#4 - 7 TH YEAR MAGAZINE MAY 2022
LA RISTORAZIONE ESCE DAL TORPORE ED È INNOVAZIONE VERA
THE EDITORIAL
SO WINE SO FOOD Redazione Via Roccagiovine 245, 00156 Roma Tel. 06 91516050 Via Mosè Bianchi 22, 20149 Milano - info@sowinesofood.it - www.sowinesofood.it · PUBLISHER Stefano Cocco · PRESIDENT Elva Begaj · DIRECTOR Alberto P. Schieppati ART DIRECTOR Simone Colasante CHIEF EDITOR Miriam De Vita SOCIAL & WEB STRATEGIST Matteo Kot SOCIAL MEDIA SPECIALIST Giorgio Di Maurizio WEB MASTER Simone Portaro PRESS OFFICER Martina Suez SALES MANAGER Andrea Ragusa ARTICLE WRITERS Adriana Blanc Lorenzo Braschi Daniele De Nicola Paola Chiasserini Rocco Lettieri Andrea Matteucci Giovanna Moldenhauer Tommaso Motterlini Florinda Pavone Giovanna Romeo Gualtiero Spotti TRANSLATORS English: Marcos Ghaly French: Francesca Zeppieri Spanish: Samanta Ghaly Arabic: Ahmed Abdeldaim Russian: Nataliya Shkykava PRINT Aziende Grafiche Printing Srl
COMUNICAZIONE
DIRECTOR
Alberto P. Schieppati
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Come uscire dall’impasse
andemia, siccità, guerre: se qualcuno, solo a fine 2019, ci avesse descritto un simile scenario, non gli avremmo creduto. Invece è accaduto tutto e di più. A questo vanno aggiunte, nella ristorazione e nell’hotellerie, la mancanza di personale qualificato, “migrato” verso altre attività, la crescente disaffezione al lavoro, ritenuto spesso privo di prospettive, la generale rassegnazione che si insinua fra le giovani generazioni. E ancora: riscaldamento climatico, energia, gas, tariffe ecc. ecc. Si salvi chi può, viene da dire. In realtà, lo scenario non è così apocalittico. Le risorse dell’Italia e della sua variegata offerta sono molteplici e possono essere il volano della ripresa. Il Made in Italy, il “gusto italiano”, è il punto di forza da cui ripartire. La ristorazione saprà risollevarsi e tornare alle performance pre-covid. Ad alcune condizioni, fra le quali: 1) Insistere seriamente sulla formazione del personale. 2) Liberare talento e intuizioni, senza la presunzione di avere ragione. 3) Sottoporre a verifica ogni decisione, per non correre rischi inutili.
4) Saper intercettare bisogni, gusti e tendenze, differenziando l’offerta e lavorando sempre al massimo della qualità. 5) Non improvvisare mai, riflettere prima di agire. Su questo punto vi rimando alla recente serie televisiva dell’Uomo delle Stelle, in cui -attraverso dieci puntate in onda su Sky Uno- ha preso in esame con raffinata sagacia, vizi, tic e difetti dell’offerta di ristorazione. Una visione introspettiva di grande aiuto per il settore. 6) Creare connessioni, anche con altri segmenti (moda, lifestyle, turismo ecc.). 7) Non fidarsi troppo della finanza o dei fondi. Spesso gli investimenti sono fluttuanti e discontinui. 8) Non mitizzare il concetto di start up. Il successo dipende soprattutto da voi. 9) Diventare scopritori di realtà, anche sconosciute, in cui il valore (della materia prima e delle persone) è al primo posto. 10) Imparare a raccontare quello che fate, cercando di affascinare l’interlocutore. Regole, queste, che richiedono volontà, passione, conoscenza. In una parola, CULTURA. Chi la teme, o pensa sia qualcosa di astratto e complicato, è forse meglio che cambi prospettive…
direttore@sowinesofood.it
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Lisbona, capitale del gusto, si reinventa sempre Gualtiero Spotti
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A Casa Perrotta il friariello si veste da sera Miriam De Vita
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L’esclusivo Manna Resort in Alto Adige Giovanna Moldenhauer
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Giuseppe Molaro, l’ultimo samurai parla italiano Miriam De Vita
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Stagionalità e ricerca, al Cà Mia regna la passione Rocco Lettieri
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L’Hurlo di Garbole, stile e identità APS
La vie en rose: 10 vini rosé Adriana Blanc
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Roberto Proto, la cucina elegante APS
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Bistrò e stellati: cosa fa la differenza? Uomo delle Stelle
ALBERTO'S CHOICE
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SO FOOD 1. Lisbona, capitale del gusto, si reinventa sempre 2. Giuseppe Molaro, l’ultimo samurai parla italiano 3. A Casa Perrotta il friariello si veste da sera 4. Stagionalità e ricerca, al Cà Mia regna la passione 5. L’esclusivo Manna Resort in Alto Adige
Lisbona, capitale del gusto, si reinventa sempre La città portoghese è in eterno movimento. Nuove aperture, da Kabuki fino all’Epic di Francesco Francavilla, lo chef laziale di grandi esperienze internazionali
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oche capitali europee dimostrano di avere il dinamismo o la capacità di reinventarsi e proporre nuove esperienze gastronomiche come accade invece a Lisbona ormai da diverse stagioni. La capitale portoghese, pur avendo vissuto con notevoli difficoltà gli anni della pandemia, e non avendo ancora ripreso del tutto il trend positivo da destinazione turistica tra le più ricercate in Europa, che aveva intrapreso prima del 2020, mantiene pur sempre vivo uno spirito 8 SWSF
creativo e una voglia di mettersi in gioco davvero encomiabile, come dimostrano le nuove aperture che si susseguono nel corso anche solo degli ultimi mesi. Così si sono affacciati in città indirizzi di cucina italiana e asiatica, i quali sono andati ad aggiungersi a un corposa lista di ristoranti capaci di diversificare l’offerta di cucina tradizionale lusitana, e che in molti casi hanno coinvolto anche importanti cuochi stellati. Ma andiamo per ordine. Una delle aperture più attese e significative è stata quella, recentissima, di Kabuki, filiale portoghese del ben noto
brand spagnolo presente a Madrid (con stella) e a Valencia, che ha sempre messo in campo un mix di cucine tra Oriente e Mediterraneo dove tartare, nigiri, sushi, maki e temaki la fanno da padrone. Oggi, con l’indirizzo di Lisbona, curato dall’esperto cuoco Andrés Pereda, che da quindici anni lavora per il gruppo Kabuki, ci si spinge più verso l’Oceano Atlantico, con la materia prima locale a far timidamente capolino tra le pieghe di un menù di alta qualità dove i rifornimenti, almeno all’inizio, parlano ancora molto la lingua spagnola e
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le relazioni con i produttori iberici. Certo, ci sono i Carabineiro con sushi rice, ma anche il Tonno con pane e pomodoro (Pa amb tomaquet) alla moda spagnola, il Lombo gallego con chimichurri e la Wagyu. Insomma, materia prima eccellente, in un ambiente dal rigore asiatico suddiviso in tre ambienti e su tre livelli. La grande sala principale, sotterranea, con il banco per osservare i movimenti dei cuochi in presa diretta, il bar al primo piano per approfittare di una squisita mixology, di piattini bento e di un’esperienza gastronomica più agile e, infine, la sala al secondo piano destinata a full immersion da degustazione, che hanno spesso come protagonista un'unica materia prima selezionata, dal tonno al merluzzo, passando per l’anguilla o i gamberi. Ma come detto, anche la cucina italiana sta prendendo piede a Lisbona, con, ad esempio il nuovissimo ristorante Allora, ospitato all’interno dell’Epic Sana Hotel di Marques de Pombal. Il cuoco, Francesco Francavilla, origini laziali ma un passato speso in buon parte in India come responsabile di ristoranti d’albergo, è arrivato da poche settimane e 10 SWSF
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ha già dato un'impronta di solida cucina del Bel Paese a tutto gusto, con in primo piano piatti classici e riconoscibili ma anche qualche intrigante mix con i prodotti locali d’eccellenza. La sala, nuova, con cucina aperta e a vista, si accompagna a un ampio angolo bar e l’intero ristorante trasuda di mediterraneità, con un'offerta ampia e divertente, che passa dalle ottime paste a piatti di carne e pesce alla griglia, dal gelato all’italiana a un'ampia scelta di vini. Un’idea di cucina comfort con stile che in poco tempo ha già raccolto le adesioni di un nutrito gruppo di estimatori locali che frequentano il ristorante soprattutto nelle ore serali complice anche l’ambiente vivace e un po’ internazionale. Infine, vale la pena 12 SWSF
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spingersi nel quartiere un po’ periferico di Campo Pequeno per provare la cucina di Fogo, il secondo ristorante del cuoco stellato portoghese Alexandre Silva. Come si evince dal nome, il core business qui è la cucina a fuoco vivo, nel forno o alla griglia, indistintamente di carne o di pesce. La formula è se vogliamo piuttosto semplice, ma di grande presa e indubbio gusto: fuoco e proteine animali in un’idea di cucina ancestrale, diretta, senza misteri e facendo uso rigoroso di prodotti organici locali, con il piacere della condivisione al tavolo, in stile
un po’ rustico. Da non perdere, tra gli altri, i gamberi dell’Algarve, i cannolicchi e l’ottimo pane fatto in casa. Anche qui, in un trend ormai diffuso, si passa attraverso le scelte di cocktail di un bar all’ingresso del ristorante o pescando in una bella carta dei vini. Ormai da un paio di stagioni Fogo rappresenta una delle esperienze gastronomiche indiscutibilmente più brillanti di Lisbona, sempre se non siete vegetariani… Gualtiero Spotti #4 - 2022 MAY 13
Giuseppe Molaro, l’ultimo samurai parla italiano Ritorna a Napoli lo chef di Heinz Beck che portò la cucina italiana a Tokyo
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n’antica leggenda racconta che il primo imperatore del Giappone un giorno si arrampicò sul monte più alto. Da qui, osservò la sua immensa terra e la vide simile a una libellula. La libellula simboleggia, nell’immensa cultura giapponese, ieri e oggi, vittoria e coraggio. Simbolo di chi guarda sempre avanti, la libellula fu scelta dai samurai come simbolo di coraggio: impressa sui loro scudi, la libellula spaventava il nemico e guidava alla vittoria. Partire da così lontano per raccontare di uno chef non è semplicemente un modo per introdurlo. È provare a fare il suo stesso giro del mondo. Quello che è l’anima del suo ristorante. Quelle Contaminazioni che hanno fatto di Giuseppe Molaro, il piccolo drago della cultura gourmet. La sua è una cucina che si riempie di potenza, equilibrio e liberazione, di una forza che è piena consapevolezza del proprio fuoco interiore. La sua sperimentazione è una ricerca a 360 14 SWSF
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gradi che porta i suoi piatti a superare le illusioni e a varcare dimensioni inesplorate. Eppure, Giuseppe Molaro oggi ha solo 37 anni. Quella mattina di anni ne aveva molti di meno. Una mail di conferma lo aspettava al varco di un mondo nuovo. La valigia piena di cose calde, l’avrebbe confortato in quell’Irlanda così fredda e lontana da casa. “Se oggi sono qui, lo devo a mio padre”. Questo è il ringraziamento che costantemente guida l’intervista che ci ha profondamente arricchiti. Il Signor Molaro Senior con lungimiranza imprenditoriale pose al giovane Giuseppe da una parte la scelta di una possibilità unica e dall’altra un orizzonte di grande fiducia e speranza. “Ebbene, sì, -ci dice- è stato mio padre a lanciare nel mondo il mio curriculum, affinché potessi ricevere una formazione tale da portarmi a una certa elevazione. Italia, Spagna, Francia ma solo nel meglio delle loro proposte. Ebbi nemmeno una settimana per tornare dall’Irlanda a casa e ripartire per la Spagna alla volta della cucina di Santi Santamaria. Una sorpresa! Una cucina che mi catapultò in un mondo nuovo. La voglia di imparare mi accompagnò dal primo giorno. Inizialmente il mio posto non era in cucina. Solo alla terza settimana ci misi piede. Ecco davanti a me sfilare la vita che avrei voluto fare”. Ferran Adrià aveva già da tempo segnato la sua rivoluzione, Santi Santamaria era ancora l’altra opzione. Ma Molaro voleva di quella rivoluzione sentirne il sapore uscire dalle sue mani. Iniziò a cercare chi potesse dargli quella opportunità. La risposta gli fu offerta da un colloquio con Hainz Beck. Il giovane Davide aveva trovato il suo grande Golia: la sfida di una cucina innovativa del tutto diversa da quello che aveva scoperto nella #4 - 2022 MAY 15
tradizionale Spagna. Sacrificio e mancanza dei suoi affetti più cari fu l’altra faccia della medaglia con cui dovette fare i conti. Ma la posta in gioco era troppo alta: l’apertura di un ristorante di Beck a Tokyo. Molaro tira le somme e sceglie fortemente di andare in questa terra di materie prime e tecniche sconosciute. Ma prima ci fu ancora un po’ di Italia, il Portogallo e Dubai. “Ero lì, ero arrivato in terra nipponica -ci racconta- e dopo aver sbrigato faccende burocratiche, entro in un ristorante. Era tutto buio, il menù indecifrabile! Così scelsi ad occhi chiusi”. Ma non si aspettava che ad aprirsi in quell’attimo sarebbe stata la sua mente: “Scoprii sapori del tutto nuovi, sapori che da quel momento iniziai a rincorrere e ad amare”. Poi ci fu l’inaugurazione del progetto di Beck. Nel giro di poco, Molaro si trova Chef del ristorante gourmet: “Non dormivo la notte, sentivo la responsabilità di tenere alto il nome di Beck e non avevo nemmeno 30 anni!”. Dopo pochi mesi, arrivarono le soddisfazioni e i riconoscimenti. Giuseppe ha gli occhi azzurri come il grande mare di Napoli che se non ci stai attento, in quel grande mare che gli sbatte in petto, ci rischi di cadere. Quello stesso mare che lo ha riportato a casa, in cui ha sempre creduto. Quello stesso mare che lo ha riconsegnato alle sue radici. Aprire in un posto segnato da una quasi maniacale fede alla tradizione partenopea, portare qui la sua filosofia di cucina e i suoi piatti così “lontani” non è stato facile. Ne era ben consapevole, ma l’idea di scegliere proprio Somma Vesuviana rientrava in quel grande progetto di vita che come un cerchio ha chiuso e aperto il suo destino. Oggi, Contaminazioni è meta non solo di quegli stessi napoletani che poco ci hanno creduto, ma anche di appassionati che arrivano da diverse zone dell’Italia. Contaminazioni apre a novembre 2019. Ma poi arriva la pandemia. Giuseppe Molare a stare fermo 16 SWSF
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non ci sta. E continua a esplorare il mondo delle fermentazioni e non solo portando a compimento ogni giorno la sua ricerca: aceto di aglio nero, di ananas, di miele di acacia, di minestrone (nato proprio durante la pandemia), di pane, garum di selvaggina e tanto tanto altro che racconteremo a breve su So Wine So Food. Oggi è stata la sua più grande scommessa, il suo coraggio e la sua vittoria sul nemico, la pandemia. E se un piccolo posto nascosto alle pendici del Vesuvio, oggi ha una stella che brilla, lo si deve a questo samurai che come la libellula ha guardato sempre in avanti. E oggi come un samurai, continua a lottare con inciso sul suo scudo, sul suo ristorante, la libellula che guarda sempre avanti, che protegge il grande drago che è in lui. Miriam De Vita #4 - 2022 MAY 17
A Casa Perrotta il friariello si veste da sera Fantastica semplicità di sapori e di gusti, nel ristorante di Cernobbio dei fratelli campani che hanno saputo reinventare con stile e carattere i piatti regionali
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Quel ramo del lago di Como”. È così che inizia uno dei colossi della letteratura italiana. Amata e odiata, Manzoni crea la sua opera partendo da un posto preciso per condurci poi nelle sfumature di altre dimensioni. No, non siamo impazziti né vogliamo trattare di questioni letterarie. Ma, dobbiamo ammetterlo, è quello che in un certo senso abbiamo vissuto nella nostra esperienza al Ristorante Casa Perrotta. Magari spostando l’asse a ovest, rispetto
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al “ramo manzoniano” (quello di Lecco), arrivando fino a Cernobbio, nel primo bacino, quello di Como. Erano le idi di un marzo ancora freddo. Davanti a noi c’era lo scorcio di quello stesso lago che fu delle pagine del Manzoni. Sopra di noi un cielo grigio ci porta dritti in un luogo fatto più di ogni altra cosa di anima sciolta. Una piccola insegna, Ristorante Casa Perrotta e già dalle vetrate tirate a lucido sbirciamo cosa stia lì ad aspettarci.
Già. Casa Perrotta. Ed è qui che veniamo accolti. A casa. La sala ci sussurra di una delicata eleganza, che non ci allontana, ma anzi, ci avvicina e ci introduce a un’esperienza senza uguali. Il sorriso di un’atmosfera intima ne è il leitmotiv. Ci accomodiamo, accompagnati da Giulia Bottino, che con grazia e diligenza ci racconta pian piano, con gentilezza, di questa Casa. Lo chef Daniele Perrotta è in cucina a preparare le nostre valigie al via di un viaggio
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formidabile, mentre a raccontarci quei nuovi ricordi è Sossio Perrotta, in sala con Giulia. Una cucina che sa di antico, di memoria e di nuovo. Una cucina che vuole raccontare e raccontarsi. Alla base della quale vi è incondizionatamente l’ospite, elemento centrale di ogni attenzione. A Cernobbio abbiamo assaggiato la Campania nelle sue sfumature più elevate, in un territorio, a pochi chilometri da Como e dalla Svizzera, che ha altre sfumature. Una cucina, quella campana, che nel mondo si è imposta per i piatti che ora ne raccontano ancora la sua eternità. Eppure, a Casa Perrotta, questa Campania emerge in un’aura del tutto nuova. E chi mette piede qui, fin dall’aperitivo, sa cosa andrà a degustare. “La nostra è una cucina che sa delle nostre origini, -commenta Sossio- ed è così che anche il nostro piatto di casa per eccellenza, salsicce e friarielli, eseguito con tecniche all’avanguardia, nel #4 - 2022 MAY 19
pieno rispetto della materia, può essere elevato a un’altra dimensione”. Ed è vero! Daniele Perrotta offre ai suoi friarielli la possibilità di vestirsi da sera e partecipare da protagonisti al galà della sua eccellenza. Il Risotto salsiccia e friarielli con pop corn di cotenna di maialino, tutto abbracciato da una delicata (e non è poco) fonduta di provola, è la riprova di quanto 20 SWSF
Sossio vuole dirci. La foglia cristallizzata del friariello racchiude l’anima di quell’amaro che il popolo napoletano vuole sempre ritrovare nel grande piatto, ma che allo stesso tempo ha una certa delicatezza tale da non sfuggire alla nostra attenzione. Ed è questa l’apoteosi di Casa Perrotta: gli opposti non si incontrano né si attraggono, ma si fondono in una nuova avventura del gusto.
Stesso discorso per il Vitello arrostito con il suo fondo, servito con misticanza e scarola marinata all’aceto. Semplicità non è immediatezza, ma ricerca e studio attento. L’immediatezza viene appena dopo. Come il pane! Prima il profumo e poi il morso. Ed è anche dal pane che Daniele Perrotta riesce a creare, che restiamo piacevolmente sorpresi: l’idratazione è data dal succo di pomodoro, senza aggiunta di altra acqua. La lievitazione è affidata solo al lievito madre. Eccellente. Casa Perrotta ha un coraggio fuori dal comune e si vede anche nella carta dei vini. Sarebbe facile riprodurre nelle proposte “quella” certa cantina. Loro no. Hanno voglia di cercare e ricercare. Un bell’equilibrio fondato anche su realtà più emergenti e meno conosciute e di certo da ricordare. A Casa Perrotta si ha solo una grande sensazione, quella di sentirsi a casa di una famiglia partenopea che accoglie e che offre dalla sua dispensa solo le cose più genuine e più buone, eseguite al meglio delle possibilità, con talento e rispetto per la materia e i suoi sapori. Questo è quello che abbiamo trovato a Cernobbio e, in chi scrive, vivo è riemerso il ricordo di una bambina che di quella casa, di quella genuinità e di quell’amarezza gustativa dei friarielli è così cresciuta, con tanto pane ovviamente! Tutto questo ci lascia dentro una considerazione sulla quale mi piace soffermarmi: è bello sedersi a una tavola in cui prevale il lusso della semplicità e smettere di ricercare esperienze super gastronomiche, spesso solo di facciata, perlopiù fatte di sola tecnica e poco cuore. A volte, invece, è bello ritornare e tornare a fermarsi. Per scoprire una cucina fatta di memoria e di sapori che hanno caratterizzato, senza bisogno di voli pindarici, l’essenza stessa della vita. Miriam De Vita
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Stagionalità e ricerca, al Cà Mia regna la passione
Una coppia di amici che hanno fatto della professione la missione di vita. In questo modo hanno rivoluzionato l’offerta di un’area, la Brianza, gastronomicamente “timida”
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l Lago di Alserio è una location perfetta per scoprire la natura in Brianza. Bacino d’acqua compreso all’interno del parco regionale della Valle del Lambro. Il verde intorno alle sponde del lago è caratterizzato da numerosi percorsi escursionistici, perfetti per gli amanti del trekking in una zona campestre con alberi secolari, dal sapore antico e anche un po' “pittorico”. Quanti hanno intenzione di mantenere una buona forma potranno infatti scatenarsi lungo l’anello che circonda il lago praticando dello sport immersi nel verde e tra gli animali.
Ville, lavatoi, casolari, opifici sono tutti da ammirare nel loro splendore, dato che essi raccontano secoli di storia e cultura che si sono sviluppati in questo magico angolo della Lombardia. Tutta questa prolusione per dire che nella zona alta di Alserio troviamo un locale, conosciuto in paese per molti anni come pizzeria, che da Settembre dell’anno scorso ha aperto i battenti: il Ristorante Cà Mia. Inserito in una bella location con giardino e parcheggio privato, è una villetta che si sviluppa su due piani con ampi spazi estivi per potersi gustare il fresco delle alte piante
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e poter essere serviti di piatti dalla grande griglia a vista. La ristorazione interna è dislocata su due piani, in quattro salette per un massimo di 60 coperti, ben distanziati. Il benvenuto vi viene dato da ambienti luminosi ed eleganti, regalandovi il sapore di un'esperienza gastronomica di ottima cucina sfornata da due giovani chef, amici per la pelle, (Simone Tanzi e Guglielmo Curcio) che si sono ritrovati in questo angolo di paradiso, offrendo un menù ricercato e in continuo sviluppo, dove sono le materie stesse le protagoniste dei piatti. La loro filosofia sta in poche parole: “Ogni singolo ingrediente per noi è importante, per questo cerchiamo costantemente la qualità in quello che adoperiamo, nel pieno rispetto della natura e seguendo la disponibilità dei prodotti secondo le stagioni. La stessa filosofia che abbiamo in cucina si riflette anche in cantina, con una carta vini ricercata e in continua evoluzione, frutto di idee e riflessioni per dare vita ad accostamenti mai banali e
sempre diversi”. Simone è figlio d’arte, il papà Antonio ex chef ora è qui a fare da supervisore. Questa passione ha portato Simone a intraprendere da giovane la professione di cuoco (che negli anni gli ha permesso di poter vantare esperienze importanti come George Blanc, Davide Caranchini e Antonia Klugmann) mentre il fratello Alessandro, pur avendo un’altra attività, la sera è presente in qualità di sommelier ed estensore della carta dei vini dove potete scegliere bottiglie di ogni regione d’Italia con qualche offerta francese della Champagne, della Loira e della Borgogna; inoltre si trovano anche vini della Slovenia, di Germania, del Canada e Nuova Zelanda. I prezzi sono davvero “onesti” e si può anche trovare sei vini offerti al bicchiere. In cucina l’alter ego è Guglielmo Curcio (anche lui ha 27 anni come Simone ed anche lui è cresciuto da Caranchini, ristorante Materia, Stella Michelin in Cernobbio); in sala responsabile è il giovane Gianluca molto attento anche al servizio dei vini.
L’offerta è variegata e segue come detto le stagioni. L’elencazione dei piatti è minimalista e quanto vi suggeriamo è stato ripreso dalla nuova carta invernale proposta dalla settimana scorsa. Durante la mia visita mi è stato servito il Menù Ricordo di Francia: Amuse bouche; terrina di animali da cortile; lumache in verde; gateau di fegato; pollo allo Champagne e come dessert: chartreuse, carota e yogurt. Il pane e i grissini sono fatti in casa e serviti con burro salato. Una prima visita che è stata piacevole e che certamente va ripetuta, ma con la convinzione che questi giovani troveranno di certo la loro giusta via per potersi esprimere al massimo delle loro capacità offrendo una cucina leggera, gustosa e territoriale con quel tocco “francesizzante” che tanto piace agli ispettori della Rossa. Un indirizzo destinato a crescere in una zona che ne ha davvero tanto bisogno. Rocco Lettieri #4 - 2022 MAY 23
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L’esclusivo Manna Resort in Alto Adige Incontriamo Maria Luisa Manna per andare alla scoperta del suo resort, un luogo d’eccezione che si candida a essere il nuovo hot spot dell’Alto Adige, sito a pochi km da Bolzano
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l resort a 5 stelle, nato sulle ceneri di una vecchia segheria, è perfettamente inserito nell’habitat alpino/ mediterraneo, in completa armonia con ciò che lo circonda, secondo il progetto architettonico di Klaus Gummerer dello studio Pichler Projects di Bolzano. Un progetto a basso impatto ambientale che ha contemplato nella sua realizzazione l’utilizzo di rame, ottone, legno e pietra locale, nel pieno rispetto della natura e del luogo, per realizzare un angolo segreto ai piedi delle montagne, dall’eleganza discreta, dove il ritmo scorre lento e tutto trasmette energia, equilibrio, pace. La struttura principale, con tetti erbosi per mimetizzarsi coi prati tutt’intorno, si sviluppa su più piani. Al piano terra oltre alla reception #4 - 2022 MAY 25
dove oltre all’importante bancone, al soffitto dall’effetto tridimensionale realizzato in noce canaletto, all’originale libreria totem, si trovano alcune suite a tema nazioni del mondo come spiegheremo dopo. A lato si trova il ristorante con la sua terrazza, il bar, lo spazio gourmet e una sala lettura. Al primo piano invece si trovano altre suite, mentre al secondo piano una sala polivalente (per meeting di lavoro, sessioni di yoga o meditazione), il centro fitness con vista sulle montagne e la Spa tutta nera e oro con tanto di tisaneria e saune panoramiche, dalla quale, percorrendo un breve tratto nel bosco, si raggiunge il Manna Medical, uno dei fiori all’occhiello del resort. Ma non solo all’esterno della struttura principale si trovano la piscina, una biopiscina e tre esclusivi chalet per una privacy assoluta. Dal nostro sopraluogo possiamo confermare che è un luogo dalla forte identità, con 26 SWSF
una spiccata vocazione al benessere del corpo e dello spirito. Una vera oasi lontana dai clamori e dallo stress che nasce dalla passione per la Thailandia, la sua cultura, il buon cibo e soprattutto la profonda conoscenza e la cura del corpo umano. Da qui la volontà di dar vita a uno spazio che metta il ‘well-being’ e la cura dell’anima al centro del suo pensiero. “Questo resort – ci racconta Maria Luisa – è la realizzazione di un sogno che da tempo coltivavo. L’ho concepito come una struttura di eccellenza per il turismo della zona, con un obiettivo: quello di lasciare agli ospiti, dopo il loro soggiorno, il desiderio di ritornare perché qui si sentono come a casa. Quindi l’ho interpretato mettendo in ogni singola situazione, a completamento degli arredi, pensati e concepiti per quell’uso, un insieme di molti oggetti e di arredi da etnici, scovati nei miei viaggi in giro per
il mondo, a vintage, che ho raccolto nel corso degli anni. Spesso i mobili sono davvero particolari come un tavolo ovale di fine ‘800 proveniente da un convento polacco – sito ovviamente nell’omonima sala del ristorante e dove posso prendere posto gruppi da 20 commensali – dove alle pareti tra tutti campeggia un grande pannello di Riccardo Schweizer, a me molto caro, oltre ad altre opere d’arte. Un grande aiuto è stato quello che mi ha dato Enrico Moretti, interior design, per la scelta dei due soffitti in legno della reception e del Ristorante Orangerie, oltre a personalizzare tutte le suite”. Proseguendo poi “Andreas Punter, soprannominato Andi, è stato molto importante per me nella realizzazione del Manna dato che molte idee sono nate anche con lui e da lui”. Ora veniamo all’Orangerie ristorante concepito come un raffinato jardin d’hiver con tanto di piante che ‘cadono’ dall’alto, in un mood thailandese, un bistrot moderno in cui protagonisti sono i piatti della tradizione italiana, soprattutto quella regionale del Sud, reinterpretati in chiave creativa dallo chef Manuel Astuto e dalla sua brigata di cucina internazionale. Lo chef, concorde con Maria Luisa, grande appassionata di cucina, ha fatto un focus sulla materia prima, fondamentale per ottenere piatti semplici, genuini, eleganti, in cui riscoprire il sapore originale degli ingredienti di una volta: dalla pasta fresca, rigorosamente fatta in casa, al pane, alla piccola pasticceria, nel segno dell’eccellenza. La carne arriva dal Piemonte, gli agnelli invece dalla Sicilia, le verdure dai piccoli produttori locali: da ogni regione il miglior prodotto per creare piatti ‘signature’ che siano riconoscibili e soprattutto apprezzati per la loro genuinità. Un esempio? ‘Come se fosse una parmigiana di melanzane’, rielaborazione creativa della ricetta classica, ma anche linguine al pomodoro, risotto con zucca e capesante, entrecôte con cime di rapa e sedano o
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branzino al vapore con arancia e finocchio. Una “cucina creativa, di buon senso e di sostanza”, come ama definirla chef Astuto, che è frutto di una passione innata e di una ricerca costante mescolate a ricordi di sapori e profumi d’infanzia. Un ritorno al passato per costruire una nuova identità culinaria, quella del resort e di Manuel Astuto che, dopo 10 anni come executive chef dell’Hotel Laurin di Bolzano, sta effettuando un nuovo percorso di ricerca gastronomica che dalle radici altoatesine vira verso una spiccata mediterraneità, fatta di sapori veraci, colori vivi, profumi decisi. Primi della tradizione, carni, pesci e verdure cucinati ‘come una volta’ seguendo ricette e metodi di cottura tradizionali. Contrasti e armonie che convivono in piatti spesso serviti e porzionati al tavolo. Non solo. Oltre alla cucina a vista, lo chef ha anche uno ‘chef ’s table’ per soli 6 ospiti proprio accanto ai fornelli, dove fare sinergie con chef nazionali e internazionali per cene a quattro mani e serate a tema. All’interno dell’Orangerie, si trova poi, anche la Sala Convento che descriveva poco sopra Maria Luisa, per un’esperienza di gusto esclusiva. Maria Luisa ci confida poi “Sofia, mia figlia, ha seguito la sua passione per la cucina e di conseguenza lavora al Manna, con la supervisione di chef Astuto”. Riprendendo poi “Non appena avremo tutte le persone per completare il team in cucina e nel ristorante, cosa non semplice in questo momento, apriremo anche il Luisa Gourmet”. È uno spazio esclusivo in perfetto stile Luigi XIII con parquet a lisca di pesce, boiseries color crema, pannelli neri e oro, poltroncine di velluto chiaro con rifiniture gold, specchi anticati e soli 4 tavoli sistemati intorno al grande tavolo centrale con il piano in marmo rosso: è questa la ‘Wunderkammer’ dello chef Astuto, una stanza delle meraviglie in cui poter esprimere al meglio la sua creatività sperimentando con la sua cucina curiosa e aperta al mondo, piatti 28 SWSF
da sinistra andi punter, klaus gummerer,maria luisa manna ed enrico moretti
che raccontano viaggi, scoperte e influenze attraverso originali menù da 5, 7 o 9 portate, per un giro del mondo gastronomico, dalla Thailandia alla Spagna, dal Nord Europa all’Italia, per cene davvero esclusive dato i soli 16 posti in cui poter gustare al meglio quell’incrocio di sapori e materie che fanno della cucina di Astuto uno degli highlights del resort. Super selezionata la scelta dei vini, custoditi sia in una teca refrigerata così come in una preziosa cantinetta, chiusa da immense porte indiane di fine ‘800. A gestire la carta è Cristina Iuculano, Head Sommelier, che l’ha improntata molto sul Pinot Noir, vitigno che l’appassiona, sia fermo che in versione Metodo Classico, proveniente da ogni parte del mondo. Le suite, di cui accenniamo poco sopra, raccontano di Africa, Giappone, Russia, Arabia, Lapponia, Francia, Svezia.... Queste sono solo alcune delle 15 località che definiscono le altrettante suite e junior suite del resort, dai 35 ai 43 mq di ampiezza, tutte dotate di sauna privata e terrazza, con una grande vetrata che lascia lo sguardo libero di spaziare sull’incantevole paesaggio
delle Alpi e della Valle dell’Adige. Sono 15 piccoli scrigni pieni di ricordi di viaggio e suggestioni che ricreano le atmosfere di luoghi vicini e lontani: arredi, oggetti e materiali per stanze tematiche davvero uniche. Sono tre invece gli esclusivi chalet, dai 53 ai 74 mq, che il resort ha pensato per chi vuole vivere un’esperienza di totale privacy e relax. Due nella natura, appena davanti alle rocce di porfido, con accesso privato alla biopiscina; il terzo sopra le rocce, immerso in una flora prevalentemente mediterranea e in parte alpina. Tutti e tre con sauna privata e interiors di raffinata eleganza. La Manna Spa è un ambiente raffinato, ispirato dall’amore per la Thailandia, con forti richiami all’Oriente: dagli arredi ai profumi, dalle musiche alle tecniche di massaggio ai trattamenti eseguiti da un beauty team. Un menù spa che mette al centro la persona e si prende cura del corpo e dell’anima con massaggi Thai, programmi Ayurvedici, trattamenti specifici che si avvalgono di moderne tecnologie abbinate a prodotti dai principi attivi più funzionali. Inoltre, sauna finlandese,
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biosauna, calidarium, bagno turco, bagno mediterraneo, docce emozionali, idromassaggio, piscina interna/esterna e una piccola biopiscina balneabile. Tante le zone relax, eleganti e silenziose, e una tisaneria. Il Manna Medical è un vero e proprio centro medico, unico e innovativo, dove prevenzione, diagnosi precoce di malattie e un’attenta analisi del proprio stato di salute sono i punti fondamentali dell’approccio olistico e terapeutico del Dottor Anton Obrist per proporre una terapia individuale creata su misura del paziente, percepito nella sua totalità e unicità. In linea con i principi della moderna cura F.X.Mayr (il Manna Resort sarà l’unico centro in Italia) e il potere curativo di una medicina in equilibrio con le leggi della natura, il Dr. Obrist propone
percorsi di salute che mirano a rafforzare l’apparato digerente e l’intero organismo, a depurare a fondo il corpo da sostanze tossiche, a scoprire tramite modifiche allo stile di vita un modus vivendi più sano da seguire anche una volta tornati a casa. Durante la nostra visita abbiamo constatato l’effettiva esclusività del progetto perfettamente inserito nella
natura circostante, la speciale atmosfera dell’Orangerie, la bravura di Manuel Astuto espressa in piatti che sono opere d’arte da gustare. Ma soprattutto siamo partiti con il desiderio di tornare, per godere della speciale atmosfera di benessere che è senza dubbio uno dei segreti del Manna Resort. Giovanna Moldenhauer #4 - 2022 MAY 29
SO WINE 1. L’Hurlo di Garbole, stile e identità
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2. La vie en rose: 10 vini rosé
So Wine So Food The Magazine of italian taste
L’Hurlo di Garbole, stile e identità Espressione di vini “unici e irripetibili”, i grandi rossi dei fratelli Finetto rappresentano un’icona di eccellenza a livello internazionale
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opo una visita in cantina, con relativa degustazione di Hatteso, Heletto, Hestremo e, sopra tutti, Hurlo, si esce con una certezza: i vini di
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Garbole sono (e quindi dovrebbero essere percepiti) come qualcosa di unico, qualcosa che nel mondo del vino forse non è mai esistito. Ma perché? Garbole, con i suoi grandi rossi, Hurlo in
testa, è fuori dagli schemi e dalle vecchie logiche, culturali e produttive. I suoi vini sono ritenuti da chi li sceglie espressione di puro godimento e in quanto tali vengono poi posizionati nei segmenti di ristorazione
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ritenuti più coerenti con questo messaggio, oltre ad essere sempre presenti sulle tavole private degli enoappassionati più esigenti. L’obiettivo dei fratelli Ettore e Filippo Finetto, i patron di Garbole, a Tregnago (Vr), è quello di trasmettere il concetto che Garbole è un brand che, pur percepito come filiazione diretta dei suoi artefici, è in grado di esprimere non tanto l’unicità di un territorio, quello di Garbole, quanto, soprattutto, la filosofia che ne sta alla base. In questo senso, Garbole non vuole mettere l’accento della propria narrazione sugli aspetti tecnici dei propri vini, ma soprattutto sulla gradevolezza e sul piacere che la degustazione di questi grandi rossi importanti evoca in chi vi si avvicina. Nessuna analisi, nessun approfondimento, nessuna storia particolare.
Solo passione, passione pura. Qualcuno sicuramente obietterà, ponendo l’accento sulla necessità di essere informati anche su aspetti più tecnici, dai quali emergano le caratteristiche dei vini. Ma questa legittima richiesta è -in un certo senso- elegantemente bypassata dai Finetto, soprattutto quando si parla di Hurlo. Dicono i Finetto: “Hurlo rappresenta la massima espressione del nostro modo di intendere il vino. L’appassimento dell’uva Corvina, regina delle uve della Valpolicella, e di altre 4 uve autoctone veronesi, dà origine a un vino ricco, corposo, concentrato e soave”. Non a caso, Hurlo viene prodotto, in edizione limitata, solo nelle annate più vocate. Ogni singola bottiglia è numerata è accompagnata da un certificato di autenticità. Da Hestremo, il Recioto della Valpolicella
docg, fino a Hatteso, l’Amarone della Valpolicella Riserva docg, a Heletto, fino appunto a Hurlo,il percorso di ricerca di Garbole è caratterizzato dalla esaltazione della purezza della materia e dalla evoluzione delle sue espressioni. “Non c’è necessità di storia o storie per un prodotto entrato nella leggenda”, sostiene Ettore Finetto. E la leggenda parla da sola, attraverso lo stile del prodotto, senza bisogno di giustificazioni di sorta. La cosiddetta “domanda di mercato” è un concetto che non sembra essere al primo posto, nel caso dei vini di Garbole. La clientela di Garbole è di altissima qualità, consapevole della unicità del cosiddetto Fattore H, un’espressione attorno a cui ruota l’eccellenza produttiva dei vini dei Finetto. Una clientela concentrata sul valore dei #4 - 2022 MAY 33
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prodotti, disposta a investire sull’esperienza gustativa, senza alcun limite. “Nel senso che non è il prodotto a doversi adattare alle esigenze dei clienti, modificandosi e valutandone le opinioni, ma semmai è il prodotto stesso ad imporsi”, ribadisce Filippo Finetto, in virtù di concetti non codificabili secondo le regole riduttive del vecchio marketing, ma che viceversa crea aspettativa, curiosità e carisma intorno al proprio nome, amplificandone l’unicità e il prestigio. Dalle parole e dagli sguardi dei fratelli Ettore e Filippo Finetto, traspare una punta di orgoglio per i consensi ottenuti nelle più selettive degustazioni, ma anche per le continue, incessanti richieste da parte di una clientela privata alto-spendente. Garbole sembra dunque essere sempre più la risposta a un desiderio inevitabile, al bisogno di emozioni e aspirazioni profonde che fanno del brand anche uno strumento di riconoscibilità sociale. “Io non cerco Garbole per la sua storia, ma perché risponde a dei bisogni relazionali, oltre che alla realizzazione personale di ambizioni estreme”, sottolinea Ettore, enfatizzando una certezza sempre più diffusa nella clientela. “Garbole sarà sempre più un brand unico e customizzato, scelto da chi ama il lusso personale e esperienzale”, gli fa eco Filippo. I vini di Garbole, e Hurlo in particolare, sono dunque destinati a una nicchia super elitaria, che nella gerarchia dei consumatori occupa il posto più alto, per ricerca del meglio in ogni settore. È una nicchia che non ha l’esigenza di dare una risposta a bisogni concreti, necessari ma, viceversa, basa le proprie scelte su valori come emozione, sentimenti, “pride” (orgoglio, appartenenza). E sul sentirsi parte di una nicchia molto selezionata che preferisce godere piuttosto che dimostrare di appartenere a una cerchia di “pseudo-esperti”. APS #4 - 2022 MAY 35
La vie en rose: 10 vini rosé
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a qualche tempo i vini rosati sono sempre più apprezzati e diffusi sulle tavole degli italiani. Sfatati i miti che li dipingevano come ‘vini prettamente femminili’, ‘non adatti all’invecchiamento’ o, peggio, ottenuti ‘mescolando a casaccio vino bianco e rosso’, la loro identità è stata finalmente riaffermata e oggi se ne producono di ogni genere e tipo. La parte del leone la fa ancora la Francia, specialmente la Provenza, con i suoi noti vini dal tenue color buccia di cipolla, ma ormai anche in Italia si vinifica in rosa in ogni angolo della Penisola. Una palette di colori allegra, che va dalle tonalità più delicate dell’oro rosa fino al deciso richiamo color ciliegia del chiaretto, che riflette nei calici i metodi più svariati di vinificazione e affinamento. Cade in errore chi pensa che essi si addicano soltanto all’orario dell’aperitivo: eventuali passaggi in legno, soste sui lieviti spesso lunghissime e, più in generale, l’accurata filiera che si cela dietro a ogni etichetta, danno vita a vini diversissimi tra loro per struttura e percezioni gustoolfattive, adatti a ogni momento della giornata e del pasto. Da nord a sud, senza dimenticare la vicina Francia, ecco dieci vini rosati, fermi o spumantizzati, che vi faranno vedere “la vie en rose” dopo averli assaggiati.
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Le bollicine: 1. Spumante Metodo Charmat Rosé 'Bollamatta'
Bibi Graetz
Zona: Toscana; Uvaggio: 100% Sangiovese; Colore: Rosato con riflessi ramati; Gradazione Alcolica: 12,5%; Al naso: Piccoli frutti rossi, pompelmo rosa, macchia mediterranea; Al palato: Vivace ed equilibrato, con una bella sapidità; Un piatto in abbinamento: Sushi e sashimi; Lo consigliamo: Perché questo spumante da Metodo Charmat è ideale per i momenti di convivialità all’insegna del buon bere. 2. Lambrusco di Sorbara Metodo Classico Brut ‘Rosé’ 2021
Cantina della Volta
Zona: Emilia-Romagna; Uvaggio: 100% Lambrusco di Sorbara; Colore: Rosa tenue con riflessi color cipria; Gradazione Alcolica: 12,5%; Al naso: Fragolina di bosco e rosa antica, lampone e melograno; Al palato: Fresco, sapido, rotondo, elegante; Un piatto in abbinamento: Tortellini alla panna fatti a regola d’arte; Lo consigliamo: Perché la versatilità del vitigno e la sosta sui lieviti di almeno 41 mesi, lo rendono un vino da abbinare al pasto a tutto tondo.
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3. Franciacorta Rosé Pas Dosé ‘Bokè Noir' 2015
Villa
Zona: Franciacorta, Lombardia; Uvaggio: 100% Pinot Nero; Colore: Rosa antico; Gradazione Alcolica: 12,5%; Al naso: Ribes, agrumi, erbe aromatiche; Al palato: Minerale, cremoso, elegante; Un piatto in abbinamento: Spiedo bresciano; Lo consigliamo: Perché l’assenza di dosaggio permette di apprezzare, intatto nel calice, il territorio. 4. Franciacorta ‘DØM Rosé’ Riserva Metodo Classico
Mirabella
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Zona: Franciacorta, Lombardia; Uvaggio: 60% Pinot Nero, 25% Pinot Bianco, 15% Chardonnay; Colore: Rosa antico; Gradazione Alcolica: 12,5%; Al naso: Ribes, pepe bianco, crosta di pane; Al palato: Vivace, avvolgente, equilibrato; Un piatto in abbinamento: Bollito misto con mostarda di frutta; Lo consigliamo: Perché i 100 mesi trascorsi sui lieviti lo rendono adatto ad ogni occasione.
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5. Champagne Brut ‘Rosé Reserve’
Charles Heidsieck
Zona: Champagne, Francia; Uvaggio: 34% Chardonnay, 33% Pinot Nero, 33% Pinot Meunier; Colore: Oro rosa; Gradazione Alcolica: 12%; Al naso: Frutti di bosco, noce moscata, crema pasticcera; Al palato: Cremoso e avvolgente, fresco ed elegante; Un piatto in abbinamento: Una bella pizza; Lo consigliamo: Per bere un ottimo Champagne a un ottimo prezzo. #4 - 2022 MAY 37
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I vini fermi: 1. Valtènesi 'RosaMara' 2021
Costaripa
Zona: Lago di Garda, Lombardia; Uvaggio: 50% Groppello, 30% Marzemino, 10% Sangiovese, 10% Barbera; Colore: Rosa tenue; Gradazione Alcolica: 13%; Al naso: Pesca bianca, melograno, fiori di biancospino; Al palato: Fresco, sapido, equilibrato, con una piacevole chiusura amaricante; Un piatto in abbinamento: Casoncelli al burro e salvia; Lo consigliamo: Per un’occasione in cui si punta sull’eleganza. 2. Cerasuolo d'Abruzzo 2020
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Zona: Colline Teramane, Abruzzo; Uvaggio: 100% Montepulciano; Colore: Rosa chiaretto; Gradazione Alcolica: 13%; Al naso: Ciliegia, melograno, note speziate; Al palato: Fresco, sapido, nitido, di grande pulizia; Un piatto in abbinamento: Pallotte cacio e ova; Lo consigliamo: Perché l’incredibile pulizia di questo vino – biodinamico – è cosa rara e memorabile.
3. Toscana IGT Rosato ‘Syrosa’ 2019
Stefano Amerighi
Zona: Toscana; Uvaggio: 100% Syrah; Colore: Rosa corallo; Gradazione Alcolica: 11,5%; Al naso: Frutti di bosco, note vinose e speziate; Al palato: Croccante, fresco, di ottima beva; Un piatto in abbinamento: Zuppa di pesce; Lo consigliamo: Perché è il vino perfetto per la quotidianità.
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4. Etna Rosato 2020
Tenuta delle Terre Nere
Zona: Etna, Sicilia; Uvaggio: 100% Nerello Mascalese; Colore: Rosa buccia di cipolla; Gradazione Alcolica: 13%; Al naso: Ciliegia, pompelmo, grafite; Al palato: Un bell’equilibrio tra rotondità, freschezza e sapidità; Un piatto in abbinamento: Caponata siciliana; Lo consigliamo: Perché è estremamente versatile e gastronomico.
5. Aoc Côtes de Provence Rosé ‘Garrus’ 2020
Château d'Esclans
Zona: Provenza, Francia; Uvaggio: Grenache, Vermentino, Syrah; Colore: Rosa buccia di cipolla molto tenue; Gradazione Alcolica: 14%; Al naso: Albicocca, frutto della passione, pepe bianco; Al palato: Cremoso, avvolgente, fresco e sapido; Un piatto in abbinamento: Pollo alle erbe di Provenza; Lo consigliamo: Perché è uno dei rosé più conosciuti al mondo, da provare almeno una volta. Adriana Blanc
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UOMO DELLE STELLE 1. Bistrò e stellati: cosa fa la differenza?
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Bistrò e stellati: cosa fa la differenza?
Semplicità e immediatezza alla base delle scelte "inseguite" dai celebrity chef. Ma la clientela è sempre in grado di districarsi fra le diverse formule di offerta? 42 SWSF
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istrò. Ultimamente mi sono ritrovato a riflettere su cosa è oggi esattamente il bistrò. Perché? Molto spesso i grandi chef decidono di aprire
una versione più easy del loro ristorante ricorrendo alla formula bistrò. Da qui già potremmo avanzare una proposta di definizione del bistrò odierno. Semplicità e immediatezza. Semplicità nella proposta
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del menù, immediatezza nell’usufruire di un tavolo. Ma alla base di questa scelta, cosa c’è davvero? Forse l’intento è quello di aprire un ventaglio più ampio all’interno della propria clientela? Forse, restando su un'aurea più filosofica, c’è la volontà dei grandi di sentirsi più vicini a noi comuni mortali? Forse, semplicemente, c’è la volontà di dare della propria offerta più varianti per vendere di più, perché anche di questo si tratta. Non è, la mia, una critica negativa, anzi! Chapeau alle grandi menti imprenditoriali che stanno dimostrando quanto l’Italia stia risalendo la china grazie proprio al loro impegno. Che una cena stellata costi un occhio della testa è un dato di fatto ed è una delle poche cose giuste che ci sia su questa terra! Un piatto stellato ha il suo costo perché per arrivare davanti a noi deve seguire un percorso ricco di dettagli che non possono essere elusi dalla sua finale esecuzione (materie prime 44 SWSF
ricercate, tovagliati, fiori freschi, locale di un certo livello e chi più ne ha più ne metta). Ecco perché spesso, l’alternativa a questi dettagli (non a tutti) è la formula bistrò dove gli chef possono dedicarsi alla ricerca ma senza costi eccessivi. Voglio fare un esempio: Giancarlo Perbellini ha da poco aperto un (altro) locale low cost, Osteria Mondo d’oro. L’offerta del pluristellato chef propone in una combinazione di due piatti più dessert una spesa che va dai 30 ai 50 euro. Se Casa Perbellini resta tempio indiscusso di sapori e delle mani dello chef (ma chi cucina nei bistrò?) possiamo optare anche per una pizza stellata sempre firmata Perbellini: al Du de Cope si può gustare una pizza creativa con elementi selezionati e ricercati a costi sostenibilissimi e attenzione, tutto questo a Verona, non a Napoli, che non me ne vogliano i cari amici napoletani. Perbellini non si ferma a queste due proposte low cost
ma ne ha diverse. Mi viene in mente anche Bottura e la sua Gucci Osteria. All’interno di Gucci Garden, il bistrò propone un menù che si fonda sui viaggi di Bottura. In carta troviamo tartufo nero, aragosta e anche i grandi tortellini in crema di parmigiano in un prezzo che a piatto varia dai 30 ai 50 euro. Troppo per un bistrò? Ma la firma è di Bottura, non dimentichiamolo! O ancora, penso alla nuova proposta di Giuseppe Molaro, lo chef di cui abbiamo
UOMO DELLE STELLE
raccontato su So Wine So Food. Con In Tasca, Molaro eleva lo street food tipico napoletano (aridaje!) alle stelle. Un esempio? La pizza fritta Bianco Manzo è un trionfo della creatività di questo giovane e grande chef: provola casertana con latte di bufala, spuma di ricotta, salsiccia casertana, jus di manzo. Tutto a solo 8.50 euro. Insomma, le proposte sono tante e tante ne verranno. Io penso che è bello sedersi a queste tavole perché dietro resta prima di tutto la riconoscibilità del grande
chef che nel piatto significa eccellenza e ricerca. Secondo poi, in un certo senso è un’occasione al risparmio, ma con garbo ed eleganza. Eppure resta in me una immagine. Quella dei vecchi bistrò parigini alle cui tavole si sono accomodate grandi idee, grandi artisti, grandi politici. Quelli che hanno reso possibile l’umanità di oggi. Dove bistrot era prima di tutto una parola che i cosacchi esclamavano per la fretta di mangiare un piatto veloce date le imminenti conquiste da fare e all’unisono gridavano:
“bistrot”, “presto!”. Da questa parola si è passati poi a designare un vero e proprio stile di vita, quello parigino, appunto. E ben presto, bistrò è passato a significare un luogo caro, di famiglia, dove potersi sedere e essere così, semplicemente se stessi, senza fronzoli. Per concludere, mi unisco a Marc Augé che nel suo libro Un etnologo al Bistrot afferma: “il bistrot è lì, come un segno di riconoscimento”. Uomo delle Stelle #4 - 2022 MAY 45
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ALBERTO'S CHOICE
Roberto Proto, la cucina elegante “Creativo con sobrietà”, si autodefinisce Roberto Proto, chef patron del Saraceno di Cavernago (Bg). I suoi piatti, ricchi ma essenziali, sono un esempio di apoteosi del gusto
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arte dalla Costiera Amalfitana la storia della famiglia Proto, da quando nel lontano 1972 il padre di Roberto, lo chef, da Vettica (frazione di Amalfi) si trasferì al nord, in terra bergamasca. Qui a Cavernago la famiglia apri un’attività di ristorazione, una semplice trattoria destinata ad evolversi negli anni, fino a perfezionare l’offerta in chiave gourmet (e usiamolo, questo termine, almeno quando è #4 - 2022 MAY 47
appropriato). Dal 2007 in poi, al Saraceno è un crescendo di progetti, di miglioramenti, di ricerca e selezione delle materie prime, ma anche di coraggio e visione. Roberto, con la moglie Maria, è fortemente determinato a lavorare sulla qualità, definendo una linea di cucina non scontata, lontana tanto dai velleitarismi quando dal rischio di banalizzazione. La materia su cui si concentra l’attenzione di Roberto e della moglie, Maria Biancini, superprofessionale in sala nel suo interagire ad helicopter view con la clientela, è di impronta rigidamente ittica: il pesce di mare, i crostacei, il crudo, nelle sue migliori espressioni, di sapori, di origine, di preparazione, di tecniche, di presentazione e di impiattamento. Nel 2014 arriva la stella Michelin, importante riconoscimento alla formidabile preparazione di Roberto ma soprattutto alla sua capacità di realizzare piatti non convenzionali, eleganti e fortemente caratterizzati nel segno del gusto totale, per non dire estremo. Su questo termine, veniamo subito aiutati da Roberto, che durante il nostro incontro sottolinea: “Se dovessi definire la mia cucina, la chiamerei ‘creativa con sobrietà’. Mi piace lavorare sulla semplicità, proponendo ai clienti il meglio possibile, con la consapevolezza di trovare ai tavoli del Saraceno un cercatore di eccellenza, proposta all’insegna della semplicità assoluta”. La materia infatti parla da sola, il talento consiste nel renderla emotivamente soddisfacente, capace di regalare emozioni autentiche. Il contesto aiuta, l’atmosfera del ristorante è un sapiente mix di contemporaneità e vintage, avvalorata da un servizio di sala garantito da una coppia di giovani (sommelier e responsabile di sala), coordinati dalla patronne, di rara professionalità. L’esperienza di So Wine So Food è stata al di sopra delle aspettative. Certamente, approdare in un ristorante di livello alla 48 SWSF
vigilia del cambio stagionale della carta mette in discreta agitazione chi ne dovrà scrivere. Ma il fatto di trovare una linea di cucina continuativa, con alcuni piatti, come lo Spaghettoro Verrigni ai ricci di mare o il Gambero rosso si fa in quattro, o la Ricciola cotta fuori e cruda dentro e salsa alla pizzaiola, è rassicurante. I piattibandiera, nelle carte dei grandi ristoranti ci devono stare sempre, in ogni stagione. Il cliente spesso torna proprio per assaggiare quel certo piatto… Seduto a tavola, rimango colpito dalla carta dei vini, ricca ma non straboccante, attenta al territorio ma con etichette meno prevedibili del solito (Franciacorta a parte, dove dominano i nomi più blasonati).
Fantastica la selezione di Champagne, che tiene conto di etichette di grandi Maison, come Ruinart, Jacquesson, Gosset, Salon, Krug, Delamotte, Encry, Duval Leroy, Louis Roederer, Perrier Jouet, Pol Roger e altri. Mala sorpresa è nel trovare una sezione dedicata ai. Recultant manipulant: 25 etichettte, tra cui quelle della mitica Maison Egly-Ouriet. Poi, oltre 120 bianchi italiani, seguiti dalla sezione “dal Mondo”, ovvero Austria, California, Germania, Galilea, Libano, Nuova Zelanda, Slovenia. Per non dire delle 70 etichette fra Borgogna, Alsazia, Bordeaux. E oltre ottanta rossi italiani per chi volesse abbinare la cucina di pesce qualche eccellente etichetta.
ALBERTO'S CHOICE
carciofi croccanti, davvero magico, tenerlo e croccante. Il dotto, questo sconosciuto (pesce ligure, bianco, immacolato e puro nella sua semplice bomtà). Si passa poi al dessert, quell”omaggio a AndyWarhol da cui traspare tutto l’amore di Roberto Proto per l’arte contemporanea. La banana di Wahrol è ricostruita con cura per i dettagli e regala profondi sentori di cioccolato bianco e frutto della passione: un dessert unico. La piccola, essenziale, pasticceria accompagnata al caffè, darà un tocco finale di eleganza a un’esperienza del gusto che suggeriamo vivamente di provare a chi non avesse mai incontrato, sulla propria strada, il Saraceno di Cavernago. Vale davvero la sosta, il viaggio e, diciamolo, il ritorno successivo per un’altra esperienza, magari del menù degustazione.Dimenticavo: il pane è una Pagnotta di farina Manitoba, lievitata 72 ore, servito affiancato da una Focaccia al rosmarino e sale Maldon e da grissini stirati a mano, preparati dallo. Chef e dalla sua giovanissima brigata. APS
Ma è nella cucina che il piacere raggiunge livelli ancora più concreti e gastrotangibili (!). L’inizia è appagante: Stuzzichini di benvenuto con Panino al vapore e poi fritto, ricotta e caviale di acciughe, Oliva apparente, pane tonno pomodoro, Krächer con baccalà mantecato, Lisca di pesce al nero di seppia e crema di alghe, Macaron al foie gras, Chios di peperone. Miniature di gusto, ineccepibili, perfette. Poi si aprono le danze: dopo la Triglia di scoglio, pomodoro, piselli e fragole, si degustano la Crudità di mare. Scampo, mandorla, sfera di Yuri e the Macha, Seppioline, sali cornai, polvere di capperi, Carpaccio di ricciola, i salatini di frutta e chips di verdure, Tonno, maionese senapata e rucola essa i, Sfera di gambero
rosso, buttata, caviale e salsa pizzaiola. È il momento dello Scampo arrosto, crema di mandorla, cedro candito e olio all’allarme, new entry nel menù: piatto di sapida freschezza. Viene poi servitola Spaghettoro ai ricci di mare, un piatto fortemente evocativo, iconico, la nostra caporedattrice direbbe “che fa sognare”. E non potrei darle torto. L’assaggio intermedio della Pizza, scarola spadellata, pezzogna e profumo di mare, servita nella scatola dorata, è un omaggio al gusto e alla semplicità, ma anche all’intensità della pezzogna, pesce tanto nobile quanto proposto raramente nella ristorazione, ormai “branzinizzata”. Segue il secondo piatto di pesce, il Dotto, bagna cauda e
I numeri Cucina:......................... Vini:.............................. Servizio di sala:........... Location:...................... Atmosfera:................... Totale:
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Parternships We love to work and collaborate with interesting companies. Let’s have a cup of coffee together (at least a virtual one) and talk about the creative opportunities inherent in becoming a partner of So Wine So Food. Distribution So Wine So Food is available in many amazing hotels, restaurants and cellars across the world. All rights reserved
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