#3 - 7 TH YEAR MAGAZINE APRIL 2022
rossella e bruna cerea
IL VINO CERCA LA SUA IDENTITÀ, TRA GUERRA E INSTABILITÀ DEI MERCATI
THE EDITORIAL
SO WINE SO FOOD Redazione Via Roccagiovine 245, 00156 Roma Tel. 06 91516050 Via Mosè Bianchi 22, 20149 Milano - info@sowinesofood.it - www.sowinesofood.it
DIRECTOR
Alberto P. Schieppati
· PUBLISHER Stefano Cocco
Basta emergenze, uscire dalla provvisorietà
· PRESIDENT Elva Begaj · DIRECTOR Alberto P. Schieppati ART DIRECTOR Simone Colasante CHIEF EDITOR Miriam De Vita SOCIAL & WEB STRATEGIST Matteo Kot WEB MASTER Simone Portaro PRESS OFFICER Martina Suez SALES MANAGER Andrea Ragusa ARTICLE WRITERS Adriana Blanc Rocco Lettieri Giovanna Romeo Barbara Majnoni d’Intignano Paola Chiasserini Tommaso Motterlini Florinda Pavone Giovanna Moldenhauer TRANSLATORS English: Marcos Ghaly French: Francesca Zeppieri Spanish: Samanta Ghaly Arabic: Ahmed Abdeldaim Russian: Nataliya Shkykava PRINT Aziende Grafiche Printing Srl COVER PHOTO Ryan Loughlin
COMUNICAZIONE
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iamo passati nell’arco di una settimana dall’emergenza Covid all’emergenza bellica, sprofondando dentro a uno scenario fatto di devastazioni, preoccupazioni, angosce e paure per il futuro. Proprio nel momento in cui si stavano liberando entusiasmi e propositi di ripartenza, l’incertezza torna a regnare sovrana. Proprio quando si pensava a prendere le migliori decisioni per il futuro, immaginando una ripresa dell’economia e dei mercati, arrivano gli echi dei bombardamenti. Diciamolo, l’operazione di guerra più grande degli ultimi anni non è un fatto relegato a una “bega” profonda fra Russia ed Ucraina, ma è un fatto che impone a tutti serie riflessioni. A cominciare da questo Vinitaly imminente che, dopo due anni di stop forzato, si pensava dovesse tornare ad essere un momento concreto di protagonismo del vino, italiano ed internazionale. Così sembra non essere o, meglio, di esserlo solo in parte, visto il generale clima di incertezza e
considerato anche che, a meno di un mese dalla svolgimento, erano ancora poche le cantine ad avere organizzato eventi, nè in fiera nè fuorisalone. Ma, fiera a parte, i riflettori puntati sulla guerra sembrano distogliere e allontanare tutto il nostro mondo dalle priorità che faticosamente ci stavamo dando. Poiché è impossibile agire solo sulla base di volontarismo e/o determinismo, il rischio è che subentri -nelle valutazioni sul da farsi- una sorta di atteggiamento fatalistico, ora speranzoso, ora pessimista. Credo però che sia profondamente sbagliato non fare i conti con la realtà e che, viceversa, ci sia bisogno dell’impegno di tutto il settore per superare anche questa drammatica contingenza. Per tornare a sperare, a lottare, a pensare che lo sviluppo dipende da noi (e dalla nostra lucidità di analisi), da quanto siamo e saremo capaci di gettare, una volta di più, il cuore oltre l’ostacolo. Ce la faremo, ne sono certo, grazie all’impegno di tutte le persone per bene. Che, non dimentichiamolo, sono pur sempre la maggioranza.
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Elio Sironi, Ceresio 7, cucina del desiderio Miriam De Vita
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Il vino delle Abbazie, un'eredità millenaria Giovanna Romeo
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Partesa, riferimento per l’Horeca Adriana Blanc
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La passione di Carlo Andrea approda a Milano 37 Rocco Lettieri
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Parliamo di sidro, il re dei fermentati Barbara Majnoni d’Intignano
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Orange wine? Macerando ci si colora Adriana Blanc
La Voce di Biondi-Santi, il suo nuovo rito Giovanna Moldenhauer
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Antica Torre, il gusto fa scuola a Barbaresco APS
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Passione e creatività ma anche regole e disciplina Uomo delle Stelle
ALBERTO'S CHOICE
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SO FOOD 1. Elio Sironi, cucina del desiderio 2. La passione di Carlo Andrea approda a Milano 37
Elio Sironi, cucina del desiderio Lo chef del milanese Ceresio 7 racconta attraverso i suoi piatti un raffinato lavoro di ricerca sulla materia. E i risultati sono favolosi
uando la cucina ha il desiderio, il bisogno e la dignità di essere, allora è un sapore nuovo. Qualsiasi sia l’ingrediente e il tipo di viaggio promesso, quel piatto si manifesta come esperienza efficace. Efficace perché ha la capacità di produrre effetto, efficace perché è capace di portare a compimento una aspettativa. L’esperienza però per essere tale e appagante 8 SWSF
deve accettare la provocazione di una totale immersione sì nei sapori, ma anche nelle altre sfumature date dalla location. La somma di questi addendi sarà l’atmosfera giusta, quella che cerchiamo, quella che per noi diventa il posto da rincorrere perché capace di fermare il tempo delle nostre agende piene di lavoro. Ceresio 7 è esattamente questo. Un posto dove l’eleganza non è mai distanza. Un’atmosfera un po’ retrò che senza
cadere mai nel kitsch, ci porta in uno stile New-York anni ’40. Un tovagliato semplice e minimalista, un servizio attento ma non invadente fanno di questo ristorante meta preferita per chi vuole divertirsi a tavola. Ed è qui che avviene il compimento della promessa di Elio Sironi. Elio Sironi, lo chef che guida Ceresio 7 presente su les Collectionneurs anche nell’ultima edizione, traccia un percorso di gusto con cui pone la sua mano e la sua ricerca in una
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cucina di confine. Non di orizzonti, luoghi o ingredienti, ma di una possibilità in più che si realizza nel mezzo approdando a sfide che vince nei suoi sapori. Il suo piatto è un gioco e mangiarlo è partecipare attivamente al gioco. In altre parole, è pieno divertimento. Ed è divertente lasciare in secondo piano le consistenze (che restano ben definite) per sentire in bocca il coraggio di Elio, il sottofondo della sua cucina, la saggia dose di acidità che
contraddistingue ogni suo piatto. La bellezza di Sironi non è un luogo, ma è un passaggio attraverso. Attraverso i mondi che ha in tasca, attraverso i giri di location a cui ha lasciato la sua firma, attraverso la concretezza e la sfida che propone nei piatti. Perché se la bottarga spesso la si intravede, Sironi nella sua tartare di ricciola la taglia a fette, creando senza dubbio un formidabile umami. Così come l’intero menù, dove
il polpo è alla diavola e il maialino una piuma. L’elemento mediterraneo resta il filo conduttore della proposta di Elio Sironi, ma questo non gli impedisce di inventare la sua sorpresa. Ed è questo il suo tocco, la sua autenticità. In una Milano che sfida il cielo, Ceresio 7 è la sua isola che non c’è. Miriam De Vita #3 - 2022 APRIL 9
La passione di Carlo Andrea approda a Milano 37 Figlio d’arte, il giovane chef si misura con una cucina molto diversificata: dalle carni alle erbe, alla continua ricerca del meglio esistente sul mercato
photo credits ferdinando cioffi
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pochi minuti dal casello di Agrate, Milano 37 può essere la risposta giusta a chi cerca qualità e piacevolezza. Con un verdissimo dehor fra ulivi e gelsomini, è un locale dove si può trascorrere un piacevole e rilassante momento isolati dal trambusto e cullati dai raggi di sole nella bella stagione. Un grande vecchio ulivo e le sue fronde fanno 10 SWSF
da cornice agli aperitivi, pranzi e cene per un’esperienza molto speciale. La proprietà è di Luigi Pantaleo già patron di Granfuoco, teak house molto apprezzata. Negli anni 2000 nasce l’idea spostarsi nella vicina Gorgonzola al numero 37, dacché il nome “Milano37”, ristorante che oggi vanta una cucina creativa, con cantina a vista come pure l’incanto del braciere di cui se ne fa grand’uso per le carni. Dal 2009 in questo
locale troviamo ai fornelli il giovane Carlo Andrea Pantaleo, figlio di Luigi, che per anni è stato aiuto appunto del padre, ma che ora può vantare un curriculum di valide esperienze presso chef famosi italiani. Un sogno che ha coltivato fin da subito da quando appena terminati gli studi presso l’istituto alberghiero “Olivetti” di Monza, entra nella prestigiosa cucina dell’hotel 5 stelle lusso Villa del Quar di San Pietro
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in Cariano (VR), al fianco di cuochi come Filippo Gozzoli e Gennaro Vitto. Terminata questa esperienza si trasferisce a Milano nel ristorante Galleria Meravigli dove non si tratterrà a lungo per cogliere al volo l’opportunità di iniziare una nuova avventura in uno dei ristoranti più noti di Pavia, l’Osteria del Collegio. Nel 2015 bussa alla sua porta il sogno di una vita: l’opportunità di diventare lo Chef del
proprio ristorante. Un’avventura che va avanti da più di dieci anni da sommare alle precedenti grazie alla quali è diventato il professionista e la persona che è oggi. Nella sala dalle ampie vetrate, con papà Luigi e i suoi collaboratori avrete un servizio impeccabile con l’emozione di una cucina creativa, basata sulla tecnica della cottura alla brace in tutte le sue sfaccettature: diretta, indiretta e affumicatura, con piatti
che sono un convincente mix di sapori e profumi. Lo staff di sala diretto da Enrico Rizzo (anche sommelier) vi accompagnerà in tutta sicurezza, in un viaggio senza tempo tra i sapori e i profumi della nostra Lombardia e perché no, anche con uscite estere. Lo chef Carlo Andrea Pantaleo in suo scritto dichiara: “Cucinare è il mio modo di comunicare, il mio strumento di creatività e tutto il mio essere di spontaneità, il poter #3 - 2022 APRIL 11
mescolare sapori incredibili con odori semplici ma a volte sorprendenti. Cerco ogni giorno di valorizzare l’equilibrio dei contrasti sia in cucina che nella vita. Per il mio modo di pensare non esiste una buona cucina o una cucina cattiva; esiste solo quella che più ti piace e pertanto la mia è continuamente una grande sfida. Nei miei piatti utilizzo solo tre ingredienti. Non li scelgo pregiati, la cosa più importante è che siano stagionali per avere da loro il massimo e che si sentano tutti… dal primo al terzo in un’armonia circolare incantevole ed equilibrata”. Della nostra visita di metà novembre, in cinque, abbiamo ricordi imperdibili: piovra cotta alla brace con patata e salsa all’aglio nero; carbonara ai ricci di mare; astice alla brace con erbette, maionese di nocciole e la sua salsa; risotto al topinambur e animella; costoletta di agnello Nuova Zelanda con pastinaca; diaframma di Black Angus scozzese con cipolla di Breme; cioccolato bianco, rosmarino e mango; rivisitazione della classica torta al limone. I Formaggi sono di Marco Vaghi, specialità alimentari di San Genesio e Uniti (PV). Tra le altre specialità in carta troviamo: selezione di salumi misti con gnocco fritto; la melanzana cotta al carbone, cipolline borretane in agro e pane croccante; bottone ripieno di piovra, salsa americana e cremoso di patata al limone; il tomahawk irlandese cotto al fuoco servito con ortaggi di stagione alla brace. Chiusura in dolcezza: la nostra versione di tiramisù; frutti di bosco con gelato; spuma di capra con rabarbaro e lampone ghiacciato; card al limone con meringa servito tiepido. La carta prevede altri piatti con prevalenza di carni, sia cruda, che alla brace. Rocco Lettieri
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SO WINE 1. Il vino delle Abbazie, un'eredità millenaria
3. Partesa, riferimento per l’Horeca 4. Orange wine? Macerando ci si colora 5. La Voce di Biondi Santi, il suo nuovo rito
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2. Parliamo di sidro, il re dei fermentati
So Wine So Food The Magazine of italian taste
Il vino delle Abbazie, un'eredità millenaria Un tour attraverso le principali realtà vitivinicole europee ubicate in antiche sedi monastiche. Varietà e tipologie rappresentano vertici enologici indiscussi
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parse in tutta Europa a rappresentare gli ordini più importanti del Cristianesimo, comunicanti tra loro in lingua latina, le Abbazie sono dall’anno
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mille luoghi di produzione del vino, custodi di antiche varietà, centri d’innovazione agricola, di meditazione e di preghiera. Ora et labora, la regola benedettina è espressione di un rapporto di equilibrio tra
l’attività spirituale e letteraria amanuense, in un paziente lavoro culturale di tutela di opere d’arte e sacre e quella agronomica con il dissodamento della terra, la bonifica, l’innesto e le pratiche di concimazione.
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In Alto Adige l’Abbazia di Novacella è la miglior testimonianza italiana di una grande viticoltura che ben si sposa con la ricchezza della cultura cristiana. Fondata nel 1142 dal beato Hartmann, è oggi viva e operosa; i Canonici Agostiniani -22 confratelli e 25 parrocchie- seguono il lavoro in campagna tra masi e aziende agricole, annoverandosi tra le cantine operative più antiche d’Europa. Il mondo monastico della regola di Sant’Agostino mescola, in un viaggio a ritroso nel tempo, l’arte Romanica, Gotica, Barocca e l’arte della viticoltura che da lungo tempo ha contrassegnato il lavoro dei monaci. Sei ettari di vigneto intorno all’edificio di Novacella, ventidue nella Tenuta di Cornaiano di Maso Maklhof,
tre linee di prodotto - Classica, Insolitus e Praepositus - come Praepositus Pinot Nero Riserva, espressioni di un terroir e sintesi di una natura che è spazio d’incontro tra anima, lavoro e sperimentazione. In Alsazia, a Colmar, l’Hospices de Colmar -Ospizio dello Spirito Santo- fondato nel 1255, era un vero ospedale dove i religiosi si prendevano cura di ammalati, pellegrini e bisognosi offrendo loro cibo e riparo. Spesso le spese ospedaliere erano pagate in natura cedendo soprattutto terreni agricoli, talvolta donazioni e lasciti da parte di generosi benefattori. La gestione di Hospices de Colmar, ancora di proprietà dell’Hospice Civils Louis Pasteur, è affidata al Domaine Viticole de la Ville de Colmar con i suoi #3 - 2022 APRIL 17
10,5 ettari del prestigioso vigneto di Clos Saint-Jacques. La vigna degli Ospizi, situata su un suolo molto drenante che si riscalda velocemente, nell’unicità del microclima alsaziano, offre grandi espressioni come Vin d’Alsace L’Ospice de Colmar Riesling o Gewürtraminer. Vini potenti e generosi, con grande capacità di invecchiamento. A Limberg, in Austria, nella zona più fredda della denominazione di origine Weinviertel, si trova l’Abbazia di Altenburg. Fondata dai monaci benedettini nel 1144, oltre ad essere luogo di contatto con la parola di Dio è rigogliosa natura, circondata da boschi e vigneti che crescono su suoli di depositi marini. Centro spirituale dell’Ordine di Benedetto da Norcia produce Grüner Veltliner Weinviertel DAC Cru (Ried) Hohenstein-Limberg e Blauer Zweigelt Cru (Ried) Zweygartl- Limberg. In Germania, tra le Abbazie più attive lungo le sponde del Reno, tra le città di Francoforte e Coblenza, c’è il monastero cistercense di Eberbach. Nel 1135 ricevette in donazione 4 ettari di quello che sarà il Grand Cru Steinberg; alla fine del 1400 ci fu la conversione dei locali monastici in cantine elevandolo, con i suoi 300 ettari di superficie coltivata, a più grande azienda vinicola dell’Europa Medievale. Novecento anni di storia, un patrimonio culturale unico, con la viticoltura tra le principali occupazioni dei monaci francesi stabilitisi a Coblenza. Ciò che inizialmente era destinato all'uso personale si tramutò presto in un bene ambito che assicurò il futuro e la prosperità del monastero. Cantina tra le più tecnologiche, conosciuta per essere stata il luogo dell’adattamento cinematografico del capolavoro di Umberto Eco "Il nome della rosa", vanta il luogo più prezioso per la produzione di Riesling. A 900 metri, in direzione Hattenheim, si trova Steinberg, l’eccellenza di Kloster Eberbach nel vigneto più antico in Germania. Tra le migliori espressioni anche il Riesling Baikenkopf GG 18 SWSF
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(Grosses Gewächs) secco. Nel 1141 i cistercensi di Haut-Cret si trasferirono in Svizzera, fondando Domaine Clos des Abbayes. Tra le loro attività principali vi era la coltivazione della vite su pendii scoscesi intorno al lago di Losanna, a cui si dedicarono dissodando terreni, realizzando terrazzamenti e muretti a secco tutt’oggi in uso. Clos des Abbayes, allora chiamato Dézaley de Montheron o d'En Bas, fu lasciato in eredità alla città in cambio della sua sottomissione e della perdita del titolo di città imperiale. Clos des Abbayes, negli spettacolari pendii e nel particolare terroir morenico argilloso ghiaioso, è il luogo ideale per lo Chasselas, l’autoctono che rappresenta oltre l'80% della produzione. L’etichetta Clos des Abbayes Grand Cru è l’orgoglio di un grande vino nei profumi eleganti di fiori e pietra focaia. Situato nel cuore della Borgogna, lungo la Route des Grands Crus, il celeberrimo Château du Clos de Vougeot, che quotidianamente accoglie gli amanti della storia, dell’architettura e del vino, è un salto alle origini della viticoltura transalpina e borgognona. E se oggi le sue mura non sono più luogo di produzione enologica, rimane il simbolo di mille anni di storia vitivinicola, sin da quando nel XII secolo i monaci dell'Abbazia di Cîteaux individuarono i climat, terroir complessi da un punto di vista geo pedologico, che delimitarono e recintarono per quello che sarà il vigneto più famoso del mondo. Giovanna Romeo
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Parliamo di sidro, il re dei fermentati In Italia forse non è troppo considerato. Ma una startup ne cura la distribuzione in tutto il paese
È
startup nel 2016, Italianorchards srls, per importare e distribuire il sidro in tutta Italia, fondando il marchio Sidro & Cider, non un semplice e-commerce per la vendita, ma un nome sotto cui fare cultura sul web con il sito www.sidroandcider.it e sul territorio con fiere ed eventi.
Noi di So Wine So Food abbiamo deciso di parlarne perché merita davvero, a partire dalle mele maggiormente utilizzate e da ciò che regalano: le mele da cucina danno l’acidità, le mele da dessert conferiscono profumo e dolcezza, le mele da sidro servono per portare il caratteristico aroma e l’amaro dei loro tannini. Miscelando le diverse varietà si ottengono sapori e profumi diversi. Così abbiamo intrapreso un viaggio virtuale in Europa, riferendoci a quei luoghi di eccellenza della coltivazione dei meli e alla produzione che ne deriva. Nella scelta ci siamo fatti aiutare da Cesare Marescotti, un giovane imprenditore che insieme a Cesare Giovanetti e ai rispettivi padri, ha creato una
L’Authentique – Ci troviamo in Francia al confine tra la Normandia e la Bretagna, nella cantina Val de Rance. Tutto ebbe inizio nel 1953, quando 12 coltivatori di mele decisero di condividere i mezzi di produzione e distribuzione. Così lanciarono la cooperativa “Les Celliers Associés” a Pleudihensur-Rance nella Côtes-d’Armor. Oggi i produttori sono diventati 400. Realizzano una linea, con tanti gusti, perché il sidro si può anche aromatizzare. C’è dolce, brut, alle pere, ma anche al limone e zenzero, ai frutti di bosco, al lampone. L’Authentique Doux è una delizia al naso grazie alle forti note di mele da sidro agrodolci e acidulate delle varietà Bedan e Judor, seguite da aromi di caramello e delicati toni di miele che si uniscono al palato. È molto leggero. Si accompagna molto bene con crostate, cibo
godibilissimo, fresco e intrigante. Ha la stessa gradazione alcolica della birra, ma è gluten free, e rispetto al vino ha una minore presenza di solfiti e zuccheri. Eppure in Italia non è mai stato considerato più di tanto. Stiamo parlando del sidro, un fermentato, esattamente come il nettare di Bacco. Al posto dell’uva qui la protagonista è la mela, molto più raramente anche la pera. La sua origine in Francia e Normandia risale al Medioevo, anche se le prime notizie arrivano dall’Egitto, prima dell’anno zero.
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tailandese, carne alla griglia. Bottiglia da 33 cl, ABV 2%, 3,60 euro. Maley - Scendiamo in Valle d’Aosta nel Maley, uno degli antichi nomi del Monte Bianco. Qui il famoso enologo Gianluca Telloli, rendendosi conto che il clima non era adeguato per le vigne, torna a riproporre questa bevanda tradizionale che per secoli è stata presente sulle tavole in tanti villaggi. Diventa uno dei massimi esperti mondiali di sidro di mele ottenendo due ori nel 2019, uno al Cider World e l’altro alla Sigsa, riconfermando nuovamente l’oro al Cider World 2021. Tra le varie etichette, propone Maley du Saint Bernard, un sidro di mele dolce, frutto dell’assemblaggio delle mele valdostane Ravantze, Reinetta e delle mele Chamoniarde Maude e Croison de Boussy della Valle di Chamonix. A fare legante troviamo la mela Petit Jaune, prodotta non lontana dall’antica abbazia di Claiveaux. Ha un colore dorato, regala sensazioni di mela matura, in bocca si caratterizza bella acidità e un suadente sentore di pera. Ottimo con piatti a base di zucca e castagne, ma anche a fine pasto
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con dolci a base di frutta. Bottiglia da 75 cl, ABV 3%, 13 euro. Hoila – Ci spostiamo in Alto Adige con Hoila, che oltre a essere il nome del saluto in dialetto locale, è anche quello del sidro che producono dal 2014 i due fratelli Philipp e Stefan Zingerle con il loro amico Maximilian Alber. Dopo anni di duro lavoro, innumerevoli prove e test, hanno creato i loro impianti a Cortina, da dove ogni anno escono 200/300 mila bottiglie, ognuna della quali si compone di 3 mele. La ricetta è il risultato del lavoro di ricerca svolto da esperti della Heriot Watt University di Edimburgo, in Scozia. In sostanza Hoila è la combinazione delle migliori tradizioni britanniche di produzione con l’autenticità e l’artigianato delle alpi, in una assoluta devozione verso la qualità. Premiato con il Pomme d’Or per il “Migliore prodotto 2015” nella categoria sidro di mele fermo e frizzante e prosecco di mele, è di colore giallo chiaro e ha un aroma intenso. Il sapore inizia moderatamente dolce con una bassa acidità. Sul medio palato le mele rosse, una leggera nota di succo di mela, miele con un tocco di amaro. Inoltre, una nota vinosa e un retrogusto persistente di caramello con una leggera astringenza. Bottiglia da 28 cl, ABV 5,5%, 3,20 euro. Aspall – Voliamo a Londra, perché nella contea di Suffolk, situata più a nord, c’è l’Aspall Cyder, una delle più antiche sidrerie, fondata da Clement Chevallier, che continua a produrre sidro di mele dal
1728. Qui fanno un solo raccolto all’anno, ormai sono al 293esimo. È una cantina che ha quasi 300 anni di storia ed esperienza. Il sidro si chiama Imperial in onore dell’indimenticato nonno JB Chevallier che vinse il premio all’Imperial Fruit Show nel 1921. Loro usano mele da tavola, che è un’anomalia in Inghilterra. Però hanno cominciato da lì per farlo, da quello che era considerato un po’ l’orto di Londra. È un sidro molto forte perché usano una miscela con l’aggiunta di zucchero muscovado, un tipo di zucchero di canna dal colore scuro, non raffinato, a cui viene aggiunta una percentuale di melassa. Ha un sapore particolarissimo, più simile al vino. Si sposa bene con la selvaggina, l’agnello in casseruola, il fagiano e i formaggi forti. Bottiglia da 50 cl, ABV 8,2%, 4,95 euro. Tempted – Facciamo un salto in Irlanda del nord, appena fuori Lisburn, in una sidreria abbastanza giovane, fondata da Davy Uprichard, un commercialista, nel 2009. Davy ha prodotto il suo primo sidro di mele nel 2010, ma già due anni più tardi ha vinto il Gold Award nella categoria sidri nazionali irlandesi. Da allora ha vinto almeno un premio nazionale ogni anno. Principalmente vengono utilizzate mele della contea di Armagh: le Bramleys, classificate IGP dall’UE per il loro gusto pulito, unico e tagliente, e le Uprichards, una speciale qualità di mele da sidro della contea Tipperary. Tra le varie etichette, Elderflower è un sidro medio secco, molto leggero e fruttato con toni distintivi di fiori di sambuco, dal color oro rosato. Bottiglia da 50 cl, ABV 4%, 4,80 euro.
Trabanco – Andando nelle Asturie c’è la Trabanco, una grossa cantina a conduzione familiare, tra le più antiche di Spagna. Loro hanno una caratteristica particolare perché usano solo ed esclusivamente mele da sidro. Fanno sidri acidi con dei sentori acetici, perfetti per palati già abituati alla degustazione. Consigliano di versare la bevanda dall’alto, cioè posizionano la bottiglia sopra alla testa per farla scendere nel bicchiere tenuto all’altezza del ginocchio. Metodo che serve per fare volatilizzare le parti acetiche, esattamente come si usa in Inghilterra per alcuni cocktail. Le bottiglie sono abbastanza uniche, tipo champagne. Poma Aurea, un brut naturale in cui vengono utilizzate solo Regona e Raxa, due varietà di mele asturiane che fermentano in botti di castagno, ne è un esempio. Fin dal primo sorso si notano aromi di fiori di frutteto e camomilla che si concludono in fichi e uva passa. In bocca il gusto scorre uniformemente lasciando un ricordo molto armonico e abbastanza secco con note di legno. Ideale per menu a base di riso, frutti di mare o pesce. Bottiglia da 75 cl, ABV 6%, 12,60 euro. Barbara Majnoni d’Intignano #3 - 2022 APRIL 21
Partesa, riferimento per l’Horeca Intervista ad Alessandro Rossi. L'azienda, che fa parte del Gruppo Heineken Italia, è leader nella distribuzione delle bevande e punta da anni anche sul mercato del vino
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artesa, azienda leader del canale Horeca per la distribuzione di bevande in Italia, è una società appartenente al Gruppo Heineken Italia che opera con
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un approccio territoriale, cucito su misura del cliente. Ce ne ha parlato Alessandro Rossi, National Category Manager Wine di Partesa, che abbiamo intervistato in esclusiva. “Vogliamo essere l’azienda di
riferimento in Italia per i punti di consumo del settore Horeca, con un catalogo vino soprattutto italiano; svilupperemo sicuramente il nostro import, ma sempre in misura proporzionata. Il nostro focus è
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valorizzare la filiera italiana, dal produttore al consumatore finale, supportando così le aziende e il sistema economico nazionale nel suo complesso”. Così esordisce Alessandro Rossi. Come è approdato nel settore vinicolo? Ho sempre lavorato nel mondo del vino. Inizialmente avevo delle enoteche di proprietà, poi nel 2001 sono entrato in Partesa come “specialista vino” della provincia di Forlì. Chi è lo “specialista del vino” e come si è evoluta questa figura? In origine lo specialista vino affiancava semplicemente la forza vendita, soprattutto quella che era maggiormente esperta sulla birra, durante la visita ai clienti. Oggi il ruolo si è evoluto, diventando un vero e proprio consulente specializzato che affianca il gestore del locale, insieme al venditore, nella definizione della propria carta vini. La formazione riveste un ruolo importante per la crescita delle nostre persone e dei nostri clienti; tutti i nostri venditori e specialisti di prodotto, infatti, partecipano a formazione interna dedicata al fine di accrescere le competenze e conoscenze utili al loro importante lavoro, inoltre, lo specialista di prodotto ha la possibilità di dialogare e confrontarsi direttamente con i principali professionisti del settore per poter ulteriormente accrescere la propria cultura. Come è cresciuta Partesa? Partesa ha iniziato ad occuparsi di vino nel 1998, e da allora è cresciuta tanto. Oggi contiamo circa 120 produttori partner, le cui etichette fanno parte del nostro portfolio di oltre 8 mila referenze, distribuite presso 42 mila clienti attraverso gli oltre 400 mezzi di nostra proprietà. Negli ultimi due anni abbiamo evoluto il progetto vino di Partesa, partendo proprio dalla comunicazione. L’anno scorso, in particolare, è nato “Partesa for Wine”, che apre una finestra sul mondo dei vini e dei produttori nostri partner, costantemente aggiornato nei contenuti e nelle funzionalità. Puntiamo sempre più in alto l’asticella. Intravede nuovi trend nel 24 SWSF
settore? Vedo nuovi trend del gusto: oggi c’è una grande attenzione per la denominazione e la purezza del vitigno all’interno del bicchiere. I millennials poi sono in grado di saper scegliere in base al proprio gusto, il che comporta che le piccole aziende, grazie alla velocità della comunicazione, possono diventare note in poco tempo, mentre le aziende storiche devono ridisegnare le loro strategie di comunicazione. Con internet e
i social la geografia è superata, le distanze non esistono più.Cosa vi differenzia dagli altri distributori? Il mondo di Partesa in realtà è molto a misura d’uomo sebbene dietro ci sia un grande gruppo. È snella nell’operatività e protettiva nei confronti delle aziende partner, che cerchiamo sempre di valorizzare. Proponiamo un servizio sartoriale: prima, nella selezione dell’azienda, poi nella collocazione del prodotto presso
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il cliente più adatto. Crediamo molto nelle relazioni: tutte le aziende che abbiamo in portfolio hanno con noi una partnership nazionale o quantomeno in diverse regioni. La nostra logistica poi, efficiente e veloce, vanta una capillarità estremamente elevata sul territorio che ci permette di raggiungere il singolo cliente in qualunque momento e in qualunque luogo, anche per ordinativi minimi. Senza dimenticare la
digitalizzazione: con l’app Partesa per Te aiutiamo i gestori dei locali a velocizzare numerose attività di routine, lasciando più tempo da dedicare alla consulenza e al core business. Progetti futuri? Sicuramente rafforzeremo il nostro lavoro in alcune province e regioni dove il progetto vino non esprime ancora tutte le proprie potenzialità, e lo faremo anche con grandi eventi, che avranno un
ruolo differente rispetto al passato, dove verrà superato il puro aspetto commerciale, ma vedranno il vino, con tutti i suoi aspetti, al centro del confronto. Stiamo inoltre creando una web tv, con l’obiettivo di poter degustare assieme a professionisti e grandi ristoratori i vini in portfolio, avvicinandoci così sempre di più ai consumatori. Adriana Blanc #3 - 2022 APRIL 25
Orange wine? Macerando ci si colora Sulla via della buccia, 10 Orange wine da provare. Per capire se questo segmento è davvero destinato a crescere
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l color arancione da qualche anno ha iniziato a far parlare molto di sé. Di tradizione millenaria in culture come quella georgiana, gli orange wine sono sempre più diffusi anche nel panorama nostrano (e non solo in Friuli-Venezia Giulia, dove inizialmente sono stati adottati). Apprezzati per la loro versatilità gastronomica e per la rievocazione di tradizioni antiche, il loro nome richiama il color arancio, dalle sfumature più o meno accentuate. Una tonalità particolare che si deve al processo di vinificazione, dove le uve a bacca bianca sono sostanzialmente vinificate in rosso. Il mosto infatti viene lasciato a contatto con le bucce per tempi molto lunghi, si può parlare di giorni o
Non solo bollicine A causa di una svista tipografica, nello scorso numero di Marzo il commento introduttivo ai “Dieci vini per affrontare il cambio stagione” si riferisce ad un articolo precedente, interamente dedicato a vini sparkling. In realtà, pur parlando anche di bollicine, l’articolo in oggetto è dedicato anche ad altre tipologie produttive, peraltro ben espresse dalle etichette descritte.
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perfino di mesi, così da andare a estrarre una maggior quantità di polifenoli e quindi ottenere più colore, struttura e ampliare il proprio corredo aromatico. Sebbene il termine sia entrato ormai a pieno a titolo a far parte del lessico comune, sarebbe in realtà più corretto parlare di vini macerati e non di orange wine. Ciò che più interessa infatti è questa particolare tecnica produttiva, la lunga macerazione, che a seconda di tempi e tipologia del vitigno può dar luogo a vini che arancioni non sono. Un altro mito da sfatare è quello che questi vini siano per forza green e vinificati in anfora. Sebbene molti tra i più noti produttori adottino un regime biologico, biodinamico o naturale, anche un vino “convenzionale” può essere
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vinificato con questo procedimento. Allo stesso modo sono molti i produttori che non utilizzano le anfore per dare vita ai loro vini macerati. Queste tradizionalmente appartengono all’antica tradizione georgiana, che si serve dei qvevri per far riposare il mosto a contatto con le bucce. Adottati e importati in Italia da Josko Gravner, mitologico produttore di Oslavia che per primo si è rifatto a questa antica tecnica nel panorama nostrano, sono entrati così a far parte dell’immaginario collettivo. Tuttavia, sebbene l’anfora sia oggi utilizzata da molti perché permette al vino di micro-ossidarsi lentamente, la macerazione può avvenire in tini di qualsiasi genere. Ma bando alle ciance: ecco la nostra selezione.
1. Pithos Bianco Anfora 2020
Cos
Zona: Sicilia; Uvaggio: 100% Grecanico; Colore: Giallo dorato con riflessi ramati; Gradazione Alcolica: 11,5%; Al naso: Albicocca, macchia mediterranea, note iodate, frutta secca; Al palato: Asciutto, piacevolmente sapido e fresco; Un piatto in abbinamento: Pane e Panelle.
SO WINE
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2. Colli Piacentini Malvasia DOC "Una" 2015
Torre Fornello
Zona: Colli Piacentini, Emilia-Romagna; Uvaggio: 100% Malvasia di Candia Aromatica; Colore: Giallo dorato; Gradazione Alcolica: 12%; Al naso: Albicocca, menta, incenso; Al palato: Un bel contrasto con il naso dolce che si risolve in un vino secco, avvolgente, di bella freschezza; Un piatto in abbinamento: Pisarei e faśö.
3. “Fontanasanta” Nosiola 2020
Foradori
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Zona: Trentino, Trentino-Alto Adige; Uvaggio: 100% Nosiola; Colore: Giallo dorato; Gradazione Alcolica: 12%; Al naso: Agrumi e frutta esotica, erbe aromatiche e note iodate; Al palato: Sapidità, freschezza, un vino di grande eleganza; Un piatto in abbinamento: Tortel di patate.
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4. Brda 2018
Kristian Keber
Zona: Brda, Slovenia; Uvaggio: 50% Ribolla Gialla, 40% Friulano, 10% Malvasia Istriana; Colore: Giallo dorato con riflessi ambrati; Gradazione Alcolica: 12,5%; Al naso: Macchia mediterranea, erbe aromatiche, fiori freschi; Al palato: Bella freschezza e sapidità; Un piatto in abbinamento: Cevapcici. #3 - 2022 APRIL 27
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5. Vitovska 'Kamen' 2019
Zidarich
Zona: Carso, Friuli-Venezia Giulia; Uvaggio: 100% Vitovska; Colore: Giallo dorato con riflessi ambrati; Gradazione Alcolica: 13%; Al naso: Pesca bianca, zenzero, ginestra, note minerali, caramello; Al palato: Sapido e di grande freschezza; Un piatto in abbinamento: Toc’ in braide.
6. Ograde 2019
Skerk
Zona: Carso, Friuli-Venezia Giulia; Uvaggio: 25% Vitovska, 25% Malvasia, 25% Sauvignon, 25% Pinot Grigio; Colore: Giallo ambrato con riflessi aranciati; Gradazione Alcolica: 13,5%; Al naso: Frutta tropicale, rosmarino, miele di castagno; Al palato: Un bel bilanciamento tra morbidezze e grande freschezza; Un piatto in abbinamento: Scampi alla busara.
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7. 'Lunar' 8, 2016
Movia
Zona: Brda, Slovenia; Uvaggio: 100% Ribolla Gialla; Colore: Giallo dorato con riflessi ramati; Gradazione Alcolica: 13,6%; Al naso: Mela cotogna, scorza d’arancia candita, pepe bianco, fieno; Al palato: Morbido e strutturato, con tannini ben presenti e mineralità e freschezza a bilanciare; Un piatto in abbinamento: Jota.
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SO WINE
8. "Saladero” 2018-2019 Walter De Battè
Prima Terra
Zona: Cinque Terre, Liguria; Uvaggio: 60% Vermentino, 25% Bosco, 15% Albarola; Colore: Giallo dorato con riflessi ambrati; Gradazione Alcolica: 14%; Al naso: Pesca, macchia mediterranea, note iodate, agrumi; Al palato: Grande sapidità, persistenza e avvolgenza; Un piatto in abbinamento: Torta pasqualina.
9. Ribolla Gialla Anfora 2013
Gravner
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Zona: Oslavia (Collio), Friuli-Venezia Giulia; Uvaggio: 100% Ribolla Gialla; Colore: Giallo aranciato; Gradazione Alcolica: 14%; Al naso: Albicocca, cera d’api, agrumi canditi, erbe aromatiche, tè nero; Al palato: Un vino profondo e di persistenza infinita, in equilibrio perfetto tra sapidità, acidità e morbidezza; Un piatto in abbinamento: Boreto alla graisana.
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10. Nekaj 2017
Damijan Podversic
Zona: Collio, Friuli-Venezia Giulia Uvaggio 100% Friulano; Colore: Giallo dorato con riflessi aranciati; Gradazione Alcolica: 14,5%; Al naso: Scorza d’arancia, mela cotogna, erbe aromatiche; Al palato: Ricco, intenso, con una bella sapidità; Un piatto in abbinamento: Stoccafisso alla cappuccina. Adriana Blanc #3 - 2022 APRIL 29
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SO WINE
La Voce di Biondi-Santi, il suo nuovo rito La celebre cantina racconta il proprio stile: in un'intervista esclusiva parlano l'enologo Federico Radi e il CEO Giampiero Bertolini
I
l loro assaggio, durante la serata, ci ha permesso di percepire, anche se in nuce, l’Equilibrio ovvero lo stato di armonia tra uomo, natura e tempo che già si intravvede nel bevante degli ampi calici in cui sono stati serviti, esprimendo al tempo stesso un’armonia indissolubile con questa realtà, mito assoluto creato nel 1888 per mano di Ferruccio Biondi Santi. A conclusione d’articolo le brevi presentazioni tecniche e non di entrambi i vini. Abbiamo anche potuto conversare, dapprima con Federico Radi che ci ha confidato: “È motivo di grande orgoglio l’essere stato scelto, dopo una selezione, nel 2017 per ricoprire il ruolo di Direttore Tecnico di una delle tradizioni vitivinicole fra le più conosciute a livello mondiale, non solo toscana, come lo sono io, ma questo ruolo, come può bene intuire, comporta un bagaglio di responsabilità non indifferenti”. Dopo avere constatato che sono trascorsi cinque anni dal suo insediamento “Sono arrivato – sottolinea Federico – con un’esperienza pregressa di #3 - 2022 APRIL 31
quindici anni – che considero tuttora come un punto di partenza e non di arrivo – e tuttora, dopo altri cinque, continuo a pormi in discussione. Il mio lavoro è supportato da un team in modo da condividere non solo le responsabilità, ma essere al tempo stesso arricchente e stimolante”. Commentando poi continua: “Il nostro è un lavoro che crea e da grandi emozioni. È questo vino stesso a darcele, a creare passione in noi che lo facciamo. Noi dobbiamo rispettare tutto quello che rappresenta il grande vissuto di Biondi-Santi, il fatto che la storia di questo magico territorio sia stata originata dai personaggi di questa famiglia”. Rispetto al 2017 abbiamo chiesto di raccontare i momenti più significativi negli anni. “Ogni passaggio – prosegue Radi – si riallaccia a tutto quello che è stato fatto e che ci è stato tramandato dalla famiglia, per cui dal mio insediamento e da quello di Giampiero Bertolini, siamo partiti, supportati dalla tecnologia, a cercare di capire tra l’altro la straordinaria eterogeneità dei suoli delle cinque diverse zone di cui 32 SWSF
disponiamo. Ci troviamo nel lato Nord-Est della collina di Montalcino, a partire dalle differenti altitudini che vanno dai 180 metri di Pievecchia, sino ai 500 della Tenuta il Greppo. Non è un caso che lo stile Biondi–Santi sia così ben definito. Ritengo che dipenda dal fatto che siamo nelle zone più fresche, che prendono prima il sole al mattino, che le freschezze e i tannini che si ritrovano nel calice derivano in buon parte proprio dall’esposizione. Non dobbiamo dimenticare poi la questione del suolo che ha un ruolo indubbiamente importante dato che l’80/85% di ogni vite è sotto terra. Tramite gli studi che abbiamo fatto in questi primi anni stiamo capendo gli ingredienti del contesto, riuscendo così a capire quello che è stato fatto nel passato per portarlo nel futuro, con caratteristiche il più simili possibili. Questo perché non c’è una volontà di cambiare lo stile di questo vino, peraltro ben
definito, uno stile che fa della freschezza, dei tannini, della persistenza e della grande longevità i suoi caratteri fondamentali. Le nuove annate sono state ereditate dalla precedente gestione, dove per la Riserva 2015 le decisioni sono state prese con la famiglia, mentre per il Brunello 2016 abbiamo lavorato autonomamente. Con questa Riserva abbiamo capito, al nostro arrivo, quale è stata la straordinaria evoluzione in legno negli anni, portata avanti in modo che nel calice potesse essere trasmesso il territorio, l’annata e lo stile di questi vini. In cantina la vinificazione è tradizionale, dove il mio ruolo è quello di accompagnare le uve ottenute dalle dodici parcelle che abbiamo individuato, durante i nostri approfondimenti pedologici, in base soprattutto alla tipologia del suolo”. Abbiamo poi dialogato con Giampiero Bertolini. “Il mio compito – racconta a So Wine So
SO WINE
Food – a lungo periodo è quello di rimettere Biondi – Santi nel gotha dei migliori vini al mondo, in cui è stata per moltissimo tempo, forte della sua storia che supera i centocinquant’anni. Su come arrivarci ritengo sia a partire, in primis, dal fatto di dare una credibilità a questo nuovo progetto, fatto da una famiglia non italiana, partendo dal lavoro di produzione. Stiamo, in questi anni trascorsi, gettando le fondamenta per il futuro, in modo molto trasparente e per questo ospitiamo persone alla Tenuta del Greppo in modo che possano toccare con mano quello che stiamo facendo, rendendo così evidente il frutto delle nostre azioni. Inoltre stiamo avviando un discorso di comunicazione, anzi di ricomunicare questo marchio, perché negli ultimi tempi era un’icona che restava impolverata sugli scaffali. Questo a livello mondiale e non solo italiano. Un altro aspetto era di creare una distribuzione più rarefatta nel mondo, perché quando Biondi-Santi è stato acquisito c’erano pochi paesi con molto vino. Ed è esattamente l’opposto di quello che dobbiamo fare. Quindi è stata completamente cambiata, creando una tensione sul mercato importante, unendola ad attività di degustazioni dei nostri vini, raccontando quello che stiamo facendo unita alla nostra storia, ottenendo così una reazione molto superiore alle nostre aspettative. Al mio arrivo in Tenuta avevo fatto un piano a dieci anni e oggi siamo due anni avanti rispetto al mio programma, credo perché questa azienda ha già di suo una grande forza. Questa attività la rivolgiamo verso gli Stati Uniti mercato più importante, l’Inghilterra, la Cina che sta andando molto bene e dove, unico caso, ci sono più importatori, Hong Kong,
per citarne i più significativi, in modo da intercettare anche degli opinion leader che ci supportino. L’Italia per noi è importante e al momento le dedichiamo un 30%, 35% della produzione che ritengo abbastanza elevato”. Aggiungendo poi “A proposito di immagine abbiamo fatto un restyling delle etichette, negli ultimi anni, dettato da alcune esigenze che ritengo percepibili a un occhio allenato. Sia la Riserva che il Brunello erano identiche dove Riserva era solo scritto nel collarino, quindi lo abbiamo cambiato andando a scriverlo invece nell’etichetta principale. Questo perché nella ristorazione confondevano i vini ed era quindi una questione più che altro pratica”. Alla nostra domanda sulle botti dove affinano questi magnifici vini Bertolini precisa “Abbiamo investito in cantina, dato che una parte delle botti di maturazione e affinamento non erano più valide, mantenendo il produttore italiano Garbellotto (da sempre fornitore di BiondiSanti, ndr) realizzate in rovere di Slavonia e delle dimensioni da 10 a 50 ettolitri. Inserendo, nel giro di questi ultimi quattro anni, sino al 45% circa. Abbiamo scelto anche dimensioni minori perché in parallelo stiamo facendo un discorso di parcellizzazione delle vigne, come accennava Federico Radi poco fa, in cui la dimensione della botte può così adattarsi al vino ottenuto da ogni singola parcella”. Prima di lasciarci abbiamo chiesto come si rapporta Biondi-Santi con i social e quel genere di comunicazione. “Quando prima – conclude Giampiero – parlavo di avvio di una comunicazione mi riferivo anche ai social, rispetto ai quali siamo selettivi scegliendo solo Linkedin e Instagram, dove facciamo soprattutto parlare gli altri e noi ripostiamo, pubblicando noi dei post solo raramente”.
1. BRUNELLO DI MONTALCINO RISERVA DOCG 2015 Un vino maestoso, solido e compatto, seducente e pieno di charme con il suo bouquet complesso e un gusto carezzevole, sebbene di carattere deciso. È ufficialmente la 41ª Riserva rilasciata dal 1888 ad oggi. Prodotto da una selezione di Sangiovese Grosso proveniente dai vigneti più vecchi di proprietà di Biondi-Santi, il Riserva 2015 è vinificato in tini verticali di rovere e invecchiato per 3 anni in grandi botti di rovere di Slavonia, a cui segue un lungo affinamento in bottiglia. 2. BRUNELLO DI MONTALCINO DOCG 2016 È un Brunello brioso, ricco di verve, frutto di suoli, vigneti e uve che hanno goduto appieno della giusta quantità di acqua, sole e vento. Energia e dolcezza si fondono con eleganza ed equilibrio, tanto da renderlo un amico della tavola, in cui il suo carattere gastronomico accompagna il cibo senza farlo prevalere. Prodotto da una selezione di Sangiovese Grosso proveniente da vigneti di proprietà Biondi-Santi, è vinificato in contenitori di cemento vetrificato con uso di lieviti indigeni, invecchiato per 3 anni in botti di rovere di Slavonia. Giovanna Moldenhauer
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UOMO DELLE STELLE 1. Passione e creatività ma anche regole e disciplina
UDS
Passione e creatività ma anche regole e disciplina
Nella fase di ripresa, dopo pandemia e guerra, è auspicabile un ritorno ai “fondamentali”, non solo nel servizio del vino 36 SWSF
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opo oltre due anni fra pandemia, lockdown, emergenze e problemi, era nell’aria che tutto ripartisse “a razzo”.
Salvo poi fermarsi nuovamente, in una pausa di riflessione (e angoscia) forzata, legata alla terrificante e tutto sommato inaspettata guerra tra Russia e Ucraina. Proprio ora che la ripresa, nonostante i
UOMO DELLE STELLE
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tanti problemi, sembrava essere in atto, gli equilibri internazionali tornano in una fase critica senza precedenti. Dobbiamo solo augurarci, però, che le cose si aggiustino in tempi relativamente brevi e che la passione e l’entusiasmo che si stavano rimettendo in moto, riescano a metabolizzarsi e a consentire una nuova ripresa. La speranza è che a tali valori si abbinino anche altri aspetti fondamentali, pure molto importanti per chi opera nel nostro settore, che si chiamano: 38 SWSF
rigore, tecnica, ragionevolezza, rispetto, coerenza. Ora, è vero che la creatività, se talentuosa, deve avere il suo spazio, ma anche le regole non vanno mai dimenticate, in questo turbillon di eccitazione generalizzata alternata a momenti di ansia per il futuro. Preoccupazioni che in certi momenti prendono il sopravvento sulla riflessione, sulle strategie, sui programmi a medio termine. Intendo dire che, mai come in questa fase storica, è necessario avere
coraggio, ritornarndo a quei “fondamentali”, che sono alla base del mestiere. Perciò è necessario mettere un freno all’approssimazione che, anche nel nostro settore, potrebbe avere effetti devastanti. Alludo a quella sorta di “deregulation” un po’ improvvisata che, in nome del libero spirito imprenditoriale, sta letteralmente invadendo l’horeca, con parole d’ordine apparentemente trendy, estreme e, talvolta, irrazionali. Il settore della ristorazione è
UOMO DELLE STELLE
molto complesso (in cui è la professionalità a fare la differenza), talvolta sembra essere tornato terra di conquista di chi ha più potere economico e finanziario per investire su operazioni dubbie e, soprattutto, distanti da analisi, studi di mercato, approfondimenti. Qui non si tratta di scegliere fra conservazione e rinnovamento, ma di essere responsabili e di rispettare il consumatore, senza imporgli a tutti i costi format incoerenti, ma
-semmai- contribuendo alla sua evoluzione e rispondendo a esigenze reali. Consentiteci di rimpiangere (e di augurarci una rinnovata presenza nelle sale dei nostri ristoranti, enoteche, wine bar., rimasti chiusi troppo a lungo) la figura ideale di un Restaurant manager (una volta si chiamava maitre) o di un sommeleir che conosca profondamente non solo i vini che serve ma le regole stesse dell’accoglienza. E la cui professionalità venga sempre dai
clienti come un grande esempio, umano e relazionale. Ecco, se ripresa ci sarà, vogliamo che sia caratterizzata da un approccio non troppo “liturgico” , ma neanche alla “viva il parroco” in cui è possibile tutto e l’opposto di tutto… Uomo delle Stelle
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40 SWSF
ALBERTO'S CHOICE
Antica Torre, il gusto fa scuola La trattoria di Barbaresco, la preferita dal celebre Angelo Gaja, è un esempio perfetto di come la cucina tradizionale possa essere contemporanea
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resi come siamo dal bisogno di cercare emozioni nuove o conferme alle nostre aspettative, ci imbattiamo talvolta in situazioni nelle quali prevale la volontà di stupire piuttosto che il desiderio di esprimere, con schiettezza e sincerità, una linea di cucina chiara e coerente, onesta nelle proposte, comprensibile nei sapori, eseguita con amore. Personalismi, ipermediaticità, contaminazioni, utilizzo eccessivo di materie pseudo-innovative, proposte di menù degustazione (spesso imposte per tavoli con più di quattro commensali) dalle troppe voci, trasformano le migliori intenzioni di tanti chef (anche bravi, per carità) in esibizioni sperimentali che avrebbero la pretesa di conquistare il cliente. In realtà, però, quest’ultimo esce dal ristorante a fine pasto con la sensazione che “mancasse qualcosa”. Tutto apparentemente perfetto, amusebouche da favola, piatti dai cromatismi stratosferici, servizio inappuntabile ma
poco o nulla di memorabile, che faccia dire: “sì, ci ritorno presto”. È dunque l’ora di mettersi alla ricerca di quel “qualcosa in più”(o forse in meno) che faccia godere e star bene, che solo certe trattorie autentiche, capaci di offrire cucina locale perfettamente eseguita, in ambienti dominati da semplicità ed empatia, sono in grado di offrire. Certo, non è facilissimo trovarle (molte, troppe trattorie sono solo ristoranti-mangiatoia) ma, battendo i territori con intelligenza, capita di imbattersi in veri e propri luoghi di buona, semplice, talvolta eccellente, cucina. È vero che la ristorazione “delle guide” (Michelin in primis) è quella che richiama il turismo internazionale, che privilegia nelle proprie scelte la visita di locali stellati con uno o più “macarons”. Spesso sono guidati da chef eccellenti e, diciamolo, sono il nostro fiore all’occhiello. Li visitiamo con frequenza e curiosità, ma anche con attento spirito critico. Ma, parallelamente ai “moloch” del fine #3 - 2022 APRIL 41
dining, ci sono anche altri ristoranti, di cui si parla meno ma che valgono tanto. Peraltro, si va affermando nella società un rinnovato bisogno di trovare trattorie, appunto, autentiche, capaci di esprimere aderenza non banale al proprio territorio e attenzione vera alle aspettative del cliente, offrendo piatti di tradizione anche ortodossa, ma resi contemporanei da interpretazioni attente ai gusti e alle tendenze. Qui sta la differenza, nel saper rendere attuali piatti che hanno fatto la storia delle nostre cucina regionali. Consumare un pasto alla Trattoria Antica Torre di Barbaresco è il 42 SWSF
miglior modo per comprendere questo concetto. Innanzitutto è una trattoria di famiglia, realmente “a gestione familiare”, in cui i ruoli sono perfettamente definiti e ognuno è responsabile della propria parte: Maurizio Albarello, soprannominato “Re del tajarin” (René Redzepi, lo chef danese del Noma, è un suo grande ammiratore e ha fatto passaparola in Danimarca, dove Maurizio peraltro è ben conosciuto), è un concentrato di passione e tecnica, oltre che un provetto selezionatore di materia. A lui si deve, fra l’altro, la realizzazione del piatto bandiera dell’Antica Torre, i mitici
Tajarin, un piatto fine ed elegante, dove il taglio perfetto, sottilissimo della pasta nasconde una grande precisione e una cura spasmodica per i dettagli. E i Ravioli del plin burro e salvia, la Battuta di Fassona (piemontese, come è naturale), insieme al Vitello tonnato, sono esempi non scontati di come piatti tradizionali possano rivelarsi protagonisti di un’esperienza del gusto intensa ma di raro equilibrio, dove la quantità non sovrasta la qualità ma vi si allea con armonia gioiosa e spirito moderno. La sorella Stefania, l’altra cuoca, si occupa degli altri piatti in carta (essenziale, non
ALBERTO'S CHOICE
lui si devono le prime grandi intuizioni sulla linea di cucina che l’Antica Torre ha sempre mantenuto vive. Va detto che la mia esperienza di gusto all’Antica Torre è stata resa ancor più emozionante (e di certo ha favorito la mia scelta di scriverne) dall’essere seduto al tavolo con Angelo Gaja ( e il figliolo Giovanni): una compagnia, oltre che estremamente importante, che ha reso ancor più affascinante l’esperienza gastronomica. Anche in virtù dei vini degustati: nell’ordine, Rossj-Bass 2020, Barbaresco 2018, aspersi 2018. Tre straordinari millesimi destinati a grande evoluzione.Pura emozione, ve lo possiamo garantire, perfettamente abbinata ai piatti degli Albarello, ugualmente schietti e dal fascino intramontabile. APS
Dove
Trattoria Antica Torre, Via Torino, 71 12050 Barbaresco (Cn) Tel. 0173 635170 anticatorrebarbaresco@gmail.com
chilometrica, capace di farsi ricordare). Penso al Coniglio al forno con contorni di verdure fresche di stagione, al Muscolo di vitello al Barbaresco con verdure, ai dolci perfetti che vengono proposti alla fine: il Bonet al forno, la Panna cotta, la Torta di nocciola (la “tonda e gentile” langarola), il Salame al cioccolato. O la Crostata, servitami al termine di una sequenza straordinaria di piatti caratterizzati da sapore, pulizia, equilibrio. Ascoltare Maurizio mentre racconta i suoi piatti è un’esperienza coinvolgente, da cui emerge la padronanza delle tecniche e una grande passione, la
stessa passione che l’altra sorella Paola mette nell’accogliere i clienti, nel metterli a proprio agio, con sapiente professionalità. Insomma, il gioco di squadra funziona. I tre fratelli, coadiuvati in sala dal giovane Adriano, sono una forza della natura. Il quarto fratello, Alessandro, è invece enologo (lavora presso la cantina di Gaja, a pochi metri, sulla stessa via Torino). Tutti e quattro figli d’arte, di quel Cinto Albarello a cui si deve la fondazione dell’attività e, soprattutto la sua affermazione dagli anni Novanta in poi. Cinto, purtroppo mancato nel 2005, vive nella memoria storica del luogo e a
I numeri Cucina:......................... Vini:.............................. Servizio di sala:........... Location:...................... Atmosfera:................... Totale:
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Montelvini, uno stile inconfondibile La cantina di Venegazzù della famiglia Serena, ben conosciuta per l’eccellenza produttiva, presenta la nuova annata FM333: un Asolo Prosecco Superiore DOCG che si distingue per eleganza, fragranza e vivacità
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ontelvini è una delle realtà più dinamiche nel panorama vitivinicolo italiano, con sede a Venegazzù, piccola frazione del Montello, in provincia di Treviso, nel cuore della DOCG Asolo Montello. L’esperienza di Montelvini si basa su 141 anni di impegno della famiglia Serena nella produzione di vini di qualità. Il logo dell’azienda è rappresentato da una civetta: non a caso, l’area in cui sorge la cantina è chiamata Zuitere, ovvero “terra delle civette”: un animale da sempre simbolo di saggezza, di conoscenza, di sensibilità e che in Montelvini rappresenta soprattutto la sapienza nel cogliere i migliori frutti di un territorio e La Sapienza nel condurlo, rispettando la natura e i suoi ritmi. Montelvini crea prodotti ricercati e di grande classe, che nascono dalle uve delle aziende agricole che la cantina possiede, selezionate nel pieno rispetto dell’’ambiente e della tradizione. La
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cantina è quanto di più moderno si possa trovare nel panorama vitivinicolo italiano, grazie anche a collaborazioni con aziende multinazionali leader nella produzione di macchine e prodotti per l’enologia. Le linee che compongono la gamma Montelvini sono quattro: Collezione Serenitatis, la punta di diamante, nata per celebrare il lato più esclusivo e raffinato delle bollicine Montelvini; Collezione Promosso, tradizione ed eleganza unite alla classicità firmata Montelvini; Collezione Vintage, una produzione limitata di bottiglie che racconta un viaggio alla riscoperta di profumi lontani e antiche tradizioni e Collezione Plumage, linea proiettata al mercato moderno. L’azienda è presieduta da Armando Serena, ed è oggi gestita dai figli Sarah, Direttore Generale e Alberto Amministratore Delegato: entrambi tengono alta la tradizione imprenditoriale di famiglia impegnandosi in prima linea sul fronte dell’evoluzione qualitativa e della comunicazione dei valori aziendali. L’Asolo Prosecco Superiore
MONTELVINI
DOCG Brut Millesimato 2021 “FM333”, la seconda annata del Cru ottenuto da un unico vigneto a 333 metri sul livello del mare grazie a una tecnica di vinificazione completamente innovativa, incarna la costante ricerca dell’azienda vitivinicola veneta verso una vinificazione sempre più attenta alla qualità e alla sostenibilità. Questo Cru è espressione dell’eccellenza del suo territorio ed è il risultato di una nuova tecnica spumantistica: l’Asolo Prosecco Superiore DOCG di casa Montelvini spicca per l’assoluta fragranza, l’originalità e lo stile inconfondibile. “FM333” nasce dall’unione dell’acronimo di “Fontana Masorin”, la storica tenuta di proprietà dell’azienda che ospita le uve destinate alla produzione del vino, con la sua altezza sul livello del mare. Un vigneto e un suolo di rara eccellenza che, grazie a lunghi studi e ricerche, hanno contribuito alla realizzazione di un prodotto esclusivo e unico. Ricca di storia e posizionata sulle pendici
di una delle colline più affascinanti del Montello, Fontana Masorin deve il suo nome a una fonte d’acqua che lambisce i margini della tenuta. La leggenda narra che un tempo, in questo luogo, vivessero tre contadini malvagi intenti a inquinare l’acqua affinché nessuno potesse farne uso. Un giorno una donna, alcuni dicono una ninfa, altri una fata, altri ancora la Madonna, li trasformò in lupi per punirli del loro egoismo. Dopo quella magica apparizione l’acqua divenne limpida, trasformandosi in una ricchezza inestimabile per gli abitanti della contrada, ricchezza di cui Montelvini oggi si fa portavoce. Ma la vera novità rappresentata da “FM333” risiede nella tecnica di vinificazione che si discosta da quella tradizionale del Prosecco e che sfrutta un’unica fermentazione, anziché due. Delle uve, selezionate manualmente, viene utilizzato solamente il “mosto fiore” che viene conservato a freddo al fine di estrarre maggiori precursori aromatici. Il mosto viene quindi illimpidito per decantazione, senza alcun utilizzo di coadiuvanti. Successivamente viene attivata un’unica fermentazione in autoclave per ottenere la presa di spuma. Infine, al termine di un percorso di sei mesi, nasce “FM333”, uno “spumante da mosto”, unico nel suo genere. L’unicità del vigneto e l’innovativa tecnica di vinificazione danno vita a un Asolo Prosecco Superiore DOCG dallo stile inconfondibile. La freschezza, la sapidità e la componente aromatica creano la struttura portante di questo spumante che armoniosamente si fregia di una spuma vivace, ma al contempo soffice e cremosa. Al naso presenta tocchi fruttati, mentre la finissima bollicina crea una sensazione sinuosa in bocca che appaga il palato. Lo stile enologico si fonde infine con quello estetico della bottiglia dando vita a un prodotto di estrema eleganza, destinato alla ristorazione di qualità e agli enoppassionati. #3 - 2022 APRIL 45
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CASTELLO DEL TERRICCIO
Terriccio, un antico borgo e un vero microcosmo I vini del sole etrusco, ovvero una storia millenaria per una cantina che produce grandi vini, espressione di un terroir che punta su innovazione e rispetto del territorio
U
na storia fatta di valori, territorio e passione quella di Castello del Terriccio, un'imponente struttura che si affaccia sulla costa tirrenica toscana nel comune di Castellina Marittima. Un microcosmo dove si integrano con equilibrio la natura e l’intervento dell’uomo che ha saputo salvaguardare nel tempo la biodiversità del posto mantenendo la presenza di differenti coltivazioni e di vegetazione spontanea accanto ai vigneti. Il Terriccio è qualcosa di raro, per certi aspetti fuori dal tempo: la sua estensione di circa 1500 ettari fa sì che al suo interno vi siano tanti paesaggi, terreni, flora e fauna sempre differenti, tante piccole storie, tante realtà. In questo territorio collinare, la viticoltura risale ai tempi degli Etruschi, che tra l’800 e il 500 a.C. dominavano questo tratto di Toscana dediti soprattutto all’estrazione mineraria, ma è al Medioevo che ci riportano le rovine del castello di Doglia, detto del Terriccio. Una storia antica, una testimonianza millenaria fatta di famiglie, lunga secoli e generazioni. Fino ad arrivare a diventare uno dei nomi altisonanti della realtà enoica italiana, da sempre tra i migliori interpreti dei terroir toscani.
Fino agli anni ‘60 del ‘900 il Terriccio era un ridente borgo abitato da oltre sessanta famiglie. Oggi Castello del Terriccio ha come finalità quella di reinterpretare il borgo e i casali, preservandone il carattere originale e creando un’offerta ricca e variegata che spazia dal vino, all'olio fino alle diverse attività agricole già presenti in azienda. L’antica falegnameria è infatti oggi sede del ristorante Terraforte inaugurato a ottobre 2021, con spazio degustazione, nato in collaborazione con lo chef Cristiano Tomei. La vecchia scuderia è stata trasformata invece nella guest house, mantenendo intatto l’antico carattere e difendendo un patrimonio territoriale di grande valore e straordinaria bellezza. Da sempre la loro filosofia produttiva è quella di dare vita a vini di alta qualità salvaguardando l’impatto ambientale sulle colture con pratiche agronomiche orientate all’innovazione, al rispetto
dell’ambiente e del territorio. Partendo dal lavoro in vigna con un metodo di potatura Simonit&Sirch che consente di assecondare il naturale sviluppo dei germogli della vite, riducendo al minimo le problematiche di virosi della pianta, diminuendo le necessità di intervento con prodotti chimici. Rispetto per l’ambiente e salvaguardia della salute dell’uomo che vedono l’utilizzo di produzioni che seguono il disciplinare della lotta integrata, strategia che consente di ridurre l’utilizzo degli agrofarmaci. Anche la logistica delle cantine e della barricaia permettono che i travasi delle masse di vino possano avvenire per “gravità”, riducendo così sensibilmente il consumo di energia. Il sole rosso etrusco, che viene raffigurato sulle etichette rende omaggio non solo a quel popolo ma anche all’esclusiva rarità che la Famiglia Rossi di Medelana, oggi con Vittorio Piozzo di Rosignano, racconta da sempre.
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V8+
V8+ Storytelling del Prosecco Sette nuove etichette per sette diverse esperienze: un progetto per trasmettere in modo innovativo il valore della tradizione vitivinicola
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arte della famiglia de Le Tenute del Leone Alato, il progetto che porta sul mercato i vini di Genagricola, V8+ nasce nel 2010 come brand interamente dedicato al Prosecco. Brand che in questi ultimi anni si è reso protagonista di una progressiva ma costante crescita in termini di fatturato e volumi. Nel 2019, un anno molto positivo contraddistinto da 1,9 milioni di bottiglie vendute e da un fatturato di 4,22 di milioni di euro, l'azienda si è impegnata in un percorso di profondo rinnovamento della propria strategia di comunicazione e in un innovativo restyling del proprio brand. Un nuovo look delle bottiglie e una presenza web e social completamente rivista per proporre uno storytelling informale, inclusivo e democratico, con il quale trasmettere in modo innovativo ed inedito i valori della tradizione vitivinicola tra la pianura veneta e friulana e le colline di Valdobbiadene. Una visione coerente con la filosofia di V8+
che punta a sorprendere con un prodotto di qualità, ma allo stesso tempo eclettico, fresco ed accessibile. Il nuovo design delle bottiglie, inaugurato nel 2021 che, pur conservando lo spirito giovane delle iconiche bottiglie V8+, ne rinnova l’aspetto, integrandole nella narrazione del prodotto: a ciascuna etichetta corrisponde un nome proprio maschile, un colore distinto e un carattere definito. Ogni capsula contiene una breve frase che suggerisce le caratteristiche del prodotto, arrivando in modo diretto a chi degusterà il vino. La linea V8+ comprende sette etichette di Prosecco, pensate per le diverse occasioni di consumo. Dal pregiato Cartizze DOCG, perfetto per un aperitivo, al Valdobbiadene DOCG, passando per i Millesimati, il meglio di ogni annata. Una linea con la quale il giovane team di enologi vuole raccontare la spumantizzazione con metodo Martinotti in tutte le sue sfaccettature. #3 - 2022 APRIL 49
n03 APRILE 2022
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