14 minute read
Intervista
COVER STORY Giovanni Malagò
Gioco di
Advertisement
squadra
ALBERTO CRISTANI
Lo sport italiano, da sempre celebrato come uno dei capisaldi su cui si fonda la nostra società ed elemento imprescindibile per la crescita psicofisica dei più giovani, sta attualmente attraversando momenti difficili. L’emergenza sanitaria legata alla pandemia Covid-19 ha costretto il Governo ad emettere misure restrittive e numerosi Decreti che hanno di fatto causato un vero e proprio stop dell’attività sportiva dilettantistica e giovanile. Ciò sta mettendo in ginocchio molte società (alcune delle quali hanno già alzato definitivamente bandiera bianca) e realtà che gravitano nell’ambito sportivo come ad esempio palestre e piscine. In alcune città si sono svolte manifestazioni pacifiche (vedi articolo a pag. 18 n.d.r.) con le quali si è cercato di sensibilizzare l’opinione pubblica ma, di fatto, nulla sembra essere ancora cambiato. Per analizzare questo momento buio dello sport italiano, SportdiPiù magazine ha intervistato in esclusiva il Presidente del Coni Nazionale Giovanni Malagò. Una lunga chiacchierata tra pensieri, dubbi, incertezze ma anche tra aneddoti e ricordi molto personali.
Presidente Malagò innanzitutto grazie per averci aperto le porte della sua casa sportiva…
«Beh, sia chiaro, questa non è la mia casa ma quella dello sport italiano. Sono onorato e orgoglioso di essere il Presidente del Coni, una carica non di nomina ma elettiva, che rappresenta quindi tutte le categorie. Questo penso sia il riconoscimento e il ruolo che ricopro».
Cosa significa essere Presidente del Coni?
«Significa tante cose: innanzitutto un serio, importante, profondo e complesso senso di responsabilità, al quale non mi sono mai sottratto. Senso di responsabilità che mi è stato insegnato dalla famiglia e in particolare da mio papà. È inoltre il completamento di un sogno che coltivavo sin da ragazzo. Certo, da piccolo non espressamente ho studiato per diventare Presidente del Coni. Sicuramente però ho gettato le basi perché ciò potesse avverarsi».
Lei è stato giocatore ad alti livelli di calcio a 5 (partecipazione nel 1982 ai primi Mondiali di futsal in Brasile n.d.r.) mentre suo papà Vincenzo ha rivestito l’importante carica di dirigente sportivo (per anni vicepresidente dellaRoma calcio e responsabile del comitato organizzatore del Mondiale di calcio Italia 90 n.d.r.); queste esperienze quanto sono state formative e quanto l’hanno aiutata ad arrivare ai vertici del Coni?
«Sicuramente quello che ho fatto da atleta è stato importante, così pure l’esperienza di mio papà. Quello che però ha fatto la differenza nella mia formazione sportiva è stato l’aver vissuto da vicino, sin da piccolo, lo sport. Quando ero bambino andavo con mio papà a vedere i match di pugilato di Benvenuti, il passaggio del Giro d’Italia, il Banco di Roma pallacanestro che vinceva la Coppa dei Campioni, le partite di pallanuoto al Foro Italico, gli Internazionali d’Italia di tennis, le prime partite di rugby del 6 Nazioni. Potrei continuare all’infinito. Questo è il vero bagaglio che ha fatto la differenza e che porto sempre con me».
Un dirigente sportivo deve avere grande passione, conoscenza e umiltà nell’ascoltare…
«Si, certo, tutto corretto. Attenzione però: fino a qualche tempo fa la passione era una componente che faceva la differenza. Oggi purtroppo non basta più. Tante per-
Da destra Cristani, Malagò e Gnesato
sone che negli anni hanno dato moltissimo al mondo dello sport, non si sono mai aggiornate e ora sono completamente ‘tagliate fuori’. Oggi il dirigente sportivo, purtroppo, deve saper gestire anche i famosi ‘pezzi di carta’; ogni giorno c’è una circolare, una normativa fiscale, amministrativa, tecnica, di coordinamento. Se fino a qualche tempo fa potevi essere il migliore del mondo ad accompagnare una squadra alla partita, a compilare una distinta di gara, ad interloquire con dirigenti o arbitri, oggi questo non è più sufficiente. È vero che stiamo andando verso una settorizzazione, ad una specificità del ruolo, ma è anche vero che, soprattutto nel dilettantismo, non ti puoi permettere un organigramma societario composto da tante persone. Il dirigente sportivo deve essere ‘uno e trino’ e quindi è fondamentale che completi la sua formazione».
Parlando di difficoltà e crisi non possiamo non analizzare le decisioni del Governo in tema di emergenza Covid in ambito sportivo...
«Realisticamente, e lo dico con franchezza, credo che chiunque al posto dell’attuale Governo si sarebbe trovato in difficoltà nell' affrontare l’emergenza Covid. Riconosco la peculiarità e la complessità delle decisioni da prendere, però è altrettanto vero, e lo dico non in tono polemico ma di riflessione, che questa seconda fase sotto il profilo della gestione, della comunicazione e delle aspettative, oggettivamente non ha funzionato benissimo, soprattutto per quanto riguarda lo sport. Si sono generate aspettative non rispettate, chiesti sacrifici e investimenti che, visti gli ultimi DPCM, hanno provocato ulteriori problemi. Si è chiesto di rispettare alcuni requisiti considerati indispensabili che poi sono passati in secondo piano, vedi chiusure piscine e palestre. Un’interpretazione di ‘chi può fare’ e di ‘chi non può fare’ che oggettivamente non ha funzionato quantomeno sotto il profilo della mediaticità. Al Governo ho chiesto, con garbo e con molta fermezza, perché non siamo stati interpellati subito; noi del Coni siamo indiscutibilmente, non le persone più competenti, ma le persone competenti in ambito sportivo».
Quale futuro dobbiamo aspettarci quindi per lo sport italiano?
«Io sono di natura un ottimista, mi è impossibile non esserlo! Vado spessissimo a parlare nelle scuole e nelle università e quindi ho un’interlocuzione istituzionale fin troppo frequente. Purtroppo da questi confronti ne escono numeri che non lasciano assolutamente sperare bene. La fiaccola olimpica Auspicavamo di Cortina 1956 riuscire ad ottenere qualcosa di più dallo sport nella scuola e invece alcune decisioni sono andate ad aggredire proprio l’unica cosa che ha sempre sorretto tutto il sistema sportivo dal dopoguerra ad oggi. Questa è stata oggettivamente una follia».
Cambiamo argomento: l’assegnazione a Milano-Cortina dei Giochi Olimpici invernali 2026 è, ad oggi, uno dei momenti più importanti della sua presidenza?
«Senza dubbio le Olimpiadi MilanoCortina 2026 sono una grande conquista, uno dei momenti indimenticabili non solo per me ma per tutti. Per tanti l’idea e il desiderio di poterci essere è un grande sogno che si potrà realizzare anche grazie
ad una serie di iniziative che si stanno attivando sul territorio. Stiamo parlando di 36000 persone (numero certificato da Ca’ Foscari, Bocconi e Statale di Roma n.d.r.) che da oggi al 2026 troveranno un impiego. Sarà una grande opportunità per i giovani e l’occasione per formare una classe dirigente importante e nuova. E poi proselitismo e affiliazione soprattutto per gli sport della montagna e coinvolgimento di città limitrofe come, ad esempio, Verona. Chi avrebbe mai pensato che la cerimonia di chiusura di MilanoCortina 2026 potesse svolgersi in Arena? Un evento eccezionale, un biglietto di promozione più unico che raro».
Presidente c’è uno sportivo o un atleta che ammira o che ha ammirato in modo particolare?
«Mamma mia, domanda dalla risposta non facile; sono talmente tante le persone che ammiro! Onestamente ho grande stima per quei ragazzi che hanno fatto risultati di vertice importantissimi, che hanno vinto medaglie alle Olimpiadi o ai Campionati del Mondo e che hanno, allo stesso tempo, trovato la forza di interpretare e gestire la propria quotidianità nel solco della famosa dual-career (il concetto di dual-career, secondo la definizione data dall’Unione Europea, consiste nel dare agli atleti la possibilità di avviare, sviluppare e terminare con successo un percorso sportivo di alto livello, in combinazione con il perseguimento di obiettivi legati alla formazione, al lavoro e ad altri obiettivi importanti nelle diverse fasi della vita n.d.r.). Ragazzi e ragazze che si sono laureati e che si sono costruiti un percorso diverso. Io li ho sempre apprezzati e stimolati, soprattutto in discipline come canottaggio, scherma, rugby. Questi sono atleti su cui punto moltissimo anche in ottica futura. Lo ripeto spesso: per un atleta di grande livello la migliore garanzia per il domani è mettersi in condizione di apprendere nozioni e di allinearsi con la mentalità di un dirigente. E il protocollo sottoscritto lo scorso ottobre tra Coni e Istituto per il Credito Sportivo va proprio in questa direzione».
Le capita spesso di dover consolare, consigliare o tranquillizzare uno sportivo?
«Ogni giorno comunico con una cinquantina di sportivi tra Whatsapp, telefonate, incontri e lettere. La maggior parte sono di alto livello ma molti sono atleti
Momento dell'intervista normalissimi, che vincono e perdono, anzi tanto più vincono tanto più perdono. In questo periodo ho ricevuto telefonate e messaggi di atleti che mi hanno comunicato che, per una serie di motivi, anche personali, hanno deciso di ritirarsi. Altri hanno avuto contraccolpi psicologici significativi a causa del Covid, altri problemi con il tecnico o con la federazione, con la famiglia o di altra natura. Io sono sempre disponibile ad ascoltare e a dare loro una parola di conforto».
Come fa un papà con i suoi figli…
«A dire il vero più che un papà mi sento un fratello maggiore (ride n.d.r.)».
La sto intervistando in questa bellissima stanza nella quale sono raccolte le fiaccole Olimpiche. Una collezione di valore
inestimabile. La vicinanza con campioni e squadre le ha permesso di allestire una collezione privata? Se si, ha uno o più cimeli a cui è particolarmente affezionato?
«Ci tengo innanzitutto a fare una precisazione: questa stanza delle fiaccole è stata allestita su mia richiesta, un’iniziativa dedicata a chi prenderà il mio posto, un ricordo per quando non sarò più Presidente del Coni. Ho pensato potesse essere un bel gesto per chi verrà. Tornando alla domanda iniziale, la risposta è no, non ho una collezione di cimeli. Ho conservato una serie di fotografie, alcune maglie di quando ho vinto i campionati italiani di calcio a 5 e quella, che ho incorniciato, di quando ho esordito in Nazionale, le coppe vinte quando ero ragazzo, la tessera di Stella Azzurra di pallacanestro. Due sono però gli oggetti a cui sono particolarmente legato, entrambi regali di papà. Il primo è un poster. Mio padre è stato dirigente accompagnatore della spedizione italiana in Messico nel 1966 e da quel viaggio mi portò un poster raffigurante tutte le bandiere delle Nazionali che avevano già vinto un Mondiale, tra cui l’Italia. Su quel poster, incorniciato e appeso a casa nella mia stanza sportiva, ci sono i ventidue autografi dei giocatori che presero parte a quella spedizione. Il secondo oggetto è invece una foto che conservo accanto al comodino in camera da letto, nella quale è impressa l’immagine di una villa palladiana di Vicenza. La foto è datata venerdì 13 marzo 1959, giorno in cui nacqui. Sempre quel giorno mio papà accompagnò la squadra della Roma a Vicenza per la partita di campionato che si sarebbe giocata la domenica. Da quella trasferta mi portò la fotografia e sul retro, cose se fosse una cartolina, raccolse tutte le firme dei calciatori. Poi mi scrisse una dedica: "Tu sei nato e io non sono con te perchè devo stare con la squadra..."».
Una foto, un ricordo che la lega in modo particolare al Veneto…
«In Veneto mi sento a casa, con la famiglia abbiamo una casa a Cortina. Per noi il Veneto è casa, assolutamente. E poi a Verona abita la mia amica Federica (Pellegrini n.d.r.)…».
Il Veneto e Verona possono essere un simbolo e un punto di riferimento per lo sport italiano?
«Certo. Il Veneto, ma in particolare Verona, è una piazza molto ‘pesante’ sotto ogni punto di vista: nei numeri, nella storia, nella multidisciplinarità. A Verona convivono tante squadre di eccellenza di sport molto diversi tra loro. Un’eccezione nel panorama italiano. Io Verona la conosco molto bene, non solo a livello sportivo…».
Come mai?
«C’è stato un periodo, da giovane, che a Verona ci andavo ogni quindici giorni per motivi di lavoro. La mia era una famiglia di imprenditori, fattore che mi ha aiutato ad acquisire una visione managerale dello sport. Per cinquant’anni siamo stati la più grande concessionaria della BMW, casa automobilistica la cui fabbrica aveva sede a Palazzolo di Sona, a pochi chilometri dal centro di Verona; noi ci andavamo per definire i nostri affari...».
Presidente, quando terminerà il suo mandato, cosa le piacerebbe fare?
Giovanni Malago con il presidente della repubbilca Mattarella e il presidente CIP Pancalli.
«Mah, è presto per dirlo. Vedremo. In- più forte calciatore nanzitutto c’è da capire quando decadrà mai visto. Diego (l’attuale mandato di Giovanni Malagò rappresenta l'eternità. scadrà a maggio 2021 ma, ad oggi, non è È stato un onore da escludere il prolungamento per un altro averlo conosciuto quadriennio n.d.r.). Se non sarò più Presi- e, in un'occasione dente del Coni potrei decidere di orientar- speciale, è stato un mi verso un’attività internazionale, sempre privilegio giocare con mosso dalle mie passioni. Di sicuro farò lui». qualcosa per lo sport, elemento che farà per sempre parte della mia vita». Presidente Malagò, al
termine di questa inGiovanni Malagò si sente più privilegiato, tervista, le va di fare fortunato, invidiato o importante? un saluto e un augurio ai lettori di Sportdi-
«Se guardo gli altri sette e passa miliardi Più Magazine? di persone che popolano il mondo, molte «Cari lettori, cari amici sportivi può semdelle quali nascono e vivono in povertà brare strano quello che dico ma, e miseria, mi sento indubbiamente un anche se non vi conosco uomo fortunato. Poi, oltre alla for- tutti, abbiamo una tuna, senza dubbio ci ho messo componente geneanche del mio per arrivare dove tica che ci accosono arrivato…». muna: l'amore per lo sport. Questo maledetto 2020 ci ha Continuiamo portato via anche il miglior quindi a svilupcalciatore di tutti i tempi, Diego pare e, possibilArmando Maradona... mente, a miglio«Maradona ha fatto la storia del Diego Armando Maradona rare e incrementare calcio, è la storia del calcio. È stato questa componente di un'icona per il mondo e per Napoli, il comunanza e di vicinan-
Particolare della sala delle fiaccole
Malagò insieme a Luca Paltrinieri
za. Perché lo sport, soprattutto in questo momento difficile, ha bisogno di un unico gioco di squadra per poter rialzare la testa e tornare ad essere protagonista. Auguri a tutti».
Foto: Maurilio Boldrini
Il CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano) è un’emanazione del Comitato Olimpico Internazionale (CIO). È autorità di disciplina regolazione e gestione delle attività sportive nazionali ed Ente pubblico cui è demandata l’organizzazione e il potenziamento dello sport nazionale, promuovendo la massima diffusione della pratica sportiva. Dopo le ultime modifiche normative del Decreto Legislativo 8 gennaio 2004 (n. 15), è la Confederazione delle Federazioni Sportive e delle Discipline Associate. Fondato il 9 e 10 giugno del 1914 a Roma in via permanente, oggi il CONI è presente in 102 Province e 19 Regioni, riconosce 45 Federazioni Sportive Nazionali, 19 Discipline Associate, 14 Enti di Promozione Sportiva Nazionali e 1 territoriale, 20 Associazioni Benemerite. A questi organismi aderiscono circa 95.000 società sportive per un totale di circa 11 milioni di tesserati (Fonte Istat e Censis). La sede del CONI nazionale si trova presso il palazzo H
edificio storico di Roma, nel complesso del Foro
Italico. Il palazzo H fu progettato dall’architetto Enrico Del Debbio nel 1927, la prima pietra fu posta da Mussolini il 28 febbraio 1928 e fu inaugurato nel 1932 come sede dell’Accademia fascista maschile di educazione fisica (poi Accademia della Farnesina). È la prima opera del Foro Italico (allora Foro Mussolini) a essere realizzata, su indicazione dell›Opera Nazionale Balilla, il cui piano fu progettato da Del Debbio nel periodo 19271933, e completato nel dopoguerra (1956/60). Nel marzo 1951 Giulio Onesti ne fece sede del CONI e il palazzo è divenuto poi sede di rappresentanza del Comitato olimpico nazionale italiano. Composto da due corpi simmetrici di due piani, collegati da un grande pontile, così da formare una pianta a “H”. Dentro nicchie incorniciate da edicole di marmo a fastigio triangolare spezzato, vi sono 4 statue di atleti. A fianco vi è realizzata una palestra monumentale, con una pianta semi ovoidale, progettata per la ginnastica, con gallerie sopraelevate. All’interno, nel salone d’onore, vi sono due enormi pitture murarie. La più famosa, realizzata da Luigi Montanarini nel 1928, è intitolata “Apoteosi del Fascismo” e nel dopoguerra - per decenni - fu tenuta nascosta sotto un panno verde; solo nel 1997 su disposizione della Soprintendenza è stata scoperta. L’altro affresco è una allegoria di Roma antica, opera di Angelo Canevari. Vi sono anche quattro soggetti sportivi, dipinti da Romano Dazzi.