TESI DI DIPLOMA IN DECORAZIONE ARTISTICA INTERIOR DESIGN
RELATORE NICOLA CHERUBINI
SESSIONE AUTUNNALE 2016/2017
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Sofia Marino 2124
Nicola Cherubini
Gli invasori silenziosi
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I
ndice
I. INVASORI SILENZIOSI
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II. GLI ANTICHI INVASORI DEL SALENTO
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III. CONFRONTO CON L’ARCHITETTURA ARABA -Suddivisione degli spazi -Esterno dell’abitazione
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IV. FUNZIONE DELLA STRUTTURA
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V. INTERNO DELL’ABITAZIONE
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VI. B&B L’ESULE ERRANTE
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VII. ECOMOSTRI -Report -Schizzi -Piante e sezioni -Elementi d’arredo
26 30 31 32 34
VIII. PALI E FILI -Report -Schizzi -Piante e sezioni -Elementi d’arredo
36 40 41 42 44
IX. AMIANTO -Report -Schizzi -Piante e sezioni -Elementi d’arredo
46 50 51 52 54
X. RIFIUTI SPIAGGIATI -Report -Schizzi -Piante e sezioni -Elementi d’arredo
56 60 61 62 64
XI. PROBLEMA IDRICO -Report -Schizzi -Piante e sezioni -Elementi d’arredo
66 70 71 72 74
XII. CONCLUSIONI
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XIII. BIBLIOGRAFIA
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I
nvasori silenziosi
Invasióne s. f. [dal lat. tardo invasio -onis, der. di invadĕre «invadere»]. – 1. a. Ingresso nel territorio di uno stato da parte delle forze armate di uno stato belligerante, per compiervi operazioni belliche, con o senza l’intenzione di occuparlo stabilmente. b. Con riferimento soprattutto alla storia medievale, la penetrazione in un territorio di popoli che migrano in cerca di nuove sedi: le i. barbariche; l’i. degli Unni, o di Attila; l’i. della Spagna da parte dei Vandali; l’i. longobarda, in Italia. c. Irruzione violenta o arbitraria di persone in un luogo: i. di aziende agricole o industriali, considerata come reato contro la pubblica economia; i. di terreni o edifici altrui (pubblici o privati), considerata reato contro il patrimonio, quando sia fatta con lo scopo di occuparli o di trarne altrimenti profitto;[…]. 2. a. In relazione ai sign. estens. e fig. di invadere, di qualsiasi cosa che irrompa in un luogo occupandolo o diffondendovisi in gran quantità: un’i. di cavallette, di topi; arginare l’i. delle acque; l’i. del morbo, di un’epidemia; c’è un’i. di prodotti (o anche di cantanti) stranieri, di film polizieschi, di fumetti pornografici. Raro col senso di usurpazione, ingerenza arbitraria e sim.: i. di un potere, di un diritto; l’i. del sentimento nel dominio della ragione. b. In patologia, la diffusione nell’organismo di agenti infettivi o di cellule tumorali (i. metastatica). In partic., nel decorso di alcune malattie infettive, periodo d’i., quello caratterizzato da febbre, comparsa più o meno brusca dei sintomi caratteristici, ed eventualmente positività dell’emocoltura. Tutti abbiamo un’idea riguardo la parola invasione e solitamente o si pensa ad azioni violente, o si immagina l’acquisizione di un territorio già abitato stabilmente da qualcuno. Mentre nel 2017 quale concetto associamo alla parola invasione? Oggi il termine invasione ha forse perso il significato prettamente militare, e quindi intrinsecamente violento, che aveva un tempo, per far spazio ad una accezione più economica, che vede invece l’invasione più silenziosa che seppur meno vistosa non risulta in fin dei conti meno distruttiva. La riflessione intorno a questo termine scaturisce da un’osservazione ravvicinata della realtà salentina, uno scenario che vede fenomeni quali: le ondate migratorie, la protesta contro il gasdotto TAP e il virus xylella; tutte forme d’invasione silenziose che rischiano di distruggere per sempre il Salento, il mio territorio natale. Motivo per cui l’abitazione presentata nel progetto è situata nella Marina di San Gregorio-Patù (LE). Quello che a prima vista appare come un luogo paradisiaco e senza problematiche, sta subendo invece un’invasione silenziosa che rischia di snaturare le specificità del Salento. La questione ora è chi si deve considerare oggi invasore, chi è l’Invasore?
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Sono da considerarsi invasori gli esseri umani che decidono di vivere altrove per motivi economici, sociali o politici? Oppure questo termine dovrebbe essere riservato solo per coloro che sfruttano intensamente un territorio per trarne del profitto personale? Dal 2015 al 2017, la zona del sud Italia ha visto arrivare sulle sue coste oltre 180 mila persone provenienti dall’Afghanistan, Iraq e Siria. Cinquemila ventidue è il numero di persone che hanno perso la vita attraversando il Mediterraneo, mai così tante. I flussi migratori, soprattutto se di massa, possono generare panico nella popolazione residente che si vede, per l’appunto, invadere da persone con le quali, essi credono, non abbiano nulla in comune. Ad incrementare l’odio e la paura ci pensano poi i mass-media. Infatti nei notiziari si fa coincidere spesso l’immagine del criminale o dell’assassino con quella dell’immigrato. La manipolazione attuata dai media, instilla nella gente dei sentimenti di diffidenza e paura che si traducono in pregiudizi, i quali scattano anche alla vista di un immigrato a prescindere se sia un criminale oppure no. Perché tutto ciò che non si conosce, spesso può essere considerato come una minaccia. Inoltre accade spesso che la maggior parte delle persona creda a ciò che viene detto in TV solo per l’autorevolezza di cui godono i media, senza pensare che le notizie possano essere distorte e manipolate. Solitamente non siamo a conoscenza di tutto ciò che accade nel resto del mondo, e di conseguenza non possiamo conoscere del tutto le cause che spingono le persone a migrare. Spesso l’informazione si concentra molto di più sulle conseguenze che sulle cause e il dato che emerge è solo che molte persone arrivano in Italia. Le motivazioni che spingono queste persone a lasciare il territorio sono molteplici. Una delle maggiori spinte ad abbandonare i luoghi natii è senz’altro la povertà: emigrare in un altro paese rappresenta spesso l’unica via d’uscita, un modo per migliorare le proprie condizioni cercando un lavoro da svolgere all’interno del paese ospitante. Altre volte, invece, il motivo alla base dello spostamento è eminentemente ‘politico’: dittature, persecuzioni, guerre e genocidi spingono intere famiglie a cercare la libertà al di fuori del proprio paese, oppresso dai sopracitati fenomeni. L’Italia è storicamente un paese molto particolare, poiché nel corso della sua storia ha subito sia grandi flussi in uscita, come nel post-unificazione, e sia in entrata come avviene ora. La sua peculiarità è quella di essere sia un paese di emigranti e sia una meta, un punto d’arrivo, una salvezza per i nuovi migranti.
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Per tentare di arginare il fenomeno dell’immigrazione, oltre alle leggi come la Bossi-Fini e alle operazioni internazionali come Mare Nostrum; c’è chi propone di “aiutare i clandestini a casa loro”, chi ha chiesto un blocco navale e chi ha addirittura proposto di cannoneggiare le carrette del mare che trasportano i migranti diretti in Italia. Spesso però ci si dimentica che un secolo fa erano proprio gli italiani a imbarcarsi sulle carrette del mare per raggiungere la “terra promessa”, l’America. «Quando si parla d’immigrazione italiana si pensa solo agli ’zii d’America’, arricchiti e vincenti, ma nessuno vuole sapere che la percentuale di analfabeti tra gli italiani immigrati nel 1910 negli USA era del 71% o che gli italiani costituivano la maggioranza degli stranieri arrestati per omicidio.» 1 E oggi come allora, il viaggio verso il miraggio di una vita migliore si pagava con il sangue. La traversata avveniva, se possibile, in condizioni addirittura peggiori di quelle che oggi si riscontrano quotidianamente sulle barchette che partono dalla Libia dirette verso Lampedusa. Secondo il Museo nazionale dell’emigrazione italiana, al trasporto dei migranti furono assegnate le carrette del mare, con in media 23 anni di navigazione. Si tratta di piroscafi in disarmo, chiamati ‘vascelli della morte’, che partivano senza la certezza di arrivare a destinazione. Per gli americani gli invasori furono gli italiani, i quali venivano visti come parassiti, mediterranei olivastri, negri, gentaglia da linciare. Come possiamo capire cosa siamo diventati se non conosciamo il nostro passato, un passato da migranti? Si sente dire «Loro ci rubano il lavoro», ma da un’analisi più approfondita sorge una realtà totalmente diversa dal senso comune. Agli immigrati vengono assegnati lavori che nessuno di noi italiani sarebbe disposto a fare a quel prezzo, come lavorare nei campi o nei cantieri con turni di lavoro sfiancanti e con una paga che a stento permette la sopravvivenza. Allo stesso modo gli italiani (che migravano in altri continenti) erano destinati a lavori squallidi ed il modo in cui venivano trattati fu vergognoso. Il razzismo colpì tutti. E fece degli italiani, come scrisse nel 1924 il rapporto di Herman Feldman sui fattori razziali nell’industria, «probabilmente i più maltrattati di tutti gli stranieri». Gli ultimi degli ultimi. Disprezzati perfino dagli irlandesi che, come spiega la Deschamps, «sottolineando la “negritudine” degli italiani marcavano innanzi tutto la loro differenza. […] Privati della loro identità “bianca”, gli italiani si trovavano relegati al rango di entità ininfluente. Nei cantieri, per esempio, questi wops non meritavano di avere la stessa paga dei bianchi e se uno di loro spariva non ci si faceva poi molto caso. Alla fine della costruzione del Canale d’Erie, un capo mastro interrogato sul bilancio umano dei lavoratori si congratulava che “nessuno è rimasto ucciso, ad eccezione di alcuni wops.”
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1 GIAN ANTONIO STELLA, L’orda: quando gli albanesi eravamo noi, Milano, Rizzoli, 2002. P.56
Wop come without passaport. Un nomignolo xenofobo che ebbe fortuna perché suonava foneticamente come uàp. Guappo.» 2 L’Italia è una nazione giovane, per molto tempo fu divisa in diversi stati ognuno con la propria cultura specifica. Da circa 150 anni l’Italia è ancora alla ricerca di un proprio carattere culturale che valga per l’intera penisola. L’UNESCO nella “Conferenza mondiale sulle politiche culturali” del 1982 a Città del Messico definisce che: «La cultura in senso lato può essere considerata come l’insieme degli aspetti spirituali, materiali, intellettuali ed emozionali unici nel loro genere che contraddistinguono una società o un gruppo sociale. Essa non comprende solo l’arte e la letteratura, ma anche i modi di vita, i diritti fondamentali degli esseri umani, i sistemi di valori, le tradizioni e le credenze.» Il prof. Ernesto Galli della Loggia ha autorevolmente approfondito la questione sulla’ “Identità italiana”: In cosa sinteticamente consiste il carattere di un popolo? Esso è «la sua storia, tutta la sua storia, nient’altro che la sua storia». Se è possibile condividere questa celebre affermazione di Benedetto Croce, il carattere di un popolo non è dato una volta per tutte, ma è in sempiterno mutamento, in continua formazione. Anche in questo momento sta quindi prendendo forma il carattere nazionale italiano. Il vero problema non nasce soltanto attorno all’identità nazionale, ma si spinge fino alla coscienza e alla consapevolezza di tale identità. Che si debba essere coscienti della propria italianità non è, per altro, affatto scontato. Prima che dall’appartenenza nazionale, si può, infatti, essere definiti dall’identità di classe, dall’identità professionale, da quella municipale o locale. La coscienza dell’identità emerge, inoltre, soprattutto nei momenti di crisi. È solamente quando non siamo più certi, più possessori del nostro Io, che l’identità diventa un problema. La riflessione sull’identità italiana non sarà forse il segno che questa identità si sta dissolvendo o sta mutando radicalmente? Inoltre, proprio in questi momenti di ripensamento di noi stessi, l’identità si definisce anche attraverso la differenza e l’esclusione, come identità rispetto a qualcosa di altro. Nonostante l’identità sia in crisi e stia mutando, la memoria storica andrebbe comunque preservata. Eppure all’interno della cultura italiana, abbiamo dimenticato quando gli immigranti eravamo noi. L’oblio parte dagli emigranti stessi, i quali tornando a casa iniziano a costruire false storie sulle proprie avventure o meglio disavventure, anzi trasformano le loro disavventure in colorite avventure. Non vogliono che i figli sappiano quanto fu dura. E i figli non possono accettare di avere in un clandestino lo specchio del proprio padre.
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P.90
GIAN ANTONIO STELLA, L’orda: quando gli albanesi eravamo noi, Milano, Rizzoli, 2002.
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Però ricordare le nostre migrazioni e ciò che eravamo è necessario, perché ci ricordano che la nostra Terra gira, gira velocemente nello spazio e nel tempo creando nuovi ricchi ed ammassando nuovi poveri. I ruoli si invertono, ma ci sarà sempre un popolo che sarà costretto ad emigrare in un altro territorio. Essi fuggiranno da Paesi in cui l’unica prospettiva sarà morire di fame o morire per guerre volute da altri. Ed allora questa gente correrà verso il nord, verso il mediterraneo, verso quelli che potranno essere orizzonti migliori. Prendere le distanze da questi invasori moderni, si potrebbe considerare una comfort zone, in cui è più facile tener lontano e puntare il dito, piuttosto che aprirsi e comunicare. Tale comodità deve essere vista come un limite, in quanto non permette di ampliare gli orizzonti dell’individuo, anzi lo priva delle possibilità di aprirsi al cambiamento. Cambiare consiste nell’essere più solidali nel rispondere alle richieste di aiuto, perché un giorno potremmo essere noi italiani ad essere aiutati nuovamente. Dunque gli immigrati non devono essere considerati degli invasori o dei nemici, anzi da questa ondata migratoria si potrebbero trarre dei benefici. L’incontro tra due culture innesca in ogni individuo la curiosità verso ciò che non si conosce, ed ognuno di noi incrementa sempre di più il proprio bagaglio culturale ogni volta che entra in contatto con qualcosa di nuovo. Proprio come hanno fatto gli avi salentini, che dall’invasione Saracena e dal contatto con una nuova cultura hanno acquisito il meglio.
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G
li antichi invasori del Salento Il legame con la cultura orientale
Sono molti a chiedersi qual è il motivo per cui l’Italia sia diventata luogo di immigrazione: uno dei tanti è la collocazione geografica, posizionata così com’è nel mezzo del Mediterraneo, l’Italia rappresenta la primissima (e più semplice) frontiera da attraversare per arrivare in Europa. Le coste del mar mediterraneo sono state abitate da grandi civiltà di navigatori, commercianti e di conquistatori. Essi consideravano ogni località costiera un potenziale punto d’incontro, di scambio o d’invasione. «Il mare orla di spuma la penisola protesa tra Adriatico e Jonio, s’insinua in bianche spiagge assolate, in nere scogliere a picco, tinge dì mediterraneità ogni angolo della regione. E mediterranea, carica cioè di tutta la storia del Mediterraneo, intrisa di tutte le civiltà che si sono conteso e a volta a volta hanno ottenuto il dominio di questo Mare, testimone e protagonista di lotte gigantesche, è la popolazione del Salento che reca e conserva le impronte delle antichissime civiltà preistoriche mediterranee accanto a quelle dei popoli che successivamente, sempre dal Mediterraneo, si stanziarono in questa regione, alternandosi periodi di splendore di cultura e di civiltà a periodi di guerre rovinose che tennero le popolazioni salentine nel terrore e nella miseria. Chi ben guardi la popolazione di questa regione e il suo essere e il suo manifestarsi, la trova antichissima e attuale, con una vitalità remota e complessa, con una civiltà progreditissima ed intima, disincantata e sognante, scettica e raffinata, consapevole ed aperta, quale solo un popolo antico, mediterraneo, cioè esposto da millenni agli influssi più vari e profondi che hanno solcato questo mare, può essere.» 1
Alla fine del VII secolo i possedimenti bizantini in Italia vennero riorganizzati nel thema di Sicilia, comprendente la Sicilia, la Calabria bizantina e ciò che restava della Terra d’Otranto (praticamente solo Gallipoli). Nel 758 i Bizantini conquistarono Otranto approfittando della lotta tra il re longobardo Desiderio e il duca di Benevento, fondandovi il ducato di Otranto. Mentre il thema di Sicilia veniva progressivamente conquistato dai Saraceni, nel 876 il governatore di Otranto Gregorio prese sotto la sua la protettrice i territori del barese a causa delle richieste di aiuto proveniente da quelle terre, che chiedevano protezione contro i Saraceni. Il governatore tentò invano di proteggere la Puglia dall’invasione saracena, ma nel IX secolo d. C., i saraceni iniziarono ad assediare i porti del basso Salento con lo scopo di guadagnare territori strategici nel Capo di Leuca, utili ai fini di invadere l’intera regione. «Nel 625 d. C. la flotta bizantina si scontrò nelle acque di Alessandria con quella araba. Fu un duello accanito che si concluse con l’annientamento dei Greci, i cui dromoni andarono quasi totalmente distrutti. Il Mediterraneo divenne un lago mussulmano e per alcuni secoli i Califfi esercitarono su di essi un dominio incontrastato. Non erano trascorse molte settimane da quella battaglia che alcuni vascelli arabi gettarono le ancore della baia di Siracusa, ch’era allora un fiorente centro commerciale bizantino. Lo sbarco avvenne all’alba sulla spiaggia deserta e cotta dal sole. La città, colta di sorpresa, fu sottoposta ad un orribile saccheggio. Le sue chiese furono profanate e le donne violentate. Esaurita la razzia, gli Arabi tornarono alle loro navi e porsero quella terra d’Africa di dove erano partiti. […] Nel 827, su richiesta di un pugno di ribelli siracusani, che si erano rivoltati contro il governo bizantino, l’emiro Aghlabita Ziyadat Allah I, inviò in loro soccorso 70 vascelli con a bordo 700 cavalli e 1000 uomini, fra cui alcune migliaia di pirati. Cominciò così la sistematica occupazione araba della Sicilia. La prima città a cedere nelle mani dei Mussulmani fu Marsala che diventò il trampolino di lancio delle successive conquiste. […] Palermo divenne il faro di questa civiltà dalla straordinaria forza agglutinante, che come una macchia d’olio si propagò per tutta la Sicilia e giunse perfino a lambire il Mezzogiorno d’Italia. […]» 2
Tutta la zona del sud Italia, in particolare la Puglia, sia per la sua posizione geografica e per alcune sue caratteristiche fisiche, è sempre stata un ponte fra oriente e occidente, nonché terra di passaggio e di conquista. Intorno al III millennio a. C. le prime popolazioni che vi stanziarono furono quelle illiriche, successivamente abbiamo la presenza della civiltà Japigia. Nel VIII secolo a. C. Alcuni spartani fondarono Taranto. In seguito nel IV secolo a. C. Vi fu la colonizzazione Romana, la quale durò fino al 476 d. C. poi l’Impero d’occidente cadde, ma la Puglia rimane comunque legata ad una sfera bizantina sino all’anno 1000 d. C. Nel VII d. C. i Longobardi iniziarono ad occupare la zona montuosa della regione, lasciando ancora le coste ai Bizantini.
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1
MARIA IRENE MALECORE, Magie di Japigia: etnografia e folklore del Salento, Napoli, A. Guida, 1997. P.44
I salentini cercarono di resistere all’avanzata saracena con ogni mezzo, l’invasore islamico era sicuramente più temibile degli altri, lui non considerava i cristiani degni di vivere in quanto infedeli, una vittoria saracena avrebbe sicuramente significato conversione all’Islam o morte.
2
INDRO MONTANELLI – ROBERTO GERVASO, in storia d’Italia, l’Italia dei secoli bui, vol. I, Milano, Rizzoli Editore, 1965. PP. 263-294.
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Nella zona di Otranto di fatti 800 uomini coraggiosi, dopo aver rifiutato la conversione all’islam furono decapitati sul colle minerva; essi passarono alla storia come i “Martiri d’Otranto”. I resti delle loro ossa si trovano in sette grandi teche in legno nella cappella dei Martiri (ricavata nell’abside all’interno della cattedrale d’Otranto). Anche nella zona di Gallipoli vi furono alcuni ritrovamenti, che testimoniano le battaglie saracene, come per esempio le punte di queste frecce.
Una volta conquistato il territorio, i saraceni vi stanziarono e le genti iniziarono a mescolarsi. Di conseguenza le tradizioni salentine e arabe si intrecciarono, per cui molte tradizioni che crediamo derivino dalla antica cultura salentina, in realtà hanno origini arabe. Come i dolcetti tipici salentini, chiamati “Mustazzoli”, si suppone che abbiano origini arabe. Infatti come è costume per questa civiltà anche questi biscotti, come il pane arabo, non sono lievitati e la ricetta prevede l’utilizzo di aromi e spezie. Era una tipica abitudine, ancora oggi in vita, cuocere e consumare questi dolci durante le ricorrenze e le feste sacre. Secondo la tradizione questi particolari biscotti potevano essere modellati in varie forme: per la tradizione cristiana forme di pesce e di uccello; per quella pagana forme di donna, serpente o lettere. Anche i cedri furono diffusi dagli arabi grazie ai sistemi innovativi chiamati irrigui (tali sistemi erano naturalmente conosciuti anche dai romani, ma con gli arabi vi fu una diffusione tale da determinare un ammodernamento dell’intero sistema agricolo). Successivamente come nella gastronomia e nell’agricoltura, anche l’architettura risentì dell’influenza araba. Questo è dovuto al fatto che i legami con l’oriente non vennero mai interrotti, nemmeno quando l’impero romano d’oriente perse i suoi avamposti in Italia. «I legami tra la provincia di Terra d’Otranto e Bisanzio, non solo a livello politico-amministrativo , ma anche riguardo alla ritualità ortodossa- segno potente dell’unità e della compattezza dell’impero intorno al suo basileo- si mantennero saldi anche quando, perduto Bisanzio il dominio sul Salento, e sugli altri residui territoriali del Meridione, vi si insediarono i Normanni e poi gli Svevi, sotto i quali si ha un quadro sostanziale di comunità miste, che si esigevano versioni distinte grecolatine nel campo religioso e civile, dando l’immagine della penisola salentina, e non solo in età normanno sveva, ma fin quasi tutto XV secolo, come «terra bifronte assai dibattuta tra i due mondi della cristianità e della cultura medievale».3
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3
LUIGI CARDUCCI, in Storia del Salento, Galatina, Congedo editore, 2007. P. 174.
Nel corso della storia ci sono state diverse popolazioni, che nel nostro territorio più che un dominio da sfruttare, trovarono una seconda casa, andando in questo modo a rinsaldare un legame, una sorta di ponte tra varie culture. «Un ponte che indica quell’unità europea cristiana che oggi forma l’attenzione di tanti, ma che incontra tante difficoltà a decollare. Otranto l’aveva realizzata, e nonostante tutto, il viaggiatore di allora qui non si sentiva straniero. Anche oggi chi viene dall’est o dall’Ovest trova elementi della sua arte e della sua cultura, e si sente come in casa propria davanti agli affreschi. […] Sono opere ignorate dalla cultura ufficiale, ma cercate, studiate, ammirate da dotti e da semplici turisti. Sono testimonianze di un passato che riportano alla memoria secoli di incontri, di speranze, di insegnamenti incisi su tavolette e malte fresche, che aiutano a scoprire le radici comuni cristiane dell’Europa, ed educano le nuove generazioni l’appartenenza internazionale sul percorso della ricerca della fede. Presentare l’ ”iconografia di Otranto tra oriente e occidente” non è anacronistico e alienante, ma è un percorrere le motivazioni umane e cristiane, soggiacenti al risorgente interessamento delle icone che riavviano la memoria e l’imprevedibile carisma di terra d’Otranto, anche a distanza di secoli. È un invitare ad approfondire la conoscenza del passato nella consapevolezza che la civiltà di un popolo si misura dalla memoria storica che essa conserva. »4 Con la sconfitta degli arabi da parte degli aragonesi, la terra d’Otranto perse il suo carattere di terra d’incontro. I nuovi invasori pensarono bene di cancellare le tracce del passato arabo della regione, ecco perché anche oggi si sa molto poco dell’influenza saracena sulla cultura salentina. Un popolo però ha bisogno di conoscere le proprie origini, in quanto per vivere in pace e costruire un futuro è necessario conoscere il proprio passato, sapere come si è diventati chi si è.
4
GRAZIO GIANFREDA, l’iconografia di Otranto tra oriente e occidente, Lecce, Edizione del grifo, 1994. Pp. 10-11.
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C
onfronto con L’architettura Araba La suddivisione degli spazi
S
tato di fatto
L’abitazione del progetto è collocata nella marina di San Gregorio- Patù (LE). Partendo appunto dalla memoria storica del sud Italia, ho deciso che l’esterno e la pianta dell’abitazione si avvicineranno molto ad uno stile arabeggiante, in modo tale da richiamare nel concept il legame con questa cultura. Senza inserire all’interno del paesaggio degli elementi non conformi con il territorio, ma ricercando ed analizzando quali fossero i punti in comune tra l’architettura araba e quella salentina, ho trovato utile partire dalla casa curte. Infatti essa risulta molto simile nella struttura e nella suddivisione degli spazi ad una casa araba. La casa araba era formata da un grande patio, intorno a cui si strutturava tutta la casa. I mobili al loro interno erano pochi, ma il resto delle pareti erano decorate con dei tappeti e dei mosaici. All’interno della casa araba, il cortile è una zona centrale, soprattutto durante i mesi caldi è visto come punto d’incontro, di ristoro e di relazioni. «[…] In Sicilia i costumi dell’Islam si diffusero con prodigiosa rapidità anche nella vita quotidiana. Nei principali centri dell’Isola apparvero i primi minareti dai quali sembra che il nostro campanile derivi e le prime moschee. Allo stile moresco s’ispirano i nuovi quartieri residenziali: ampie palazzine dall’intonaco bianco, con grandi terrazze e piccole finestre. All’interno, circondato da un porticato, c’era il patio, un cortile con fontane e piante esotiche. Gli ambienti erano arredati con sobrietà. Nella sala da pranzo, il sofà e la tavola erano gli unici mobili. Il pavimento era ricoperto di tappeti, le pareti decorate con mosaici. Nelle camere da letto, le specchiere e i candelabri costituivano i principali ornamenti. I palazzi dei ricchi erano circondati da parchi gremiti di palmizi, platani e cipressi. I giardini erano popolati di cigni, anitre, pavoni e uccelli esotici.» 1 Curte non è altro che l’abbreviazione di Curtigghiu, che corrisponderebbe al cortile anteriore all’abitazione. Esso ha la stessa funzione del patio delle case arabe. «La casa salentina, bassa, dà sulla strada o sulla «curte o curtìgghiu», elementi questi che, insieme con il vicinato ritornano frequenti nella poesia popolare salentina. La «curte» è una piazzola su cui si aprono le porte a piano terra delle case. Le corti spesso sono vicoli ciechi che, in quanto tali, non sono aperti al traffico, ma sono frequentati esclusivamente da coloro che hanno lì le case, e quindi diventano quasi proprietà comune, materialmente e spiritualmente, una sorta di anti-casa che costituisce la sede di una comunità. […]»2
1
INDRO MONTANELLI – ROBERTO GERVASO, in storia d’Italia, l’Italia dei secoli bui, vol. I, Milano, Rizzoli Editore, 1965. PP. 263-294. 2 MARIA IRENE MALECORE, Magie di Japigia: etnografia e folklore del Salento, Napoli, A. Guida, 1997. P. 47.
Casa Curte Salentina
Casa con patio araba
Dunque elaborando un primo schizzo del progetto, è stato impostato un patio centrale, intorno a cui si svilupperanno tutte le stanze della casa.
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C
onfronto con L’architettura Araba L’esterno dell’abitazione
La struttura esterna farà capo ad un ulteriore elemento architettonico salentino in comune con la cultura orientale, ossia le pajare. Tali strutture risentono dell’influenza orientale, in quanto derivano dalle antiche tombe micenee, le tholoi. Solitamente le tholoi micenee erano considerate sia delle costruzioni funerarie che delle abitazioni rurali. «Nonostante il termine thòlos in greco significhi cupola, la costruzione funeraria con esso denominata, non presenta una cupola ma una pseudo-cupola. La tomba a tholos, infatti, non possiede una cupola con una struttura spingente, ma formata da file concentriche di blocchi di pietra, che, aggettando sempre più verso il centro, finiscono per chiudere il vano sottostante, di forma circolare. Questo tipo di architettura funebre si sviluppò, soprattutto, verso la fine dell’età del bronzo. Ciò nonostante, i primi esempi ritrovati di tomba a tholos si trovano nell’Oman, nella penisola arabica, che risalgono al 3.500 a. C. Esse vengono denominate anche beehive (alveare), per il loro caratteristico addossarsi le une alle altre. La diffusione maggiore di questo tipo di sepoltura avviene dopo il 1500 a.C in vaste aree mediterranee, come Grecia, Egitto, Sardegna e Sicilia (seguiranno gli Etruschi). Esse erano, vere e proprie, tombe, di famiglia plurime, che ospitavano ricchi corredi funebri. Perciò il loro ingresso, per evitare ruberie, veniva pesantemente ostruito. La copertura in terra formava generalmente una collinetta. La “tecnologia” a tholos investì, non solo le costruzioni funebri, ma anche quelle abitative rurali. Anzi, fu proprio quest’uso a farle perdurare in culture molto più avanzate. La loro forma ogivale, in altri esempi, diviene anche a forme coniche o a campana. Troviamo, così, tholos rurali in Puglia (i trulli e le pajare)». 1 Le Tholoi in Salento erano utilizzate soprattutto come riparo temporaneo, ricovero di animali e attrezzi agricoli. Spesso il vano porta è preceduto da un breve vestibolo ottenuto nello spessore del gradone di rinfianco che, interrompendosi in prossimità del vano porta, consente l’appoggio di una copertura. Non mancano esempi dove il vestibolo assume la funzione di cortiletto, in tal caso troviamo anche una pila per lavare i panni, il focolare, la cisterna per la raccolta delle acque piovane, la mangiatoia e alcuni sedili di pietra.
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2017
http://www.celeste-ots.it/celeste_files/sicilia_megalitica/megalitica_13.htm consultato il 07-07-
Esistono diverse tipologie di tholoi in tutta la puglia, che cambiano nelle forme e dimensioni in base alla collocazione geografica. In tal caso verrà presa in considerazione un modello di tholoi vicino al luogo dell’abitazione, ossia una tholoi a tronco di piramide. «Nella estrema Puglia meridionale (a sud di Lecce), accanto alla capanna di pietre rotonda è molto diffusa la costruzione quadrata. Sebbene la tipica costruzione a cupola rimanga, la copertura esterna è stata tanto accresciuta ed allargata, che il tronco di cono ha acquistato la forma di un tronco di piramide. Un’ulteriore “evoluzione” di questa aggiunta di ripiani o terrazze si può ammirare soprattutto nella costa jonica dell’estremo Salento, dove gli esemplari più grandi, a tre, quattro, cinque gradoni si rinvengono più particolarmente dentro un’area che insiste sulla serra di Ugento, ma che ha già i suoi avamposti presso la costa gallipolina, da un lato (Torre del Pizzo), e negli uliveti tra Morciano e Salve, dall’altro. Tra queste capanne di grandi dimensioni, però, molto rare dovevano essere quelle dotate di due piani, con soppalco in legno fungente da divisorio e accesso a due livelli differenti, secondo un modello diffuso in molte caselle liguri e nelle capanne gradonate abruzzesi, ma quasi del tutto inusuale in Puglia: un esempio è il cosiddetto trullo di papa Fedele in territorio di Patù». 2 La scelta strutturale simile ad una pajara è dovuta per ridurre l’impatto ambientale, motivo per cui sul tetto verrà ricreato un giardino. L’abitazione essendo posizionata su di un’altura, ha un dislivello di 1,10 cm dal punto zero. Per rendere quanto più simile ad una pajara l’abitazione: due muri esterni non risulteranno diritti, ma inclinati, per dare l’effetto di un tronco di piramide. Inoltre tutta la parte di dislivello (dal punto zero ed andando sotto di 1,10 cm) sarà rivestita con della pietra, per richiamare i muretti a secco circostanti.
2
MARCO MIOSI, Tholoi d’Italia, Trulli e capanne in pietra a secco con copertura a tholos, Edizioni di pagina, Collana Etnografie, 2012. P. 304
19
F
unzione della struttura
Avendo delineato la storia di base ed il profilo esterno dell’abitazione, prima di argomentare l’interno della struttura, mi sembrava opportuno parlare della sua funzione. L’abitazione diventerà un B&B. All’interno dei B&B o degli ostelli, si incontrano sempre persone che viaggiano o che vengono da altri paesi. I rapporti con persone che hanno nazionalità, culture e modi di pensare differenti innescano in ogni individuo la curiosità verso ciò che non si conosce. Ognuno di noi incrementa sempre di più il proprio bagaglio culturale quando è in contatto con qualcosa di nuovo, motivo per cui ho scelto di attribuire all’abitazione questa destinazione.
21
L’
interno dell’abitazione
Il New Dada, o New-dadaism, è una tendenza artistica diffusasi in America attorno alla metà degli anni ‘50. La denominazione nasce dalla rielaborazione di alcune tematiche del Dadaismo con le conoscenze acquisite dalla pop-art. In particolare: - La presenza nell’opera di oggetti comuni
La struttura dispone di 4 camere: 2 doppie, 1 singola ed 1 quadrupla. Alle camere si accede attraverso un patio, che oltre ad essere la zona d’incontro sarà anche un punto di ritrovo e di relax. Inoltre come ogni B&B che si rispetti, offre una sala e una cucina per la prima colazione.
- La componente ironica. La principale caratteristica di New Dada è l’inserimento nell’opera d’arte di elementi della vita quotidiana. L’artista viene stimolato dal loro aspetto, dalla loro presenza nel loro normale contesto. A seconda delle modalità di realizzazione, i prodotti della New Dada si presentano sotto forma di quadri, oppure possono invadere lo spazio, sotto forma di sculture o di complessi assemblaggi. Questo procedimento non deriva da concezioni programmatiche particolari. Scopo dell’artista è semplicemente quello di realizzare un nuovo tipo di immagine. Un’immagine capace di stabilire nuove relazioni percettive tra le forme e gli oggetti comuni. Quindi, un’immagine collegata al quotidiano, ma non imitatrice o descrittiva del quotidiano. 1
Nell’arredamento interno dell’abitazione non verrà ripreso uno stile arabeggiante, né tanto meno quello mediterraneo. Partendo dall’analisi del territorio, si è cercato un filo conduttore che rappresentasse nell’ambiente domestico, alcune problematiche di carattere socio-territoriale. Le tematiche presentate saranno 5. L’obiettivo prefissato è quello di parlare degli aspetti che stanno rovinando il Salento e cercare di attuare una sensibilizzazione degli ospiti a queste problematiche passando attraverso l’interior design. Sono 5 le tematiche affrontate sono: 1. Eco-mostri. 2. Pali e fili. 3. Amianto. 4. Rifiuti spiaggiati. 5. Problema idrico. Le argomentazioni verranno trattate allo stesso modo in cui i new dadaist elaboravano i contenuti delle loro opere.
Allo stesso modo verrà creato scalpore, portando all’attenzione degli osservatori le problematiche, che fanno parte della quotidianità locale salentina, a cui talvolta si tende a non fare caso. L’intento è quello di far conoscere a quanta più gente possibile la dura realtà salentina, quella fatta di eco-mostri e discariche a cielo aperto, per far questo ho deciso di trasformare le problematiche salentine in opere d’arte in modo che la gente possa ammirarle contemporaneamente in tutta la loro bellezza e bruttezza. La problematica assume in questo modo una forte carica simbolica, tale da innescare una riflessione nell’osservatore. Proprio come era solito fare per i seguaci della pop-art: essi tendevano a riprodurre oggetti della vita quotidiana, ma lo scopo era quello di far conoscere le problematiche presenti all’interno della società. Si cercherà di annullare l’idea che ognuno di noi ha su queste problematiche, dando una diversa funzione agli oggetti presenti in ogni stanza. Proprio come fecero i dadaisti con il ready-made (già pronto). Un oggetto viene preso dalla realtà in cui nasce e decontestualizzato, se l’oggetto non ha più la sua funzione e collocazione naturale, esso può essere osservato in un’ottica estetica. L’intento sarà quello di presentare queste tematiche, analizzarle e successivamente rielaborarle, annullando l’idea che si ha di esse e fornendo nuove soluzioni.
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1
http://www.artdreamguide.com/_hist/new-dada.htm consultato il 07/07/2017
23
60 x 60 150
60 x 60 150
60 x 60 150
60 x 60 150
H.270 + 34
x
x
H.270
+ 17
90 143
79
80 210
645 87
x + 17
80 210
+ 17
H.270
H.270
225
x
70
x
A-A'
H-H'
347
202
230
70 210 202
60 x 60 150
87
202
87
x
70 210
Bagno
80 210
L’esule errante
60 x 60 150
B&B
B-B'
66
x
48
60
x
x
I-I'
82
x
+ 0,00
200
190
H.270
x
H.270
450 488
C-C'
H.270
J-J'
347
E-E'
180
x
x
150
60 x 60 150
x
x
x 44
60 x 60 150
60 x 60 150
x
89
x
+ 51
G-G' 50
80 210
Bagno
F-F'
130
70 210
80 210
105
100
x
x
L-L'
200
70 210
H.270
460
x
x
M-M'
60 x 60 135
60 x 60 135
x
60 x 60 135
D-D'
80 x 210
x
80 x 210
x
S
cala 1:100
24
25
E
co-mostri
Il Salento è una terra ricchissima di ambienti e paesaggi stupendi ed unici nel suo genere, che tutto il mondo ci invidia. Siamo molto attenti a salvaguardare questi luoghi, sia per un discorso prettamente turistico sia per un fattore ecologico ed ambientale. Purtroppo sappiamo altrettanto bene che l’abuso edilizio è una delle piaghe del nostro Bel Paese e spesso le costruzioni non autorizzate si rivelano dei veri e propri eco-mostri. Normalmente, se un intervento edilizio è abusivo, cioè se si tratta di una nuova costruzione, un ampliamento o una ristrutturazione realizzati senza permesso di costruire o in difformità dal titolo edilizio, la regola generale è che una volta accertato l’illecito (da parte del Comune), l’autore dell’abuso deve demolire entro 90 giorni dall’accertamento o ripristinarlo ante operam. Vi sono pesantissime sanzioni pecuniari e penali oltre all’acquisizione dell’immobile al patrimonio del Comune. Il più delle volte accertato l’abuso edilizio, avviene il sequestro del cantiere, onde evitare una possibile continuazione dei lavori. Alla fine del processo penale la magistratura decreterà la demolizione o la sanatoria dell’immobile, ma fino ad allora l’edificio rimarrà fermo un lento processo di decadenza. A Santa Maria di Leuca è presente un eco-mostro che ha rimpiazzato un edificio d’epoca. Costruita nel 1928, l’ex Colonia Scarciglia ospitava nel periodo estivo i bambini delle famiglie disagiate e indigenti. Con la sua mole imponente, l’edificio di stampo fascista, incombeva proprio sul porto e su un bellissimo tratto di scogliera, a ridosso dell’area dove si trova il faro di Leuca. Da molti anni, a causa del sequestro del cantiere, la “Colonia” è abbandonata e versa in stato di degrado. Solo una gabbia di ponteggi tiene ancora in piedi la facciata principale dell’edificio originario. Quel rudere, che rappresenta un obbrobrio e deturpa il profilo della costa, è stato oggetto di un intervento di riqualificazione, che prevedeva la conversione in una struttura ricettiva del tipo hotel a 5 stelle. Successivamente nel corso d’opera sono state realizzare delle opere difformi da quelle autorizzate che hanno comportato la sospensione dei lavori da parte delle autorità competenti e all’avvio delle procedure legali per la definizione e la quantificazione del danno ambientale prodotto e le relative attribuzioni di responsabilità.
26
27
Questa vicenda giudiziaria lunga quasi 10 anni, lascia dietro di se’ uno ‘scheletro’ di ferro e cemento su uno dei tratti più belli della costa salentina. La struttura ai piedi del promontorio non passa di certo inosservata ai turisti. Brutto da vedere, ma soprattutto pericolosissimo per l’ambiente, quando un eco-mostro non viene abbattuto, in noi si innesca un meccanismo percettivo, che ci permetterà osservare in modo parziale la bruttezza dell’eco-mostro. La bellezza naturale del paesaggio circostante attenua la bruttezza dell’ecomostro. Perciò gli osservatori non vedranno più l’eco-mostro come un elemento avulso dal contesto, ma ponendosi in secondo piano, entra far parte di un’immaginaria composizione fotografica. La struttura sullo sfondo con il passare degli anni, se non demolita, costituirà una peculiarità del paesaggio e risulterà difficile immaginare la località senza tale l’elemento. Allo stesso modo nel progetto è stata dedicata una stanza agli eco-mostri esaltando il “non finito”, al pari delle strutture grezze che sembrano non essere mai recuperabili. In quanto secondo un immaginario comune, la cosa bella deve essere anche completata, mentre per l’artista le sue opere sono una continua sfida al brutto per far emergere la bellezza. L’intento è quello di far vedere cosa potrebbe nascere, facendo alcune modifiche ed usando pochi elementi come: la pietra locale grezza, dei tondini ad aderenza migliorata ed altri materiali di scarto, simili a quelli che sono reperibili nei dintorni degli eco-mostri. Il non finito viene esaltato in diverse forme: a livello strutturale, viene annullato il concetto di bagno, in quanto non ci sarà una stanza bagno, ma ci sarà solo una stanza per i sanitari; la forma e la posizione dei lampadari risulteranno non completati; e i diversi materiali esalteranno la decadenza.
28
R ER E PP O OR T R
Ex colonia Scarciglia a Santa Maria di Leuca.
SS C CH I HZZ II
Ex colonia Scarciglia a Santa Maria di Leuca. 31
+ 34
70 210
87
202
x
+ 17
225
x
H.270
+ 17
90 143
80 210
80 210
87
x
79
645
A-A'
H.270
80 210
+ 17
H.270
x
70
x
H-H'
347
202
230
70 210
Bagno
202
60 x 60 150
60 x 60 150
H.270
87
cala 1:50 x
ezioni
60 x 60 150
60 x 60 150
B-B'
60 x 60 150
60 x 60 150
PS S ianta e
66
x
48
60
x
x
I-I'
82
x
110
+ 0,00
60 x 60 150
90
200
190
H.270
x
C-C'
H.270
450
C-C'
488
H.270
J-J'
347
E-E'
180
C-C'
x
x
150
60 x 60 150
x
x
x 44
60 x 60 150
100
x
89
x
+ 51
G-G' 50
80 210
Bagno
F-F'
130
70 210
80 210
105
100
x
x
L-L'
200
70 210
H.270
M-M'
201
60 x 60 135
80 x 210
D-D'
x
70x
60 x 60 135
x
x
80 x 210
x
60 x 60 135
460
82
87
D-D' 32
E-E' 33
Per l’illuminazione è stata scelta una lampada di Karman: Domenica by Luca de Bona e Mario de Meo. Domenica richiama nel concept gli eco-mostri. Composta da gesso e metallo, visivamente esalta la bellezza dell’incompletezza, in quanto il metallo, che costituisce la struttura portante della lampada, non è completato con la rifinitura in gesso.
Lungo le pareti verranno inserite delle luci Nando by karman, che andranno a creare una quinta scenografica; tali luci hanno la stessa forma delle lampade da cantiere.
ELEMENTI D’ARREDO Per avere comunque una separazione tra la camera e la zona bagno, è stata inserita una lamiera perforata leggera in acciaio, per dare un effetto vedo, non vedo. Mentre per la cabina armadio è stata adottata una soluzione di armadio con anta scorrevole a binario, l’anta sarà in rame invecchiato tendente al rossiccio. Sono stati utilizzati come separatori e come complementi d’arredo i tondini ad aderenza migliorata, che conferiscono un tono grezzo e raffinato nello stesso momento.
34
Tondini ad aderenza migliorata
Lamiera perforata leggera
35
P
ali e fili
Il termine “inquinamento visivo” indica l’alterazione di qualsiasi ambiente con l’inserimento di elementi, che risultano talmente tanto sgradevoli alla vista, da generare malessere. Vivere in una località o in una città dove i maxi cartelloni pubblicitari e le antenne televisive la fanno da padrone, e dove le zone periferiche sono squallide e disadorne, oltre ad offendere la vista e il comune senso dell’estetica, incidono negativamente sul benessere delle persone. Uno dei problemi visivi presenti nel territorio salentino è la sovrannumero di pali e fili. Nell’entroterra si possono distinguere diverse tipologie di pali: -
Le antenne della telefonia mobile: Le torri per le telecomunicazioni, solitamente di rilevanti dimensioni, possono essere di forte impatto visivo. Ma grazie ad un design innovativo e ad una progettazione di qualità, tali strutture convergono in veri e propri elementi di connotazione per gli spazi pubblici. Anche nel caso in cui il contesto richieda una certa mimetizzazione dell’elemento, occorrerà adottare scelte di design accurate: innanzitutto il materiale con cui sono realizzate, la semplicità della loro struttura, la colorazione adeguata rispetto al supporto. Le antenne devono essere costruite con materiali inossidabili e in lega leggera, in modo da poter resistere alle sollecitazioni atmosferiche. I materiali usati sono alluminio o acciaio zinco cromato e verniciato, non devono essere scintillanti o riflettenti e in armonia con i colori dominanti del paesaggio in cui si inseriscono. Infine le antenne non devono essere illuminate e presentare loghi commerciali.
-
I pali di sostegno delle linee elettriche, in acciaio galvanizzato.
-
I pali di sostegno delle linee di telefonia.
La nuova politica ambientale verte verso una progressiva rimozione dei pali in legno, sia quelli datati sia quelli più recenti, poiché i fili delle linee, che si sviluppano in prossimità delle careggiate, verranno interrati. Al momento non esiste una alternativa per quanto riguarda l’attraversamento delle zone rurali ed occorrerà comunque mantenere l’utilizzo dei pali.
36
37
L’utilizzo di trasmissione attraverso cavi sotterranei è la soluzione che maggiormente mitiga l’impatto delle infrastrutture di telecomunicazione all’interno del paesaggio. Nelle diverse linee guida europee, in particolar modo in quelle scozzesi, si raccomanda che lo sviluppo futuro delle telecomunicazioni preveda l’utilizzo di infrastrutture interrate sia in aree urbane che in aree rurali, non solo per mitigare l’effetto intrusivo nella visuale dei luoghi, ma anche per ampliare l’accettabilità dell’introduzione tecnologica. Nel momento in cui la politica ambientale dell’interramento dei fili coinvolgerà a pieno regime anche le reti esistenti, riscontreremo il problema dello smaltimento dei pali. Per le materie naturali la parola chiave dovrebbe essere recupero, piuttosto che smaltimento, poiché recuperare il legno significa preservare l’ambiente che ci circonda. Poter riciclare il legno vuol dire trattare bene la materia prima, gli alberi, e ridurre l’impatto ambientale che un rifiuto legnoso abbandonato in discarica produce. Per ogni albero abbattuto per produrre imballaggi di legno, infatti, un altro ne viene piantato tutelando così il patrimonio boschivo. Il fatto di recuperare materia prima dai rifiuti legnosi significa anche proteggere l’atmosfera: il legno che va alla discarica emette metano, e rilascia anidride carbonica, due gas tra i principali responsabili dell’effetto serra. Le emissioni di metano derivano dal processo di decomposizione degli scarti di legno, e dei ceppi lasciati sul terreno, soprattutto in caso di grandi deforestazioni; l’anidride carbonica è contenuta e “congelata” nelle fibre di legno, e viene rilasciata solamente quando il legno non è più utilizzato. Riutilizzando il legno dai rifiuti quindi si evita che l’anidride carbonica e il carbonio contenuti nelle fibre legnose siano dispersi. Tale stanza supporta la politica del riciclo del legno, infatti sono stati progettati dei letti a castello con i pali di legno. Inserire dei letti non convenzionali sarà una qualità in più per il B&B, perché regalerà l’esperienza di essere in un campeggio, senza essere all’esterno. Ciò attirerebbe una clientela più giovanile.
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R ER E PP O OR T R
Lungomare di Santa Maria di Leuca.
Strada comunale di Gagliano del Capo.
SS C CH I HZZ II 41
PS S ianta e
ezioni
60 x 60 150
60 x 60 150
B-B'
60 x 60 150
60 x 60 150
60 x 60 150
cala 1:50
pali riciclati
H.270 + 34
79
87
225
80 210
80 210
87
+ 17
90 143
645
A-A'
H.270
80 210
x
+ 17
x
113
H.270
H.270
x
70
x
x + 17
H-H'
347
202
230
70 210
Bagno
202
60 x 60 150
70 210
87
202
87
x
66
x
48
60
x
I-I'
82
x
+ 0,00
H.270
x
A-A'
B-B'
H.270 488
C-C'
H.270
J-J'
347
E-E'
180
x
x
150
450
x
x
x 44
60 x 60 150
60 x 60 150
200
190
60 x 60 150
A-A'
x
89
x
+ 51
G-G' 50
80 210
Bagno
F-F'
130
70 210
80 210
105
100
33
x
x
x
L-L'
200
70 210
H.270
460
x
x
x x
10
x
210
42
43
La scelta adottata in questa stanza è stata quella di non inserire degli armadi, ma piuttosto inserire degli elementi dove poggiare i vestiti. Verranno utilizzati dei sospensori elettrici in ceramica, che applicati sul muro saranno degli ottimi appendi abiti. Per l’illuminazione sono state selezionate Le Cìcare by Olev. Gli isolatori dei vecchi pali della luce, hanno ispirato la creazione di queste lampade. Esse donano all’ambiente un aspetto industriale-retrò e giocando con i diverse tonalità di colore, andranno a ricreare una atmosfera colorata e giovanile.
ELEMENTI D’ARREDO Sono stati progettati dei letti a castello con dei pali in legno; uno per ogni spigolo del letto. La rete non sarà in ferro o con doghe di legno, ma sarà un intreccio di corde (per richiamare il concept dei fili), allo stesso modo come vengono costruite le amache.
Sospensori elettrici in ceramica
44
45
A
mianto
L’amianto è un minerale naturale a struttura microcristallina e di aspetto fibroso appartenente alla classe chimica dei silicati e alle serie mineralogiche del serpentino e degli anfiboli. É stato così largamente usato per le sue eccezionali proprietà di resistenza al fuoco, di isolamento termico ed elettrico, per la facilità di lavorazione (struttura fibrosa), di resistenza agli acidi ed alla trazione, facilmente mescolabile ad altre sostanze (cemento), dotato di capacità fonoassorbenti e per ultimo ma non trascurabile l’aspetto economico: prezzo di mercato concorrenziale rispetto ad altri materiali. Considerate queste caratteristiche, ha trovato largo utilizzo nei campi dell’Edilizia, dell’Industria e dei Trasporti, sotto forma di innumerevoli manufatti. Nel 1911 l’Eternit (nome del prodotto dell’amianto) diventa diffusissimo e la produzione di lastre, tegole, vasche per la raccolta dell’acqua e tubi è a pieno regime. Circa un ventennio dopo fanno la loro comparsa le lastre ondulate, in seguito usate spesso per tetti e capannoni. Nel 1954 il prodotto è così largamente in commercio, che il designer svizzero Willy Guhl crea una sedia a sdraio da una lastra di Eternit. Nel nostro paese il largo uso dell’eternit abbraccia il trentennio tra il 1960 al 1990, coincidente con il boom economico, ma nel 1983, in accordo con una direttiva CEE, ne viene vietata anche in Italia l’applicazione dell’amianto spruzzato in edilizia. Solo nel 1992 viene vietata la produzione e il commercio di manufatti contenenti amianto con la cessazione di tutte le attività di estrazione, importazione, ed utilizzo. Nonostante la produzione sia stata interrotta, l’amianto è ancora presente sulle antiche abitazioni, nelle strutture di copertura delle industrie e nelle zone rurali. La regione puglia proprio per venire in soccorso a questa problematica, ha messo in atto un’iniziativa per la raccolta e lo smaltimento dell’amianto: «Puglia Eternit Free».
46
47
Il progetto, in modo particolare, punta alla rilevazione statistica di amianto nelle aree urbane, industriali e agricole, così come disposto dalla legge 257/92 e dal Piano Regionale Amianto della Regione Puglia «che prevede, tra l’altro, l’avvio del censimento obbligatorio». I cittadini potranno segnalare i siti a rischio, per ottenere anche un sopralluogo tecnico, al numero verde gratuito. Anche la Provincia di Lecce si è attivata sulla problematica della pericolosità dell’amianto. In questi anni, infatti, molti sono stati impegnati sia sul fronte delle procedure amministrative finalizzate a dotare il territorio di impianti idonei allo smaltimento, sia a bonificare, in particolare i tracciati delle strade provinciali, siti inquinati a causa dell’abbandono incontrollato di rifiuti d’amianto. Nonostante la macchina istituzionale si sia messa in moto con iniziative e progetti che mirano alla sensibilizzazione della tematica sull’amianto, molte persone, ignare dei danni, continuano a seminare lastre e pezzi di eternit nelle zone rurali, piuttosto che smaltirli adeguatamente, convinti che tale abbandono non possa causare danni alla propria persona. Ho dedicato una stanza all’amianto per continuare a sensibilizzare anche gli ospiti e i turisti a questa iniziativa, in quanto, quando un sito viene segnalato e bonificato, si può procedere alla raccolta ad allo smaltimento dei rifiuti. Perciò all’interno della stanza ci saranno delle lastre ondulate simili all’eternit, messe appunto per provocare l’ospite, poiché maggiore sensibilizzazione è uguale ad una più rapida bonifica del territorio. Però soggiornare in una stanza, in cui sono presenti materiali che potrebbero causare dei danni fisici, non è il massimo. Come reagirebbero gli ospiti se sapessero che i materiali utilizzati non sono nocivi, ma al 100% naturali? La tematica dell’amianto è stata utile per presentare un materiale sperimentale della zona salentina, ossia la farina di nocciolo di oliva. Composta da lignina, emicellulose e cellulosa, può essere utilizzata come base per creare composti di polipropilene senza intaccare la resistenza alla trazione e riducendo significativamente i costi industriali. Inoltre un altro concetto racchiuso all’interno della stanza è legato al danno fisico che produce l’amianto. Respirare le particelle di amianto, per un lungo periodo comporta dei danni fisici, in ogni caso le malattie colpiscono per prima le vie respiratorie. Partendo da questo presupposto, sono stati creati dei comodini in acciaio e vetro, dove inserire delle erbe aromatiche secche. Esse attraverso dei fori fatti nel vetro rilasceranno in modo continuo le essenze, donando benefici e benessere.
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R ER E PP O OR T R 50
Zona rurale del comune di Castrignano del Capo.
SS C CH I HZZ II
Zona rurale del comune di Gagliano del Capo. 51
60 x 60 150
x
+ 17
H-H'
x
ezioni
H.270
+ 17
80 210
H.270
225
ianta e
347
x
+ 34
70 210
87
60 x 60 150
PS S 202
H.270
90
70
143
cala 1:50
80 210
79
I-I'
F-F'
66
x
48
60
x
+ 51
G-G'
80 210
50
60 x 60 150
+ 0,00
130
x 200
H.270
x
89
x
x
150
C-C'
J-J'
347
E-E'
28
H.270
x
44
x x
70 210
H.270
460
x
x
F-F'
L-L'
G-G'
x
M-M'
60 x 60 135
60 x 60 135
60 x 60 135
80 x 210
x
ďŹ
35
201
52
J-J'
53
Per l’illuminazione è stata utilizzata la lampada sia a parete che a sospensione Moby Dick by Matteo Ugolini. Creata con una struttura di vetroresina, la lampada ha i bordi sfilacciati, che richiamano nel concept le lastre di eternit.
ELEMENTI D’ARREDO Ho ideato sia l’anta dell’armadio a binario scorrevole, sia la testata del letto con delle lastre ondulate in farina di nocciolo. Il composto grumoso e maculato e la forma ondulata, richiameranno nelle forme e nei colori le lastre ondulate di eternit.
Sedia di Willy Guhl
Per ricordare la sedia in amianto di Willy Guhl è stata inserita nella stanza una poltrona a dondolo, simile nella forma, ma composta in cartone duro. Tale materiale si configura come un materiale altamente ecologico in quanto riciclabile, biodegradabile al 100%, idrorepellente, isolante, idoneo a essere riutilizzato in una percentuale corrispondente all’ 80% della fibra, e consente, oltre a un importante risparmio economico, una rilevante riduzione della quantità di rifiuti conferito in discarica.
Sedia by KUBEDESIGN
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R
ifiuti spiaggiati
Su alcune spiagge salentine, al posto delle conchiglie e delle alghe a fare da padrone sono i rifiuti spiaggiati, o gettati consapevolmente, di ogni forma, genere e dimensione. I rifiuti di piccola dimensione sono considerati più nocivi. I pezzi di plastica e di polistirolo con dimensioni minori di 50 centimetri sono in cima alla classifica degli oggetti più trovati da Legambiente. La frammentazione graduale dei rifiuti plastici abbandonati nell’ambiente genera un inquinamento irreversibile e incalcolabile. Per effetto di onde, correnti, irradiazioni UV e altri fattori, i rifiuti sono destinati a frammentarsi in milioni di microparticelle che si disperdono nell’ecosistema marino e costiero e infine ingerite dalla fauna marina. Mentre sono più di 2000 i rifiuti di media dimensione, legati al settore ittico (in particolare reti e «calze» da mitili), che recano danni ai pesci. Quest’ultimi si imbattono spesso in reti e pezzi di plastica abbandonati nel mare e spesso vi rimangono impigliati. Non riuscendo più a liberarsi, vanno in contro a morte certa o in rarissimi casi a deformazioni conseguenti ad una dolorosa liberazione. Ed infine solo il 6% è costituito da rifiuti vegetali trasportati dalle onde. Durante l’inverno, quando si cammina sulla spiaggia dopo una violenta mareggiata, solitamente ci si imbatte in una discarica. Man mano che il livello di benessere della società è cresciuto, è aumentata notevolmente anche la quantità dei consumi e dei relativi rifiuti: cambiando gli acquisti della famiglia è cambiato pure il loro impatto sull’ambiente. Tali cambiamenti hanno riguardato in particolar modo la quantità, la qualità e la varietà dei beni oggetto di consumo. Tramutando così la società dei consumi in una società degli sprechi, degradando infine nella società dei rifiuti. Per cui credo che per affrontare questa problematica oltre a riciclare in modo corretto i rifiuti urbani, che comunemente produciamo in famiglia e smaltiamo a mezzo della raccolta differenziata, sarebbe necessario iniziare a pensare al riuso di materiali semplici cambiando la loro funzionalità primaria, trasformandoli mediante assemblaggio e modellazione in nuovi elementi d’arredo.
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Riciclare i rifiuti significa anche “valorizzare” i rifiuti, recuperando materie prime, anziché smaltirli direttamente in discarica ed inceneritori. Questa attività, è indispensabile per aiutare il nostro pianeta, in quanto riduce il consumo di materie prime, l’utilizzo di energia e l’emissione di gas serra associati. Ho concentrato l’attenzione su alcuni rifiuti spiaggiati che potrebbero avere nuova vita: i tronchi trasportati dal mare, le reti da pesca e il polistirolo. I tronchi levigati e consumati dall’acqua del mare, dal sale, dallo sfregamento con la sabbia e gli scogli e dai raggi del sole, sono definiti “legni di mare”. Sarebbe uno dei legni più resistenti, poiché per molti giorni è stato a contatto con l’acqua, inoltre ha delle caratteristiche particolari, come la pesantezza e la resistenza agli urti. I legni di mare sono oggetti di design già di per se; alcuni hanno forme così insolite e affascinanti, ammantate da quel bianco candido e pulito, che potrebbero quasi essere definiti oggetti d’arte. Tali legni sono stati utilizzati all’interno della stanza per la base del letto e come elementi decorativi intorno alla parete. Successivamente ho preso in considerazione le cassette di polistirolo dei pescherecci. Queste hanno solitamente una forma quadrata, ed assemblate una sull’altra, si trasformeranno da semplici cassette in un armadio a blocchi aperti. Per acquisire resistenza e stabilità i blocchi verranno incollati uno sull’altro con della colla di montaggio. Successivamente le fessure e le imperfezioni saranno livellate con dello stucco e del gesso. Il tutto verrà rifinito con una passata di cementite. Per completare l’armadio sono state inserite alla base, due ceste di vimini. Il terzo elemento sono le reti da pesca. Cambiando la loro funzionalità, i cestelli da pasca da semplici attrezzi da lavoro, diventeranno dei paralumi e dei complementi d’arredo. Questi tre elementi, che rappresentano la maggior parte dei rifiuti spiaggiati, sono stati presi in considerazione anche grazie alla mia personale formazione scout, nella quale ci veniva ripetuto ogni giorno il motto di Baden-Powell :« Cercate di lasciare questo mondo un po’ migliore di quanto non l’avete trovato». Le diverse iniziative mi hanno portato ad agire materialmente sul territorio, spronandomi in primis alla sensibilizzare altre persone sulla tematica e in secundis al riutilizzo di quanto veniva raccolto.
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R ER E PP O OR T R 60
Località Scialandre Marina di Patù.
Zona portuale di Santa Maria di Leuca.
SS C CH I HZZ II 61
PS S ianta e
ezioni
60 x 60 150
60 x 60 150
60 x 60 150
cala 1:50
H.270 + 34
70 210
100
H-H'
H.270
x + 17
x
H.270
+ 17
90
175
x
225
347
2
80 210
87
202
143
85
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I-I'
F-F'
x
48
60
x
+ 51
G-G'
80 210
50
I-I'
H-H'
60 x 60 150
130
x
+ 0,00
47
70
88
80 210
80 210
79
200
H.270
x
H.270
J-J'
347
E-E'
x
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x 70 210
H.270
44
62
x
x
150
C-C'
x
x
L-L'
Ho poi concentrato l’attenzione sulle cassette di polistirolo dei pescherecci. Queste hanno solitamente una forma quadrata, ed assemblate una sull’altra, andrebbero a formare un armadio a blocchi aperti. Per acquisire resistenza e stabilità i blocchi verranno incollati uno sull’altro con della colla di montaggio. Successivamente le fessure e le imperfezioni saranno livellate con dello stucco e del gesso. Il tutto verrà rifinito con una passata di cementite. Per completare l’armadio sono state inserite alla base, due ceste di vimini.
ELEMENTI D’ARREDO
Il terzo elemento utilizzato nella stanza sono le reti da pesca. Al di sopra della poltrona ideata con delle corde da peschereccio ed un cuscino di poliuretano espanso, sono stati inseriti dei cestelli da pesca decorativi con all’interno le lampade Coppia di pendenti anni ’60 by Italo 900. La loro forma ricorda i galleggianti delle reti da pesca, in quanto hanno un ovale rosso in vetro soffiato intorno alla lampada.
I legni di mare sono oggetti di design già di per se; alcuni hanno forme così insolite e affascinanti, ammantate da quel bianco candido e pulito, che potrebbero quasi essere definiti oggetti d’arte. Tali legni sono stati utilizzati all’interno della stanza per la base del letto e come elementi decorativi intorno alla parete.
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P
roblema idrico
Negli ultimi anni le variazioni climatiche con prolungati periodi di siccità, la presenza di suoli con forte tendenza all’erosione a causa della formazione dei calanchi, la diminuzione delle aree boschive, la diminuzione delle portate medie dei corsi d’acqua, la salinizzazione dei suoli, l’alta frequenza ed estensione degli incendi boschivi, l’eccessivo sfruttamento del terreno agricolo conseguenza di un’agricoltura intensiva e la crisi dell’agricoltura tradizionale con l’abbandono di vaste aree, sono la causa dell’aumento del fabbisogno idrico nel Salento e in altre aree della Puglia. Tutto il territorio salentino è soggetto al fenomeno del carsismo, dove la superficie resta arida e diventa faticoso estrarre la preziosa acqua che corre nel sottosuolo. La permeabilità dei terreni fa sì che la maggior parte delle precipitazioni piovose finisca in profondità; ciò causa una totale assenza di corsi d’acqua in superficie. Le precipitazioni vanno ad alimentare la falda profonda, che nel territorio si attesta ad una profondità variabile da un minimo di 74 ad un massimo di 98 metri. Gli abitanti del Salento hanno dovuto ricorrere a tutto il loro ingegno per creare idonei e produttivi sistemi di approvvigionamento delle acque: sorgenti, pozzi, cisterne e gallerie sotterranee. Il primo ad affrontare il problema idrico fu il Duce, che rimediò in parte con la costruzione dell’Acquedotto Pugliese. Denominato “Grande Sifone Leccese”, è la prima importante realizzazione, che tuttora rappresenta la spina dorsale dell’intero sistema acquedottistico pugliese. Il canale principale è alimentato dalle acque del Sele e del Calore. Termina con la cascata monumentale di Santa Maria Leuca, ultima propaggine del Salento, dove viene utilizzata occasionalmente come scarico terminale della grande opera acquedottistica. L’opera terminale fu inaugurata poco prima dell’inizio della seconda guerra mondiale dallo stesso Benito Mussolini, che volle personalmente la costruzione della cascata monumentale. Successivamente intorno agli anni settanta il consorzio di bonifica fu il secondo ad occuparsi di questo problema, cercando di soddisfare le richieste dei contadini, che avevano un continuo bisogno d’acqua per irrigare i campi. Iniziò così la bonifica delle zone paludose in prossimità del mare e la costruzione dei primi pozzi nell’entroterra, profondi oltre70 metri, nelle zone di Salve ed Ugento. Ma i costi di produzione e di manutenzione si rilevarono talmente elevati, che pochi anni dopo venne abbandonata l’iniziativa per la costruzione di ulteriori pozzi.
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Al giorno d’oggi i comuni stanno alleviando la situazione per quanto concerne la maggiore richiesta idrica urbana, creando delle vasche di accumulo. Difatti molto spesso i villeggianti, nel periodo estivo, si ritrovavano a non avere l’acqua corrente, se le abitazioni non erano attrezzate di una cisterna propria. Bisognerebbe iniziare a sfruttare ulteriori metodi che permettono di accumulare dell’acqua potabile nei piccoli nuclei famigliari in modo autonomo. Una peculiarità della zona salentina è che subisce una forte escursione termica tra giorno e notte ed è una zona soggetta ad un alto tasso di umidità. Per questo si potrebbero sfruttare le particelle di acqua che si formano nell’aria, per avere un accumulo di acqua potabile. Il primo prototipo in grado di produrre fino a 100 litri d’acqua al giorno, sfruttando l’umidità dell’atmosfera, è stato ideato dall’architetto italiano Arturo Vittori, con il nome di Warka Water. L’opera è stata realizzata direttamente sul territorio etiope, in cui la siccità è molto accentuata. Il Warka Water ha un pregio principale, ossia permette una gestione diretta dalle comunità locali. Questa struttura è eco-sostenibile e costruita con materiali ecologici facilmente reperibili come nylon e giunchi. Si basa sul principio della condensazione dell’aria, sfruttando l’escursione termica giorno-notte. Infatti cattura la rugiada, nebbia e minuscole particelle di umidità, trasformandole in acqua potabile. Il Warka Water è composto da diversi pezzi, che assemblati formano una torre di giunchi, alta circa 10 metri che soddisfa una riserva di 100 lt di acqua. L’altezza e la grandezza della torre sono in funzione della necessità, vale a dire che per produzioni inferiori basterà costruire una torre più ridotta.
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R ER E PP O OR T R 70
Zona rurale del comune di Gagliano del Capo.
SS C CH I HZZ II
Zona rurale del comune di Gagliano del Capo. 71
PS S ianta e
D
ezioni
ettaglio dei tre elementi
cala 1:50 H.270
S
+ 34
cala 1:20
26 43 170
+ 17
80 210
42
50
52
H.270
66
x
48
60
x
170
+ 51
L-L'
50
x
52
130
H.270
113
60 x 60 150
x
x J-J'
x
x 70 210
x
x
L-L' 170
90
113
x 82
x
M-M'
M-M' 72
48
60
60 x 60 135
60 x 60 135
60 x 60 135
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Il lampadario adottato è composto da giunchi intrecciati con all’interno una rete di nylon arancione. Ci saranno 3 lampadine per ogni lampadario, disposte ad altezze differenti, per rimandare al concetto della goccia che cola.
Successivamente sono stati ideati 3 elementi all’interno della stanza che sovrapposti andranno a formare la struttura del Warka: - Il primo elemento è un tavolo alto 110 cm. La base del tavolo sono dei giunchi intrecciati a tronco di cono, mentre il top è un laminato scuro. Esso fa riferimento alla struttura portante.
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170
Ciò fa riferimento alle gocce che si intrappolano nella rete del Warka. Quando una goccia cade verso il basso, ingloba all’interno altre gocce ed essa si allarga. 113
Dunque alla base del mio concept vi è la struttura del Warka Water, che verrà trascritta nella sala della prima colazione. Il tavolo è ideato in cotto, per richiamare le vasche in terracotta poste al di sotto del Warka. Il tavolo è concavo all’interno e livellato da una lastra di vetro. A reggere il tavolo ci saranno delle gambe in ferro battuto, ricoperte in un secondo momento con una vernice color rame. Le sedie allo stesso modo avranno la struttura in ferro e lo schienale con rete arancione.
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ELEMENTI D’ARREDO
- Il secondo elemento è un bastone centrale intorno cui si disporranno dei cestelli. Essi sono disposti a scala dal più grande al più piccolo.
- Il terzo elemento è un cesto in giunchi di circa 60 cm con all’interno una rete, che rimanda al concetto di raccolta.
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Nel mio percorso formativo ho appreso che un’ulteriore mezzo per compiere una denuncia sociale è l’arte, che è al tempo stesso provocatoria e contestatrice, mettendo in evidenza molte delle contraddizioni e dei problemi dei giorni nostri; motivo per cui ho scelto tale percorso. Nel mio piccolo ho cercato di argomentare le problematiche, fino ad arrivare a delle soluzioni pratiche, che potrebbero far vedere sotto un’altra ottica oggetti di scarto e nello stesso tempo sensibilizzare l’interesse sociale ed affrontare certe problematiche sotto la vista di tutti, ma nell’interesse di nessuno. Al giorno d’oggi dovremmo farci carico e trasfondere ai posteri la sensibilizzazione verso un territorio colmo di tesori e bellezze che aspettano solo di essere scoperti e valorizzati. Invece il territorio salentino si trascina ignaro verso il futuro portando con se molti aspetti del progresso e del consumismo, che dovrebbero catapultare la realtà salentina alla pari di realtà già affermate, ma che percorrendo la via più breve, impatta in maniera negativa in quelle bellezze territoriali, che richiedono un maggior rispetto ambientale, raggiungibile solo attraverso interventi oculati ed un po’ più onerosi, ma che a lungo termine hanno un ritorno d’immagine, che ripaga tutti gli sforzi iniziali. Ecco perché, l’impegno verso le tematiche trattate, potrebbero oggi sembrare poco remunerative dal punto di vista sociale, ma che nell’ottica della lungimiranza, danno sicuramente i risultati auspicati. Questo progetto ha l’intento di dimostrare che a piccoli passi anche l’arte del design può incidere positivamente sull’ambiente e può smuovere gli animi dei più scettici, in modo tale da cambiare ottica e modo di pensare, poiché: “Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose [….]”.1
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1
Citazione di Albert Einstein nel discorso sulla crisi NEL 1955.
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B
ibliografia
1. GIAN ANTONIO STELLA, L’orda: quando gli albanesi eravamo noi, Milano, Rizzoli, 2002. P.56 2. GIAN ANTONIO STELLA, L’orda: quando gli albanesi eravamo noi, Milano, Rizzoli, 2002. P.90 3. MARIA IRENE MALECORE, Magie di Japigia: etnografia e folklore del Salento, Napoli, A. Guida, 1997. P.44 4. INDRO MONTANELLI – ROBERTO GERVASO, in storia d’Italia, l’Italia dei secoli bui, vol. I, Milano, Rizzoli Editore, 1965. PP. 263-294. 5. LUIGI CARDUCCI, in Storia del Salento, Galatina, Congedo editore, 2007. P. 174. 6. GRAZIO GIANFREDA, l’iconografia di Otranto tra oriente e occidente, Lecce, Edizione del grifo, 1994. Pp. 10-11. 7. INDRO MONTANELLI – ROBERTO GERVASO, in storia d’Italia, l’Italia dei secoli bui, vol. I, Milano, Rizzoli Editore, 1965. PP. 263-294.
R
ingraziamenti
Desidero ricordare tutti coloro che mi hanno aiutato nella stesura con suggerimenti, critiche ed osservazioni: a loro va la mia gratitudine, anche se a me spetta la responsabilità per ogni errore contenuto in questo elaborato. Ringrazio anzitutto il Professor Nicola Cherubini, Relatore di questa tesi: per la supervisione, la disponibilità ed il prezioso aiuto anche a distanza. Senza il suo supporto e la sua giuda sapiente questa tesi non esisterebbe. Un ringraziamento particolare va la mio ragazzo, ai miei amici ed ai famigliari che mi hanno incoraggiato o che hanno speso parte del proprio tempo per leggere e discutere con me le bozze del lavoro. Infine un grazie di cuore va alla mia famiglia: papà Daniele, mamma Gina ed Emma, per avermi sopportato e supportato in questi ultimi tre mesi. Con questo lavoro spero di poter ripagare almeno in parte tutti i sacrifici che avete fatto per permettermi di arrivare fino a qui. Vi voglio bene.
8. MARIA IRENE MALECORE, Magie di Japigia: etnografia e folklore del Salento, Napoli, A. Guida, 1997. P. 47. 9. http://www.celeste-ots.it/celeste_files/sicilia_megalitica/megalitica_13.htm consultato il 07-07-2017 10. MARCO MIOSI, Tholoi d’Italia, Trulli e capanne in pietra a secco con copertura a tholos, Edizioni di pagina, Collana Etnografie, 2012. P. 304 11. http://www.artdreamguide.com/_hist/new-dada.htm consultato il 07/07/2017
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