Magazine di arte contemporanea / Anno II N. 7 / Trimestrale free press
SMALL ZINE
Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, Aut: 170/ CBPA-SUD/CS
LUGLIO AGOSTO SETTEMBRE 2013
IEVA PETERSONE
Antonio Cugnetto - Gennaro Branca - Daniele Villa Salvatore Santoro - Ieva Petersone - Federico Gori Deficit/The Lack - Bookhouse - Riflessioni da una Biennale
TALENT TALENT
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UN BUFFO EROE MODERNO Antonio Cugnetto
ontano da un Pirandello ormai maturo, tra materiali di scarto come gommapiuma, plastica e oggetti di riciclo, rinasce una delle figure più complesse del Novecento: Vitangelo Moscarda, protagonista assoluto del romanzo pirandelliano Uno, nessuno e centomila. Pare di ritrovarlo nelle sculture di Antonio Cugnetto, classe 1983. Le sue opere descrivono l’uomo contemporaneo, mettendo in risalto debolezze e difficoltà dello stesso nell’adattarsi ad un mondo che pone al centro di tutto l’estetica e la perfezione. Un eroe che rinuncia al suo essere dimenticando, gradualmente, chi è veramente e cosa vuole. Una difficoltà, quella delle sue sculture, ma soprattutto dell’uomo, nello scegliere quale posizione spetta ad ognuno di noi nella collettività. Mettendo a nudo le profonde problematiche psichiche della nostra società, l’artista risalta con aria ironica aspetti della fragilità e insicurezza umana. Come il gatto Felix di Otto Messmer, Mio Mao per chi ricorda il cartone in italiano, anche i lavori di Cugnetto vivono con lo stesso stile una vita qualunque con i guai e i problemi di uno qualunque. Così, come le
- Martina Adamuccio
sculture dell’artista, anche Felix era muto e anche la sua vita era caratterizzata da storie semplici ma molto poetiche che riuscivano a catturare l’attenzione di grandi e piccini. Perché per lui tutto è possibile, e sembra che la realtà che lo circonda possa essere manipolata a suo piacimento. I lavori di Cugnetto, però, attirano soprattutto il cinismo dei più adulti. Le sculture, pertanto, giocano in maniera seria e scrutano a fondo l’animo umano. L’artista ripropone un uomo insicuro e confuso, in continuo bilico tra ciò che lui è e ciò che deve far apparire per poter essere accettato da chi lo circonda. L’uomo viene messo di fronte a inconfondibili situazioni assurde e imbarazzanti. Nei lavori dell’artista si sintetizza, cosi, l’idea di un uomo frutto di un riciclo decontestualizzato che si rifà al ready made di Duchamp e al riuscire a estraniare l’oggetto dal proprio contesto per crearne un altro con un valore diverso. Attraverso dei personaggi all’apparenza infantili, Cugnetto cerca di tirare fuori delle realtà e delle riflessioni sull’essenzialità dell’essere umano e sulle problematiche della società odierna, che impegnata a volgere lo sguardo altrove fin2
ge di non notare la distruzione del nostro mondo attraverso le proprie mani. Anche l’uso di materiali di riciclo, infatti, non è casuale, ma porta ad una riflessione su tematiche contemporanee profonde come i vantaggi che scaturiscono dal riciclaggio, favorendo l’ecologia ambientale. I suoi sono personaggi che ricordano Vitangelo Moscarda nel loro rendersi conto che le persone intorno hanno un’immagine completamente diversa da ciò che realmente esse rappresentano. Le sculture di Antonio Cugnetto, come Vitangelo Moscarda, vivono di una consapevolezza che si va man mano formando, la consapevolezza che l’uomo non è Uno, e che la realtà non è oggettiva. Una sorta di maschera universale, i lavori di Cugnetto, con la quale in realtà si presenta l’uomo stesso nella sua semplicità e a volte banalità. Un buffo eroe, che apparentemente patetico, nasconde mille verità perdute. INTENTIONS, 2103. Plastica riciclata e gommapiuma, 64x37x41 cm. Courtesy dell’artista.
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IL DUBBIO E I SUOI CLONI Gennaro Branca
- Gregorio Raspa
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arlando dell’evoluzione scientifica, e delle sue pratiche più estreme, già sul finire degli anni Novanta il discusso curatore americano Jeffrey Deitch scrisse “viviamo una fase che Charles Darwin non avrebbe mai potuto immaginare”, cristallizzando in questa frase l’incertezza di un’epoca non ancora finita - al cospetto delle sue prospettive. Ipnotizzati dal mito del progresso, anestetizzati da rassicurazioni non sempre ponderate, e a volte infette dal germe della faziosità, senza considerare gli esiti potenziali di molte pratiche scientifiche, abbiamo accolto l’artificialità in un mondo in cui convivono realtà naturali e di laboratorio che, un tempo parallele, oggi s’intrecciano dando luogo ad ibridazioni di corpi e forme che galleggiano in una zona d’ombra fatta di promiscuità, abitando una terra di nessuno, fertile e contaminante. È in un tale contesto che si alimentano incertezze identitarie e di genere, che l’uomo accarezza l’idea dell’immortalità o, comunque, il desiderio di procrastinare l’inevitabile marcescenza a cui il corpo è condannato. Su tali aspetti, dalle evidenti ripercussioni individuali e sociali, Gennaro Branca alimenta le proprie fantasie realizzando opere che, spesso, giocano sull’aspetto oscuro della vicenda, un dark side su cui seminare ambiguità e raccogliere i frutti del dibattito sul tema. Pur aggirando gli aspetti tecnici legati all’argomento, di cui non può e non vuole occuparsi, con le sue opere Gennaro Branca si dimostra capace di evidenziare ed esasperare gli equilibri instabili su cui poggia una realtà fatta di speranze e paure, insanabili contraddizioni, battaglie etiche e dubbi morali. Attraverso l’utilizzo di un linguaggio criptico, egli traduce l’argomento in un ricco e strutturato insieme di simboli, astratto riferimento di una realtà sfuggente, spesso priva di forma e consistenza, ma ricca di valori. Abbattendo i tabù, sfidando ogni steccato ideologico, da tempo il pittore campano scandaglia un mondo così complesso, ponendo al centro della propria ricerca le modificazioni genetiche e le clonazioni, immergendosi in un universo popolato da provette ed esperimenti di laboratorio. Da Synthia (la prima cellula sintetica), a Dolly (il primo animale clonato): sono questi i soggetti di una pittura che fa da ponte fra arte e scienza. Muovendosi sul campo con imparzialità, filtrando la realtà attraverso un pensiero non allineato, Branca trascrive nella sua pittura gli umori contrastanti che caratterizzano l’attuale fase storica, la stessa che - forse per la prima volta - avverte come possibile l’avvento di un nuovo ordine naturale. Utilizzando un segno e una gestualità istintiva, Branca trasforma il supporto come il luogo su cui s’incontrano un’orgia di segni e una ridda frenetica di elementi - non sempre riconoscibili - che, alla fine, si sovrappongono mescolandosi al colore. Tra i segni pittorici emergono, poi, frasi incomplete, sconnesse e cancellate. Queste riaffiorano tra la materia come l’epifania del passato da writer di Branca. Egli, col tempo, ha abbandonato la sua tag ma non il rapporto con la parola, che continua a sperimentare e ad applicare, dando vita a composizioni che, dietro al loro apparente disordine, custodiscono una sotterranea e misteriosa armonia. Il caos iconografico di Branca, del resto, nasce dalla volontà frustrata di rappresentare in maniera chiara e leggibile le prospettive future di uno scenario che, al contrario, appare diviso tra rassicurante ottimismo e apocalittico timore. Ciò che Branca esprime per mezzo della sua pittura è dunque un messaggio sospeso, incapace di definire e auto-definirsi perché posto sull’orlo di un senso che vacilla sull’ignoto. Dall’alto: SENZA TITOLO, 2012. Tecnica mista su tela, 80x100 cm. Courtesy Galleria Ellebi, Cosenza. STG M11, 2012. Tecnica mista su tela, 80x100 cm. Courtesy dell’artista.
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INTERVIEWS
MENO DI QUANTO ABBIAMO RICEVUTO DAI PADRI Salvatore Santoro
- Teodora Malavenda
Teodora Malavenda/ Quando e come è iniziato il tuo percorso fotografico?
Sembrava di essere a Rimini. E invece erano proprio quelli i primi segni che poi avrebbero deturpato irrimediabilmente l’area.
Salvatore Santoro/ È incominciato tardi rispetto a tanti altri miei colleghi. Dopo un breve ma intenso assaggio della Facoltà di Lettere moderne di Napoli (Salvatore è di Caserta ndr), mi sono trasferito a Bologna dove ho iniziato a lavorare come impiegato. La svolta è arrivata nel 2006 quando ho deciso di cambiare mestiere per dedicarmi a ciò che realmente mi piace: la fotografia. Ho frequentato un workshop con Gerd Ludwig e Kent Kobersteen e un Magnum Masterclass con Alex Majoli. L’incontro con Alex in particolare, ha ribaltato la mia vita professionale.
TM/ “Era la prima volta che sentivo sparare un Kalashnikov. Ed era contro delle persone. Mai avremmo immaginato, quella sera, di dover scappare con delle bottiglie di birra in braccio guardandoci indietro”. Questa è la frase di apertura del libro che preannuncia un cambiamento nella tua vita di adolescente. Cosa è successo? SS/ Doveva essere una sera come tante altre in cui ci ritrovavamo al bar con gli amici a bere una birra. Invece accadde che le risate furono bruscamente interrotte dal rumore degli spari che colpivano persone sedute al nostro fianco. Lì mi resi conto che il luogo della spensieratezza e del divertimento non era così bello come volevano farci credere e che quelle pallottole avrebbero potuto colpire anche me. Insomma ho fatto i conti con la realtà e ho capito che l’illegalità cominciava a prendere forma.
TM/ Nel 2012 la pubblicazione di Saluti da Pinetamare. Il libro curato da Chiara Capodici e Fiorenza Penna di 3/3, è stato selezionato al DUMMY AWARD 2012 al 5th International Photobook Festival ed è stato esposto a Le Bal (Parigi), MIA Fair (Milano), s.t. galleria (Roma), F/STOP Photofestival (Leipzig). Raccontaci il progetto.
TM/ Torni nei luoghi incriminati 15 anni dopo. Che realtà si è svelata ai tuoi occhi?
SS/ Un aspetto fondamentale del progetto è l’autoproduzione. Si tratta di un libro particolare che non mi ha lasciato molte alternative. La carta, la copertina, gli inserti e la rilegatura a mano hanno dei costi che nessun editore avrebbe coperto completamente. Le foto sono state scattate tra il 2009 e il 2011, lungo i 54 km della Strada Statale n.7 “Domitiana”, nella città di Licola, Lago Patria, Ischitella, Villaggio Coppola, Castel Volturno, Pescopagano, Mondragone e attraversando la costa mediterranea delle province di Caserta e Napoli. Questi sono i luoghi in cui trascorrevo le vacanze 25-30 anni fa. All’epoca erano frequentati da centinaia di turisti soprattutto stranieri. Erano gli anni del boom economico. Sorgevano ogni giorno nuovi stabilimenti balneari, hotel di lusso, pizzerie, ristoranti, bar.
SS/ Sapevo già che il degrado aveva infettato tutta l’area ma ripercorrendola mi sono reso conto che la realtà superava di gran lunga l’immaginazione. Oggi la zona è in mano alla mafia nigeriana e alla camorra. È sede di spaccio, abusivismo edilizio e sversamento illecito dei rifiuti di mezza Italia. TM/ Questo ritorno, che è anche un viaggio a ritroso nei ricordi della tua infanzia, coincide con la realizzazione del tuo primo progetto importante. Cosa ti ha spinto a realizzarlo? SS/ Arrivato giù ho iniziato subito a fotografare. 4
Sentivo la necessità di dover conservare nitida l’immagine che si presentava ai miei occhi. Scattavo per un’esigenza personale. Solo in seguito feci vedere le foto ad Alex Majoli che mi incoraggiò a farne un libro. Da quel momento cambiai prospettiva e tornai a vivere in Campania per qualche mese. Era necessario integrarsi con il tessuto sociale. Respirare l’aria di quei luoghi, frequentare gli stessi spazi degli abitanti, provare a decifrare dinamiche comportamentali che sono frutto di anni vissuti nell’illegalità e nell’inadempienza. Sentivo forte il bisogno di rivivere gli ambienti della mia infanzia per indagarne in cambiamenti e metterli a confronto con una realtà dura che non va affatto nella direzione di un futuro migliore. Ecco, forse è stata la preoccupazione per il futuro che mi ha spinto a realizzarlo. TM/ Nelle prossime settimane Akina Books pubblicherà una nuova edizione di Verbrannte Erde, il tuo primo libro autoprodotto. Il progetto ci riporta alla Strage di Marzabotto, avvenuta durante la seconda guerra mondiale, tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, in cui persero la vita 770 civili. Anche in questo caso i ricordi, pur se non direttamente tuoi, dialogano con il presente. Nel caso specifico perché sei ricorso alla memoria? SS/ Tra le pagine di storia spesso ritrovo elementi fondamentali per la lettura del presente. L’eccidio di Monte Sole comportò il rastrellamento di tutti i nuclei abitativi della zona che nel giro di una settimana divenne terra bruciata. Le conseguenze di quell’orribile operazione sono ancora oggi tangibili. Nonostante la ricostruzione e la ripopolazione, Marzabotto è una città offesa che sembra svegliarsi ogni mattina in preda all’angoscia e ai soprusi della sera prima. Per le strade regna il silenzio e se ti scappa da ridere il senso di colpa ti ricompone. L’unico evento pubblico è la commemorazione dei morti con il sacrario allestito in piazza. Questo significa che le cicatrici rimangono visibili sulla pelle a testimonianza di un passato che - nel bene o nel male - influenzerà sempre il futuro. In alto e a sinistra: dal libro fotografico SALUTI DA PINETAMARE. Qui sopra: dal libro VERBRANNTE ERDE. Courtesy dell’artista.
TM/ Il nome di uno scrittore, di un regista e di una città. SS/ Cormac McCarthy, Pasolini, Santa Maria Capua Vetere. 5
INTERVIEWS
IMMAGINANDO UNA STORIA Ieva Petersone
- Loredana Barillaro
Loredana Barillaro/ Raccontami di te Ieva, quando hai deciso che avresti fatto l’artista? Ieva Petersone/ Non c’è stato un giorno particolare, ho maturato l’idea quando avevo nove anni: dovevo iscrivermi alla scuola di musica ma ho detto a mia madre che invece volevo frequentare la scuola di arte. In seguito, a undici anni, ho cominciato il liceo artistico (da noi non c’è la scuola media) e da allora ho studiato sempre arte; è venuto tutto da sé, con il tempo, in modo molto naturale, spontaneo, e poi è quello che mi viene meglio fare. LB/ Nei contesti che dipingi la figura umana è assente, però l’oggetto che ci è più familiare, la sedia, sembra evocarne la presenza in maniera molto forte… IP/ La figura umana non entra quasi mai nello spazio dei miei lavori, ma gli oggetti parlano di essa. È come entrare in un luogo in cui non ci sono più persone, ma ci sono state, e vedendo i mobili, gli oggetti, la posizione in cui si trovano puoi ipotizzare una storia, puoi immaginare quello che è successo prima. LB/ Quindi è possibile ricostruire le ultime ore di una persona in base alle tracce che ha lasciato in un dato luogo…
Dall’alto in senso orario: PONTI - SUPERLEGGERE, 2012. Olio su tavola, 15x19,5 cm. TARANTINO (PULP FICTION), 2011. Olio su tela, 30x55 cm. EAMES - ROCKERS&ESU, 2012. Olio su tavola, 15x19,5 cm. CASTIGLIONI II, 2013. Olio su tavola, 15x19,5 cm. Per tutte courtesy dell’artista.
IP/ Si, esattamente. 6
LB/ Che rapporto esiste fra le tue opere e il design? IP/ Scelgo le sedie dal design più noto, di solito degli anni Trenta e Cinquanta o anche più recente, non mi baso però necessariamente sull’idea di chi le ha progettate, bensì prendo quello che più mi piace. Scelgo il design perché offre una gran varietà di forme e di colori. Potrei dipingere qualsiasi sedia, ma ricreo un po’ il pensiero che ci sta dietro, scelgo i mobili che in un certo senso mi “divertono”. LB/ Parlami dei lavori legati al cinema. IP/ Sono lavori abbastanza recenti e spiegano ancor di più il concetto della “non presenza”, delle tracce lasciate dai personaggi che non si vedono. Si tratta di interni estratti da scene di film di Kubrick, Antonioni, Tarantino e altri. Guardando un film ci si concentra sempre sugli attori, io invece li tolgo e lascio che lo spazio diventi azione esso stesso. Dipingo ciò a cui spesso non prestiamo attenzione ma che già di per sé disegna la storia. È come se fossero delle nature morte fatte da tavoli e sedie, ma tutto è più “astratto” in un certo senso, anche se il filo conduttore è sempre lo stesso, l’assenza di persone fisiche.
è diverso, abbiamo esperienze differenti gli uni dagli altri. Certo è importante che si crei un filo di pensiero, ma non deve essere per forza il mio.
LB/ Il cinema è anche più discorsivo, possiede una trama, un tempo, presuppone una durata…
LB/ Perché hai deciso di venire in Italia, e soprattutto, com’è fare l’artista in Italia?
IP/ Si, in effetti lo spazio è più discorsivo e da un lato tende ad essere forse più realistico…
IP/ È una pura coincidenza il fatto che io mi trovi qui, non ho scelto di fare l’artista in Italia, penso che in fondo in Lettonia sarebbe la stessa cosa, anche se qui a Milano trovo molti stimoli per il mio lavoro.
LB/ Più in generale, a livello emotivo, cosa metti nei tuoi lavori?
LB/ A cosa lavori in questo periodo?
IP/ Ciò che voglio trasmettere più che altro sono tranquillità e armonia, ma spero sempre che ogni singola persona interpreti un dipinto in modo autonomo, in base alla propria storia. Ciascuno può indicare un proprio racconto…
IP/ Sto programmando una personale per la prossima stagione, ma stiamo definendo le date proprio in questi giorni. Sarà il risultato della continuazione della mia ricerca sugli oggetti e sugli interni. Sicuramente in autunno… ma non ho ancora date precise.
LB/ Dunque è come se ognuno potesse trovare il suo dipinto ideale… IP/ Si, è così, credo in fondo sia impossibile imporre, a chi guarda un quadro, di vederlo come lo intendi tu, perché ognuno 7
LB/ Ti ringrazio Ieva, è stato un piacere, a presto. IP/ A presto!
SPECIAL
RIFLESSIONI DA UNA BIENNALE Loredana Barillaro • Luca Cofone
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nche quest’anno la mostra d’arte più attesa e più discussa si è compiuta. Fra critiche, riserve e applausi la Biennale di Venezia, nel bene e nel male fa sempre parlare di sé, come è giusto che sia e come del resto ci si aspetta… Star di questa 55. Edizione è, come sappiamo Massimiliano Gioni, ormai collaudato enfant prodige della curatela internazionale atteso da tutti come colui che avrebbe “rinnovato” la rassegna veneziana rispetto alle edizioni precedenti. E con il suo “Palazzo Enciclopedico” pare ci sia riuscito, concependo un’esposizione alla stregua dell’incredibile grande scrigno di un collezionista, in cui trovare di tutto e di più, dove far dialogare gli artisti fra di loro e mediante cui indagare quale, oggi, possa essere il loro tempo, la loro dimensione e lo “spazio” su cui agire. Gli artisti e le loro opere come strumento, dunque, per approcciare alla conoscenza in modo celebrativo e antropologico. Essi vengono messi in relazione con altri artisti, altre epoche, e opere con opere che non hanno la pretesa di essere tali. Quello che si indaga è il mondo dell’immaginazione. Il raggio d’azione si allarga, al punto da ricercare legami con ambiti diversi, ma muovendo sempre dalla realtà ordinaria, la quale offre un insieme infinito di immagini e stimoli. Pensare a come vengono utilizzate le immagini per organizzare la conoscenza. È questo che emerge dalle riflessioni di Massimiliano Gioni. Un ulteriore tentativo di riportare l’attenzione verso lo spazio interiore in un sistema, sempre più, di facciata. Come in un salto nel passato si prende in prestito il criterio di presentare e conservare immagini e oggetti diversi per natura. Se una mostra del genere pone lo sguardo su quanto accade nel contemporaneo dell’arte, allora qual è l’urgenza che emerge da questa Biennale 2013? Uno sguardo al presente facendo il punto della situazione appena trascorsa “catalogando” il tutto in una sorta di archivio nozionistico, in fondo è questo il sapere enciclopedico, conoscere una quantità di informazioni senza forse troppo approfondire… Una mostra senza errori, come qualcuno ha detto? Finalmente l’edizione senza nei che poco fa discutete e accapigliarsi? Chi può dirlo. In fondo è sempre molto difficile definire, per quanto ci si sforzi e si faccia affidamento sulla propria fama, giudicare un’esposizione tale con criteri del tutto oggettivi, del tutto razionali, in base al rigore, agli strumenti didascalici, al concept. È possibile che non ci sia altro? Il Palazzo Enciclopedico indaga il desiderio di sapere e vedere tutto, ma come si pone il pubblico davanti alla necessità di un tale approccio? Se gli artisti si confrontano con altri artisti, lo spettatore con chi dovrà confrontarsi? Ha ancora un ruolo, cosa potrà e dovrà cogliere dalle opere? Talora un occasionale aspetto ludico consente una fiduciosa vicinanza dell’osservatore. “Pensa con i sensi – senti con la mente” è il titolo di un’edizione di qualche anno fa, quella curata da Robert Storr. E se riuscissimo davvero a pensare con i sensi, ad andare oltre quel “necessario “ bisogno di definire tutto in modo razionale? Se riuscissimo a sentire di più? Quanto è rigida, forzata, l’arte contemporanea (italiana) o almeno quella che sovente trapela da questi contesti? Forse un po’ troppo avvitata su se stessa, che agisce su piani puramente intellettuali e che lascia poco all’immaginazione… Riflessioni, queste, di carattere generale sull’arte contemporanea, chiedendoci, ancora una volta, dove essa stia andando e dove andiamo noi, standole dietro. L’arte è ancora capace di armonizzare forma e contenuto? E la parola armonia può ancora rientrarvi, laddove, sempre più spesso essa diviene specchio macabro di una realtà malata. Siamo ancora capaci di sorprenderci davanti ad un’opera d’arte così come qualcuno si sarà sorpreso sentendo l’incre8
bile progetto di Marino Auriti? Ecco, l’artista di oggi è ancora visionario o è solo rassegnato a vivere ed agire nel presente come un cronista, un rigido trascrittore? Al di là di tutto, quello che ha suscitato la visita alla Biennale è proprio questo, il bisogno di riflettere, di fermarsi a pensare su quale possa essere oggi il significato dell’arte contemporanea e come, questo, possa essere espresso. I Padiglioni nazionali sono forse la parte su cui è interessante soffermarsi, una visione cosmopolita sul mondo, ma fatta con strumenti “vivi”, capaci di suscitare delle spinte emotive, in grado di calamitare l’attenzione in modo forte e di coglierne il senso. Cosa resta dopo? Prababilmente una visione satura di concetti, teoremi, talvolta troppo difficili da comprendere davvero e allora, in un moto che va dalla tensione mentale ed emotiva ad uno stato di rilassatezza dei muscoli e della mente si prende ciò che abbiamo intuito. Ecco un fiume di immagini da cui estrapolare ciò che davvero, ancora, ci diverte! Ma quanto è in grado di rinnovarsi davvero la Biennale di Venezia nell’esigenza di mostrare ciò che di interessante è accaduto in tempi recenti? Magari non è errato parlare di una certa stanchezza nel suo dover essere ermetica, un po’ cervellotica rispecchiando uno stato dell’arte troppo spesso chiusa in sé, e che forse rischia di implodere. Quanto si perde la capacità di sorprendersi, di rallegrarsi, di uscire da un modo di pensare, a tutti i costi, strutturato? Oggi ha ancora senso una rassegna così concepita? È ancora consentito dire, meravigliandosi, “questo mi piace!” riportando la fruizione dell’arte ad una dimensione più “umana”? Quanta distanza esiste fra gran parte dei fruitori non tecnici ed opere che parlano della società, delle guerre, dei drammi del mondo, di meccanismi mentali in forme ostiche? Scrivere della Biennale commentandola punto per punto sarebbe arduo e forse inutile alla luce di quanto è stato già scritto o detto. E allora non resta che rifletterci su, dopo averla metabolizzata, tirandola fuori, perché no, dal suo essere evento prima di tutto. E quanto è evento mediatico nella necessità di catalizzare l’attenzione del mondo su di sé, chiamata a racchiudere tutto lo scibile umano sulla scia del progetto visionario di Marino Auriti? Può la comprensione di un concetto prescindere dalla forma? Forse ancora oggi l’arte concettuale non è del tutto trascorsa anche laddove non vi è la consapevolezza del suo persistere. Quasi sia necessario sempre un doppio livello, formale e mentale, ma il passaggio dal primo al secondo presuppone spesso una certa forma di erudizione. Ecco dunque, riflessioni, ipotesi, domande a cui ognuno, semplicemente, può dare le sue risposte. Nella pagina accanto dall’alto: Duane Hanson, BUS STOP LADY, 1983.Polivinile reso policromo nell’olio, materiali vari con accessory. Phyllida Barlow UNTITLED: HANGINGLUMPCOALBLACK, 2012. Particolare dell’Installazione, Arsenale. Per entrambe: Foto Francesco Galli. Courtesy la Biennale di Venezia. In questa pagina dall’alto: Padiglione Romania, AN IMMATERIAL RETROSPECTIVE OF THE VENICE BIENNALE, Alexandra Pirici - Manuel Pelmus. Oliver Croy and Oliver Elser THE 387 HOUSES OF PETER FRITZ (1916–1992), INSURANCE CLERK FROM VIENNA, 1993–2008. Selezione di 176 modelli, cartone, carta, materiali vari. Padiglione Indonesia, Sakti. Eko Nugroho, PENGHAUST BADAI-BADAI, 2012. Installazione. Per tutte courtesy La Biennale di Venezia.
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Da sinistra in senso orario: Paul McCarthy, CHILDREN’S ANATOMICAL EDUCATIONAL FIGURE, ca. 1990. Tessuto, lana, oggetto trovato. Padiglione Germania, Ai Weiwei. Particolare installazione. Padiglione Sudafrica, Imaginary Fact: Contemporary South African Art and the Archive. Per tutte courtesy la Biennale di Venezia.
SMALL ZINE Magazine di arte contemporanea Iscrizione R.O.C. n. 21467 del 30/08/2011 Legge 62/2001 art. 16 Direttore Responsabile: Loredana Barillaro Redazione e Grafica: Luca Cofone Stampa: Studio Grafico Bizarre Creations, Acri (Cs) Redazione: Via della Repubblica, 119 - 87041 Acri (Cs) Editore: BOX ART & CO. Associazione Culturale Contatti e info: 3393000574 / 3384452930 smallzine@hotmail.com www.smallzine.info Hanno collaborato: Teodora Malavenda, Martina Adamuccio, Gregorio Raspa, Pasquale De Sensi © 2012/2013 BOX ART & CO. È vietata la riproduzione, anche parziale, dei testi pubblicati, senza l’autorizzazione dell’Editore. In copertina: Ieva Petersone, TARANTINO (PULP FICTION), 2011. Olio su tela, 30x55 cm. (part.). Courtesy dell’artista. Le opinioni degli autori impegnano soltanto la loro responsabilità e non rispecchiano necessariamente quelle della direzione della rivista.
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LOVE Federico Gori
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PEOPLE ART
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Meeting people is easy Mellon collie and infinite sadness Memorie dal sottosuolo Las Meninas Mensieur Verdoux Meò suò ì eyrum viò spilum andalaust La messa è finita La metamorfosi Mezzanine I 1000 fiumi più lunghi del mondo Milk Minotauromachia Miracolo a Milano Il mistero Picasso Moby Dick Molock Monaco in riva al mare Monumento equestre di Giovanni Acuto Morte a Venezia La morte di Ivan Il’ic E la morte non avrà dominio Muto Napoleon Dynamite Natura morta con mele La nausea Nausicaa della valle del vento Nazarin Nella colonia penale Nero plastico The new world New York Stories Nick’s Movie, Lampi sull’acqua Nightmare before Christmas Nighthawks Non ci resta che piangere Norwegian wood La notte Notte stellata Nosferatu Nunc stans Le nuvole Oceano di silenzio Ok computer Olympia Le onde Once Upon A Time In The West - One more kiss dear L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica 8 1/2 Nel paese dei mostri selvaggi Paolo III Farnese con i nipoti Alessandro e Ottavio Farnese La parabola dei ciechi Paranoid park Paris-Texas Ritratto di Ambroise Vollard ritratto di Gerta Schiele – Ritratto di Innocenzo X Ritratto di Madame Cézanne nella poltrona gialla La rivoluzione siamo noi La ronda dei carcerati Sacco B Sally Sammer in Siam Sanctuary Saturno che divora un figlio Schloss Kammer sull’Attersee The sientist Scolpire il tempo Scontro di situazioni Sentieri nel ghiaccio Sequesto è un uomo I 7 palazzi celesti 7 fragments for Georges Méliès Settembre I 7 samurai Il settimo sigillo Set the controls for the heart of the sun Sylvan Vincendeau, paroles en l’air She is dancing Shining I simulacri Smells like teen spirit Soft typerwriter sogno causato dal volo di un’ape intorno a una melagrana un attimo prima del risveglio Solaris Il sole Sol invictus Sogni di Bunker hill La sonata a Kreutzer Il sonno della ragione genera mostri La sottile linea rossa lo specchio Spring angels Le stagioni della vita Ninfee (Serie) Stalker La stanza di Vincent ad Arles Stome reclining figure Storie della genesi di Paolo Uccello Storie di san Francesco La strada Superficie 210 Sussurri e grida Le sventure della virtù Takk Taxi driver Tiger man La toilette (Rousse) Il tondo Doni Trainspotting Un tranquillo posto di campagna Transatlanticism Le tre età della vita Il tre maggio 1808 a Madrid: Fucilazioni alla montagna del principe Pio The tree of life Tavole della battaglia di San Romano Tre studi per figure alla base della crocifissione Trinità La Trinità del Rubliov Trittico del giardino delle delizie Trouble Tu me acostumbraste Tutta colpa del Paradiso Ubik Un chien andalou () Untitled Untitled (yellow and blue) - Untitled (blue, green and brown) Valzer con Bashir Van Gogh il suicidato della società Vaso di girasoli Vecchio chitarrista Il vecchio e il mare La vergine delle rocce Viale del tramonto Vincent Il visconte dimezzato La visitazione del Pontormo I vitelloni La vocazione di San Matteo Il volto Volver What can i do? Wish you were here Woyzeck Zabriskie point Zeno writing Zooropa Zydeco La passione di Giovanna D’Arco Perfect day La persistenza della memoria Persona Personen gruppe Petals of fire Piano Concerto No. 23 in A major, K488 - II. Adagio La piccola torre di Babele La pietà e la memoria Pietà, Manifesto per il Sommertheather della Kunstschau di Vienna Pinocchio Plurimo n°1 Porta con gramigna Porto sul fiume Il posto delle fragole Povera patria I prigioni Primavera, estate, autunno, inverno…e ancora primavera La principessa Mononoke Il processo Profondo rosso Prospettiva Nevshij Provaci ancora Sam Pubertà Punch-drunk love Put your head toward the air Qualcuno volò sul nido del cuculo Quarto potere Quell’oscuro oggetto del desiderio Rabbit in your headlight Tutti i racconti del mistero dell’incubo e del terrore In rainbows Railroad sunset Rebellious silence Rezza, corti La ricotta Ridiculous folly Rimmel Il rito 12
Nella pagina precedente: CORRI A DIRE AL RE CHE IL CIELO STA CROLLANDO, 2013. Incisione su specchi, dimensioni ambientali. Battistero di San Giovanni in Corte, Pistoia. © photo Bärbel Reinhard. Dall’alto: VON, 2011. Ossidazioni e incisioni naturali su rame, bonsai, dimensioni ambientali. © photo Federico Gori. DI FRAGILITÀ E POTENZA, 2013. Ossidazioni e incisioni naturali su rame, quercia, dimensioni ambientali. CCC Strozzina, Palazzo Strozzi, Firenze. © photo Martino Margheri. Per tutte courtesy dell’artista.
SHOWCASE
DANIELE VILLA | a cura di Pasquale De Sensi
Due poli uniti sono incongruenti. Jules Verne, gran viaggiatore della scrittura, ha traversato geografie possibili ed immaginarie di innumerevoli paesi. Mentre invece fermi bricchi, bottiglie e piante grasse sui piani di Giorgio Morandi si addensano in famiglie i cui spostamenti minimi ed infiniti si enfatizzano nella stasi. Da fermi si osserva quel ridotto grumo di oggetti quieti, appagati come creme, rinnovati sotto luci garbate e stagioni di anni diversi. E infatti l’infinita mobilità del mondo è fatta di combinazioni. Parole forse dell’uno e figure forse dell’altro si avvicinano improbabili come un collage, senza i cui innesti non si prospetterebbero panorami e cose di cui vorremmo trattare e con cui una volta ci troveremo all’improvviso, e di colpo, altrove. Obbiettivo dell’artista è di stupirci malgrado le nostre domestiche figure. Chi strappa un’illustrazione alla Verne e gli sovrappone, in bella posta, la sola mistica concentrazione di un’immagine alla Morandi, chi? Daniele Villa il traghettatore di emisferi differiti, il cacciatore a un tempo di due prede. Dall’alto: NO TITLE, 2011. Collage, 16x16,2 cm. NO TITLE, 2009. Collage, 14,8x15,2 cm. A destra: POSTHUMOUS SELF-PORTRAIT, dall’installazione SOGNI DI FUGA, 2009-2012. Collage, 16,2x21 cm. Per tutte courtesy dell’artista.
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Hernando Biaci-Tini Fieramosca
SHOW REVIEWS
DEFICIT/THE LACK Poggiali e Forconi - Firenze
- Loredana Barillaro
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itolo della mostra e fulcro delle riflessioni degli artisti e delle “azioni” dei loro protagonisti è il “deficit”, termine che indica che qualcosa, a un certo punto, manca, oppure si rompe. “Deficit/The Lack” è la mostra curata da Gaia Serena Simionati negli spazi della galleria Poggiali e Forconi di Firenze e che mette insieme i tre artisti internazionali Harun Farocki, David Michalek ed il giovane Krzystoz Klusik. Una lettura lucida che ci indica come, nel corso degli ultimi secoli, la nostra esistenza sia stata inesorabilmente legata al denaro che, una volta venuto a mancare, ha creato un corto circuito nella società, determinando un effetto a catena di cadute verso il basso. Deficit come mancanza di sentimenti, di identità, di valori, di cultura, dunque. Tre riflessioni simultanee attorno al tema dell’assenza; ma rappresentare il deficit sarebbe forse come rappresentare il vuoto, il nulla, e i tre artisti, aggirando l’ostacolo, riflettono su ciò che talora ci sfugge. Deep Play è la monumentale video-installazione che Harun Farocki ha ricreato nello spazio della galleria, mediante cui analizza, da 12 diverse prospettive, la finale Italia-Francia dei mondiali di calcio del 2006. Montata su 12 schermi lungo i quali il pubblico può procedere camminando su di un finto prato verde, essa si compone del punto di vista dell’artista, delle immagini della FIFA e di sequenze di animazione in 2D e 3D che danno vita ad una ricostruzione molto singolare e complessa dell’evento. Non si tratta però di sottolineare il mero evento calcistico ma di porre l’accento sulla mancanza di attenzione dei soggetti al reale, deviati sovente dalla prepotenza tecnologica delle immagini a cui non si è in grado di resistere. Osservare le cose attraverso un “filtro”, quasi a creare una cesura fra noi e ciò che si compie davanti e attorno a noi, non ne facciamo parte… L’altro lavoro di Farocki è Nothing Ventured, volto a denotare la mancanza di attenzione - sempre più attuale in Italia - nei confronti dell’intelletto e della cultura laddove non vi è il rispetto necessario per l’altro da sé o per ciò che non abbia una consistenza immediatamente tangibile. Ognuno descrive un’assenza o, forse, capovolgendo il punto di vista o lo spettro d’azione registrano un quadro globale della situazione di crisi della società contemporanea. Il lavoro di David Michalek appare delicato e poetico nella lentezza delle movenze dei suoi personaggi nudi, metafora di una rinnovata e necessaria attenzione verso noi stessi, mediante una riflessione sul corpo che vada oltre un uso strumentale di esso inteso come “manichino” di prova per qualcos’altro. Uomini e donne si mostano mentre compiono semplici gesti quotidiani, sottolineati dalla lentezza con cui vengono presentati. Una serie di registrazioni video che riprendono i movimenti di diversi soggetti per un piccolissimo intervallo di tempo, soltanto cinque secondi per 3000 fotogrammi al secondo. Riproducendo successivamente il video in tempo reale, i cinque secondi appaiono come dieci minuti di gesti estremamente lenti che mostrano la plasticità e l’armonia del corpo colto nella natura più intima del movimento, in un fare calmo e poetico. Corpi nudi laddove l’assenza di indumenti diviene forza e solidità decisa di uomini e donne che non si nascondono. Questo è ciò che ci presenta l’artista in Figure Studies. Becky invece ci porta ad un intenso coinvolgimento
emotivo. Una donna evocata dalla sua immagine e dalla sua voce e che ritroviamo in una stanza della sua casa ricostruita nella galleria in cui è possibile addentrarsi, sedersi e ascoltare, circondati da un’infinita sequenza di fogli tracciati a inchiostro ed in cui è facile confondersi. Chiunque, lì dentro, potrebbe essere Becky. Il terzo artista è il giovane pittore polacco Krzystoz Klusik che ci mostra, in una serie di dipinti, ciò che è visibile alla luce di ciò che non è presente, richiamato solo dal movimento o dall’azione del protagonista o dell’oggetto. Egli pone l’accento su quello che manca; in sostanza è, ancora una volta, l’elemento assente il nodo centrale, fondamentale affinché un gesto si compia o una persona esista, creando un’atmosfera di solitudine, forse di malinconica. Pare che i tre artisti ci conducano verso una sperimentazione percettiva, ci aiutano a cogliere tutto ciò che di semplice e immediato paradossalmente ci sfugge, nella creazione di un archivio delle immagini e dei gesti che non è della memoria ma solo una sorta di protesi tecnologica che non ci appartiene e che, forse, rischiamo di smarrire da un momento all’altro. Dall’alto: Harun Farocki, DEEP PLAY, veduta dell’installazione. David Michalek, FIGURE STUDIES, veduta dell’installazione. Per entrambe courtesy Galleria Poggiali e Forconi, Firenze.
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SHOW REVIEWS
IL LIBRO OLTRE IL LIBRO MARCA - Catanzaro
- Gregorio Raspa
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ell’anno in cui Massimiliano Gioni dedica il padiglione centrale della 55a edizione della Biennale di Venezia ad un progetto intitolato “Il Palazzo Enciclopedico” - un nome che, anche solo indirettamente, evoca l'immagine di alte pile di libri e scaffali ingombri di volumi - il Marca di Catanzaro propone “Bookhouse. La forma del libro”, una ricca mostra che rende omaggio ad un “oggetto” intramontabile, tra i più suggestivi e simbolici nella storia dell’uomo. Curata da Alberto Fiz, l’esposizione presenta opere realizzate da cinquanta artisti contemporanei che, servendosi delle tecniche più disparate, hanno utilizzato il libro come elemento centrale di rappresentazione - e spesso di costruzione - dei loro lavori. Bookhouse è una mostra, al contempo, complessa e godibile che, pur ostentando un carattere indiscutibilmente ludico, si offre come spunto per una profonda analisi sulle prospettive future del libro, sulle sue evoluzioni e, attraverso un percorso denso e ben strutturato, documenta le sconfinate - e spesso insospettabili - potenzialità estetiche e creative del mezzo. Ad accogliere lo spettatore del museo, posta sulla facciata dello stesso, è la spettacolare cascata di libri di Alicia Martin, un’opera che invade lo spazio urbano coinvolgendo la città tra lo stupore del pubblico museale e la curiosità dei semplici passanti. All’ingresso delle sale, invece, svetta Idiom, l’illusionistica Torre di Babele dell’artista slovacco Matej Krén, capace di creare profondità e altezze fittizie attraverso l’utilizzo di otto mila volumi incastrati tra loro come mattoni di un’architettura impossibile. Tutt’attorno, nelle sale che ospitano la collezione permanente del museo, si snoda un percorso costruito con opere di Agnetti, Botta, Calzolari, Clegg & Guttmann, Kounellis, Paolini e altri. Si tratta di lavori eterogenei tra loro, in cui il valore simbolico e fisico della pagina - e dalla parola - si compenetrano assumendo consistenza inedita. Ciò avviene, ad esempio, nell’opera in pietra di Rakowitz, capace di testimoniare il ruolo sociale del libro in quanto strumento di “resistenza” culturale e dispositivo di persistenza della memoria. Al piano superiore del museo spicca, poi, la storica installazione Il Cristo Cancellatore di Emilio Isgrò. Un’opera tra le più rappresentative dell’artista siciliano, capace di custodire e sintetizzare in sé tutto il valore, etico e poetico, di un atto intellettualmente complesso come quello della cancellatura. A seguire, nelle sale adiacenti, stazionano lavori di Paladino, Pistoletto, Kiefer, Parmiggiani, Candida Höfer, e, al centro del piano, una monumentale scultura, lunga nove metri, di Oldenburg & Van Bruggen. In mostra è possibile ammirare anche un elegante lavoro di Kentridge. Nel video dell’artista sudafricano lo schermo diviene un libro su cui trascrivere le visioni dettate dal flusso impetuoso dell’immaginazione, e il disegno lo strumento atto a dargli forma. La mostra, infine, conclude al piano terra del museo dove è posta una suggestiva e straniante installazione di Arienti che, utilizzando copie di libri su Van Gogh come moduli di una semplice ma efficace composizione a parete, riflette sui temi della serialità e della riproducibilità, elaborando una strategia di rappresentazione inedita e intelligente del pensiero di Benjamin. In mostra non mancano, poi, gli esprimenti sul libro di artisti come Cucchi, Oppenheim e Rauschenberg, o le spettacolari installazioni del coreano Kibong Rhee e dello svizzero Wüthrich. Ma quelle citate sono solo alcune delle opere in esposizione, straordinarie testimonianze di un mondo - non solo artistico - che continua a guardare con interesse al libro e al suo intramontabile fascino.
Dall’alto: Dennis Oppenehim, UPPER CUT, 2000. Emilio Isgrò, IL CRISTO CANCELLATORE, 1968. 39 libri cancellati, (part.). Claes Oldenburg & Coosie Van Bruggen, FROM THE ENTROPIC LIBRARY, 1989.
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Inaugurazione mercoledĂŹ 29 maggio 2013, ore 18,30
Museo delle Arti e dei Mestieri - Corso Telesio, 17 - Cosenza Apertura dal 29 maggio al 05 giugno 2013 - Orario: 10,00 - 13,00 / 16,00 - 20,00 L’Assessore alla Cultura Maria Francesca Corigliano
Il Presidente On. Gerardo Mario Oliverio