So Wine So Food - 5th year - N.6 - Magazine

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So Wine So Food T H E M A G A Z I N E O F I TA L I A N TA S T E

UNA PINTA DI BIRRA È UN PASTO DA RE

#6 - 5TH YEAR M AG A ZI N E O C TO B E R



THE EDITORIAL

SO WINE SO FOOD Testata giornalistica registrata Iscrizione al Registro Stampa del Tribunale di Velletri (Roma) n°10/2016 del 13/05/2016 - Via Roccagiovine 245, 00156 Roma - info@sowinesofood.it - 06 91516050 - www.sowinesofood.it PUBLISHER Dott. Stefano Cocco DIRECTOR Elva Begaj CHIEF EDITOR Martina Suez GRAPHIC DESIGNER Simone Colasante SOCIAL MEDIA STRATEGIST Matteo Kot COMMERCIALS Daniele De Nicola Klaus Begaj Massimiliano Cirinei ARTICLE WRITERS Lorenzo Braschi Raffaele Marallo Massimiliano Panico Neonila Siles Gianluca Grasselli Anais Cancino - Wineteller TRANSLATORS French: Garrel M'bani Spanish: De Lara Vazquez Juan Manuel Arabic: Ahmed Abdeldaim Russian: Eugenia Gluk Japanese: Valerio Bianconi Chinese: Martina Giammugnai PRINT FasterPrint Srl

Una pinta di birra è un pasto da re "Una pinta di birra è un pasto da re" diceva William Shakespeare. Una delle più antiche bevande prodotte dall’uomo, la birra risale almeno al V millennio avanti Cristo, di cui rimane traccia su fonti scritte dell’Antico Egitto e della Mesopotamia. Il nome "birra" deriva dall'antico sassone bere che significa orzo, oppure dal latino biber, che significa bevanda. Ma dietro ad ogni buon bicchiere di birra che beviamo c’è un lungo lavoro di produzione. Ancora oggi si tratta di un processo naturale come tanti secoli fa, ma perfezionato dall’esperienza, dalla conoscenza e dagli strumenti tecnologici moderni. Il gusto varia e può essere definito amaro, abboccato, amabile o dolce e viene sottolineato dal retrogusto, che tende a risalire in bocca dopo aver deglutito un sorso di birra. In tutto questo tempo le cose sono state stravolte e il mondo della birra si è aperto a numerose sperimentazioni e realizzazioni. In questo nuovo mensile, viaggeremo intorno al mondo della birra, variegato e ricco di particolarità gustose. A partire dai birrifici artigianali,

dove regna qualità, artigianalità e creatività. Ci spostiamo poi in un antico monastero dove viene prodotta l’unica birra trappista italiana dai monaci trappisti con una ricetta e lieviti unici che spesso rimangono custoditi all’interno delle abbazie per secoli. Tra le nostre pagine diamo spazio anche a progetti unici come quello di fondere un tipo di birra spontanea con il vino Rosa Rosae della stessa annata collegando mondi e prodotti apparentemente lontani. Ultimamente la diffusione della cultura della birra sta prendendo sempre più piede anche nelle consuetudini del mondo della ristorazione. L’aumento della qualità e della diffusione delle produzioni di birra italiana, ha contribuito a catturare la curiosità e l’attenzione degli chef più aperti a nuove varianti culinarie. In cucina, i profumi dei vari tipi di birre e i loro sapori, risultano innovativi e stimolanti. Così la birra vive una nuova era, evolvendosi insieme ai cambiamenti della ristorazione e delle abitudini alimentari, affermando un consumo più ricercato e curioso.

Elva Begaj DIRECTOR


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Nidaba l’identità contemporanea della cucina affiancata alla birra Martina Suez

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Birrificio Mazapègul: tra il folklore romagnolo e birre d’eccellenza Lorenzo Braschi

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Ruett Rosé: quando birra e vino si fondono in una bollicina irripetibile Neonila Siles

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Anche la birra vuole la sua parte gourmet Lorenzo Braschi

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Abbazia Tre Fontane: La Prima e Unica Trappista Italiana Anais Cancino - Wineteller


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La birra artigianale in Italia: tra produzione, passione e fermentazione Massimiliano Panico

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Non di solo luppolo. Le birre piĂš "particolari" del mondo Raffaele Marallo

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Top five dei migliori piatti mangiati nelle principali cittĂ del Nord Europa Uomo delle Stelle

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SO FOOD 1. Nidaba l’identità contemporanea della cucina affiancata alla birra 2. Anche la birra vuole la sua parte gourmet

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Nidaba l’identità contemporanea della cucina affiancata alla birra Un’officina creativa dove i piatti completano le bevute in un incontro tra culture diverse

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na piacevole realtà, dove i sapori e i profumi, la musica e le parole si intrecciano, riempiendoci di emozioni così grandi da far dimenticare tutta la fatica necessaria per far grande questo Nidaba. Andrea e Daniela De Bortoli sono i padroni di questo regno dagli anni ’80 e, ogni giorno, si mettono al lavoro con un unico pensiero: fare qualcosa che la gente possa ricordare. Nidaba si trova a Montebelluna in Veneto, non è un semplice locale, non è una birreria, non è un pub. È tutto questo, ma anche molto altro. Un gastropub, un luogo di incontro lontano dai fastidi della città. Un posto dove tutti possono trovare un modo per stare bene. La qualità degli ingredienti, sommata alla varietà delle birre presenti, trasforma il Nidaba in un luogo unico nel suo genere. Un menù che combina gusto, semplicità e 8

personalità. Nidaba è uno tra i ristoranti di qualità insigniti del simbolo I tre boccali assegnati da Gambero Rosso che premia l’attenzione particolare al mondo della birra. Di seguito la loro intervista. Com’è nato il progetto Nidaba? "Dal desiderio di andare oltre, grazie a delle felici coincidenze. Nel ’79 si parte da una osteria di campagna, antica proprietà di famiglia, fuori dal centro città di Montebelluna. Da qui si muovono i primi passi come birreria grazie ad un fortuito incontro con delle bottiglie portate da un cliente, provenienti da una terra magica, con cui sboccia immediata sintonia, il Belgio. Si apre un nuovo mondo, fatto di sapori e antiche tradizioni, etichette con nomi di santi o paesi sconosciuti, come St. Sixtus oppure Hoegaarden. Da lì un susseguirsi di viaggi, spesso a bordo di una Fiat 238,


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mezzo infaticabile che ci permetteva di portare alla nostra "Osteria" tutte quelle birre che tanto ci emozionavano in giro per l’Europa. Il nome è un tributo a una divinità Sumera, dedita al controllo dei raccolti, incontrato in uno dei primi libri disponibili sul tema della birra. Quel libro è opera di un pioniere della divulgazione: Michael Jackson (uno tra i personaggi più importanti della storia birraria recente, beer writer e autore di svariati libri sulla birra e il whisky) che abbiamo avuto il piacere e l’onore di ospitare nel nostro locale nel 1999. C’è una dedica su uno dei suoi libri a testimoniarlo, conservato come una vera reliquia". Come coniugate birra e piatti gourmet? "L’idea di associare la birra con una cucina che andasse oltre il semplice snack, o la pura cucina da birreria, ci è appartenuta da subito. Ci affascinava l’ambizione di riportare a casa nostra quello che in giro per l’Europa vedevamo e vivevamo. Piatti che completano le bevute, qualcosa che vada oltre semplici panini o fritture. Gli albori della cucina del Nidaba prendono spunto dalla creatività di Daniela e il suo compagno Aldo, che seppe combinare le esperienze vissute nelle brigate di livello quali Gualtiero Marchesi, con la semplicità di un prodotto popolare come la birra. L’ambizione è di far incontrare culture diverse, ricordiamo ancora lo stupore le prime volte che proponevamo, negli anni ’80, le birre abbinate al pesce. Ma nei paesi del Nord Europa non si consuma vino quando si approcciano zuppe, aringhe, stoccafissi o salmoni. E come questi ultimi l’andar controcorrente è stata una nostra condizione naturale. Senza desiderio di provocazione, ma mossi dallo spirito di incuriosire". Qual è la selezione di birre che proponete? "Il cardine attorno a cui tutto deve ruotare 10


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è la capacità di ogni birra di potersi accompagnare a quello che proponiamo in menù. Cerchiamo di vagabondare, lasciando spazio ad ogni tipo di eccellenza, senza esclusioni preconcette verso nessuna realtà, con alcuni capisaldi inamovibili. Abbiamo visto nascere i primi produttori di birra artigianale italiana, dando fiducia a birrai che sono evoluti da semplici promesse a professionisti consolidati. Lo spazio all’emergente movimento italiano è stato ampio sin da subito, offrendo la possibilità di confrontarsi con i mostri sacri provenienti dal Belgio (il primo amore), dal Regno Unito o Germania. Negli ultimi anni fanno capolino altre produzioni emergenti, quali Stati Uniti, Danimarca, o altri paesi del Nord Europa". Qual è l’idea di cucina che proponete? "In primis è una cucina fatta da noi, nel senso che tutto quello che troverete nel menu del Nidaba viene ideato e preparato dal nostro team di cucina. Pane, salse, fritture, carni, dolci, senza l’utilizzo di materie semi-lavorate. L’approccio alla costruzione del menù parte dalla necessità di rendere contemporanea l’identità della cucina affiancata alla birra. Cerchiamo di allontanarci da pesantezza e piatti molto grassi. Libertà, leggerezza ed equilibrio dando grande importanza a verdure di piccoli produttori e erbe aromatiche provenienti dal nostro giardino botanico. Non mancano le proposte per vegetariani e vegani, che spesso ingolosiscono anche i più incalliti carnivori. Vogliamo che i nostri clienti possano sperimentare, lavoriamo per stimolare il loro lato più curioso. Gli spunti sono di diversa natura, si può percorrere la strada di trasformare un classico italiano come la carbonara in un hamburger, la cacio e pepe in polpettine che parlano la lingua dello street food, così come classici internazionali, come il pastrami, rivisti con una chiave di lettura più moderna. Con i 11


dolci in particolare si manifesta il desiderio di reinventarsi continuamente. Spesso utilizziamo cialde fatte recuperando quello che normalmente verrebbe considerato scarto di cucina. Ci piace l’idea della cucina circolare, dove ogni elemento è sfruttato in ogni possibile maniera". Quanto è importante per voi individuare il giusto equilibrio tra birra e cibo? "Lo riteniamo il faro che guida ogni nostra scelta, nel campo delle birre così come in quello del cibo. Senza equilibrio la strada diventa in salita. La nostra ricerca è volta a esaltare la simbiosi fra questi due elementi, non a metterli in competizione. La nostra abilità è volta alla ricerca dell’esaltazione di un connubio, ideando piatti a volte stravaganti senza esasperazioni che stiano bene di fianco a birre complete, pensate per il godimento piuttosto che per un effimero stupore". La cultura della birra abbinata a quella dei piatti gourmet secondo voi sta prendendo piede? Qual è la vostra esperienza/ opinione? "La grande espansione della fama della birra cui si è assistito negli ultimi anni sicuramente ha portato ad avere sempre più persone incuriosite a questo approccio diverso, tenuta in considerazione l’istintiva predisposizione italiana a concepire solo il vino come la bevanda da abbinamento. La nostra esperienza suggerisce che il fascino della birra stia nella sua semplicità, e che si possano trovare con facilità piatti, senza necessariamente sconfinare in territori gourmet, in grado di esaltare l’esperienza dell’assaggio, spesso anche pescando dalle nostre tradizioni. La storia del Nidaba ci dice che è una strada che si può percorrere, e che soprattutto ha ancora molte pagine da scrivere". Martina Suez 12


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Anche la birra vuole la sua parte gourmet Gianluca Gorini e il suo abbinamento cibo-birra: un connubio che può regalare ancora tante soddisfazioni

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San Piero in Bagno (FC), piccolo comune nel cuore dell’Appennino tra Romagna e Toscana, un giovane ma già "navigato" chef sta creando una perfetta commistione fra la tipica accoglienza romagnola e una cucina gourmet votata alla contemporaneità. Stiamo parlando di Gianluca Gorini, eclettico patron dell’omonimo ristorante da Gorini, insignito della celebre Stella Michelin. Abbiamo deciso di intervistarlo anche per avere un autorevole parere riguardo un abbinamento abbastanza insolito per un ristorante gourmet: quello tra cibo e birra. Come è nata l’idea di aprire un locale tutto tuo e quali fattori ti hanno portato a questo nome? "Il mio sogno, fin da bambino, è sempre stato quello di aprire un ristorante e mi ritengo fortunato in quanto non credo sia così scontato avere le idee chiare sul proprio futuro già in tenera età.Per quel che riguarda il nome del locale ho deciso di proseguire la storia della mia famiglia che gestiva un ristorante a cui aveva dato il proprio nome; credo che questa sia una caratteristica tipicamente italiana, legata alla tradizione gastronomica del Bel paese. 14

Rispecchia, inoltre, anche il nostro modo di fare ristorazione, esprimendoci in maniera contemporanea senza però dimenticare le radici e la nostra identità, coccolando il cliente a 360 gradi con sorrisi, attenzioni, gentilezza e con una buona cucina". Qual è la sua personale sfida come ristoratore? "La vera sfida di un ristoratore non è quella di portare il cliente per una volta al proprio locale ma deve essere quella di farlo tornare in maniera ciclica, costante, perché solo così un ristorante ha la possibilità di progettare e di guardare al futuro con serenità.Altro mio grande obiettivo è quello di raccontare la nostra cultura con un linguaggio nuovo, personale, attraverso tecniche, conoscenze e possibilità che trent’anni fa non esistevano". Sappiamo che nel menu è presente un piatto abbinato ad una birra; cosa ne pensi e cosa ti ha spinto verso questo connubio? "Io credo che oggi uno chef debba avere la capacità di non limitarsi, l’abbinamento con la birra non è di per sé una cosa così strana, è un modo per dare una sfumatura diversa a livello di gusto ma anche di prospettiva: viviamo in un’epoca in cui abbiamo la


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possibilità di avere tutto per cui dobbiamo essere in grado di maneggiare ogni cosa se vogliamo dare un tocco moderno a quello che facciamo. Per quel che mi riguarda, l’abbinamento cibo-birra è nato perché un certo piatto richiedeva determinate caratteristiche che ho ritrovato nella birra. Uno degli abbinamenti che proponiamo vede protagonista il carciofo, un prodotto storicamente di difficile connubio con il vino. La bevanda luppolata ci ha invece permesso di trovare una completezza ed una corretta dimensione per il carciofo che

noi aromatizziamo con una polvere al tè matcha per un gusto ancora più tannico. Siamo quindi riusciti a trovare quel giusto punto di freschezza e di acidità perfette per completare il piatto". Quale tipologia di birra è solito usare per questa preparazione? "Solitamente usiamo una IPA con note leggermente vegetali, luppolate e tostate". Qual è la strada da percorrere per far capire agli italiani che la birra può essere

accostata anche ad una ristorazione gourmet? "Bisogna stimolare nelle persone la voglia di arricchire il proprio bagaglio culturale. Io penso che chi frequenti il nostro locale sia comunque predisposto ed aperto a questo tipo di esperienze poiché ci siamo costruiti una forte credibilità fatta di conoscenze, lavoro e professionalità; per la clientela risulta quindi più semplice lasciarsi guidare dalle nostre proposte". Lorenzo Braschi

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SO WINE 1. Birrificio Mazapègul: tra il folklore romagnolo e birre d’eccellenza 2. Abbazia Tre Fontane: La Prima e Unica Trappista Italiana 3. Ruett Rosé: quando birra e vino si fondono in una bollicina irripetibile 4. La birra artigianale in Italia: tra produzione, passione e fermentazione 5. Non di solo luppolo. Le birre più "particolari" del mondo

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Birrificio Mazapègul: tra il folklore romagnolo e birre d’eccellenza Mattia Cecchini ci racconta il suo progetto in continua evoluzione dove birra e cliente sono sempre al primo posto

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n Romagna si tramanda da secoli una leggenda secondo la quale, il cuore del bucolico Appennino forlivese sarebbe dimora e ritrovo di magici folletti, i Mazapègul. Cavalcando questa affascinante leggenda, tre soci hanno deciso di fondare, nelle terre degli impertinenti spiritelli, un birrificio che in

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pochissimo tempo è riuscito a diventare punto di riferimento del movimento brassicolo romagnolo. Stiamo parlando del Birrificio Mazapègul a Civitella di Romagna (FC).Mattia Cecchini, uno dei soci fondatori, ci ha gentilmente raccontato la nascita, le specialità e i progetti futuri di questa brasserie d’eccellenza.

Quando e in che contesto nasce il birrificio Mazapègul? "Il Birrificio Mazapègul ha iniziato la propria attività nel giugno del 2014 ed è nato dalla passione per la birra artigianale e per la propria terra, dei tre soci fondatori, Mattia Cecchini, Daniel Caggianese, Gianluigi Bandini. L’azienda sorge a


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Civitella di Romagna (FC) in una struttura di circa 2000 mq, dotata di una sala cottura e relativa cantina di fermentazione, con una capacità produttiva annua di 900 ettolitri, incrementabile fino al doppio. Vengono prodotte sia bottiglie che fusti. Ogni fase dell’attività è realizzata all’interno dell’azienda: dalla scelta delle materie prime, alla produzione, dal confezionamento, alla distribuzione. Le nostre produzioni sono ispirate alle Ale anglosassoni e alle storiche birre belghe, ma con all'interno tutta la passione della Romagna, che si può ritrovare anche nei nomi delle diverse etichette".

Quali sono i primi passi che avete compiuto dopo il lockdown? "Abbiamo inaugurato la nuova sede del birrificio che ora, oltre al sito produttivo, ospita un locale con oltre 200 posti, dove è possibile degustare le nostre birre abbinate a pizza, primi piatti romagnoli e tagli di carne pregiati proposti in stile steak house. Proprio l'accostamento carne e birra, che nell'immaginario collettivo è da sempre visto come un connubio consolidato. rappresenta invece una novità assoluta in zona e non solo. Direi che sono proprio queste originalità ed eccellenza che ci caratterizzano e che esprimono, attualmente,

il punto di forza del nostro nuovo progetto. Il birrificio, proprio grazie al successo del locale, sta lavorando molto per il consumo interno e quindi una parte consistente della produzione è dedicata al pub.Da segnalare, inoltre, l'introduzione di una linea di imbottigliamento isobarica in grado di dare maggiore freschezza e aromi alle nostre birre". Tante birre che dal nome evocano fortemente l’immaginario romagnolo (da Balè Burdeli a Ultima Morosa) ci puoi descrivere quella più particolare? "Citerei la nostra Befana Befana, è una birra con un forte carattere che vede nei dolci il proprio abbinamento principe, ma che viene storicamente proposta con formaggi erborinati, oppure con cozze e ostriche. Noi la consigliamo in abbinamento ai nostri stufati di manzo o cinghiale, un matrimonio di sapori che scalda il cuore". Nuovi progetti in cantiere? "Abbiamo ottenuto la certificazione Bio e nel 2021 andremo a creare una linea dedicata. Stiamo ragionando anche in direzione del gluten free che potrebbe permettere a tanti amanti della bevanda luppolata di degustare in piena tranquillità alcune delle nostre produzioni.Riguardo al locale, dall'autunno ci sarà la possibilità di fare visite guidate al birrificio con successiva degustazione delle birre da noi prodotte, accompagnate da eccellenze agroalimentari del territorio.Stiamo ragionando anche sull'introduzione della lattina, che sarebbe la ciliegina sulla torta ed andrebbe a completare l'ambizioso progetto partito oramai 6 anni fa, ma che è sempre in continua evoluzione, teso alla ricerca di novità e nuovi stimoli in grado di migliorare l'offerta e l'attenzione verso il cliente". Lorenzo Braschi

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Abbazia Tre Fontane: La Prima e Unica Trappista Italiana

L'attività dell’abbazia che ebbe una svolta quando uno dei frati trovò dentro un libro dell'800 un’antica ricetta di un monaco dell’ordine

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l contributo dei monaci nel ramo della viticoltura già dal medioevo è stato senza dubbio molto importante. I monaci però, non hanno lasciato la loro impronta solo nel mondo del vino ma anche in quello della birra. Nel medioevo, il processo di fermentazione ha reso potabile l’acqua che, ai tempi, era veicolo di malattie. Fedeli alla regola "ora et labora" i monaci cistercensi, cominciarono

a produrre birra sia per il proprio consumo che per le brasserie che costruirono tra le mura delle loro abbazie, alternando la preghiera al lavoro. Santa Ildegarda de Bingen, celebre monaca benedettina, considerata una delle donne più influenti dell’epoca medioevale, riuscì ad avere un ruolo fondamentale nella scoperta delle proprietà dei luppoli e nella diffusione dei suoi studi in ambito monastico, tanto


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da consentire la conservabilità della bevanda luppolosa. Oggi, esistono nel mondo centinaia di marchi di birra d'abbazia, dedicati a monasteri, chiese, santi o comunità religiose, ma questi non hanno nulla a che vedere con le vere birre trappiste. Le birre trappiste sono quelle prodotte dai monaci trappisti con una ricetta e lieviti unici che spesso rimangono custoditi all’interno delle Abbazie per secoli. Attualmente ne esistono solo quattordici in tutto il mondo. L’ordine dei Cistercensi della Stretta Osservanza, detti trappisti, nacque nel 600’ in Francia, nel monastero cistercense di Notre-Dame de la Trappe in Francia, da cui deriva il nome. Anche se spesso erroneamente si crede che il termine trappista si riferisce ad un particolare stile di birra, in realtà non esiste un profilo sensoriale comune che identifichi tutte le birre trappiste. La denominazione trappista quindi, non si riferisce ad un particolare stile, ma consiste in una certificazione di provenienza che garantisce l'origine monastica del prodotto e il rispetto delle tre condizioni stabilite dall'Associazione Internazionale trappista: i prodotti devono essere fabbricati all’interno o nei dintorni dell’abbazia, la produzione deve avvenire sotto il controllo dei monaci o delle monache, il ricavato deve essere destinato alle necessità della comunità monastica, alla solidarietà in seno all’ordine trappista, a progetti di sviluppo e ad opere di beneficenza. In Italia abbiamo la fortuna di avere una delle quattordici birre trappiste, una realtà molto singolare, perché oltre ad essere l’unica birra trappista italiana, è anche il più piccolo di tutti i birrifici trappisti. Stiamo parlando della Trippel Tre Fontane dell’Abbazia Tre Fontane di Roma, una birra ad alta fermentazione, prodotta artigianalmente 23


con l’eucalipto che circonda l’abbazia. Infatti, in questa abbazia i monaci si sono specializzati nella coltivazione di 7 specie di eucalipto piantato alla fine dell'800 per debellare la malaria. Con le foglie di questi alberi, i monaci producono pregiati liquori dal 1868. Tuttavia, l'attività dell’abbazia ebbe una svolta nel 2012, quando uno dei frati trovò dentro un libro della fine dell'800 un’antica ricetta di un monaco dell’ordine. La ricetta consiste in una miscela di eucaliptus, con il quale hanno prodotto la prima birra al mondo con questo ingrediente. Questa ricetta ha dato vita a una birra di color oro intenso, corpo medio e dal sapore incisivo e moderatamente fruttato. La dolcezza è bilanciata dal gusto amaro dato dai luppoli. Il retrogusto dolciastro si accompagna da note speziate 24

e una piacevole sensazione astringente che pulisce la bocca. L'elevato contenuto di alcool (8,5%) aggiunge una sensazione di calore raffinata dai toni balsamici di eucalipto. Da provare in abbinamento al pesce crudo e ostriche! Si tratta di una birra non filtrata, non pastorizzata e non centrifugata, prodotta in stile Belgian Ale. Una produzione piccolissima di appena 800 ettolitri all’anno. Come da disciplinare, i proventi della produzione, si limitano a garantire il sostentamento della comunità, a finanziare opere di carità e la conservazione del patrimonio storico culturale dell’abbazia. Infatti, durante l’intervista che abbiamo fatto al responsabile del birrificio, ci ha raccontato di un bellissimo progetto che hanno cominciato a svolgere dal 2019. Si tratta di

una collaborazione con il birrificio trappista degli Stati Uniti Spencer Brewery, per creare la birra Sinergia 19. Una IPA prodotta in edizione limitata con l’obiettivo di aiutare le suore di un monastero in Angola a costruire uno stabilimento per produrre medicinali. Un progetto che ha portato la prima collaborazione tra due abbazie trappiste. Grazie al successo di Sinergia 19, Tre Fontane prevede di lanciare ogni anno una edizione speciale a sostegno di un specifico progetto di beneficenza. Anais Cancino - Wineteller


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Ruett Rosé: quando birra e vino si fondono in una bollicina irripetibile La complessità e la libertà della fermentazione spontanea abbattono i muri collegando mondi e prodotti apparentemente lontani

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ulle morbide colline di Pianella, nell’Abruzzo pescarese, il paesaggio è da cartolina. I filari dei vigneti in pendenza, carichi di grappoli di colore dorato del Pecorino e nero corvino del Montepulciano d’Abruzzo, si susseguono con le argentate chiome degli uliveti e con i fazzoletti di terra arsa arrivando fino alle porte della città.Dalla metà di agosto fino all’autunno inoltrato 26

si vive un periodo movimentato qui, con la vendemmia, la mietitura, la raccolta di olive, di legumi e di frutta. Si percepisce nell’aria il fermento della vita contadina, carica di fatica, di speranza, di orgoglio e di quella cauta fretta che è alla base della qualità del prodotto locale. Ogni minuto è decisivo al momento della vendemmia, ma lo è anche ogni gesto ponderato e meticoloso. All’ora della prima colazione

di un forestiero ospitato dalla piazzetta centrale, tradizionalmente Garibaldi, si scorgono sulle colline i trattori carichi di ceste piene del raccolto in movimento, i braccianti senegalesi - ormai di adozione pianellese – intenti a ritirarsi dai vigneti, mentre prosegue la vendita delle prelibatezze provenienti dagli orti e dai caseifici circostanti. Al tramonto sulla vallata cala il silenzio, interrotto solo dallo scoppiettio del fuoco sotto gli arrosticini (quelli di Pianella valgono il viaggio) e dal pacato vociferare di fine giornata. La città di Pianella, che fa parte dell’Associazione Città dell’Olio, è stata varie volte insignita del titolo "Bandiera Verde Agricoltura", un riconoscimento importante per la tutela dell’ambiente e del paesaggio, per l’uso razionale del suolo e per la valorizzazione dei prodotti tipici del territorio. Ed è proprio in questo contesto, un paio di decenni fa, che nasce l’azienda agricola Marina Palusci, anche se in realtà, il 36enne figlio di Marina, Max D’Addario, è la terza generazione a coltivare le vigne e gli uliveti di Pianella. L’azienda è una gemma assoluta in quanto alla produzione d’olio di oliva, le cultivar, curate in azienda


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dalla olive nursery fino all’imbottigliamento di ogni singolo cru, sono ormai nelle carte dei ristoranti più prestigiosi della penisola. Questa volta, tuttavia, attraversiamo l’uliveto, ammirando i tronchi scultorei degli alberi secolari e raggiungiamo la vecchia vigna del nonno di Max. Come si usava all’epoca, è piantata a tendone abruzzese con varietà miste della Vitis Vinifera: Pecorino e Moscato rosa, Montepulciano d’Abruzzo e Lambrusco Salamino, Trebbiano e Sangiovese. Il nostro giovane vignaiolo ha la sua, ormai internazionale, reputazione di vignaiolo naturale e di insaziabile sperimentatore in cantina. I grappoli di questa vigna Max li vinifica come lo faceva il nonno: tutte le varietà insieme, ricavando poche bottiglie di un seducente rosato, frutto di lieviti indigeni e non filtrato. Una linfa di tradizione contadina enoica, un nettare prezioso che si sposa con la birra spontanea del birrificio Collerosso, procreando una bollicina particolare e sicuramente irripetibile, la Ruett Rosé. Impareggiabile perché da una parte c’è il nuovo e creativo progetto di Matteo Corazza e Matteo Del Sordo di Birra del Borgo, il Collerosso appunto, che abbraccia

il mondo affascinante delle fermentazioni spontanee con lieviti selvatici e lunghi invecchiamenti. Dall’altra il vino, figlio di annata e della mano del vignaiolo. Non una solita birra che segue un protocollo di produzione codificato, bensì una birra di grande complessità e di sfumature vinose, contraddistinta da un’elevata acidità e da un perlage fine associabile a uno spumante piuttosto che a una birra. Eppure, è una

birra. Diversa, allettante, con una storia alle spalle e un futuro davanti a se, dissetante come una birra e gastronomica come lo è il vino. Quella del 2018 è molto versatile: sgrassa il palato accompagnando uno stecco di arrosticini, chiama l’ostrica schivando il topping di limone, accorre al brindisi agli sposalizi felici. Neonila Siles 27


La birra artigianale in Italia: tra produzione, passione e fermentazione Il boom delle birre artigianali in Italia: sempre più gli appassionati, i pub e i birrifici che le propongono

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istillata dai Sumeri già 5000 anni fa, la birra è la bevanda fermentata più antica dell'umanità. A metà degli anni 2000 la producevano circa 20 birrifici. Molto diverso da oggi dove se ne contano circa 1000. La birra artigianale è sempre più frutto di passione e specializzazione. Un settore fino a non molto tempo fa inesplorato nella nostra nazione. Questo nuovo segmento di 28

mercato si sviluppa anche grazie al crescente numero di appassionati e alla conoscenza che si sta sviluppando velocemente, favorita dai potentissimi mezzi di comunicazione che alimentano lo scambio di idee. Ed è seguendo questa tendenza che, un paese come l’Italia, ha iniziato ad apprezzare il mondo delle birre artigianali e a vedere anche le prime produzioni.Da qualche anno i pub più all’avanguardia e attenti offrono ai propri clienti birre artigianali, diverse e

di livello, molte prodotte proprio nel nostro paese. E noi italiani dimostriamo di amare la birra nostrana, soprattutto se si parla di piccole realtà imprenditoriali locali. Le birre artigianali, in rapporto alla produzione totale di birra italiana è di circa l’8%. Il fascino e l’interesse legati alla birra artigianale crescono ancora con l’aumentare delle beer firm, ossia birrifici che non dispongono di uno stabilimento proprio. Le beer firm seguono direttamente le ricette delle birre,


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il packaging e la filiera della produzione ma appoggiandosi a impianti di proprietà di terzi. Questo evita alle beer firm di costruire o acquistare impianti propri ma sfrutta e paga per spazi già in essere. La maggiore concentrazione di birrifici artigianali si trova nel nord, nati da una grande passione e, spesso, nati in un garage dove un hobby è diventato un vero e proprio lavoro. Interessante anche il fatturato medio di un birrificio di dimensioni medie che va da un

minimo di 100 mila e un massimo di 700 mila euro l’anno. Gli stabilimenti stanno aumentando di numero anche nel centro e nel sud Italia. Ogni anno le produzioni aumentano di circa il 10% rispetto all’anno precedente e le previsioni future sono molto positive. Il mondo dei prodotti disponibili nel settore birra può soddisfare le esigenze più particolari. Tra birre aromatizzate, classiche o biologiche fino ad arrivare a quelle a chilometro zero. Il boom delle

birre artigianali in Italia è strettamente legato a questi sviluppi. Da qualche anno gli italiani hanno infatti mostrato sempre più interesse verso le birre ad alta fermentazione, dal sapore scuro e ambrato. La crescita è solo all’inizio. Massimiliano Panico

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Non di solo luppolo. Le birre più "particolari" del mondo Ingredienti speciali, nuove sperimentazioni e gusti mai provati

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i ricordate quando bastava chiedere una chiara, una rossa o una scura? Si sa, le cose cambiano ed anche rapidamente e sempre più mastri birrai appassionati ci offrono infinite possibilità. Facciamo un salto indietro. Siamo nel 1516 e ad Ingolstadt in Baviera, Guglielmo IV, regolamenta come deve essere fatta la birra. Con il suo "dettame di purezza" decretò che andava prodotta solo con acqua, orzo e luppolo. In tutto questo tempo le cose sono state stravolte e il mondo della birra si è aperto a numerose sperimentazioni e realizzazioni. Ne abbiamo trovate talmente tante che sceglierne alcune non è stato semplice. Non possiamo garantire sul gusto ed alcune rischiano anche di urtare la sensibilità, ma di certo, vista l’inventiva alimentano la curiosità. Alcune derivano dal mondo animale, come la Hvalur della Brugghús Steðja, nata in Islanda e derivata dai testicoli di balena precedentemente affumicati. Alla sua uscita provocò prevedibili reazioni da parte dell’ambiente animalista. Per rimanere sempre sullo stesso "prodotto" il mastro birraio Andy Brown della Wynkoop di Denver ha sviluppato una ricetta con i testicoli di toro. La Rocky Mountain Oyster Stout è prodotta con malti base del Colorado, orzo tostato, sette malti speciali, luppolo Goldings della Stiria e 25

libbre di testicoli di toro appena affettati e arrostiti.Spostandoci, ma di poco, troviamo la Mangalitsa big porter, premiata nel 2011 al Great American Beer Festival come migliore birra sperimentale, fatta con vere teste e ossa del maiale Mangalitsa. In queste ultime che abbiamo scelto del mondo animale troviamo anche la Kono Kuro del birrificio giapponese Sankt Gallen che ottiene la sua birra con l’utilizzo di escrementi di elefante. Ai pachidermi vengono fatti mangiare chicchi di caffè che una volta defecati vengono lavati e riutilizzati per la produzione. Decisamente meno drastica è stata invece la scelta di un birrificio giapponese, Abashiri beer brewpub dell’Hokkaido, che ha utilizzato il latte per la produzione della sua Bilk. Il nome infatti deriva dall’unione delle parole birra e latte. Il contenuto era composto (ora non è in produzione) da due terzi di birra e il restante da latte. Comunque il birrificio non si è fermato qui e utilizzando, dichiarano, acqua di iceberg, alghe ed altre erbe, riescono a produrre varianti di birra colorata. Le possiamo trovare infatti azzurre, nere, rosa, rosso ciliegia e verde.Continuando a camminare al confine tra fantasia e realtà troviamo il birrificio Rogue, negli Stati Uniti, che crea la sua Beard Beer utilizzando un lievito selvatico che cresce tra i peli della barba del suo creatore, il mastro birraio John Maier.

Non poteva mancare un "tocco" femminile e il virgolettato è d’obbligo in questo caso. In Polonia dei produttori hanno pensato di fondere con la birra la quintessenza della femminilità. La birra proposta è la Bottled Instict dell’Ordine di Yoni, la prima birra vaginale. In pratica insieme ad acqua, malto, scaglie di legno aromatizzate al cognac, luppoli e lievito la produzione prevede il lactobacillo. Viene prelevato dalla vagina tramite tampone, trattato in laboratorio per evitare contaminazioni di altri batteri e infuso nella bevanda. Nel nostro paese pizza e birra vanno a braccetto, così, ricalcando questo binomio il birrificio Pizza beer company per un periodo di tempo ha creato la Mamma mia! pensando bene di aggiungere al mosto in infusione una pizza margherita condita con pomodoro, basilico, origano e aglio. Il risultato è una birra che sa di pizza. Sembra non essere più in produzione quindi, il verdetto deve essere stato: meglio tenere le due cose separate!Infine un tocco di italianità per la Saison del birrificio Oxbow brewing che in collaborazione con Giovanni Campari mastro birraio del Birrificio del Ducato produce una birra all’aragosta. Il crostaceo della zona del Maine viene lasciato cuocere nel mosto per ottenere proprio il suo delicato retrogusto. Raffaele Marallo 31


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UOMO DELLE STELLE 1. Top five dei migliori piatti mangiati nelle principali cittĂ del Nord Europa

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Top five dei migliori piatti mangiati nelle principali cittĂ del Nord Europa

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ell'olimpo dei produttori di birra vi sono senza ombra di dubbio i paesi del Nord Europa. La Germania è la patria della birra dove esiste addirittura un vero e proprio itinerario dedicato alla birra: la strada dei birrifici, o strada della birra, da

Passau, nella bassa Baviera, si snoda per ben 500 km lungo la statale B85, arrivando fino in Turingia. Ma quando si pensa alla birra, la mente vola anche ai Paesi Scandinavi dove la produzione di birra ha radici antichissime. Quando si dice Scandinavia, in tema di birra artigianale, si dice prima di tutto Danimarca,

il paese dalla scena birraria più vivace. Ma tra le capitali nordiche si può fare tappa non solo tra i birrifici storici ma anche in quei ristoranti per cui vale la pena fermarsi e conoscere la cucina occidentale nella sua innegabile unicità. Ecco la mia top five dei migliori piatti mangiati nei ristoranti del Nord Europa:

Vendome

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Joachim Wissler

angoustine & Walbeck Asparagus - Vendome (Bergisch Gladbach- Germania). Una cucina rigorosa, come la Germania. Un piatto che mi convince è Langoustine & Walbeck Asparagus: nonostante lo scampo venga sostituito con un gambero enorme, il piatto è saporito e bilanciato. Ci sono asparagi del posto, cocco, asparagi in insalata, fiori di campo, caviale e una vinaigrette di soia. Al centro del piatto una gelatina, fatta di succo di asparagi, con dentro altri asparagi e il succo dello scampo gelificato. Ogni ingrediente compone uno strato, cosicché al momento dell’apertura tutto si possa mischiare e ogni sapore sentire. Davvero un piatto dall’ottima presentazione oltre che dal gusto notevole.

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De Leest

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Jacob Boerma

urbot, Morrels e champignon- De Leest (Vassen - Olanda). Turbot, Morrels e champignon il piatto che più mi ha colpito: un rombo accompagnato da funghi. Per quanto lo champignon sia un fungo molto semplice e di semplice preparazione, lo staff del De Leest riesce a dargli quel tocco di genialità che ne fa apprezzare ogni sfumatura di sapore.

De Librije

D Jonnie Boer

ue guanti neri congelati De Librije ( Zwolle - Olanda). Qui mi vengono serviti due guanti neri congelati, con adagiati sopra un frutto della passione diviso a metà, ripieno di uova di salmone e una spuma composta da frutto della passione e albume d’uovo

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Geranium

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Rasmus Kofoed

illstone Horseradish e Frozen Juice From Pickled Dill - Geranium (Copenaghen – Danimarca). Dillstone Horseradish e Frozen Juice From Pickled Dill: una ciotola di pietre fredde, sulle quali sono adagiate delle olive fatte di succo di rafano. A parte vengono serviti sottaceti ghiacciati e una crema di yogurt.

Noma

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René Redzepi ingua di merluzzo – Noma (Copenaghen – Danimarca). Lingua di merluzzo con cavolfiore. Ecco, questa era una di quelle portate di cui vi parlavo: difficile trovarla in altre zone d’Europa, dal sapore sconosciuto e, comunque, affascinante".

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