So Wine So Food - 7th year - N.8 - Magazine

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#8 - 7 TH YEAR MAGAZINE OCTOBER 2022 MOMENTO COMPLESSO PER LA RISTORAZIONE. LA PASSIONE SI ABBINA ALLE RIFLESSIONI ph . ferdinando cioffi

SO WINE SO FOOD

Redazione

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Giovanna Romeo Eros Teboni

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English: Marcos Ghaly

French: Francesca Zeppieri

Spanish: Samanta Ghaly

Arabic : Ahmed Abdeldaim

Russian: Nataliya Shkykava

PRINT

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PHOTO COVER

Il meeting della brigata prima del servizio. Una foto iconica di Ferdinando Cioffi ,

il grande fotografo a cui è dedicato un servizio in questo numero.

COMUNICAZIONE

Nell’occhio del ciclone, come sempre

Cirisiamo, come prima più di prima. La ristorazione, di ogni fascia, è nuovamente in grave difficoltà. Incontrare grandi chef, di quelli che hanno dedicato la loro vita alla propria missione professionale, e sentire il loro grido di dolore, è inquietante, oltre che avvilente. Bollette dell’energia triplicate, gas e elettricità a livelli che superano talvolta anche il valore mensile del canone d’affitto, personale spesso demotivato e insoddisfatto, in cerca di nuove e diverse alternative professionali. Ne scriviamo da mesi, ormai, ma le soluzioni sembrano ancora molto lontane. Lo scenario è a dir poco devastante, essendo forse la prima volta nella storia contemporanea che il settore dell’ospitalità è obbligato a interrogarsi sulla propria stessa sopravvivenza. Diciamo che ci troviamo di fronte essenzialmente a due grandi scenari: da un lato chi è prossimo alla chiusura, e passa il tempo a lamentarsi (anche con ottimi motivi, per carità) senza ottenere risultati apprezzabili né la dovuta attenzione da parte delle istituzioni. Dall’altro lato chi continua, incessantemente, a concentrarsi sulla

qualità del proprio lavoro, cercando con coraggio e determinazione di mettere sempre “il cuore oltre l'ostacolo”. Ma sono proprio questi che ci preoccupano di più: da sempre lavorano con slancio creativo e sforzi intellettuali, per capire il mercato, le tendenze di consumo, gli stili di vita, i cambiamenti sociali.

E, grazie a cultura, ingegno e conoscenze, mettono a punto linee di cucina, tecniche, comportamenti. Un lavoro continuo e incessante, di studio, adeguamento, selezione delle materie, metodi di preparazione, insomma tutto quello che definisce la professionalità del ristoratore. E che, in quanto tale, dà un contributo importante al Made in Italy e alla sua immagine.

Detto questo, però, mi chiedo: fino a quando questa passione potrà reggere l’urto con una situazione, economica e culturale, in progressivo deperimento?

Rimandiamo la domanda all’amico Lino Stoppani, presidente di Fipe, nella speranza di aprire un tavolo di discussione che sia risolutivo. E riesca, concretamente, a dare una prospettiva di crescita (o quantomeno di resistenza) a un settore che rischia la disfatta.

direttore@sowinesofood.it

Alberto Schieppati DIRECTOR
THE EDITORIAL
Anna Ghisolfi: chef per caso, porta in tavola una cucina gioiosa di Paola Chiasserini di Andrea Matteucci Massimo
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17 Ferdinando Cioffi, quando l’alta cucina è arte
12 Four Seasons di Taormina, lo chef
Mantarro si svela a cura della Redazione 28 La Toscana ha il suo Gian Annibale, limited edition del Terriccio a cura della Redazione 30 L’autunno al nord: 10 vini e 10 piatti di Adriana Blanc 25 Gli abbinamenti di Eros Teboni: tre calici con il Salmerino di Philipp Hillebrand di Eros Teboni 4 SWSF
44 Pellico 3, lo chef-ingegnere guarda lontano di Alberto Schieppati La cucina di Braschi si innamora di Eugin a cura della Redazione Alla ricerca delle erbe aromatiche di Uomo delle Stelle
ALBERTO'S CHOICE
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LA FOTO DEL MESE DI SWSF Da Roma all'Antica Corte Pallavicina Matteo Rabbeni, chef patissier, è nella brigata di cucina guidata da Massimo Spigaroli, una stella Michelin a Polesine Parmense. Il nostro obiettivo lo ha colto nella preparazione di un eccellente dessert.
SO FOOD 1. Anna Ghisolfi: chef per caso, porta in tavola una cucina gioiosa 2. Four Seasons di Taormina, lo chef Massimo Mantarro si svela 3. Ferdinando Cioffi, quando l’alta cucina è arte

Anna Ghisolfi: chef per caso, porta in tavola una cucina gioiosa

Da cliente del fine dining, a stagista, a chef: un percorso formidabile, che ha portato alla ribalta il ristorante piemontese

di Paola Chiasserini

Un sorriso dolce e timido che nasconde dietro una grande passione e tanta determinazione. Questa è Anna Ghisolfi che abbiamo conosciuto, in una calda sera d’estate, nel ristorante che porta il suo nome e che ha aperto nel 2016. Già dal locale si può iniziare a cogliere la straordinarietà della storia che vi stiamo per raccontare. Il ristorante si trova

all’interno di una chiesa sconsacrata risalente alla fine del 1500, l'Oratorio del Crocefisso, in Via Giulia, pieno centro storico di Tortona. Un ambiente luminoso, suggestivo, con i soffitti molto alti, restaurato in chiave moderna, semplice ma elegante, con la cucina, a vista, collocata nell'abside, dove ogni sera va in scena lo spettacolo culinario di Anna Ghisolfi. La storia della location è lunga e attraversa

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tante “vite”: da chiesa sconsacrata a sede di un cinema, a sala di registrazione musicale che ha ospitato i grandi della musica italiana per approdare, infine, a sede del Ristorante Anna Ghisolfi.

E altrettanto lungo e atipico è il cammino che ha portato Anna Ghisolfi ad essere la chef eclettica e appassionata di oggi. Anna è una persona dalle mille passioni. Proviene da una famiglia di noti imprenditori, e inizia il suo percorso lavorativo laureandosi in lingue e letterature straniere, per aprire, a Tortona, un'agenzia di interpretariato e traduzioni mentre gioca anche a basket, fino a sfiorare la serie A. La sua profonda passione per la cucina è iniziata da piccolissima quando giocava ossessivamente con il dolce forno ed è cresciuta nel tempo anche quando, più grande, ha messo a soqquadro la cucina di casa per preparare i pranzi alla sua famiglia. E quell’amore per i fornelli non l’abbandona mai. E così, non appena ha una cucina tutta sua, inizia a dedicare il suo tempo alla preparazione di nuove ricette, tralasciando così le traduzioni. La sua ispirazione è nei viaggi gastronomici, il vero leit motiv della sua formazione "sul campo".

Inizia quindi organizzando lezioni di cucina per la sua cerchia di amicizie; la voce si sparge per tutta la provincia e le lezioni si intensificano, passando da occasioni saltuarie a una/due volte alla settimana. Dagli stessi partecipanti iniziano ad arrivare richieste di cucinare per loro per le occasioni speciali.

Nasce per caso, la carriera della chef Ghisolfi, quando nel 2000, dopo la nascita dell’ultimo dei 3 figli, Anna allestisce la sua cucina professionale e inizia ufficialmente il servizio di catering. È qui che emerge tutto il piglio imprenditoriale, la determinazione di una donna che crede fortemente nella sua passione, e che ancora oggi continua a studiare, viaggiare e lasciarsi ispirare. Perché

nella vita non si finisce mai di imparare. Ed è proprio la curiosità e la voglia di apprendere nuovi modi di interpretare la cucina che portano Anna e il marito a viaggiare, prima in Italia e poi sempre più anche all'estero, visitando i più rinomati ristoranti nel mondo. Ai viaggi affianca sessioni a Villa Mozart a Merano con lo Chef Andreas Hellrigl, perfezionando le tecniche di base della cucina, per poi proseguire come stagista presso rinomate cucine come i Santini al Pescatore, il Sole di Ranco da Davide Brovelli, Gualtiero Marchesi - incrociando Crippa e Knam -, da Claudio Sadler, dai Santin all'Antica Osteria del Ponte a Cassinetta di Lugagnano. Uno studio continuo da autodidatta, divorando prima libri di cucina, poi quelli di chimica e di alimentazione per arrivare ai testi di ecologia e sostenibilità.

E la cucina che Anna Ghisolfi propone nel suo ristorante non poteva essere che specchio della sua anima, della sua passione, un "continuo colloquio tra i miei pensieri, le mani e i prodotti", come lei stessa ama dire.

Prodotti e ingredienti che lei stessa sceglie dai contadini della zona, con cui ha un grande orto condiviso, e che utilizza in maniera diversa a seconda della grandezza e della stagione, per offrire un’esperienza gastronomica che stupisce gli occhi prima che il palato. E sono proprio le stagioni che disegnano il menu di Anna, i colori lo definiscono nel piatto: a primavera predomina il verde, verso l'estate il rosso e poi il giallo, in autunno l’arancione, il colore della terra, per arrivare, in inverno, al bianco, al gelo della stagione più fredda. Ecco la nostra intervista.

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Cosa ti ha fatto scattare la molla di questa passione?

È stato proprio l’arrivo dei figli, e l’opportunità di dedicarmi di più alla famiglia, che ha fatto evolvere una passione sempre esistita, fin da quando ero piccola: cucinare per le persone a cui voglio bene è dimostrare l’amore che ho per loro, un affetto che a parole ho più difficoltà a esprimere. La mia cucina è proprio questo, anche al ristorante, far star bene chi è a tavola.

Hai conosciuto tanti personaggi del gotha della cucina italiana e mondiale. Ma se dovessi dirci il nome di uno chef che consideri il tuo vero mentore o la tua fonte di ispirazione?

Non ce ne è uno solo naturalmente, ma se dovessi dire un nome fra tutti, sarebbe quello di Ferran Adrià perché ha saputo guardare al gusto delle cose insignificanti. Lui dice che “un pomodoro buono è già cucina”, e io ne sono profondamente convinta.

Da cosa ti fai ispirare per creare i tuoi menù stagionali? I piatti non cambiano sistematicamente per stagione perché i profumi e i sapori cambiano poco per volta. Il mio menu varia con l’aggiunta di qualche ingrediente, si modifica man mano nel corso dell’anno, ma mai radicalmente. Seguo la stagionalità - il parametro che vincola tutte le mie preparazioni – ma introduco ingredienti che sono mano a mano disponibili nei mercati e dai contadini, e con il passare dei mesi, cambia anche l’utilizzo

che ne faccio, perché sono gli ingredienti stessi che si modificano, lentamente, nel tempo. La menta selvatica di campagna, per esempio, che uso in alcuni piatti cresce tra i lamponi del mio giardino - spiega Anna. In agosto ha un profumo fantastico e penetrante, mentre a settembre non è più la stessa menta e la uso quindi in piatti e modi diversi.

Qual è il tuo signature dish, quello che senti proprio tuo?

Il piatto che sento più mio è il risotto di zucca, nocciola e gocce di passito… sono partita dalla zucca, uno dei miei ingredienti preferiti, che inizialmente doveva essere accompagnata all’orzo, e l’ho trasformato in un risotto che equilibra perfettamente dolcezza e delicatezza.

Ci hai parlato degli agricoltori e contadini locali cui ti rivolgi. Quanto è importante per uno chef crearsi questa "rete" e fare questo sistema?

La rete di produttori locali è fondamentale: gli agricoltori hanno la competenza sui prodotti, l’esperienza nel riconoscere la qualità del raccolto, la capacità di suggerirmi da dove trarre il meglio… mi assicurano ingredienti genuini e sono parte dell’habitat dove vivo e da cui traggo ispirazione per creare veramente una cucina sana, poco elaborata, dove parla la materia prima.

Qual è la tua opinione in merito alla difficoltà dei ristoratori di trovare

personale qualificato, e con la passione per questo lavoro?

La mia è sicuramente una situazione atipica. La mia brigata in cucina tutta al femminile, è composta da donne che non provengono dal classico iter di studi, ma sono state formate direttamente da me.

Siamo insieme da diversi anni: Suylen Reyes, Larissa Celak, Oriella Rovina, Rose Paculava

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sono persone che ho incontrato in contesti diversi da quelli della cucina ma sono rimaste affascinate dal mio progetto, che è diventato anche il loro.

La sala è gestita da Tiziana Acerbi, che coordina due giovani camerieri – Angelo e Samuele Bakalli, provenienti dalla scuola alberghiera Santa Chiara, storico istituto professionale del territorio. Per quanto

riguarda la questione del personale.

Il problema sta nel costo del lavoro e nella mancanza di flessibilità delle leggi italiane.

Il personale si troverebbe anche, ma nella maggior parte dei casi i ristoratori non possono permettersi di pagare il giusto o di avere abbastanza dipendenti.

Qui è il nodo, riuscire a dare incentivi al settore e far quadrare i conti.

Ma qual è il futuro che Anna vede davanti a sé?

Mi piacerebbe ampliare la mia ospitalità anche ad un albergo, e completare il ristorante con un relais. Sono quei sogni che non costano nulla, ma che ti ispirano e ti spronano ad andare avanti, a guardare al futuro con un progetto.

Poi chissà…vedremo! 

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Four Seasons di Taormina, lo chef Massimo Mantarro si svela

La forza del vulcano e l’abbraccio del mare si stringono alla tavola del Primcipe Cerami: una cucina alla costante ricerca di innovazione nel piatto

a cura della Redazione

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IlPrincipe Cerami è il ristorante di alta cucina all'interno di uno degli indirizzi più iconici d'Italia, il San Domenico Palace, Taormina, un Four Seasons Hotel. Qui l'offerta dello Chef Mantarro è una dichiarazione d'amore alla Sicilia, alla sua armonia, alla quintessenza di quest'isola. Il Principe Cerami - aperto a cena agli ospiti dell'hotel o a chi si trova a Taormina - accoglie fino a 30 ospiti e diventa l'indirizzo per eccellenza dove lo Chef da vita a rivisitazioni contemporanee della straordinaria cucina locale, unendo sapientemente la sua storia agli ingredienti e tradizioni dell'isola, in

creazioni che si possono dire semplicemente intense. Il suo carattere riservato e la delicatezza nei gesti nascondono la forza della sua cucina, che si svela al Ristorante Il Principe Cerami: è Massimo Mantarro, lo Chef siciliano, a raccontare come prendono vita i suoi piatti, tra i ricordi d'infanzia in Sicilia, la visione contemporanea dell'utilizzo della tecnica in cucina e il costante inarrestabile investimento nella formazione.

"Da tutta la vita mi sveglio, prendo il caffè e ammiro la mia terra, la Sicilia, saluto l'Etna e guardo il mare. È una terra meravigliosa - dove sono nato e cresciuto e

che ogni mattina mi ricorda la sua forza e l'abbondanza di eccezionali materie prime che sono state parte della mia storia, della mia crescita personale e anche della mia creatività - da cui – con l'utilizzo della tecnica, e il continuo studio personale, nascono i piatti del Principe Cerami, che servo solo quando per me sono perfetti.

Gli "Spaghettoni artigianali Luca Crimi "monte Etna" nascono proprio dal mio caffè mattutino; ho pensato a come portare il vulcano e tutte le sue sensazioni in tavola e non potevo che scegliere un piatto vegetale legato al territorio. Se oggi vai sul vulcano mangi funghi, finocchietto selvatico, ricotta e pomodoro. E sono questi gli ingredienti che ho scelto per creare lo spaghetto al Cerami e portare anche i colori del vulcano in tavola. Ho utilizzato solo grani autoctoni e una tipologia di pasta che qui in Sicilia si mangia spesso; ho inserito il pane, fatto con la cenere, per ricordarmi il giorno in cui a casa mia madre lo preparava.

Ricordo chiaramente che da noi il pane si faceva il martedì, perché il lievito madre si passava di casa in casa e da noi arrivava in quel giorno. Correvo da mia madre per avere una fetta di pane caldo, anche se poi l'avrei mangiato per tutta la settimana, nella sua evoluzione. Più i giorni trascorrevano e più il pane prendeva forme diverse, dal pane con lo zucchero a merenda, al pane secco nelle zuppe a cena, alla "scarpetta" che facevo nel sugo che si preparava in casa per i maccheroni, mentre aspettavo il pranzo. Così quando preparo gli spaghettoni mi ricordo proprio quei martedì.

La maggior parte dei piatti li cucino nella mia testa, mentre guido o ascolto i produttori, prima ancora che ai fornelli. Rivivo le emozioni della mia crescita e mi ricordo le tradizioni di quest'isola e di come ogni elemento, anche banale, diventasse eccezionale – è questo che ogni volta cerco

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di creare nei miei piatti. La "Pasta maritata, pesci di scoglio e verdure di primavera", la "Panella Palermitana", il "Calamaro alla pizzaiola" la "Parmigiana 2.0" sono la mia Sicilia, ma anche "Come un quadro di Arcimboldo" – creato con le verdure cotte e crude. Sì, perché la Sicilia è un'isola che da sempre vive di mare e di agricoltura, la carne si mangiava solo una volta a settimana. Credo che, ciò che oggi pensiamo sia una moda, la scelta del vegetale, sia in realtà un fortissimo richiamo al nostro passato. Nel mio menu il vegetale è molto presente - Arcimboldo, che propongo come antipasto, ne è l'emblema ed ho deciso di crearlo perché mi sono ricordato della cicerchia, un legume che mia madre mi obbligava a mangiare da bambino e come tutti i bambini, non volevo farlo. Oggi la cicerchia l'ho resa protagonista.

Non smetto mai di studiare e formami, anche ora – quando ho delle ore libere leggo, cerco di conoscere nuove tecniche e dettagli della materia prima per innovare la mia cucina. Cerco fornitori, coltivo la rete di contatti che mi permette di utilizzare le eccellenze e i prodotti di nicchia – come il latte della rara capra girgentana, ortaggi insoliti, legumi antichi.

Ho viaggiato e cucinato in giro per Italia e in Francia, prima di tornare qui, dove ho potuto continuare a sviluppare nuove opportunità di crescita anche in altre realtà, pur lavorando al San Domenico. Ho vissuto in prima persona le cucine di diversi Chef pluripremiati – grazie all'investimento di una proprietà di questo storico hotel, che aveva il desiderio di aprire un ristorante gastronomico al suo interno. È nelle cucine di questi grandi chef che ho compreso la loro filosofia e, studiando, ho rielaborato e creato la mia personale visione.

Ogni tecnica è oggi a disposizione della

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materia prima per catturarne il "suo perché" e innovare la cucina - come la cottura a bassa temperatura o sottovuoto da cui si ottiene la massima tenerezza dalla carne. O l'uso del freddo come "cottura inversa" al caldo: una tecnica che utilizzo nel mio "Scampo, gamberi rossi, spinaci e porcini etnei" dove il brodo che viene chiarificato a freddo per ottenerne l'essenza – senza alcun elemento aggiunto, mentre nella cucina classica si cuoce con l'uso dell'albume.

Cucino da 33 anni e oggi il piatto che più mi rappresenta è il risotto. A 19 anni ho imparato a vivere il riso, a cuocerlo, a sentirlo suonare in casseruola e vederne le elaborazioni dei diversi cuochi, finché ho pensato di creare il mio, interpretandolo come elogio alla Sicilia – dove le sarde sono protagoniste: il "Carnaroli, alicette, finocchietto, pistacchio di Bronte" è nato così, dal sapore intenso delle alici, dal pistacchio e finocchietto dell'isola e dal ragusano - che è per noi il parmigiano. Questo piatto, con un elemento così semplice, ma nobile, l'ho sviluppato nei miei spostamenti fin da ragazzo e oggi è uno dei più amati del mio menu al Principe Cerami".

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Ferdinando Cioffi, quando l’alta cucina è

L’immagine come didascalia. Ferdinando Cioffi, le sue foto, il suo feeling con i grandi chef per relazioni quasi sinergiche. Per entrambi non c’è trucco né inganno: un abbraccio di tecnica, talento, testa e cuore. È arte, ritratti di luce che entrano nell’anima

“Lei mi sta rubando l’anima”. È la voce del celebre stilista francese Emanuel Ungaro, per un grande fotografo, empatico e piacevole signore di mezz’età che da tempo ritrae famose star di diversi, a volte apparentemente quasi opposti, mondi. Scoprire Ferdinando Cioffi giustifica la citazione; poco più di un’ora in una raffinata lounge per conoscersi reciprocamente e avvicinarsi al suo lavoro. Un uso importante e del tutto proprio della luce, un’istintiva attenzione al rapporto umano tra soggetto o oggetto e il fotografo portano a risultati che vanno oltre l’impatto estetico dei suoi ritratti. È un’arte, come lo è quella dei protagonisti della haute cuisine, gli chef: non stupisce che Cioffi ami la buona tavola, ma soprattutto adori i suoi interpreti. L’arte è anima e luce, per il grande fotografo luminista. Tutto nasce con una Hasselblad, “il grande amore di tutta la vita. Le macchine fotografiche passano, ma per me lei resta”: iniziano così chiacchiere e caffè

di Andrea Matteucci
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paul bocuse
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con il maestro dell’immagine ritrattista, formatosi giovanissimo a New York (pur non conoscendo l’inglese: a Lucerna, dov’è cresciuto, si parlava solo tedesco) negli studi dei grandi maestri Richard Avedon e Irving Penn per poi iniziare un personale percorso e seguire le sue passioni.

A proposito di passione: come si è creata questa alchimia fra lei e i grandi chef? Colpa e merito sono proprio di Alberto Schieppati, allora giovane direttore di un importante giornale di food & beverage. Mi

ha mostrato una foto di un celebre cuoco francese e ho iniziato per istinto e curiosità ad avvicinarmi ai maestri di cucina. La curiosità è diventata passione e interesse.

Lei nel tempo ha fotografato i più grandi: che sensazioni ne ha tratto? Sono sempre stati protagonisti, mai prime donne. In modo diverso con ognuno si è sempre creato un rapporto empatico: disponibili come Massimo Bottura, piacevoli come Carlo Cracco, simpatici e alla mano come Antonino Cannavacciuolo… Tutti

estremamente professionali, idee chiare e forte carattere.

I nomi sono tanti, da Fredy Girardet a Sergio Mei, la famiglia Santini, solo per citarne alcuni. Ma ci sono anche Paul Bocuse e Gualtiero Marchesi: le loro foto hanno fatto il giro del mondo…

In occasione di un mio incontro con Paul Bocuse sono riuscito a far abbracciare tre grandi chef di certo non legati da reciproca amicizia, anzi… Ha una personalità eccezionale per foto eccezionali. Con

davide ostorero, matteo baronetto, carlo cracco, luca gardini , in una foto del 2003 all’allora cracco - peck di milano
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Gualtiero Marchesi si è creato un rapporto profondo, iniziato per lavoro e divenuto amicizia. Stima e affetto così importanti che voleva che lavorassi per lui...

Torniamo alla famosa citazione “lei mi sta rubando l’anima”…

Se un grande cuoco entra in sintonia con me si apre, abbandonando eventuali meccanismi di autodifesa; ecco che quindi mi permette di entrare nella sua anima più profonda, che cerco di cogliere nei miei ritratti. Ed è anche per questo che desidero sempre set ad hoc

per ciascun soggetto: può essere una cucina, una tavola apparecchiata, la brigata, libri di ricette, un piatto, un singolo ingrediente… Ogni chef ha un carattere del tutto proprio, che voglio far emergere.

Nel suo sito si parla di rapporto di forza fra fotografato e fotografante…

Il rapporto di forza si crea con la conoscenza, quindi si mantengono, in entrambi, caratteristiche caratteriali e professionali. Nessuno prevale sull’altro, ma neppure si scende a compromessi.

Cerco sempre, nei miei ritratti, l’anima delle persone e del loro lavoro.

Un sodalizio artistico, tra fotografia e i migliori maestri dell’haute cuisine, che l’ha portato a pubblicare fino ad ora sette libri. Uno su tutti, di cui parlare?

È nel nome stesso del magazine, So Wine So Food. L’alta gastronomia esige anche grandi vini… Che possono essere, per esempio, quelli della famiglia Cecchi. Il mio volume We Love Coevo, dedicato al loro ultimo grande vino,

gualtiero marchesi
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è nato così: quando ho saputo del debutto di Coevo in società, al cospetto di cinquanta chef stellati, ho proposto loro un volume che celebrasse famiglia e cantina. Una forte emozione per foto che amo molto.

Allo stato dell’arte dubito che il suo rapporto con gli interpreti della grande cucina si fermi… Niente nomi per ora, ma dietro ai fornelli ci sono giovani talenti che mi interessa parecchio cogliere.

Sono ritratti come incontri, quasi quadri al limite del minimalismo per pochi protagonisti: l’uomo è chef e fotografo, piatto o camera la sua arte, luce e anima a unire tutto.

antonio cannavacciuolo, andrea cecchi e ilario vinciguerra fredy girardet famiglia santini
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Classico di Montagna.

Brut, Extra Brut, Rosé e Pas Dosé: mineralità, eleganza e purezza alpine.

garbato come la natura alpina in cui nasce. Le vette lo forgiano e la brezza di montagna lo esalta di bellezza ed eleganza senza tempo.

Foto di Massimo Giovannini. Bevi Rotari responsabilmente.
rotari.it

SO WINE

1. Gli abbinamenti di Eros Teboni: tre calici con il Salmerino di Philipp Hillebrand

2. La Toscana ha il suo Gian Annibale, limited edition del Terriccio

3. L’autunno al nord: 10 vini e 10 piatti

4. La cucina di Valerio Braschi si innamora di Eugin

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Gli abbinamenti di Eros Teboni: tre calici con il Salmerino di Philipp Hillebrand

I pairing di Eros sono sempre più avvincenti: tre grandi vini altoatesini abbinati al mitico pesce d’acqua dolce proposto da Philipp Hillebrand, executive chef di Castel Flavon, a Bolzano

L’impianto narrativo che solitamente descrive la cucina dell’Alto Adige, ci parla prevalentemente di selvaggina, ortaggi ed erbe spontanee. Tuttavia c’è un pesce di lunga tradizione locale, tornato in auge in questi ultimi anni, che stimola la creatività degli chef ed entra in modo significativo nei menu dei più prestigiosi ristoranti gourmet: il salmerino alpino. Si tratta di una vecchia conoscenza, già in voga all’epoca dell’Impero Austroungarico, una specie ittica che prolifica nei torrenti sud tirolesi e si colloca tra le eccellenze culinarie di questo territorio, grazie al suo sapore delicato e privo di retrogusti, con cui chef e gastronomi di ogni ordine e grado, possono lasciarsi trasportare dalla creatività e preparare con esso grandi classici o ricette innovative, alla griglia, al forno, al cartoccio, ma anche in crosta, sotto sale e affumicato. Il Salvelinus Alpinus, la cui caratteristica principale è di vivere esclusivamente in acque purissime a una temperatura mai superiore ai 10°,

non è solo appannaggio di questi territori, se ne conoscono un centinaio di specie ed è diffuso anche sui rilievi di Trentino, Lombardia, Norvegia, Groenlandia, Islanda, Giappone, tuttavia quello dell’Alto Adige è ritenuto particolarmente pregiato. Risale almeno all’XI secolo la pesca del salmerino nelle acque di questa parte dell’Impero Austro Ungarico, mentre i primi allevamenti sono datati 1879. Le sue caratteristiche peculiari possano variare da valle a valle, ma occorrono circa 28 mesi perché raggiunga la maturità, divenendo molto simile alla trota, di cui ricorda la consistenza tenera e delicata, mentre il dorso è verde chiazzato, le pinne possono variare dal grigio all’arancione. Il Salmerino alpino – che oggi è una specie considerata a rischio di estinzione, ed è inserita nella Lista Rossa dei pesci d’acqua dolce indigeni in Italia – si diffuse in Europa circa 70.000 anni fa durante la glaciazione del Wurm, potrebbe quindi essere considerato indigeno dei laghetti d’alta quota della regione Alpina, ma vi sono testimonianze storiche che nel XV secolo, siano stati

di Eros Teboni
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immessi salmonidi nei laghi d’alta quota del versante settentrionale alpino durante la dominazione Asburgica di Massimiliano I (1459-1519). La prelibatezza delle carni di Salmerino era nota anche all’epoca del Concilio di Trento, quando Giano Pirro Pincio nel 1546 ne elogia la bontà nel suo ‘De gestis ducum tridentinorum’, come aveva fatto anche Ippolito Salviani nel 1554 nel ‘De historia aquatilium animalium’. “Mi ha sempre incuriosito il salmerino e ho sempre cercato nuove vie per proporlo nella mia cucina, anche quando lavoravo all’estero – racconta Philipp Hillebrand, chef di Castel Flavon (Bolzano) –. La sua carne neutra e compatta, che sa pochissimo di pesce, si presta ad essere cucinata in molteplici preparazioni, ma occorre una materia prima di altissima qualità, senza la quale non ha senso alcun atto creativo. In questi anni ho selezionato il mio fornitore di riferimento è Huberth Egger in Val D’Ultimo sopra a Merano, un allevatore che dispone di alcuni laghetti di acqua purissima a San Pancrazio e ha fatto della naturalità e del rispetto verso l’ambiente il suo mantra. E’ una vera passione quella che anima la sua attività

e gli consente una produzione mensile di soli cinquanta pesci, tra salmerini, salmoni e trote salmonate, che si riproducono negli invasi cristallini di acqua sorgiva, un ambiente naturale 100% eco sostenibile, dove l’acqua è potabile minerale certificata, sono banditi la chimica e gli antibiotici e l’alimentazione dei pesci avviene in modo naturale. I salmerini che giungono al termine del loro ciclo, hanno tra i 6 e gli 8 anni di vita e pesano tra i 700 gr. e i 2 kg., ma un salmonide longevo in nord Europa può arrivare anche ai 30 anni di vita. Quello che rende unico il Salmerino oltre alla bontà e alla versatilità della carne è che si utilizza tutto, dalle lische alla pelle, per questi motivi è un alleato prezioso per creare piatti che richiamano al territorio”. Philipp Hillebrand si è formato professionalmente alla Scuola Alberghiera Savoy a Merano, è stato al Waltershof di San Nicolò in Val D’Ultimo, per poi muovere i primi passi lavorativi in Tirolo, dove trascorre due anni e mezzo nelle cucine del ristorante Petit Tyrolia nell’esclusiva località sciistica di Kitzbühel; prosegue con un periodo al Sonnen Resort di Naturno come sous chef; e approda allo Stroblhof di San Leonardo, in Val Passiria, dove rimane fino al 2018. Due anni dopo accetta un nuovo incarico al prestigioso Villa Eden di Merano, dove guida una cucina di ricerca improntata alla naturalità, che frutta il prestigioso Premio Godio come miglior chef dell’Alto Adige 2020, fino al gennaio del 2022, quando prende il timone del ristorante Castel Flavon (Bolzano) per dare vita a un nuovo capitolo della sua vita. Un maniero di grande suggestione con 1100 anni di vita, rilevato vent’anni fa, quando era in completa rovina e restaurato magnificamente. Fatto erigere nel 12° secolo dai Signori von Haselberg, alla fine del 15° passò ai Signori von Völs, i quali si dedicarono a un accurato restauro. Seguirono cambi di proprietà, incendi, restauri non in linea con l’impianto originale e il naturale degrado

del tempo che porteranno il castello a uno stato di decadimento e abbandono, fino all’imponente ristrutturazione conservativa della rocca e il recupero degli antichi sotterranei dimenticati, a partire dal 2001. All’interno il ristorante panoramico in sasso, che guarda ai tetti di Bolzano, dove godere della cucina di Philipp Hillebrand, uno stile nordico internazionale, che impiega solo prodotti alto atesini e attinge alla tradizione culinaria trentina e sud tirolese, con slanci creativi e interessanti riletture contemporanee. Tra i piatti segnaliamo il Risotto finferli, prezzemolo, capasanta; il Tataki di tonno Balfego, wakame, sesamo, wasabi; i Canederli di fegato di cervo all’olio di ginepro; oppure il menu degustazione 4 portate (anche vegano) e quello a 5 portate, con abbinamenti al calice anche analcolici. Tra i signature dish il ‘sushi alto atesino’, con l’orzo della Val Venosta di un piccolo produttore di grani antichi, cucinato, fritto, soffiato, con salsa soia a base di succo di mela fermentato 3 anni. Abbiamo chiesto a Philipp di pensare un piatto a base di salmerino alpino e lui ha deciso per una tartare, l’ideale per assaporarne il gusto in purezza, attraverso tre consistenze diverse (che diventano 4 usando anche le uova di salmerino, quando la stagione lo consente). ‘Salmerino Alto 3’ è il nome del piatto, nel quale si utilizza tutto del pesce. Una tartare di salmerino condita solamente con olio di ginepro e sale di montagna (che viene da una miniera al confine con l’Italia, sulle montagne austriache); una chips di pelle di Salmerino, disidratata, fritta e soffiata, insieme a una riduzione a base di carcasse, ossa, testa del pesce, burro di malga e poche gocce di olio alle erbe con prezzemolo ed erba cipollina. Ed ecco i tre vini che ho pensato di abbinare, attingendo all’enorme patrimonio vitivinicolo della penisola, un gioco molto divertente grazie al salmerino, che si è dimostrato una materia duttile e versatile.

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Federico II Az. Agr. Milazzo Metodo Classico Brut 2015

Visitare la Tenuta Tiefenbrunner Castel Turmhof è un’autentica esperienza, un viaggio nella storia dell’Alto Adige del vino, dove Sabine e Christof, quinta generazione, hanno colto l’eredità e proseguono con la medesima passione del fondatore. Ritrovamenti archeologici nei pressi del castello confermano che già in epoca preistorica l’area era abitata, mentre il podere “Linticlar” viene menzionato per la prima volta nei registri ufficiali del 1225 d.C. Un sauvignon che si presenta leggermente ridotto rispetto ai classici monovarietali alto atesini, una stilistica scelta e ricercata proprio dalla cantina stessa. Pietra focaia, sambuco, pesca, leggere note di polvere da sparo, un naso molto invitante con dei profumi che ricordano i grandi sauvignon dei cugini d´Oltralpe. Al palato minerale con un incredibile nota sapida, lungo sul finale e tagliente al punto da richiedere un piatto importante come questo, che ne fa un abbinamento ideale.

Linticlarus Pinot Noir Riserva 2019

Il lavoro di Sabine e Christof, quinta generazione della dinastia Tiefenbrunner, insieme all’esperienza dell’enologo Stephan Rohregger, ben si integrano con la strada tracciata da Herbert Tiefenbrunner, papà di Cristof, riconosciuto precursore dei vini di alta quota, a cui si deve l’immenso Feldmarschall Von Fenner.

La selezione Linticlarus, si ispira al Castrum Linticlar, che vigilava sopra Castel Turmhof, sede storica della cantina e caratterizza vini di personalità che si originano su piccoli e secolari appezzamenti, impiegando nella vinificazione botti di rovere che conferiscono notevole longevità. Un Pinot Nero che è un grande esempio ed esprime la classica stilistica altoatesina, una riserva importante che nell’annata 2019 rivela notevole freschezza e intensità di frutto, con lampone, fragolina di bosco, tannini mai troppo imponenti, ottima acidità, grande equilibrio, finale lungo e una leggera punta di riduzione al naso, che è un marchio stilistico dell’azienda. Il sorso si fonde letteralmente con la tartare di salmerino esaltandone la parte sapida e speziata.

Castelfeder Chardonnay Kreuzweg 2019

È una storia di famiglia quella di Castelfederer, realtà vitivinicola altoatesina di eccellenza con mezzo secolo di vita e 70 ettari di vigneti, conclamata nel 1989 da papà Günther Giovanett, con la creazione dell’esclusiva linea Burgum Novum. Tre decadi celebrate alla fine di agosto con il lancio di Kreuzweg, un nuovo Chardonnay che segna il passaggio generazionale e la continuità aziendale ai figli Ines e Ivan.

Una limited edition prodotta in sole 1400 bottiglie, che prende il nome dal cru Kreuzweg originario di Magrè e trae linfa dai terreni dolomitici, dal particolare microclima, dal calore emanato a fine giornata dalle pareti rocciose del vicino massiccio del Fennberg (il Monte Favogna).

Diciotto mesi in barrique, che conferiscono una leggera riduzione al naso, sentori di pietra focaia, polvere da sparo, piccola frutta gialla poco matura. Un vino minerale, fresco, molto croccante, dall’acidità importante, che entusiasma per spessore ed eleganza. Una prima annata stratosferica. 

SO WINE
#8 - 2022 OCTOBER 27

La Toscana ha il suo Gian Annibale, limited edition del Terriccio

Sulle colline fra Pisa e Livorno una tenuta che ha fatto la storia della produzione vitivinicola italiana. Grande attesa per le sorprese che saprà dare agli enoappassionati

a cura della Redazione

Le varie espressioni del vino sotto un unico brand: quello di Castello del Terriccio, che rappresenta una delle maggiori proprietà agricole della Toscana con 1.500 ettari estesi lungo il limite settentrionale della Maremma Toscana. Di questi, più di 800 sono di bosco e macchia mediterranea, 400 a seminativo, 200 di pascolo (della pregiata razza Limousine), 60 di vigneti e 40 di uliveti. E, se l’azienda di Castellina Marittima rappresenta un’eccellenza nazionale, il vero interprete dell’annata è Gian Annibale, una bottiglia esclusiva che sa di nuovo e di unico, un piccolo gioiello che sarà proposto sui mercati nelle prossime settimane. La produzione è limitata, destinata a un

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numero selezionatissimo di locali italiani e wine merchants internazionali.

Ecco allora che parlare della produzione è davvero indispensabile, ma soffermarci sulla tenuta Castello del Terriccio è doveroso, è un viaggio, è qualcosa di raro e fuori dal tempo, un susseguirsi di dettagli e di spazi che rendono la tenuta unica, ma al contempo effervescente per un prodotto di altissima qualità. È una raccolta, una storia che si ripete ogni anno con piccoli dettagli, minuziosi piaceri che si possono ritrovare in ogni bottiglia. La fortunata combinazione tra suolo, aria e luce, così come la vicinanza del mare, rendono inimitabile questo microcosmo dove si integrano con equilibrio la natura e l’intervento dell’uomo che, con lungimiranza, ha saputo salvaguardare nel tempo l’unità e la biodiversità di questa ampia porzione di territorio, incastonando perfettamente la messa a dimora dei vigneti accanto alla vegetazione spontanea e a coltivazioni di altro genere. La vite in queste terre risale all’epoca

etrusca. Alla fine degli anni ottanta del novecento s'inaugura la nuova fase di viticoltura, con l’intento di esplorare sino in fondo le potenzialità del territorio e la sua effettiva vocazione. E se la tenuta è di per sé un fenomeno unico, la coltivazione della vite diventa un ulteriore dettaglio che trae le sue origini dall’epoca etrusca. Alla fine degli anni ottanta del ‘900 è stata inaugurata la nuova fase di viticoltura con l’intento di esplorare le potenzialità del territorio e la sua effettiva vocazione.

“La grande estensione della proprietà ha consentito in fase di impianto dei vigneti di scegliere a macchia di leopardo i terreni più vocati per caratteristiche del suolo, punto di rugiada, esposizione alle brezze marine ed esposizione alla luce. –spiegano dal board dell’azienda - I 60 ettari complessivamente destinati a vigneto sono posizionati in modo che il mare faccia da specchio e quindi la luce vi arrivi di riflesso, con una durata più prolungata rispetto a quella diretta del sole. I terreni sono quelli

in cui gli elementi minerali, tra cui ferro e rame, si mescolano alla tessitura di medio impasto con una equilibrata interazione di sabbie, limo e argilla”.

In questo regno del vino, caratterizzato da un’armonia estetica senza uguali e da un fantastico ristorante gourmet guidato dallo chef Cristiano Tomei, Gian Annibale (il cui nome è un omaggio a Gian Annibale Rossi di Medelana, artefice dei successi della cantina, scomparso nel 2019) è davvero un unicum: un rosso esclusivo fatto di profumi, di sentori in continua evoluzione che permettono a chi lo degusta di sognare e di compiere un viaggio di fantasia nella Toscana più naturale e autentica. Di colore rosso rubino intenso con riflessi brillanti, naso speziato con prevalenza di pepe nero, ribes e mirtillo. In bocca ha una trama gustativa elegante, con tannino fine e setoso; ne risulta una progressione equilibrata con un finale di rara persistenza. Gian Annibale è un IGT Rosso Toscana, un Petit Verdot 60 % e Cabernet Sauvignon 40 %.

SO WINE
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L’autunno al nord: 10 vini e 10 piatti

Dalle Langhe al Trentino alla pianura padana: arriva la stagione più ambita dagli enoappassionati e dai gourmet. Ecco le dieci etichette con i relativi abbinamenti

di Adriana Blanc

L’autunno è senza dubbio la stagione più attesa dai cultori della gastronomia. È in questo momento che i boschi rivelano i tesori più preziosi del regno vegetale, funghi e tartufi tra tutti. Tuttavia l’autunno è anche un tripudio di ingredienti meno nobili, ma assolutamente deliziosi, quali castagne, zucche, topinambur e via dicendo. Primizie che da tempo immemore appartengono alla tradizione gastronomica dei luoghi in cui vengono scovate, dando vita a ricette squisite che ancora oggi imbandiscono le nostre tavole. Naturalmente tutto ciò è più radicato nella parte settentrionale del Paese, dove l’ingredientistica autunnale diviene vero e proprio oggetto di culto accostandosi a polente, risotti e notevoli quantità di burro. Abbiamo dunque voluto fare un focus su questa area, abbinando ad ogni piatto un vino di analoga provenienza.

Carpaccio di ovoli e Grana Padano Müller Thurgau Cantina Cembra

Zona: Trentino - Alto Adige;

Uvaggio: 100% Müller Thurgau;

Colore: Giallo paglierino con riflessi verdolini; Gradazione Alcolica: 12,5%;

Al naso: Fiori di acacia, pompelmo, frutto della passione;

Al palato: Fresco e sapido, di buona persistenza e rotondità.

Uovo al padellino con tartufo

Alta Langa Extra Brut 2018 Ettore Germano

Zona: Langhe, Piemonte;

Uvaggio: 80% Pinot Nero, 20% Chardonnay;

Colore: Giallo paglierino;

Gradazione Alcolica: 12%;

Al naso: Mela gialla, crosta di pane, frutta secca;

Al palato: Cremoso e avvolgente.

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Ravioli alla zucca

Lambrusco Reggiano 'Concerto' 2021 Ermete Medici

Zona: Emilia-Romagna;

Uvaggio: 100% Lambrusco Salamino;

Colore: Rosso rubino con riflessi porpora; Gradazione Alcolica: 11,5%;

Al naso: More, ribes, violetta;

Al palato: Nitido, vivace, molto equilibrato.

Gnocchi di castagne Barbacarlo 2020 Lino Maga

Zona: Oltrepo Pavese, Lombardia;

Uvaggio: 50% Croatina, 30% Uva Rara, 20% Ughetta;

Colore: Rosso rubino con riflessi granati; Gradazione Alcolica: 15%;

Al naso: Ciliegia, radici, pepe nero;

Al palato: Succoso, sapido, di grande persistenza.

Risotto ai Porcini Valtellina Superiore 2009 Le Strie

Zona: Valtellina, Lombardia;

Uvaggio: 95% Nebbiolo (Chiavennasca), 5% Rossola, Pignola e Brugnola;

Colore: Rosso granato;

Gradazione Alcolica: 14%;

Al naso: Marasca, violetta, liquirizia;

Al palato: Caldo, morbido, intenso, sorretto da una bella freschezza.

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Polenta concia Barolo 'Sorì Ginestra' 2018 Conterno Fantino

Zona: Langhe, Piemonte; Uvaggio: 100% Nebbiolo; Colore: Rosso granato; Gradazione Alcolica: 15%;

Al naso: Rose rosse, visciole, caffè; Al palato: Strutturato, elegante, con tannini vellutati.

Filetto con salsa all’uva Valpolicella Superiore 'Monte Lodoletta' 2015

Dal Forno

Zona: Valpolicella, Veneto; Uvaggio: 65% Corvina, 30% Rondinella, 5% Molinara;

Colore: Rosso rubino; Gradazione Alcolica: 14,5%;

Al naso: Ciliegia, frutta secca, pepe nero;

Al palato: Rotondo e avvolgente, di grande eleganza.

Sella di capriolo alla Baden Baden Ticino Merlot ‘Carato’ Riserva 2018

Angelo Delea

Zona: Ticino, Svizzera; Uvaggio: 100% Merlot; Colore: Rosso rubino con riflessi violacei; Gradazione Alcolica: 14,5%;

Al naso: Cassis, cuoio, eucalipto, tè nero;

Al palato: Elegante, persistente, di grande struttura.

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Caldarroste Brachetto d'Acqui 2021 Braida

Zona: Astigiano, Piemonte;

Uvaggio: 100% Brachetto;

Colore: Rosso rubino scarico;

Gradazione Alcolica: 5,5%;

Al naso: Lamponi, mandorle, fichi secchi;

Al palato: Vivace, succoso e piacevolmente dolce.

Frittelle di mele

Moscato Rosa 'Pasithea Rosa' 2018 Girlan

Zona: Trentino-Alto Adige;

Uvaggio: 100% Moscato Rosa;

Colore: Rosso rubino tenue;

Gradazione Alcolica: 13%;

Al naso: Fragoline di bosco, rose rosse e cannella;

Al palato: Fresco, dal tannino levigato e piacevolmente dolce.

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Al Ristorante 1978 l'alta cucina e l'arte della distillazione si sono incontrate grazie al connubio tra i piatti creativi dello chef Valerio Braschi e il gin di Eugin Distilleria Indipendente. La simbiosi perfetta: un pranzo gourmet in accompagnamento a 3 gin di qualità eccelsa. Eugenio Belli, distiller fenomenale, mosso dall’estrosità e dalla competenza che lo contraddistinguono, è riuscito a trovare la giusta combinazione con i piatti elaborati dallo chef Braschi: “L'incontro con Valerio è stata una vera e propria esperienza: più che un pranzo in abbinamento ai miei gin è

La cucina di Braschi si innamora di Eugin

Al 1978 di Roma si è svolta una degustazione unica nel suo genere, che ha dimostrato come grande gin e cucina d’autore vadano perfettamente d’accordo. Con il consenso di illustri professionisti del settore

a cura della Redazione

stata quasi una sorta di simbiosi. Come se ci fossimo messi d'accordo in anticipo quando abbiamo concepito io le mie e lui le sue ricette” svela Eugenio. Un menu degustazione di 6 portate abbinato ai gin selezionati, studiato appositamente per esaltarne i profumi e gli aromi e scolpire nella mente degli ospiti la vera essenza di un gin-pairing esclusivo. Alla scoperta di quest’ultimo, un parterre di commensali di eccellenza nell’ambito enogastronomico. Angelo Troiani che dal 1990 guida con esperienza e passione Il Convivio, ristorante 1 stella Michelin nel cuore di Roma.

“Questa giornata mi ha lasciato davvero un buon ricordo. La definirei particolare perché il gin non è il solito abbinamento. I prodotti in degustazione li ho trovati armoniosi e con una bella personalità”, ha dichiarato lo chef. Alessandro Pipero, patron di Pipero Roma, famoso ristorante stellato nel centro della Capitale: “Un’esperienza che arricchisce e che apre strade nuove in materia di abbinamenti, anche nell’alta ristorazione”. Marco Reitano, Miglior Sommelier d'Italia e chef sommelier de "La Pergola", unico ristorante romano con tre stelle Michelin guidato dallo chef Heinz Beck: “La scelta di abbinare grandi distillati a

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piatti di alta cucina può davvero rivelarsi sorprendente e inaspettata”.

Bruno Rocco, giovane bartender, tra i migliori della scena romana e bar manager di Pantaleo Food Wine & Mixology dove con i suoi cocktail incanta i clienti: “L’evento è stato molto interessante, ricco di professionisti che hanno detto la loro con una sorprendente proposta food che mi ha colpito. Ma non solo. I gin in abbinamento si sposavano perfettamente con i piatti. Dal lato bartender ho apprezzato particolarmente il prodotto. Molto versatile con una bella linea di prodotti diversi dove si percepiva perfettamente la

passione di Eugenio”.

Un percorso di alta qualità che ha unito il buon cibo al buon bere miscelato, sapendo valorizzare attraverso criteri precisi tutto ciò che si ritrova nel piatto e nel bicchiere.

Mentre le portate si sono susseguite, Eugenio ha colorato il pranzo con aneddoti e curiosità che lo hanno portato alla passione per la distillazione e alla nascita di Eugin. Eugin rappresenta una linea di gin legata a prodotti stagionali tutti raccolti in natura, con l’obiettivo di portare massimo rispetto alla stagionalità degli ingredienti anche in distilleria. Il risultato sono gin che esprimono quelli che, secondo il Master Distiller

Eugenio, sono di volta in volta i sentori e i profumi che caratterizzano l’alternarsi delle stagioni in campagna e nel bosco.

Come entrée è stato servito un piatto molto importante per lo chef del Ristorante 1978: il 28 Febbraio. Un piatto dedicato alla sua compagna e quindi all’amore. Affascinante come ad un astice crudo venga conferito il gusto dell’arrostito, il tutto con note dolci e acide date dalla brunoise di banana e aria di melograno. Il tutto accompagnato da Eugin Edizione Speciale Primavera. Si tratta di un London Dry Gin estremamente aromatico e morbido, in cui le note floreali ed erbacee creano una grande armonia con quelle

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balsamiche e resinose del ginepro. Pensato per esaltare al massimo gli ingredienti primaverili per eccellenza. Al naso i primi sentori ad emergere sono le note erbacee dei fiori di borragine e quelli rotondi e morbidi dei fiori di primule, con una netta presenza del ginepro che fa da sfondo perfetto al piatto proposto come antipasto.

“Ho voluto abbinare Eugin Primavera al piatto 28 Febbraio perchè ha sentori

molto agrumati. L’ho proposto con calamaro e astice. Il connubio con i piatti a base di pesce secondo me è ottimo e si trasforma in un abbinamento pazzesco” afferma chef Braschi.

Arrivano poi i primi piatti. Il risotto con yogurt, lumache e jus ha allietato anche i palati più delicati ed esigenti. Per poi passare allo spaghettone mantecato con peperone, scamorza affumicata e fondo di manzo. Le

due portate sono state accomunate dalla scelta del Gin: Eugin Foresta Full Strenght che nasce dal desiderio di esprimere con la massima forza quello che è uno degli elementi naturali più amati dal Master Distiller Eugenio: il bosco e tutto ciò che cresce di verde. L’intento è quello di trasmettere tutti i profumi ed i sapori che si possono incontrare camminando in un bosco durante la stagione in cui foglie e

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frutti sono al massimo della loro forza. Al naso note vegetali di foglie, di sottobosco e di bacche di ginepro, con sentori di frutta secca della nocciola, sentori lievemente agrumati e sentori di pinolo e semi di abete che si fanno via via più intensi man mano che il distillato si apre.

Il palato conferma la predominanza del ginepro, con le note speziate della corteccia di quercia e quelle di legno delle gemme di betulla che completano il profilo.

“Le note erbacee di questo gin sono perfette da accompagnare con lo spaghettone. Il sottobosco e quel profumo di terra che sprigiona Eugin Foresta si sposa benissimo con il peperone e la scamorza affumicata” dichiara Valerio.

Breve pausa dal gin con il secondo piatto, animelle con glassa al peperoncino Aji Amarillo, tarassaco, miele e senape.

Ultimo, ma non meno importante, il dessert: passion fruit, cioccolato bianco e caramello in abbinamento con Eugin Estate. Qui la presenza di botaniche molto delicate come la borragine, l’ortica e i fiori di sambuco ha imposto la scelta di una tecnica mista. Fiori ed erbe sono distillati in corrente di vapore, mentre ginepro, semi di coriandolo e radice di angelica sono distillati a diretto contatto col liquido. Eugin Estate è un London Dry Gin erbaceo, morbido, con sentori gradevolmente speziati. Una dolce chiusura che ha confermato l’importanza e la piacevolezza dell’abbinamento proposto. “Ho utilizzato Eugin Estate con questo dessert perchè essendo molto estivo e fresco si sposa bene con questo tipo di gin composto da sentori agrumati preponderanti e ricordi di frutta esotica” conclude Braschi.

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UOMO DELLE STELLE

Alla ricerca delle aromatiche
1.
erbe

Alla ricerca delle erbe aromatiche

Le piante officinali hanno attraversato la storia tramandando pratiche e sapori che forse non riusciremo mai a dimenticare. La bellezza della natura è anche questa

fa passeggiavo per le strade di una campagna romana che dolcemente iniziava a sonnecchiare in un rosso tramonto.

Alcuni bambini giocavano a rincorrersi e le loro risate innocenti mi hanno riportato in un malinconico déjà vu. In un istante ho rivissuto le ottobrate romane, quelle piene di campagne aperte a corse sfrenate

UDS
Giorni
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e di castagne da sgranocchiare ancora con le ginocchia sanguinanti di conquiste e biciclette. Ma non è di questo che voglio raccontare. Dicevo, mi trovavo a passeggiare in campagna perché ero a fare foraging. Insieme ad alcuni amici, eravamo alla ricerca di quelle erbe selvatiche e spontanee già tanto amate dalle vecchie care streghe e mai abbandonate dalle nostre amate nonne. La mia guida mi raccontava di storie assurde! Pensate che in in Liguria, a Triora, c’è il più alto concentrato di cultura legato alle erbe officinali e tutta una storia documentata legata proprio a questa pratica o per meglio dire alla lotta alle streghe che come ben sappiamo, fin troppi roghi ha acceso inutilmente. In questo piccolo paese, c’è una cara vecchina che detiene oggi l’onere di essere considerata l’ultima strega buona ancora esistente. “La signora Antonietta -mi raccontava la guida pieno di stupore negli occhi- fa tutto con le erbe! Cura, cucina, rilassa… e la sua casa è piena di queste erbe”. La passeggiata volgeva verso delicate alture e il mio sguardo fermo in basso cercava quelle erbe spontanee. Mentre il mio caro amico mi raccontava storie, leggende, e proprietà di queste stregonerie! Mi ha lasciato piacevolmente stupito la leggenda del basilico. Forse tra tutte, è la pianta che almeno una volta nella vita abbiamo provato a coltivare. Pensate! Il basilico viene dal’India e un’antica leggenda locale racconta di una ragazza indiana che fu al centro di una storia piena di draghi e dei infuriati. Dopo una serie di lotte che mi sono valse almeno un quarto d’ora di cammino e che vi risparmio, la bella fanciulla scoprì che il suo amato sposo fu brutalmente ucciso. La disperazione la prese al tal punto che la fanciulla si lasciò bruciare viva sulla pira del suo amato. Gli dei lessero nel gesto estremo una totale devozione e trasformarono i capelli della fanciulla in una pianta da venerare, il basilico. Ancora oggi, in alcune pratiche induiste, vi è la venerazione della

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pianta. Tra racconti, leggende e passi lenti, ho incrociato tre erbe spontanee molto usate in cucina, il cui raccolto avviene proprio in questa meravigliosa stagione autunnale.

La Senape selvatica

Il suo nome scientifico è Sinapis arvensis e cresce spontanea nelle campagne da ottobre in poi quando i fiori diventano frutti che hanno al loro interno dei semi scuri; questi semi sono ottimi per arricchire le insalate e sono gli stessi che vengono usati per preparare la famosa salsa. Le foglie invece, anch’esse commestibili, possono essere scottate o aggiunte alla frittata.

Il Topinambur

Potremmo anche non dire nulla in merito, data la fama di cui gode tra chef e piatti all’insegna di una certa ricercatezza. Del topinambur oggi come ieri si apprezzano le radici, ma vi stupirete se vi dicessi che anche i suoi fiori sono commestibili?

Questi fioriscono in autunno e sono edibili. Anzi, essiccati e aggiunti all’impasto del pane, conferiranno a questo un valore e sapore nuovo.

Caccialepre

Ricordo di averla mangiata una volta in una pizza ripiena. Comunque, le sue foglie

possono essere usate in cucina sia cotte che crude. Anche essiccate, le foglie rilasciano buon sapore per tisane e decotti.

Il ricordo di quella giornata ha lasciato in me ricordi ed emozioni così forti e pungenti, come quelle erbe che ho raccolto, come quelle erbe che arricchiscono dall’inizio dei tempi la nostra anima e la nostra cucina.

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Pellico 3, lo chef-ingegnere guarda lontano

Il nuovo corso del Park Hyatt vede protagonista uno chef preciso e appassionato, con esperienze da Ducasse, Alleno e Bartolini. Eccellente anche il servizio di sala

Il Park Hyatt Milano, un luogo ricco di storia, che ha da tempo conquistato il cuore e l’anima di Milano, riparte all’insegna di uno stile rinnovato di cucina e di accoglienza. Il cinque stelle lusso in Galleria, a due passi dal Duomo, icona dell’ospitalità meneghina, ha riaperto prima dell’estate il ristorante gastronomico dell’hotel, il Pellico 3, che sostituisce il precedente Vūn, ai tempi guidato da Andrea Aprea, bistellato e talentuoso chef imprenditore che ha da poco

aperto il suo ristorante gourmet in corso Venezia (servizio sul prossimo numero).

Diretto a lungo da Claudio Ceccherelli, grande e visionario direttore d’albergo, che condusse la struttura fin dalla apertura, oltre vent’anni fa, il Park Hyatt si è caratterizzato nel tempo come uno degli indirizzi più amati dai milanesi, oltre che dalla clientela internazionale. Pandemia, emergenze e necessità di riposizionamenti hanno portato l’attuale General manager del Park Hyatt di Milano,

Simone Giorgi, a “ridefinire” l’offerta di ristorazione della struttura. Mente strategica e lungimirante, Giorgi, capitano di lungo corso nel mondo dell’ospitalità di livello, ha pensato a un nuovo concept di ristorazione, che sappia offrire in cucina e in sala emozioni concrete, ispirate a un’offerta contemporanea, che tenga nel giusto conto materie prime, stagionalità e leggerezza nel piatto. Anni di esperienze nel mondo del luxury, insieme a una spiccata sensibilità maturata negli anni, hanno portato Simone

di Alberto Schieppati
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Giorgi a valorizzare sempre più il servizio di sala: “l’approccio verso l’ospite deve essere anche emotivo e sincero, attento ai dettagli ma non troppo ‘liturgico’, personalizzato e diretto, senza inutili eccessi di forma”, sostiene Giorgi. Non a caso, la sala di Pellico 3 è nelle salde mani di Giusy Chebeir, empatica e visionaria, affiancata dalla brava Marika Azzariti e dal sommelier Lorenzo Alberti, la cui passione in materia di vino è una garanzia. Il nuovo corso, avvalorato dalla presenza del

Food & Beverage manager, Nicola Ultimo, grande professionista che non ha proprio bisogno di presentazioni, parte innanzitutto dalla valorizzazione di un team composto da giovani, a cominciare dall’Executive Chef Guido Paternollo: i suoi piatti, eleganti e moderni, si adeguano perfettamente all’ambiente, caldo ed essenziale, del Pellico 3, il cui design è firmato dallo studio Flaviano Capriotti Architetti. Dal menù attuale, che sta per essere sostituto dal menù invernale, raccomandiamo fra gli

antipasti la Melanzana laccata con il suo fondo ratatouille, fra i primi il memorabile Riso Riserva San Massimo, burro all’alloro, anguilla affumicata, caviale siberiano, le Candele gratinate al Parmigiano Reggiano, bavarese al peperone, ostrica e rafano e, tra i secondi, la splendida Animella di vitello glassata, salsa al Vin Jaume, insalata di portulaca. Grandi attese per la nuova carta dei dessert, dalla quale indichiamo l’iconico Oro e cioccolato o il più semplice Gragola, il suo yogurt, latte di soia. Una linea di cucina

ALBERTO'S CHOICE
#8 - 2022 OCTOBER 45

che non ama gli eccessi e subordina ogni preparazione a uno studio attento delle materie e delle loro potenzialità gustative. La carta dei vini è complessa e completa, visto che contiene il meglio di Italia e Francia, nel solco della continuità con la precedente conduzione del ristorante.

“Sono entusiasta di questa nuova avventura all’interno di una struttura così prestigiosa. Essere stato scelto dal Direttore Simone Giorgi, dal Food & Beverage manager Nicola Ultimo e dalla Proprietà per guidare la cucina di Park Hyatt di Milano rappresenta per me una sfida senza precedenti. Ci tengo poi a ringraziare la mia brigata ed in particolare i due chef di cucina,

Mario Musiello ed Andreas Karapaos e lo chef pasticcere Alessio Gallelli, senza i quali non avrei potuto affrontare questo progetto”. Così aveva affermato, pochi mesi fa, Guido Paternollo al suo esordio al Pellico 3.

Alta cucina e design qui si uniscono per plasmare un’esperienza improntata al ritmo delle stagioni e basata sul rispetto dei tempi della Natura. Lo spazio, che si sviluppa su una superficie di 120 mq, è caratterizzato da una palette cromatica che segue le suggestioni dello chef Guido Paternollo: dal giallo tenue del riccio al marrone caldo della castagna, dal verde freddo del carciofo con sfumature bianche e viola ai toni intensi

della zucca e dello zafferano. Soffitto e pavimento simboleggiano la magia del cielo e la capacità produttiva della terra, diventando protagonisti di una nuova narrazione. A soffitto, piccoli fari di luce come stelle replicano le costellazioni della sfera celeste. Il pavimento - la Terra -, rappresenta il saper fare artigiano e il recupero della materia attraverso una composizione di forme trapezoidali in pietra serpentino e in cocciopesto verde e in una tonalità sabbia, espressione della passione manifatturiera.

L’ambiente è stato arricchito da una esclusiva selezione di opere d’arte firmate dagli artisti contemporanei Paolo Canevari,

simone giorgi , general manager del park hyatt
46 SWSF

Davide Balliano e Claudio Verna, a cura di Cardi Gallery, galleria d’arte storica milanese, punto di riferimento del panorama artistico contemporaneo.

Anche La Cupola e il Mio Lab Bar con il suo Dehors, centro pulsante dell’albergo, tornano a stupire con nuove proposte, sempre più ricercate e di tendenza.

Guido Paternollo, un percorso stellato

Laureato in ingegneria al Politecnico di Milano, lo Chef Guido Paternollo, classe 1991, ha trasformato la passione per la cucina nella sua vocazione e professione. Debutta nella cucina dello chef stellato Enrico Bartolini per il quale lavorerà diversi anni. Per poi volare in Francia dove lavorerà sotto la direzione di acclamate star della cucina come Alain Ducasse e Yannick Alleno. Le esperienze e gli eventi seguiti all’estero hanno permesso allo Chef di acquisire una conoscenza e una visione completa sulla cucina internazionale. Il sogno però era sempre quello di tornare a Milano e dare vita ad un linguaggio personale, unico ed innovativo, e portare in cucina le idee creative maturate negli anni.

ALBERTO'S CHOICE I numeri Cucina: ........................ 9 Vini: ............................. 9 Servizio di sala: .......... 9 Location: ..................... 10 Atmosfera: .................. 10 Totale: 47/50
 nicola ultimo f & b manager della struttura #8 - 2022 OCTOBER 47

Epokale 2015, leggendaria etichetta di Cantina Tramin

Presentata sul mercato l’annata 2015 del Gewürztraminer Spätlese. Concentrazione, finezza e un grande potenziale d’invecchiamento per un vino atteso dai collezionisti

Ilprossimo autunno segna il ritorno di Epokale Gewürztraminer Spätlese di Cantina Tramin. Un momento che appassionati e collezionisti aspettavano con impazienza, dopo

un anno di assenza dovuta al non rilascio degli esemplari 2014. L’attesa era ancor più alimentata dalle premesse eccellenti che l’annata 2015 ha riservato alla varietà. Il nuovo Epokale testimonia l’evoluzione

stilistica di questo grande vino. Gli anni successivi al 2009 sono stati caratterizzati dall’obiettivo di raggiungere maggiore eleganza e armonia, attraverso meno concentrazione e meno dolcezza

gabriele gorelli , willi stürz enologo e wolfgang klotz direttore commerciale
48 SWSF

residua. Ma il lungo affinamento delle bottiglie in miniera ha sorpreso Cantina Tramin: con il passare del tempo, una più elevata concentrazione e presenza di zuccheri hanno dato prova di grande integrazione nel Gewürztraminer, donando una sorprendente finezza. “Negli anni siamo tornati a raccogliere uva sempre più matura ed a concedere al vino un residuo zuccherino importante – spiega Willi Stürz, enologo di Cantina Tramin. Abbiamo capito come sia questa la giusta via per donare a Epokale l’armonia e il corpo a cui aspiriamo. Il nostro scopo è migliorarci senza sosta, per raggiungere i massimi livelli nell’approccio alla varietà che non smette di metterci alla prova e non finisce mai di stupirci”. Con l’annata 2015, quindi, si ripropone un profilo più abboccato e intenso. Il residuo zuccherino va oltre i 50 g,

ben superiori rispetto alle precedenti annate che si attestavano tra i 20 e i 45 g.

I grappoli selezionati provengono da due dei migliori e più vecchi vigneti prossimi al maso Nussbaumer, sulla fascia collinare ai piedi del massiccio della Mendola, con esposizione a sud-est. La resa in vigneto si attesta sui 28 ettolitri per ettaro, un dato fantastico che rivela la selettività produttiva. Dopo la vinificazione con pressatura soffice, il vino ha sostato quasi 11 mesi sui lieviti prima di essere imbottigliato. Per sviluppare la sua massima espressione, quindi, Epokale matura per sei anni nel buio della miniera di Ridanna Monteneve (Nella stessa provincia di Bolzano) a quasi 2000 metri di altitudine. Qui, a quattro chilometri dall’imbocco della galleria, il Gewürztraminer preserva la sua freschezza e si arricchisce in eleganza, grazie al tasso di umidità del 90% e alla temperatura

di 11°: valori che si mantengono costanti durante tutto l’anno e che consentono livelli qualitativi elevatissimi. Epokale è entrato in breve tempo nella cerchia dei vini leggendari, per la peculiarità di produzione, il potenziale d’invecchiamento di oltre vent’anni e una tiratura estremamente limitata. Il Gewürztraminer Spätlese sarà disponibile a partire da questo mese di ottobre nei migliori ristoranti e nelle enoteche più esclusive d’Italia.

Durante la presentazione alla stampa, si è svolta una verticale memorabile, in cui sono stati degustati grandi millesimi di Epokale: il 2009, il 2010, il 2012, il 2013 e, infine, il 2015. Una sequenza che ha messo in risalto le diversità esistenti fra un’annata e l’altra, evidenziando l’evoluzione dei singoli vini, ognuna differente dall’altro per profumi, potenza e intensità gustativa.

CANTINA TRAMIN
 #8 - 2022 OCTOBER 49

OTTOBRE 2022

Partnership

We love to work and collaborate with interesting companies. Let’s have a cup of coffee together (at least a virtual one) and talk about the creative opportunities about becoming a partner of So Wine So Food.

Distribution

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So Wine So Food è una testata giornalistica registrata Iscrizione al Registro Stampa del Tribunale di Velletri (Roma) n°10/2016 del 13/05/2016 Direttore responsabile: Alberto P. Schieppati

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