strana sfumatura che non ho mai sentito prima. -Che ti prende, ora non mi deridi più?Per una volta tocca a me ridicolizzarla. -Fa freddo-Non essere ridicola, ho acceso l’aria condizionata al massimo solo per poter rendere l’ambiente sopportabile-Ti dico che fa freddo, ma non lo senti?Sta battendo i denti. Vent’anni che mi perseguita ed è la prima volta che la sento tremare. C’è qualcosa che non va. Mi alzo in piedi e comincio lentamente ad avvicinarmi allo specchio. -Lo hai sentito?-Sentito cosa- dal mio lato non c’è niente. -Credo siano dei passiÈ spaventata, sembra veramente spaventata.
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Rimango in silenzio, il viso a pochi centimetri dallo specchio per cercare di capire se dall’altro lato ci sono dei rumori che qui mancano. Il mondo pare essersi pietrificato, mi sembra quasi di riuscire a vedere attraverso la plastica nera il riflesso teso e spaventato nel tentativo di cogliere ciò che sta arrivando. Urla. Faccio un balzo all’indietro, assordata da qual grido. -No! Lasciami!La sua voce è acutissima, frantuma l’aria. Mi stupisce che non frantumi anche i vetri dello specchio. Nella mia stanza c’è solo silenzio, eppure dell’altro lato dello specchio è un susseguirsi di rumori confusi. Rumori di una lotta. -Hei che cosa succede?!Il cuore batte talmente forte contro le mie costole da farmi male. Se lei muore io sentirò dolore? Il portasapone appoggiato contro il lavandino cade a terra, spinto da una forza che non appartiene a questo mondo. Faccio un passo indietro. Questa è una cosa che succede molto raramente e non è mai un buon segno. Ora un unico rumore arriva dal mondo al di la dello specchio, un rantolo sordo. Il respiro agonizzante di polmoni che disperatamente cercano di nutrirsi d’aria. Sta soffocando. Le luci nella stanza tremolano come fiammelle colpite da un vento impetuoso, anche loro in preda all’agonia.
Devo sapere cosa sta succedendo. Con cautela comincio a rimuovere il nastro adesivo dal margine inferiore del telo nero. Il respiro è spezzato, come se i suoi cocci sparsi sul terreno venissero calpestati dai piedi di un gigante. Alzo con cautela la plastica nera, quel tanto che basta per scoprire pochi centimetri dello specchio. Sbircio dall’alto verso il basso, in modo da non correre il rischio di incontrare il suo sguardo nel caso si trattasse di un inganno. Vedo un ombelico, il mio ombelico, insieme a una sottile striscia del ventre ancora sporco del sangue che aveva intriso la canottiera. Mentre io sono calma e immobile i muscoli del riflesso si contraggono disperatamente. Le dita della sua mano grattano la superficie dello specchio dall’altro lato, un gesto disperato. Ultimo vano tentativo di strappare ossigeno. Il braccio del riflesso si affloscia lungo il suo corpo. Il ventre smette di contrasi. Il respiro strozzato cessa di graffiare l’aria. Rimane solo il silenzio. Passano secondi, minuti, giorni, anni. Non so per quanto tempo rimango immobile a osservare il riflesso aspettando che riprenda a muoversi, che cominci a ridere divertita dalla mia falsa speranza. Non succede. Appoggio le dita sulla liscia superficie riflettente. L’immagine dall’altro lato fa altrettanto. In venti anni, venti lunghi anni, il riflesso non ha mai seguito i miei movimenti. Faccio un passo indietro, la figura dall’altra parte dello specchio
fa altrettanto. Provo piccoli gesti, quasi impercettibili. Il mio riflesso li ripete con me, senza ritardare di un istante, senza sbagliare di un millimetro. Mi sono davvero liberata di lei. Faccio un altro passo verso lo specchio, le mie mani tremano appena dall’emozione. È da quando ho undici anni che non vedo il mio viso, non so nemmeno che aspetto ho. Con le unghie sollevo il nastro adesivo incollato alle piastrelle. Esito un istante. Tolgo lo scudo di plastica nera. La mia risata esplode fragorosa. Gioia, pura, selvaggia, irrefrenabile gioia. Sono libera. Quando riesco a calmare lo scoppio di ilarità lancio uno sguardo al mio riflesso. Una semplice, comune giovane donna; ma nella sua espressione non c’è nulla di comune. Le labbra arcuate, appena aperte perché si sono dimenticate come allargarsi per urlare. Gli occhi spalancati, le palpebre talmente alzate da fondersi con le sopracciglia sollevate. La perfetta immagine del terrore. Quando sono da questo lato ho il suo aspetto, ma per fortuna non le sue espressioni. Sorrido –Piaciuto lo spettacolo? Sono stata brava a uccidermi?Non mi risponde, è troppo sconvolta. -Andiamo non guardarmi così, dovevo trovare un modo per convincerti a farmi uscire. Non potevo permettere che sprecassi lo splendido antipasto che abbia-
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mo fatto oggi in città, tutta quella forza vitale buttata via sarebbe stato un insulto-Sei stata tu-Elementare wotzon. Tanto per darti un buon suggerimento: la prossima volta che un ragazzo cerca di rimorchiarti assicurati che non porti degli occhiali a specchio. Lo dico per il suo bene, come avrai notato il dongiovanni di oggi non ha fatto una bella fineMi godo ancora per un istante la sua espressione sconfitta per assaporare tutto il gusto della vittoria. -Ti lascio ai tuoi pensieri- non la trovo già più interessante –Vado a prepararmi per la serata, voglio fare una bella impressione sulla mia cenaEsco dal bagno e osservo con soddisfazione la cabina. Un posto di lusso, con un’ampia vetrata che mi concede una splendida vista sul porto. Sono riuscita a uscire giusto in tempo per la partenza, non sento l’immensa nave muoversi ma lentamente una striscia di mare compare tra me e il molo. La città si allarga mentre le navi ormeggiate nel porto si fanno sempre più piccole. Sempre più lontane. Chiudo gli occhi, mi concedo un istante per ascoltare il brulicare della vita intorno a me. Tutte quelle anime intrappolate dallo splendido abisso d’acqua nel quale la nave ci sta inesorabilmente trascinando. Sarà davvero una splendida vacanza.
S ka n La dama del lago
che ricordavano la terrestre Mykonos, i pilastri dei lampioni erano in arenaria e anche le piante erano scelte in base al colore del tronco e delle foglie, creando un'armonia abbagliante. Sull'acqua di un colore perlaceo, dovuto pare all'elevata concentrazione di una qualche famiglia di batteri, diverse regine dei mari attraccavano pigre o aspettavano pazienti il loro turno. Tra loro la Dama del Lago dava una sensazione di inadeguatezza: una piccola vecchia nave a fusione, ormai surclassata dalle più imponenti imbarcazioni con tecnologia a dilitio. Una volta era stata la candida signora di quell'immenso lago, ora dell'antico splendore erano rimasti decrepiti sfarzi e una fiancata rovinata dal sole. Il nome, che una volta si stagliava blu in tutto quel bianco, era appena leggibile, come se la dama avesse indossato un velo per coprire le sue rughe. «Vuoi metterci tutto il giorno?» urlò Spike, sbracciandosi dal molo dove la veneranda dama li stava attendendo. «Tanto non abbiamo fretta» rispose Dexter, sistemandosi la sacca con le attrezzature e allungando il passo.
«Come va l'emettitore olografico?» chiese Dexter scendendo dal convoglio, bianco come tutto nella regione intorno al lago imperatore. Spike si voltò verso il tecnico e sorrise. «Fantastico!» Si dette una pacca sul ventre, all'altezza dell'ombelico. «Sta sopportando magnificamente il caldo.» Dexter annuì. «Non sforzarlo oltre il necessario.» Come umano Spike era poco più basso di lui, il che faceva dell'ologramma un vero e proprio tappo. I limiti della tecnologia olografica non permettevano di più. Aveva conservato le orecchie appuntite, che svettavano nella massa di capelli castani, mentre i tratti elfici si univano alla corporatura minuta dando un'idea complessiva di un giovane malandrino. «Promesso» rispose, riprendendo a correre lungo l'ampia scalinata distesa sul pendio che portava al porto. La vista dalla stazione spaziava su tutto il porto di Angos, che aveva fatto dell'utilizzo del bianco un'arte. Le case erano intonacate e dipinte di un bianco Il capitano li aspettava sul accecante, con tetti azzurri
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punte di comando. «Il capitano Luaxana Varies vi dà il benvenuto a bordo.» Li salutò con il saluto marinaro di Tetracta, un complesso e austero intreccio delle quattro braccia della tetramand. «Piacere di conoscervi» aggiunse, porgendo una delle mani in un tono meno formale. Come tutti i tetramand, aveva una morsa idraulica nella mano, e la presentazione del ragazzo divenne «Piacere, Dexter Da-aah-molla!» Luaxana scoppiò in quella che per la sua razza era una sonora risata, dando una pacca sulla spalla del tecnico e quasi facendogli sputare l'anima. «Voi terresti mi fate sempre morire dal ridere.» Gli occhi neri, incastonati nel volto di cuoio rosso, brillavano. «Il suo amico non si presenta?» «Piacere, Spike.» Luaxana non riuscì a ripetere la performance: la sua mano passò attraverso quella dell'ologramma. «Ops...» sorrise questo. «Problemi con l'emettitore?» si allarmò Dexter. «No: l'ho fatto apposta.» Di nuovo la tetramand scoppiò a ridere, dando un'altra pacca sulla già dolorante spalla di Dexter. «Mi farete morire!» esclamò, dopo diversi minuti, risistemandosi velocemente la
crocchia di capelli spessi come fili di piombo. «Sì. Ehm... Le dispiace se iniziamo a occuparci della nave?» disse Dexter massaggiandosi la spalla. «No, ha ragione.» Il capitano fece scivolare le dita robuste lungo il pannello lucido e usurato. «Gli ordini li conoscete no? Dobbiamo riportare la nave nel cantiere di Baltir, dove verrà smantellata.» «Sì» confermò Dexter, mentre Spike gironzolava per la plancia, sbirciando ogni strumentazione. «Durante il tragitto farò un'indagine preliminare per le operazioni di recupero.» «E si occuperà della sala macchine» concluse Luaxana. «Saremo solo noi tre?» chiese Spike, ammirando la vista sul porto da una delle imponenti vetrate. «Noi bastiamo e avanziamo!» «Il modello Trasponder G4 è pensato per poter fare brevi viaggi con un equipaggio molto ristretto» spiegò Dexter. «Avranno pensato che, per un viaggio di tre o quattro ore, bastavamo noi.» «Ma non è questo il vero motivo, giusto?» insistette Spike. Luaxana riprese a ridere. «Seriamente» riprese il tecnico «che cosa non ci sta dicendo?» «Ma che domande sono?» «Avrà già capito che Spike è un U.S.O., unità di supporto olografica, e tra i vari moduli
installati ha il ricognitore di microespressioni facciali. Di fatto è una macchina della verità ambulante.» «Ma non mi stava neanche guardando.» «Sono un ologramma. Questi» indicò gli occhi verde sgargiante «servono solo a indicare a cosa do attenzione. Ma vedo a trecentosessanta gradi in tutte le direzioni.» «Quindi è in grado di capire se qualcuno mente.» «Nel suo caso di capire che mi sta nascondendo qualcosa.» Spike sorrise «Adesso, ad esempio, è curiosa: immagino voglia sapere come faccio. Be', non lo so bene a livello cosciente. Potrei accedere ai log della procedura, ma la avverto che è noiosissimo.» Luaxana scoppiò in una nuova risata e Dexter si scansò prima che gli arrivasse la terza pacca. «Hai ragione, amico virtuale. La verità è che nessuno vuole salire a bordo perché qui c'è un fantasma. È anche il motivo per cui la nave verrà dismessa.» «Vuol dire che ci faremo l'ultimo viaggio della nave solo noi tre e un fantasma?» Gli occhi di Spike brillarono «È fantastico!»
nante era il nero: nero dei macchinari ossidati, nero di olio refrigerante, nero di grasso sulle giunture. Le luci azzurre che brillavano dietro manometri e consolle digitali ogni pochi passi degli stretti passaggi tra i cinque cilindri davano al tutto un'atmosfera grottesca. Dexter provò a immaginare la sala il giorno del varo, lucida e cromata, con tutte le postazioni occupate e i marinai al lavoro ed emise un triste sospiro. «Non ti hanno voluto molto bene, vero?» Posò la sacca appena all'ingresso e prese uno degli apparecchi per le misurazioni. Il primo lavoro del tecnico consisteva nel capire cosa potesse essere recuperato, e i condotti al plasma andavano esclusi. Sarebbero stati fusi o riconvertiti, ma la sottile tecnologia magnetica era irrecuperabile. Le turbine si avviarono in un ronzio disarmonico che prometteva guai al convertitore, se il viaggio fosse durato più a lungo. Il motore a fusione, invece, pareva ancora in buono stato. Si chiese se sarebbero riusciti a trovargli un nuovo uso. Continuava a controllare impianti e avviare macchinari, La sala macchine si adagiava segnando i pochi dispositivi su quattro ponti, rubando spa- ancora recuperabili su un zio alle cabine e ai magazzini, blocco digitale, ma non riusciva costringendo i corridoi in svolte a smettere di pensare al fantaserpentine. Il colore predomi- sma. Non condivideva l'idea
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del suo amico cibernetico: razionalmente sapeva che i fantasmi non esistevano, ma lì, nella solitudine della sala macchine, piena di suoni disarmonici e ronzii, era come se ci fosse sempre qualcosa in più. Un suono che non avrebbe dovuto esserci, una voce di donna, il pianto di una bambina. Scacciò quel pensiero e tornò a concentrarsi sulla consolle di servizio che stava controllando, ma gli riuscì giusto il tempo di controllare i primi tre indicatori. Poi un rumore nuovo lo fece voltare di scatto. Nessuno. «Spike?» Nessuna risposta «Spike, giuro che se sei tu...» qualcosa cadde con fragore metallico dietro di lui, ma la stanza era vuota. «Spike...?» Mosse qualche passo incerto lungo il passaggio tra il reattore e la paratia. «Sai che odio questi scherhiaAAAH!» Spike si rotolava a terra dalle risate, mentre Dexter tremava, tenendosi la mano sul cuore. «Spike...» disse, tra un respiro e l'altro. «Io... Ti... deprogrammo.» La figura di Spike sfarfallò, segno che l'emettitore era al limite, ma lui continuò a rotolare e ridere. Tornò nella sua versione folletto, alto due spanne con il testone, continuando a tenersi la pancia dalle risate. «Chi è che ride senza avermi invitato?» chiese Luaxana,
scendendo la stretta scaletta di metallo. «Folletto psicotico con istinto omicida» rispose Dexter, cercando ancora di normalizzare il respiro. Il capitano lo afferrò con tutte e quattro le possenti braccia e lo rimise in piedi. Le ginocchia gli parevano fatte di gelatina. «Avresti dovuto vedere la tua faccia!» «Vedrai la tua dopo che avrò messo le mani sul tuo codice sorgente!» «Oh, il piccolo le ha voluto fare uno scherzo.» La faccia della tetramand era tirata, quasi stesse aspettando il momento giusto per esplodere in una risata. Il rumore metallico si ripeté. Ricordava, in qualche modo un lamento. «Va bene, Spike, molto divertente.» «Stavolta io non c'entro.» rispose il folletto, alzandosi in piedi. Così piccolo non poteva occultare il pesante cilindro dell'emettitore olografico nel suo corpo. Il rumore si ripeté. Pareva una parola. «Ne sei sicuro?» Dexter lo fissava negli occhi. «Giuro.» Il reattore tossì e si spense, immediatamente seguito dalle turbine e da tutti gli altri macchinari. Nel silenzio irreale che seguì, solo un'unica eco, la parola pronunciata dalla voce di una fanciulla: «Andatevene.»
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«Zuppa di verdure e cipolla!» esclamò Spike, servendo una brodaglia verde dalla consistenza melmosa in lussuosi piatti di ceramica. Dopo l'incidente in sala macchine, ci erano volute tutta la caparbietà del tecnico e qualche pittoresca imprecazione per far ripartire i motori, limitando a qualche ora il ritardo sull'orario di partenza. Nel frattempo Spike aveva trovato qualche residuato in cambusa, e aveva insistito per preparare la cena. «È... commestibile?» chiese dubbioso il ragazzo. «I valori nutrizionali sono ottimi» garantì l'ologramma, riempiendo anche il piatto del capitano. «Non mi sembra una gran rassicurazione.» Dexter guardò da vicino un cucchiaio della zuppa. Pur non avendo un vero senso del gusto, Spike adorava cucinare e il ragazzo finiva spesso cavia dei suoi esperimenti culinari. «Poche storie e butta giù!» esclamò il capitano. Dexter fu veloce a schivare la pacca diretta alla sua spalla sinistra. «Questo rancio sa il fatto suo!» Mangiavano al tavolo del capitano, che dominava il sontuoso e deserto salone dei ricevimenti. Dexter avrebbe preferito evitare di mangiare in quella sala così grande e vuota, ma era stato messo in minoranza. «Allora ti piacerà anche la carne!»
«C'era carne in cambusa?» commentò Dexter. «Bisogna essere creativi!» fu la risposta di Spike, inquietante quanto le storie di fantasmi. «Devo... proprio provarla?» «Sentiti obbligato!» esclamò il capitano, alla sua seconda ciotola di zuppa. Alla fine la carne si rivelò di pollo superstite all'ultimo viaggio e ancora buono secondo i sofisticati sensori di Spike. Anche la cottura era ottima e mancava giusto di sale. Però il ragazzo non aveva molta fame. Il tavolo del capitano si trovava nella posizione migliore di tutta la sala: appena rialzato, non troppo vicino alla buca dell'orchestra dal vivo, in un padiglione semicircolare che dava sul mare illuminato dalle lucciole acquatiche. Spike aveva apparecchiato seguendo i dettami di un noto programma di cerimonie, con una decina di candele che si centuplicavano sulla parete di specchi. La sala era vuota e gli unici rumori, oltre al lavoro di mandibole di Luaxana, venivano dalla nave stessa. Lunghi e lenti lamenti in risposta alle ritmiche increspature del lago imperatore si intrecciavano con il costante ronzio disarmonico dei motori. Ronzio che salì di un mezzo tono, promettendo noie sulla seconda turbina prima dell'alba, ma per allora sarebbero già stati in vista del cantiere di Baltir, dove la nave
avrebbe concluso il suo viaggio. Eppure sarebbe bastato tarare i flussi energetici, sostituire qualche componente danneggiato, per riportare la nave ai vecchi sfarzi. Invece, era destinata allo sfascio, surclassata da una tecnologia innovativa, austera e silenziosa, che stava mandando fuori mercato anche Dexter. In quel momento la vide. Era una figura fatta di luci e ombre, l'abbozzo appena accennato di una ragazza in un morbido abito bianco da principessa delle fiabe più antiche. Sedeva vicino al suo riflesso nello specchio. Non osò respirare. Lei fissava la sua immagine, allungando una mano verso la sua nuca, timorosa di sfiorarlo. La mano bianca, sempre meno definita, si allungava in uno strano gioco di riflessi. Era così vicina che gli sembrava di sentirla, come una piccola tensione sulla pelle. Lo stava sfiorando... «Sveglia!» esclamò il capitano, sottolineando il concetto con la più sonora pacca del suo repertorio. La figura nello specchio scomparve. «Io... Spike, cosa rilevi nello specchio?» «Servomeccanismi per i giochi di luce, perché?» «Sono attivi?» «No. Dex, sei bianco. Stai bene?» «Sì. Solo...» Non poteva dirgli che aveva visto il fantasma:
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Spike l'avrebbe trasformato in un altro dei suoi scherzi. «Solo un po' di stanchezza. Mi sdraio un attimo.» La luna si nascondeva ancora sotto l'orizzonte e una infinità di stelle accendeva le onde lattee del lago. Dal castelletto di prua ci si poteva anche dimenticare che esisteva un mondo oltre quel lago e quella nave, un universo oltre quel cielo. «Come dite da voi,» Il capitano si muoveva silenzioso, nonostante la mole. «un penny per i tuoi pensieri.» «Pensavo... Questa nave sembra veramente stregata.» «Forse lo è.» «Lei ha visto il fantasma?» Nella penombra riusciva appena a scorgerne i tratti del volto. «No, ma l'ho sentito.» «Come prima, giù in sala macchine?» «Sì, una cosa del genere. Anche altri l'hanno sentito.» «Nessuno lo ha visto?» «Qualcuno, di sfuggita. Le storie hanno iniziato a circolare da qualche mese. All'inizio ho pensato che fosse suggestione - roba da umani - ma quando l'ho sentito anche io mi sono dovuta ricredere.» «I tetramand non sono suggestionabili?» Il capitano scoppiò a ridere «Non avevamo neanche una parola simile prima di conoscere voi.»
«E... cosa ne pensa del fantasma?» «Qualcosa c'è.» Fu la naturalezza con la quale fece quell'affermazione a renderla così inquietante. «Ehi, non si sarà spaventato?» «Un po', lo ammetto» rispose, schivando la pacca. «Ha finito il censimento?» «Sì.» Si appoggiò sulla ringhiera. «Di recuperabile c'è ben poco. La maggior parte della tecnologia, dove non irreparabile, è obsoleta o rovinata.» «Però la piccola va.» «Va. Però...» Il capitano lo invitò a proseguire con un cenno. «Niente. Pensieri foschi.» Si era alzato un po' di vento. «Dov'è finito il suo amico virtuale?» «Spike? Probabilmente sta controllando l'impianto informatico.» «Fa parte del processo di riciclo?» «No. Credo faccia parte del suo essere. Controlla sempre se ci sono fratelli» mimò le virgolette con le dita «da salvare. Di fatto fa collezione di programmi obsoleti e giochi vintage che trova in giro.» «Capisco.» Il capitano tornò a mirare il mare «Tipico di voi umani costruire macchine con le vostre paranoie.» «Non le sembra di essere un po' dura?» «Ehi, era un complimento!» Il capitano scoppiò in un'altra ri-
sata e Dexter schivò l'immancabile pacca. Le onde ripresero il ruolo da protagoniste in quella notte lenta e tranquilla, tanto che quasi il fantasma divenne un ricordo passato. Dexter si lasciò cullare da quel canto, perdendosi in pensieri talmente profondi che non avevano parole o immagini a esprimerli. Quando un suono metallico lo riportò nel mondo reale, era solo sul ponte, con sulle spalle la giacca di Luaxana. Il suono si ripeté, permettendogli di riconoscerlo come un malfunzionamento del dispositivo di contenimento del motore a fusione. «Cavolo!» esclamò, correndo in coperta. La sala macchine era incandescente, il motore ululava. L'aria puzzava di metallo e bruciava la gola. Il pannello di controllo scottava e nessun servomeccanismo rispondeva. Rinunciò ai controlli automatici e scese di due ponti, prendendo una pesante mazza lungo il tragitto. Prese la mira e colpì il blocco della prima barra di contenimento con tutta la sua forza. Di nuovo e un'altra volta. Il blocco saltò, ma la barra restò al suo posto. «Cosa sta succedendo?» Chiese il capitano dall'alto. Era in canottiera e i capelli neri le cadevano stopposi sulle spalle.
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«Temperatura del nocciolo fuori controllo!» rispose brevemente il tecnico, dando un colpo alla barra. Luaxana imprecò nella sua lingua natia, prese una spranga e iniziò a usarla a mo' di mazza su un altro dispositivo di blocco. «Come è potuto accadere?» chiese. «Non ne ho idea... e cadi!» L'ultimo incitamento ebbe l'effetto voluto e la prima barra di contenimento cadde nel nocciolo. Il rumore cambiò ma non erano fuori pericolo. «Se qualcosa non funziona, il motore non è in grado di autoalimentarsi.» Iniziò a colpire un altro dispositivo di blocco. «Per arrivare a questo punto...» «C'è bisogno di un intervento esterno» concluse per lui il capitano, riuscendo a sbloccare la barra, che scivolò nel reattore, bloccandosi a metà. Luaxana imprecò di nuovo. «Non ce la faremo!» «Dobbiamo sganciare il nocciolo, prima che...» Dexter non riuscì a finire la frase: un'esplosione fece tremare ogni paratia, buttando a terra i due. Si scambiarono una muta domanda. «Abbandonare la nave!» esclamò il capitano. Scapparono per le strette scalette di servizio e gli angusti corridoi, mentre, dietro di loro, le esplosioni continuavano. In
qualche modo Dexter sapeva che stavano imbarcando acqua, avendone la conferma quando arrivarono sul ponte e questo si era inclinato su un lato. «Dov'è Spike?» chiese Dexter, guardandosi intorno. «Si sarà già messo in salvo.» Luaxana corse verso una scialuppa di salvataggio «No, ci avrebbe aspettato. Vado a cercarlo!» Prima che il capitano potesse fermarlo, era già tornato indietro. La nave scricchiolava sempre di più, rumori che formavano parole. «Andatevene.» «Lasciatemi sola.» Il tecnico attivò il suo dispositivo ricetrasmittente da polso cercando il segnale di Spike. Nessuna risposta. «Spike!» chiamò, ma nessuno rispose neanche a quel grido. La sala del computer era buia e immobile. Spike non era lì. Corse nei corridoi, lanciando segnali dal dispositivo da polso, chiamando a squarciagola. Nella sala casinò sentì di nuovo quella voce. Sembrava venire dalle file di macchinette che promettevano vincite facili con le loro luci sgargianti. Non era possibile: il computer centrale controllava tutto: dal quadro comandi nel ponte del capitano ai dispositivi della sala macchine. Spento quello, nessun impianto poteva funzionare sulla nave. Possibile che ci fosse un secondo centro di
calcolo? Sì che c'era! Alcune navi di quel modello prevedevano un computer separato dedicato a tutte le attività dei passeggeri, e si trovava... dietro gli specchi della sala ricevimenti! Mentre correva lungo il corridoio tappezzato di rosso, le tessere del puzzle si andavano a incastrare. L'acqua stava entrando da alcuni vetri spaccati, inghiottendo a piccole ondate il parquet. Sul punto più rialzato, dietro al tavolo del capitano, due specchi erano aperti, rivelando un intreccio di cavi che pareva perdersi nel buio di fioche lucine. «Spike!» urlò, precipitandosi lungo il salone. Era lì, nella sua forma di folletto, più piccolo e trasparente, rannicchiato sopra il tozzo cilindro, dal quale quattro cavi si perdevano nel groviglio della sala. «Spike, stai bene?» chiese, ma Spike non rispose. Alzò la testa, guardandolo con gli occhi opachi. «Sei collegato? Sganciati.» Dexter allungò la mano, cercando di capire dove si attaccassero i fili che tenevano il folletto. «No.» Spike cacciò il ragazzo con una scarica di elettricità. «Ma Spike...» «Non ho finito.» La voce era vuota. «La nave sta affondando! Dobbiamo andare!» «Vai avanti.» La figura del
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folletto sfarfallò. «La devo salvare.» Il tecnico era riuscito a risalire alla macchina a cui era collegato il suo amico. «Ax-1 t! Spike, lascia perdere!» «No.» Il modo in cui ripeté quella parola ricordava un disco incantato. L'acqua aveva ormai invaso la sala, sommergendo i dispositivi più in basso. «Staccati, salterà tutto!» Dexter teneva il cilindro del folletto sollevato. «Devo finire di salvarla.» Ci furono uno sfrigolio e un lampo e diverse luci si spensero. Spike sfarfallò e scomparve. «Spike!» Il folletto ricomparve, la forma era più semplice, i colori più innaturali. «Tu vattene.» «Non me ne vado senza di te!» L'acqua era arrivata alle ginocchia, un'onda sommerse il blocco principale. Ci fu una sfiammata bianca seguita da un tonfo, poi si spense tutto. «Spike! Spike!» Urlò Dexter, ma questa volta il dispositivo non diede nessuna risposta. Staccò i cavi e uscì nella sala. Con un cigolio la barca si inclinò ancora di più, la vetrata della sala sparì sotto le onde. Dexter corse lungo il pavimento scosceso, con l'acqua che gli arrivava al bacino, tentando di non bagnare il cilindro. Cercò di uscire, ma
un'ondata lo tirò indietro. Non riusciva più a toccare il pavimento. Nuotò tenendo stretto il pesante cilindro. Tirò su la testa e un'altra ondata lo tirò giù. L'ultima cosa che sentì prima di svenire furono mani robuste che lo afferravano.
no prese forma dall'altoparlante. «Spike! Come stai?» «Bene credo... Cosa è successo?» «Il fantasma della dama del lago voleva ucciderci» rispose il capitano, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. «Credo che non fosse il fantaSi svegliò in una navetta della sma, vero Spike?» guardia costiera, avvolto in una «Lei... era il computer della sala coperta di lana ruvida. ricevimenti. Le avevano montato «Bentornato tra noi» disse una il sistema operativo Ax-1 t.» voce amica. Luaxana sorrideva «L'avevo notato.» con i suoi denti quadrati. «Mi aggiornate?» chiese Luaxa«Come ti chiami?» chiese un na. paramedico «Ax-1 t, il crea demoni» spiegò «D.. Dexter» rispose e tossì. Dexter. «È un sistema operativo «Spike dov'è?» che, nel ventisette percento dei «Eccolo.» Luaxana gli diede il casi, sviluppa una propria autocilindro metallico. «Non volevi coscienza... che tende a mollarlo, neanche da svenuto.» impazzire. Lo hanno fatto Rise, risparmiandogli la solita disinstallare ovunque.» pacca. «Ma si sono dimenticati del Dexter aprì il cilindro, computer di servizio.» Intuì il controllando che non ci fossero capitano. «Ma perché ha componenti rovinati. Lo asciugò affondato la nave?» come meglio poté, mentre gli «Non voleva morire» rispose infermieri gli controllavano batti- Spike. «Aveva cercato di farvi to e pressione. «Posso collesapere che è viva, ma ha garmi a un computer?» chiese. peggiorato le cose con la storia Fu l'ultima frase per diversi mi- del fantasma. Quando è partita nuti. Finché il volto del folletto per l'ultimo viaggio... è impazzita non apparve, un po' stilizzato, del tutto. Alla fine era un sul monitor, non emise altro che concentrato di follia, era grugniti, monosillabi e, in un ca- completamente concentrata sul so, quella che poteva essere non arrivare a destinazione, interpretata come un'imprecaperdendo di vista tutto il resto. zione. Tutto.» Rimase col fiato sospeso «Quando hai cercato di salvarla, mentre il volto si formava sul sei rimasto coinvolto nella sua monitor, attorniato da scritte e follia ed è riuscita a prendere il numeri di vari colori. Poi un suo- controllo dei macchinari.»
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«Era mia sorella. Dovevo provarci.» «Lo so.» Luaxana fece una carezza al monitor. Il sole brillava sull'acqua color latte del lago imperatore. Salendo sul convoglio veloce che li avrebbe riportati nella capitale, Dexter si fermò un secondo ad ammirare il lago. «Sai?» disse, entrando nel lungo corridoio e cercando il loro posto «Avrei preferito un finale diverso.» «In cui riuscivamo a salvare la Dama del Lago e diventavamo equipaggio di una nave senziente?» chiese Luaxana. «Esatto.» «Allora esisterà qualche luogo in cui questo è avvenuto.» «Dice?» Chiese Spike, aiutando Dexter a caricare il bagaglio nello scomparto. «La nostra religione afferma che esiste un luogo in cui tutte le cose sono andate per il verso giusto.» «E uno in cui tutte sono andate per il verso sbagliato.» «Sì, ma in quello sono morta già da tempo.» E rise, strappando un sorriso anche al tecnico. Il convoglio partì e il lago scintillante scomparve in un attimo. «Come va il nuovo emettitore olografico?» «Bene.» Rispose Spike, toccandosi il basso ventre. «Spero che questo duri un po' di più.»
S ka n Futuro e passato
A quell'ora, le strette vie dei quartieri bassi di Suar erano deserte, a mala pena illuminate dai pochi lampioni ad olio. La locanda dei Quattro Venti era una delle tante che sorgevano in quella zona, un punto di ritrovo per marinai e abitanti del luogo dove si beveva, si giocava d'azzardo o ci si sistemava in un angolo a discutere di affari più o meno leciti. Seduto da solo a un tavolo un po' in disparte, Shur osservava la scena. Erano passati dieci anni dall'ultima volta che era stato a Suar. All'epoca, il solo entrare in una di quelle locande aveva comportato un rischio non indifferente di ritrovarsi un pugnale infilzato da qualche parte. Ora, c'erano un po' di ubriachi che alzavano la voce, ma niente di più. Quello che si diceva era vero. Da quando Gober Naimar, un tempo tra i principali boss della malavita locale, era diventato governatore della città, Suar era più sicura. Certo, giravano voci che il nuovo governatore avesse sempre un occhio di riguardo per gli antichi colleghi, ma stava anche garantendo un livello di ordine e prosperità che non si vedeva dai tempi
della rivoluzione. Shur buttò giù l'ultima sorsata dal boccale che aveva davanti. Chissà come sarebbe stata la birra a Senn. Chissà come sarebbero state le locande, le case, tutto quel mondo sconosciuto oltre l'oceano. Di una sola cosa era certo: che ci sarebbe stata Kidia, e che con lei avrebbe cominciato una vita nuova. “Ehi!” Perso nei suoi pensieri, Shur non si era accorto che Tion si era alzato dal tavolo di giocatori di carte lì accanto. “Vincite buone” disse, con un sussurro. “Ma potrebbero essere migliori se fossimo in due...” Shur lo guardò. Ricordò il ragazzino mezzo morto di fame in cui si era imbattuto otto anni prima a Tiskor. Gli occhi scuri e l'espressione furba erano rimasti immutati da allora, ma adesso Tion era un uomo alto e robusto, con lunghi capelli castani che gli cadevano spettinati sulle spalle. Il modo in cui si appoggiava al tavolo con entrambe le mani e il forte accento che era riaffiorato nella sua voce facevano pensare che non fosse affatto sobrio. Shur scosse la testa. “No. Te l'ho detto, adesso sono un uomo nuovo.” Tion ridacchiò. “Lo sarai quando metterai
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piede sulle terre oltre l'oceano. Per ora, potresti darmi una mano a spennare un po' di polli.” “No. Lo sai che il solo fatto di essere qui va contro tutte le mie regole.” “Oh, andiamo! Cosa sono passati, dieci anni? Davvero pensi che qualcuno possa riconoscere la tua faccia?” “Se mi vedono vincere grosse somme in modo sospetto, può darsi. È la regola aurea, credevo di avertela insegnata.” Tion sogghignò. “Mai correre il rischio di provare a truffare due volte la stessa persona. Ricordare tutte le facce è impossibile, quindi ogni tanto si cambia città e non si ritorna mai due volte nella stessa. Lo so, lo so, ma detto tra noi: quante sono le possibilità che davvero tra quella gente ci sia qualcuno che hai incontrato dieci anni fa? Molti non sono nemmeno del luogo...” “Ti ho detto che non mi importa. È sempre stata la mia regola aurea. E comunque, io ho chiuso con questa vita.” Tion sbuffò, poi tornò con passo malfermo al tavolo da gioco. Shur riuscì a incrociare lo sguardo di una cameriera e le fece segno di avvicinarsi. Era una ragazza magra, dal colorito spento, con capelli biondo cenere raccolti in una treccia sottile e pro-
fonde occhiaie. Si avvicinò muovendosi fluida tra la ressa degli avventori. Shur ordinò un altro boccale di birra, ma per alcuni istanti la ragazza non si mosse. “È un tuo amico, quello lì che sta giocando cifre sempre più grosse?” chiese. L'accento dei quartieri bassi era meno marcato di quanto ci si sarebbe aspettati da una cameriera di una locanda come quella. Shur sorrise. “Quello che sta vincendo cifre sempre più grosse? Sì, direi di sì. In effetti, quasi un fratello minore.” La ragazza lo guardò con espressione seria. “Se è così, dovresti dirgli di stare attento. Tanti uomini hanno rovinato sé stessi e le loro famiglie in questo modo.” Shur alzò le spalle. “Ho detto che è come un fratello minore, non come un bambino che ha bisogno della balia.” La ragazza abbassò la voce. “Quando ero piccola, c'era un nostro vicino di casa che giocava d'azzardo. Per un certo periodo, ebbe la fortuna dalla sua parte, comprò gioielli alla moglie e bei vestiti ai figli. Poi, la fortuna girò, ma lui non seppe smettere. Era convinto che avrebbe vinto tutto quello che aveva perso e molto di più. Ma non fu così. Si indebitò con brutta gente e
non riuscì a pagare i debiti. Solo quando minacciarono di uccidere lui e la sua famiglia se non avesse pagato si rese conto della sua follia. Cominciò a lavorare duramente per ripagare tutto. Poi, una sera, dopo aver riscosso la sua paga settimanale, andò in una locanda. Era la prima volta da mesi che si concedeva un po' di svago. Conobbe un uomo che gli raccontò di essere appassionato di giochi di carte. Disse che era una passione recente, che era solo un giocatore mediocre, ma che gli sarebbe piaciuto fare una partita con lui. Il nostro vicino si rifiutò di giocare a soldi. L'uomo disse che non importava, potevano giocare senza puntare nulla; intanto, gli offrì da bere. Era davvero un pessimo giocatore. Così, dopo un po' di bevute, il nostro vicino accettò di giocare a soldi. E mentre l'uomo cominciava improvvisamente a vincere, il vecchio vizio riaffiorò. Si giocò tutta la paga settimanale. Il giorno dopo gli strozzini sarebbero venuti a riscuotere una rata del suo debito. Arrivò a casa ubriaco e disperato. Uccise la moglie e i due figli, poi si tolse la vita.” Shur si ritrovò suo malgrado a rabbrividire. La ragazza doveva essere rimasta molto scossa da quegli eventi. Probabilmente aveva conosciuto
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bene la famiglia in questione, era stata amica dei figli. Ma prima che potesse rispondere qualcosa, la giovane era sparita. Shur sospirò e aspettò che arrivasse la birra. Intanto, guardò Tion giocare. Ovviamente, vinceva. Per quanto avesse bevuto, leggere sui volti degli avversari i piccoli segnali da cui capire le loro carte gli veniva ormai naturale. Shur stesso si divertì per un po' a guardare i giocatori. L'uomo alla destra di Tion mostrò un brevissimo segno di incertezza prima di rilanciare la puntata. Poteva voler dire che era una persona molto insicura o prudente, oppure che le sue carte non erano poi così buone. Dopo averlo visto giocare per un po', Tion sapeva di sicuro come interpretare la cosa nel modo corretto. La sua birra arrivò, portata da una cameriera diversa da quella di prima, una donna sulla trentina formosa e sorridente. Shur pagò e cominciò a bere, sempre guardando verso il tavolo dei giocatori. No, Tion non avrebbe mai fatto la fine del vicino di casa della ragazza. La mattina seguente, una nebbia sottile era salita dal mare. La sua nave sarebbe salpata per Senn nel primo pomeriggio. Quelle erano le ultime ore che passava su
quel lato dell'oceano. “Sai, un po' mi mancherai” disse a Tion. “Potresti venire a trovarci. Passare un po' di tempo nelle terre oltre l'oceano.” Stavano passeggiando su una stradina che costeggiava il mare, a est della zona portuale. I passanti erano pochi, il silenzio quasi irreale rotto di tanto in tanto dalle urla dei gabbiani. Tion sorrise. “Cos'è, il momento dei sentimentalismi? Non credevo che fossi il tipo. Soprattutto, non con Kidia che ti aspetta a Senn. Saresti dovuto partire con lei, altro che!” “L'avrei fatto, se non avessi avuto un mandato di cattura sulla mia testa. Invece che aspettare che si calmassero le acque, passare il confine e imbarcarmi da un porto da cui il viaggio è più lungo di una settimana...” “Lo so, lo so. Comunque, anche tu mi mancherai un po'. Non avere un socio su cui contare è un problema non da poco, nella nostra professione. Ma chissà, potrei tornare a Tiskor, nel mio vecchio quartiere. Magari in questi otto anni è venuto su qualche nuovo talento...” Shur annuì e tornò a fissare il mare. La foschia che nascondeva la linea dell'orizzonte gli dava uno strano senso di inquietudine e
malinconia. Chiuse gli occhi e pensò a Kidia che lo aspettava oltre quell'orizzonte che non si vedeva. Nella sua esperienza di truffatore, aveva avuto modo di imparare le basi di molti lavori onesti. Forse all'inizio non sarebbe stato facile ambientarsi, ma poi tutto sarebbe andato per il meglio, avrebbero avuto una grande casa tutta loro, dei figli... Riaprì gli occhi, sereno e fiducioso. In quel momento, vide una sagoma venire verso di loro attraverso la nebbia. Era un ragazzino che poteva avere al più undici o dodici anni, con vestiti logori troppo grandi per lui. Il volto pallido aveva un'espressione troppo seria per la sua età. L'espressione comune ai bambini di strada di tutto il continente. “Signore, siete interessato a un grande affare?” chiese il ragazzino, appena gli fu abbastanza vicino. In mano teneva uno scrigno di legno largo una dozzina di pollici. Gli occhi scuri avevano uno sguardo implorante. Tion rise. “Guarda guarda, si parlava proprio ora di ragazzini con un senso degli affari... Dimmi un po', cos'è che ci proponi?” Il ragazzino aprì lo scrigno. Dentro, c'erano allineati cinque rubini perfettamente uguali tra loro. “Appartenevano a mia
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nonna” disse il ragazzino. “Era una delle favorite dell'ultimo marchese. Quando c'è stata la rivoluzione, è riuscita per miracolo a salvarsi la vita. Di tutti i regali che il marchese le aveva fatto, ha salvato solo questo, e finché è stata in vita non li ha mai voluti vendere. Ma adesso abbiamo bisogno di soldi. Mio padre è morto, lasciando a mia madre grossi debiti da pagare...” Shur sorrise. “L'ultima volta che sono stato qui erano ancora le madri o le zie a essere state favorite dell'ultimo marchese. Vedo che adesso si comincia con le nonne...” Il ragazzino rimase serio. “L'ultimo marchese era famoso per avere molte favorite.” “Ma certo. Ed era anche molto generoso con loro, vista la quantità di gioielli e pietre preziose che vengono venduti con questa storia.” Il ragazzino continuò a non fare una piega. “Non mi importa di prendere tanti soldi quanti ne valgono. Mi basta averne un po' per tirare avanti.” Tion sospirò. “Dai, Shur, non lo vedi come sta? È mezzo morto di fame, chiunque nelle sue condizioni si metterebbe a rubare...” “Forse, ma questo non vuol dire che io debba comprarli.”
“Senti, li prenderei io, ma poi cosa me ne faccio? Con che margine di guadagno posso pensare di rivenderli, tenendo conto che sono palesemente rubati? Tu invece potresti farne una collana da regalare a Kidia, non trovi?” Il ragazzino lo guardava con occhi imploranti. C'era qualcosa di magnetico in quello sguardo, qualcosa che andava a toccare corde profonde della sua anima. Shur sospirò. Pensò al legittimo proprietario di quei rubini, ai ricchi che vivevano nei grandi palazzi della città alta circondati da lusso e servitù. Cosa c'era di sbagliato nel rubare a quella gente, quando si stava morendo di fame? “D'accordo. Quanto vuoi?” Il ragazzino disse il prezzo. Shur esaminò i rubini per assicurarsi che non fossero falsi, contrattò un po', poi pagò. Gli occhi del ragazzino si illuminarono mentre prendeva i soldi e gli porgeva lo scrigno. “Grazie! Grazie moltissimo!” Si voltò e corse via nella nebbia. “Ehi!” esclamò Shur. “Hai visto come si è dileguato?” Tion alzò le spalle. “Non sembrava poi così in gamba. E in ogni caso, preferisco cercarmi un assistente nella mia città.” Shur esaminò lo scrigno e poi di nuovo i rubini, insospettito
dalla fretta con cui il ragazzino si era volatilizzato. Ma per quanto li osservasse, non poteva che convincersi che fossero autentici. La nave era pronta a salpare, quando un manipolo di guardie dall'uniforme nera chiese di salire. Il capitano fece un po' di storie, dicendo che la nave non era soggetta alla giurisdizione di Suar, ma dopo che ebbe parlato con il comandante delle guardie la sua espressione si incupì e lasciò che salissero. Shur sentì tornare tutta l'inquietudine di quella mattina. Le guardie si diressero subito verso di lui, insieme al capitano della nave. “Questi signori chiedono di ispezionare i suoi bagagli” disse il capitano. “La questione è della massima importanza.” Shur non capiva. Avevano scoperto il suo passato? Ma le espressioni erano troppo gravi per delle guardie che si apprestano ad arrestare un truffatore... “Cosa è successo?” “Il governatore è stato assassinato” disse il comandante delle guardie, un uomo magro con occhi azzurro ghiaccio che rendevano ancora più severa l'espressione del viso. Shur si sentì girare la testa. “Il governatore... Gober Nai-
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mar? Quello stesso Gober Naimar che per anni ha avuto taglie enormi sulla sua testa da parte di autorità e bande rivali?” Il comandante delle guardie lo guardò con disprezzo. “Straniero, qui non si usa parlare del passato di Sua Eccellenza il governatore. Comunque sì, proprio lui.” “E io cosa c'entro?” “Forse niente. Ma c'è una testimonianza che ci suggerisce di esaminare i tuoi effetti personali.” Shur spinse in avanti le due valigie con i suoi bagagli, ancora incredulo. Il pensiero andò ai rubini comprati quella mattina. Ma lì si stava cercando l'assassino del governatore, non avrebbero certo fatto troppo caso a delle pietre rubate... Una guardia estrasse subito lo scrigno di legno e lo aprì. Tutti ammutolirono. Il comandante delle guardie fece cenno di avvicinarsi a un uomo che Shur non aveva notato, un giovane vestito con una livrea blu. “Riconosci questi rubini?” Il giovane annuì, pallido in volto. “Sissignore. Sono quelli che mancano dalla collezione privata di Sua Eccellenza.” Shur sentì il panico impossessarsi di lui. “Come fai a dirlo? Sei un esperto di rubini per ricono-
scerli così al volo? E poi, se proprio volete saperlo, li ho comprati stamattina da un ragazzino di strada. D'accordo, ammetto di aver sospettato subito che fossero rubati, ma capitemi, volevo fare un regalo a mia moglie che mi aspetta a Senn...” “Molto romantico” disse il comandate delle guardie, in tono piatto. “E cosa ci dici di questo doppio fondo?” “Do... doppio fondo?” balbettò Shur. “Non c'è nessun doppio, ho controllato quando ho comprato lo scrigno!” Il comandante delle guardie alzò il fondo dello scrigno ed estrasse un pugnale insanguinato. Il manico era d'oro, intarsiato con pietre preziose. Shur cominciò a sentire la testa che gli girava. “Anche questo faceva parte della collezione di Sua Eccellenza” disse il giovane in livrea con un sussurro. Il governo di Senn non gradiva che autorità di città straniere salissero sulle loro navi ad arrestare la gente. Anche quando la cosa era ampiamente giustificata, una serie di documenti dovevano essere firmati dall'ambasciatore locale. In attesa di tali formalità, Shur era stato chiuso a chiave nella cabina del capitano. Era una stanza relativamente
piccola e spoglia. Vi si trovavano solo un letto che era poco più di una brandina, un piccolo tavolo da cui era stato rimosso ogni oggetto e un paio di grosse ceste con vestiti e altri effetti personali del capitano, anche quelle portate via quando l'avevano fatto entrare. Appeso a una parete, si trovava un piccolo specchio rotondo. Quando lo lasciarono solo, Shur vi osservò il riflesso del suo volto scoppiare in una risata isterica. Aveva provato a spiegare che aveva comprato lo scrigno quella mattina, ma non era servito a niente. Una ragazza che lavorava a palazzo aveva visto un individuo correre via, uno straniero che aveva saputo descrivere nei minimi dettagli. Le guardie avevano indagato nella zona del porto ed erano risalite a lui. Il comandante gli aveva addirittura mostrato il disegno fatto sulla base della testimonianza della ragazza. Un suo ritratto quasi perfetto. Shur rise. Rise per l'assurdità di tutta quella storia. Nella sua vita, era scappato da diverse carceri, ma mai con la sorveglianza che si riserva all'assassino di un governatore del calibro di Gober Naimar. E se anche fosse riuscito a scappare, oltre alle autorità di Suar avrebbe avuto dietro sicari di metà delle organizzazioni malavitose della
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città. Gente che non si fermava davanti ai confini, che l'avrebbe seguito ovunque, anche a Senn, anche da Kidia. Le risate divennero lacrime amare, le prime che versava da un tempo immemorabile. In quel momento, la porta si aprì con uno scatto. Shur si passò una mano sugli occhi con rabbia, cercando di recuperare un minimo di dignità. Entrarono due guardie, insieme a una ragazza magra e pallida. Shur impiegò alcuni istanti prima di rendersi conto che si trattava della cameriera che aveva incontrato la sera prima. “Cosa....?” Una delle guardie gli fece cenno di tacere, poi si voltò verso la ragazza. “È lui? L'uomo che hai visto fuggire dal palazzo di Sua Eccellenza?” La ragazza non ebbe esitazioni. “Sì. Sono sicura, è lui.” “No, aspettate!” protestò Shur. “Io questa ragazza l'ho già vista, lavora in una locanda dei quartieri bassi, non certo al palazzo del governatore!” Ignorandolo, la guardia che aveva parlato fece cenno alla ragazza di avvicinarsi al tavolino e firmare un foglio. Shur guardò la scena, incredulo. I suoi occhi si posarono sullo specchio alla parete, sul
riflesso della guardia china a compilare il foglio. E si accorse che del riflesso della giovane non c'era traccia. “Ehi!” esclamò. La guardia si voltò. Shur si rese conto che non sapeva cosa dire. “Non...” balbettò. “Lo specchio...” La guardia si voltò, ma la ragazza aveva già firmato il foglio e si era silenziosamente spostata accanto alla porta. Per un attimo, i tristi occhi scuri della giovane incrociarono il suo sguardo. Shur si trovò incapace di parlare. Le guardie uscirono in silenzio. Rivide la ragazza quella sera, quando era già rinchiuso in una lurida cella nei sotterranei della prigione cittadina. Teneva in mano una candela che illuminava a mala pena il piccolo ambiente e accanto a lei c'era il ragazzino che gli aveva venduto lo scrigno. Shur si rese conto solo in quel momento di quanto si somigliassero. “Dieci anni....” mormorò la ragazza. “È stato difficile aspettare così tanto, ma in fondo cosa sono dieci anni rispetto all'eternità della morte e dell'oblio?” Il ragazzino annuì. “Stamattina ti ho sentito dire che ti preparavi a una nuova vita. Ma che diritto ha uno come te a una nuova vita?
Uno che nel suo passato ne ha distrutte così tante...” Shur rabbrividì. Provò a dirsi che era un sogno, che doveva essersi addormentato senza rendersene conto. Ma qualcosa dentro di lui gli diceva che non era così. “Di cosa state parlando? Io non sono un assassino, non ho mai ucciso nessuno!” I due ragazzi si scambiarono un'occhiata. Poi la ragazza parlò. “Quando nostro padre tornò a casa quella sera, nessuno di noi capì cosa fosse successo. Era in preda a una furia cieca. Solo quando ci ebbe uccisi acquisimmo una consapevolezza che ci portò a conoscere gli eventi. Ci aveva uccisi per anticipare quello che avrebbero fatto i sicari di Gober Naimar quando si fossero resi conto che non aveva i soldi per pagare la rata del suo debito. E non aveva i soldi perché uno straniero l'aveva fatto ricadere nel vizio del gioco e gli aveva portato via tutta la paga settimanale.” “E sapemmo anche che lo straniero lo aveva imbrogliato” proseguì il ragazzino. “Che aveva finto di non saper giocare finché non c'erano stati soldi in palio. Poi aveva cominciato a leggere sul suo volto le carte che aveva in mano.” “Un segreto che a quanto ho
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visto hai insegnato anche al tuo amico” concluse la ragazza. “Piek era contrario, ma io ho voluto provare ad avvertirti. A cercare tracce di senso di colpa nel tuo volto mentre ti raccontavo la storia di nostro padre. Ma tu nemmeno ricordi, così come non ricordava Naimar. Solo quando l'abbiamo pugnalato al cuore nei suoi occhi si è accesa una scintilla di comprensione.” Shur si sentiva mancare il respiro. Cercò disperatamente nei suoi ricordi, tentò di richiamare alla memoria tutte le facce incontrate quando era stato a Suar dieci anni prima. Ma il padre dei due ragazzi non emerse. Era stato solo uno dei tanti. Non aveva saputo niente della sua storia, non aveva avuto idea della tragedia che si era consumata dopo. “Non potete...” mormorò, in tono supplicante. “Non potete punirmi così per una cosa di cui nemmeno mi ricordo... Non potevo sapere, non mi ero reso conto.... Vi prego, io stavo per cambiare vita, c'è Kidia che mi aspetta oltre l'oceano, dovevamo sposarci, non avrei mai più fatto del male a nessuno...” Ma la luce della candela era già svanita, e con essa i due ragazzi.
S ka n Giallo prostatico
Un rumore proveniente dal corridoio interruppe il sonno di Vittorio. Le lancette fluorescenti fluttuarono nell'aria fermandosi all'altezza del naso. Erano le 11:27 di sera. Borbottando si sporse di lato, tastoni cercò di raggiungere qualcosa che gli sfuggiva: «Non ha senso cercare un interruttore al buio; è come cercarsi l'uccello dopo aver pisciato.» Sfiorò un bicchiere che cadde a terra. Il rumore di vetro infranto squarciò il silenzio della stanza nell'istante in cui si illuminava. «BASTAAAAAA» Giacomino si svegliò di soprassalto boccheggiando. Il busto si sollevò senza l'ausilio delle mani, ben salde ognuna sulla spalla opposta. Gli occhi iniettati di sangue, le cannucce che gli pendevano dalle narici sproporzionate. «Non rompere tu. E torna a fare le prove generali.» Vittorio inforcò gli occhiali, recuperò la dentiera a terra e la scrollò; non poteva rinunciare al sorriso smagliante che faceva impazzire quella della 4B. In un sol gesto infilò le pantofole azzurro e nere e andò alla porta. Come se nulla fosse, il suo compagno di stanza, tornò nel limbo da
cui era stato strappato. L'ex guardia portuaria strinse tra le dita callose il pomello. Con una lieve pressione aprì uno spiraglio da cui poté vedere fuori. Come immaginava: “il carrello”, quello delle emergenze, aveva fatto la sua comparsa. Un camice bianco svolazzò davanti alla 16. Vittorio ritrasse velocemente la mano e spense la luce. Il gesto felino per poco non fece cadere lo stipite. «BASTAAAAAA!» «Giacomino, o la finisci, o giuro su Dio che ti stacco l'ossigeno!» Il silenziò tornò, ma ormai era troppo tardi, si era compromesso. Con passo agile corse verso il letto, assecondando ogni dolore articolare con un santo diverso. Terminato il rosario si getto sul materasso, giusto in tempo. Qualcuno entrò dalla porta schiacciando ancora l'interruttore. «BASTAAAAAA!» L'infermiere che aveva fatto irruzione, vedendo il Nosferatum incartapecorito, si ritrasse spaventato. «Mi perdoni signor Carti, pensavo avesse bisogno.» «BASTAAAAAAA.» Giacomino ricadde sul cuscino. Vittorio ringraziò la demenza senile del compagno di stanza: anche quella volta gli stava salvando la vita. «Signor Cavalli, fatica ad
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addormentarsi?» Igor, l'infermiere, doveva aver notato le pantofole ai suoi piedi. Aveva pochi attimi per decidere cosa fare. Era il momento del piano B. Piano B: 1. Irrigidire gambe e braccia 2. Girare la testa di lato 3. Scuotere il corpo con spasmi incontrollati 4. Inondare il cuscino di bava schiumosa 5. Rilasciare gli sfinteri 6. Cessare ogni movimento, respiro compreso «Correte, Vittorio sta male. Chiamate il medico di guardia.» Il diversivo aveva funzionato, era salvo. Mentre l'ago entrava nel braccio del vecchio, solo un OSS notò il sorriso sornione che ne proclamava la definitiva vittoria. «Signor Cavalli, è ora delle medicine.» La voce suadente di Consuelo destò Vittorio dal lungo sonno artificiale. La testa gli faceva male. Ma era felice: si sentiva come un ragazzino il giorno dopo un Rave Party. Nonostante gli occhi impastati dal sonno, e le poche diottrie che gli erano rimaste, cercò di superare l'ostacolo del camice, per regalarsi l'unica visione che avrebbe potuto combattere l'ipertrofia prostatica che lo attanagliava.
Nessun effetto. «Grazie cara. Con te porti il sole dei Caraibi. Terra del tabacco e del cotone sofficissimo.» Inspiegabilmente l'infermiera picchiò sul tavolino il bicchierino pieno di pillole. Disse qualche parola in spagnolo, e con lo sguardo gli intimò di muoversi. «Adoro le donne decise.» Vittorio sfoderò il miglior sorriso, inconsapevole del buco nero che si formò tra le labbra dilatate, in cui fece sparire lo spuntino da astronauta. Dopo Consuelo fu il turno del nuovo medico, un ragazzo di neanche trent'anni vestito impeccabilmente. Com'era dura la vita in casa di riposo. Il dottore abbandonò fuori dalla porta un carrello in cui erano impilate decine di cartelle mediche. Afferrò quelle che gli servivano ed entrò deciso. Si avvicinò al letto di Giacomino, che si era rimesso a dormire. Lo scosse docilmente. «Signor Cavalli?» «BASTAAAAAA!» L'antifurto della stanza 9 esplose. Il giovane pose le mani in avanti per proteggersi dall'assalto. Fece due passi indietro e spulciò frettolosamente la storia clinica del paziente. Non c'era motivo che spiegasse quel comportamento. Vittorio si avvicinò mostrando i denti splendenti che aveva accuratamente riposizionato. «Caro dottor» Con l'indice
sollevò il cartellino appeso al taschino del medico «Pastorello. Il nostro amico, il signor Carti» sistemò gli occhiali sul naso «Soffre di una forma avanzata di demenza senile. E ha seri problemi con il risveglio.» posò il grosso indice sulla cartelletta abbandonata sul comodino, dove c'erano tutte le informazioni dettagliate. «Non si deve preoccupare, capisco che deve fare ancora molta esperienza.» L'aria saccente di Vittorio indispettì non poco il medico. «Bene, ora torni al suo letto che la devo visitare.» «Non c'è bisogno di prendersela. Mi rendo conto che l'hanno gettata qui allo sbaraglio, senza darle il tempo di farsi un'idea. E senza nessuno che le dia le giuste indicazioni.» obbediente Vittorio tornò al suo posto. «Qui è come lì fuori» Indicò la finestra «è un porto di mare. Ogni settimana cambiamo un medico. Spero che lei duri di più.» Il giovane non prestò attenzione a quelle parole e riprese il lavoro. Dopo aver superato l'ostacolo “Carti” si dedicò a lui. «Vedo che stanotte si è sentito male. Come sta ora?» Vittorio seguì con lo sguardo le fughe chiare del finto parquet. «Molto meglio. Ma non ricordo molto.» «È stato fortunato sa, gli infermieri erano qui dietro per
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un'emergenza. Altrimenti chissà come sarebbe andata.» «Perché, cos'è successo?» «Purtroppo la signora della 16A non è stata altrettanto fortunata. Domani ci saranno i funerali.» La mente di Vittorio si mise ad elaborare l'informazione. 16A: Aida Vesti Settantotto anni Cataratta Capelli pagliericcio Portatrice di Pacemaker Ipertesa Protesi d'anca tre anni prima, ma diavolo se sapeva sculettare. «Signor Cavalli, si sente bene?» «Certo, ma sa, qui siamo tutti amici.» portò le grosse dita al volto, massaggiandosi gli occhi con l'indice e il pollice. «Posso sapere come si è spenta?» tirò su con il naso. Il medico temporeggiò, indeciso sul da farsi. «A dire il vero, Aida, era molto più che un'amica.» Vittorio non trattenne più i singulti, disperato emise un gemito straziante e affossò con il volto nel cuscino. «Purtroppo si è spenta a seguito di un'insufficienza respiratoria. Quando sono arrivati i sanitari non c'era più nulla da fare.» seguì qualche secondo di silenzio, in cui si sentirono solo i lamenti di Vittorio. «Signor Cavalli, se può consolarla, credo che non se ne sia
nemmeno accorta.» L'anziano si sollevò piano, alzò la manica del pigiama e guardò il medico in maniera solenne. «Si affretti a fare il suo lavoro, ho bisogno di rimanere solo con il mio dolore.» La visita andò bene, anche troppo per uno che il giorno prima aveva avuto una crisi epilettica. Ma ciò nonostante il medico prescrisse una TAC. Il Dottor Pastorello si congedo ponendo le più sentite condoglianze. «Ma se Aida non sapeva nemmeno come ti chiamavi.» Giacomino aveva osservato tutta la scena fingendo di dormire, e parlò appena rimasero soli. «Continua a star zitto tu, magari la morte passando non si accorge che ci sei e ti concede un altro giorno.» La colazione passò tranquilla, nessuno si accorse della mancanza di Aida. Per tutti era normale che qualcuno scomparisse nella notte. I più fortunati ricomparivano nel giro di qualche giorno, gli altri venivano rimpiazzati. Eppure quando il medico aveva parlato di “arresto respiratorio” era squillato un campanello nella testa di Vittorio. Aida non aveva mai sofferto di problemi ai polmoni, e la sera prima, rientrando in stanza, sembrava star bene. Certo, lo star bene per le persone di quel posto era molto relativo e precario, ma
qualcosa non gli tornava. Come tutti i giorni si sedette nel salone per il “risveglio mattutino”. Prese posto vicino a Giacomino e alla sua bombola, e iniziò gli esercizi seguendo le istruzioni di Pedro, il fisioterapista del RSA “il Molo”. Tra la decina di ospiti che sollevava a ritmo le braccia, cerco la 16B. Maria, la gioviale compagna di stanza della defunta, mancava all'appello. «Scusami Pedro, posso andare a pisciare?» Vittorio si alzò, ginocchia strette e traballanti. «Devi andarci proprio adesso?» «Io no, ma la mia prostata dice il contrario.» Il fisioterapista cubano annui, non aveva nessuna voglia di ripulire dall'imminente inondazione. Vittorio uscì dal salone e si diresse verso il bagno, afferrò la maniglia, si guardò intorno, e tirò dritto verso le stanze. Aveva mezzora prima che finisse la ginnastica, da li in poi nessuno avrebbe notato la sua assenza fino all'ora di pranzo. Nel reparto c'erano le addette alle pulizie che lo salutarono cortesemente. Non fecero caso a lui, stupite solo dal fatto che non le stesse molestando. La stanza 16 era vuota. La roba di Aida già accatastata, il cartellino sulla porta rimosso. Vittorio entrò e cercò qualcosa che potesse richiamare la sua attenzione, ma sembrava tutto normale, anche se ci fosse stato
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qualcosa di anomalo ormai era tardi per trovarlo. Si fermò a riflettere. In quel momento, il pretesto con cui aveva abbandonato il salone, divenne realtà. Corse nel bagno della stanza. Fu solo una questione di centimetri se non si sporcò le scarpe. «Maledetta prostata» mentre si sforzava per far uscire due o tre getti di urina maleodorante, qualcuno entrò nella stanza. «Mettetela sul primo letto.» Una smorfia di dolore scandì la discesa delle ultime gocce giallognole. Con il membro ancora penzoloni Vittorio si appiattì contro il muro affianco alla porta semiaperta. Invano si sporse di lato per vedere chi fosse entrato. «Io la moretta me la farei volentieri.» «Tu ti faresti volentieri anche un water.» I due uomini appena entrati contarono all'unisono fino a tre «Oplà» Il materasso ad ari si compresse emettendo il classico rumore di gomma; “16B” era rientrata nella sua stanza. «Lei cosa ci fa lì?» Il cuore di Vittorio accelerò, era certo che non ce l'avessero con lui, non potevano vederlo. Si appiattì ancora di più, schiacciando la chioma canuta contro le piastrelle azzurre. Fu allora che se ne rese conto. Lo specchio del bagno rifletteva l'immagine di due divise arancioni a barre grige che gli
andavano incontro. «Cosa ci fa qui?» Piano C: 1. Espressione vacua 2. Bocca spalancata 3. Bava densa e filamentosa 4. Braccia abbandonate lungo ai fianchi Il soccorritore più giovane lo guardò stralunato, l'altro sorrise vedendo l'oscenità uscire dai pantaloni del vecchio. Fu allora che Vittorio compì il colpo da maestro. Un attimo di concentrazione e un fiotto di pipì gli piovve sulle scarpe, seguito da un rumore degno dei migliori temporali estivi. «Andiamocene. Ci penserà qualche infermiera a pulire.» «Lo lasciamo qui?» il giovane dimostrava troppo zelo. Vittorio tese le braccia in direzione delle divise emettendo un altro tuono «Cacca.» Mentre osservava i due soccorritori fuggire ringraziò il cielo, il prossimo boato poteva essergli fatale. Rimasto solo allacciò la patta dei pantaloni e si affrettò verso il letto nuovamente occupato. Maria, la 16B, fissava il vuoto catatonica; i maledetti l'avevano sedata. Non domo, Vittorio cercò il foglio delle dimissione dal Pronto Soccorso. Come immaginava lo trovò appoggiato su un sacco trasparente in cui c'erano i vestiti sporchi. MOTIVO DELL'INVIO: ABUSO DI FARMACI IN PA-
ZIENTE POCO COLLABORANTE. «Cazzate» Maria era una gran scassa palle, ma prendeva le medicine come fossero caramelle. «Cavalli, sei tu?» La voce dell'anziana si alzò flebile. Vittorio corse al suo capezzale. «Cos'è successo?» «Non lo so, Mi hanno portata via di peso ieri pomeriggio. Dicevano che non stavo bene» Maria continuava a guardarsi attorno spaventata. «Come sta Aida?» «Perché me lo chiedi?» La vecchia fissò la porta per accertarsi che nessuno stesse entrando. «Dice che al porto succedono cose strane.» boccheggiò alla ricerca di aria «ma ieri lo ha detto a Igor e questo ha risposto che i curiosi fanno una brutta fine.» Igor, l'infermiere che la notte era entrato per soccorrerlo. «Chi ti ha mandato in ospedale?» «Igor.» Non potevano essere coincidenze. Andò alla finestra e guardò fuori. Da lì si vedeva benissimo il porto turistico. Vittorio portò una mano al mento e la passò sulle guance perfettamente rasate. «Ma come sta Aida?» «È morta stanotte. Ma non ha sofferto.» rispose sbrigativo. «Piuttosto, tu hai mai visto qualcosa di strano?» «Ma cosa devo vedere, da qui
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io non supero nemmeno il davanzale!» Vittorio ormai era certo che fosse successo qualcosa di mostruoso quella notte. Soddisfatto si avviò verso l'uscita. Passò accanto a Maria, e vedendola piangere le posò una mano sula fronte. «Non pensarci, purtroppo la vita è così» le carezzò i capelli sfilandole delicatamente una forcina «Piuttosto vedi di non affezionarti anche alla prossima; o almeno muori prima tu.» Dopo aver abbandonato Maria tra le lacrime si affrettò a raggiungere lo spogliatoio del personale. Era in quelle occasioni che adorava la mancanza di personale delle RSA. Nessuno notò la sua presenza. Andò sicuro agli armadietti e ci mise poco a trovare quello che cercava. Con la forcina forzò il lucchetto, e in un attimo poté frugare tra le cose di Igor. La divisa bianca immacolata pendeva perfettamente appesa alle grucce. Nelle tasche non c'era nulla, così come sullo scaffale in alto. Frugò persino nelle ciabatte di gomma. Sollevandole trovò un foglietto. Era la ricevuta di un container del porto, nella vita da lavoratore ne aveva viste a migliaia. Sentiva di essere vicino alla soluzione, come si sentiva vivo. Richiuse l'armadietto e uscì euforico dalla stanza. Forse un po' troppo, perché non si accorse
dei passi che andavano nella sua direzione. «Finalmente ti abbiamo trovato» Igor gli comparve davanti sorridente. Vittorio accartocciò il foglietto e lo mise in tasca. «Ma cosa ci fai qui?» l'infermiere ucraino aggrottò la fronte e corse con lo sguardo agli armadietti. L'ex guardia capì che stava sospettando qualcosa. Ma non sapeva cosa fare, nelle ultime ventiquattro ore si era giocato il piano B e quello C. Eppure doveva fare qualcosa. Piano D: 1. Bocca deviata di lato 2. Parole senza senso e biascicate 3. Lieve mancanza di forza a sinistra 4. Sbandamento Nonostante i sospetti Igor non poté che assecondare il vecchio. Lo afferrò nell'istante esatto in cui stava per cadere a terra e lo adagiò con cura. Anche quella volta ce l'aveva fatta. Purtroppo però, quell'ennesimo episodio, costrinse il giovane Dottor Pastorello ad inviare il Signor Cavalli Vittorio, presso il Pronto Soccorso più vicino, per un presunto ICTUS. Vittorio trascorse il resto della giornata, e parte della mattina seguente, in ospedale sotto osservazione. Lo
rivoltarono come un calzino, e lui non smise un secondo di ammiccare a infermiere e medici. Al momento della dimissione lo salutarono come un vecchio amico che lasciava la spiaggia per tornare in città. Non gli dispiacque quell'esperienza, tanto che rientrando in RSA si ripromise che un giro ogni tanto gli avrebbe alzato il morale. Nessuno nella casa di riposo sembrava essersi accorto della sua assenza. Vittorio si aspettava grandi abbracci e pacche sulle spalle, ma quei vecchi erano troppo concentrati a lottare con la morte per accorgersi della sua assenza. In stanza trovò Igor che lo attendeva. Il vecchio si irrigidì impercettibilmente. «Si sente bene signor Cavalli?» chiese l'ucraino. Vittorio annuì. «Eppure ha perso la sua verve. Strano per un uomo del suo spessore.» L'infermiere divenne incalzante «vuole dirmi qualcosa?» Scosse la testa. «Nemmeno cosa ci faceva nei camerini degli infermieri?» «Non ricordo dove fossi quando sono stato male? Piuttosto chiedo a voi com'è possibile che uno giri indisturbato? E se mi fosse
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venuta la crisi sulle scale?» partì al contrattacco. Lo sguardo di Igor perse sicurezza. «Potevo morire per la vostra negligenza.» «Ma sono stato io a soccorrerla.» «Quindi pretende un bravo? Lei ha fatto solo il suo dovere. Dovrei chiamare la polizia per questa storia» sospirò profondamente guardando torvo l'infermiere. «Comunque, grazie!». L'anziano porse la mano sorridendo compiaciuto, non gli era sfuggito il fremito che aveva attraversato il corpo di Igor sentendo la parola “Polizia”. Scampato il pericolo, Vittorio decise che era giunto il momento di mettere in opera il piano elaborato con perizia in Pronto Soccorso. Raggiunse il gruppo della scopa e corruppe i quattro giocatori. Promettendo materiale pornografico e colla per le dentiere. Pranzò per primo, in fretta, dopodiché si avvicinò fiducioso alla porta di emergenza. Puntuali, alle dodici e quindici, tre dei quattro complici iniziarono a fingere conati di vomito. All'unisono si chinarono in avanti e squarciarono i sacchettini prefabbricati di finto vomito. Solo Battini non partecipò al piano:
“maledetto Alzheimer”. Fortunatamente il resto lo fece la suggestione. In pochi minuti la sala era piena di gente che rimetteva in ogni angolo, infermieri compresi. Benedetti “Amici miei”. Vittorio approfittò della baraonda per uscire di soppiatto. Nemmeno all'ingresso fecero caso a lui. La receptionist era impegnata a chiamare una dozzina di ambulanze per contenere la presunta intossicazione alimentare. Finalmente all'aperto, lontano da quelle mura amiche, l'anziano si concesse un attimo di pace. Una morsa leggera gli attanagliò lo stomaco. Gli mancava la libertà, le lunghe giornate di solitudine, le mattine al parco a leggere il giornale. Eppure un giorno aveva deciso di rinunciare a tutto quello per la compagnia di qualche vecchio che, il più delle volte, si scordava il suo nome, e spesso persino della sua esistenza. Camminò indisturbato fino all'ingresso del porto. «Cosa ci fai qui?» La guardia lo riconobbe e lo fece entrare. «Licenza premio, sono venuto a trovare Egidio.» «Beato te che sei in pensione. Qui si sgobba sempre di più.»
Vittorio abbozzò un sorriso malriuscito e passò oltre. Per un attimo carezzò realmente l'idea di andare a trovare il suo vecchio collega, invece si limitò ad una breve chiamata col cellulare. Doveva raggiungere i box del molo. L'asfalto scivoloso sotto i piedi, l'odore di salsedine misto a cherosene, gli schiamazzi osceni e le continue sirene lo riportarono ai giorni felici. Quanto avrebbe voluto afferrare ancora una volta la sua torcia, la piccola pistola d'ordinanza e tornare a prendere mazzette da qualche contrabbandiere marocchino. “Che bei tempi”. Entrò nel capanno degli attrezzi, che come previsto era aperto, recuperò una tenaglia, e si fiondò deciso al box incriminato. Non prima d'essersi fermato cinque minuti a rifiatare e a massaggiare il ginocchio indolenzito. Ansimante arrivò a destinazione. La strada affianco, quella che portava all'RSA, era costellata da lampi blu. Stavano evacuando i malati. Attorno non c'era nessuno. Sorridendo per lo scherzo giocato, si preparò a tagliare il lucchetto, ma si
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bloccò: il box non era chiuso. Un brivido gli attraversò la schiena, qualcosa non tornava, doveva ritirarsi. Ma non fece in tempo a muoversi che qualcosa di cilindrico e durò pigiò sulla sua schiena. «Non muoverti.» L'accento ucraino non lasciava dubbi, era Igor. Vittorio non si mosse. «Sapevo che ci stavi mettendo il naso.» la pressione aumentò. «A chi la volevi raccontare?» «Ma io...» «Sentiamo quale scusa hai stavolta!» «Sono venuto a trovare un mio vecchio amico.» “Poteva reggere”. «Nel mio box?» “Non poteva reggere”. In preda al panico decise che era arrivato il momento del famigerato: “Piano A”. Piano A: 1. Portare le mani al petto 2. Urlare di dolore 3. Tirare fuori la lingua 4. Cadere a terra 5. Fingersi morto Igor scoppiò in una risata ridondante e scalciò il corpo inerte di Vittorio. «Mi hai preso per uno scemo? Non ci casco un'altra volta.» Piano A bis: 1. Perseverare Vittorio si mosse solo quando un altro calcio lo
raggiunse al torace facendogli emettere un muggito di dolore. Era tutto perduto. «Fermo e mani in alto.» Egidio, il suo vecchio collega, sbucò da dietro l'angolo con la pistola tesa in avanti. «Muoviti, butta quel...catetere?» La guardia non poteva credere ai suoi occhi. «Va beh. Apri il box, tenendo sempre in vista le mani.» La serranda si aprì, lasciando Vittorio e Egidio a bocca aperta. Cinque persone, due uomini e tre donne, apparentemente sudamericani, vivevano lì dentro. «Questa è la famiglia di Consuelo. Li ospitavo qui in attesa di trovargli casa.» Piagnucolò Igor. Mentre Vittorio fu sul punto di chiudere un occhio, Egidio fu irremovibile. Cinque minuti dopo la polizia era sulla banchina. Anche loro ci misero parecchi per venire a capo di tutta quella storia. Alla fine saltò fuori che l'ucraino era il vertice di un'organizzazione internazionale, che spacciava personale para infermieristico per conto di alcune cooperative. Importava clandestini da ogni parte del mondo e li teneva segregati fin quando non riusciva a trovargli un'occupazione e dei documenti finti. Prima che portassero via Igor in manette, l'anziano gli si fece contro a muso duro.
«Io so cos'hai fatto!» «Lo so, te l'hanno detto loro.» indicò la polizia. «No. Intendo alla signora Vesti!» L'ucraino sollevò il sopracciglio dubbioso. «L'hai uccisa!» L'espressione perplessa di Igor, mentre lo portavano via, non lasciava dubbi: non ne sapeva nulla. Quella sera l'RSA “il Molo” era decisamente meno caotica del solito. Poca gente urlava, e quasi nessuno vagava senza una meta. Vittorio fissava il letto vuoto di Giacomino. Gli mancava quel vecchio brontolone. Prima di coricarsi ricevette una pessima notizia, anche Consuelo faceva parte dell'organizzazione, così addio camici scollati. L'adrenalina era sparita, lasciando spazio solo al dolore per le botte prese. Esausto si abbandonò sul cuscino, era felice di com'era andata a finire. Eppure, secondo lui, Aida era stata uccisa. Chiuse gli occhi e sorrise: magari domani avrebbe scoperto chi era stato. Un rumore proveniente dal corridoio interruppe il sonno di Vittorio, sapeva di cosa si trattava: era “il carrello”, quello delle emergenze.
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S ka n
risultati e classifiche
1. Cattivotenente, 47 2. CMT, 42 3. White Pretorian, 39 4. Bloodfairy, 48 5. Sekuar, 28 6. Willow78, 39 7. Reiuky, 38 8. CRA, 30 9. Shanda06X, 13 - 106 -
1. CMT, 65 2. Polly Russell, 57 3. Reiuky, 41 4. Ceranu, 36 5. Ilma197, 34 6. Bloodfairy, 31 7. Selina, 27 8. Shanda06X, 12
N o n pe r d e t e i l n u m er o d i Se t t e m b r e 足 O t t o b r e 2 01 4
Il t e r zo a n n o h a i n i zi o
S ka n
Luglio-Agosto 2014
AMAZING MAGAZINE
Anno 2
N u me r o 2 3 -2 4
La rivista multicanale di narrativa fantastica liofilizzata istantanea
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Fra poco sarĂ buio d i L a u r a P a lmo n i
Alker Borof e la benedizione dell'orologio d i R e iu k i
C o n g iu r a s tig ia
di White Pretorian
Dreams are my reality di willow78
F a t e V o b is
Il piacere del male d i L a u r a P a lmo n i
Tu non sei me
d i S e lin a P a s q u e r o
La dama del lago
di Nazareno Marzetti
Futuro e passato di Ilma197
Giallo prostatico d i Ce r a n u
R is u lt a t i e c la s s ific h e
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