14 minute read

Misure di rigenerazione urbana per il contrasto al consumo di suolo

MISURE DI RIGENERAZIONE URBANA PER IL CONTRASTO AL CONSUMO DI SUOLO

Contributo a cura di Patrizia Colletta (Esperta Consiglio Superiore Lavori Pubblici) Il Rapporto sul consumo di suolo di ISPRA-SNPA consente, ormai con cadenza annuale di verificare con grande attenzione ciò che accade sul territorio nazionale e contestualmente di monitorare se quanto viene programmato e realizzato in termini di trasformazione, rigenerazione, di tutela del territorio e del patrimonio costruito vada nella direzione “obbligata” della riduzione di consumo del suolo. È innegabile che stiamo vivendo un periodo di grande rivoluzione economica, culturale e sociale, di grandi sfide planetarie, dall’emergenza climatica a quella sanitaria e per questo è necessario riflettere se quanto introdotto rappresenta la modalità e gli strumenti più adatti per raggiungere l’obiettivo fondamentale della riduzione di consumo di suolo che ci impongono da tempo le direttive europee e, da ultima, la “Strategia del suolo dell’UE per il 2030” approvata il 17 novembre 2021. La Strategia stabilisce, quale obiettivo principale, lo zero net land take da perseguire entro il 2050 da parte di tutti gli Stati membri della UE, che dovranno evitare di consumare suolo e mettere in atto azioni concrete, da porre in atto già entro il 2030, per avere i propri suoli “sani”. La Strategia, inoltre, prevede di approvare entro il 2023 una legge europea sulla salute dei suoli e chiede agli Stati membri– entro la stessa data, quindi subito – di stabilire ambiziosi obiettivi nazionali, regionali e locali sul consumo di suolo. Questa legge dovrà garantire, attraverso la tutela dei suoli, un alto livello di protezione dell’ambiente e di salvaguardia della salute delle popolazioni, partendo dal principio che terreni sani producono cibi sani. Le indicazioni della Strategia dell'UE mirano a garantire entro il 2050 che tutti i suoli europei siano sani e più resilienti e che possano continuare a fornire i loro servizi ecosistemici, che il consumo netto di suolo sia ridotto a zero e che l’inquinamento dei suoli venga ridotto a livelli non nocivi per la salute delle persone e per gli ecosistemi; infine, devono essere protetti e gestiti in modo sostenibile ripristinando quelli attualmente degradati. La Strategia indica, tra gli altri, quali principali strumenti per il raggiungimento degli obiettivi, di potenziare la ricerca, la raccolta di dati e il monitoraggio sul suolo, nonché di aumentare nella società civile la consapevolezza dell’importanza del suolo come risorsa, destinando a questo scopo finanziamenti adeguati alle necessità. In particolare, la Strategia europea, nell’indicare le misure per “Limitare l'occupazione di suolo e l'impermeabilizzazione del suolo con un uso circolare della terra”, dispone di integrare la "gerarchia del consumo di suolo" nei Piani di inverdimento urbano e dare priorità al riutilizzo e al riciclaggio dei terreni e alla qualità dei suoli urbani a livello nazionale, regionale e locale, attraverso adeguate iniziative normative e eliminando gradualmente gli incentivi finanziari che possono andare contro queste priorità, con benefici fiscali locali per la conversione di terreni agricoli o naturali in ambiente edificato. Inoltre, la Strategia auspica la necessità di “fornire una guida alle autorità pubbliche e alle aziende private su come ridurre l'impermeabilizzazione del suolo, comprese le migliori pratiche per iniziative guidate a livello locale per la de-sigillatura delle superfici artificiali per far respirare il suolo e, con una revisione delle linee guida dell'UE sull'impermeabilizzazione del suolo entro il 2024, promuovere uno scambio di migliori pratiche, basandosi sulle esperienze degli Stati membri o delle regioni che dispongono di sistemi di pianificazione territoriale che affrontano con successo la sfida dell'occupazione del suolo al fine di sviluppare una metodologia comune”. Il rapporto di ISPRA sul consumo del suolo continua a soddisfare questa esigenza di conoscenza e di monitoraggio del fenomeno; senza entrare nel merito dei dati e dei risultati del Rapporto che puntualmente e dettagliatamente fotografano la situazione dei nostri territori e dei servizi ecosistemici, è possibile sintetizzare alcune riflessioni sugli strumenti che oggi sono sul tavolo della discussione parlamentare in merito alla rigenerazione urbana e al contrasto del consumo di suolo. La rigenerazione urbana può contribuire fattivamente e concretamente a ripristinare la “salute dei suoli”? Come già richiamato, la UE chiede non solo di contrastare il consumo di suolo ma anche di garantire la salute del suolo e dei servizi ecosistemici, attraverso il ripristino delle aree degradate. È in corso, da più legislature, la discussione per l’approvazione di una legge nazionale sulla rigenerazione urbana. Nel testo unificato del disegno di legge, oggi all’attenzione del Parlamento, viene affermato che la rigenerazione urbana per essere sostenibile deve avvenire

Advertisement

senza consumo di suolo. Ma, intanto, cosa intendiamo per rigenerazione urbana? Se ne discute da oltre venti anni, in una profusione di testi, convegni e proposte di legge ed ogni soggetto o attore istituzionale o rappresentante di categoria, accademico o economico ha un punto di vista specifico per rappresentare la “rigenerazione urbana”. Questo primo dilemma su cosa deve essere la rigenerazione urbana ci induce a dover prima di tutto definire a cosa serve la rigenerazione urbana e quali obiettivi deve perseguire. Primo obiettivo: la rigenerazione urbana deve essere una politica efficace, performante e tempestiva per rendere le nostre città più sostenibili, maggiormente resilienti ai cambiamenti climatici, più efficienti dal punto di vista energetico e della mobilità, più sicure strutturalmente e in grado di adattarsi ai rischi naturali, più vivibili e in grado di garantire migliore qualità di vita e di benessere. Un intervento di rigenerazione urbana deve offrire maggiori diritti di cittadinanza, coesione sociale e opportunità di vita e di lavoro. Insomma, deve mettere in atto tutti gli strumenti per garantire la “qualità della città e del vivere in comunità” e, in aggiunta, il benessere e la salute degli abitanti. È un obiettivo ambizioso, ma è necessario dotarsi di una nuova legge? e con una nuova legge saremo realmente in grado di perseguire questa nuova visione della città? Certamente, per ricostruire città e territori più sostenibili e resilienti è necessario ridurre a zero il consumo di suolo, l’impermeabilizzazione e il degrado ambientale; quindi è necessaria una legge che imponga la drastica riduzione delle espansioni su suolo non costruito, che renda proficua la densificazione dei tessuti urbani tutelando allo stesso tempo gli spazi aperti e che recuperi con bonifiche e disinquinamento i suoli che ora sono compromessi dalle attività antropiche, creando un sistema di convenienze e opportunità per orientare la trasformazione urbana. Inoltre, rigenerare l’ambiente urbano comporta due aspetti interconnessi: il primo, la componente multidimensionale da affrontare e definire poiché la riduzione del consumo di suolo si persegue determinando i diversi legami dei livelli di intervento, passando dalla macro scala territoriale e infrastrutturale per arrivare all’intervento edilizio puntuale; il secondo, la componente temporale di attuazione e di attualità dei progetti, i quali devono rispondere alle esigenze dei cittadini e delle comunità, ma anche alle potenzialità di investimento del mondo economico e finanziario le quali mutano anche rapidamente. È convincimento comune che il contrasto al consumo del suolo sia uno dei principi fondamentali sul quale fondare una legge organica sul governo del territorio e conseguentemente il principio ispiratore di ogni politica di rigenerazione urbana, di adattamento ai cambiamenti climatici e di riconversione ecologica di aree inquinate e degradate. Per rispondere a queste esigenze non basta una nuova legge, serve anche una nuova cultura e una nuova capacità di fare, soprattutto rispetto allo straordinario periodo che stiamo vivendo di transizione ecologica supportato da grandi provvidenze finanziarie. Ma dobbiamo essere in grado di uscire dalla “transizione” per approdare ad una fase di “stabilità” territoriale, ambientale e sociale utilizzando al meglio le risorse finanziarie messe a disposizione dal PNRR (Piano Nazionale Ripresa e Resilienza) e dalle altre fonti di finanziamento ed investimento. Sino a qualche tempo fa, tra i principali ostacoli al cambiamento si individuava la mancanza di risorse finanziarie, l’assenza di una programmazione economica e di monitoraggio della spesa, ora i temi ricorrenti sono la mancanza di personale qualificato, la debolezza delle strutture tecniche, la mancanza di una comprovata capacità di amministrare processi complessi. Abbiamo una grande occasione, quindi, per rendere strutturali decisioni di programmazione e di pianificazione territoriale e urbana e per sancire definitivamente nel nostro Paese che si è chiuso il ciclo dell’espansione illimitata e della cultura dello spreco e che, finalmente, si è aperta l’epoca della città sostenibile e resiliente, della cura del territorio e della salubrità degli ambienti abitati. Sicuramente i segnali sono incoraggianti: sempre più spesso nel dibattito politico e pubblico i termini della rigenerazione, del riuso, della riqualificazione e dell’efficientamento del patrimonio pubblico e privato vengono indicati come obiettivi da raggiungere e quasi a portata di mano. Gli esempi non mancano e il dibattitto che si è avviato con il disegno di legge sulla rigenerazione urbana ha nuovamente riacceso delle speranze sull’approdo di una legge organica che si basa sul contrasto al consumo di suolo. Ma cosa potrebbe essere avviato, da subito, per avviare una politica di rigenerazione urbana?

Si tratta di ripensare la qualità dei sistemi territoriali, urbani, infrastrutturali e produttivi, facendo diventare la qualità urbana un sinonimo di sostenibilità e di benessere, coniugando le opportunità dell’innovazione con le azioni di tutela delle risorse non rinnovabili e la promozione dell’equità sociale. La prima risorsa non rinnovabile, fortemente depauperata e offesa dall’inquinamento quale è il suolo diventa “il bene” da difendere, da tutelare e da rigenerare. Puntiamo concretamente, quindi, su una manutenzione ordinaria e costante del territorio, sulla resilienza e sulle strategie di adattamento dei sistemi territoriali, non solo da utilizzare negli slogan delle smart city e della sostenibilità da pubblicità televisiva. Si tratta di una visione strategica per disegnare un nuovo modo di essere e fare comunità, partendo dalla macro-scala urbana per arrivare al singolo condominio, insieme alla realizzazione di una efficiente rete di mobilità collettiva. Se non ci fossero l’emergenza climatica e ambientale, le catastrofi naturali, la precedente crisi immobiliare e delle costruzioni a partire dal 2008 e ora in corso di superamento grazie alle ponderose iniezioni di incentivi fiscali e manovre economiche, forse non ci saremmo neanche posti questo dubbio. Avremmo continuato a pensare la trasformazione della città e quindi l’urbanistica e la pianificazione come uno strumento a servizio di una fase espansiva senza limite. Sul sistema urbano, sull’adattamento ai cambiamenti climatici e sulla sua resilienza confluiscono diverse componenti quali l’efficienza energetica ed ambientale, le strategie per la mobilità sostenibile, per il disegno del verde, la gestione dei rifiuti, il recupero e il riciclo dell’acqua, il miglioramento del microclima e la mitigazione degli inquinamenti un vasto ambito di interventi dove le nuove competenze e i nuovi saperi, le professioni green trovano grandi opportunità. Sono aspetti che stanno entrando, in modo rilevante, anche nelle politiche di investimento di finanziatori immobiliari nazionali ed europei. È ormai consolidato che in base al Regolamento sull’informativa di sostenibilità dei servizi finanziari (SFDR) della UE, in vigore dal 10 marzo 2021, i soggetti finanziari non potranno più investire in progetti che non rispettano i criteri Environmental Social Governance (ESG), partendo dall’assunto che non vi può essere prosperità senza sostenibilità. La regolamentazione dei servizi finanziari basata sui criteri ESG, oltre essere uno strumento chiaro e trasparente di rendicontazione, ha determinato la fine del fenomeno del greenwashing finanziario rappresentando una vera e propria rivoluzione del settore. Questa nuova politica di investimento, nelle more di un riordino complessivo della fiscalità immobiliare e della definizioni delle regole del governo del territorio sul regime di proprietà, di competenza statale, può essere accompagnata da misure per ordinare e massimizzare l’effetto delle detrazioni e la convenienza per gli interventi di rigenerazione con una serie di azioni coordinate: l’incremento progressivo delle detrazioni fiscali per la ristrutturazione energetica per interventi su interi immobili e per la riqualificazione strutturale, collegando l’adeguamento sismico a quello energetico in modo stabile; rendendo tali misure più efficaci in termini di costo/beneficio e di rendicontazione ecosistemica; concentrando gli incentivi in determinati “ambiti urbani” su cui applicare, in aggiunta alle detrazioni fiscali nazionali, eventuali ulteriori detrazioni e esenzioni derivanti dalla fiscalità locale con scadenza decennale. In tal senso, le varie misure di detrazione fiscale e di incentivazione previste dal disegno di legge non appaiono configurare un vero e proprio sistema di premialità ma una serie di misure a “macchia di leopardo”, tra l’altro censurate per i vincoli di equilibrio di bilancio, che non promuove comportamenti virtuosi e iniziative di grande respiro. Considerate le questioni sinteticamente accennate una “legge sulla rigenerazione delle opportunità ambientali, urbane e sociali della città” dovrebbe essere costituita da brevi, chiari e semplici principi sui quali innestare tutti gli strumenti di cui disponiamo a partire dalla legislazione regionale ma cercando di avere lo sguardo rivolto al futuro e non alla rivisitazione di strumenti più o meno consumati dal passato. La rigenerazione urbana e il contrasto al consumo di suolo, infatti, non possono essere il prodotto di un processo o il risultato di strumento di pianificazione, l’esito di un procedimento o la ricaduta di un disposto normativo ma sono un valore non negoziabile e intangibile per il futuro delle città e dei territori. Come in tutti i processi di innovazione si stanno delineando gradualmente gli elementi costituitivi di un diverso paradigma spinto anche dall’enorme incremento e disponibilità delle informazioni e dalla capacità di innovare che contraddistingue la società del terzo millennio.

La promozione delle convenienze economiche e innovazione non sono sufficienti però se tutti i soggetti coinvolti nel processo di rigenerazione della città non assumono la “responsabilità di agire con efficacia”. Se vogliamo affrontare la sfida del contrasto al consumo di suolo, alla creazione di una città più efficiente, più sana e più giusta quindi sostenibile e, più in generale, “etica” è necessario diffondere nei committenti, pubblici e privati, i principi e le convenienze di queste scelte. Quindi è necessario passare dalla “rete dei soggetti” che agiscono, alla creazione di una vera e propria “squadra di protagonisti del cambiamento” capace di avere chiari gli obiettivi da perseguire con professionalità e determinazione. Per governare questa complessità non è sufficiente una nuova legge, che deve essere affiancata da una nuova capacità di fare “squadra” tra soggetti e de-semplificare i processi di governo e di gestione. É necessaria, inoltre, una nuova governance. La grande sfida per gli anni futuri è ricostruire ex novo le “filiere decisionali” in tutti i campi: istituzionale, produttivo, amministrativo, economico, finanziario e, non da ultimo, con la comunità dei cittadini. Nel breve termine, la “Cabina di regia nazionale per la rigenerazione” costituita da rappresentanti dei ministeri competenti prevista all’art. 3 del disegno di legge unificato, piuttosto che un ruolo di mero monitoraggio e coordinamento, potrebbe assumere un ruolo strategico, diventando una Task-force di supporto agli enti locali, rinnovandole modalità di concertazione istituzionale verticale ed orizzontale e riducendola dispersione dei centri decisionali e di spesa. Si tratta di predisporre un complesso e articolato programma di lavoro, flessibile negli strumenti attuativi e chiaro negli obiettivi che diventi il “Piano nazionale di riqualificazione e di riuso per la salute della città” configurandosi come una chiamata generale di tutti i soggetti, istituzionali e non, comprese le categorie professionali a ragionare su una strategia complessiva di rigenerazione, programmando e coordinando progetti e interventi che riguardano lo spazio della città pubblica, la riqualificazione energetica di comparti ed isolati, la riconversione di ambiti degradati, la ricucitura di frange di città. Nel disegno di legge attualmente in discussione si prefigura un collegato al DEF (Documento Economia e Finanza) che annualmente registri ciò che accaduto e quanto è stato realizzato. Oggi sarebbe necessario avere uno strumento più coraggioso, che guarda al futuro e che disegna la città che verrà; si tratta di mettere a fattor comune e di coordinare in progetti di scala più ampia, il riuso e la riqualificazione di “pezzi” di città, programmi e risorse pubbliche e private e la promozione di misure di inclusione sociale e di welfare, sotto una regia pubblica forte e autorevole. Potrebbe sembrare una tentazione centralista, in realtà si tratta della esigenza di costituire una modalità di coordinamento e promozione, condivisa con le Regioni e le autonomie locali a supporto innanzitutto degli enti territoriali, dei Comuni che troppo gracilmente non riescono a sostenere l’impatto delle grandi sfide che hanno di fronte. Temi di tale complessità richiedono un approccio olistico e si affrontano con una serie di politiche, di strumenti e di interventi differenziati e sinergici, utilizzando l’apparato legislativo esistente e il vasto corpo normativo e di esperienze maturate a livello regionale. Nel disegno di legge vengono richiamati gli strumenti di pianificazione esistenti; infatti, la cassetta degli strumenti esiste ed è un apparato normativo consolidato, che necessita certamente di un aggiornamento ma soprattutto, della capacità di attuazione e di coordinamento tra pianificazioni settoriali e politiche di welfare e coesione sociale. Una politica ordinaria rappresenta l’unica prospettiva possibile per affrontare il “risanamento” organico e la riqualificazione del territorio e della città, una politica di interventi “ordinari” e programmati non determinati dall’emergenza ambientale, sanitaria, sociale, economica può generare grandi opportunità per il cambiamento. Sono tanti i temi su cui si deve operare: avere poche regole certe e condivise, chiudendo la stagione della macchina burocratica complessa, incapace di dare risposte alle dinamiche del mercato e oggetto di corruttele; i lunghi tempi tra il momento della progettazione e quello della realizzazione, che rende obsoleto quanto previsto, costringendo a proporre progetti depositati da anni nei cassetti delle amministrazioni ma non più adeguati alle esigenze; fissare i valori e i principi in un quadro legislativo statale valorizzando le importanti esperienze legislative regionali un Codice Unico di tutela e uso del territorio; stabilire criteri prestazionali e qualitativi delle dotazioni territoriali, sedimentando e utilizzando le migliori pratiche ed esperienze normative. Affrontare le tematiche esposte potrebbe essere un primo piccolo passo verso quella grande opera di de-

semplificazione di cui il nostro Paese ha davvero bisogno per approdare all’era post-transizione ecologica. Le questioni da affrontare richiedono un approccio non settoriale, una sintesi multidisciplinare e una capacità di vision in particolare sui temi della rigenerazione e della riqualificazione energetica della città. Una nuova civiltà urbana.

This article is from: