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Magazine di arte contemporanea / Anno II N. 8 / Trimestrale free press

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Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, Aut: 170/ CBPA-SUD/CS

OTTOBRE NOVEMBRE DICEMBRE 2013

ANNA CAPOLUPO

Felice Gualtieri - Caterina Cuda - Vania Elettra Tam Cosimo Piediscalzi - Giorgio Pignotti - Anna Capolupo Alessio Delfino - Guido Cabib - Il mercato dell’arte in Italia



TALENT TALENT

OMBRE CINESI Vania Elettra Tam

- Loredana Barillaro

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ania Elettra Tam dipinge donne di un universo femminile fatto di momenti esilaranti e ricchi di imprevisti. Giovani donne, in tutto e per tutto simili a noi che le osserviamo, appaiono alle prese con strani accadimenti, nulla di grave, per carità, ma in grado di fagocitarci in quelle piccole ansie e fobie con cui ognuno di noi si trova sovente a dover fare i conti. Ma l’artista è pronta a mutare la natura di questi accadimenti, ponendo sulla superficie dipinta un doppio “strato”, una doppia chiave di lettura che si palesa nella trasformazione del gesto. Nei dipinti appartenenti alla serie Cielo cadere da una sedia è esattamente come dondolare su un’altalena. Pesarsi su una bilancia si trasforma nel gesto di tuffarsi da una barca e via dicendo. Perché, a quanto pare, niente è come sembra… Nella serie SOSpese - estremamente ironica quanto esemplificativa a partire dal titolo - figure femminili sono ritratte come acrobate sui fili della vita, ognuna nello scorrere delle proprie giornate, delle attività quotidiane, del proprio lavoro. Ogni singola opera sta a dirci quanta fatica svolgano le donne. Non è poi così difficile tentare di identificarsi con loro. In fondo, ancora oggi, o forse più che mai, per una donna arrangiarsi in questa società – talora violenta – diventa un’impresa funambolica. Le figure femminili che l’artista dipinge non sono mai sole, c’è qualcuno dietro, qualcuno che la fantasia dell’artista, come in un gioco di ombre cinesi, sa trasformare in particolari sagome, compagne di una solitudine che fa trapelare una certa malinconia. Una malinconia capace però di sorridere di se stessa. Storie su storie, intrecci cromatici che diventano trame immortalate in un gesto, in una posa. Fotogrammi che uniti, forse, possono tracciare il mondo fantastico, quanto realistico, in cui ci attrae Vania Elettra Tam.

Dall’alto in senso antiorario: SOSpesa 1, 2011. Olio su tela, 265x190 cm. VOGLIA DI LEGGEREZZA, 2012. Olio su tela, 50x50 cm. SOSpesa 3, 2011. Olio su tela, 100x80 cm. Per tutte courtesy dell’artista.

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INTERVIEWS

SPERIMENTAZIONE, SIMBOLISMO E SERIALITÀ Alessio Delfino

- Teodora Malavenda

Teodora Malavenda/ Raccontaci il tuo percorso per diventare fotografo.

addetti ai lavori dall’altro, con l’arte contemporanea? AD/ Ci sono paesi che contemplano il collezionismo come forma di cultura e di crescita personale e non di mero status symbol. Sicuramente sono i contesti in cui ho le maggiori soddisfazioni. A gennaio, durante l’inaugurazione parigina di una mia mostra, il pubblico oltre a chiedermi informazioni su ciò che vedeva, ha tempestato di domande il critico Nicola Davide Angerame, autore di uno dei testi del catalogo. Ecco, una cosa che non avviene dappertutto. Ci sono poi paesi, in parte anche l’Italia, in cui il pubblico non ha ancora capito la differenza tra fotografia ed arte. E quindi ti ritrovi agli opening a fronteggiare domande del tipo “che macchina usi?”. Come se a chi lavora con la tecnica della pittura venisse chiesto “che marca di pennelli usi?”. Per quanto riguarda invece il mondo degli addetti ai lavori, mi trovo meglio all’estero. Non fanno tanti giri di parole, c’è più pragmatismo, il che porta ad una maggiore dinamicità. In Italia è tutto più complicato, colloso. Gli artisti nostrani vengono messi in secondo piano per favorire quelli stranieri. Magari anche mediocri. Per contro all’estero vige un maggiore protezionismo verso gli artisti di casa e questo rende più difficile l’approccio.

Alessio Delfino/ La fotografia è il mio linguaggio fin da ragazzino. Mi ha sempre affascinato la possibilità creativa offerta dal mezzo, la sperimentazione, l’andare oltre partendo dalla gabbia del reale. Ho frequentato diversi artisti della mia zona (è nato a Savona ndr) e l’influenza con la storica Albissola, crocevia dell’arte internazionale negli anni d’oro, mi ha dato l’opportunità di condividere esperienze con artisti che mi hanno formato. Uno tra tutti ricordo con enorme affetto ed ammirazione Bruno Locci, per me il “maestro”. Artista poliedrico, sperimentatore, innovatore, geniale e con una cultura dell’arte contemporanea senza eguali. Fu lui a mostrare il mio lavoro ad un gallerista. Da lì nacque tutto. TM/ Ci sono autori che “influenzano” il tuo lavoro? AD/ Tutti e nessuno. Viaggio molto, assorbo molto e rigetto molto. Compro libri di artisti che magari detesto, ma che sono utili perché mi ricordano ciò che non voglio essere. Altre volte invece trovo pubblicazioni che contengono solo un’unica geniale immagine all’interno ma proprio per questo devono essere mie. Di altri colleziono libri e cataloghi in modo scientifico. Amo molto gli artisti del nord Europa, soprattutto fotografi. Adoro l’iperrealismo nella pittura. In ogni caso non ho un punto di riferimento. Sono molto relativista in questo. Non esiste un canone di verità. Preferisco che questa evolva continuamente. Fa parte della crescita. Anche del mio lavoro.

TM/ Sempre più artisti italiani lasciano il Paese dal momento che lavorare con l’arte sembra appannaggio di pochi. Cosa ne pensi? AD/ Purtroppo viviamo in una nazione in cui la classe dirigente è completamente sconnessa dalla realtà, qualsiasi essa sia: arte, economia, industria. Gli artisti emigrano. Ma anche i galleristi. Così come gli operai, i laureati, i disoccupati. La malattia non è nel mondo dell’arte ma nel sistema paese. O meglio, nel fatto che non ci sia più un paese.

TM/ All’estero che approccio ha il pubblico da un lato, e gli

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TM/ Il tuo ultimo progetto, Rêves|Dreams, si articola in una serie di immagini, per cui l’unità dell’opera va ricercata nella sua complessità. Ci parli di questa scelta compositiva? AD/ Lavoro da sempre attraverso serie che si sviluppano a partire da un nucleo concettuale e formale. Così ho maggiore possibilità di esplorare una tematica, approfondirla fino all’esaurimento. In Rêves, il passo è ulteriore. In un’unica immagine si condensano una serie di immagini. Questo perché Rêves è una sorta di proiezione inconscia, che rappresenta i sogni, ovvero la proiezione più intima di desideri, paure, demoni, ambizioni. Rêves non è nient’altro che la rappresentazione di quel mondo che rimane sospeso tra il terreno e l’etereo. È quindi un punto di sintesi. La rappresentazione dell’esperienza onirica, ma anche del ricordo. La condensazione di un evento “filmico” in un’unica summa, un’immagine schizoide. La fusione materiale di una memoria attraverso la dinamica del movimento corporeo, porta alla rappresentazione di quel “desiderio” di ricomporre l’esperienza nel suo intero. Ma essendo il “desiderio” qualcosa di irraggiungibile per la sua stessa etimologia, l’immagine che ne deriva è una rappresentazione complessa che richiama ma non ricostruisce il suo originale. Da qui la difficoltà compositiva del lavoro. TM/ In Rêves|Dreams vediamo un corpo femminile in movimento la cui fisicità si “scompone” in una molteplicità di figure. Qual è il significato? AD/ Il corpo non è nient’altro che la traccia mnemonica dell’incontro. Un incontro tra due persone la cui traccia si scompone e si ricompone attraverso la fusione. TM/ Nelle immagini che realizzi quanto c’è del tuo processo conoscitivo e quanto delle influenze del mondo circostante? AD/ In Rêves il processo è totalmente conoscitivo, un percorso personale ed interiore. Nelle serie precedenti invece, l’influenza di tematiche filosofico-esoteriche erano il pilastro portante dell’opera. TM/ In Tarots interpreti - attraverso il nudo - gli Arcani Maggiori del mazzo del Tarocco Marsigliese, commissionato nella prima metà del XV secolo dal duca di Milano Filippo Maria Visconti. Un progetto dal forte valore simbolico. AD/ Il messaggio filosofico dei tarocchi conduce alla verità, o quanto meno tende ad elevarci a questa. Il ruolo della donna e la sua rappresentazione è sempre “al positivo”. Un’energia propositiva che si conclude nell’arcano XXI, Il Mondo. Una donna nuda trionfante, contornata da 4 simboli: nella tradizione cristiana i 4 evangelisti, in quella alchemica i 4 elementi, in quella divinatoria i 4 segni cardinali.

Da sinistra in senso antiorario: L’IMPERATRICE, 2009. Digital c-print montato perspex e dibond, 200x150 cm. L’HERMITE, 2011. Digital c-print montato perspex e dibond, 200x150 cm. RÊVES#2, 2011. Stampa a pigmento su carta cotone, 32x32 cm. RÊVES#1, 2011. Stampa a pigmento su carta cotone, 32x32 cm. Per tutte courtesy dell’artista.

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INTERVIEWS

LA CARNALITÀ INDAGATA Giorgio Pignotti

- Loredana Barillaro

Lredana Barillaro/ Le figure che dipingi palesano una corporeità molto forte, come se dovessero condensare tutto un universo attraverso una carnalità esibita… Giorgio Pignotti/ Nel mio fare pittorico ho trovato nella carne la mia tavolozza. È la lingua attraverso cui mi piace esprimermi. Il colore poi, inteso come pasta, è molto materico e noi ci muoviamo attraverso la materia, cercando di vedere e percepire la realtà attraverso di essa. Cogliere un’universalità o un’oggettività della realtà è una necessità viscerale che abbiamo tutti. Quando dipingo questi corpi cerco di suggerire queste emozioni e lo faccio mostrando soggetti testimoni di una trasformazione, cogliendoli in un momento preciso del loro viaggio. È anche la testimonianza o la dichiarazione di quanto l’umano sia un tema confuso. I corpi e i visi ci mostrano inquietudini, manipolazioni, scenari possibili, mi piace parlare di mutazione, di fuga in avanti, di riflessione, di contraddizione, di contaminazione. Mi interessa la dimensione insondabile, il dubbio come possibile rivelazione. LB/ Osservi da vicino i volti della serie Visioni illecite. Cosa cerchi di capire attraverso lo sguardo di questi personaggi? Cos’è che ti interessa del loro mondo?

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el mio fare pittorico ho trovato nella carne la mia tavolozza. È la lingua attraverso cui mi piace esprimermi. (...) Cogliere un’universalità o un’oggettività della realtà è una necessità viscerale che abbiamo tutti...

GP/ In questa serie di lavori i soggetti sono tratti da database giudiziari americani di foto segnaletiche degli anni Trenta-Cinquanta. Qui è il soggetto rappresentato a volersi insinuare verso lo spettatore, a violarne l’integrità proprio attraverso l’ispezione del volto. In questa operazione dove ci si sente al sicuro, proprio perché osservatori, la morbosità che caratterizza tale indagine ci mette inevitabilmente in contatto con quella parte oscura a cui ognuno di noi è legato e che inevitabilmente ci portiamo dietro. Come in certi supplizi del passato, in cui il criminale era costretto a trascinarsi appresso il cadavere della sua vittima, a cui era incatenato. LB/ Un’umanità complessa a cui ti rivolgi da diverse prospettive, e i tuoi personaggi si pongono dinanzi all’osservatore in modo quasi sfrontato, per attrarre o respingere? GP/ Penso di più all’opera come ad una sorta di specchio, un mezzo attraverso il quale riflettere (e riflettersi). Serve ad indagare, a far emergere la nostra parte più intima e viscerale. LB/ Il tuo è un campionario di umanità fatto da tipi anonimi, pensi comunque possano raccontare una storia o, come cavie, ti servono solo per una certa rappresentazione del genere umano? GP/ Cercando di rappresentare ed evocare una dimensione “universale” o più “oggettiva” realizzando le opere, mi distacco dal singolo, lascio per strada la percezione di genere per avvicinarmi ad un transito. Una parentesi del moto continuo. Il distacco crea un’atmosfera confortante, ma può trasformarsi in qualcosa di violento non appena mettiamo a fuoco l’elemento che attira la nostra attenzione. LB/ Che percorso hai compiuto, come sei giunto a tutto questo? GP/ L’identità, la traccia del passaggio dell’uomo, qualcosa che ci aiuti a riconoscere meglio l’esperienza umana, è un tarlo che mi ossessiona da sempre. Non avendo però una mente scientifica, ed essendo più incline all’irrazionalità, è stato un processo naturale avvicinarmi all’arte, al fare arte. Quando inizio una ricerca, un’osservazione, sono quasi ossessivo. Le opere sono poi il risultato di un processo di catarsi, di purificazione dall’ossessione di osservare la natura umana nelle varie espressioni e manifestazioni.

Dall’alto a sinistra in senso orario: BEAUTY CONTEST, 2013. Olio e smalti su tela, 40x55x4 cm. 58945. Olio e smalti su tela, 180x200 cm. T03, 2011. Olio e smalti su tela, 155x125 cm. SENZA NOME, 2013. Olio e smalti su tela, 70x80x4 cm. Per tutte courtesy dell’artista.

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L’ARTE. SENZA PREGIUDIZIO Caterina Cuda

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o quasi 37 anni e sono madre di una bimba di 3 anni, e pur essendo laureata in materie scientifiche, sono ormai da 8 anni titolare di una galleria d’arte che dirigo con tanta passione. La nascita della galleria, la Quadrature Formedarte, è avvenuta quasi per caso. Agli inizi del 2005 un amico artista, che conosceva da tempo il mio interesse per l’arte contemporanea, e a cui avevo confidato quasi per gioco un sogno nel cassetto, mi segnala un locale in affitto nel pieno centro storico di Lamezia Terme Nicastro, in via Garibaldi, zona affascinante, di vocazione artigianale, poco frequentata ma centrale. Lo visito e mi decido a provare a realizzare quel sogno - che sino ad allora avevo tenuto nascosto nel cassetto, coltivando l’interesse per l’arte in una chiave solo intima e personale - ovvero, aprire una galleria d’arte. Ho iniziato con un obiettivo ed una strategia molto netta: “la galleria si prefigge l’intento di diventare vetrina permanente del panorama dell’arte contemporanea nazionale e locale e inoltre di individuare artisti di diverse generazioni e tendenze per cercare di creare un dialogo-confronto tra di essi e il pubblico, un luogo atto alla sperimentazione artistica e allo stesso tempo punto di riferimento e di scambio per artisti, collezionisti e amanti della pittura e dell’arte in generale...” Insomma un progetto ambizioso nel quale mi sono tuffata totalmente, sotto tutti gli aspetti, conscia di stare iniziando un’avventura fantastica, stimolante e affascinante ma anche di intraprendere un’iniziativa del tutto nuova sul territorio, e con tutti i rischi connessi. Infatti da alcuni anni la città era priva di uno spazio espositivo del mondo artistico, e quelli che c’erano stati in passato non avevano avuto il respiro contemporaneo e internazionale che volevo 8

PEOPLE ART

dargli io. L’apertura di una galleria con simili caratteristiche non era pertanto il passaggio più naturale ed ovvio né per me né per la città. Ma sin dall’apertura, con una collettiva “Ouverture” in cui ho esposto gli artisti che intanto avevo avvicinato al progetto - una sorta di propria scuderia - le sensazioni ed i riscontri furono ottimi. Ho proseguito negli anni con tante mostre, tra collettive e personali, in cui ho potuto sia conoscere qualche collezionista che fino a quel momento acquistava fuori regione, sia far nascere nuovi appassionati che seguono la galleria e che ne sono la vera linfa. Ad oggi posso affermare che Lamezia risponde sempre con molta curiosità ed è evidente che la nostra città ha sete di cultura. Risponde sempre in modo massiccio a tutti gli eventi culturali che vengono proposti, e in tal senso le mostre qui in galleria non fanno eccezione. Inoltre gli eventi che organizzo sono spesso visitati anche da persone provenienti da altri luoghi della regione, rendendomi particolarmente orgogliosa di questo risultato. Oggi ci sono in permanenza sia artisti affermati di fama nazionale e internazionale, che giovani emergenti. Proprio questi ultimi, e più in generale quegli artisti che seleziono come interessanti e che magari espongono per la prima volta, sono di solito l’esperienza più significativa che mi capita di vivere nel mio lavoro. L’incontro con i giovani artisti è sempre una scoperta, sono incontri mai banali. Uno tra questi giovani ad esempio, carico e appassionato, è Pasquale De Sensi, giovanissimo lamentino. Una rivelazione artistica, geniale nel suo genere, del tutto originale, il vero artista di oggi, non solo un creativo ma anche uno sperimentatore, che sente il suo ruolo di testimone del presente. Senz’altro lui ha mostrato un’apertura mentale verso il mondo


dell’arte contemporanea pura in cui tecnica, creatività e messaggio di denuncia coesistono in un’opera sola, e che ha anche saputo rappresentare quel momento di confronto e crescita che era nell’obiettivo iniziale della galleria, oggi, che è ancora un artista in crescita e il suo curriculum vanta già mostre e riconoscimenti nazionali e internazionali, cosa di cui sono molto felice. Tra gli artisti calabresi non posso dimenticare la mostra su Albino Lorenzo, o quella di Cefaly ed Enotrio, artisti che hanno saputo esprimere ai livelli massimi le basi culturali e popolari di ogni calabrese, e capaci quindi di arrivare anche a persone lontane dal mondo dell’arte. In ogni caso l’incontro con i grandi artisti italiani, la conoscenza con loro e le loro opere sono esperienze che segnano sempre la mia vita professionale, visto che spesso si incontrano personalità eccentriche, originali, impenetrabili o al contrario estremamente dirette. E anche il semplice legame che si instaura con altre gallerie, con le quali si attiva una collaborazione o uno scambio, è senza alcuna eccezione un momento importante e stimolante per la galleria e me stessa. L’impronta che provo a dare alla galleria nella scelta delle opere e delle forme d’arte che ospito è inevitabilmente influenzata dal mio gusto personale e da ciò che mi attrae. Ma anche quando mi spingo a trattare le forme d’arte più estreme e rigorose, o anche opere del tutto innovative e sperimentali, mi piace esporre sempre ciò che penso possa far avvicinare all’arte chiunque, senza pregiudizi. Da qualche anno ho aperto al mondo del design, soprattutto quello autoprodotto, che ritengo un’autentica forma d’arte capace di cogliere il desiderio della società contemporanea di circondarsi del bello anche negli oggetti più semplici e di quotidiano utilizzo. Un artista infatti per me è anche chi sfoga la propria creatività nel produrre oggetti di tutti i giorni e chi appunto, come un designer o semplice artigiano, trova nei vari materiali, poveri o rari che siano, fascino, e li sfrutta declinando in chiave estetica la loro funzionalità e quotidianità. Il mio intento attuale è quello di rendere fisso almeno un appuntamento all’anno in cui ospitare anche questa interessante forma d’arte a cui il mercato si sta mostrando inoltre molto sensibile. E dopo aver accompagnato qualcuno nell’acquisto di un’opera d’arte, quadro, scultura, fotografia o oggetto che sia, dico sempre a me stessa: “esiste un lavoro più bello?”. Da sinistra in senso orario: Pasquale De Sensi, HOLLOW LAND #11 (DEPOSITION PROCESS), 2012. Tecnica mista su carta. Caterina Cuda durante un opening. Vasi in cartone dei LABORATORI LAMBRATE, Milano. Per tutte courtesy Quadrature Formedarte.

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SPECIAL

IL MERCATO DELL’ARTE IN ITALIA Gregorio Raspa

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l mercato dell’arte non è omologabile a nessun’altra realtà. È un sistema basato su regole proprie - spesso non mutuabili da altri settori - che pone al centro della propria esistenza il commercio di beni caratterizzati da “conclamata scarsità in generale e assoluta unicità in particolare”. La competitività di un paese sul mercato - forse nell’arte più che in altri settori - è legata alla sua capacità di darsi regole certe ed efficaci, in grado di garantire trasparenza negli scambi ed evitare la formazione di opportunità d’arbitraggio che favoriscano, a parità di “merce”, una piazza piuttosto che un’altra. In un tale contesto, il mercato dell’arte italiano si trova a fare i conti, da un lato, con la sua pigrizia legislativa - causa primaria negli anni del mancato rinnovamento del sistema - dall’altro, con una crisi economica che favorisce i dealers stranieri e indebolisce le collezioni nazionali. Del sistema dell’arte italiano e del mercato che lo sostiene, delle sue peculiarità e criticità, della sua realtà e dei suoi possibili interventi migliorativi, abbiamo discusso con quattro autorevoli professionisti del settore. SILVIA ANNA BARRILÀ - Giornalista ArtEconomy 24 Da anni segue il mercato dell’arte in Italia e all’estero, monitorando il mondo delle fiere e quello delle aste, seguendo le attività dei galleristi e raccontando le abitudini dei collezionisti. Alla luce della sua esperienza, come definirebbe l’attuale “stato di salute” del mercato dell’arte nel nostro paese? Il mercato dell’arte in Italia soffre profondamente per l’attuale crisi economica: recessione e normativa antievasione, pressione fiscale, limitazioni alle esportazioni e mancanza di misure incentivanti stanno mettendo in ginocchio il primo mercato e la fascia alta del secondo mercato. Soprattutto la fascia media è colpita dalla crisi. Il mercato italiano è diventato un magazzino di approvvigionamento da cui gli operatori internazionali attingono opere da vendere all’estero. Si veda a questo proposito la strategia adottata sia da Christie's che da Sotheby's che hanno diminuito il numero di aste in Italia, incrementando, invece, le private sales, mentre le opere italiane vanno ad arricchire i cataloghi delle Italian sales di Londra. A questo proposito, gli artisti più richiesti all’estero sono Lucio Fontana, Enrico Castellani, Alighiero Boetti, Piero Manzoni e i rappresentanti dell’Arte Povera. Tra i moderni Giorgio Morandi, mentre è fermo tutto il mercato dell’arte moderna del primo Novecento. Tra gli artisti più strettamente contemporanei hanno più fortuna quelli che possono contare su gallerie e attività espositiva all’estero, primo fra tutti Maurizio Cattelan e altri come Francesco Vezzoli, Vanessa Beecroft o Paola Pivi. Intanto le case d’aste italiane continuano la loro attività contando, soprattutto, sui compratori stranieri anche grazie ai canali di vendita online, che assumono per questo motivo una rilevanza sempre maggiore.

GUIDO CANDELA - Professore di Economia dell’arte all’Università

di Bologna

I dati più recenti evidenziano come, all'interno del contesto internazionale, il mercato dell’arte italiano ricopra una posizione sempre più marginale. Quali potrebbero essere, a suo parere, gli interventi in grado di garantire un rilancio del settore e invertire la tendenza in atto? Sicuramente il mercato dell’arte italiano è marginale mentre gli artisti italiani non sono assenti dal contesto internazionale: la prova è nei successi delle Italian sales. Che fare? Occorre mettere mano alla Notifica, che produce effetti restrittivi e di modesta tutela nei segmenti commerciali dell’arte antica e moderna. È necessario che l’IVA, in galleria applicata sul margine come i beni usati, sia invece pensata esplicitamente per i beni d’arte, apparentemente usati ma in effetti ever green. Infine, la tracciabilità ed il redditometro devono prevedere la specificità dei beni d’arte e del relativo mercato, ora accomunati ad altri contesti di spesa o d’investimento. È anche necessario affrontare il problema della trasparenza e dell’informazione, nel dubbio che “i dadi siano truccati” molti non si avvicinano al mercato. Questo problema coinvolge la forma del contratto di scambio, tema oggi non trascurabile. Infine, nessun mercato nazionale si sostiene senza un collezionismo domestico, Brasile e Cina insegnano. Allora, è necessario un sistema di incentivi al collezionismo d’arte: la detraibilità dell’IVA pagata su acquisti documentati, ad esempio, ma anche l’esclusione da imposte patrimoniali, di donazione e di successione. Molti settori hanno ricevuto un sostegno fiscale: automobili, biciclette, agricoltura, edilizia e recentemente anche l’arredamento, mai il mercato dell’arte. 10


ROCCO GUGLIELMO - Presidente Accademia di Belle Arti di Catanzaro Lei, oltre che un noto ed importante collezionista, è anche il Presidente della Fondazione che porta il suo nome, della Fondazione Mimmo Rotella e, da qualche mese, dell'Accademia di Belle Arti di Catanzaro. Alla luce delle diverse esperienze maturate, come giudica il sistema dell’arte italiano? Quali sono, a suo parere, le principali criticità dello stesso? Il sistema dell’arte italiano ha specificità che lo rendono unico nel contesto internazionale. A fronte di un patrimonio senza paragoni, esiste una gestione dei beni culturali, dell’arte e delle attività ad essa ricollegabili che sconta ritardi, evidenzia palesi debolezze - specie in termini di competitività ed efficienza - e soffre la mancanza di adeguate politiche di tutela e valorizzazione. Nel corso degli anni mi sono confrontato con diverse realtà del settore toccando con mano le difficoltà che si riscontrato nell’operare in un sistema lento, eccessivamente burocratizzato e poco aperto all’iniziativa privata. In Italia, ad esempio, non esistono gli incentivi che altri paesi offrono ai privati che intendono investire parte delle loro risorse in attività culturali fruibili dall’intera collettività. Da noi non esiste, poi, una strategia culturale orientata al lungo periodo. Ciò ha forti conseguenze sull’economia dell’intero sistema e sulle carriere dei giovani artisti. Quanto detto è dimostrato dagli scarsi investimenti in formazione - le Accademie hanno budget sempre più poveri - e dall’incapacità dimostrata dal sistema di sostenere e proteggere i propri artisti oltre i confini nazionali.

ANDREA CARLO ALPINI Direttore Theca Gallery, Lugano

SMALL ZINE Magazine di arte contemporanea

Ha deciso di avviare la sua Galleria a Lugano. Può indicarmi le ragioni che l’hanno indotta a preferire la Svizzera all’Italia? Quali sono, a suo parere, gli aspetti che rendono il nostro mercato poco competitivo?

Iscrizione R.O.C. n. 21467 del 30/08/2011 Legge 62/2001 art. 16 Direttore Responsabile: Loredana Barillaro Redazione e Grafica: Luca Cofone

La scelta di aprire la Theca Gallery a Lugano è stata dettata da diversi fattori di natura culturale e burocratica. In primo luogo, in Svizzera esiste un mercato trasparente ed affidabile. Ciò è vero anche nel settore dell’arte che, al contrario, in Italia appare ancora “opaco”. Nel paese dello stivale l’IVA sull’acquisto di opere d’arte è al 21% - in Svizzera all’8% - e sulle vendite effettuate grava spesso il diritto di seguito, assente in Svizzera invece. Infine, la tassazione elvetica sull’impresa è notevolmente più bassa rispetto a quella italiana. Ma questi sono solo alcuni degli aspetti che rendono il mercato dell’arte in Italia scarsamente competitivo e che hanno, in parte, ispirato la mia scelta. Altre motivazioni sono strettamente legate alle realtà culturali - molto diverse tra loro - dei due paesi. In Italia, infatti, non esiste il fermento che, specie in questo momento, anima la Svizzera dove stanno nascendo nuovi musei, kunsthalle e gallerie dedicate all’arte contemporanea. La mia scelta di andare via, infine, è nata con l’idea di divenire promotore, anche per mezzo dell’attività espositiva, dell’arte italiana nel mondo. In tal senso, la Svizzera mi è parsa, sin da subito, la realtà più adatta alle mie intenzioni.

Stampa: Gescom s.p.a. Viterbo Redazione: Via della Repubblica, 119 - 87041 Acri (Cs) Editore: BOX ART & CO. Associazione Culturale Contatti e info: 3393000574 / 3384452930 smallzine@hotmail.com www.smallzine.info Hanno collaborato: Teodora Malavenda, Gregorio Raspa, Martina Adamuccio, Pasquale De Sensi © 2012/2013 BOX ART & CO. È vietata la riproduzione, anche parziale, dei testi pubblicati, senza l’autorizzazione dell’Editore. In copertina: Anna Capolupo, ORDINE, 2010. Inchiostro, acrilici, gessi su carta incollata su tela, 180x200 cm. (part.). Courtesy dell’artista. Le opinioni degli autori impegnano soltanto la loro responsabilità e non rispecchiano necessariamente quelle della direzione della rivista.

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PROTAGONISTI

THE FORMAT: UNO SPAZIO DA VIVERE Guido Cabib

- Martina Adamuccio

Martina Adamuccio/ Napoli, Roma e poi Milano. Tre città con storie e vite diverse. Cosa si porta di queste esperienze e cosa cerca con la sua nuova galleria The Format nella città di Milano?

The Format Versus The Format con la collaborazione di Enti, Associazioni, Fondazioni, etc. presenterà una serie di eventi espositivi e performativi con lo scopo di diffondere e promuovere l’integrazione dei multilinguaggi contemporanei artistici.

Guido Cabib/ Ci troviamo di fronte ad una crisi non solo economica ma anche di cultura di proporzioni globali, determinata da una ideologia fondamentalista del mercato, da uno sguardo corto e da un’esterofilia esaltata della politica culturale e dobbiamo riflettere su quale sarà il ruolo dei contenitori culturali privati dedicati al Contemporaneo. È necessario proiettarsi nel lungo periodo, reinventarsi, rivalutare i valori della collaborazione sulla sfrenata competizione. La produzione artistica e la conseguente elaborazione culturale possono ancora essere, come nel passato, visioni strategiche ed interpretative del futuro. Milano è la città italiana con maggiore propensione al Futuro.

The Format Collector’s Suite/ The Balcony Al piano superiore della Gallery è allestita una Suite di circa 50 mq, con affaccio sulla sala espositiva dove, collezionisti, artisti, curatori, critici e personaggi della cultura saranno invitati a passare una notte in Galleria. MA/ Artisti italiani o internazionali: quali i pregi e i difetti in questo determinato contesto storico? GC/ Argomento affascinante, ma ci vuole un’altra intervista, dedicata esclusivamente a questo!

MA/ Galleristi, mercanti o squali del “sistema dell’arte”. Spesso criticati o fin troppo legati a ciò che più che arte ricorda il business. Ma qual è in realtà il ruolo del gallerista? GC/ Le arti sono in perenne divenire, e rappresentano una molteplicità di linguaggi, di segni, di riferimenti, di energie. Le economie che ruotano e si producono in entrata ed in uscita rispetto ad uno spazio, che deve essere oggi artistico-culturale, sono molto più articolate, e richiedono un mix di azioni. La Galleria deve integrare nelle sue azioni tre funzioni: culturale, divulgativa e formativa. Uno dei fattori determinanti per progettare un nuovo modello di galleria per il futuro è l’integrazione con altre forme culturali artistiche (design, danza, teatro, cinema, enogastronomia, etc.) ormai parti necessarie a far comprendere la valenza della cultura del contemporaneo. MA/ Fotografia, scultura, installazione, performance e video: oggi sembra che tutto possa far diventare una persona un artista. Ma quali sono i suoi metodi di scelta qualitativa di un artista? GC/ Il mio metodo di scelta si basa sempre su tre pilastri: la conoscenza della storia dell’arte, la riflessione interiore dell’artista e la sua vita. La tecnica è funzionale alla riflessione ed un artista deve saper usare più tecniche ed essere riconoscibile per le sue asserzioni. Oggi abbiamo bisogno di riflettere sul nostro futuro, dobbiamo capire cosa ci porta la nostra involuzione e quale dovrebbe essere il nostro futuro, la nostra evoluzione. MA/ The Format segue un suo percorso specifico o rimane aperto a più linee? GC/ THE FORMAT- Contemporary Culture Gallery si presenta come contenitore culturale contemporaneo che va oltre l’oggetto fisico e si manifesta con identità polisemiche. Le azioni di THE FORMAT: The Format Gallery – lo spazio espositivo Sarà messa in atto una programmazione espositiva di artisti emergenti nazionali ed internazionali provenienti dalle arti visive. Sarà inoltre programmata annualmente una mostra di un artista che ha contribuito in maniera esemplare alla crescita culturale del nostro Paese. The Format Choice Saranno presentati progetti in fase germinale, di artisti emergenti nazionali ed internazionali, al fine di individuare possibili collezionisti che interagiscano sin dalla prima fase riflessiva dell’artista e possano supportare la realizzazione del progetto condividendone le varie fasi di attuazione.

Dall’alto: esterno e veduta dello spazio di Milano. Per entrambe courtesy THE FORMAT

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SHOWCASE

COSIMO PIEDISCALZI | a cura di Pasquale De Sensi

IL BAMBINO A PALLINA Piccola cosa sull’Universo

di Cosimo Piediscalzi

È

Per tutte: SENZA TITOLO, 2013. Tecnica mista su cartoncino, 21x29 cm. Courtesy dell’artista.

una storia semplice. C’è un bambino e suo padre, e questo suo padre è una quercia. Com’è naturale che sia, ogni figlio di quercia ha gli occhi chiari, un po’ come due piccoli cieli tropicali. Ha anche i capelli castani come certe nocciole. Il padre invece, Duca e gran Signore di 11 boschi, aveva un torace così largo che ad ogni respiro dilaniava a millimetri la terra sotto di sé. Era un saggio. Parlava poco, e come tutti coloro che parlano poco, ragionano di più. Lui conobbe i secoli verdi, poi quelli azzurri, quelli gialli e quelli a temperino. Conobbe le primavere verniciate dalla tecnologia e quelle del Cenozoico, traversò persino le malinconie dell’Era Glaciale. Adesso se ne stava lì a ronfare nel vento. Poi capitò che un lunedì d’inverno, si vide arrivare suo figlio – il bambino nocciolina – che con la sua voce bianca gli domandò le ragioni dell’universo. Il padre non si allarmò per la domanda, anzi, ne fu lieto. “Figlio mio, siediti ai miei piedi e ti spiegherò”. E il bambino si sedette facendosi pallina. “Vedi figlio mio, l’universo è una pallina che si osserva da sola e si chiede cos’è quella pallina lì in fondo”. Il bambino allora, insospettito dalla parola “pallina”, si guardò per bene e notò che era tutto raggomitolato con le ginocchia che gli sorreggevano il mento, con le braccia a corda su sé stesso e di colpo ebbe proprio l’impressione di essere lui stesso una pallina. “Padre, ma anch’io allora sono una pallina?”. Il grosso albero fece un tremolio al ramo numero 41 e giù una foglia secca sulla testolina del figlio: “Certo piccolo mio, tu sei una pallina”. Il bambino sorrise felicissimo e si rannicchiò ancora di più, si fece più pallina che poteva. “E allora, anch’io sono l’universo?”. Domandò felice. “Certo che si, figlio mio. Sei tu che guardi e l’universo risponde, pallina per pallina ed eccoci qui figlio mio, a specchiarci tutti quanti”. Il bambino a pallina, dopo mezz’ora di stare così, si alzò e abbracciò forte il fusto legnoso di suo padre. Poi se ne andò tipo un coniglio, scomparendo nella macchia sotto lo sguardo torreggiante del padre. A scampoli il cielo saettava grumi d’azzurro. E poi basta. (17 dicembre 2012) 13


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STRATIFICAZIONI DI EMOZIONI Anna Capolupo

- Luca Cofone

Luca Cofone/ Dipingi contesti ricchi di dettagli, apparentemente caotici, che sembrano racchiusi in un certo tempo, quasi cristallizzati… Anna Capolupo/ Piuttosto che fermi in un certo tempo, parlerei nel mio caso di un modo differente di guardare e di vedere. Unire diverse percezioni dello spazio e del tempo, di sensazioni e di memorie di luoghi o di oggetti che appartenevano a qualcuno. Possono sembrare caotici, ma sono invece un tentativo di racchiudere un’esistenza, per evocarla non per raccontarla, creare delle suggestioni e delle atmosfere che non hanno un tempo ma che sono stratificazioni di emozioni. LC/ Utilizzi una cromia intensa, che talora stenta a ritrovarsi in molta arte contemporanea, forse un “bisogno” che accomuna solo una parte della pittura attuale. Nel tuo lavoro c’è più tradizione o innovazione? AC/ Non so se esiste una pittura attuale, esistono forse tante maniere di “fare” e tutte molto autoreferenziali. Se si guarda attentamente e si osserva meglio, si possono trovare molti riferimenti alla mia cromia nella pittura del passato. Nel mio lavoro c’è molta tradizione, che è insita nello strumento utilizzato. Parto quasi sempre da un disegno in bianco e nero, il disegno è il linguaggio più antico che esista. E nello stesso modo ci sono artisti contemporanei che stimolano molto la mia immaginazione, e il mio approccio alla pittura non può che essere moderno e attuale. Credo non stia a me definire se il lavoro è innovativo. Penso che non ci sarebbe innovazione senza tradizione, non possono che camminare insieme. LC/ Come definiresti le tue opere, forse il risultato di una moderna pittura di paesaggio? AC/ Di certo negli ultimi anni ho affrontato molto il tema del paesaggio, soprattutto urbano, proprio perché ho l’esigenza di rappresentare il mio tempo, ciò che vivo è quello su cui posso esprimere direttamente un parere, ma non mi piace definire le cose, quando definisci chiudi dentro un perimetro specifico che comprende solo una piccola sfaccettatura di un lavoro che è molto più vasto e ci si allontana molto dalla verità.

Dall’alto: CAVALLINA IN BAGNO, 2010. Tecnica mista su tavola, 20x25 cm. BERLIN SPRING 2011, 2011. Tecnica mista su carta intelaiata, 24x18 cm. Per entrambe courtesy dell’artista.

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PELLE DIGITALE Felice Gualtieri

- Loredana Barillaro

Loredana Barillaro/ Felice, che cos’è Laboff? Felice Gualtieri/ La definizione corretta di Laboff è quella di nodo post-urbano che risponde a logiche di esternalità e di margine. Se riflettiamo su un livello teorico, assume significato soltanto all’interno dei processi di glocalizzazione che si attivano con l’avvento pieno dell’era digitale e della terza rivoluzione industriale. Detto così, forse, ad alcuni può risultare complicato da apprendere. In altre parole è un laboratorio/atelier (local) situato a Trebisacce, dove svolgo la professione di architetto e una serie di altre attività, in stretta interazione, “agganciato” allo spazio digitale (global). Così otteniamo: local + global = glocal. Oltre ad essere glocal un laboff è anche esterno. Sul concetto di esternalità ci sarebbe molto da dire, per ora basti sapere che si situa fuori dalle rotte e dalle sfere d’influenza delle città tradizionali più forti. LB/ Parlami di “Skin on my way”… FG/ L’idea di “Skin on my way” è nata insieme all’amico fotografo Francesco Delia con il quale volevo dare un contributo alla programmazione culturale estiva di Trebisacce. Abbiamo scelto di trattare un argomento che, in un certo senso, come calabresi è sotto gli occhi di tutti: l’incompiuto edilizio. Il non finito qui da noi, non esagero a definirlo un tema “classico”; si trattava di trovare un taglio diverso, originale, senza cadere in retoriche sentite a sufficienza su un territorio già abbastanza compromesso. E così abbiamo pensato ad una pelle digitale che, come nella realtà aumentata, creasse un ulteriore livello psichico nel pubblico fino alla fondazione di un nuovo immaginario collettivo e condiviso dal quale partire per eventuali sviluppi futuri. LB/ “La centralità dello spazio pubblico” sembra essere al centro delle vostre intuizioni… FG/ Si, ma dobbiamo chiederci che tipo di spazio pubblico... è sempre uno spazio pubblico masticato dal Laboff, quindi entrato nella dimensione “uniduale” del glocalismo, che non significa necessariamente immateriale, ma soprattutto interattivo, cioè che evolve nel suo rapporto con il partner

digitale, e di cui noi, in questo momento, non abbiamo il minimo controllo. Al di là dell’unica azione che ci è concessa, cioè accendere l’interruttore, ci comportiamo quasi come spettatori che al massimo cercano di correggere e deviare i rimbalzi reattivi del processo. LB/ Cosa sono le tematiche della dislocazione? FG/ Per tematiche della dislocazione intendo una serie di pratiche che conducono all’emancipazione dalla dipendenza metropolitana. La nostra generazione ha la possibilità piena, forse per la prima volta nella storia dell’umanità, di non aver più bisogno della città come luogo supremo della relazione, di vedere quello che grandi autori ed architetti prima di noi hanno sognato intensamente lavorando un’intera vita al progetto organico. Ne cito uno tra i tanti, forse il più emblematico a riguardo: F.L. Wright, che vedeva nell’automobile il collante della sua Broadacre city. Oggi alla macchina abbiamo sostituito il bit e alla Garden city uno sprawl indefinito. Si tratta adesso, di incoraggiare questo salto, e di elaborare gli strumenti idonei per accogliere i flussi di “contro migrazione” in procinto di entrare in una nuova dimensione. Questo però lo facciamo non per necessità, solo perché lo pensiamo più bello. Dall’alto: SKIN ON MY WAY: ZONA INDUSTRIALE, Trebisacce (Cs), 2013. Stampa su carta fotografica, 50x70 cm. SKIN ON MY WAY: FORNACE DI LATERIZI ALETTI/CARDAMONE, Trebisacce (Cs), 2013. Stampa su carta fotografica, 50x70 cm. A sinistra: EARTH DAY ON SIERRA, 2012. Installazione ambientale di bioarte, Trebisacce (Cs). Per tutte courtesy Felice Gualtieri.

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