#7 - 7 TH MAGAZINEYEAR SEPTEMBER 2022 TALENTO ITALIANO NEL MONDO LE SORPRESE DAVVERO NON MANCANO
ErosGiovannaFlorindaAldoTommasoGiovannaDanieleChiasseriniDeNicolaMoldenhauerMotterliniNenziPavoneRomeoTeboni
English: Marcos Ghaly French: Francesca Zeppieri Spanish: Samanta Ghaly Arabic : Ahmed Abdeldaim Russian: Nataliya Shkykava SOCIAL & WEB STRATEGIST Matteo Kot SOCIAL MEDIA SPECIALIST Giorgio Di Maurizio ARTICLE WRITERS
· PUBLISHER Stefano Cocco · PRESIDENT Elva Begaj SO WINE SO FOOD Redazione Via Roccagiovine 245, 00156 Roma Tel. 06 91516050 Via Mosè Bianchi 22, 20149 Milano - info@sowinesofood.it - www.sowinesofood.it · DIRECTOR Alberto P. Schieppati ART DIRECTOR Simone Colasante CHIEF EDITOR Miriam De Vita WEB MASTER Simone Portaro SALES MANAGER Andrea Ragusa PRESS OFFICER Martina Suez PRINT Aziende Grafiche Printing Srl COVER Londra, Bibendum, un signature dish dello chef pugliese Francesco Dibenedetto.
THE EDITORIAL
DIRECTOR Allarme personale di chi è la colpa?
La emorragia di personale qualificato ha molteplici origini: si sono scagliati tutti contro il reddito di cittadinanza, ma c’è dell’altro, molto altro. Azzardiamo qualche ipotesi: 1) Disaffezione verso il lavoro 2) Demotivazione profonda 3) Ricerca di opportunità nuove 4) Presunzione di essere capaci di fare tutto 5) Stanchezza psicologica, mettiamoci anche questa. A ciò aggiungiamo: carenze formative dell’istituzione scolastica, affidata a scuole alberghiere che spesso sono solo aree di parcheggio temporaneo. In mancanza dei requisiti minimi per affrontare un’attività complessa e delicata, è evidente che la impreparazione regna sovrana. E i master, per quanto ammirevoli e bene impostati, riguardano solo la punta di diamante di chi opera nel settore, ovvero quelli che di passione ne hanno già parecchia (e per fortuna!). La conseguenza è che i giovani sono in gran parte senza guida e si sentono allo sbaraglio. Chi è in grado di trasmettere loro “i fondamentali” del mestiere? E ancora, chi ha voglia di fare periodi di apprendistato? I cosiddetti “stage” sono qualcosa di provvisorio, nel quale neppure i titolari dell’impresa credono più di tanto. E utilizzano il personale come tappabuchi, senza investire tempo, energia e denari. Anche questo atteggiamento ha un peso importante nella fuga dal settore… È chiaro che le responsabilità sono molte e complesse. Resta il fatto che stiamo scivolando sempre più verso il basso. Urge una riflessione profonda e un confronto serrato fra i “decisori” (quelli rimasti, pochini per la verità) per affrontare e risolvere una questione che rischia di diminuire ulteriormente il livello delle nostre performance. Alberto Schieppati direttore@sowinesofood.it
TRANSLATORSCOMUNICAZIONE
Adriana Blanc Lorenzo Braschi Paola
Sul tema ormai parossistico della carenza di personale, continuiamo a interrogarci cercando di dare delle risposte, anche attraverso le frequenti interazioni con ristoratori e osti che, in alcuni casi, hanno scelto di sospendere o comunque diminuire le attività.
Il8paradiso di Giuseppe Baxiu sta sull'isola di Karpathos di Alberto 18Schieppati L’anima sicula di Limu declina agrumi e freschezza di Lorenzo Braschi 15 Roberto Di Pinto, lo scugnizzo che sfida Milano di Miriam De Vita 27 Gli abbinamenti di Eros Teboni: è la volta del cervo di Eros Teboni 30 Podere Forte, la Val d’Orcia di Pasquale Forte di Giovanna Moldenhauer 21 Il cibo è cultura Parola di Francesco diDibenedettoPaolaChiasserini 4 SWSF
CHOICEALBERTO'S45 Acquadolce, il sogno di Carmelo di Alberto 34SchieppatiQuando l'affinamento è subacqueo. Dieci proposte per l'autunno di Adriana Blanc 40 Vini e cantine. Come coglierne l’essenza Dell'Uomo delle Stelle
LA FOTO DEL MESE DI SWSF Osteria L’Abbiccì di Seregno (Mb) di Gabriele Elli e Davide Frigerio Tagliolini di semola con guanciale croccante e ostriche
SO FOOD 1. Il paradiso di Giuseppe Baxiu sta sull'isola di Karpathos 2. Roberto Di Pinto, lo scugnizzo che sfida Milano 3. L’anima sicula di Limu declina agrumi e freschezza 4. Il cibo è cultura. Parola diDibenedettoFrancesco
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Il paradiso di Giuseppe Baxiu sta sull'isola di Karpathos
Si chiama SOPHID WELLNESS SUITE il resort creato dall’imprenditore milanese sulla magica isola del Mar Egeo, in Grecia. Relax e panorami mozzafiato ma anche una cucina di livello. All’insegna di stile e gusto Da cosa cominciamo? Dal sorriso radioso di Ilias Marketis, il direttore, che ti accoglie come se ti conoscesse da sempre?
O dalle spremute (vere) di arancia servite al breakfast, che non capitava di trovare da anni persino negli hotel più pretenziosi (dove al posto della spremuta ti servono il succo)? O dal canto del gallo che ti ricorda i ritmi della natura, insieme allo sciabordio delle onde della “tua” piscina, mossa come il mare dal magico meltemi, il vento caldo del Dodecaneso che ti accarezza gentile? Forse basterebbe pronunciare la parola magica SOPHID per introdurre chi legge in un mondo fatto di panorami mozzafiato, di mare cristallino, di spiagge esclusive,di Alberto Schieppati
SO FOOD incastonate come sono fra promontori di olivi e tamerici, rosmarini e lavanda che illuminano l’aria di Karpathos con i loro profumi intensi.
direttore #7 - 2022 SEPTEMBER 9
SOPHID WELLNESS SUITE non è altro che il sogno (realizzato) di un professionista della finanza milanese, Giuseppe Baxiu, innamorato da sempre di quest’isola sul Mare Egeo, fortemente determinato a realizzare un tempio dell’ospitalità di livello. E a valorizzare, con un istinto di generosità senza precedenti verso un territorio e una gente che ama, quest’isola paradisiaca di 6.000 abitanti, con capoluogo Pigadia, il suggestivo porto turistico, con decine di ristoranti tipici (uno per tutti, il familiare Tò Perasma, la migliore moussaka dell’isola) e di piccole botteghe.
Un investimento colossale, quello di Giuseppe Baxiu, di energia personale oltre che di risorse economiche, fatto innanzitutto in nome del bello e del buono. Valori italiani, verrebbe da dire. E della visione di un imprenditore che guarda avanti con coraggio. Venti suite, autonome e indipendenti, ognuna con piscina a sfioro affacciata sull’orizzonte del mare, una spa dotata di ilias marketis ,
Ma SOPHID è anche un ristorante da quaranta coperti, che propone il meglio di una cucina ellenica di tradizione reinterpretata, più una linea di piatti regionali italiani, realizzata grazie all’ispirazione di chef che si succedono in brigata e che credono nel progetto di Baxiu: cucina semplice, con piatti di qualità, senza voli pindarici ma coerenti con le aspettative 10 SWSF
SOPHID è tutto questo, oltre che una galleria costellata di opere d’arte, negli appartamenti e nelle aree comuni: dalla Seconda scrittura di Lucio Fontana, con testi di Francesco Leonetti, fino alla Femme à la Resille di Pablo Picasso (lito firmata dall’autore), a decine di espressioni artistiche contemporanee, con Andy Warhol in bella vista nella hall, che più che una hall è un piccolo museo di interesse artistico, intellettuale e conviviale.
quanto occorre ad aumentare il proprio benessere, una boutique con il meglio dell’abbigliamento italiano (guidato dalla dolce e raffinata Paola, sorella di Giuseppe, che ha lasciato Milano -raggiungibile con volo diretto di un paio d’ore- per questo magico lembo di Grecia).
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SO FOOD di una clientela esigente. Il lusso della semplicità di cui parlava Gianfranco Bolognesi, per intenderci… O the “intelligent luxury” per usare l’espressione coniata da Guido Bernardi in riferimento ai Soneva Resort di Maldive e Thailandia Certo, la Grecia della ristorazione e dell’ospitalità non è l’Italia: il Fine dining qui è ancora agli esordi, ma le potenzialità sono enormi. E la possibilità di offrire al visitatore internazionale una cucina di livello è avvalorata dalla presenza di grandi materie prime, dalle carni ai latticini, alle erbe e alle verdure, di cui Giuseppe Baxiu si è reso selezionatore attento e capace. Così, fra i piatti del SOPHID Restaurant troviamo una presenza diffusa di ingredienti locali, con grande utilizzo di verdure e di erbe spontanee, ma anche con una sapiente proposta di carne, a cominciare dall’Agnello al forno con carciofi, un piatto memorabile, fino a piatti più delicati come l’Orata cotta sulle braci alle erbe del territorio, o i Suvlaki di pollo affiancati dalla mitica, onnipresente, salsa tzaziki che è assai più digeribile delle versioni proposte nelle tante “taverne” dell’isola. La sala è guidata
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SO FOOD in modo ineccepibile da alcuni giovani di impegno e volontà, come Viktor o la dolcissima Athena. L’obiettivo di Giuseppe Baxiu è di creare un polo gourmet che esprima appieno la volontà di utilizzare prodotti del territorio, senza cedere a esotismi e contaminazioni che ne snaturerebbero la proposta. Unica eccezione, alcuni piatti iconici della cucina Italiana che, realizzati correttamente, aggiungono valore all’esperienza gastronomica e caratterizzano ulteriormente l’offerta del SOPHID. Non dimentichiamo che una gran parte del turismo di Karpathos è italiana e, in quanto tale, non disdegna l’opportunità di mangiare (e bere) bene, strizzando l’occhio alla tradizione locale, ma ricercando anche i propri sapori e gusti tricolori. In un contesto destinato a diventare riferimento di una clientela alla ricerca continua di esperienze eccellenti, lontane dal modello dominante di strutture “acchiappaturisti”, delle quali vorremmo tutti fare a meno. #7 - 2022
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Roberto Di Pinto, lo scugnizzo che sfida Milano
Sine by Roberto Di Pinto: il coraggio di sognare senza paure, anche nella definizione di una linea di cucina. Il risultato è un fatto concreto, ricco di gusto e di emozioni che ha letteralmente conquistato la città
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“Non dire mai che i sogni sono inutili, perché inutile è la vita di chi non sa sognare”. Era così che Jim Morrison negli anni ‘60 lanciava il suo grido di rinascita. Ed è così che la parte buona del mondo ancora oggi va avanti. Il sogno è la premessa della speranza ed è certezza di un sorriso. Così, senza barriere, senza confini, senza esitazioni. Perché il sogno trova nel potere e nel coraggio del senza, il suo valore e potere più forte. Roberto Di Pinto, classe 1982. Una mano in un sogno che nel coraggio del senza ne ha saputo (e riuscito) a intrecciare la vita. Così nasce Sine by Roberto Di Pinto. Un ristorante, una esperienza, una emozione. Ogni passo è una definizione netta di queste sensazioni. Ma tutto è fluido, tutto scorre e diventa nell’altro. I piatti che lo chef tira fuori dalla sua immaginazione arrivano a quella parte di noi che sta ferma lì in attesa di vibrazioni. Roberto Di Pinto riesce a creare pathos laddove ci si aspetterebbe forse solo ethos, colori tenui e prosa leggera. No. È una trappola! Ed è così bello scivolarci dentro! Perché mentre vai giù, mentre cadi nella trappola, ti accorgi che stai scivolando verso un mondo che appartiene a un posto pieno di ombre e felicità. Il posto dove si nasconde e si rifugia la parte più a sud del cuore dello chef: la sua Napoli. Una città che, permettermi, deve tanto a Roberto Di Pinto: i piatti che gli fremono in petto hanno un punto di contatto con l’anima partenopea che lo chef continua a riempire e a alimentare, a raccontare. Come il suo pane che è cafone. Arcano, pagano e mistico, l’atto della panificazione domina di Miriam De Vita
la visione dei lieviti a casa Di Pinto e la semplicità diventa incontro e omaggio alla sua Milano. Quel pane cafone non sorveglia, ma accompagna i grissini fatti con farina di polenta. Intingerli nel burro, poi, è sentire l’in-canto di un suono magico. È da qui che lo scugnizzo Di Pinto vuole distruggere i concetti e portarli a nuove forme, serbando per essi una nuova vita. La sua pizzetta fritta ne è esempio: è fritta sì, è quella del popolo sì, ma al Sine diventa un’altra possibiltà. Con Di Pinto lo street food incontra il fine dining e in questa via, la pizzetta fritta si dichiara a 16 SWSF
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SO FOOD Milano senza vergogna. Nelle parole dello chef è chiara la rivoluzione che ha in mente: “È la rivincita che ho voluto dare allo street food napoletano”. Ora, sul concetto di pizzetta (che altro non è che un concetto di vita), qualora non si fosse andati a Napoli a capirlo, qui al Sine ce n’è un bellissimo racconto. Amabile, affabile e pratica, quella di Di Pinto è nera, come la notte tra i vicoli della sua città. La sua pizzetta fritta si tinge di nero di seppia e mentre questo si spande e riempie la massa informe di un mondo in divenire, il suo impasto, senza fretta, compie la massima lievitazione. La frittura è asciutta, pacata e e non lascia macchie sulle dita, perché la pizzetta fritta di Roberto si mangia così, con le mani. Salsa di zucchine trombetta alla base, palamita marinato agli agrumi, scaglie di mandorle, pomodori confit e rondelle di zucchine trombetta. Tutto questo delicatamente esplode come polvere di stelle. Sul concetto di pizza, lo chef ritorna con uno scherzo gradito che diventa un raviolo: raviolo caprese fatto di tradizionale acqua e farina, ma che abbraccia una vera pizza Margherita cotta nel forno a legna. Dopo cottura tradizionale, i ravioli vengono grigliati e scottati con il cannello per conferire quella realistica somiglianza a una pizza vera. Senza confini, come i sogni, senza orizzonti come il coraggio, L’Ostrica al Pisco Sour è la percezione che solletica di sabbia e piedi nudi, è quel mediterraneo fresco e selvaggio che si abbandona a danze eretiche. Avvolgente e sensuale, ti lascia andare incredulo alla sedia mentre un sorriso è già esploso negli occhi. Come i colori dello chef, quei colori che irrompono nelle sue parole quando ci parla del suo bignè: un involucro semplice che nasconde e protegge il sacro Graal della cucina napoletana: “in quel bignè, c’è la genovese, c’è la ricetta di mia mamma”. In un apparente semplice snack di benvenuto, lo chef riesce a racchiudere tutta l’anima del mondo: amore e cipolle.
L’anima sicula di Limu declina agrumi e freschezza
A Bagheria (Pa) non manca la cucina di qualità, come testimonia il nuovo ristorante dello chef Ferreri, autentico talento del panorama gastronomico siciliano
Curiosità, competenza, estro e validi contenuti da comunicare. Questo l’identikit calzante che So Wine So Food cerca nei professionisti del settore enogastronomico. Tra quelli che soddisfano appieno le poc’anzi citate premesse, vi è senza dubbio Nino Ferreri, executive chef e patron di Limu restaurant, moderno locale situato a Bagheria, nella provincia metropolitana della sognante Palermo. Classe 1989, Nino, dopo anni di esperienze nostrane ed estere alla corte di chef leggendari, ha deciso di tornare da protagonista nella sua amata Sicilia Il risultato di questa rentreé è un autentico successo, costellato da compenetrazioni vincenti fra la tradizionale cucina sicula e le influenze europee. Una cucina leggera ma diretta e graffiante quella di Limu, lontana da orientaleggianti funambolismi ormai mainstream. Nino, oltre che abile chef, risulta essere anche un ottimo padrone di casa che fa dell’umiltà di Lorenzo Braschi
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Bignè all’olio d’oliva in farcia di caponata e polvere di pomodoro, gettone in farcia di tenerumi e tè freddo al pomodoro, sgombro in camicia di sale nero, cipollotto, salsa al vino bianco e rosmarino. Tre piatti che più di tutti riescono a esprimere l’essenza sicula di Limu. Ce li racconteresti?
Nel bignè ho sostituito il burro con l’olio di oliva, proprio per questo viene servito su rami di olivo. Ho deciso di utilizzare un classico della pasticceria ma in chiave salata; all’interno infatti viene inserita una caponata classica, preparazione che a mio avviso andrebbe modificata il meno possibile. Per ultimo il bignè viene panato con una polvere di pomodoro che ricaviamo dalle bucce.
Per quanto riguarda l’olio è un percorso intrapreso da poco. Il nostro obiettivo è quello di accontentare i molteplici gusti della clientela, anche con una carta apposita che è in fase di sperimentazione.Dal punto di vista enologico, possiamo vantare una cantina che per il 70% è legata al territorio.
Il gettone di tenerumi è un piatto che nasce durante la mia esperienza al Villa Athena.
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Importanti alleati della cucina di Limu sono sicuramente un’importante selezione di vini e oli EVO del territorio.
Che cosa cerchi in questi prodotti e che impronta vuoi dare alla tua cantina e al carnet di oli?
Subito dopo aver preso il diploma alberghiero a Palermo sono partito in direzione Costa Smeralda; li ho compreso come la mia passione per la cucina fosse la strada giusta da cavalcare. Non sono mancate esperienze in Belgio, a Milano Marittima (RA), in Val Gardena, insieme a Felix Lo Basso e in Svizzera, dove ho potuto studiare la tecnica francese. Dopo l’esperienza elvetica, Felix mi ha proposto di seguirlo a Milano, prima al ristorante Unico poi nel locale in Piazza Duomo. Sono stati cinque anni intensi e dinamici, culminati con il mio ritorno in Sicilia, al celebre Villa Athena di Agrigento. Concluso il passaggio agrigentino, ho deciso di mettermi in proprio ed ecco Limu. Parliamo del nome: “Limu”. Qual è il significato che si nasconde dietro questa parola? Innanzitutto il termine “Limu” deriva dal persiano e rappresenta il limone, agrume cardine della nostra Trinacria e di Bagheria, patria del limone verdello estivo.
La mia passione per questo agrume è facilmente riscontrabile anche nel menu di Limu, ricco di piatti freschi, con punte di acidità e aromaticità.
Poi come un lampo, l’istinto mixa assieme le due componenti e nascono i miei piatti, figli di abbinamenti non troppo complessi ma ben riusciti.
Particolarità di questa portata è il gioco di temperature che si crea fra il gettone caldo e il brodo servito freddo. Per noi palermitani la pasta ai tenerumi è un’istituzione estiva. Servendolo freddo siamo riusciti ad aggiungere un contrasto gradevole e adatto all’estate.
Lo sgombro è ormai diventato il nostro cavallo di battaglia. Questa portata nasce in casa, per il pranzo di Pasqua durante il lockdown. Successivamente ho deciso di riproporlo ad Agrigento per deliziare la clientela internazionale con un piatto classico ma dalla forte identità siciliana. La camicia di sale, oltre che rilasciare una piccola dose di sapidità, risulta un ottimo contenitore per cuocere lo sgombro alla perfezione. Il cipollotto con cui viene avvolto il pesce, rilascia dolcezza e armonizza il piatto, che viene completato dalla salsa beurre blanc e dal rosmarino.
Non mancano però richiami all’Italia e alla Francia. Ci tengo a precisare che anche la nostra selezione, composta da circa 180 etichette, è in continuo ampliamento, al fine di proporre al cliente un’esperienza appagante a 360 gradi.
Si parte sempre dal prodotto e dalle tecniche immagazzinate con l’esperienza.
SO FOOD e della cordialità il proprio mantra; uno chef 3.0 a disposizione della variegata clientela che quotidianamente frequenta il locale più interessante di Bagheria. Dalle sue origini, al menu di Limu, ecco cosa ci siamo fatti raccontare in esclusiva da chef Ferreri. Da dove è partito Nino Ferreri e quali sono le esperienze che più lo hanno segnato gastronomicamente?
Come nasce un piatto di chef Ferreri? Segui un riturale o è la scintilla dell’intuizione che ti porta ai fornelli?
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italiano, con idee chiare ed una visione ben precisa del cibo e del ruolo dello chef. Francesco Dibenedetto, è il giovane chef pugliese oggi head chef al ristorante Bibendum di Claude Bosi a Londra, dove in soli quattro mesi ha confermato le due stelle Michelin Nato a Barletta, Dibenedetto ha fatto una prestigiosa carriera internazionale, lasciando la terra d’origine 20 anni fa, e oggi vive appunto nel Regno Unito, a Londra. Abbiamo fatto una lunga chiacchierata con chef Dibenedetto proprio sul ruolo dello chef oggi, e soprattutto cosa vuol dire essere uno chef italiano a Londra. “Essere uno chef italiano è un compito molto importante – ha esordito Francesco – vuol dire riuscire a trasmettere la nostra cultura, il cibo, la dieta mediterranea. Lo chef italiano deve valorizzare gli elementi che rendono unica la cucina italiana: la semplicità degli ingredienti, il prodotto crudo, le verdure. E questa
Parola di Francesco Dibenedetto
Orgogliosamente
valorizzazione deve passare non attraverso piatti super elaborati ma in preparazioni che riescano a far emergere il prodotto e la sua stagionalità. In questo vedo la cucina italiana molto vicina a quella giapponese, che si basa su una cottura semplice che miri a valorizzare appunto gli ingredienti. Un amico da cui ero a cena, un giorno mi ha detto che ci sono due parole al mondo che ti danno il senso di ricchezza: Champagne e Italia. La parola “Italia” dà immediatamente il senso della ricchezza di un paese, e non parlo ovviamente di ricchezza economica, ma di ricchezza naturale, di biodiversità, di cultura e tradizioni. Ecco il mio sogno è quello di valorizzare a livello globale la nostra nazione, la ricchezza della biodiversità, della cultura. Dobbiamo essere più consapevoli del posto in cui viviamo, delle nostre ricchezze e della nostra cultura, evitando di polemizzare in continuazione. Quello che ci offre la nostra terra nessuno lo ha. Questo dobbiamo far capire ai ragazzi di oggi, devono riuscire a capire la propria terra”.
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SO FOOD Il cibo è cultura.
La cucina contemporanea, vanto di Londra, ha un interprete di eccezione, che ha portato l'Italia nel Regno Unito. Le sue origini pugliesi sono ben presenti nel menù del Bibendum, due stelle Michelin
di Paola Chiasserini
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SO FOOD E tu quanta Puglia metti nei piatti?
Come vedi un mix delle due culture (la parte francese e la parte italiana). Secondo me, infatti, il cibo riflette la persona, la sua identità e la sua cultura. Il cibo non è altro che lo specchio della nostra identità, della nostra personalità. Quando un cliente sceglie un ristorante, è perché vuole scoprire la personalità e la cultura dello chef. La cucina oggi è diventata più che mai scoperta di tradizioni, di culture”. Quale sarà quindi il futuro del fine dining? “L’alta cucina – continua lo chef - deve essere portatrice di un messaggio di cultura, deve trasmettere al cliente l’essenza del piatto, non il lavoro tecnico che lo chef ci mette, la ricerca dell’effetto wow, ma il prodotto usato, la sua origine, il territorio da cui proviene, le persone che lo hanno prodotto, la cultura di cui è un importante testimone. Il fine dining è il conduttore del messaggio di chi lavora (chi coltiva, chi pesca, lo chef, ecc). È importante far passare il messaggio di chi lavora dietro ad ogni singolo ingrediente di un piatto, della sua identità, trasmettendo la cultura del prodotto. Io vado a mangiare in quel ristorante perché voglio conoscere la cucina, l’identità e la cultura di quello chef”.
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“Cerco sempre di inserire qualche ispirazione che proviene dalla mia terra, mi viene in maniera automatica, senza che ci pensi troppo. Con il proprietario del ristorante (Claude Bosi ndr) all’inizio c’è stato uno scontro di vedute, io consideravo il ristorante quasi come un flagship della cucina francese, mentre volevo poter dare la mia impronta italiana. Con gli anni abbiamo iniziato a conoscerci, ad apprezzarci e a fondere le nostre culture. Ad esempio, io ho portato la cultura del mare e delle verdure (materie non troppe cotte o elaborate, per dare freschezza). Sono così riuscito a dare la mia impronta al menu. Come, ad esempio, in quello che considero il mio signature dish, creato due anni fa: la capra farcita con cannolicchi scozzesi, salsa di bietola di mare e patate cotte nella cenere.
Anche in Inghilterra state riscontrando i problemi con il personale che in tanti lamentano in Italia? “Si, anche qui abbiamo grossi problemi a trovare personale qualificato, soprattutto dopo la Brexit. A mio avviso è importante oggi far capire ai ragazzi cosa significa essere cuoco, e perché si sceglie di diventare cuoco. Quella “chiamata interiore” come mi piace denominarla. E per far sì che ogni ragazzo riesca a tirar fuori questa ispirazione, noi chef abbiamo l’obbligo di fare più formazione, non solo tecnica sul tipo di taglio, cottura ecc, ma anche formazione sugli ingredienti, sulla loro origine, su cosa significa sceglierne uno al posto di un altro. Dobbiamo far capire ai ragazzi che il cibo è specchio della loro identità, e nel cibo esprimono sé stessi, la propria personalità e i propri valori. Il cibo è cultura”.
SO WINE 1. Gli abbinamenti di Eros Teboni: è la volta del cervo 2. Podere Forte, la Val d’Orcia di Pasquale Forte 3. propostesubacqueo.l'affinamentoQuandoèDieciperl'autunno
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Geordie, George Gordon, marchese e conte
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SO PAIRING
Arte e letteratura celebrano da secoli il cervo come modello di nobiltà e purezza, a partire dalla densa simbologia del Cantico dei cantici dove il divino si rivela in un cerbiatto e la ‘cerva amabile… è la donna della tua giovinezza’. Non di meno la mitologia di Diana e i cicli medioevali bretone e del Sacro Graal, insieme a secoli di opere letterarie che attraverso l’apparire di un cervo incarnano il manifestarsi di Dio. Un immaginario che nella poetica del Petrarca, accomuna una candida cerva alla bellezza irraggiungibile della donna amata, tanto desiderata quanto assoluta. Il portamento regale del cervo e una certa aurea di mistero, ne connotano una sacralità che in alcune culture lo raffigura come mediatore tra il mondo terreno e di Eros Teboni
quello ultraterreno, tanto che per i Celti era il ‘toro delle fate’, tuttavia nelle favole di molti Paesi del mondo incarna la bontà, la fecondità e l’evolversi dei ritmi della vita, grazie al rinnovo periodico del palco, con un'unica eccezione, il cervo vanitoso e incauto della favola di Esopo, una delle pochissime rappresentazioni negative del re del bosco. Ma il cervo è anche una selvaggina pregiata, destinata alle mense reali, in epoche in cui pochi eletti detenevano il diritto di caccia su riserve vastissime, pena la morte. Ne troviamo traccia nella canzone
Il sommelier pluripremiato inaugura la collaborazione con So Wine So Food: un grande piatto e tre grandi vini. Perché il pairing è sempre trasversale
Gli abbinamenti di Eros Teboni: è la volta del cervo
Geordie che Fabrizio de Andrè compose nel 1966 adattando la versione di Joan Baez del ‘62, scritta su un’antica ballata britannica del XVI secolo che riconduce secondo alcuni storici, a un fatto realmente accaduto.
La selvaggina è una delle specialità dell’Alto Adige, come viene regolata la caccia al cervo e dove lo acquisti?
Per l'elevata qualità e affidabilità, preferisco per il nostro ristorante la carne di cervo del "Macellaio Steiner" di Rasun Anterselva”.
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Ed ora eccoci al piatto. La ricetta che Matthias ha preparato per noi, prevede la carne di una cerva matura, frollata dalle 36 alle 48 ore. I dorsi sono spogliati e rifilati, la pelle argentata rimossa, con le ossa e le guarnizioni si fa un jus di puro cervo, mentre la sella viene rosolata piccante, cotta a 80°C per circa 18 minuti, condita con erbe aromatiche e burro, lasciata riposare circa 15 minuti e rifinita con fleur de sal. Per gustare al meglio la preparazione ho pensato a questi tre vini che è stato divertente abbinare al cervo di Matthias, spero lo sarà anche per voi.
Tra le mie mete preferite per il cervo e la selvaggina, il ‘Lunaris 1964’ di Cà di Pietra, uno dei luoghi che identificano il mio ideale di ristorante gastronomico, dove mi piace lasciarmi guidare dalla creatività dello chef Matthias Kirchler, dalle sue notevoli abilità tecniche e dalla perizia nello scegliere gli ingredienti local. Un giovane chef classe 1993, nativo di Rio Bianco in Val Aurina, che si avvicina alla ristorazione nel rifugio alpino dei genitori, prima di intraprendere la scuola alberghiera di Brunico e capire che la sua professione è quella. Prima l’ingresso all’Hotel Linderhof di Cadipietra in Val Aurina, come apprendista, commis de partie, chef de partie ed infine sous chef, poi nel 2016 due anni di esperienze in importanti insegne dell’Alto Adige e dell’Austria, affinando la tecnica con corsi e master e nel 2018 di nuovo all’Hotel Lunaris Wellnessresort nel ruolo di chef di cucina, fino all’apertura un anno più tardi, del ristorante gourmet Lunaris 1964 (annesso all’hotel), solo 4 tavoli fino ad un massimo di 8 clienti con un menù di 12 portate in stile fine dining. Un’insegna che in soli due anni conquista i 3 Cappelli di Gault&Millau, le 3 Forchette di Falstaff, i 3 Cucchiai di Schlemmeratlas, i 3 Cappelli di Große Guide, segnalato come ‘Scoperta dell’anno’ fra i ristoranti dell’Alto Adige. Tutto si origina accanto al piccolo maso Niederlinderhof, casa natale di Johann Steger capostipite della famiglia, dove nel ’66 sorge la pensione Linderhof, che negli anni successivi sarà ampliata e nel 2000 sarà oggetto di una imponente ristrutturazione completata il 28 luglio 2018, quando viene inaugurato il nuovo Amonti & Lunaris, hotel luxury con un’area wellness di 6.000 m² e annesso il ristorante gourmet Lunaris 1964. Ma quale è la filosofia di cucina del Lunaris 1964? “Prima di tutto utilizzare i migliori prodotti della mia regione –conferma Matthias Kirchler –. Per farlo ho creato insieme
ai produttori locali un menù dove viene raccontata la valle Aurina – casa mia. Per me è molto importante cucinare ‘no waste’(no-spreco) e cerco di porre in essere un’economia circolare che prevede solo i prodotti della zona. A questo proposito ho creato un piatto che si chiama ‘goasroscht’, interamente dedicato a un piccolo artigiano di formaggi caprini, e un piatto con il formaggio grigio, il più tipico della nostra valle. Le radici sono importanti e cerco di prendere spunto dalle tradizioni culinarie di questa parte della regione, rileggendo vecchie ricette con tecniche moderne”.
di Huntly, rubò sei cervi nelle tenute reali e per questo fu condannato a morte da Giacomo VI, re di Scozia. Un cibo da re oggi destinato a una platea sempre più vasta di consumatori, che attraverso un efficace passaparola sanno dove andare a gustarlo.
“Grazie all'adattabilità del cervo, è diventata la specie ungulata più diffusa in Alto Adige. I cervi prediligono boschi misti con ricca flora arbustiva, radure, boschi e prati, che sono il loro habitat. La caccia inizia il 1 maggio e termina il 15 dicembre. La carne di cervo è molto tenera, magra, ipocalorica, nutriente, ed è molto apprezzata in Alto Adige. Dal fritto in padella al brasato, ai ragù, ci sono molti modi per cucinare il cervo.
Oratorio di San Lorenzo Inama – 2017
VINI IN ABBINAMENTO #7 - 2022 SEPTEMBER 29
SO PAIRING
Ritrovamenti archeologici nei pressi del castello confermano che già in epoca preistorica l’area era abitata, mentre il podere “Linticlar” viene menzionato per la prima volta nei registri ufficiali del 1225 d.C.. Un sauvignon che si presenta leggermente ridotto rispetto ai classici monovarietali alto atesini, una stilistica scelta e ricercata proprio dalla cantina stessa. Pietra focaia, sambuco, pesca, leggere note di polvere da sparo, un naso molto invitante con dei profumi che ricordano i grandi sauvignon dei cugini d´Oltralpe. Al palato minerale con un incredibile nota sapida, lungo sul finale e tagliente al punto da richiedere un piatto importante come questo, che ne fa un abbinamento ideale.
Un territorio dall’antica vocazione vinicola che risale ai Romani, dove Antonio Colombo, cardiologo di reputazione internazionale facendo di una passione un’attività, nel 2004 acquista 9 ettari di vigneti per inaugurare due anni dopo la nuova cantina. Un percorso che dal 2010 si giova della collaborazione dell’enologo Riccardo Cotarella e della guida sicura di Andrea e Paola che conducono la tenuta.
Sauvignon Blanc Vigna "Rachtl" Tiefenbrunner –annata 2019
Visitare la Tenuta Tiefenbrunner Castel Turmhof è un’autentica esperienza, un viaggio nella storia dell’Alto Adige del vino, dove Sabine e Christof, quinta generazione, hanno colto l’eredità e proseguono con la medesima passione del fondatore.
Alta Langa Rosè Brut Riserva – Cascina Pastori Colombo – 2016
Croccantezza, frutto, bacche rosse sempre presenti, eleganza e un buon gioco di sapidità moderata e abbondante mineralità, al naso impattante, in bocca dal perlage fine e delicato. Un ottimo abbinamento dove la rotondità e la sapidità del vino, ben si completa con la speziatura del piatto.
Un Pinot nero in purezza che rimane cinque anni sui lieviti e si origina da viti poste sulla collina di Bubbio nell’astigiano, a circa 250 metri. Il sorso ci stupisce per un riuscito equilibrio di struttura, freschezza e setosità.
Una famiglia giunta alla terza generazione, che da oltre mezzo secolo si dedica a produrre vini che rispecchino l’identità territoriale, fin da quando l’enologo Giuseppe Inama, acquista nel 1965 il primo vigneto sul Monte Foscarino nel Soave Classico. Ho scelto il Carmenére che nasce nel 2004 in una piccola valle rigogliosa sui Colli Berici un tempo abitata dai monaci, perché rappresenta la riscoperta di un’uva e di un vino antichi unica in Europa, che ci svela l’essenza di un vino elegante e raffinato, per certi versi insolito in questa tipologia di varietà. Piccoli frutti di bosco, finezza, eleganza, finale lungo e piacevole, dove la rusticità classica della varietà viene messa a tacere dal lavoro in vigna e in cantina, che è in grado di far emergere il frutto e la cremosità di questo vino. Un abbinamento per affinità, ottimamente riuscito, dove la parte speziata del piatto va a combinarsi perfettamente con il corpo e la struttura del vino, giocando di contrasto con il profumo dolce e fruttato dello stesso.
Grandi vini iconici, ma non solo, nella tenuta dell'imprenditore. Dal 1997 ha scelto le sinuose colline di questo lembo di Toscana per realizzare il suo sogno, esempio di sostenibilità ambientale di Giovanna Moldenhauer
L’incontro con i vini di Podere Forte è avvenuto presso l’Enoteca da 8tto a Senago, in provincia di Milano. Qui Giovanni Mazzoni, direttore commerciale, dopo un’introduzione sulle origini, sulle importanti figure che hanno supportato il suo fondatore, ci ha coinvolti in un racconto avvincente, seguito dalla degustazione dei vini più rappresentativi. “Il giorno – afferma Forte a chi visita il Podere per la prima volta – in cui misi piede in questo luogo, il primo passo mi fece vedere la meraviglia per la bellezza disarmante del posto, il secondo la visione 30 SWSF
Podere Forte, la Val d’Orcia di Pasquale Forte
SO WINE del divenire. Così questo Podere divenne la base per il mio ritorno alle radici, ristabilendo le fondamenta delle origini della mia famiglia che coltivava la terra in Calabria sin dalla fine del 1700. In onore alla tradizione ho dato, a questo luogo, il nome di Podere Forte”. Nella sua scelta è stato confortato da un team costituito da Luigi Veronelli, Attilio Scienza e Donato Lanati, quest’ultimo tutt’ora enologo consulente. Un altro riferimento importante del Podere sono le figure di Lydia e Claude Bourguignon, lei biologa, lui ingegnere agronomo, studiosi del suolo e fondamentali nelle loro analisi dei terreni di tutto Podere Forte, stabilendo così quale fosse il più adatto per la vite e quali varietà piantare, quale lo fosse invece per l’ulivo. Sin dall’inizio Forte ha voluto fare del Podere un sistema, una fattoria polivalente, un connubio integrato tra tanti sistemi. Il vino è il prodotto principale, seguito dall’olio, dal miele, con circa 270 ettari di seminativi, dove si coltivano antichi grani come Senatore Cappelli, il farro. Fattore complementare è l’allevamento con 40 capi di Cinta Senese, 20 capi di Chianina, tutti nutriti con prodotti biodinamici concimati con il compost utilizzato per tutte le coltivazioni agricole e trasformati dalla famiglia Spigaroli in pregiati salumi. Podere Forte è pertanto un sistema integrato ecosostenibile: il 60% dell’energia è autoprodotta, oltre al recupero pressoché totale di tutte le acque grazie a un impianto idrogeologico che fa confluire anche l’acqua dei tetti e delle strade in tre laghi artificiali che permettono di abbeverare gli animali, annaffiare il giardino e le barbatelle nei primi anni qualora fosse necessario. L’ambiente dove crescono le uve rispetta la biodiversità grazie alla coltura prossimale di uliveti, cereali, la presenza di boschi, pascoli e arnie per l’apicoltura che garantiscono l’impollinazione dei fiori e la migrazione dei lieviti autoctoni sulle bucce degli acini. Al Podere, sviluppato oggi su 500 ettari, dal 2004 è stato avviato il processo di certificazione biologica, completato nel 2008, anno in cui è iniziata la conversione alla biodinamica che ha richiesto altri 3 anni e ha portato la certificazione Demeter. Lo sono i vini, l’olio extra vergine, la semola integrale, mentre sono BIO il miele e la pasta. Una parte di 250 ettari si trova tra Pienza e San Quirico, dedicata al seminativo. L’altro lotto di 250 ettari si trova #7 - 2022 SEPTEMBER 31
A un rubino profondo, come il vino precedente, segue un naso complesso, intenso che apre sulla frutta piccola, poi il 32 SWSF
A Petrucci si trova la cantina edificata nel 2002 composta di 5 piani, di cui solo due in superficie, gli altri ipogei. Le uve, dopo la vendemmia selettiva, giungono al piano più alto della cantina per essere attentamente selezionate su nastri scorrevoli. La prima cernita avviene sui grappoli per osservazione e comparazione. Se il grappolo non risponde ai requisiti, viene scartato, divenendo così un goloso pasto per le cinte senesi. Tutti i nastri di selezione sono dotati di un sistema di lavaggio ed asciugatura continuo, per eliminare le impurità e impedire la proliferazione di microrganismi.
Il passaggio successivo della fermentazione avviene in modo spontaneo, in tini troncoconici e nei tempi che ogni vino richiede.
a Petrucci, davanti a Montalcino, dove il fiume Orcia separa le denominazioni Orcia appunto e Montalcino. I terreni sono posti ad altitudini che variano da 350 a 600 metri, dove spira una brezza continua, con escursioni termiche di 20 °C tra dì e notte. La ricerca di dove posizionare i vigneti, la preparazione dei suoli sono state impostate secondo un recupero dell’essenza toscana, valorizzando le millenarie pratiche enoiche della regione e portando all’eccellenza il vitigno autoctono della Val d’Orcia: il Sangiovese, da cui viene realizzato anche un Metodo Classico Blanc de Noir, seguito dal Cabernet Franc. Sono poi importanti il Cabernet Sauvignon, il Merlot, mentre gli ettari più recenti sono impiantati con varie varietà a bacca bianca. Dei 24 ettari vitati solo 13 sono in produzione. È stata identificata un’altra dozzina di ettari vocati e l’intenzione è di arrivare a 35 di vigneto in 10 anni. In campagna sono utilizzati i migliori mezzi tecnici, i più avanzati, performanti, a volte quasi sperimentali nel rispetto più totale della natura per aumentare la vita nel suolo. A Podere Forte la vendemmia avviene soprattutto per i vini più importanti in tre passaggi: dai primi grappoli raccolti in anticipo, al 60% della massa, per finire con i restanti finalmente maturi. A oggi sono prodotte circa 40-50 mila bottiglia all’anno. Si tratta di produzioni limitate con rese molto basse, frutto di una grandissima selezione. I Bourguignon hanno fatto un’ulteriore classificazione dei suoli in base alla composizione dividendoli in Grand Cru e Premier Cru. Nei primi le rese sono bassissime, e i vini qui prodotti sono profondi, complessi, strutturati. I vini Premier Cru, ossia Petruccino e Villaggio, sono più pronti.
La svinatura avviene per gravità e il vino è trasferito in barrique, tonneau e botti di legno di vario taglio scelti in base a ogni vino prodotto. Dopo tutte queste specifiche, importanti per evidenziare l’estrema cura sia in campagna che nei vari processi di vinificazione, oltre al racconto di Giovanni Mazzoni, la degustazione dei tre Grand Cru è stata davvero emozionante e in cui assolutamente si percepisce la cura maniacale in ogni passaggio riuscendo al tempo stesso a trasmettere la realizzazione del sogno di Pasquale Forte! I tre Gran Cru di Podere Forte: presentazione e degustazione Petrucci Anfiteatro Orcia DOC 2016 Nel 2008 nasce Vigna Anfiteatro, da vigne ad alberello, a 460 metri d’altitudine, in un contesto di caratteristiche uniche sia pedologiche che microclimatiche. Il vigneto di Sangiovese è lavorato con pratiche biodinamiche. Vinificato come unico Cru in un tino di rovere francese da 110 quintali appositamente studiato per Vigna Anfiteatro dove il mosto macera sulle bucce per 32 giorni, seguiti da una fermentazione malolattica spontanea. Affina poi in barrique di rovere francesi da 228 litri e tonneau da 600, di primo e secondo passaggio per 18 - 20 mesi L’affinamento in barrique di rovere francesi da 228 lt e tonneau da 600 lt, di primo e secondo passaggio per 20 - 24 mesi. Matura poi in bottiglia minimo per altri 24. A un rubino profondo segue un naso complesso e intenso di arancia rossa, poi un soffio balsamico, un tocco di rosa seguito da frutti piccoli e a chiudere spezie in secondo piano. All’assaggio svela la sua struttura seguita da tannini levigati equilibrati dalla freschezza, un ottimo equilibrio, intensità, con un retrogusto venato da note di arancia rossa, frutta piccola e a chiudere un tocco balsamico.
Petrucci Melo Orcia DOC 2016 Nel 2003 nasce Vigna Melo, che dall’alto dei suoi 525 – 541 metri, domina l’intera proprietà. Il vigneto di solo Sangiovese con viti ad alberello, su suoli con scisto fessurabile affiorante, con presenza di argille – che donano al vino più opulenza – gode di un suolo e di un microclima unico. Distante solo 200 metri da Anfiteatro è lavorato biologicamente e con pratiche biodinamiche.
Vinificato come unico Cru in un tino di rovere francese con fermentazione spontanea, con tempi di contatto sulle bucce sino a 35 giorni. Matura in botti di rovere francese, per 22 - 24 mesi, a cui seguono minimo un affinamento per altri 24 in bottiglia.
Guardiavigna Toscana IGT 2014
L’affinamento in bottiglia dura altri 15 mesi. All’esordio ha un rosso granato per poi passare a un naso di rara intensità che prima ha note di tabacco alternate al sottobosco, con note di eucalipto, ginepro, resina per sfumare sui frutti piccoli maturi tra cui ribes nero, mirtillo, marasca, su un finale speziato ebalsamico.
In paragone l’annata 2016, da solo Cabernet Franc, aveva nella degustazione olfattiva oltre alla frutta piccola note di radice di liquirizia, erbe aromatiche, cenni di sottobosco, erbe aromatiche, spezie e sfumature balsamiche. Strutturato, con una trama tannica ben integrata equilibrata dalla freschezza, per poi arrivare a un finale molto persistente.
Dal nome della piccola torre di guardia posta nel punto più panoramico del Podere, Guardiavigna è un vino biologico e biodinamico, certificato Demeter dall’annata 2011, diventato
All’assaggio è intenso, elegantissimo con tannini setosi, equilibrati sia dalla freschezza che da un tocco salino, per poi chiudere molto lungo con un ritorno balsamico.
tocco di arancia rossa, poi un soffio minerale di pietra focaia, poi di rosa e a chiudere spezie in secondo piano.
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dal 2016 espressione unica di Cabernet Franc. In questo millesimo è composto da Cabernet Franc 45%, Merlot 44% e Petit Verdot 11%. Il vigneto è piantato ad alberello, lavorato biologicamente e con pratiche biodinamiche. Le fermentazioni avvengono spontanee in tini di rovere francese con macerazioni differenziate per ogni vitigno con tempi di contatto sulle bucce sino a 35 giorni. Dopo la malolattica in botti di rovere francese quindi il vino matura in barrique di rovere francese di primo e secondo passaggio da 225 e 228 lt, dove il vino matura per circa 20mesi prima dell’assemblaggio finale.
In bocca svela la sua struttura, la sua suprema eleganza, con tannini levigati equilibrati da una decisa freschezza, un ottimo equilibrio, con un retrogusto venato da note di arancia rossa, frutta piccola, di balsamicità avendo un finale davvero molto molto lungo e restando così davvero emozionante!
Romagna Docg Albana ‘Squilla TenutaMantis’ Del Paguro
Zona: Bolgheri, Toscana; Uvaggio: 60% Sangiovese, 40% Merlot; Colore: Rosato con riflessi aranciati; Gradazione Alcolica: 12,5%; Al naso: Pesca bianca, scorza d’arancia, note speziate; Al palato: Fresco, sapido, rotondo; Affinamento: Immersione delle bottiglie nelle acque di Portofino ad una profondità di 52 metri per 6 mesi. di Adriana Blanc Uno sguardo attento sulle aziende che hanno scelto un processo di vinificazione particolare, che consente di mantenere vive le caratteristiche organolettiche dei vini 34 SWSF
Zona: Emilia-Romagna; Uvaggio: 100% Albana; Colore: Giallo dorato; Gradazione Alcolica: 14,5%; Al naso: Albicocca, scorza d’arancia, tè nero, noci; Al palato: Largo e morbido, grande freschezza e ottima sapidità; Affinamento: Immersione delle bottiglie nelle acque del Mar Adriatico ad una profondità di 25-30 metri per 12-18 mesi. Bolgheri Rosato UnderWater Tenuta2018 Campo al Signore
Sempre più spesso si sente parlare di affinamento subacqueo. Una tendenza che trova oggi ampio consenso nel mondo del vino, guardata con interesse dai produttori per i suoi evidenti vantaggi. Sostanzialmente si tratta di mettere ad affinare le bottiglie di vino sott’acqua, sia questa di mare o lacustre, a una profondità tale da offrire condizioni di invecchiamento ottimali, se non migliori di quelle offerte da una tradizionale cantina, specialmente nel caso degli spumanti. Sott’acqua, infatti, le bottiglie riposano a temperatura costante in un ambiente privo di luce, cullate dalle correnti che ne rimescolano continuamente i lieviti, quasi a simulare una sorta di ‘remuage’. Ruolo fondamentale, infine, lo gioca la pressione atmosferica, che limita lo scambio gassoso tra la bottiglia e l’ambiente circostante, facendo sì che l’anidride carbonica risulti meglio integrata e, la bolla, più fine. Ad oggi sono più di una trentina le aziende nel mondo che hanno optato per questo processo di affinamento, dando vita a ‘vini subacquei’ di ogni genere. Ecco le dieci che abbiamo scelto.
Quando l'affinamento è subacqueo. Dieci proposte per l'autunno
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Talamo a mare IGT 2018 Terre di Talamo
Zona: Alghero, Sardegna; Uvaggio: 100% Vermentino; Colore: Giallo paglierino con riflessi verdognoli; Gradazione Alcolica: 12,5%; Al naso: Ginestra, mela golden e crosta di pane; Al palato: Fresco e vivace, di corpo leggero; Affinamento: Immersione delle bottiglie nelle acque dell’Area Marina Protetta Isola Piana, ad una profondità di 40 metri per 12-24 mesi.
Trentodoc dosaggio zero "Lagorai" Romanese2015 Zona: Trentino-Alto Adige; Uvaggio: 100% Chardonnay; Colore: Giallo dorato; Gradazione Alcolica: 12,5%; Al naso: Mela cotogna, ananas, erbe aromatiche; Al palato: Elegante, sapido, strutturato, di grande persistenza e piacevolezza; Affinamento: Immersione delle bottiglie nel Lago di Levico ad una profondità di 20 metri per oltre 2 anni.
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Zona: Maremma, Toscana; Uvaggio: Blend di Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot e Syrah; Colore: Rosso rubino; Gradazione Alcolica: 14%; Al naso: Ribes rosso, chinotto, erbe officinali; Al palato: Corpo medio, tannini fini e rotondi, sapido; Affinamento: Immersione delle bottiglie nelle acque dell’Argentario ad una profondità di 35 metri alla temperatura costante di 16°, con permanenza di 12 mesi.
Spumante Extra dry ‘Akènta Sub’ Cantina Santa Maria la Palma
Spumante Metodo Classico Brut 'Abissi' 2017 Bisson Zona: Tigullio, Liguria; Uvaggio: Bianchetta, Cimixà e Vermentino in quantità variabili; Colore: Giallo paglierino; Gradazione Alcolica: 12,5%; Al naso: fortemente iodato e salmastro, tiglio e mela matura; Al palato: Intensa mineralità e freschezza bilanciata da un’elegante morbidezza.
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Sea Legend N5 Crusoe Treasure Zona: Bilbao, Spagna; Uvaggio: 100% Viognier; Colore: Giallo dorato con riflessi verdognoli; Gradazione Alcolica: 15,5%; Al naso: Melone, menta, tè nero, incenso; Al palato: Grande complessità e grande struttura, fresco e rotondo; Affinamento: Immersione delle bottiglie nelle acque della Baia di Plentzia per 15 mesi.
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Affinamento: Immersione sui fondali marini di Sestri Levante delle bottiglie contenute in gabbie di acciaio inox, ad una profondità di 60 metri e alla temperatura costante di 15°, con permanenza di almeno 18 mesi.
Navis Mysterium Undersea Amphora 2013 Edivo Vina Zona: Dalmazia, Croazia; Uvaggio: 100% Plavac Mali; Colore: Rosso rubino con riflessi porpora; Gradazione Alcolica: 14,5%; Al naso: Prugna, ribes nero, chiodi di garofano; Al palato: Fresco e succoso, con una bella sapidità e tannini rotondi molto fini; Affinamento: Immersione sui fondali marini in anfore di terracotta ad una profondità di 18-25 metri, per 12-24 mesi.
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Bianchi Zona: Ticino, Svizzera; Uvaggio: 100% Cabernet Sauvignon; Colore: Rosa corallo tenue; Gradazione Alcolica: 12%; Al naso: Fragoline di bosco, ribes rosso, vaniglia; Al palato: Vivace e cremoso, persistente; Affinamento: Immersione delle bottiglie nel Lago Ceresio ad una profondità di 25 metri.
Champagne AOP zero dosage “-52 Cloe Marie Kottakis, Limited Edition” Jamin Zona: Champagne & Liguria; Uvaggio: 100% Pinot Nero; Colore: Giallo paglierino con riflessi dorati; Gradazione Alcolica: 12%; Al naso: Cedro, pesca bianca, note balsamiche e iodate; Al palato: Grande freschezza, grande sapidità, assoluta eleganza; Affinamento: Immersione delle bottiglie nelle acque di Portofino ad una profondità di 52 metri per 12 mesi. -
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Spumante ‘Marà del Lago’
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UOMO DELLE STELLE 1. Vini e cantine. Come l’essenzacoglierne
Come coglierne l’essenza
Oggi le parole non hanno più importanza. A forza di scrivere con tag e hashtag stiamo finendo in quel vortice di omologazione che da tempo oramai domina. #enoturismo. Vi dice qualcosa? La verità è che abbiamo capito cosa può renderci popolari e usiamo questi “parametri” per raggiungere i nostri scopi. Le nostre visualizzazioni. Quanti, Saper comunicare il valore delle proprie produzioni è ormai un imperativo per le cantine. L'enoappassionato cerca qualità ed emozioni Di Uomo delle Stelle 40 SWSF
UDS Vini e cantine.
UOMO DELLE STELLE
in quest’estate di fuoco, hanno raggiunto mete per il solo gusto di approfondire o limare le proprie conoscenze? Sicuramente in tanti. Sicuramente in pochi. Tra i due sicuramente c’è proprio quel mare di hashtag che ci ha permesso il posizionamento desiderato. Quello che mi accingo a fare spesso è osservare. L’ho fatto anche in un mio percorso presso una famosa cantina. Ho osservato il bello, il miracolo dell’agostamento e dell’invaiatura. Ho osservato dentro di me il miracolo che di lì a poco andremo a degustare nei calici. Ho osservato, ahimè, pecche e limiti nell’enoturismo che vorrei valutare qui con voi. Ma ho osservato le persone intorno a me. Tutto era necessario filmarlo nel giro di 60 secondi, perché questo è il tempo assoluto dei social. Questa sembra essere l’importanza reale dell’esperienza. Ma partiamo dalla prima cosa che spesso può accadere quando si fa visita a una cantina. L’organizzazione e la possibilità per gli ospiti di vivere al meglio l’esperienza della cantina stessa sta nella speranza dell’ospite di poter fruire di annate passate. Almeno
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questa è la prospettiva che la gran parte degli enoturisti coltiva in serbo. Spesso però questo non avviene, limitando la degustazione e la conoscenza a una manciata di annate: ultima onnipresente fino a un massimo di 4-5 millesimi indietro. Non è accettabile oggi, conoscere le sfumature e i cambiamenti del tempo è parametro necessario per comprendere l’evoluzione stessa della cantina. Inoltre, la possibilità di degustare il proprio passato dovrebbe essere peculiarità stessa dell’azienda: i tesori spesso non si vendono! Altra assenza che spesso è fin troppo presente, è l’incapacità magari spesso strutturale, da parte della cantina di “offrire” un percorso anche sul territorio circostante: il vino è espressione del territorio. Comprendere, toccare con mano la biodiversità su cui si ergono le vigne, significa entrare in un calice che possiamo ben comprendere, raccontare e soprattutto, ricordare. Spesso accade anche che a raccontare il luogo, non è l’attore principale, ma una comparsa. Mi spiego. È bello ascoltare il racconto, ma viverlo è un altra cosa. Se a raccontare la cantina è chi ne fa parte, tutto ha un altro sapore che si riempie di sfumature che in noi diventano emozioni. La distanza tra chi produce e chi vuole saperne (e poi comprarne) dovrebbe essere accorciata. Tutto questo poi, si riempie di social e di hashtag. Ma veramente c’è il bisogno da parte di aziende di voler essere veicoli di becere visualizzazioni? Ma veramente il primo canale giusto è quello di uno smartphone? Eppure, gli occhi, il naso e la bocca sono ancora oggi gli unici giudici che testimoniano della grandezza o meno di un vino. E il processo, almeno mi auguro, oggi è nel totale silenzio. L’Italia ha i suoi monumenti anche nel vino. L’Italia però deve riuscire a superare se stessa, sfidando l’idea di avvicinare più che allontanare. Restiamo sempre i maestri dell’accoglienza, del buon vivere e del buon bere. Restiamolo fino in fondo.
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ALBERTO'S CHOICE
Ci sono tutti gli elementi per il successo: la cucina di uno chef appassionato e rigoroso, lo stile e la lucidità dei titolari, una sala gestita con perizia. E una location mozzafiato, sulle rive del lago di Como ualcuno lo ha definito “il gigante buono”, un po’ per la sua presenza ma soprattutto per la sua generosità in cucina, per quel suo essere sempre disponibile, senza staccare mai se non a risultato raggiunto. In effetti, Carmelo Sciarrabba, cuoco sognatore visionario ma in realtà profondo conoscitore delle regole e delle tecniche di cucina, è una “macchina da guerra”. Quando i proprietari dell’Acquadolce, il fascinoso ristorante sulle sponde del lago di Como, a Carate Urio, lo hanno intercettato lo scorso anno, per Carmelo si è aperto un nuovo mondo. E, dopo tante esperienze e peripezie, ha coronato il suodi Alberto Schieppati
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diilAcquadolce,sognoCarmelo
Dice Carmelo Sciarrabba: “Se un tempo puntavo molto sull’estetica del piatto, oggi ho spostato l’attenzione sul gusto. Parto dalle possibilità della materia di essere la vera protagonista del piatto, che sappia toccare le corde delle emozioni, che dia il senso più autentico del gusto”.
lime, Martini, Agnolotto, parmigiano, pomodoro, mozzarella di bufala, Riso, borragine, lumache, semuda (un formaggio valtellinese), zafferano.
sogno: trovare un luogo in cui avere mano libera, in un contesto di confronto aperto e stimolante con i titolari dell’attività. Irina Kutiaghina ed Ezio Cecconi, grazie allo stile con cui conducono il loro ristorante, vedono in Carmelo un partner prima che un dipendente, un alleato con cui confrontarsi ogni giorno. Il loro imperativo è offrire all’ospite una cucina caratterizzata, espressione della linea personale dello chef.
Piatti mai banali, figli di una filosofia che vede al centro il cliente, la capacità di saperlo ascoltare, in cucina e in sala. Per arrivare al punto fondamentale: il primato del gusto.
La gestione del cliente, d’altronde, è il leitmotiv di Acqudolce. In aiuto di questa volontà precisa, Irina e Carmelo hanno pensato a un menù preciso nelle descrizioni dei piatti, che vengono definiti con il nome principale, seguita da tutti gli altri ingredienti che lo compongono. Qualche esempio: Spaghettone di Gragnano, carota viola, bottarga di lago, pane croccante, Tortello, verdure, scampi, cocco,
Piatti chiari e netti, che non indulgono alla descrizione di localismi modaioli ma che puntano sulla pienezza del gusto, si raccontano da soli…
Intuire la soddisfazione del cliente è sempre incoraggiante, ma altrettanto pronti bisogna essere nel saperne cogliere eventuali incomprensioni, necessità, richieste particolari. E Ciro è l’uomo giusto per la sala, sia che abbia a che fare con clientela straniera sia che debba interagire con le pretese della clientela locale, comasca, milanese o del vicino Canton Ticino.
E aggiunge: “Lo chef non deve dire ‘guardatemi! Vedete quanto sono bravo?’, non deve costruire piatti destinati a stupire per la loro ampollosità ma, viceversa, che 46 SWSF
Anche per questo hanno scelto un maitre di razza, Ciro Della Ragione: un professionista vecchia maniera che capisce al volo il cliente e ne sa interpretare le esigenze, i bisogni, persino i pensieri, quando è necessario.
ALBERTO'S CHOICE I numeri Cucina: ........................ 9 Vini: ............................. 8 Servizio di sala: .......... 9 Location: ..................... 10 Atmosfera: .................. 9 Totale: 45/50 Dove Acquadolce Lake Como Restaurant Via Regina vecchia, 26 22010 Carate Urio (Co) Tel. 031 info@ristoranteacquadolce.it400260 #7 - 2022 SEPTEMBER 47
In menù troviamo infatti piatti come la Vera costoletta alla milanese, il Filetto alla Rossini, la Caesar Salad: nomi che possono sembrare datati, ma che Carmelo riesce a rendere contemporanei grazie a una selezione attenta degli ingredienti e a una reinterpretazione corretta, aliena da sperimentalismi inutili.
Non a caso, la carta ha la sezione “Grandi classici”, in cui Carmelo Sciarrabba lascia trasparire le sue passate esperienze di chef d’hotel, dove le classiche table d’hôte erano ricche di piatti classici, spesso di ispirazione francese, lo chef ha sempre avuto grande attenzione alla classicità.
siano capaci di emozionare, anche per il loro heritage nascosto”. E ancora: “Credo nelle contaminazioni, ma ancora di più nell’equilibrio del piatto”.
Fra i dessert, citiamo il Cheesecake e la tradizionalissima Miascia, sono un validissimo motivo per ritornare all’Acquadolce, cullati dalle attenzioni di Irina e dai piatti superlativi di Carmelo.
Ma attenzione, Carmelo riesce ad abbinare slancio creativo a ricerca sulle tecniche, fino a fermentazioni non estreme ma coerenti e compatibili con una linea di cucina moderna. “La tecnica deve essere al servizio della materia prima, e non viceversa”, dice Carmelo mentre, in tavola, servono un piatto che non si dimentica: Gambero rosso, pomodoro giallo, stracciatella di latte vaccino, pane casereccio, basilico. Insieme a Trota, Fassona, Faraona, Uova, compone la ricca proposta di antipasti.
La tazzina di caffè: un rito irrinunciabile Nella torrefazione modenese di Coffeeshare vengono proposte le migliori miscele, studiate per le esigenze di una clientela raffinata 48 SWSF
Passione degli italiani, da sempre, il caffè ha sicuramente trasformato il modo di vivere e, nonostante le mode e le scelte alternative, il rituale del caffè è una consuetudine.
“La mia passione per il caffè è innata –commenta Mattia Pirredda – e, poco alla volta, ho approfondito il tema scoprendo delle sfaccettature uniche. Ho frequentato dei corsi di formazione che mi affascinavano sempre più perché ho scoperto un mondo.
è freschissimo e non viene conservato o stipato nei magazzini perché teniamo alla qualità, produciamo e immettiamo subito sul mercato. Questo è un altro punto di forza in quanto l’aroma ha un sapore unico e non si perde la qualità”.
È cultura allo stato puro. Da noi il caffè
Un altro dettaglio che amo sottolineare è legato alle azioni di marketing: noi lavoriamo sul prodotto e non sui dettagli legati al merchandising. Quest’ultimo è un aspetto su cui non puntiamo in quanto è il contenuto della tazzina il punto di forza.
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Sei le miscele proposte per rispondere al palato dei clienti, a ciascuno il proprio terroir perché, anche per questa bevanda, la provenienza è tutto: “In Italia il gusto è cambiato molto, vanno di gran moda le “tazzine alternative”, da degustare anche come take away, ma i nostri clienti restano fedeli all’espresso classico che gioca su miscele di altissimo livello.
Nella nostra torrefazione serviamo solo delle miscele selezionate con grande attenzione”.
Ventisei anni lui, trentadue lei, dal 2016 hanno infatti investito in una torrefazione che facesse sognare i propri clienti, che facesse apprezzare la bevanda più conosciuta nel mondo, ma nelle sue accezioni più profonde. La nuova sede è studiata non solo per creare aggregazione e per servire un ottimo caffè, ma anche per proporre dei corsi e dei percorsi di degustazione.
Un ultimo aspetto su cui lavoriamo è legato al prezzo della tazzina, soprattutto in questa jungla di gioco al ribasso. Noi, prima di tutto ci chiediamo cosa vuole il cliente e cos’è disposto a spendere per una buona tazzina, la risposta è implicita: la qualità, per cui possiamo proporlo a un prezzo differente in quanto abbiamo un sacco di persone affezionate che, mai e poi mai, ci abbandonerebbero per risparmiare pochi centesimi”.
Ogni mese infatti ne viene proposta una con combinazioni di chicchi e, a breve, saranno introdotte delle nuove proposte con un plus in più: la tracciabilità.
Il classico espresso? Non è un gioco, ma un’arte per chi lo prepara e un desiderio irrinunciabile per chi lo degusta. Ne sono certi i proprietari della boutique di Vignola, in provincia di Modena, Mattia (Responsabile Produzione) e Jessica (Responsabile Marketing) Pirredda che, dopo alcune esperienze professionali in altri ambiti, hanno deciso di realizzare un sogno: un’impresa che proponesse il caffè nelle sue eccezioni filosofiche.
La nostra versione si differenzia per la composizione che va da un 100% arabica a una declinazione di varianti con una miscela robusta. Sembrano dettagli, ma fanno la differenza”.
Oltre al bancone della caffetteria, da cui si può seguire la produzione, un’esposizione di piccole gioie per il palato, delle chicche di gusto con le nicchie dell’enogastronomia italiana. Vengono proposti infatti degli olii particolari, tavolette di cioccolato esclusive, biscotti da abbinare ai caffè e ai momenti di relax, tisane, marmellate, riso e aceto. Interessante l’Academy dedicata all’apprendimento dei segreti che si nascondono dietro a ogni tazzina di caffè. Mattia, infatti, invita i propri ospiti ad approfondire e, per questo, vengono mostrate in torrefazione le varie tecniche per servire il caffè. Nello stesso spazio la possibilità di approfondire le estrazioni a filtro che esaltano i sapori e fondamentali per comprenderne la cultura. “Per me è un’arte trasferire il sapere –continua il proprietario della torrefazione – perché capisco che sono gli stessi clienti a essere interessati e, soprattutto, curiosi di scoprire cosa viene proposto in una tazzina.
COFFEESHARE
Da Coffeeshare anche la miscela dell’anno.
“Siamo sicuramente in pochi ad avere introdotto questo fattore che riteniamo vincente. È un’altra strategia per assicurarci un mercato di altissimo livello. – conclude Mattia - Le nostre miscele sono riservate solo a una fascia di mercato di altissimo livello, una scelta che ci ha premiati nel corso di questi primi anni di attività.
Parternship We love to work and collaborate with interesting companies. Let’s have a cup of coffee together (at least a virtual one) and talk about the creative opportunities about becoming a partner of So Wine So Food. Distribution So Wine So Food is available in many amazing hotels, restaurants and cellars across the world. All rights reserved SETTEMBRE 2022 n07 Per proporre una collaborazione o richiedere un'intervista scrivi a info@sowinesofood.it o telefona allo 06 91516050 To propose a review or request an interview please send an email to info@sowinesofood.it or call 06 91516050 So Wine So Food ha sede in via Roccagiovine 245, 00156 Roma Stampa: Aziende Grafiche Printing Srl - Via Milano 3/5, 20068 Peschiera B. So Wine So Food è una testata giornalistica registrata Iscrizione al Registro Stampa del Tribunale di Velletri (Roma) n°10/2016 del 13/05/2016 Direttore responsabile: Alberto P. Schieppati